DämonsAuge - L'Occhio del Demone

di Carlos Olivera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

 

 

Il generale scostò leggermente i lembi della sua tenda, volgendo gli occhi verso la città che, abbarbicata su di una collina dall’altro lato dell’imponente fiume, risplendeva degli incendi che le divampavano tutto intorno.

I rimbombi dei cannoni riempivano l’aria, ed il cielo era solcato di lagni del re i cui cavalieri cercavano, vanamente, di arrestare l’opera degli assedianti assaltando le imbarcazioni che facevano ininterrottamente la spola tra una sponda e l’altra, trasportando morti e feriti in una direzione e nuova carne da macello nell’altra.

Ai piedi delle mura, come lucciole immobilizzate a terra, fiammelle di torce percorrevano su e giù per le trincee scavate dagli imperiali lungo la collina, e che ad ogni giorno che passava si facevano, agli occhi degli assediati, un po’ più vicine.

«Questa guerra è iniziata quando mio nonno era ancora un bambino. E probabilmente i miei figli faranno in tempo ad avere dei pronipoti prima che qualcuno cominci anche solo a pensare di farla finire.»

Una palla di fuoco lanciata da uno dei lagni colpì in pieno una delle barche da trasporto, che stipata anche di munizioni e polvere pirica esplose in un tremendo boato illuminando a giorno il fiume e liberando una potente esplosione.

«Un tempo, questo fiume divideva in due i nostri due Paesi» disse, con fare quasi sconsolato, tornando a guardare il suo inatteso ospite. «Ma aver riconquistato le terre che ci erano state tolte ormai non basta più al nostro imperatore. Ne ha fatta una questione personale. Loro hanno occupato la nostra terra, noi occuperemo la loro.

Invece, ormai sono quasi sei mesi che siamo bloccati qui, ad assediare questa maledetta città, e quei bastardi non ne vogliono sapere di cedere.»

Il giovane non sembrava ascoltarlo, ed osservava con fare distratto la grande mappa della regione srotolata sul tavolo al centro della stanza, puntellata in ogni dove da soldatini e bandierine.

«Ma immagino che questo non le interessi. Dico bene signor…»

«Arthur» rispose lui con un mormorio appena percettibile, ulteriormente affievolito dal cappuccio del pesante mantello che gli cingeva le spalle.

Gli ufficiali presenti si guardarono tra di loro, perplessi e confusi.

«Ah già, signor Arthur. Ho sentito molte storie sul vostro conto. L’imperatore sembra tenervi in grande considerazione. Mi hanno detto che avete anche salvato il principe Philip da un tentativo di omicidio organizzato dalle spie del regno.»

«È stato solo un caso.»

«Sapete che mi sono sempre domandato come foste fatto? Non sembrate esattamente come vi dipingono i racconti popolari.»

«La lettera dell’imperatore che vi ho mostrato mi autorizza a transitare per questa regione e ad entrare nel regno» tagliò corto il giovane. «Vi sarei grato perciò se mi indicaste il punto più agevole per poter guadare il fiume.»

«Punti agevoli ce ne sono quanti ne volete, il problema è stabilire se siano sicuri.»

Le urla dei sopravvissuti all’affondamento dell’ultima barca e portati faticosamente a riva risultò più eloquente di qualunque altra parola.

«Quei maledetti lagni battono il fiume in lungo e in largo. Di dieci barche ne abbattono ogni volta almeno tre. È dura trovare un punto di guado in cui non si rischi la vita.

Però so che c’è un vecchio villaggio di pescatori a sud di qui, a una decina di miglia. Sicuramente ora sarà abbandonato, ma forse c’è ancora una barca con cui potrete attraversare il fiume.»

Detto questo il generale si affrettò a scarabocchiare un foglio di autorizzazione che avrebbe protetto Arthur dalle pattuglie disseminate lungo tutta la sponda, o che più realisticamente avrebbe protetto loro da lui.

«Posso domandarvi di preciso cosa state andando a fare nel regno?»

«Sto cercando qualcuno.»

«Dia retta a me, non esiste nessuno tanto pazzo da avventurarsi in quell’inferno, tra credenti infervorati, tagliagole e predicatori folli, soprattutto ora che infuria questa benedetta guerra.»

«La persona che cerco non rifugge le guerre» replicò il giovane prendendo il documento arrotolato e facendolo scomparire dentro il mantello. «Le provoca.» e detto questo fece per lasciare la tenda

«Ho sentito che siete interessato a storie e leggende inerenti alla scomparsa o distruzione di città e villaggi» lo intercettò il Generale prima che potesse uscire. «Quando ero bambino i vecchi del villaggio parlavano di una cittadina poco oltre il confine, Ludgored, che secondo loro sarebbe stata spazzata via in una notte da un demone bianco.»

Arthur si bloccò, stringendo con forza il lembo della tenda, quindi, con l’anziano comandante che lo guardava sorridendo, se ne andò senza dire un’altra parola.

 

Fuori dalla tenda, seduto attorno ad un bivacco, un ragazzetto dall’aria ebete era intento a spillare a carte qualche soldo ad un gruppetto di soldati.

Aveva un portamento leggermente gobbo, occhi di un blu insolito e capelli ispidi biondi nascosti quasi interamente sotto un vistoso cappello a cuffietta.

I soldati si erano già insospettiti per il suo continuo vincere, e i loro dubbi divennero certezza quando, chinatosi a raccogliere l’ennesima vincita, il ragazzetto fece scivolare inavvertitamente fuori dalle maniche una piccola collezione di re e di assi, sbiancando subito per lo spavento.

Fortuna volle che il giovane dal mantello nero che la truppa aveva visto entrare nella tenda del Generale si ritrovasse a transitare in quel momento accanto al fuoco, procedendo tuttavia per la sua strada senza fermarsi ad assistere alla situazione.

