1989

di alaskha
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aereo ***
Capitolo 2: *** Alice ***



Capitolo 1
*** Aereo ***


 
 

1. Aereo
  
 


Nuovo sogno: prendere un aereo con un biglietto di sola andata.
Victoria non è mai stata troppo pessimista, ma il suo spirito libero e la sua voglia di avventura, quelli sono più forti di tutto l’ottimismo che possa esserci in lei, e di tutta la voglia che ha di restare a casa. Non che Londra le stia stretta, Victoria ama ogni singola sfaccettatura della sua città. Ma proprio perché è la sua città, proprio perché è casa sua e proprio perché non ne può più, ha bisogno di qualcosa di nuovo e diverso. Ed il suo nuovo sogno non potrebbe essere più bello di così, per Victoria.
Sempre le stesse lamentele, le stesse facce, gli stessi occhi visti, rivisti, stra visti e stra sentiti. Victoria non ne può davvero più, non ne può più degli occhi verdi, dei capelli ricci pettinati all’indietro, del modo insistente di grattarsi la guancia destra e delle magliette bianche. Ha bisogno di riprendersi la sua vita , di darci un taglio, di sconvolgersi, di prendere un aereo e partire, salutare tutti e sparire, forse per sempre, chi lo sa.
“Non è giusto”
Victoria alza di scatto la testa dal suo trolley nero, in fila con le altre valigie, all’ingresso del piccolo appartamento che dalla fine del liceo condivide con Mary Jane, la sua amica storica, compagna di avventure e fedele sorella ubriaca del sabato sera.
“Jane, ne abbiamo già parlato, dannazione, non farmi sentire più in colpa di quanto già io non mi senta”
“Credo di aver perso il filo” ammette, confusa.
Vic scuote la testa, rassegnata a quella che è la sua migliore amica.
“Non puoi abbandonarmi qui, a Londra, in questo schifo di appartamento e con questo schifo di pavimento da sistemare – Jane saltella con gli stivaletti nuovi sulle piastrelle vecchie di molti anni, facendole scrostare un po’ più del dovuto – vedi? Cade a pezzi!”
“Se tu la smettessi di spendere soldi in stivaletti nuovi di Moschino, ne avremmo abbastanza per riparare questo schifo di appartamento, come lo chiami tu” dice Victoria, imitando la sua amica e portandosi la borsa alla spalla.
Mary Jane alza gli occhi al cielo, afferrando le sue cose ed il piccolo beauty dell’amica, in partenza, e Victoria si ritrova a sorridere, un po’ per le sue, da sola, nel suo mondo. Victoria è così: dice partiamo, andiamo, facciamo, disfiamo.. ma poi guada il sorriso di Mary Jane, che le è sempre sembrata l’unica cosa sincera che il mondo abbia da offrirle, e tutto quello che sogna o anche solo immagina, svanisce nel nulla.
“Quindi sei pronta? Stiamo uscendo?” chiede Jane.
La James annuisce, infilando distrattamente la sua giacca di pelle nera ed un cappellino di lana direttamente da Amsterdam, in regalo da suo fratello, Steph. Forse Steph è l’unico che, insieme a Mary Jane, le mancherà realmente di Londra. Steph James è la persona più contraddittoria che Vic e Mary conoscano: è capace di passare un esame con voti eccellenti sotto l’effetto narcotico dei loro venerdì sera.
“Andiamo?” chiede Victoria, alla sua migliore amica.
“Che palle! – impreca la Thirlwall, con una coda alta disordinata ad incorniciarle il bel viso truccato – pensavo che nella preparazione per questo stupido viaggio ti avrei convinta  a non fare stronzate”
“Ehi! – ribatte offesa Victoria – questo viaggio non è stupido, chiaro?  Questo viaggio è la svolta della mia vita, e porta un po’ di rispetto, che cazzo!”
Mentre Mary Jane fa girare faticosamente per la terza ed ultima volta la chiave nella serratura di quello che per quattro mesi era stato il loro rifugio più sicuro da “tutti quei matti londinesi”, come li definiscono le due amiche, Victoria ha già una delle sue Marlboro incastrata tra i denti.
“Dammene una” fa Mary, e Vic sfila dalla tasca dei suoi skinny jeans il pacchetto quasi del tutto intatto di sigarette, porgendone una alla sua migliore amica.
Che se Steph le vedesse, sarebbero cazzi amari per entrambe. Un’altra contraddizione del fratello di Victoria e del ragazzo di Mary: Steph è il fumatore più accanito di Londra, il consumatore più incallito di Diana che la capitale inglese abbia da offrire, eppure odia vedere le sue due donne con quella “mostruosità strappa vita” stretta tra le labbra, o le dita.
Vic sorride, al pensiero di suo fratello.
“Steph non viene?” domanda la bruna, alla sua amica.
Mary fa sventolare la sua coda di cavallo bionda al vento, mentre prende una boccata di fumo e si stringe nelle spalle, ormai nell’aria fredda di fine ottobre di Londra. Fa tintinnare il piccolo beauty che tiene stretto nella mano sinistra, quasi potesse trattenere con sé anche la sua migliore amica, insieme a quel suo bagaglio.
