Il recinto delle belve

di Ita rb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Il senza nome ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Al diavolo il business ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Non chiudere gli occhi ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Affare fatto ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Farsi notare ***



Capitolo 1
*** Prologo - Il senza nome ***


Note: Questa fan fiction è nata per un progetto particolare (?) che ho improntato da un semplice stato di Facebook, vale a dire quello delle fan fiction interattive. Ultimamente mi è capitato di avere parecchie idee per prompt e plan vari, ma non ho mai pensato di rimettermi nelle mani del lettore e a tal proposito ho voluto provare questo qualcosa di nuovo – almeno in parte. Sono consapevole che molte long non sono concluse quando vengono postate e fin’ora sono una di quelle persone che ne ha lasciate molte dietro di sé; eppure, nell’ultimo periodo ho sempre o pressoché finito una long prima di pubblicarla, perciò questo è un vero e proprio esperimento per me.

Vi spiego in parole povere cos’è il progetto della fan fiction interattiva – se già non l’avete notato con la storia di Nahash “Riflesso” – per evitare di essere fraintesa in qualche modo.
La fan fiction interattiva è una fan fiction a capitoli dalla trama di base definita e delineata quasi completamente, la quale è posta come prologo in attesa della sua continuazione. Non si tratta di una storia a votazioni o nella quale è possibile inserire OC caratterizzati dal lettore, meno che mai di un contesto completamente stravolto dai vostri commenti – privati o pubblici – perché questi potranno gestirne l’andare avanti solo potenzialmente. Ciò significa che è possibile interagire con qualche spunto aggiuntivo nelle recensioni lasciate o tramite mp, ma non ci saranno mai delle scelte volte ad aumentare il numero dei commenti, perché non è a questo che servono le recensioni.
Ogni commento, dunque, dovrà attenersi alle regole del sito, anche se l’autore – in questo caso me – potrà rifarsi alle idee lasciate da terzi come postilla nelle stesse. Non c’è un’idea vincente o numericamente vincente, ma solo uno scambio d’idee che spesso avviene silenziosamente; in pratica, molti autori si rifanno alle teorie delle recensioni per andare avanti nelle loro storie, ma non le creditano mai: l’iniziativa della fan fiction interattiva è l’esatto opposto, vale a dire la presa in considerazione di tale idea con tanto di credits nelle note – anche se poi il suo sviluppo sarà ad opera dell’autore.
Alcuni la chiamerebbero mancanza di fantasia, ma posso assicurarvi che ho talmente tante idee in testa che al momento non mi sento affine a questa descrizione; perciò è solo un modo come un altro per interagire maggiormente con tutti voi del fandom – e con altri che conosco su Facebook che non sono soliti commentare su EFP – per tenere maggior conto delle opinioni sulla storia di base.
I personaggi, dunque, sono solo due al momento, ma potrete anche chiederne altri, così come indirizzarmi verso qualche OTP varia, genere, avvertimento & co.
Stessa cosa per il rating, dunque, che potrà salire qualora, con l’andare avanti della storia, le scene si tingessero di un colore più intenso (?) ù.ù
In sunto, tutto questo per dire che per una volta mi piacerebbe seguire i consigli dei lettori e non andare avanti esclusivamente di testa mia, perciò non prendete questa storia come una sorta di “recensisco con ciò che voglio succeda e tanti saluti”, ma considerate comunque che si tratta di una fan fiction che ho studiato e sulla quale mi piacerebbe avere le vostre opinioni come al solito – la questione di eventuali consigli sulla trama, dunque, è secondaria, perché altrimenti non sarebbe una recensione vera e propria :3
Se volete partecipare a questa stramba iniziativa con qualche fan fiction interattiva – quindi non solo leggendo questa o quella di Nahash – potete farlo tranquillamente, inserendo la dicitura nell’intro – se proprio non avete voglia di avvisare o me o lei in privato – affinché io possa impicciarmi e interagire con la vostra storia, visto e considerato che leggo e recensisco molto su questo fandom: mi farebbe piacere *^*
Mi sto facendo un film da sola? Ah, che dire, superata la spiegazione blandissima di questa fan fiction interattiva, spero che l’idea della storia in sé vi piaccia ~ attendo le vostre direttive e i vostri consigli, magari anche qualche uovo o pomodoro – non marci – con cui farmi un tramezzino *rool*

Beh, ad ogni modo vi preannuncio che questa storia è nata da un’immagine, la quale è stata impropriamente (?) usata come copertina della stessa, e vi allego le due song che hanno scandito la stesura:  
Olive dolci (?) a tutti ~

 
 
Erano come due cani rabbiosi.
Qualcuno avrebbe osato dire che quelle bestie si trovassero sullo stesso piano, relegate in una gabbia troppo stretta e dalle sbarre cigolanti – mangiate dalla ruggine – le quali, presto o tardi, sarebbero crollate sotto la pressione delle loro schiene; dopotutto, il perimetro c’era ed era inutile negarlo, così come le grate metalliche che lo contornavano fin quasi a sembrare il macabro recinto di un pollaio tinto di rappresi schizzi scarlatti.
Era lì che si scontravano i lottatori più forti e tenaci di tutta la zona, senza contare che ogni tanto arrivava anche qualche straniero per accaparrarsi il diritto di primeggiare sul campione; non a caso, nell’ultimo periodo sembrava quasi che tale interesse fosse aumentato fin quasi a espandersi in lungo e in largo, cavalcando l’onda di quello che si mormorava essere il predominio della Pantera e attirando non solo giovani e nerboruti impavidi, ma anche una clientela più ferrata sull’argomento degl’incontri clandestini.
Sebbene quel posto non avesse nome, qualcuno l’aveva rinominato – e in modi differenti, per giunta!
Cage era la terminologia più utilizzata, quella che sembrava scivolare di bocca in bocca quanto i soldi che scorrevano di mano in mano al di fuori della suddetta, e anche se il proprietario non si era mai visto da nessuna parte, di certo non sembrava esserne poi così afflitto. Nella grossa sala clandestina che era stata attrezzata in periferia, quella non era certo una preoccupazione – e chiunque si sarebbe ben guardato di farsela indugiare troppo sulla punta della lingua, tant’era la birra che veniva ingurgitata come acqua.
«A che punto siamo?» Chiese un tale dalla capigliatura eccentrica, talmente rada e mal conciata da sembrare un lontano ricordo si quella che un tempo era stata chiamata chioma da rocker. «La Pantera è già entrata?» L’enfasi che si percepiva nell’aria era un tutt’uno con l’inebriante gorgoglio della spina dietro il bancone, la quale riempiva una pinta dopo l’altra e senza tergiversare troppo.
«Non ancora», ammise a mezza bocca l’altro tale che, serrando il classico bigliettino di un verde slavato, continuava a fissare i due animali che lottavano sul ring. «Ci sono ancora i pesci piccoli, purtroppo, ma stanno tenendo il meglio per dopo», soffiò a mezza bocca, facendo vacillare qualche sputo contro lo stuzzicadenti che serrava di lato.
«Quanti soldi hai perso?» Chiese scherzosamente quello che molti avrebbero definito il barman della Cage, spuntandogli da dietro per servire una delle tante pinte e direttamente nella sua mano destra.
«Niente di niente,» ghignò «come ho detto, il meglio lo tengo per dopo!» Agitò appena la sinistra, mostrando la sua scommessa della serata che era volta unicamente alla Pantera e il ghigno di soddisfazione dell’amico non sembrò far altro che incrementare la sua convinzione.
«Dicono che questa sera, forse non si farà viva.» Il barman fece spallucce, chiedendosi che fine avesse fatto quel tipo dall’aria truce che tutti quanti stavano aspettando da una buona mezz’ora.
«Oh, andiamo!» Sbottò quello appena arrivato. «Tutta questa gente è venuta a scommettere un occhio della testa sulla Pantera, eccetto i poveri pazzi che si sprecano a buttare quattrini nella speranza di una vincita inaspettata.» Schioccò la lingua, mostrandosi perplesso e sollevando un sopracciglio rado quanto il suo cranio. «Chiunque sia il capo, di certo non farà una simile stronzata…»
«Dicono che il capo sia qualcuno tra noi, magari potresti essere tu», scherzò l’amico, portando le labbra alla pinta e sentendosi dare una pacca dal barman che, preso da un’altra ordinazione, si allontanò per incassare altro denaro.
«Io?» La risata sibilante del tizio con il passato da rocker echeggiò nelle sue orecchie come il din della campana che si trovava dal lato opposto. «Questa è la peggiore cazzata che ti abbia mai sentito dire, sai?»
«Vince il Condor!» La voce dell’arbitro improvvisato si leva nel silenzio e il baccano a seguire lo interrompe; allora, con una nuova boccata d’ossigeno, il suo volto arrossato dalla birra si tende con maggiore enfasi. «E adesso il campione in carica, la bestia della Cage, l’uomo che tutti voi sognano di poter vedere al tappeto e che vanta una sequela di vittorie che farebbero impallidire qualsiasi sfidante: la Pantera
L’approvazione generale sembrò talmente ampia da distaccarsi notevolmente da quella che era dapprima stata classificata come euforia: le pareti presero a vibrare, quasi, di quelle grida, mentre le braccia di molti si sollevarono speranzose e altre parvero tremare su loro stesse, mentre gli occhi puntavano sgranati e terrorizzati il perimetro di combattimento.
«Chi è lo sfidante?» Domandò una voce, levandosi fra le altre in modo sinistro e sguaiato. «Chi è lo sfidante?» Non esisteva alcuna battaglia senza qualcuno che potesse salire sul ring assieme a quel ragazzo dall’aria truce che si era appena presentato dal fondo della sala. «Chi è lo sfidante?»
Le scommesse erano state fatte sulla fiducia, lasciando che il solito tizio grassoccio tenesse il conto nei pressi del bancone del bar, ma erano pochi coloro i quali avevano creduto in una sua sconfitta; perciò il silenzio regnò sovrano quando il cappuccio color notte della felpa della Pantera gli scivolò dal capo per adagiarsi mollemente sulle spalle.
«È uno straniero, un pazzo!» Gridò la voce di un tizio che, destando l’attenzione di molti, lasciò alla Pantera il compito di sorridere con soddisfazione – un’altra sciocca vittoria che avrebbe aumentato il suo gruzzolo. «Non si sa da dove venga, ma è dall’inizio della serata che non fa che parlare della Pantera
«Dov’è il coglione?» Lo apostrofò convinto il campione, lasciando che la porticina di metallo cigolasse sui suoi cardini quasi sfondati per far uscire l’arbitro con il corpo del perdente sulle spalle – quello che il Condor aveva steso poco prima, lasciandolo riverso in terra e con il naso grondante sangue.
«È qui, è qui!» Scattò ancora il tipo che aveva parlato all’inizio, sorridendo come un ebete e confidando in quella che gli era sembrata una prestanza fisica non irrilevante, serrando bene le dita attorno al foglietto verdino. «Lui è…» provò a dire, venendo ancora interrotto dallo sguardo famelico della Pantera che, salita sul ring con dei gesti fluidi, si tolse la felpa velocemente per mostrare i pettorali palestrati e lucidi di sudore – probabilmente il risultato di un riscaldamento che nessuno aveva notato fino a quel punto.
«Un semplice coglione, ecco cos’è», sentenziò spicciolo, osservandolo da lontano e attraverso la rete metallica, mentre i suoi occhi s’incendiavano d’eccitazione, sgranandosi appena alla vista di una capigliatura rossa come il sangue. «Non ti ho mai visto prima d’ora, sei tu il mio sfidante?» Domandò in un ghigno, sollevando il mento e avvicinandosi con i palmi al recinto per studiarlo. «Non sei diverso dagli altri, coglione», schioccò per provocazione, vedendolo aggrottare le sopracciglia già nervose.
«Non ho un nome, per adesso…» soffiò con superiorità, avvicinandosi alla porta che, aperta, aveva fatto scendere il Condor poco prima.
«Un senza nome, interessante», soffiò ironicamente il campione, distanziandosi da lui di qualche passo per raggiungere uno dei quattro angoli del ring. «Sarà interessante rispedirti da dove sei venuto, sai?»
«Sarà interessante farti scendere dal piedistallo, sai?» Scoccò il rosso nella sua direzione, ghignando nervosamente a sua volta e sentendolo schioccare la lingua sdegnato; allorché provò a togliersi la felpa, ma il suono della campana lo colse alla sprovvista e la Pantera non mancò di saltargli addosso quasi come se avesse voluto azzannarlo ferocemente alla gola: lo afferrò per il collo, nei pressi della nuca, sbattendolo con il volto semicoperto dal cappuccio grigio contro la grata.
«Lurido stronzo», sibilò quello, posando le dita contro il recinto per darsi una spinta nella direzione opposta e far vacillare appena la Pantera che, scivolando dalla sua presa, si ritrovò a fissarlo compiaciuto. «È questo il tuo trucco? Non dare spazio all’avversario di mettersi in posizione?» Il boato della folla gli echeggiò nelle orecchie. «Per tua sfortuna, caro il mio campione, non sono così sprovveduto.»
«Vedremo…» mormorò l’interpellato, crucciandosi con maggiore convinzione e lasciando all’altro il tempo di liberarsi della felpa per mostrarsi a lui con una semplice canottiera bianca; allora, senza indugiare oltre, gli fu subito addosso.
Lo afferrò per la testa una seconda volta, ma con entrambe le mani, spronandolo a restare fermo per essere colpito in pieno con una testata; eppure, il rosso mosse un braccio velocemente per liberarsi della sua presa e attaccò con un gancio diretto al mento della Pantera che mandò in fibrillazione la folla.
«Non è un senza nome, è una Tigre
«Al diavolo le tigri…» schioccò la Pantera, sputando un po’ di saliva al suolo dopo aver incassato il colpo del nuovo arrivato «… non mi sono mai piaciute!» Serrò una mano attorno all’avambraccio del rosso, spingendolo contro la grata per sentirla cigolare e allora, avventandosi contro di lui, caricò un pugno diretto al suo volto che parve salvarsi quasi per miracolo quando la Tigre sgattaiolò lateralmente per mandare a vuoto il colpo dell’avversario.
Le nocche raschiarono contro il metallo, rigandosi appena di sangue per poi ritirarsi ancora contratte, incuranti, e l’adrenalina gli prese a scorrere veloce nelle vene.
Adesso non c’era alcun dubbio: quelli erano davvero due cani rabbiosi.
L’elogio della folla sembrava essere diventato un tutt’uno con l’indecisione e la certezza di quelli che avevano scommesso sulla Pantera non era più quella di poco prima, sebbene alcuni si stessero aggrappando alla pinta di birra come se fosse un’ancora di salvezza o un modo tale per reagire al posto del campione in carica.
Il sangue schizzò sul pavimento sudicio del ring quando il grugnito della bestia s’indirizzò verso la Tigre e quella ghignò soddisfatta, sistemandosi sulla difensiva in quella che sembrava pressoché la classica postura da boxe; allorché a qualcuno venne in mente qualcosa, tanto che non riuscì a trattenersi dal gridarlo:
«Quel tizio non gioca sporco!» E non ci voleva un cieco per dargli ragione, visto e considerato che gli schemi erano quelli plastici della boxe americana. «Attento, cazzo!» Sbraitò ancora, mentre la Pantera si abbassava per lisciare un secondo gancio e caricare dabbasso lo straniero, spingendolo come un toro fino a fargli aderire le spalle contro la rete.
Un gemito roco gli uscì di bocca, mentre la soddisfazione del campione si espandeva con un ghigno vagamente sadico, dove la superiorità vigeva sovrana. Non c’era neppure il tempo per pensare, mentre i secondi scorrevano placidi senza alcun conto alla rovescia e l’arbitro improvvisato seguiva la zuffa clandestina; perciò il rosso cercò di scrollarselo di dosso quando lo vide caricare un pugno obliquo, ma non riuscì a mancarlo e venne colto alla sprovvista sulla spalla sinistra, gemendo sommessamente e a denti stretti.
«Deve ancora nascere la persona in grado di mettermi al tappeto, Tigre», sibilò al suo indirizzo, piuttosto annoiato, mentre a spronarlo era solo l’odore del sangue che aveva preso a macchiargli la canottiera bianca. «Soprattutto se si tratta di uno straniero che usa gli schemi della boxe tradizionale…» fece ancora, caricando una serie di pugni che andarono a segno contro l’addome dell’altro «… non montarti la testa per un nomignolo improvvisato, senza nome: oggi tornerai a casa sui moncherini delle tue gambe.»
«Fottiti, Pantera dei miei stivali», ringhiò l’interpellato, indurendo le spalle per posare entrambe le mani contro la grata e spingersi in avanti, prendendo alla sprovvista il campione che, colpito in piena fronte da quella dura dell’altro, vacillò appena con un grugnito, muovendo due o tre passi all’indietro per lasciargli campo libero. «Parli troppo e ottieni poco», sbuffò il rosso, facendogli uno sgambetto per sentirlo cadere in terra con un tonfo sordo, mentre la folla tratteneva il respiro e qualche impavido urlava di gioia, pregustando la vittoria dello straniero che, dal canto suo, poté solo sorridere compiaciuto per la bravata – almeno fin quando la presa delle gambe altrui non s’incrociò attorno alle sue caviglie per ribaltare la situazione sotto lo sguardo sempre più allibito di un arbitro che ancora non aveva neppure contato il primo numero della decina di routine.
«Mi fotto tua sorella, semmai», scattò rabbioso il campione in carica, beandosi delle risate dei più vicini che avevano assistito alla sua uscita; eppure, il colpo del gomito della Tigre lo fece barcollare un po’ e la presa della mano destra sul pavimento mancò di reggere.
«Non ho sorelle, spiacente», rispose biforcuto, vedendolo capitolare di lato per rialzarsi subito, sebbene con un po’ di fatica – la stessa che, purtroppo, stava provando anche lui.
Annaspando, le due bestie continuarono ad arrancare sui colpi prestabiliti e quelli più improvvisati: la Pantera provò un gancio di routine, colpendo il lato della mandibola della Tigre che, gracchiando, fece stridere i denti nel rischio di mordersi la lingua prima ancora del contrattacco – una ponderata ginocchiata allo stomaco.
«Ti distruggo, Tigre del cazzo…» sibilò, afferrando quello stesso ginocchio per spingerlo all’indietro e farlo cadere al suolo dopo qualche istante di tentato equilibrio.
Battendo la testa, l’urto lo destabilizzò un po’, ma non sufficientemente da tirarsi indietro; per questo, vedendolo tanto vicino a sé, lo prese per il viso come aveva fatto lui all’inizio dello scontro e gli diede una sonora botta con la fronte per sentirlo gemere forte.
«Prima dovrai pulire il ring dai tuoi sputi», soffiò, sentendosi girare la testa e provando a sollevarsi sui gomiti con scarsi risultati. «Se ci tieni così tanto a fottere qualcuno, ti consiglio di farti meno giri nei bassifondi…» ringhiò allora, trovando un briciolo di energia per sollevarsi sulle ginocchia e afferrare l’altro per i capelli «… altrimenti ti rovini quel bel faccino da lampadato che ti ritrovi, Pantera
«Non mi faccio le lampade», sibilò furioso, colpendolo alla sprovvista all’altezza del collo per farlo cadere di nuovo al suolo con un tonfo secco. «Sei un coglione, Tigre
La vista gli si appannò, mentre le urla nella sala prendevano a levarsi verso l’alto. Quello era uno dei momenti in cui la Pantera avrebbe preferito dormire un po’, risvegliandosi alla scoperta di un mondo diverso, dove i sogni erano realtà e la realtà solo un sogno; eppure, i sensi che vacillavano tanto, erano quasi in procinto di abbandonarlo e lo sapeva bene – se lo sentiva addosso, sottopelle, nelle vene!
«Non sono un coglione…» borbottò il rosso, portandosi una mano alla testa e tenendo gli occhi chiusi per far sorridere compiaciuta la Pantera che, in un moto d’euforia, si voltò verso l’arbitro credendosi vincente; allorché, senza nemmeno accorgersene, cadde a sua volta sul ring imperlato di sudore e sangue.
«Che cazzo significa?» Chiese una voce da lontano, sormontando tutte le altre per poi arrivare più vicina all’arbitro. «Non conti, adesso? Il primo che si alza in piedi ha vinto, dai!» La folla parve incentivare la sua tesi e un coro prese a tifare le due controparti, librandosi al di là del pollaio.
«Uno», prese a contare dubbioso il tizio, avvicinandosi alla rete per battere i colpi. «Due. Tre. Quattro.»
«Pantera!» La gran parte degli ospiti di quello strambo club non propriamente tale, prese a chiamarlo forte, battendo i piedi e le mani per riscuoterlo. «Alzati, Pantera
«Cinque. Sei. Sette.»
Neppure un cenno da uno dei due: erano al suolo, svenuti, con il petto ansante e le vene ancora ingrossate dalla tensione, mentre il sudore gli scendeva a fiotti dalla fronte e dalla nuca, incanalandosi nei pressi del setto e scivolando lungo le espressioni paradossalmente rilassate.
«Tigre, alza il culo!» Gridò il tipo che l’aveva quasi presentato, aggrappandosi alla rete in un magro tentativo di avere la meglio. «Ho giocato i miei soldi su di te, Tigre
«Col cazzo che si alza lo straniero», schioccò una voce alla sua destra, facendogli aggrottare le sopracciglia con fare contrariato.
«Otto.»
«Chiudi quella fogna, stronzo.»
E la lotta non era più sul ring, ma oltre lo stesso, fra la folla, in una fibrillazione da dieci, mentre l’arbitro gridava ancora il penultimo numero:
«Nove!»
Agli sgoccioli, con il fiato corto, gli occhi si puntarono sui due lottatori svenuti e la disapprovazione sfociò in rissa.
«Dieci!»
Nessuno dei sue si alzò da terra.
Il barman saettò contro la botte di metallo, afferrando la spina per dirigerla verso l’alto, facendo in modo che lo schizzo di birra saettasse sul caos improvvisato; allorché si sentì una voce tonante che, rimbombando nelle quattro mura della sala gremita, si sprigionò dal centro di un megafono bianco:
«Le scommesse sono posposte a domani sera per un nuovo match fra la Tigre e il nostro campione in carica, la Pantera!» Il fischio dell’altoparlante gettò un po’ di scompiglio, tanto che molti scontenti rimasero con il fiato sospeso nel vedere avanzare quel tipo verso il ring – indossava un rigoroso completo color notte, non poteva essere uno qualunque. «I foglietti delle scommesse sono numerati e catalogati, perciò non aspettatevi una contraffazione: neppure in questo posto è possibile infrangere le regole!» Il silenzio regnò sovrano, mentre perfino la zuffa esterna al perimetro del ring parve placarsi sotto lo sguardo del nuovo arrivato. «Domani sera, le due bestie saranno pronte per un nuovo incontro e la posta in gioco sarà doppia!» Gridò ancora, facendosi ben sentire da tutti. «Chi non ha scommesso potrà scommettere anche domani, perciò il montepremi sarà più sostanzioso!»
«Quello è il capo?» Borbottò sottovoce qualcuno, mentre il barman si limitava a ghignare soddisfatto.
«Decisamente», soffiò tra sé e sé, osservando il nuovo arrivato con compiacimento, mentre quello, nel centro della gabbia, faceva cenno all’arbitro di controllare le pulsazioni cardiache di entrambi i lottatori affinché venisse data conferma della sua certezza.
«Domani si terrà il match», fece il tipo in questione, lasciando che il capo si allontanasse di lì così come era arrivato, incurante di tutto.
«Svegliateli in qualche modo e portateli fuori di qui…» avvisò, raggiungendo il barman «… abbiamo poco tempo per rientrare con altre scommesse minori e sei sfidanti nel retro», ordinò spicciolo, posando il megafono sul bancone per poi imboccare l’uscita del locale.