«Mio signore, aspettatemi!» strillò il ragazzetto correndogli dietro, ma riuscendo a raggiungerlo solo al limitare del campo.

Insieme, o per meglio dire camminando uno due passi avanti all’altro, percorsero in silenzio la strada che correva lungo l’argine del fiume, raggiungendo nel cuore della notte il villaggio abbandonato di cui aveva parlato il Generale.

Tutto intorno era solo buio e silenzio, e persino gli echi della battaglia sembravano molto più lontani; le case erano fatiscenti, alcune incendiate, e quelle poche barche che non erano già state assalite dalle conseguenze dell’incuria apparivano bruciate e devastate, segnali inequivocabili del passaggio di soldati e saccheggiatori.

«Che seccatura» mugugnò Gora avventurandosi in quella specie di cimitero di legno. «Però a ben pensarci potremmo usare il vostro potere, mio signore. Con le sue capacità sarebbe uno scherzo arrivare dall’altra parte.»

L’interessato però non rispose, quasi non lo avesse sentito, seguitando a guardarsi attorno.

«Ah già, dimenticavo» si rispose da solo. «Se usiamo i nostri poteri, quelli ci beccano subito. Dico bene?»

Alla fine, aperta la porta di una specie di rimessa, Gora si imbatté in un piccolo barchino da tre posti provvisto di remi, un po’ vecchio e scolorito ma a prima vista in buono stato.

«Ehi, questo sembra a posto! Forse possiamo usarlo! Mio signore!»

Quando si volse, però, Arthur si stava di nuovo allontanando.

«Vado ad esplorare la zona.»

«Come!? Ma, mio signore! Dobbiamo mettere la barca in acqua!»

Ma fu tutto inutile.

«In altre parole dovrò farlo da solo» imprecò tra sé e sé, prendendo dopo poco a tirare quella barca incredibilmente pesante verso la sponda. «Un giorno o l’altro lo uccido, parola mia!».

 

Arthur girò attorno al villaggio, raggiungendo la palizzata mezza abbattuta ed avventurandosi tra le poche casupole che sorgevano subito dopo di essa.

Non c’era segno di cadaveri o di combattimenti; probabilmente gli abitanti avevano fatto in tempo a scappare.

Entrato in una di quelle catapecchie, il giovane si inginocchiò accanto a quello che restava di un focolare, saggiandone la cenere; era fredda e bagnata, e doveva essere passato molto tempo dall’ultima volta che une pentola era stata scaldata lì sopra.

«Non può essere» mormorò con fare preoccupato. «Anche qui?»

Due occhi rossi si accesero nel buio, strisciando con fare serpentino a pochi passi dal tetto impagliato, puntandosi minacciosi verso il giovane di spalle. Lui non si mosse, apparentemente ignaro, ma come un sibilo sinistro riecheggiò nel silenzio, e quegli occhi si avvicinarono, si volse con grazia felina, afferrando in una morsa la testa triangolare di un essere a metà tra un insetto ad un serpente, la pelle nera e grinzosa, simile al carbone, una bocca a più mandibole concentriche ed un lungo corpo sinuoso, che immobilizzato tentava inutilmente di liberarsi.

Dopo averlo stretto fin quasi a soffocarlo Arthur lo sbatté violentemente a terra, schiacciandolo sotto il piede, e un attimo dopo che ebbe infilato la mano nel mantello il luccichio scintillante di una lunga e slanciata lama diamantata parve quasi accecare la creatura, che ebbe appena il tempo di guardare quell’oggetto meraviglioso prima che la punta gli tranciasse di netto la testa, tramutando tutto il suo corpo in una fuliggine densa e fangosa simile a catrame.

Nello stesso istante Gora, che era riuscito finalmente a mettere a mare la barca e cercava di riprendere fiato, quando una improvvisa e sgradevole sensazione lo fece trasalire.

«Ma cosa…» disse incredulo.

Quando raggiunse, di corsa, la capanna, Arthur ne stava già uscendo, la spada ancora in mano e lo sguardo basso.

«Mio signore, era…»

«È passato da qui. Era uno dei suoi servitori.»

«Quindi… era davvero… un seed

«Muoviamoci.»

Senza aggiungere altro salirono entrambi in barca, immergendo i remi in acqua e prendendo a pagaiare il più velocemente possibile verso l’altra sponda, mentre i fuochi in lontananza aumentavano progressivamente di intensità, tingendo il cielo nero di un tetro bagliore rosso sangue.

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Eccomi qua con una nuova storia, stavolta eccezionalmente distaccata dalle altre inerenti alla saga di Tales Of, la cui lunghezza dovrebbe attestarsi attorno agli 8-10 capitoli, prologo escluso.

Come ho accennato nell’introduzione si tratta di un sequel de “La Mano della Dea”, scritto dalla mia grande amica e beta Ely, ovviamente con il suo benestare.

Se non l’avete fatto andatela a leggere, perché merita, senza contare che in caso contrario vi sarebbe difficile riuscire a capire questa.

Spero che incontrerà il vostro interesse.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 2
*** 1 ***


1

 

 

La traversata risultò più difficile del previsto, poiché le correnti del fiume erano imprevedibili e spesso impetuose, e complice anche una notte senza stelle riuscire ad orientarsi risultò piuttosto difficile.

Poi, quando mancava poco allo spuntare dell’alba, finalmente Arthur e Gora raggiunsero la riva opposta, mettendo piede per la prima volta nel territorio del regno.

«Ma perché devo fare sempre tutto io?» imprecò Gora tirando faticosamente la barca a terra e assicurando la cima ad una radice.

Solo quando vide l’appiglio in questione scivolargli via da sotto le mani si accorse che ad emergere dalla fanghiglia non era un pezzo d’albero, ma il braccio di un cadavere, la cui comparsa improvvisa da sotto la melma con gli occhi spalancati e la bocca aperta lo fece quasi saltare per lo spavento; non che non fosse abituato ad avere a che fare con i morti, ma i suoi nervi non erano fatti per simili sorprese.