“Ha detto che ci aspetta all’aeroporto – butta per terra il mozzicone di Marlboro, voltandosi verso l’amica – non partire” prega, per l’ultima volta.  
“Devo, e lo sai”
“Non c’è scritto da nessuna parte, nessuna legge sancisce che tu all’età di diciannove anni debba abbandonare Londra, tua madre, Steph ed anche me”
“Jane, vaffanculo, mia madre non la devi neanche nominare – bercia Vic, spegnendo con forza ciò che resta della sua sigaretta fumata con velocità ed adrenalina in corpo – non si accorgerà neanche che parto”
“Certo che se ne accorgerà, ma non ho voglia di star qui a farti bei discorsi su quanto Camille non sia una cattiva donna – dice Mary Jane, facendo poi una pausa, concedendosi un lungo sospiro - Vic, cazzo, come farò senza di te?”
Victoria alza gli occhi al cielo, ridendo, portandosi dietro inevitabilmente anche Mary. Perché quando ride una, l’altra non sta mai a guardare.
“Non fare l’egoista, adesso – le fa notare, mentre sono ormai giunte alla vecchia stazione – tu hai Steph, adesso che me ne vado verrà lui a stare con te, sono io, che senza di te non saprò come fare”
“Tu ci sai vivere senza di me – replica – ci sai vivere senza tutti noi, ci sai stare da sola, ci sai stare, Vic”
Victoria lo capisce quando Jane sta per scoppiare in lacrime, ha assistito a quel triste spettacolo tante di quelle volte, che saprebbe elencarne i dettagli a memoria: fiato corto, vomito di parole, verità liberata al vento.
Steph arriva proprio in quel momento, per lasciare un bacio sulle guance fredde di Jane e guardare la sua sorellina dritto negli occhi.
Stephan T. James, dove la T. sta per Thomas, ma a lui non sono mai andati troppo giù i secondi nomi, è per questo che si fa chiamare da tutti Steph. Ventiquattro anni, fratello maggiore e fidanzato iper protettivo, piercing al labbro con cui non smette mai di giocare e tanti tanti sogni costretti a restare chiusi nel cassetto. Jeans stretti neri, cappellino al contrario in testa, ciuffi di capelli biondi che si divertono a fare capolino un po’ ovunque ed occhi che gelano il sangue nelle vene.
“Ci ha già pensato Jane a dissuaderti, vero? Sarei superfluo e ripetitivo, se ci riprovassi?”
Victoria non può fare a meno di buttarsi a capofitto tra le sue braccia, che allenate da una vita, non si fanno trovare impreparate. Steph stringe forte sua sorella, e Jane si ritrova a dover guardare da un’altra parte, per non scoppiare a piangere. Così il ragazzo allarga l’abbraccio, acchiappando la sua ragazza per il cappuccio della sua felpa, stringendo a sè le sue due donne. È così che le chiama lui, quelle due.
Victoria e Mary Jane sono le cocche di tutti quanti, è impossibile non amarle. Quando le vedi in giro per Liverpool, fianco a fianco, con le loro risate nell’aria, i vestiti trasandati, colorati, il lucidalabbra, le sigarette spente con le converse e le dita intrecciate.
Non puoi non amarle, quelle due.
“Vi odio, non potete lasciarmi andare e basta? Stronzi”
Victoria si libera dall’abbraccio, mentre si costringe a trattenere le lacrime. Vic non è una che piange, almeno non davanti a tutti, non davanti a Mary, non davanti a se stessa.
“Okay, sorellina, che ti ho detto un miliardo di volte?”
“Che il the freddo si beve solo nel Long Island?”
Steph la guarda male, mentre Jane trattiene le risate, suo malgrado.
“Che non puoi dare dello stronzo e della stronza a tutti quelli a cui vuoi bene, è da malati”
Vic trattiene un sorriso e Steph fa per stringerla ancora tra le sue braccia protettive.
“No – ma lei lo blocca – adesso devo andare, e se continuate a fare così, non so come lo raggiungo il continente nero”
Steph scoppia a ridere, senza più trattenersi.
“Tu ce l’hai in testa, il continente nero, sorellina”
Victoria alza gli occhi al cielo, raccogliendo la sua valigia da terra, ma lasciandola poi a Steph, che ha insistito per comportarsi da gentleman con sua sorella, almeno una volta nella sua vita.
“Non mi saluti, puffa?”
Jane non può che sorridere, davanti a quel soprannome ideato dalla sua migliore amica, in uno dei sabati sera in cui si erano ritrovate per strada, ubriache, a ridere e straparlare.
Si stringono in un forte abbraccio, l’ultimo.
Steph aiuta la sorella con le valigie e poi la guarda salire. Non è più la ragazzina che lo guardava dalla rete del campo di calcio, quando erano bambini, e c’erano rimasti solo loro due a farsi da famiglia. Victoria è una donna, pensa, è una donna bellissima e forse questo viaggio le farà davvero bene, sì, è come dice lei, cazzo, Victoria stavolta ha ragione, deve partire.
 