 
つづ
 
Cosa succederà al risveglio delle due bestie? E chi è la misteriosa figura che gestisce il locale di scommesse clandestine? Potrete rispondere a queste e ad altre domande che vi siete posti con dei commenti, via mp o via Facebook – per i più timidi che mi conoscono e non si palesano qui; perciò non lasciatemi sulle spine, la storia siete voi ~
Oh, sembra uno spot pubblicitario, LOL *rool*
xoxo

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Al diavolo il business ***


Note: Al momento, la prima sfida fra Kagami e Aomine si è conclusa con un pareggio; ma chissà cosa accadrà nella prossima! Nel frattempo, il capitolo in questione sembrerà un po’ placido rispetto al precedente e in realtà è proprio a questo che serve: a stemperare la tensione. Alcune risposte verranno svelate, altre semplicemente accennate e i quesiti, forse, raddoppieranno (?) – perlomeno è quello l’intento!
Ringrazio chi ha recensito tempestivamente rinserrando la decisione di scrivere un’AoKaga *cofcof* e quindi annuncio che, probabilmente, in futuro si noterà più interazione fra i due – anche se al momento, a rigor di trama, deve esserci un incipit per improntare tutto il resto e quindi l’OTP verrà lievemente posposta çUç
Grazie a Nahash, Lupus_in_fabula (che tra l’altro mi ha anche segnalato l’errore di dislessia sul nomignolo di Aomine!) e Yoko no Koori (che è una persona dotata di superpoteri e legge nelle menti del prossimo [??] D: stima!) ~
Spero che anche questo capitolo possa piacervi, che gradirete l’ingresso di altri personaggi nella trama e che il progetto continui a fornirmi nuovi spunti per questa storia che, lo ammetto, mi diverte davvero molto nella sua stesura.

Maggiori info sul progetto della fan fiction interattiva sono nel prologo!