«Ma che diavolo…»

Arthur tornò un momento indietro, accorgendosi prima del suo compagno che quello non era il solo cadavere accatastato lungo la sponda; l’acqua, poi, era tutto un brulicare di corpi, poveri sventurati trascinati via dalla corrente: soldati soprattutto, ma anche donne, vecchi e bambini, molti dei quali mutilati o segnati da orrende ferite.

Gli occhi di entrambi corsero all’orizzonte, verso la città, che da un momento all’altro aveva iniziato a brillare più forte, tramutandosi in una enorme torcia accesa nell’oscurità, emanando fiamme di morte.

«Mio signore, voi credete che…»

Un gemito li fece trasalire.

Poco distante, nascosto nel canneto, un soldato di fanteria rantolava i suoi ultimi respiri; la ferita che gli aveva dilaniato lo stomaco non appariva inferta con una spada o con la magia: sembrava più il morso di una belva, che aveva dilaniato le carni e lacerato gli organi.

«Cosa è successo?» domandò Arthur aiutandolo a tenere la testa fuori dall’acqua

«M… mostri…» disse quello un attimo prima di morire. «Sono apparsi all’improvviso. Hanno ucciso… ucciso tutti. Gli imperiali sono entrati… la città è caduta…»

Nei suoi occhi c’era il terrore, che seguitò a perdurare anche quando il soffio vitale si fu definitivamente esaurito, lasciando impressa su quel volto una spaventosa maschera di terrore.

«Mio signore, pensate che quei mostri di cui ha parlato…»

«Muoviamoci.» disse Arthur posando a terra il corpo ed avventurandosi a passo spedito nel folto degli alberi che lambivano la riva.

 

La piccola divisione di soldati reali procedeva in colonna lungo la strada maestra che tagliava la foresta, in silenzio e a passo di marcia, con alla testa il Colonnello Owan ed il suo secondo in comando, il Capitano Drake.

«Quanto manca per arrivare a Barenheim?» domandò il Capitano

«Non molto. Saremo lì per domani a mezzodì.»

Lontano dalla prima linea, immerso nella schiera di soldati che avanzavano, un giovane poco più che ventenne procedeva scudo a goccia in braccio e visiera dell’elmo sollevata, sorreggendo a spalla con la mano destra, stranamente rinchiusa all’interno di un guanto metallico, una lunga lancia alabardata in cima alla quale era annodato un lungo nastro di seta blu.

«Mi sembri nervoso, Niza» gli disse il soldato che gli stava accanto, sensibilmente più anziano di lui, pelle scura da nomade del sud e baffoni ridondanti malamente pettinati. «Eppure non è la tua prima battaglia.»

«È che si tratta di una cosa talmente seria, Gorm» rispose il ragazzo. «Barenheim è la nostra principale linea difensiva, e se dovesse cadere…»

«Non essere così pessimista!» esclamò il gigante ridendo di gusto. «Ho passato più tempo sui bastioni di quella città che nel letto di mia moglie, e puoi credermi se ti dico che quelle mura non andranno giù tanto facilmente! È la fortezza più inespugnabile del continente! Neppure la Dea riuscirebbe ad abbatterla!»

«Il tuo problema è che spergiuri un po’ troppo.»

«Non sono un buon credente, dovresti saperlo. Ho visto tanto di quel marcio nel corso della mia vita che credere in qualcosa mi risulta assai difficile.

Ma del resto a voi giovani non manca la fantasia. Anche quella aiuta a sentirsi motivati, in fin dei conti.»

Un grande albero che svettava a lato della strada cadde fragorosamente ostruendo il passaggio, e non serviva un genio per accorgersi che non si era trattato di una caduta accidentale.

«Imboscata!» strillò immediatamente il comandante. «Formazione difensiva!»

I soldati, pur disciplinati, impiegarono qualche attimo a rendersi conto di quanto stava accadendo, e prima che avessero il tempo di formare una barriera a cerchio per coprirsi vicendevolmente le spalle palle nere grosse come pietre presero a piovere loro addosso da tutti i lati del sentiero, esplodendo al contatto con la terra o con gli scudi e generando tremende deflagrazioni che sventravano corpi e distruggevano carri, oltre a ricoprire la strada di un fumo denso e acre, fitto come il fumo.

Chi aveva avuto già modo di combattere in guerra conosceva bene quel ritrovato spaventoso; il regno non era ancora riuscito a produrlo, non in grandi quantità almeno, ma se c’era una cosa che rendeva pericoloso l’esercito imperiale era proprio la superiorità tecnologica.

Mentre il fumo ancora si sollevava, e il nervosismo iniziava già a dilagare tra le truppe, nugoli di soldati imperiali spuntarono dalla nebbia da tutte le direzioni, avventandosi per larga parte contro la colonna malamente disposta mentre da dietro i loro compagni fornivano loro copertura tirando frecce a ripetizione.

Travolte da ogni direzione, le truppe reali opposero una resistenza caparbia, ma che nonostante la differenza numerica a loro favore si trasformò ben presto in una disperata lotta per la sopravvivenza, con intere divisioni che cadevano una dietro l’altra sotto la spinta inarrestabile degli imperiali e delle loro armi micidiali.

Niza e Gorm si aiutavano l’un l’altro, con il primo che persa la lancia aveva sfoderato una spada tanto magnifica quanto inusuale, più simile ad una scimitarra che ad un comune spadone, ideale per tagliare di netto le spesse corazze imperiali con tanto di occupanti, ed il secondo che come una specie di ciclope mulinava il mazzafrusto in tutte le direzioni aprendo teste come fossero meloni.

Ma con la morte del generale, seguita quasi subito da quella del suo vice, quello che restava dell’armata andò completamente nel panico, e a quel punto i più pensarono solo a trovare un modo per scappare, venendo però massacrati senza scampo appena cercavano di voltare le spalle alla battaglia.