 
Gli occhi vivi di Mary Jane ed il sorriso increspato di Steph sono scomparsi dalla vista di Victoria da tempo, ormai. La James è sola, finalmente, si ritrova a pensare. Ne ha bisogno, ha bisogno di quel viaggio, non ne può più delle solite vecchie cose che ha lasciato a Liverpool. Ha bisogno di scoprire, di scoprirsi, di capire cosa vuole da questa vita, se vuole questa vita e cosa c’è in serbo per lei. La vita non è a Liverpool, pensa Victoria, sopra le note dei Westlife, il gruppo preferito di Steph.
E per quanto lui, Mary e tutti gli altri possano mancarle, Victoria sente che la sua vita sta iniziando adesso, solo adesso che è seduta su quel maledettissimo posto C13 dell’aereo. Cazzo, l’aereo atterra e la sua vita comincia, e Vic non può che essere contenta ed elettrizzata. Non ha paura, non ne ha mai avuta, o almeno, non si è mai ritrovata a doverlo ammettere.
Ha preso molto seriamente questa storia del viaggio, vuole cavarsela da sola e quant’anche Mary Jane dica che suo padre sarà comunque lì con lei, Victoria ha giurato e spergiurato che lui non interferirà mai neanche una volta, nella sua nuova vita.
“Capirai, scappi da Liverpool e da tua madre, e te ne vai da Travis”
“Travis si fa sempre i cazzi suoi, lo sai, è peggio di Camille”
Avevano detto le due amiche, in una domenica pomeriggio come le altre, e Jane, dopo cinque anni e passa di amicizia non si è ancora abituata a sentire Victoria riferirsi ai suoi genitori con i loro nomi di battesimo. Ma Victoria non crede che Camille e Travis siano più i suoi genitori, la sua famiglia sono Steph e Mary Jane, sono Claire e Sebastian, i proprietari del locale dove lavora tutti i giovedì sera e sono tutte quelle persone che, come lei, sperano in qualcosa che ancora deve arrivare.
Victoria è in cerca di quel qualcosa e lo sa che sta arrivando, perché l’aereo è atterrato, e la sua nuova vita sta per iniziare.