Da quando la Pantera era finita al tappeto assieme alla Tigre, la folla non aveva fatto altro che darsi alle scommesse minori sotto la nonchalance con la quale il capo del locale li aveva esortati ad andare avanti; ma quel caos sotterraneo non poteva di certo passare inosservato alle orecchie di Satsuki che, seduta sulla sedia di metallo che si trovava in una stanzetta attigua, aveva atteso il ritorno del campione con l’espressione più agitata del mondo e le nocche ben strette sulle ginocchia tese.
Ad averle fatto intendere l’esito distorto di quella sfida, di certo non era stato solo il clamore, bensì anche l’eco delle parole che il capo del locale aveva imposto con il megafono fra le quattro mura gremite di gente; allora, quando il barman fece il suo ingresso oltre la soglia con addosso il corpo svenuto del giovane, la ragazza saettò in piedi e sgranò le palpebre di rimando senza riuscire a trattenere un’esclamazione preoccupata:
«Aomine-kun!»
«È tutto sottocontrollo, Momoi, non allarmarti più del dovuto», soffiò il tipo, lasciando che la bestia scivolasse giù dalla sua spalla sinistra per essere messa a sedere mollemente sulla stessa sedia che fino a quel momento era stata occupata da Satsuki. «È solo svenuto, ma non ha perso…»
«Sai che m’importa della vittoria o della sconfitta», scattò lei, legandosi i capelli alla svelta per lasciarli cadere in una morbida coda improvvisata. «Come ha fatto a svenire?» Domandò agitata all’indirizzo del barman, mentre l’eco del nuovo combattimento le arrivava alle orecchie attraverso la porta schiusa e il corrucciare perpetuo della fronte di Daiki sembrava farle intendere che tutto quel baccano sapeva ledere le sue funzioni neuronali.
«Devo occuparmi del suo avversario. Torno subito, okay?» Soffiò il moro, inclinando appena il capo da un lato prima di filare via con una certa fretta.
«Ehi!» Lo chiamò alla svelta, irritata, mentre aggrottava le sopracciglia nel voltarsi verso di lui. «Ti ho chiesto come ha fatto a svenire, vuoi rispondere?»
«Si è pestato a sangue con un senza nome che la folla ha rinominato Tigre, perciò sono crollati tutti e due senza nemmeno rendersene conto», spiegò nel fare spallucce, lievemente contrito per essere stato fermato dalla ragazza nel bel mezzo del suo incarico non ancora concluso. «Posso andare?»
«Sì, vai», soffiò l’interpellata, storcendo di poco le labbra per il tono sarcastico con il quale le si era rivolto; allorché, sentendo la porta cigolare appena, tornò a concentrarsi sulla Pantera e, dopo aver recuperato del ghiaccio secco dalla cima del tavolo, si spronò a cercare su di lui i punti in cui era stato colpito con più energia del solito.
«Ah, che cazzo!» Sbottò il combattente, digrignando i denti nel sentire il gelo improvviso che, posato sulla sua testa, cercava di evitargli un grosso bernoccolo – il quale, puntualmente, aveva già preso a comparire in un alone giallognolo. «Satsuki, mi fai male!»
«Io?» Chiese indignata, battendo le palpebre un paio di volte e tornando a premere il ghiaccio secco come se nulla fosse, magari con più veemenza. «Ti sei fatto mettere al tappeto da uno straniero e sono io quella che ti fa del male, Aomine-kun?»
«L’ho sottovalutato», borbottò a denti stretti, soppesando un’idea che prima d’ora non gli era mai capitato di dover affrontare. «Ma non ho intenzione di perdere con quel tipo…»
«E dire che ti davano per svenuto,» soffiò con un leggero sorriso rassicurato «guarda quante energie hai in corpo!»
«Certo che ero svenuto, credi che non avrei vinto se fossi stato vigile?» Schioccò la lingua per mostrarsi sdegnato agli occhi dell’altra che, dal canto suo, prese semplicemente a tamponargli il sangue dalle nocche escoriate. «E adesso dimmi dov’è,» aggiunse spicciolo, puntando gli occhi scuri sull’amica «devo spaccargli la faccia: non può credere davvero di passarla liscia dopo avermi dato una testata come quella.»
«Il capo ha detto che il vostro prossimo incontro sarà domani, perciò vedi di riposare fino a quel momento e non fare idiozie», volle ricordargli in un mormorio serio, affinché potesse essere ascoltata; ma nonostante lo sbuffo di Aomine, quello che maggiormente mandò in fumo le sue buone intenzioni fu l’arrivo del barman.
«Ecco qui la Tigre!» Esordì tranquillo, aprendo la porta per poi lasciare in terra il corpo dello straniero.
«Levami quel coglione di torno, altrimenti gli spacco la faccia…» ringhiò la Pantera, fissando il rosso senza ben curarsi di colui che l’aveva condotto lì, contro la parete attigua all’ingresso – doveva dare ascolto a Satsuki, dopotutto, ne valeva delle sue entrate!
«Come siamo irritati, Pantera», ghignò il moro, sistemandosi gli occhiali sulla punta del naso con un vago cinismo, mentre si spronava a incrociare le braccia per osservarlo con superiorità. «Il business richiede tempo e costanza, perciò vedi di seppellire l’ascia di guerra», continuò in un soffio, alzando le spalle come se avesse a che fare con un’ovvietà; nonostante ciò, il campione non pareva essere del suo stesso avviso:
«Al diavolo il business.» La dimostrazione lampante che le preoccupazioni di Momoi erano fondate, dunque, erano le sue parole seccate che, dopo essere capitolate fuori dalle sue labbra sporche di saliva e sangue, sembrarono diventare ancora più taglienti – come il suo sguardo, forse.
«Aomine-kun!» Fece lei, tentando di fermarlo per un braccio quando, con somma sorpresa, quello si alzò dalla sedia di metallo per avvicinarsi all’ingresso della stanzetta.
Era troppo forte per lei, nonché sordo alle sue parole, perciò non riuscì a fare altro che andargli dietro con il rischio di cadere in terra a causa della sua furia omicida – e in fondo, neppure Shoichi riuscì a proibirgli dall’avvicinarsi allo straniero per afferrarlo all’altezza della canottiera sudata in un magro tentativo di riscuoterlo.
«Ehi, Tigre del cazzo, perché non ti svegli?» Ringhiò infastidito, tenendo i denti stretti quasi fosse realmente una belva assetata di sangue e vendetta. «Se ti svegli, stronzo, ci facciamo due chiacchiere prima di domani!» Continuò, restringendo lo sguardo con stizza, mentre le palpebre troppo rilassate del tipo sembravano non calcolarlo di striscio – anzi, magari riuscivano addirittura a irritarlo per quello stesso motivo.
«Fuori di qui non sono il responsabile della tua condotta, Aomine,» disse s’un tratto il barman «ma fintanto che ti trovi nella Cage, però, mi dispiace dirtelo: devi tenerti a freno se non sei sul ring.» Shoichi lo fissò dritto in volto, posando una mano sul suo polso e attingendo a chissà quale assurda calma interiore per sorridere con un lieve accenno di cinismo al suo indirizzo.
«Allora fammi salire di nuovo su quel cazzo di ring», sbottò l’interpellato, abbandonando la presa per far scivolare ancora una volta lo straniero contro il muro.
«È svenuto, non puoi combattere con un avversario privo di sensi…» sbuffò il suo interlocutore «… sarebbe troppo imbarazzante.» Facendo spallucce, l’occhiata che gli rivolse nell’abbandonare il suo polso sembrò eloquente; allorché neppure la Pantera ebbe da ridire e arricciando il naso mosse qualche passo barcollante nella direzione della sedia di metallo sulla quale era stato portato poco prima.
«Va bene, ho capito.»
«Momoi, controllalo», l’avvisò il barman, posando il palmo della mano sul montante della porta.
«Non ho bisogno della balia», schioccò acidamente Aomine, guardando altrove e irritando la suddetta fino a farle arrossire le guance con indignazione – dopotutto, benché quel tipaccio continuasse a trattarla in quel modo odioso, erano pur sempre amici d’infanzia e lei non si comportava a quel modo per fargli da balia, come voleva far intendere lui, bensì per stargli accanto.
«E vedi di non fargli fare qualche idiozia.» Dopo quell’ultimo avvertimento, Shoichi non attese neppure la risposta della ragazza e si sbrigò a uscire di lì, facendo in modo che la sua affermazione risuonasse più turpe del previsto e al solo indirizzo di Aomine che, d’altro canto, continuava a fissare altrove con le braccia incrociate al petto.
«Certo.»
 
La prima cosa che vide quando le palpebre decisero di alzarsi, spronate dal riverbero del sole mattutino e dal fracasso che avevano percepito le orecchie, fu la bocca dischiusa e dalle labbra rosate che, a distanza di sicurezza, sembrava pressoché includere la sua intera visuale – labbra di donna, o per lo meno così si disse prima di strabuzzare gli occhi con evidente perplessità, tirandosi a sedere sul divano con un leggero grugnito per il nervo che, dietro la schiena, sembrava essersi teso malamente.
«Ma che diavolo…» borbottò, venendo subito interrotto dalla voce squillante della ragazza che, tornando in piedi con spalle ritte, si rivolse a qualcun’altro:
«Aomine-kun, si è svegliato!»
«Finalmente,» sbottò con un leggero disappunto «pensavo che avrebbe messo le radici su quel divano.»
Non era di certo uno dei migliori risvegli immaginabili, quello, ma neppure troppo male considerati gli standard a cui era abituato nell’ultimo periodo – e di certo, il solo fatto che avesse riposato su dei cuscini di pelle era un lusso.
«Dove sono?» Domandò in un primo momento, non comprendendo subito chi fosse il proprietario della voce di poco prima; allorché, vedendolo spuntare dal corridoio con fare scocciato, ricollegò immediatamente la sua espressione truce all’avversario con il quale si era scontrato quella notte e quasi impallidì – in fondo, chiunque si sarebbe chiesto come fosse possibile alloggiare sul comodo-non-proprio-comodo divano del campione in carica della Cage. «Tu!»
«Yo!» Ironizzò con un’alzata di spalle, muovendosi verso il tavolino vicino e lasciandogli il tempo per mettersi composto contro lo schienale di pelle. «Satsuki ha insistito per tenerti d’occhio fino a stasera e non ho potuto rifiutarmi di averti tra le palle per qualche ora, tutto qui.»
«Qualche ora?» Echeggiò spaesato, aggrottando le sopracciglia con fare poco sicuro. «Cosa significa tutto questo, si può sapere?»
«Il capo della Cage ha deciso di posporre il vostro incontro alla sessione successiva», spiegò brevemente la ragazza, tirandosi su le maniche della felpa verdina e prendendo posizione s’una sedia vicina a quella cui si trovava la Pantera.
«In pratica, come immaginavo, non hai saputo resistere sul ring e sei svenuto», borbottò a mezza bocca Aomine, sorseggiando il caffè che si era servito in cucina pochi minuti prima.
«Aomine-kun, devo forse ricordarti che siete stati in due a perdere i sensi?» Soffiò la ragazza, lanciandogli un’occhiata eloquente che fece ghignare di soddisfazione la Tigre.
«Sei svenuto? Mi fa piacere…» disse, incrociando le braccia al petto con nonchalance. «Quanti ti hanno messo al tappeto fino a oggi?»
«Non mi hai messo al tappeto, senza nome, perciò vedi di rigare dritto – altrimenti, Satsuki, capo o chicchessia, non arriverai a stasera sulle tue gambe», lo minacciò, arricciando le labbra dopo aver ingurgitato qualche sorso della bevanda nera come la pece e priva di zucchero.
«Ti tengo d’occhio», fece Momoi, sollevando un sopracciglio nella direzione dell’amico per rendere più calzante il suo ammonimento. «Hai sentito Imayoshi-kun, no? Il capo ha detto che vi vuole in forze per il secondo round.»
«L’ultimo», sentenziò a denti stretti l’interpellato, prima di alzarsi in piedi con aria decisa e fissare il suo rivale con stizza, sollevando addirittura il mento in una dichiarazione di sfida. «Non ci saranno altre alternative per uno straniero come te.»
«Ah, a proposito…» intervenne Momoi «… da dove vieni?» Voleva un po’ disgregare quella tensione eccessiva e quella era l’unica idea decente che le era venuta.
«Non sono uno straniero», disse semplicemente, non comprendendo come quella parola potesse calzare per qualcuno che, dopotutto, era di origini giapponesi tanto quanto i suoi interlocutori e quelli che frequentavano la bettola di scommesse clandestine.
«Non ti abbiamo mai visto alla Cage, per questo sei definito straniero», spiegò alla svelta la ragazza, facendo rifornimento di un po’ d’empatia che aveva nel suo bagaglio. «Ad ogni modo, come sei venuto a conoscenza di quel posto?»
«Ne ho sentito parlare in strada, tutto qui.»
«Sei di poche parole, vedo», soffiò Aomine, limitandosi a terminare il caffè per lasciare poi la tazza vuota sul tavolo. «Non importa, in fondo, perché non sono qui per chiacchierare con qualcuno che perderà…» Fece spallucce, imboccando la strada del corridoio, mentre l’altra scuoteva il capo con fare esasperato.
«Non farci caso, è sempre stato un arrogante presuntuoso…» mormorò a mezza bocca, sentendosi rimbeccare dal corridoio dal diretto interessato:
«Per questo mi stai dietro da quand’eravamo piccoli, giusto?»
L’ironia, forse, era una di quelle armi che Satsuki avrebbe preferito non avere contro di sé; eppure, da quando Aomine era entrato a far parte del giro di scommesse clandestine, ormai era diventata una routine.
«Va ad allenarsi», disse spicciola all’indirizzo dell’ospite che, d’altro canto, poté soltanto restarsene lì con un’espressione a metà fra l’irritato e l’assonnato. «Se vuoi fare qualcosa di costruttivo, magari potresti evitare di sforzare troppo le gambe, però…» consigliò, vedendolo improvvisamente corrucciare la fronte.
«Come?»
«Mentre tornavamo qui, ho chiesto ad Aomine-kun qualche informazione aggiuntiva sul combattimento…» soffiò, posando un gomito sul tavolo per poi prendere a sorreggersi il mento «… di conseguenza so di come ha forzato sulle tue gambe per metterti al tappeto.»
«Ah, quello!» Si riscosse, battendo le palpebre un paio di volte per poi scuotere il capo. «Non è nulla, davvero.»
«Non mi sto preoccupando, sia chiaro», volle precisare subito, arricciando di poco le labbra. «So che Aomine-kun è una vera bestia sul ring, perciò non eccedere, altrimenti potresti farti male – e questa volta per davvero!»
«So badare a me stesso.»
«Non ne dubito, visto che sei riuscito a far svenire addirittura il campione in carica, ma è stato un esordio eccessivo: avresti fatto bene a cominciare con i pesci piccoli, ma vista la tua energia, magari, anche il Condor sarebbe andato bene per te.» Puntellò di poco un dito sulla guancia, tenendo il ritmo dei suoi pensieri. «So di per certo che Aomine-kun vincerà questa sfida, però mi dispiacerebbe averti prestato soccorso per poi farti tornare a casa zoppicante, ecco.»
«Di questo non devi preoccuparti», borbottò con un accenno di cinismo, lasciando che l’altra capisse da quell’uscita ciò che più le andasse a genio.
«Dunque, hai intenzione di allenarti anche tu?» Fece sommessamente, crucciandosi di rimando a causa dell’atteggiamento ostile e testardo di quell’individuo. «Non ti fa male la gamba?»
«Affatto, sto benissimo.» Scosse la testa, alzandosi in piedi e percependo il nervo della stessa cedere un po’; eppure, la convinzione di farcela, lo tenne ritto nonostante tutto, facendo ticchettare sul tavolo le unghie lustre della ragazza.
«Come preferisci…» disse «… ma sappi che l’attrezzatura di Aomine-kun è off-limits: dovrai cercare un modo diverso per tenerti in forma fino a sera, se è quella la tua intenzione.»
«Nessun problema, non ho bisogno di attrezzatura professionale o di uno spazio ristretto in cui allenarmi.» Si sgranchì le braccia, facendo scrocchiare appena le vertebre, mentre l’altra sorrideva appena.
«Anche Aomine-kun ragionava così un tempo», disse, incuriosendolo per un istante senza poi arrivare al dunque. «Beh, allora buon lavoro!» Si sollevò dalla sedia a sua volta, incamminandosi verso il corridoio con fare serio, cercando di tenere sotto controllo anche gli sforzi dell’amico che, dal canto suo, aveva già iniziato a sollevare un po’ di pesi per allenare i bicipiti.
 