Gorm da un momento all’altro si ritrovò isolato e circondato di nemici, e malgrado la sua ostinata resistenza alla fine tre spade lo trafissero quasi contemporaneamente, anche se fu necessario un affondo di lancia dritto nel collo per riuscire ad abbatterlo del tutto.

«Gorm!» gridò Niza vedendolo scomparire dietro il profilo dei suoi assassini.

Provò a correre verso di lui, ma subito dopo aver mosso un passo vide una di quelle palle nere rotolargli inerte davanti ai piedi, la miccia accesa e quasi consumata.

«Oh, per la Dea!».

L’esplosione lo travolse prima che avesse il tempo di buttarsi completamente a terra, scaraventandolo via; le orecchie quasi gli scoppiarono per il frastuono, e l’ultima cosa che sentì prima che tutto si oscurasse furono le grida agonizzanti dei suoi ultimi compagni rimasti vivi che cadevano tutto intorno a lui.

 

Arthur e Gora avevano lasciato il fiume già da alcuni giorni, accampandosi solo poche ore a notte, ma la verità era che stavano procedendo alla ceca.

Nessuno dei due aveva idea di dove fosse il villaggio che stavano cercando, o quello che ne rimaneva, tranne il fatto che, a dare retta all’unico taglialegna che gli era riuscito di incontrare, doveva trovarsi da qualche parte verso est, forse neanche troppo lontano da lì.

Si tenevano lontani dalle strade principali e dai centri abitati, ma era il minimo; con quello che stava succedendo, e dato che quasi sicuramente Barenheim era caduta, era impossibile sapere come avrebbe reagito la popolazione locale se avessero scoperto da dove provenivano.

Ma se Arthur aveva qualche idea di cosa stesse facendo o chi stesse cercando, Gora di contro sembrava saperne ancora meno; seguiva Arthur come un cagnolino, standogli sempre un passo indietro, e benché non gli fosse espressamente ordinato eseguiva sempre tutti i compiti più umili, ricevendo in cambio il più delle volte null’altro che una silenziosa indifferenza.

 In compenso possedeva, a dispetto della postura a volte un po’ gobba e del suo incedere incerto, un’agilità quasi sovrumana, e durante le marce spesso seguiva il suo signore dall’alto degli alberi, saltando da un ramo all’altro come una scimmia sì da poter scorgere anzitempo eventuali pericoli.

E fu proprio durante una di queste esplorazioni dall’alto che il ragazzo, aguzzata la vista ed il naso per fendere la nebbia densa e umida che li avvolgeva, percepì distintamente qualcosa di insolito.

«Mio signore, lo sentite anche voi?»

Anche Arthur allora si concentrò, e non gli occorse molto per notare anche lui uno strano odore.

«Polvere pirica» mormorò. «E sangue» e poggiata una mano al suolo gli bastò scostare un po’ le foglie per scorgere tracce evidenti del passaggio di uomini: molti uomini. «Duecento soldati; forse di più. Imperiali.»

Più per curiosità che per vera volontà di aiutare eventualmente qualcuno i due seguirono quell’odore, che diventava via via sempre più forte, fino a giungere sul ciglio di una strada completamente tappezzata di corpi senza vita, per la grandissima parte soldati reali, trafitti e sventrati da colpi di armi bianche o dilaniati dalle esplosioni delle granate.

Nessuno dei due parve eccessivamente sconvolto, benché quello spettacolo fosse tale da mettere a dura prova anche lo stomaco più forte; tuttavia, se la reazione di Arthur fu la solita indifferenza, quasi quello scempio di corpi non lo toccasse minimamente, Gora di contro, battute due volte le mani e chiusi un attimo gli occhi come a rivolgere una preghiera ai caduti, si avventurò con fare famelico tra i cadaveri appena i suoi occhi caddero per caso su alcune monete d’oro scivolate fuori da un sacchetto tagliato e semi nascoste dal fango.

Arthur non disse nulla, neppure quando il suo seguace prese a spostare corpi nella speranza di trovare qualcosa tra quelli ammassati più in basso, infilando poi ogni oggetto di valore nella borsa lasciata a penzolare dalla cintura.

«Accidenti, quanto pesa!» mugolò scostando un cavallo da tiro sotto il quale si intravedevano delle gambe.

Sotto di lui comparve effettivamente un altro soldato, un ragazzo, che però come Gora fece lo ebbe davanti agli occhi li vide aprire d’improvviso la bocca, gemendo con forza alla ricerca di aria.

«Mio signore, questo è ancora vivo!» disse appena smaltito lo spavento.

Quando Arthur lo raggiunse Gora aveva già liberato dalla catasta di cadaveri quel poveretto, mettendone a nudo le condizioni pietose; la parte sinistra dell’armatura era completamente aperta, ed erano evidenti i segni di una esplosione anche piuttosto ravvicinata, che aveva bruciato la carne e incenerito la tunica sottostante.

Al centro della celata, lasciata aperta, era conficcato un grosso pezzo di metallo, probabilmente un detrito; se fosse stata abbassata, quella specie di grossa punta avrebbe certamente trapassato la calotta, ma evidentemente, nella sfortuna, quel tipo era stato parecchio fortunato.

Ciò non toglieva che stesse comunque molto male, e a meno di non ricevere cure adeguate era probabile che non sarebbe sopravvissuto a lungo.

«Che cosa facciamo, mio signore?»

Arthur si inginocchiò accanto al ragazzo, e sollevatagli la testa si strappò con uno scatto veloce il curioso pendente a punta di freccia che portava al collo, iniziando a passarlo lentamente sulle parti ferite; la strana pietra opaca incastonata al centro del monile si accese di una luce dorata, e come d’incanto le bruciature, le piaghe e i fendenti iniziarono a rimarginarsi, sostituendo i tessuti danneggiati con altri nuovi ed in perfetta salute.