 

ciao a tutte le mie ragazze preferite :)
lo so non ve lo aspettavate, non me lo aspettavo neanche io, figuratevi. Il fatto è che sto leggendo delle cose, ascoltando delle canzoni e parlando con delle persone che mi portano a scrivere cose nuove, sono ispirata soprattutto dal nuovo album della mia cantante preferita, Taylor Swift.
è uscito 1989, che è appunto il nome della storia, ed io mi sono riempita di idee. Per adesso non c'è ancora nessuno dei ragazzi, ma il protagonista sarà Zayn (strano, no?!), Steph, il fratello di Vic, ha il volto di Luke Hemmings, ma ho voluto dargli un nome mio.
Giuro e stavolta lo giuro che in questa storia ci metterò l'anima, spero che voi mi accompagnerete anche in questo viaggio, per restare in tema con la storia :)
So che non si capisce nulla, ma è solo il prologo. E nulla, cosa posso dire di più? State sempre con me :)
alaskha

vi presento Victoria James e Mary Jane Thirlwall:




 
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Capitolo 2
*** Alice ***




 

2. Alice
 



New York è come se l’aspetta, Victoria. Si guarda un po’ intorno, spalanca gli occhi, poi la bocca, e poi viene leggermente spinta da un distratto cittadino americano un po’ di fretta. Le piace, pensa. Sorride alla città e respira un po’ di aria newyorkese: osserva i Taxi rigorosamente gialli, il traffico, la gente riversata per la strada, i telefoni all’orecchio e la vita che va avanti. È arrivato anche il suo, di momento, ora tocca anche a Victoria, a respirare tutta quella vita che ha lasciato chiusa nel suo corpo per tanto, troppo tempo.
Si riscuote dai suoi pensieri e decide di camminare spedita, imitando le ragazze come lei, anno più anno meno, che sfilano indisturbate in Manhattan. Si sente un po’ fuori posto, all’inizio, ma poi sfodera uno di quei suoi sorrisi, uno di quelli furbi, che a Liverpool le avevano portato tanti di quei guai e tante di quelle benedizioni, che Victoria non può fare a meno di allargare ancora di più le sue labbra rosse.
Ancora non ci crede, che lei, Victoria Daisy James è a New York, in America, nell’isola di Manhattan, con la sua borsa nera sulla spalla e le Marlboro ancora nella tasca della giacca di pelle. Victoria è felice, nonostante abbia quasi davvero pensato il suo secondo nome senza fare una smorfia. Si sente quasi in pace con se stessa, lì non la conosce nessuno, lì nessuno la giudica, lì nessuno neanche si ferma a guardarla, come se la ignorassero, come se non esistesse, e Victoria sta così bene, mentre si sente parte di qualcosa.
Sta per sorridere ancora, ma il suo telefono la avvisa che qualcuno la sta cercando, e allora si costringe a non sbuffare, a mantenere quella calma apparente che l’aveva avvolta insieme a tutte quelle persone, quel casino, quelle luci, quell’aria così fredda ma anche così giusta per lei.
“Travis..” risponde, a fatica.
“Vicky! Ho saputo che sei arrivata a New York, perché non mi hai detto niente?”
Vicky?, pensa Victoria, quasi schifata: da quando suo padre, Travis James, la chiama Vicky? O meglio, da quando suo padre la chiama?
Non risponde neanche, sfila con facilità il pacchetto di sigarette dalla giacca e ne porta una alla bocca, con quella tranquillità di una che quei gesti li compite quotidianamente da una vita, ormai. La accende e, tirando una boccata di fumo, sente finalmente, in parte, quella piccola dose di calma che aveva provato mescolandosi con tutti quegli sconosciuti.
A New York, finalmente.
 “Da chi l’hai saputo?”
Victoria attraversa la strada, insieme ad una coltre di persone, ma non aspetta neanche che il padre le risponda, sa benissimo chi è stato ad avvisarlo del suo arrivo a New York.