Akashi Seijuro aveva sempre avuto un occhio di riguardo per i buoni profitti, anche se, a dirla tutta, si trattava pur sempre di una dote innata. Non aveva mai parlato con nessuno delle sue origini, meno che mai con qualcuno di tanto irrilevante come il famigerato barman che aveva preso ad accamparsi alla Cage per incrementare le proprie entrate con qualche pinta di birra; eppure si vedeva lontano un miglio che nascondeva qualcosa d’importante dietro quel fare snob e assorto.
Gli occhi aguzzi, perennemente attenti, sapevano scrutare tanto bene nel monitor in bianco e nero che illustrava le vicende del locale quanto nelle sue scartoffie private – e sguazzava nel denaro, su questo non c’era alcun dubbio, perché le percentuali sulle scommesse e sulle consumazioni erano proprio lì che convergevano.
Il capo che nessuno aveva mai visto – eccetto il campione e la sua manager, ovviamente – era conosciuto solo da chi aveva stretti rapporti con lui per la questione monetaria e se la vetta non riusciva a essere scalata da nessuno che non fosse Aomine Daiki, allora nessuno aveva il diritto di sapere chi fosse realmente; ma quell’apparizione fugace che aveva fatto al termine dell’epocale incontro con lo straniero aveva gettato un po’ troppa luce sul mistero che l’avvolgeva e se si fosse trattenuto oltre, forse sarebbero addirittura riuscito a identificarlo – forse, non era neppure detto in realtà, perché anche nella fantomatica vita vera erano ben pochi quelli che conoscevano il suo nome per intero e a maggior ragione nei bassifondi!
«Qualche informazione sulla Tigre?» Domandò appena, con garbo, mentre sfogliava distrattamente un quotidiano sulle pagine dedicate alla borsa.
«Non molte.» Scrollando le spalle, il ragazzo dall’altro capo della scrivania non poté far altro che ammettere la realtà dei fatti: non si sapeva quasi nulla su quell’individuo, benché si fosse già fatto un nome all’interno della Cage.
«Non molte…» soffiò di rimando «… cosa significa?»
«Parlando con il tipo che ha scommesso una fortuna su di lui, quello che l’ha presentato alla Cage, si è scoperto ben poco: dice di venire dalla strada, di aver trascorso qualche anno in America, ma non si sa effettivamente nulla su di lui – né perché sia tornato in Giappone, né perché sia venuto al locale per sfidare la Pantera.» Sputò tutto quanto con velocità, senza ingarbugliarsi, lasciando che il suo sguardo si puntasse diretto su quello interessato dell’altro che, sollevato dalle linee strette e ripiene di numeri, gli aveva già dedicato la sua massima attenzione con la domanda di poco prima.
«Ma ha chiesto di lui insistentemente, per lo meno che io sappia...» soffiò, facendo storcere di poco le labbra del suo informatore – dopotutto era strano averne uno quando le proprie capacità di analisi andavano ben oltre la semplice indagine a occhio nudo.
«Esatto, ma per studiarlo», confermò in un sospirò dispiaciuto. «Non l’aveva mai visto prima, su questo non c’è alcun dubbio, e dunque si è spinto fin qui per provare a tentare la fortuna.»
«Quando l’essere umano sfida se stesso per tentare la fortuna è un male…» disse, accennando un piccolo ghigno «… non sa bene dove questa guarderà.» Chiuse il quotidiano, allora, tornando a fissare le immagini dello scontro precedente che, registrate sulla videocassetta, presero a scorrere velocemente quando l’indice pallido del capo si posò sul play. «Ad ogni modo, la sfida di questa sera è certa: la Tigre non durerà a lungo sul ring.»
«E il guadagno sarà maggiore», concluse al posto dell’altro, sapendo bene che la sua entrata in scena non fosse stata dettata da altro che interesse personale.
«Arguto come sempre», mormorò, vedendo svenire tutti e due i combattenti per poi fermare ancora una volta il nastro e riavvolgerlo su se stesso con un nuovo click. «Non ti sfugge niente, Tetsuya.»

 
つづ

L’identità del capo è stata svelata, ma non tutti sanno i retroscena del suo interessamento alle scommesse clandestine! Kagami ha un segreto nel suo passato o a portarlo alla Cage è stato solo un semplice spirito di competizione? Qual è il vero ruolo di Satsuki? Tutto questo e altro ancora, nel prossimo capitolo (?)
xoxo

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Non chiudere gli occhi ***


Note: Salve a tutti! Ritorno con un nuovo aggiornamento di questa fan fiction che, lo ammetto, mi ha davvero presa nella sua stesura *cofcof* e non immaginavo di arrivare a tanto, no di certo, ma la vostra partecipazione mi ha mandato al settimo cielo e non posso far altro che continuare su questa scia! Al momento è bene sottolineare che i segreti delle due bestiole (?) verranno presto a galla, anche se alcuni accenni in proposito si trovano proprio in questo capitolo, perciò non vi resta che aspettare ancora un po' per i dettagli! Non si tratta di un capitolo molto placido, questo, anche perché nella sua conclusione c'è parte dello scontro promesso dal capo della Cage e di conseguenza torniamo un po' al punto di partenza con forse una maggiore intesità di violenza – leviamo anche il forse, perciò siete avvisati della splatterosità intrinseca! Il titolo del capitolo deriva da uno dei segreti, ma shhh *alone di mistero*
Grazie Lupus_in_fabula (che ha posto delle domande interessantissime a livello di trama, le quali hanno un vero e proprio discontro in questo e nei prossimi capitoli), Yoko no Koori (la veggente rinomatissima di questa fan fiction che, con la sua recensione, mi ha anche segnalato un errore *tanto love per te, cara*) e Nahash (altra inestimabile veggente) che, con i loro commenti, mi hanno dato lo stimolo di andare avanti nella stesura di un capitolo ancora solo plannato mentalmente *sparge cuori*
Spero che anche questo capitolo possa piacervi, che gradirete l’ingresso di altri personaggi nella trama *coffeggia* – indovinate dove sono! – e che il progetto continui a fornirmi nuovi spunti per questa storia!
Ringrazio anche tutti coloro che leggono e seguono silenziosamente, immancabili lettori silenziosi, nonché chi mi darà certamente della pazza per le idee che sto partorendo o per i pairing inseriti e ancora offuscati!

Maggiori info sul progetto della fan fiction interattiva sono nel prologo!


Quell’odore lo conosceva bene: la strada sapeva solo di strada e lo smog riempiva le narici degl’ignavi che vi bazzicavano; eppure, quella non era stata affatto una scelta – non nel vero senso del termine, perlomeno. Nessun ragazzo della sua età sarebbe mai finito a vagabondare senza un tetto sopra la testa per le vie di Tokyo, meno che mai lungo quelle della periferia abbandonata dove se ne sentivano di cotte e di crude – forse ancora più che nel centro, dove pullulavano ragazzine attive nell’enjo kōsai e host da quattro soldi che svendevano amore tanto quanto le prime.
Correndo, i suoi pensieri sembrarono focalizzarsi s’un unico binario: una linea retta, un punto morto, qualcosa che racchiudeva tutto e niente, un capolinea chiamato casa.
Quello era un concetto che Taiga aveva dimenticato da tempo, probabilmente da quando era riuscito a racimolare il denaro sufficiente per filare via dagli Stati Uniti e mollare lì ogni cosa che lo riguardava da vicino con annessi e connessi.
«Non devo pensarci, non adesso», si disse a denti stretti, imboccando una via conosciuta per cercare di far lavorare i muscoli delle gambe, gli stessi che Satsuki lo aveva avvisato di non sforzare e che si lagnavano con fitte atroci a ogni dannatissimo passo. «Devo ricordarmi il motivo per cui faccio tutto questo, non devo pensare ad altro – non esiste altro
E in un attimo, serrando le palpebre e i pugni, parve davvero accantonare tutto. Non esisteva nulla all’infuori di quella meta irraggiungibile e perfino l’ombra di sua madre lo aveva abbandonato appena: tutto si era concentrato lì, sullo strafottente ghigno dell’imprenditore che aveva rifiutato di concedergli il giusto cognome per relegare una segretaria nel ruolo di madre single – e lui voleva distruggere quell’espressione da bastardo, voleva vederlo capitolare in qualche modo da quando aveva messo piede nel suo studio per sentirlo ridacchiare sotto i baffi, voleva vendicare la sua esistenza da reietto e quella in cui era stata costretta la donna che aveva ugualmente deciso di metterlo al mondo.
Sarebbe stato tutto perfetto, ma paradossalmente non era sufficiente e lo sapeva da solo. Il dolore lo faceva raggelare, percuotendolo da capo a piedi ogni qual volta si ostinava a posare il tallone in terra, e a nulla serviva serrare i denti, farli stridere tra loro neanche fossero fauci assetate di sangue, perché quello sembrava condensarsi nelle sue vene fin quasi a fargli girare la testa.
«Tutto bene?» Domandò una voce, cogliendolo all’improvviso quando, dopo essersi posato con la schiena contro un muro vicino, le sue labbra avevano iniziato a tendersi per imprecare qualche dio inesistente.
«Sì, tutto bene», liquidò in fretta, senza neppure sollevare lo sguardo verso la figura che si era tanto preoccupata per lui – in fondo, Kagami non era abituato a quel tipo di trattamento: nessuno sembrava essersi chiesto come stesse o cosa pensasse fino a quel punto e più che un interessamento, alle sue orecchie parve un rimprovero.
«Sicuro?» Insistette l’altro, rischiando quasi di scatenare l’ira funesta della Tigre; eppure, quando il pugno secco batté contro il muro alle sue spalle, scivolando dalla fronte sudata, lo sguardo della bestia parve sorprendersi un po’ nel vedere un ragazzino fissarlo con aria corrucciata dal basso.
«Sì, sicuro…» borbottò tentennante, passandosi una mano fra i capelli e lasciando che tutto il peso si buttasse sulla gamba illesa «… perché t’interessa?»
«Ti ho visto correre attorno al palazzo per un quarto d’ora buono e osservandoti bene mi è parso di notare qualcosa che non va», soffiò l’interpellato, facendo spallucce per poi sollevare le sopracciglia con fare innocente.
«Un ragazzino come te non dovrebbe trovarsi in un posto come questo», si lasciò sfuggire in un sospiro schietto, guardandosi attorno e notando solo il sudiciume illuminato sotto il sole di periferia. «Abiti molto lontano?»
«No, ti ho visto dalla finestra», disse semplicemente, ignorando l’appellativo con il quale si era rivolto a lui e l’indelicatezza delle parole stesse che, ne era certo, non era affatto intenzionale. «Abito in questo palazzo…»
«Ah!» la voce gli morì in gola dopo quell’esclamazione di sorpresa, indugiando appena in gola per poi essere riportata indietro quando, deglutendo, Taiga portò una mano verso la testa dell’altro per scompigliarla leggermente dalla sua compostezza. «Scusa, non volevo offenderti», disse, accennando un sorriso imbarazzato e scostandosi dal muro. «Anche io sono nato in periferia, perciò mi dispiace non averci pensato…»
«Non importa, non hai detto niente di strano», fece semplicemente l’interpellato, corrucciando le sopracciglia per lo strano sfregare dei polpastrelli altrui contro il suo capo. «Piuttosto, preferirei che non mi trattassi come un bambino.»
«Certo, certo…» soffiò, ritrovando un po’ della sua compostezza originaria e abbassando la mano – forse si era preso troppe libertà, ma dopotutto era abituato ad atteggiamenti simili negli Stati Uniti. «Ora ti saluto, okay? Ci vediamo!»
«Quella Tigre è davvero assurda», borbottò tra sé e sé Tetsuya, lasciandosi andare a un piccolo sospiro.
Se solo Seijuro avesse saputo di quanto era accaduto lì, in quel vicolo, probabilmente sarebbe andato su tutte le furie: il suo compito non era quello di avvicinare i potenziali perdenti, bensì quello di osservarli da lontano; nonostante ciò, per quel ragazzo valeva un discorso un po’ diverso – oh, lui non era come gli altri, altrimenti Akashi non l’avrebbe posto tanto sull’allerta e non sarebbe finito a guardare tante volte il video della sorveglianza sulla Cage – ma non cambiava comunque il fatto che aveva agito di testa propria.
 