Il ragazzo mugolò qualche secondo, ma subito dopo il suo volto, da contrito per il dolore che era, si distese, fino a che non diede l’impressione di stare semplicemente dormendo un piacevole sonno, dal quale, faticosamente, si ridestò dopo che Arthur si fu allontanato al termine della guarigione.

«Che… che è successo?» chiese riprendendo conoscenza.

Poi, un fulmine parve folgorarlo.

«La battaglia!» esclamò, e con un balzo fu in piedi, ma accortosi dello spettacolo che aveva intorno le ginocchia gli tremarono a tal punto che per poco non cadde nuovamente.

«Che è successo qui?» chiese Arthur

«Erano truppe dell’Impero. Ci sono saltate addosso all’improvviso. Ricordo che stavo combattendo, c’è stata un’esplosione…» poi il ragazzo notò un bisonte nero riverso sulla pancia e con il corpo trafitto da più spade, ed i suoi occhi si fecero ancor più lucidi. «Gorm…» quindi, un pensiero gli accese nella sua mente. «Devo raggiungere subito Barenheim! Devono sapere che gli imperiali hanno passato il fiume.»

«È inutile» gli rispose Gora. «La città è caduta.»

«Cosa!?» sbiancò il ragazzo. «Caduta!? Barenheim!?»

«Come credi siano arrivati fin qui gli imperiali che vi hanno attaccati!?»

«Ma allora… se le truppe imperiali hanno preso Barenheim, presto dilagheranno per tutta questa regione.»

«O probabilmente l’hanno già fatto» rispose funereo Arthur. «Fossi in te me ne andrei da qui il prima possibile, o la prossima volta potresti non essere così fortunato.»

«Ma voi come le sapete tutte queste cose? Eravate anche voi a Barenheim? Ci sono altri sopravvissuti?»

I due non risposero, e Gora si lasciò sfuggire un’occhiata preoccupata all’indirizzo di Arthur che il soldato non ebbe problemi ad interpretare; effettivamente c’era qualcosa di strano nell’accento e nell’atteggiamento di quei due stranieri, qualcosa che, date le circostanze, poteva dare adito ad una sola spiegazione.

«Siete imperiali anche voi!» esclamò il soldato raccogliendo da terra la prima arma che gli fu possibile, una spada spezzata all’estremità è oltretutto tutta scheggiata.

Arthur non mosse un dito, mentre Gora parve preoccuparsi, facendo qualche passo indietro e lasciando cadere il suo bottino.

Seguirono attimi di profonda tensione,  con un silenzio rotto solo dal frusciare del vento tra gli alberi, e dall’insopportabile ronzio delle mosche che già avevano iniziato a banchettare coi cadaveri. Per tutto il tempo Arthur e il soldato seguitarono a fissarsi negli occhi, con quest’ultimo che pur non avendo perso la veemenza iniziale sembrava meno determinato ad attaccare di poco prima.

«Mi sembri abbastanza accorto da capire che non ti conviene farlo.» rispose calmo Arthur

E infatti, alla fine, il giovane desistette, lasciando cadere la spada, con Gora che si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.

«Inoltre, se fossimo davvero tuoi nemici, perché avremmo dovuto prenderci la briga di salvarti?»

Solo in quel momento al giovane soldato venne in mente di guardare il proprio corpo, trovandolo incredibilmente sano e privo di qualunque ferita di guerra; ma lo stupore più grande, tale da spingerlo quasi alle lacrime, fu quando si guardò la mano che aveva retto la spada un attimo prima, sana e forte come ci si aspetterebbe da un giovane di robusta costituzione come lui.

«Non… può… essere…»

Mentre ancora quel ragazzo si fissava esterrefatto la mano Arthur girò le spalle e fece per andarsene, seguito subito da Gora.

«Dammi retta, vattene da qui. Le truppe imperiali potrebbero saltarti addosso in ogni momento.»

«Aspettate! Perché siete qui? Dove siete diretti?»

«A Ludgored

«Ludgored!? E che cosa c’è laggiù di tanto interessante da spingervi a giungere fin qui dall’impero?»

«Non ti riguarda.»

«D’accordo. Ma almeno sapete come arrivarci?»

Arthur si fermò, colpito dalla sottile ed intelligente malizia insita in quelle parole. Quando si volse nuovamente il giovane soldato era di nuovo in piedi, intento a sfilarsi l’armatura ormai inutile e a cercare fra i corpi una spada ancora in buone condizioni.

«Se questo posto è pericoloso per me, prima o dopo potrebbe diventarlo anche per voi. Nessuno sarà disposto ad aiutarvi quando capiranno da dove venite, per non parlare dei soldati e delle truppe reali che sicuramente si stanno già dirigendo qui.

L’avete detto voi, io non sono uno sprovveduto. So perfettamente che non sopravvivrei un giorno da solo. La verità è che possiamo aiutarci l’un l’altro.

La fortezza di Uppenhal è il castello più vicino, e con la caduta di Rubinheim diventerà sicuramente la nuova linea del fronte. Aiutatemi ad arrivare laggiù e io in cambio vi rivelerò come arrivare a Ludgored

Di nuovo i due si scrutarono, cercando di leggersi vicendevolmente nell’anima, e nel momento in cui il giovane soldato vide Arthur porgergli la mano per aiutarlo a risalire lungo l’avvallamento quest’ultimo capì di avercela fatta.

«Posso sapere il tuo nome?»

«Arthur. E il tuo?»

«Niza

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Capitolo 3
*** 2 ***


2

 

 

Nella capitale del regno, la vita scorreva tranquilla.

Da tempo la gente aveva smesso di interessarsi alle faccende relative alla guerra con l’Impero, nonostante le voci circa la perdita di tutti i domini e i territori conquistati al di là dei confini che avevano costretto molti coloni a tornare indietro.