“Te l’ha detto Steph, vero?”
“Lidya non vede l’ora di vederti e di passare un po’ di tempo con te! – la ignora – potrebbe essere carino per voi due passare un po’ di tempo tra ragazze, che ne dici?”
Il tono di Travis è così forzatamente dolce che a Victoria sembra quasi di sentire odore di zucchero filato, nell’aria. Sorride di quel suo stesso pensiero ed inarca un sopracciglio, fermandosi davanti ad un grande edificio: non ha idea di dove si trovi.
“Carino, certo..” si sforza di dire, a suo padre.
 “Bene allora, è deciso, ti chiamo stasera, passa una buona giornata Vicky”
Il bacio schioccato alla fine è troppo persino per Victoria, che di stranezze nella sua vita ne ha viste e vissute. Guarda con fare sconcertato il suo iPhone, prima di riporlo in borsa. Non si fa mille domande, non gliene frega neanche niente, perché tanto suo padre quella sera non chiamerà. Victoria lo conosce bene, Travis, lui è peggio di Camille, per lui è tutta apparenza, gli piace giocare alla famiglia felice. Gli piace così tanto che quando si accorse che con Steph, Camille e Victoria non avrebbe mai funzionato, è scappato a New York, con una broker della Borsa dove lavorava a Londra, di dieci anni più giovane di lui. Wall Street, Lidya e le gemelle Chanel e Fortune sono decisamente più appetibili e facilmente gestibili, di Camille, Steph e Victoria.
Victoria scuote la testa, non ha voglia di pensare a Travis, alla sua vita perfetta ed al fatto che lei non ne faccia parte, se non per i famosi “pomeriggi tra ragazze”. Chi ci vuole andare, poi.
Ha promesso e ripromesso a se stessa e Jane che non si sarebbe fatta rovinare il viaggio della sua vita da niente e nessuno. Quindi, espira profondamente, si ravviva i capelli, sputa la gomma da masticare alla menta che ruminava da poco più di mezz’ora e sfila dalla tasca posteriore degli skinny jeans blu il fogliettino su cui sono segnate tutte le indicazioni necessarie per la sua sopravvivenza a New York.
“Harry Styles : 212 476 9001”
Con calma recupera il suo iPhone dalla borsa e compone il numero del telefono scribacchiato sul foglio qualche giorno prima, a casa, con la cornetta del telefono incastrata tra il collo e l’orecchio ed il Cd dei Nickelback di Mary Jane a tutto volume. Questo Harry Styles non deve avere molti anni in più di lei, la sua voce metallica le era sembrata non sopra ai vent’anni.
Aspetta con pazienza uno, due, tre, quattro, cinque, sei squilli, dopodiché attacca la segreteria. 
“Qui è Harry Styles, se non vi ho risposto significa che non ho tempo per voi, anche se probabilmente vi richiamerò prima che possiate soffrirne troppo, au revoir e arrivederci”
Victoria guarda sconcertata, per la seconda volta della giornata, il suo telefono. Questo tipo ha un serio problema di sintesi, pensa la James, e di egocentrismo, ovviamente. Sbuffa, sfila una Marlboro dal pacchetto e prima che possa accendersela tra le labbra, il telefono trilla nella sua mano sinistra.
“Bonjour madmoiselle”
“Sono di Londra, cretino” bercia Vic, tirando la prima boccata di fumo.
“Qualcuno si è alzato col piede sbagliato, stamattina”
Victoria sbuffa ancora, fumando forse un po’ troppo velocemente.
“Credi di potermi raggiungere per darmi le chiavi dell’appartamento?”
“Dipende, dimmi dove sei, tesoro”
Victoria si guarda intorno, spaesata.
“Sono.. io.. ci sono dei.. taxi? – tenta – e degli edifici, molto alti, credo siano grattacieli, non so..”
“Sì, sono tutte informazioni molto utili a New York, davvero”