Il silenzio che regnava in quella stanza aveva dell’inquietante e perfino Satsuki, osservando il guizzare dei muscoli di Daiki, non poteva fare a meno di notare una certa tensione nell’aria. Ogni qual volta l’altro sollevava le braccia assieme ai pesi, il tintinnio metallico di questi la riportava nel mondo dei vivi; nonostante ciò, il ronzio che divorava ogni cosa continuava a tormentarle le orecchie e s’intervallava agli sbuffi leggeri del combattente che le facevano storcere le labbra con disappunto.
«Perché continui ad allenarti, Aomine-kun?»
«Che domande…» fece seccato, concentrando nel gomito la tensione muscolare della quarantesima rotazione di destra «… lo faccio perché voglio vincere, non è forse ovvio?»
«Lo è fin troppo», mormorò la ragazza che, seduta sui calcagni, continuava a puntare lo sguardo su di lui. «Ma non è necessario stremarti tanto: il tuo avversario è infortunato alla gamba, sei stato tu a fargli quella contrattura ieri sera, perciò non si rimetterà in sesto per il round di oggi», lo rassicurò tutto d’un fiato, sentendogli schioccare la lingua in tutta risposta e con una certa saccenza che pareva suggerirle di non ficcare il naso nei suoi affari. «Aomine-kun!» Lo chiamò forte, tirandosi in piedi e lasciando che quello, di rimando, posasse il peso sul bilanciere per poi alzarsi dalla panca.
«Te lo dirò una sola volta, Satsuki:», proruppe allora, facendole battere le palpebre un paio di volte con perplessità «non prenderò nulla alla leggera su quel ring, non smetterò mai di combattere e meno che mai di vincere.» La serietà con la quale si era approcciato a lei lo aveva un po’ scosso, doveva ammetterlo, ma ciò che più di tutto detestava in quel momento era lo sguardo di Momoi che, irritato e ferito, gli si posava contro neanche fosse una velata minaccia senza voce. «Devo rimanere lì, devono continuare a considerarmi il campione della Cage e devono scommettere tanto, parecchio!» Infervorato, neppure si accorse di aver stretto la presa delle sue mani attorno alle spalle esili della ragazza per guardarla bene negli occhi. «Non me ne frega un cazzo dei motivi di quello straniero, ognuno ha i propri e io non sono da meno: ricordatelo!» Deglutì, realizzando solo allora di aver alzato un po’ troppo la voce; allorché distolse lo sguardo da lei per rivolgerlo altrove, verso il sacco nero da boxe che, appeso al soffitto, se ne stava placidamente in attesa delle sue sfuriate. «Non sono arrabbiato con te, Satsuki…» si affrettò a dire, sperando che l’altra non scoppiasse in un pianto disperato e colpevole come al solito «… se faccio tutto questo è perché voglio farlo e non ci sarà mai nessuno in grado di battermi davvero, neppure quel tizio senza nome
«Fai tutto questo per colpa mia, Aomine-kun», soffiò Momoi, vedendolo fermare la sua traversata per tornare indietro quando, dopo aver mosso qualche passo in direzione del sacco, si sentì colpito dalla realtà. «Non dire che non è vero, lo so benissimo!» Si affrettò a dire, fissandolo con le lacrime agli occhi e notando come l’altro, serrando i pugni, cercava di tenere a freno l’irritazione.
«Affatto», borbottò infastidito, scuotendo il capo per allontanare quell’idea.
«E dove sono tutti i soldi che hai guadagnato fino a oggi?» Incalzò la ragazza, rabbrividendo di sensi di colpa. «Eccetto l’attrezzatura per allenarti, Aomine-kun, non hai comprato proprio un bel niente per te.»
«Li sto mettendo da parte, ecco tutto: ho un progetto.» Chissà perché, ma quell’uscita improvvisa non sembrava affatto plausibile alle orecchie di Satsuki; perciò, considerando l’ipotesi che il suo sguardo fosse più perentorio del solito, la bestia si voltò verso la direzione originaria senza più guardarsi indietro. «Devo allenarmi, Satsuki.»
«Che progetto, Aomine-kun?» Domandò con voce strozzata. «Non me ne hai mai parlato, in fondo…»
«Devo allenarmi», ripeté spicciolo, aggrappandosi con entrambe le mani al sacco nero e facendo vibrare l’altra di tristezza – ah, non poteva parlarle davvero di quel progetto, perché se solo si fosse azzardato a farlo, se solo le avesse dato le conferme che cercava, allora avrebbe potuto benissimo incappare in una serie di rimproveri e prese di posizione senza eguali; dunque, tutto sommato, non era poi così brutto essere classificato come stupido egoista.
«Va bene», soffiò la ragazza, muovendo i suoi passi lontano da lì e sentendo i primi diretti di Aomine che, raggiungendole le orecchie, la fecero singhiozzare appena.
«Non va bene un cazzo, Satsuki», ringhiò a denti stretti, badando bene a non farsi sentire dall’altra e tornando a colpire forte il sacco. «Non va bene, non va bene, non va bene!» Swing. Diretto, gancio, ancora diretto e nuovamente swing. Gli mancava l’aria nel petto, ma non per la fatica, bensì per la discussione che aveva appena sopportato fingendosi nella parte del torto marcio per non farla sentire in colpa; eppure, quei singhiozzi leggeri che arrivavano fin lì non sembravano certamente suggerire ad Aomine che aveva fatto una mossa giusta. «‘Fanculo…» sbottò sottovoce, dando un ultimo diretto al sacco per poi incamminarsi veloce verso il corridoio con la prospettiva impensabile di salvare il salvabile. «Satsuki!»
«Cosa c’è?» Scattò l’interpellata, rimanendo di spalle e seduta sulla sedia del salone che aveva occupato per metà mattina. «Devi allenarti, non badare a me…» borbottò, cercando di mantenere un tono neutro; nonostante ciò, il suono della voce mozzata dal pianto non mancò di raggiungere il combattente che, di scatto, le si avvicinò per circondarle le spalle in un abbraccio possessivo.
«Non piangere, Satsuki…» soffiò, facendola deglutire a vuoto e ottenendo l’effetto contrario «… non voglio aprire quel discorso, tutto qui, e soprattutto non voglio vederti piangere.»
«Perché?» Singhiozzò, serrando i pugni chiusi sulle cosce, tra le pieghe della gonna.
«Perché non devi chiudere gli occhi e non devi soffrire», disse soltanto, sommessamente, mentre posava appena il naso contro la sua nuca per inspirare il profumo dello shampoo alla fragola. «Perciò, se vuoi conoscere il mio progetto, cerca di scavare un po’ nel passato.»
«Non devi farlo per me,» soffiò fra le lacrime «non devi combattere per me, non devi salire su quel ring e non devi rischiare la vita, Aomine-kun.»
«Ti porterò sulle spiagge di Okinawa…» cominciò lui, sentendosi mancare il fiato nel petto quando, contro ogni preavviso, fu proprio Satsuki a continuare quella promessa:
«… ti farò vedere quant’è bello il mare da quelle parti e quant’è limpido il cielo», mormorò.
«Allora ti farai una nuotata come se niente fosse e prenderai il sole: sai quant’è caldo il sole che batte sulle spiagge di Okinawa?»
«Ti prego, non farti male», gemette appena, mentre i singhiozzi le scuotevano le spalle che, strette fra le braccia di Daiki, sembravano terribilmente fragili.
«E tu non chiudere gli occhi, Satsuki.»
 
I combattenti erano tutti uguali, perlomeno agli occhi dello spettatore medio che entrava nella Cage con la speranza di fare qualche soldo sulla pelle degli altri, ma quella sera era tutto, completamente, diverso: l’euforia che si respirava in ogni angolo della bettola mandava in fibrillazione anche gli animi più calmi e lo stesso barman aveva iniziato a servire molte più pinte del solito; facce mai viste si aggiravano attorno alla rete, espressioni in commentabili parevano tendersi da una parte all’altra nel preciso schieramento che gli era stato suggerito meno di ventiquattrore prima e gl’impavidi che avevano scommesso sullo straniero, come da copione, sembravano essere aumentati.
Si giocava il tutto per tutto in quella sfida, dallo stipendio ai soldi guadagnati con lo spaccio di sostanze illegali, per non parlare della dignità e del proprio buon occhio che molti giuravano di avere.
«La Tigre è diversa da tutti gli altri combattenti», disse un tale, prendendo a sorseggiare la birra – o, per meglio dire, a tracannarla – con aria di sfida. «Lui può davvero battere il campione.»
«Non può», scattò lapidario un uomo sulla trentina che, dal lato opposto del ring, non riuscì a trattenere una risatina schietta. «La Pantera è la punta di diamante della Cage e quel senza nome è solo uno dei tanti allocchi che ha ceduto alla tentazione di fare un tentativo che gli costerà caro.»
«Il match inizierà fra poco», suggerì Shoichi con una punta di candore, avvicinando il boccale ricolmo di borra al tipo che aveva tentato di rispondere alla provocazione. «Bevici su, magari allenterà la tensione…»
«Non sono teso, so benissimo che la Pantera porterà i suoi frutti», fece a quel punto l’interpellato, declinando l’offerta con fare risoluto e una scrollata di spalle.
«Attenzione!» Proruppe il sibilo del megafono, attirando lo sguardo dei presenti come niente aveva fatto prima di allora. «Questa sera, gli scontri procederanno con un ritmo diverso. In prima battuta ci sarà il round tra la Pantera e la Tigre, lo stesso che ieri sera è stato sospeso a causa di un pareggio…» cominciò, restando con lo sguardo fisso dinanzi a sé «… dopodiché, qualche scontro minore che vedrà degli stranieri in competizione con i combattenti in carica della Cage: il Condor e la Tarantola.» Abbassò il megafono, procedendo a passo modulato verso lo stesso varco metallico che gli aveva dato modo di mettere piede sul ring; allorché, mentre si avvicinava al piano bar per lasciare l’altoparlante a Imayoshi, lo sguardo gli cadde volutamente sulla figura in fibrillazione che sedeva sullo sgabello vicino.
«Devi dirmi qualcosa?» Sbottò con un lieve sarcasmo, sollevando un sopracciglio con fare contrariato.
«No, so che la Pantera ha gli artigli più affilati della Tigre.» Fece spallucce, accennando a un piccolo ghigno soddisfatto, dopodiché gli posò una mano sulla spalla per imprimere meglio la sua sicurezza e continuò: «Hai delle motivazioni più importanti delle sue, dico bene?» Non aggiunse altro, lasciò semplicemente che il pugno di Aomine si serrasse irritato sul piano di legno alla sua destra e, lasciandogli la spalla, se ne andò dall’ingresso – in fondo, le pedine erano tutte predisposte all’interno di quella scacchiera chiamata Cage.
«Le sue motivazioni non m’interessano», sibilò a denti stretti, alzandosi in piedi per puntare lo sguardo lontano, verso la grata che lasciava intravedere il corpo dell’altro combattente. «Me ne fotto delle sue motivazioni…» sibilò ancora, afferrando il boccale di birra che, poco prima, aveva tolto di mano a Shoichi «… io salgo su quel ring per gli occhi di Satsuki.» Trangugiò il liquido in fretta e furia, sentendolo frizzare appena nel naso, e posò il boccale sul piano bar, mentre Imayoshi storceva di poco le labbra con rassegnazione.
«Dovresti tenere la bocca chiusa sui tuoi affari, Pantera», borbottò tra sé e sé, lasciandolo proseguire con passo fermo e deciso verso la gabbia.
E non esistevano suoni in quel momento, né urla che lo incitavano a dare il meglio di sé, perché le sue orecchie parevano improvvisamente essere diventate sorde e lo scorrere del tempo rallentava appena, rassettandosi su se stesso come il filo di Arianna, mentre le immagini divenivano più nitide e fioche al contempo – uno sfondo pieno di colori brillanti, di sgranature folli o pennellate sinistre.
L’arbitro, sbracciandosi dall’esterno, diede le prime direttive per far retrocedere le due bestie agli angoli del ring; ma se da un lato, Taiga non replicò, annuendo semplicemente per prendere posizione, l’altro non degnò il tipo di uno sguardo e si diresse direttamente lì, conscio del proprio ruolo.
Era una sicurezza, quella, in grado di fare accapponare la pelle a chiunque, perfino alla Tigre; allora, quando lo sguardo di Aomine si sollevò verso di lui, la linea grottesca delle sopracciglia parve fulminarlo come le pupille agitate, larghe e frementi.
La mandibola si mosse appena, fece stridere i denti su loro stessi e le nocche scrocchiarono una a una, mentre il suono della campana designava l’inizio dello scontro e la difensiva presa da Kagami sembrava non incutergli alcun timore.
Si avvicinò alla svelta, schivando un gancio e subito dopo un diretto, muovendosi veloce e mellifluo quanto il nomignolo che gli era stato affibbiato nella Cage e il rosso, sgranando gli occhi, si trovò ad annaspare nell’aria – la stessa che, ferita dai suoi colpi sbagliati, quasi si risentì nei polmoni quando, perfino la fasciatura alla gamba, non bastò a frenare il dolore della contrattura.
Nessuno fiatava in quel momento, perfino le battute spicciole di Daiki erano tenute a freno dalla compostezza rigida che sapeva un po’ di birra e furore; differentemente, la Tigre grugniva un poco quando, con le spalle al muro, si trovava ancora a colpire il nulla – forse era una tattica, o perlomeno così si disse, altrimenti era solo un modo per perdere tempo a causa dello spettacolo.
«Mi deludi, stai solo schivando, Pantera», lo provocò in un sibilo, caricando un nuovo diretto che, a differenza dei precedenti, venne bloccato dal palmo dell’interpellato.
«Parli troppo», soffiò acidamente, accennando con sfida a un ghigno, mentre serrava le dita attorno a quelle strette del rosso che, di rimando, gemette appena e tentò di liberarsi con un calcio indirizzato alle caviglie della Pantera. «Per favore, non credermi così stupido», ringhiò irritato, riuscendo a mancare l’infido colpo dell’altro con un piccolo saltello.
Non lasciò la presa sulla sua mano, però, serrando meglio le dita per tirarselo contro e colpirlo con foga all’altezza del naso. L’urto gli rimbombò nella calotta cranica, ma il sangue che prese a scorrere copioso dalle narici altrui riuscì addirittura a farlo ridacchiare.
«Mi hai spaccato il naso, stronzo!» Gemette Kagami, portandosi una mano al volto per fermare l’emorragia; eppure, lo sguardo infiammato della Pantera parve percorrerlo da cima a piedi, perforandogli l’anima al suono delle risa impazzite e dei contrastanti motti che provenivano dall’esterno del ring.
«Salendo quassù, senza nome, sai cosa aspettarti – lo sanno tutti», soffiò sardonico, accennando a un po’ di autoironia nello sfondo; allorché, senza accorgersene, lasciò che il rosso si muovesse alla svelta e, liberando il naso dalla sua stretta, prese a innervosire l’altro con dei puliti e canonici jab per poi andare a segno con un diretto.
Le labbra della Pantera, dischiuse in un ringhio, vennero colpite in pieno con le nocche fasciate e sporche di sangue del suo avversario. La forza impressa in quel pugno gli fece ondeggiare il capo all’indietro e lui riuscì a percepire una sensazione simile a quella di aver preso un muro in faccia a tutta velocità – oh, non era la prima volta che qualcuno arrivava a colpirlo in bocca o sugli zigomi, ma da quando era diventato il campione della Cege, mai nessuno era riuscito a spaccargli il labbro in un modo tanto insulso.
Sgranò gli occhi, portandosi una mano alla bocca per scoprirla pressoché anestetizzata e sporca di sangue – quello stesso sangue che, misto alla saliva, gli scendeva lungo la gola.
«E tu?» Lo spronò a denti stretti, passandosi il dorso della mano sinistra sotto al naso per asciugare un po’ di sangue. «Te lo aspettavi, per caso?»
«Chiudi il becco, sei fastidioso», fece irritato, sputando in terra per poi caricare nella sua direzione e mancare una sequela di colpi della Tigre; allorché, raggiungendolo e mettendolo quasi con le spalle al muro, proseguì con qualche jab a sua volta e infine cambiò completamente rotta, andando a segno con un gancio all’altezza dello stomaco.
Il pubblico era in fibrillazione, si ancorava alla rete e la faceva fremere su se stessa, ma le orecchie di Daiki erano sempre troppo lontane per raggiungere i fattori esterni alla sua faida; così, fissando lo sguardo un po’ perso dell’avversario e sentendolo gemere forte di dolore, lo spinse verso destra per vederlo capitolare al suolo.
Il ring prese a sporcarsi di sangue e la testa del rosso a vorticare veloce per l’emorragia che nessuno si apprestava a fermargli in qualche modo; allorché l’arbitro provò a proporre un’interruzione, beccandosi in tutta risposta il ringhio furioso della Pantera che, attaccandosi alla gabbia nella sua direzione, parve quasi volerlo divorare.
«Fai il tuo dovere senza immischiarti, intesi?» Sibilò al suo indirizzo, scostandosi di lì nel momento giusto: si abbassò, lasciando che il pugno di Kagami andasse a sbattere contro la rete metallica, facendo sobbalzare l’arbitro che subito tornò al suo posto con una pessima cera – dopotutto, poteva dirsi che avesse quasi visto la morte in faccia.
«Non perderò contro di te!» Gridò furibonda la Tigre, facendo serrare lo sguardo all’altro che, di rimando, schioccò la lingua infastidito per ancorarsi al recinto e sferrare un colpo secco all’altezza del polpaccio.
«Vale lo stesso», sibilò dall’alto, vedendolo accasciarsi con un forte grugnito, mentre le palpebre spalancate di Taiga suggerivano l’intensità di quel colpo basso, nonché la sofferenza nuda e cruda che era andata a penetrargli fin nel cervello. «Io non perderò contro di te, non perderò contro nessuno su questo ring», sentenziò.
つづ