Abbarbicato sulla collina più alta, il Tempio della Dea svettava su ogni altra cosa, incluso il palazzo del re, etereo ed al tempo stesso imponente occhio della divinità spalancato sui suoi sudditi.

Per l’Impero quella della Dea era una religione eretica, come del resto lo era il culto degli spiriti e degli elementi per gli abitanti del Regno, e forse era anche per questo che persino il Tempio, nonostante la sua apparente estraneità alle questioni politiche, fosse tanto interessato all’andamento della guerra.

Per questo, nessuno si stupì dell’arrivo in città di un messaggero diretto all’acropoli; a stupire ormai era la sua fretta, la sua espressione sconvolta, e le misere condizioni del suo cavallo, che sembrava aver attraversato di corsa tutto il regno e ormai prossimo alla morte tanto appariva stremato.

I Guardiani lo fermarono al cancello, ed il loro nerboruto capitano, Roland, detto Barbarossa per il colore cremisi della folta peluria che gli scendeva fino al petto, si fece avanti per interrogarlo.

«Fermo, in nome della dèa!» ordinò. «Come osi entrare in modo tanto irrispettoso in questo luogo sacro? Cosa vuoi?»

«Vengo da Barenheim! Devo conferire subito con la Venerabile!»

«Sei impazzito? La Venerabile non riceve nessuno. Dai a me il tuo messaggio, e se lo riterrò opportuno farò in modo che giunga alle sue orecchie.»

 

Agli uomini, fossero essi pellegrini, devoti o persino gli stessi Guardiani, era proibito nel modo più assoluto di avere accesso al tempio principale.

Nonostante ciò pochi minuti dopo Roland sfondò letteralmente le porte che immettevano nell’anticamera, la soglia massima entro cui persino lui non poteva andare, ma nelle condizioni in cui appariva era difficile dire se sarebbe stato in grado di non procedere oltre qualora la Veneranda Esther, Prima Sacerdotessa e consigliera fidata della Venerabile Chana, non si fosse trovata casualmente lì per altre faccende.

«Spero che questa mancanza di rispetto sia giustificata, Capitano Roland.»

«Mia Signora, una notizia gravissima. Dovete chiedere subito udienza alla Venerabile! Barenheim è stata conquistata dall’Impero!»

Anche l’anziana badessa, a quel punto, si pietrificò, facendosi più bianca della veste che portava.

«Come avete detto!?»

A quel punto non era davvero possibile non informare la Chana, e difatti la Veneranda Esther, congedato il Capitano e tutte le altre sacerdotesse, entrò da sola nel cuore del tempio, raggiungendo a passi svelti l’altro capo della navata dove, inginocchiata al suolo apparentemente in preghiera, stava la Venerabile Alimad, ultima Chana della Dea, i capelli lunghi impreziositi da filamenti dorati, la veste candida e innumerevoli gioielli, alcuni dei quali sembravano letteralmente incastonati nella pelle olivastra, liscia come il tessuto.

«Mia Signora» disse la badessa. «Porto notizie gravi.»

«Talmente gravi da disturbarmi durante le mie preghiere?» domandò seccata Alimad alzandosi e fulminandola con i suoi occhi di ghiaccio.

«Sono terribilmente desolata per l’accaduto, ma le circostanze lo richiedevano.

Giungono notizie terribili dal fronte. La città di Barenheim è stata conquistata, e quasi tutte le truppe che la difendevano sono state uccise.»

Stranamente, la Chana non si scompose più di tanto; non che vi fosse da esserne sorpresi, per qualcuno che della vita e del mondo al di fuori della capitale sapeva poco e niente.

«Sua maestà ha convocato il Consiglio di Guerra, e i nobili stanno discutendo le prossime azioni da compiere. Sembra che l’intenzione sia quella di organizzare una nuova linea del fronte all’altezza di Olon, lungo le Alture Radiose, anche se significherà abbandonare a loro stesse numerose città e regioni d’oriente.»

«E tu interrompi le mie meditazioni solo per dirmi questo?»

«Veramente, no» deglutì l’anziana. «Il problema è che, stando ai primi resoconti, Barenheim non sarebbe caduta per opera degli imperiali. Non solo, almeno.

I pochi superstiti parlano di strane creature, sbucate dal nulla, che hanno assalito la guarnigione direttamente dall’interno, dando così modo all’esercito imperiale di penetrare indisturbato in città.»

«Forse alcuni di quegli uomini hanno esagerato con il vino. O forse sono scappati, inventando questa scusa assurda per giustificare la loro codardia.»

«Il fatto è che i racconti coincidono mia signora. Prego la Dea di sbagliarmi, ma il mio timore è che gli imperiali abbiano fatto ricorso alle loro arti malefiche per evocare in questo mondo i loro falsi dèi e potersene servire in battaglia.»

«Se sono falsi, come avrebbero fatto ad evocarli?» domandò la Chana quasi con sfida

«Perché non sono dèi, Mia Signora. Sono demoni. Creature infernali, le stesse che la nostra Santa Madre ricacciò nelle profondità oscure quando scese in mezzo a noi per purificarci dalle false dottrine e spingerci a riconoscere la Vera Fede.

Ma l’Impero non ha mai rinnegato le proprie credenze eretiche, e ora se ne serve contro di noi.»

«Secondo me voi viaggiate un po’ troppo con la fantasia, Esther. Io non credo ai demoni.»

«Nemmeno io, mia signora. Mi risulta difficile credere a tutta questa voi tanto quanto a voi.

Però non possiamo ignorare un tale pericolo, senza contare che avendo ora la strada spianata all’interno del regno gli eretici imperiali potranno diffondere liberamente la loro fede pagana tra le popolazioni conquistate, infangando e minando la sacra parola e la reputazione di Vostra Magnificenza.