Harry Styles scoppia in una risata fragorosa, Victoria crede quasi di poterla sentire, ma non dall’altro capo del telefono, non metallica, lì con lei, a pochi passi.
“Che hai da ridere, cretino?”
“Ci conosciamo da poco più di due minuti e mi hai già dato del cretino due volte, credo che insieme ci divertiremo, io e te”
Vic sbuffa, per l’ennesima volta.
“Allora?”
“Allora, di tipi spaesati a New York ce ne sono tanti, giuro – inizia – ma una ragazza sotto il Woolworth, che indossa un maglione di quel colore e stringe così forte la sigaretta tra le dita, credo di non averla mai vista, no”
“Senti ragazzo strano, inizi a spaventarmi..”
“Voltati” le dice, senza lasciarla finire di parlare, come se già la conoscesse benone.
Victoria fa come consigliato e dietro di lei scorge questo ragazzo, alto tipo un metro e novanta, con un sorriso che sembra dipinto su tela stampato sul volto ed un giaccone eccentrico leopardato. Una drag queen, Victoria non può far altro che pensare a quello, non appena lo vede.
“Victoria James” esordisce, Harry.
“Harry Styles” fa Victoria.
“Harold Edward Styles, per essere precisi – la corregge, tendendole la mano – al tuo servizio”
Victoria annuisce, ed Harry le fa strada verso l’appartamento che le ha promesso.
“Il tuo nome completo? – chiede poi Harry con indiscrezione – andiamo, nulla può essere più ridicolo di Harold”
È combattuta sul da farsi: deve confessare ad Harry il suo nome completo?
Scuote le spalle, decisa, non lo farà. Perché dovrebbe? Non si conoscono neanche.
“Cos’ha che non va il mio maglione?” cambia argomento, buttando la sigaretta a terra.
Harry la schiaccia con i suoi stivaletti neri, e poi si stringe nelle spalle. In effetti fa freddo, a New York.
“Perché non mi rispondi?”
“Perché non mi dici cos’ha che non va il mio maglione?”
“L’ho chiesto prima io”
“Dovremmo conoscerci molto più di così, per fornirti un’informazione di quel tipo”
“Oh, ho capito, sei una tipa riservata – annota nella sua mente – che palle”
Victoria si sente quasi in dovere di tirarlo su di morale, cambiando argomento, sembra quasi che Harry si sia offeso. E quegli occhi così esageratamente verdi che Victoria ha notato solo qualche minuto dopo la loro conoscenza, hanno su di lei uno strano potere, non se lo spiega.
“Carina la tua segreteria”
“Di solito fa incazzare un po’ tutti, a te piace?” domanda, con un sorriso divertito.
“Ha fatto incazzare anche me – ridacchia la James – ma è diversa, è apprezzabile”
“Grazie” dice, sincero.
Victoria si  stringe nelle spalle, ed Harry ride tra sé e sé.
“Cos’hai da ridere?”
“Sei ripetitiva, tu, eh?”
“E tu ridi sempre”
“Rido perché sei buffa”
“Ma quanti anni hai, tu?”
“Dovremmo conoscerci molto più di così, per fornirti un’informazione di questo tipo”
Victoria incassa il colpo, schioccando la lingua.
“Me lo sono meritato”
“Ma io sono gentile con le dolci ragazzine con zero senso dell’orientamento come te, e te lo dirò”
Harry sta qualche secondo in silenzio, come se aspettasse qualcosa.
“Allora?” lo incita Victoria.
“Ventuno, a Febbraio – dice – a te non lo chiedo neanche, se non hai voglia di dirmi il tuo secondo nome, figurarsi dirmi quanti anni hai”
Victoria rotea gli occhi al cielo, quasi divertita, da tutta quella curiosità.
“Ne ho diciannove”
Harry annuisce, restando poi in silenzio, camminando con le mani nelle tasche di quel suo giaccone eccentrico e senza più sorridere. Vic ne rimane quasi scontenta, le piace quel sorriso.
“Mi chiamo Victoria Daisy James”
Harry continua a guardarla, annuisce e poi sorride. Ha gli occhi verdi, che sembrano la cosa più magnifica che possa esserci, anche lì fuori, nel mondo. Si riscuote, quando Harry fa tintinnare un paio di chiavi sotto i suoi occhi.