La sfida vera e propria è appena iniziata e senza esclusione di colpi: chi vincerà?
L’infanzia della Tigre è stata solo accennata, ma sarà sufficiente a dargli la carica per battere la Pantera? Oppure sarà proprio Aomine a farsi forza ancora una volta per raggiungere la promessa fatta a Satsuki?
Il capo della Cage ci avrà visto giusto? E Kuroko dov’è finito al momento?
Vogliamo parlare della Tarantola? *cofcof*
xoxo

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Affare fatto ***


Note: Salve a tutti! Credo di aver commesso un piccolo sbaglio nel modificare l’intro con l’aggiornamento dello scorso capitolo, lo ammetto, ma non ho saputo resistere (?) Forse ci sarebbe bisogno di qualche precisazione, però: per esempio, il fatto che abbia inserito AoMomo come pairing, è prettamente implicito e non effettivo. Ciò che smuove Daiki, in realtà, è l’amicizia e l’affetto, non l’amore inteso come sentimento di due anime gemelle, ma chissà per quale astruso motivo ho inserito l’avviso triangolo – forse per un altro fraintendimento di trama, o per lo meno così mi dico se solo ci ripenso su òwò
In sunto, come ho spiegato in una risposta a Nahash, ciò che è certo al momento è l’AoKaga. Ci tengo a scrivere una storia su quei due, perciò non voglio cambiare rotta; eppure, la presenza di Kuroko è fondamentale per la storia: creerà scompiglio e fraintendimenti, probabilmente, ma solo quello, visto che ho intenzione di piazzarlo in pianta stabile da Seijuro ♥
So ~ che dire *mumble* diciamo che alcuni pairing che inserirò sono più che altro basati sul fraintendimento (?) e sulla visione di chi legge (?) ù.ù perciò torno a modificare l'intro per evitare che ci siano troppe aspettative al riguardo dei pairing velati!
Al momento, come sempre, ringrazio chi mi da dei fantastici spunti con i propri commenti (Yoko no Koori, mi riferisco a te!) e chi rinserra alcune mie convinzioni (Nahash, la nuova semi-veggente), nonché tutti coloro che seguono la mia storia in silenzio e l’aggiungono nelle preferite, nelle seguite e nelle ricordate *commossa* grazie a tutti, indistintamente, anche a chi mi vorrebbe prendere a pesci in faccia – c’è uno sgombro sulla sinistra, se volete (??) X°

Maggiori info sul progetto della fan fiction interattiva sono nel prologo!


Un qualche paradosso psicologico sembrava proprio impedirgli di gettare la spugna e, sebbene fosse conscio del pericolo, non desiderava altro che restare ancorato al ring con entrambi i piedi per mettere al tappeto l’insolenza della Pantera con quella classica regolarità di attacco e difesa che aveva imparato in America; nonostante ciò, il suo naso sembrava essersi finalmente ridotto al tipico relitto che avevano in faccia i lottatori occidentali e, sanguinante, non riusciva proprio a renderlo totalmente lucido come avrebbe desiderato – senza contare il dolore lancinante che il colpo basso di Aomine gli aveva procurato, quello che, percorrendolo da capo a piedi, lo aveva fatto sentire inerme per qualche istante.
In balia della sicurezza dell’altro, lo straniero serrò le dita attorno alla rete metallica, aggrappandosi alla stessa per sorreggersi appena a un magro tentativo di tornare a reggersi sulle sue gambe che, purtroppo, sembravano piuttosto ribelli in quel momento – o almeno una di queste, come aveva suggerito Satsuki al suo risveglio.
Digrignò i denti, socchiudendo gli occhi per osservare il suo avversario che, dal canto suo, lo fissava con fare annoiato e stranamente placido. Non sembrava proprio che il pugno in faccia lo avesse destabilizzato come aveva creduto in un primo momento e, sebbene il suo labbro non fosse della stessa opinione, quello sguardo angusto e carico lo penetrava da parte a parte neanche fosse una lama acuminata.
Voleva ucciderlo, forse, o comunque era certo che aspettasse il momento giusto per liberarsi di lui – non che Kagami stesse cercando di fare diversamente, ovvio, ma il modo in cui lo scrutavano quelle pupille larghe ed eccitate sembrava metterlo in soggezione.
Deglutì a vuoto, ingoiando un po’ di sangue che, attraverso i turbinali deviati, gli era sceso fino in gola, dopodiché si decise a scattare in qualche modo, ponendo tutto il suo peso sulla gamba illesa e aggrappandosi letteralmente all’addome dell’altro, il quale, sbilanciato, quasi cadde all’indietro con una risatina schietta e sarcastica.
«No, non ci siamo capiti…» sibilò acidamente, afferrandolo per la chioma rossa e scostandolo brutalmente da sé «… non è questo il tuo posto, non devi aggrapparti a una speranza inesistente, senza nome.» Arricciò il naso, ghignando appena e tendendo lo spacco che, sul labbro, continuava a sanguinare indegnamente; allorché, fissandolo negli occhi, provò un moto di disgusto e quasi lottò contro l’incredibile voglia di sputargli in faccia per ingiuriarlo in qualche modo – oh, ma non era lì per offenderlo, meno che mai per paragonare le sue ragioni a quelle di qualcuno che neppure desiderava conoscere, perciò non fece altro che tirare ancora verso l’esterno.
«Combatti o no?» Gemette sarcastico Taiga, fissandolo con una certa soddisfazione. «Pensavo che sul ring non vigessero regole da donnicciole: tirare i capelli di qualcuno non è dignitoso per un uomo, dico bene?» Lo provocò sfacciatamente, beccandosi in tutta risposta una ginocchiata allo sterno che, già contratto dalla sera precedente, lo fece gemere forte.
Allentò la presa, dunque, mentre Aomine schioccava la lingua con fare distratto e lo lasciava andare per vederlo scivolare giù, in terra, come un vero e proprio animale ferito.
«Combatto con chi è degno, con chi si regge in piedi e con chi ha un motivo valido per ambire ai soldi delle scommesse», sentenziò, arricciando il naso e vedendolo annaspare dal basso. «Non sono interessato ai pesci piccoli e se sei ancora qui, il motivo è molto semplice, Tigre…» soffiò, colpendolo sotto al mento con un calcio ben assestato che lo fece vacillare all’indietro fin quando, con un tonfo sordo, non batté il capo sul suolo sporco «… si chiama spettacolo e lo spettacolo deve andare avanti o il capo si lamenterà con il sottoscritto», ammise in seguito, avvicinandosi a lui per tirarlo nuovamente dai capelli.
L’osservò bene in viso, ghignando, e tenendo un ginocchio posato in terra, cercò di lasciargli intendere quale fosse il suo misero destino; eppure, Taiga digrignò i denti con rabbia per celare lievemente una risposta sarcastica.
«Il campione ha paura di qualcosa, allora…»
«Il campione non ha paura di nulla», replicò spicciolo, indignandosi per tanto ardire; allorché si alzò in piedi, fissandolo dall’alto e lanciando un’occhiata eloquente all’arbitro che, prendendo a contare lentamente, fece risuonare le proteste di coloro che avevano scommesso sullo straniero.
«Uno. Due. Tre.»
«‘Fanculo il conteggio, Pantera!» Ringhiò la Tigre, posando un palmo sul pavimento sporco di sangue e sputandone un po’ per poi farsi leva in uno sciocco e masochistico tentativo di rimettersi in piedi.
«Hai perso.» Lo fulminò con lo sguardo, puntando il tallone sul dorso di quella stessa mano che, ancora orgogliosa, cercava di tenersi in gara; allorché, quella libera della Tigre gli si aggrappò a un polpaccio dell’altro, tentando si usarlo come appiglio e azzittendo di rimando l’arbitro.
«Non ho perso», replicò schietto, digrignando i denti e lasciando che la cerchia di sostenitori gli urlasse dietro in un tentativo d’incoraggiamento. «Non voglio perdere.»
«Volere, purtroppo, non è potere», disse Daiki, vacillando sulle sue stesse scarpe quando l’avversario provò a tirarlo verso il basso. «Il potere spetta a pochi eletti e tu non sei certamente tra questi», continuò serio, sollevando appena la pianta del piede per fingere di cedere a quella presa che, di conseguenza, fece mancare un battito allo straniero.
In quel momento, il tempo parve proprio fermarsi e gli occhi di Kagami, stancamente, si allargarono solo quando il colpo repentino della Pantera partì di soppiatto, cogliendolo alla sprovvista per metterlo definitivamente al tappeto.
«Uno. Due. Tre…»
Il naso prese a dolergli ancora di più, imprecando quasi quanto il suo proprietario, il quale, mentalmente, si trovava al limite del possibile – non avrebbe mai creduto che l’altro fosse in rado d’infierire a tal punto e solo per vincere!
I suoni si attutirono, mentre il conteggio perse d’intensità nelle orecchie della Tigre che, stremata, si accasciò s’un fianco e finì con il perdere nuovamente i sensi a causa del suo avversario, di una mossa forse troppo subdola e di quella che, irrimediabilmente, era la sua sconfitta vera e propria.
«Quattro. Cinque. Sei.»
«Alzati, cazzo!» Sbottò un tale, aggrappandosi alla rete metallica con entrambe le mani. «Muovi il culo, Tigre, avanti! Dove sono i tuoi artigli? Dove sono?»
Il ghigno che comparve sul volto della Pantera era troppo distante per essere raggiunto dal suo avversario, ma non troppo da passare inosservato agli occhi di Tetsuya che, serrando i pugni sui jeans, rimase seduto dov’era senza muovere un muscolo, con la schiena ritta e i nervi tesi – era come se, per la prima volta, si aspettasse davvero di veder capitolare le supposizioni di Akashi.
«Sette. Otto. Nove…»
«Il conteggio sta finendo, alzati!» Gridò un tizio, muovendosi verso il ring solo per trovarsi accanto all’altro disperato con gli occhi sgranati e fissi sul vincitore.
«Dieci», soffiò Tetsuya, mentre l’arbitro gridava l’ultimo numero possibile e decretava di conseguenza la vittoria del campione.
Alcuni presero a festeggiare contenti, altri a imprecare a gran voce, mentre lui, dal canto suo, si sollevò in piedi per lanciare un’occhiata veloce alle sue spalle dove, con in mano un boccale di birra, si trovava uno dei prossimi combattenti dall’aria trasognata.
«Pensavi che sarebbe andata diversamente?» Domandò questo, mantenendo un tono di voce basso per farsi sentire solo da lui e da quello che, poco distante, aveva ripreso a riempire pinte e boccali.
«No, affatto», mentì l’informatore, lanciando un’occhiata nella direzione del ring dove, candidamente, la Pantera si stava godendo il suo attimo di gloria. «Perfino il capo sapeva come sarebbe andata», ammise, posando una mano sul bancone.
«Hai l’aria assorta, però…» soffiò la Tarantola, sollevando un angolo delle labbra con evidente scherno «… avevi forse scommesso sulla Tigre
«Io non scommetto mai.» Scosse la testa, sospirando, e solo allora si allontanò con passo deciso verso il retro della sala dove, ne era certo, sarebbe stato portato il perdente di lì a poco.
«Eppure, devo ammettere che sembrava davvero giù di morale», soffiò il combattente, lasciandosi andare a una piccola risatina per poi posare il boccale mezzo vuoto vicino al barman. «Tu che ne dici, Shoichi?»
«Dico che adesso sono impegnato», rispose candidamente, spostando lo sguardo su di lui per qualche istante. «C’è tanta gente in attesa di avere della birra, perciò tieni a bada il tuo stomaco per un po’, visto che tra poco dovrai anche salire sul ring, Makoto.»
«Che ansia...» si lamentò in uno sbuffo, riportando il boccale alle labbra un po’ arricciate «… ti dimentichi degli amici solo perché si tratta di soldi, eh?»
«Se mi pagassi quanto bevi, forse potrei ricominciare a darti corda», soffiò ironicamente l’altro, facendogli fare spallucce di rimando.
«Agli amici non si fa pagare, si offre!»
 