Il mio umile suggerimento è di autorizzare l’invio ad oriente della Santa Inquisizione e delle sue truppe.»

«Fai quello che ti pare» fu la risposta piccata della Chana. «Sei tu quella esperta di certe questioni.»

«Come desiderate, mia signora.»

La badessa a quel punto fece per andarsene, ma fatti due passi si voltò nuovamente verso la sua Chana.

«Un’altra cosa, e spero mi perdonerete.»

«Che altro c’è?»

«Se voleste umilmente seguirmi nell’anticamera, c’è qualcuno che vorrei farle conoscere.»

«Non voglio vedere nessuno. Sono stufa di pellegrini morti di fame che vengono qui in cerca di preghiere e monete d’oro.»

«No, nulla di tutto questo. Fidatevi di me.»

Chiedere ad Alimad di fidarsi di qualcuno era come chiedere alle sfere celesti di girare in senso opposto, e solo la badessa sapeva come avere ragione del suo carattere a volte davvero impossibile.

Alla fine, ancora una volta, la convinse.

«Ora che l’Impero è penetrato nel regno» spiegò la badessa mentre percorrevano la navata. «Il pericolo rappresentato dalle spie e dagli assassini che potrebbero attentare alla vostra vita è indubbiamente aumentato, poiché la vostra morte demoralizzerebbe senza dubbio le nostre truppe.

Così, dando seguito alla richiesta che mi avevate fatto, ho cercato in ogni angolo del regno, alla ricerca dei più valenti ed esperti cavalieri, cui affidare il compito di proteggere in ogni quando e in ogni dove la vostra persona.»

Come le porte dell’anticamera si aprirono, dinnanzi alle due chieriche si palesarono tre giovani in abiti bianchissimi, tanto da farli rassomigliare a loro volta a dei sacerdoti, belli come la luna, due uomini e una donna; i primi due avevano dei tratti molto gentili, quasi femminei, lunghi capelli argentei, quasi azzurrini, l’uno e una corta chioma paglierina l’altro, la donna invece sfoggiava una lunga e fluente chioma nera raccolta in due ampie code lasciate cadere all’indietro.

Tutti e tre avevano gli occhi di un insolito colore rosso, quasi una tonalità sangue, e vi era un che di enigmatico nel loro sguardo: sembrava quasi di potervi leggere molte, forse persino troppe cose.

«Mia signora, vi presento i vostri fidati custodi» e li presentò uno per uno, a cominciare dal giovane dai capelli d’argento. «Zante, il silenzioso esecutore. Costui è Galinin, l’uccisore di giganti. Lei invece è Celia, l’occhio della fede.

Loro tre insieme valgono più di un intero esercito.»

I tre fecero un inchino, salutati però dalla solita, fredda indifferenza.

«Per me uno vale l’altro, purché tengano lontani quei bifolchi di imperiali. E ora, con tutto il rispetto, vorrei starmene un po’ da sola.» e detto questo se ne andò rinchiudendosi nuovamente nel tempio.

 

Niza, Arthur e Gora continuarono per giorni ad avanzare verso occidente, valicando i Confini di Arthal che con le loro valli e basse pianure ricoperte di foreste costituivano una preda facile per l’Impero, il quale infatti aveva già iniziato una decisa avanzata incontrando una resistenza molto scarsa, per non dire quasi nulla.

Situata lungo  la via reale che collegava la capitale con le province orientali, abbarbicata su di una montagna che dominava la strada, Uppenhal era un passaggio obbligato per l’esercito nemico, nonché l’unico vero ostacolo tra i Confini di Arthal e Altura Radiosa, la cordigliera montana che da tempo immemore costituiva la più importante barriera naturale a difesa della capitale contro le incursioni da oriente.

Niza non dubitava di aver fatto la scelta giusta fidandosi di quello strano individuo e del suo ancor più strano, per non dire strambo, partner di viaggio, ma dato che la prudenza non era mai troppa cercava di non dormire troppo sugli allori e restare vigile: dopotutto si trattava pur sempre di potenziali nemici. Durante il viaggio aveva anche cercato di scoprire qualcosa di più sul conto di quei due, se non altro per capire meglio le ragioni che li avevano condotti fin lì, ma ogni volta le sue domande si erano scontrate su di un imperturbabile, quasi minaccioso, silenzio indifferente.

Dal giorno della partenza i tre non avevano incontrato altre avanguardie imperiali, scegliendo però malgrado tutto di seguitare a procedere lungo strade secondarie; probabilmente l’impero, prima di procedere ulteriormente nell’interno, intendeva consolidare le proprie conquiste lungo il confine ricostruendo i ponti sul fiume per facilitare lo spostamento di truppe, il che se non altro avrebbe dato al regno il tempo sufficiente per organizzare una nuova linea difensiva.

Definire enigmatico Arthur era poco.

Il suo accento imperiale era strano, quasi forzato, tanto da far sospettare a Niza che quella non doveva essere la sua vera lingua madre; stesso discorso per il suo compare, Gora, una via di mezzo tra una scimmia insofferente e un docile cagnolino, che sopportava l’indifferenza e la presenza di Arthur più per apparente timore che per vera e propria fedeltà.

Lasciatisi alle spalle Arthal i tre erano infine giunti alle Basse Pianure, una regione di vaste praterie, occasionali foreste e bassi altipiani, uno dei serbatoi alimentari più importanti dell’impero, e per questo, secondo Niza, da difendere a tutti i costi.

Eppure, c’era qualcosa di strano.

Passando in prossimità degli sterminati campi di riso e di cereali, malgrado la stazione del raccolto fosse ormai alle porte, questi apparivano stranamente poco frequentati, per non dire abbandonati, ettari ed ettari di terreni traboccanti di cibo abbandonati a sé stessi senza nessuno a curarli.