“Ehi, Alice..”
“Mi chiamo Victoria – ripete – e poi mi dici che sono ripetitiva”
“Anche stupida, se posso permettermi”
“Non puoi”
Harry abbozza una risata, entrando nel portone di quello che è un blocco di appartamenti come tanti altri che Vic ha visto, nella grande e maestosa città di New York.
“Alice nel paese delle meraviglie, ti atteggi a grande donna, ma ricordi una bimba un po’ spaesata e sulle  nuvole – dice, lasciandola entrare, tenendo la porta aperta da bravo gentleman quale non si sta dimostrando affatto – con la sigaretta in bocca, chiaro”
Non gli risponde, sale le scale, ignorando il fatto che non ci sia l’ascensore e che non sappia fino a che piano debba salire.
“Ferma, sei arrivata”
Il secondo, a quanto pare.
Ci sono due appartamenti, Harry apre velocemente, con movimenti meccanici, l’appartamento numero 34. Le lascia ancora una volta la porta aperta, aspettando che sia lei per prima ad entrare.
Victoria si guarda intorno, la casa non è male: al centro di quello che deve essere un salottino è ormeggiato un grazioso divano verde, di forme rotondeggianti, ed il tavolino adagiato di fronte ad esso sembra quasi fatto per le sue converse numero 37. Sorride istintivamente, muovendo qualche passo in più all’interno dell’appartamento numero 34: una grande finestra dà sulla gente, sui taxi gialli, sul fumo, sulle luci, su quella che è New York.
“Dove siamo?”
Camminando non si è neanche resa conto di dove la stesse portando, il ragazzo strano con la giacca leopardata e le supposizioni assurde.
“A Soho”
“Sei un artista?”
Harry fa di sì con la testa, e si decide a raggiungere la ragazza, lasciando che la porta si chiuda con un tonfo.
“Disegni? Fotografi? Suoni? Canti? Che fai?” domanda Vic, gettandosi sul divano.
Harry ride, perché gli riesce bene.
“Disegno, ed anche bene, se posso permettermi”
“Ancora una volta, non puoi”
Dice, prestando poca attenzione al suo sorriso ormai divertito, forse dalla sua aria, mentre avvicina una Marlboro alle sue labbra.
“Non si fuma, in casa mia” dice autoritario, sfilandole la sigaretta incastrata tra i suoi denti.
“Casa tua?”
“Beh, sì, credevi che fossi un abusivo o qualcosa del genere?”
Finge una risata, Victoria, stendendo le gambe sul  quel tavolino, che lo sa, sarà sempre e solo usato per quella funzione.
“No, Harry Styles, non credevo a niente di questo genere, tu e la tua giacca leopardata siete a posto, credo”
È Harry a ridere, stavolta. Si accomoda affianco alla sua nuova coinquilina, imitandola, appoggiando i suoi stivaletti neri numero 43 accanto alle gambe di Victoria.
“Anche tu, Victoria James, in arte Alice, con le tue sigarette tra le labbra ed il paese delle meraviglie in testa”. 

 

 


 
ciao a tutte gioie :)
allora, in realtà non so da quant'è che non posto nulla, penso molto però..
comunque volevo dirvi che non sono sempre presente perchè sto facendo l'ultimo anno di liceo, cioè, capite? la maturità, aiuto, cioè.
okay, so che sarete comprensive.
bene, questo è il primo capitolo, spero vi piaccia, compare la figura di Harry, che non è una mia storia se non c'è Harry come compagno di viaggio.
chi mi segue da un pò capirà penso, ahahahaha, senza harry non ci so stare oh, è più forte di me.
nel prossimo capitolo comparirà il protagonista maschile, signore e signori, zayn malik.
e nulla, spero che anche la protagonista femminile vi piaccia, Vic, che è un tantino particolare..
okay, vi lascio e vi adoro, alla prossima <3
alaskha



 
 



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