Aprendo la porta metallica, Daiki si ritrovò di fronte il volto agitato di Satsuki che, dal canto suo, aveva passato tutto il tempo a muoversi come una mina vagante nella stanzetta antistante alla Cage; allora, guardandola, si lasciò scappare un sorriso sincero che tradiva una certa euforia.
«Ho vinto», soffiò nella sua direzione, vedendole serrare le dita attorno agli avambracci con un po’ di ritrosia. «Perché non dici nulla?» Domandò allora, vedendola incerta mentre si mordicchiava il labbro inferiore.
«Perché sei un incosciente!» Lo rimproverò senza pensarci due volte, sputando fuori il suo disappunto in un moto di ribellione. «Non avresti dovuto sfidarlo ancora, non avresti dovuto salire sul ring per una stupida vittoria…» soffiò con un tono più stridulo «… ciò che stai facendo non ha senso, Aomine-kun.»
«Ne abbiamo già parlato», fece lui, indignato, mentre aggrottava le sopracciglia con fare incredulo. «Non mi aspettavo che avresti continuato a rompere con questa storia, Satsuki», sbuffò stranito, avvicinandosi alla sedia di metallo su cui si lasciò cadere mollemente. «Sai bene a cosa servono quei soldi, no?»
«Lo so, lo so bene, è per questo che continuo a dire che non ha senso!» Sbottò inorridita e preoccupata al contempo, sentendosi irrimediabilmente responsabile. «Io non ho bisogno che tu finisca con il farti ammazzare in un combattimento clandestino, Aomine-kun, ho solo bisogno di saperti in salute.»
«Differentemente da te…» concluse al posto dell’altra, afferrando un asciugamano vicino che, sul retro dello schienale, aveva preso a frizionargli la schiena; allora, mettendoselo in testa, lo mosse appena per asciugare il sudore dai capelli umidi e la fissò di sguincio. «Non ho bisogno del tuo permesso per raccoglierli tutti, Satsuki: lo farò e basta.»
«Non voglio quel denaro», scattò lei con fare scontroso, prendendo posizione dinanzi a lui per guardarlo malamente. «Non voglio che sali su quel ring per raccogliere dei soldi che non ti ho chiesto!»
«Di cui hai bisogno», continuò l’interpellato, grugnendo appena quando le setole dell’asciugamano si posarono sul taglio fresco.
«Guarda come sei ridotto…» soffiò dispiaciuta, rabbuiandosi e lasciandosi andare a un sospiro per chinarsi di fronte a lui.
«Sto bene, diamine, non sarà un pugno a mettermi fuori gioco», disse, crucciandosi un po’, mentre l’altra, allungando una mano verso il basso, recuperava la borraccia con l’acqua.
«Hai sete?»
«Ti preoccupo troppo», disse allora, cogliendola alla sprovvista. «Non sei costretta a venire qui tutte le sere, sai?»
«Mi stai cacciando, forse?» Replicò indignata, porgendogli l’acqua con fare irritato. «Perché?»
«Non è un posto adatto a te», fece semplicemente Daiki, afferrando la borraccia per poi portarsela alle labbra con un grugnito lieve.
«Non ti lascerò da solo», scattò la ragazza, tornando in piedi e con entrambi i pugni sui fianchi per sembrare minacciosa agli occhi del campione che, socchiusi, la scrutavano seriamente.
«Non vuoi farmi combattere, non vuoi fare il tifo per me…» mormorò, giocherellando con i denti sul beccuccio della borraccia «… eppure sei sempre qui ad aspettarmi.» Lei lo guardò crucciata, lasciandolo bere qualche sorso d’acqua. «Se non accetti tutto questo, forse è meglio che tu non rimanga nel retro della Cage, Satsuki.»
«Idiota», sentenziò lei a denti stretti, dandogli le spalle per uscire dalla porta vicina, quella che usava per uscire assieme alla Pantera senza dare nell’occhio all’interno del locale.
«Sei tu quella testarda, Satsuki», sbuffò contrariato tra sé e sé, faticando a rimettersi in piedi per andarle dietro e fermarla nella sua piccola fuga insensata – dopotutto, lasciarla andare via da sola non era la cosa migliore che potesse fare, visto il postaccio in cui si trovavano. «Ehi, Satsuki!» La chiamò a gran voce, affacciandosi all’esterno e sentendo il fresco del vento serale sul collo ancora bagnato di sudore. «Torna qui!»
«No», obbiettò lei, stringendosi nelle spalle e facendo per intraprendere la solita strada del ritorno.
«Satsuki!» La chiamò ancora, sbuffando. «Ti ho detto di aspettare: non puoi andare in giro da sola, non a quest’ora e non qui», ringhiò irritato, bloccando la porta con un mattone vicino per poi seguirla lungo la via; allora, quasi per miracolo, prima che passasse davanti all’ingresso della Cage, riuscì a bloccarla per un polso e la tirò verso di sé, proibendole di andare oltre. «Aspetta ancora un po’, magari è la volta buona che ho sbancato…» soffiò vicino al suo orecchio «… così potremmo risolvere il tuo problema e poi pensare a tutto il resto.»
«Non dire assurdità», sibilò irritata. «Pensi davvero di aver fatto tutti quei soldi con un solo combattimento?»
«Perché no?» Chiese lui, sentendola abbassare le difese di rimando. «Dobbiamo solo aspettare il capo per mettere le cose in chiaro e una volta avuti i soldi necessari…»
«È impossibile.» Scosse la testa, frenando le fantasticherie di Daiki che, dal canto suo, serrò i denti con fare dispiaciuto – in fondo, la consapevolezza che Momoi avesse ragione lo paralizzava.
«Posso fare qualcosa per accelerare i tempi», disse appena, muovendo qualche passo verso la porta socchiusa che si era lasciato alle spalle, stringendo quelle della ragazza per impedirle di fuggire. «Ho un’idea, Satsuki, perciò ti prego…» soffiò «… ti prego, credi in me ancora una volta.»
 
Come volevasi dimostrare, Momoi Satsuki ci aveva visto giusto ancora una volta e, dinanzi ai soldi stropicciati che la Pantera teneva in mano, la sua espressione pressoché amareggiata pareva rispecchiare quella dell’altro. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma il silenzio che regnava sovrano in quella stanza aveva dell’inquietante – quasi quanto lo sguardo del campione che, assorto e sgranato, si puntava sugli yen guadagnati tra sudore e sangue fino a reputarli non abbastanza.
«Sei scontento?» Domandò appena la voce del capo che, imperiosa, sembrò rimbombare fra le mura della stanzetta di periferia, la quale, al di sopra della Cage, era fin troppo tetra. «Hai guadagnato molto rispetto al solito: due entrate in un solo combattimento…»
«Ho bisogno di soldi», disse tutto d’un tratto la Pantera, gelando il sangue nelle vene della ragazza che, al suo fianco, si portò le mani alla bocca in un muto terrore. «Ne ho bisogno», soffiò in fine, mettendo da parte l’orgoglio per la sua giusta causa.
«Li stai guadagnando», fece il capo, posando entrambi i gomiti sulla scrivania vuota per poi sorreggere il mento sui pugni chiusi e spingere lo sguardo verso il combattente. «Sono belle entrate, no?» Incalzò al suo indirizzo, vedendo le sue nocche impallidire nella stretta mortale che, lungo i fianchi, lo rendevano terribilmente in difetto e con i denti digrignati per riflesso incondizionato.
«Ho bisogno di altri soldi, Akashi.»
«Per quale motivo?» Chiese, conscio del problema – oh, dopotutto lo sapeva dal principio: non avrebbe mai messo in gioco qualcuno senza accertarsi della sua continuità.
«A cosa serve dirlo adesso?» Sibilò l’interpellato, mentre lo sguardo serio del capo non gli lasciava vie di fuga; allorché sospirò, cercando di allentare la tensione nervosa e di non badare alla pistola che, candidamente, spuntava dalla cintura dei pantaloni altrui per quella che molti avrebbero definito autodifesa o precauzione. «Devo pagare delle cure, perciò ho bisogno di molto denaro e alla svelta…»
«Se ti riferisci al problema di Momoi, forse potrei esserti d’aiuto», fece tranquillamente, lasciando che la Pantera strabuzzasse gli occhi con fare incredulo. «Non chiederti come faccio a saperlo, lo so e basta…» aggiunse in un soffio, aprendo poi un cassetto della scrivania per tirare fuori dallo stesso un piccolo blocchetto d’appunti. «Immaginavo che, prima o poi, saresti venuto a chiedermi un favore, sai?»
«Già», sibilò a denti stretti Daiki, mentre lo fissava furioso e con addosso la consapevolezza che l’euforia di Satsuki non avesse nulla a che vedere con la bontà d’animo di un uomo come Seijuro Akashi – oh, non si parlava affatto di questo, perché in ogni sua azione era prevista una conseguenza.
«Conosco un aggancio in America, un imprenditore legato a delle industrie farmaceutiche che, consecutivamente, hanno dei contatti con grandiosi chirurghi…» soffiò «… perciò se si tratta di questo, Pantera, possiamo parlarne tranquillamente.» Trovando il foglio giusto nel suo blocchetto d’appunti, Seijuro lo staccò con un gesto secco e lo porse all’altro in attesa di un suo cenno d’assenso che, a malincuore, arrivò.
«Grazie.»
«Di niente», disse con il sorriso sulle labbra, lasciando che le dita dell’altro si serrassero sulla carta. Abbandonò la sua presa e rimise a lui i propri doveri che, implicitamente, stavano a significare solo una cosa: un colloquio privato.
«Satsuki, ti dispiacerebbe aspettarmi fuori?» Domandò appena, rivolgendosi alla ragazza vicina che, dopo aver battuto le palpebre un paio di volte, annuì. «Il tempo di una telefonata e sono fuori, tranquilla…»
«Ti farà compagnia Tetsuya, non c’è nulla di cui preoccuparsi», concluse Akashi, facendo un cenno al ragazzo, il quale, accanto a lui, annuì di rimando per affiancare Momoi e condurla fuori dalla stanza in questione.
«Dov’è l’inganno?» Sputò subito Aomine, fissando con sguardo gelido il suo arcano datore di lavoro. «Non hai mai detto nulla in proposito, hai aspettato che fossi io a farmi avanti: perché?»
«Inganno non è una parola corretta, Pantera…» Scrollò le spalle, guardandolo dritto negli occhi, dopodiché si tirò in piedi e lo fronteggiò con entrambe le mani posate sul piano della scrivania. «I favori vanno solo contraccambiati.»
«Quanto mi costerà un tuo favore
«Non molto, essenzialmente», fece spicciolo, girando attorno alla scrivania per guardarlo da vicino. «Vorrei solo cambiare qualcosa in merito alla tua condizione di campione della Cage
«Devo perdere, forse?» Fece Daiki, aggrottando le sopracciglia e non comprendendo dove l’altro volesse arrivare. «Se è solo questo, posso farlo», sibilò indignato, conscio che il suo orgoglio ci avrebbe rimesso; ma per Satsuki l’avrebbe fatto, in fondo.
«No, tutt’altro: devi vincere.» Gli portò una mano all’altezza del braccio, sentendolo irrigidirsi al contatto, mentre il suo ghigno si allargava appena, non più oscurato dalla maschera di bontà che aveva indossato dinanzi alla ragazza. «Esiste un giro di scontri clandestini che potrebbe rendere molto di più della Cage e, considerando la tua innata dote, nonché il tuo bisogno di soldi, sarebbe la via più breve per ricambiarmi il favore…»
«Che posto sarebbe?» Domandò subito, senza voler tergiversare.
«Non ti sto proponendo un trasferimento, bensì un avanzamento di carriera, una promozione», sottolineò Akashi, incrociando le braccia e scrutandolo bene per carpirne le intenzioni; allorché, Aomine si umettò le labbra e tentennò nel rispondere, lasciando all’altro ampio campo d’azione: «In questa sede, la Pantera sarebbe la mia punta di diamante, il mio miglior combattente…»
«Ti ascolto», annuì serio.
«È un posto diverso, con regole diverse e combattenti terribilmente bravi», ci tenne a precisare. «Ognuno di loro, come te, ha probabilmente chiesto un favore troppo grande – non che io li conosca tutti, ovviamente – ed è finito sul ring del business.»
«Non capisco», ammise a malincuore, mettendosi sulla difensiva e continuando ad ascoltare quella spiegazione contorta.
«La Cage è solo un modo come un altro per incrementare le entrate di un mondo diverso da quello che conosco nella vita di tutti i giorni, ma anche lì ci sono prede e predatori. Alcuni li definiscono squali, altri, semplicemente, imprenditori…» disse «… questi uomini annoiati hanno degli agganci con la malavita e spesso si conoscono proprio lì, nei bordelli clandestini o, come in questo caso, nelle sedi in cui si svolgono combattimenti illegali.» Si umettò le labbra, pregustando il momento in cui avrebbe visto l’altro cedere del tutto. «Tu sarai la mia pedina in un ring leggermente diverso, più corposo, che mi permetterà di guadagnare azioni sulla pelle di altri combattenti; perciò, tutto quello che dovrai fare adesso, è fingere di aver fatto quella chiamata per poi mettere Momoi s’un volo diretto negli Stati Uniti – e sarò io a organizzarlo, non dovrai sborsare nulla.» Lo sguardo della Pantera si animò di puro furore e, se solo avesse potuto, probabilmente avrebbe strozzato quella sanguisuga con le sue stesse mani. «Una volta lì, lei sarà al sicuro e potrà operarsi agli occhi per salvare la vista che ti è tanto a cuore, perciò non avrai di che preoccuparti…»
«E il resto?»
«Dovrai soltanto vincere…» replicò sommessamente «… ma sei abituato a farlo, dico bene?»
«Sì.»
«Affare fatto, allora», stabilì Seijuro, muovendo passi svelti verso la scrivania dove, presa posizione, si preoccupò di tirare fuori il suo cellulare per contattare direttamente il suo aggancio statunitense. «A Momoi potrai tranquillamente dire di essere uscito dal giro…» aggiunse, componendo distrattamente il numero sulla tastiera «… perciò rimettiti in sesto, fai del tuo meglio per essere in ottima forma, e attendi una mia telefonata.» Fece un lieve cenno con la mano per congedarlo, attendendo che venisse accettata la comunicazione dall’altro capo del telefono.

 
つづ

Finalmente, il segreto di Daiki è venuto del tutto a galla: la vista di Momoi è il motivo che lo portava a cercare tanto denaro e in breve tempo. Riuscirà a salvarla grazie all’aiuto non propriamente disinteressato di Akashi?
Come sarà questo nuovo ring? E Kagami, sconfitto dalla Pantera, cosa farà?
Ci sarebbero altre millemila domande, probabilmente, ma vi lascio con queste e un po’ di suspense – fufufuf ♥
xoxo

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Farsi notare ***


Note: Salve a tutti! Ammetto con mio rammarico che sto aggiornando molto di rado, soprattutto le storie ancora non concluse, ed è causa del famigerato blocco dello scrittore. Nonostante tutto, a fatica, ho intenzione di portare avanti ciò che ho d'incompiuto – e giuro che mi sto impegnando molto per riuscirci! Questa storia era leggerme in sospeso, tra l'altro, proprio perché si tratta di qualcosa di complesso (?) che vede un'ispirazione momentanea; ma sono riuscita a scrivere il capitolo e spero vivamente che non ci siano troppi errori di dislessia – odio questa cosa, perché tali errori mi evaporano da davanti nonostante continui a rileggere più e più volte.
Al momento, come sempre, ringrazio chi ha commentato e chi si è interessato alla storia, sperando di non deludere nessuno con questo capitolo focus on.
Grazie anche a chi legge e non commenta, perché so che ci siete ♥

Maggiori info sul progetto della fan fiction interattiva sono nel prologo!


Ci era voluto un po’ affinché riprendesse i sensi, forse anche troppo per i suoi gusti, ma non aveva avuto neppure il tempo di capire cosa gli stesse accadendo attorno quando la vista gli era venuta meno. L’unica cosa che gli sembrava di avere bene in testa era il tono preoccupato di qualcuno – una voce non propriamente sconosciuta.
Nella penombra dello sgabuzzino in cui si trovava, Taiga ci mise un po’ a capire di non essere più solo: il lieve bagliore che proveniva dalla porta schiusa era stato un debole e accecante flash, qualcosa che avrebbe potuto confondere facilmente nella miriade di pensieri che gli affollavano la mente, e il suono leggero delle sneakers sembrava più che altro un sussulto di coscienza; perciò rimase attonito quando qualcuno gli sollevò la testa dal mento per vederlo bene in viso e calibrare il daffare.
«Ehi», rantolò appena, prima di ritrovarsi un blocco ghiacciato all’altezza delle sopracciglia.
«Hai perso molto sangue sul ring», spiegò semplicemente il ragazzo che si era seduto accanto a lui, osservandolo di sguincio e con le labbra leggermente corrucciate. Sentendolo grugnire, allora, sospirò appena e premette con più forza il ghiaccio sintetico sulla parte lesa.
«Sei quel piccoletto che ho incontrato in strada…» bofonchiò, riconoscendo il timbro di voce e guardandolo con le palpebre un po’ abbassate. «Ahi, cazzo!» Si lamentò d’un tratto, battendo un pugno sul pavimento e sentendosi ghiacciare il cervello, mentre un asciugamano sporco di sangue gli veniva premuto sotto le narici.
«Bisogna tamponare il più possibile e frenare l’emorragia senza mandare indietro la testa», disse automaticamente l’altro, cercando di non badare troppo alle proteste del rosso che, dal canto suo, serrò le dita di entrambe le mani per lasciarlo fare.
«Ne sai molto, vedo», disse spicciolo, lasciandosi andare a un piccolo ghigno sardonico che, dopotutto, era solo un modo per mascherare il dolore che stava provando.
«Ti sconsiglio di andare in ospedale, Tigre», borbottò a quel punto, tagliando il discorso sul nascere e dando prova che l’altro non si fosse sbagliato sul suo conto.
«Ovviamente: non ho intenzione di finire nei guai con la legge per questo postaccio», schioccò irritato, sollevando una mano per afferrare l’asciugamano.
«Il capo crede che tu abbia delle buone potenzialità per succedere alla Pantera», mormorò sottotono. Aveva avuto giusto il tempo di dare una controllata veloce al combattente e poi era stato costretto a seguire i suoi incarichi alle dipendenze di Akashi, ma al momento non c’era alcun compito da svolgere e poteva tranquillamente controllare il suo stato di salute.
«Non ne dubito neanch’io: questa volta mi ha rotto il naso e ha vinto, ma la prossima…»
«La prossima non ci sarà», intervenne subito, lapidario, senza neppure guardarlo in volto; allorché si sentì strappare di mano il ghiaccio sintetico e lo vide meglio nella penombra, perché il suo sguardo corrucciato gli si era posato contro come se fosse una minaccia.
«Come sarebbe a dire?»
«Intendo dire esattamente ciò che ho detto: non ci sarà una prossima volta, non ci sarà nessuno scontro tra voi due.» Non aveva motivo di mentire a quel tipo, meno che mai di alleggerirgli la pillola, ma in qualche modo voleva che si rendesse conto della situazione e, malgrado Seijuro avrebbe avuto da ridire sul suo comportamento, non si era fatto scrupoli ad andare fin lì per avvisarlo – oh, era fin troppo palese che avesse un motivo per trovarsi alla Cage! Non era solo la brama di denaro, era qualcosa di più grande, forse paragonabile a quello che aveva spinto la Pantera a diventare il campione.
«Mi ha messo al tappeto e non ho neppure il diritto di controbattere?» Gracchiò indignato, improvvisamente dimentico del dolore al setto; tuttavia era debole e, come suggerito da Tetsuya, aveva perso molto sangue. Non riusciva a mantenersi arrabbiato come avrebbe voluto, ma anche se ci fosse riuscito non era certamente con quel ragazzo che avrebbe dovuto prendersela.
«No», disse, scuotendo il capo per incentivare la sua risposta atona. «Puoi lavorare qui, volendo, ma prima dovrai battere qualcuno della Cage.» Fece spallucce, provando per un istante uno strano moto di ribellione: avrebbe voluto avvisarlo che quel posto e quel genere di cose non erano mai la soluzione più giusta, eppure non era riuscito a farlo. «E questo qualcuno, che ti sia chiaro, non è lo sfidante che hai puntato sin dall’inizio», lo avvisò a mezza bocca, sentendosi afferrare all’improvviso per una spalla e strabuzzando gli occhi con confusione.
«Continuo a non capire», fece la Tigre, lasciando cadere l’asciugamano sporco sul pavimento.
«Non combatterà più alla Cage, tutto qui.» Rispose automaticamente, quasi come se in quelle parole non ci fosse un vero e proprio sentimento, ma la verità era ben altra: gli dispiaceva per Aomine, per la situazione che Akashi aveva creato molto teatralmente e per quella ragazza che, suo malgrado, si era ritrovata ad assumere il ruolo di una mera pedina nelle mani del capo della Cage.
«Cosa?» Sbottò, serrando la sua presa sulla spalla dell’altro. «Io voglio fronteggiarlo ancora: devo farlo!»
«Non qui», negò lui, aggrottando le sopracciglia di rimando e serrando i denti per il fastidio che quel contatto gli stava procurando – ah, se solo gli fosse rimasto qualche segno, probabilmente Akashi avrebbe avuto di che lamentarsi.
«Dove?» Le domande iniziavano a farsi più opprimenti, più impellenti e terribilmente pesanti per le orecchie di Kuroko che, dal canto suo, poteva solo osservare lo straniero con sguardo inquieto.
«Non lo so…» soffiò «… non sono io il capo ed è con lui che ha preso degli accordi.» Forse aveva parlato troppo, se ne rendeva conto da solo, ma non era riuscito a trattenersi e forse era colpa dello sguardo deciso del rosso.
«Sai troppe cose», sentenziò infatti, cogliendolo in flagrante. «Non vorrai che io mi beva una stronzata come questa? Lo sai!» E lo sapeva almeno quanto Kagami stesso era a conoscenza della sua implicazione. Non era un caso se l’aveva incontrato durante il suo allenamento mattutino, non era un caso se si ricordava del suo vociare quando ancora era frastornato a fine del round con la Pantera e, soprattutto, non era un caso il fatto che stesse mentendo così palesemente.
«Se anche fosse?» La domanda retorica di Tetsuya gli arrivò alle orecchie come una grandissima provocazione: sfrontata, saccente.
Restrinse lo sguardo con fare minaccioso, puntandoglielo contro con maggiore convinzione e, dopo averlo strattonato per la giacca, se lo tirò vicino per rendersi più convincente.
«Devo saperlo», sibilò, incurante del cigolio alle sue spalle. «Che tipo di accordi ha preso?»
«Non è con me che dovresti parlarne», disse tranquillamente, percependo nella stanza il suono leggero di una suola in cuoio che, senza ombra di dubbio, apparteneva ad Akashi.
«È con me, infatti…» sibilò la voce alle spalle del rosso, facendolo trasalire. «Togli le mani di dosso a Tetsuya, per favore.» Ma non era una vera richiesta, quella, perché il suono che aveva seguito quelle parole era senz’altro quello di una pistola appena caricata e pronta all’uso. «Una Tigre, per quanto possa avere artigli affilati, rimane pur sempre un animale da cacciare per i grandi imprenditori…» soffiò, osservando lo straniero in viso dopo averlo spinto a voltarsi con le mani in alto «… non vorrei cedere all’istinto di premere il grilletto.»
«Dov’è?» Domandò di slancio, capendo subito con chi avesse a che fare in quel momento.
Il sangue scendeva ancora dalle narici contornate di rosso vivo, gli bagnava le labbra e gli faceva girare la testa; nonostante ciò, la sua attenzione era massima e lo sguardo, benché un po’ assente, non lasciava nulla d’intentato dinanzi al capo della Cage. Era lui il tipo che poteva dargli delle risposte, perciò voleva averle prima di rischiare un nuovo, dannatissimo, svenimento a causa del setto deviato.
«Sta tornando a casa, ma non dovrebbe interessarti», rispose vago, continuando a tenerlo sottotiro per fare in modo che Kuroko si allontanasse di lì alla svelta. «Piuttosto, come ha detto Tetsuya, potresti prendere in considerazione l’idea di non essere più uno straniero», accennò a malincuore. Era in gamba, doveva ammetterlo, perciò non sarebbe stato così male averlo nelle file di combattenti clandestini – pur ammesso che si fosse ripreso alla svelta, ovviamente.
«L’hai fatto fuori?» Chiese istintivamente, non facendo caso alla spiegazione iniziale di Seijuro – d'altronde, dopo essersi visto una pistola puntata contro, come avrebbe potuto credere che la Pantera fosse davvero sana e salva?
«Tutt’altro», fece semplicemente, allungando una mano in direzione dell’informatore per avvicinarselo e portarlo alle sue spalle.
«Perché non combatterà più nella Cage, allora?» Era davvero quello che gli premeva più di ogni altra cosa: era testardo e terribilmente convinto di potercela fare nonostante si trovasse bocconi al suolo; perciò non mancò di suscitare un po’ d’ilarità in Seijuro che, dal canto suo, poté solo sollevare un sopracciglio con fare interessato.
«Ha ricevuto una promozione…» spiegò alla svelta, senza aggiungere troppi dettagli. «Tu non hai ancora un capo su cui fare affidamento, perciò non dovresti neppure porti con tanta sfrontatezza a me», disse serio, sollevando il mento con fare sprezzante. «Sei così interessato alla Pantera da farmi venire voglia di dirti tutto quanto», ammise in un soffio, parlando tra sé e sé. «Se lo facessi, però, sarebbe come barare – e io non ho intenzione di farlo.» Batté le palpebre una sola volta, concentrandosi nella penombra su di lui e cercando di capire in che condizioni fosse; allora, mettendo la sicura alla pistola, smise di tenerlo sottotiro. «Devi farti notare da qualcuno se vuoi davvero una promozione…» Fece tranquillamente, sistemando la pistola nella cintura dei pantaloni.
«Devo farmi notare da te? È questo che vuoi dire?» Chiese confuso e, paradossalmente, sicuro al contempo.
«No.» Akashi scosse il capo come se nulla fosse, negandogli quella che in un primo momento era sembrata un’ovvietà. «Io ho già una punta di diamante», disse «e non sei tu.» Non doveva dirgli altro, dopotutto, perciò fece un cenno con il capo in direzione della porta, lasciando che a precederlo fosse Tetsuya – non prima di aver lanciato un’ultima occhiata al ferito, ovviamente: era troppo incuriosito dalla Tigre per ignorarla. «Fatti notare se vuoi rivederlo sul ring», disse infine, uscendo di lì e lasciando la porta aperta come se nulla fosse, facendo in modo che il caos della Cage lo investisse in pieno nel suo disperato tentativo di alzarsi in piedi per fermarlo.
«Aspetta!» Gridò nella sua direzione, cercando in qualche modo di farsi ascoltare per ottenere maggiori informazioni o indizi su ciò che avrebbe dovuto fare a quel punto; eppure, Akashi non si voltò nella sua direzione e l’unico suono che arrivò alle sue orecchie fu un’imprecazione lontana che, dal ring, sembrava echeggiare i suoi pensieri:
«Dannazione…»
 
Lo sguardo di ghiaccio sembrava pressoché languido in quel frangente: era carico, deciso e sadicamente contorto quasi come le sue labbra – oh, sembrava che stesse ridendo di gusto, ma uno sguardo non può farlo perché privo di voce.
«Mi stavo annoiando», ammise in un soffio, scrutando il suo avversario senza abbassare la guardia «e adesso continuo ad annoiarmi.» Concluse con uno strano borbottio: una provocazione più che palese, la quale non venne però percepita come tale dalle orecchie dello straniero che era sul ring.
Scattò contro di lui come se avesse voluto strangolarlo con entrambe le mani e, per un istante, la Tarantola si chiese quanta preparazione avesse per arrivare al punto di sfidarlo in modo tanto blando – più che uno scontro clandestino, ai suoi occhi sembrava una pantomima del wrestling.
Nel fermarlo, il combattente della Cage si lasciò andare a un debole ghigno di soddisfazione e, abbassandosi, mandò a vuoto il tentativo del tale con un’innata eleganza – per quanto un combattimento potesse essere elegante, ovviamente.
«Bastardo!» Sibilò lo straniero, voltandosi a guardarlo con il volto travolto dall’ira. «Invece di scappare, perché non combatti?» Era vero che i primi colpi fossero andati a segno nel suo stomaco con una naturalezza inquietante, ma era pur vero che dopo quelli non ne era seguito nessuno.
«È il gioco della Tarantola…» soffiò con soddisfazione il barman, prendendosi una piccola pausa e mettendosi a sedere s’uno sgabello vicino alla botticella. «Possibile che abbia deciso di sfidarlo senza averlo capito?» Fece spallucce, continuando a osservare da lontano il modus operando di Hanamiya che, dal canto suo, sembrava più che attento – per lo meno ai suoi occhi, visto e considerato quanto tempo era passato dal loro primo incontro: si conoscevano e, se solo ne fosse stato in grado, probabilmente sarebbe stato lui stesso a sfidarlo. Sapeva a memoria tutti i suoi attacchi, li aveva imparati nel corso degli anni e non solo nei mesi che l’aveva visto lavorare alla Cage; dopotutto, c’era pur sempre da ricordare che era stato lui ad allenarlo e a spianargli la strada della malavita.
«Ma io sto combattendo», replicò spicciola la Tarantola, non prendendo molto bene quelle parole. «E il difetto di chi ha tanti muscoli, purtroppo, è proprio qui…» disse, saettando nella sua direzione per afferrarlo alla giugulare e sbilanciarlo contro la grata del ring «… nella testa.» Serrò la sua presa sulla nuca dello straniero, scostandosi un po’ da lui per tirarlo verso il basso e fargli sbattere la faccia sul ginocchio.
Un sonoro crack arrivò alle orecchie degli spettatori, nonché a quelle ancora volubili della Tigre che, poco distante dal ring, osservò l’altro straniero cadere in terra con il naso ridotto in poltiglia – e molto peggio del suo!
«Il punto debole: tipico…» si lasciò sfuggire Imayoshi, facendo spallucce e tornando a versare della birra in una pinta vicina.
L’esito dello scontro era ormai chiaro, in fondo, e non aveva bisogno di sentire il conteggio dell’arbitro: quel tipo non si sarebbe rialzato e per un bel po’.
«Il prossimo sei tu», disse Hanamiya in un soffio, muovendo appena le labbra nella direzione della Tigre per farsi notare da lui. «Ricordatelo.»

 
つづ

La situazione con Taiga e Tetsuya era rimasta in sospeso, ma adesso la carne è stata messa sulla brace (?)
Il capitolo è ancora di transizione, ma già dal prossimo verranno svelati nuovi risvolti!
Le domande sono sempre le stesse al momento *suspense* ma cosa ne pensate della Tarantola? ♥

xoxo

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