Ovviamente le notizie giunte dai confini dovevano aver spaventato i contadini, spingendone alcuni a cercare rifugio oltre le Alture Radiose, ma quando, raggiunta la contea di Uppenhal, il giovane e i suoi compagni seguitarono a non incontrare o quasi anima viva, un pensiero sinistro iniziò a farsi strada nella sua mente.

Ma non voleva crederci.

Non poteva crederci.

Poi, sul fare del tramonto del decimo giorno di cammino, giunsero in vista della fortezza, e già da lontano fu possibile comprendere che c’era qualcosa di molto, molto strano.

Benché ormai fosse quasi sera non vi era traccia di fuochi, né di alcun’altra luce, e sui camminamenti o tutto intorno non c’era nessuno a montare la guardia; ma soprattutto, le mura apparivano nere, e cupe fumarole si levavano da più parti, riempiendo l’aria di un acre odore di bruciato.

«Non è possibile!» esclamò Niza, che raccolte le poche forze rimastegli dopo quella interminabile marcia si arrampicò su per la collina, seguito pochi passi indietro dai suoi compagni di viaggio.

Raggiunta la cima, il giovane soldato trovò il cancello aperto, il cortile deserto, e segni evidenti di un incendio che solo da poco doveva essersi estinto, e che aveva completamente distrutto buona parte delle strutture in legno minando l’integrità stessa della struttura.

«No!» gridò cadendo in ginocchio. «Perché? Come hanno fatto ad arrivare prima di noi?»

Nella foga e nella disperazione del momento Niza non aveva notato una pergamena infilzata su uno dei battenti principali, in un punto protetto dal fuoco, marchiato a cera col sigillo reale.

Raccoltolo, Arthur lo mostrò al giovane, che lo lesse sgomento.

 

In nome di Sua Maestà il Re

Al fine di salvaguardare l’integrità e la sovranità del Regno dalla barbara incursione dell’esercito imperiale a seguito della fortezza di Rubinhaim, per ordine di Sua Maestà e del Supremo Consiglio di Guerra tutte le unità militari ancora operative devono ripiegare immediatamente verso la fortezza di Olon, oltre le Alture Radiose.

Tutto ciò che non può essere trasportato o messo in sicurezza deve essere immediatamente distrutto, fattorie, campi e granai devono essere svuotati di tutto ciò che è possibile recuperare e poi abbandonati o distrutti.

La sicurezza delle truppe e dei rifornimenti è da considerarsi prioritaria rispetto alla salvaguardia dei civili.

Il Passo di Mezzombra sarà sbarrato l’ultima notte di luna piena; chiunque non risponderà al richiamo alle armi e seguiterà a rimanere in queste terre dopo tale giorno sarà considerato un disertore.

Che la Dea vegli su di noi.

Lunga Vita al Re

 

«Non può essere» disse Niza con le lacrime agli occhi. «Hanno abbandonato l’oriente. Hanno abbandonato la popolazione alla mercé del nemico.»

«Niza» lo chiamò Arthur dal camminamento su cui era salito. «Vieni a vedere.»

Il rosso del tramonto e la fitta nebbia in cui avevano camminato in quegli ultimi giorni aveva nascosto la verità, e quel poco che restava della baldanza che aveva caratterizzato il giovane soldato per tutto quel tempo venne spazzato via dinnanzi allo spettacolo che, affacciatosi dal bastione, gli si parò dinnanzi.

Il cielo era rosso.

Ma non per il tramonto, ancora per buona parte nascosto dalla foschia. A brillare erano campi, piantagioni e interi villaggi, tramutati dai loro stessi abitanti in giganteschi roghi, si da non lasciare nulla nelle mani degli invasori. Ovunque, a perdita d’occhio, niente altro che incendi, piccoli e grandi, che illuminavano più del sole, tingendo di un rosso vermiglio le pendici delle Alture Radiose che si intravedevano in lontananza.

Per un attimo sembrò che la disperazione dovesse impossessarsi completamente di lui da un momento all’altro, ma nel momento in cui Arthur lo guardò negl’occhi in essi vide accendersi una nuova fiamma.

«Dobbiamo andare subito a casa mia!» esclamò facendo brandelli del messaggio. «I miei genitori e i miei fratelli vivono al di qua delle Alture Radiose, e il loro villaggio è troppo isolato perché possano aver ricevuto l’ordine di evacuazione.»

«Non erano questi gli accordi.» mormorò gelido Arthur

«Ti prego! Mio padre è stato una guardia del tempio! Se lo trovano lo uccideranno!

Giuro al cospetto della dèa che questo è l’ultimo favore che ti chiedo. Ludgored non è lontano dal mio villaggio. Ci basterà fare una piccola deviazione. Aiutami a raggiungere la mia famiglia e ti prometto che ti condurrò dove vuoi andare.»

Arthur temporeggiò, guardando ora i fuochi all’orizzonte ora la fredda pietra sotto i suoi piedi, a sua volta osservato da un ancor più pensieroso Gora.

«Fai come credi.»

A quel punto Niza non riuscì a trattenersi dal sorridere di gioia.

«Ti ringrazio. Grazie infinite.»

«Ora però sarà meglio muoversi. Quando gli esploratori imperiali riferiranno di questa ritirata il resto dell’esercito inizierà ad avanzare in massa, sempre che non stia già accadendo.»

«Sì, naturalmente. Vado a dare un’occhiata in giro. Forse nella fretta di andarsene hanno lasciato qualcosa di utile.»

Il giovane si avventurò quindi all’interno del forte, lasciando Arthur e Gora da soli nel cortile.

Pochi minuti dopo, casualmente, passò di lì una coppia di cavalli bradi, forse fuggiti da qualche fattoria dei dintorni, e Gora fu lesto a raggiungerli e portarli indietro pronti per essere sellati, ma quando tornò dal suo padrone si avvide che questi appariva stranamente in ansia, quasi nervoso.

Il silenzio tutto attorno era assoluto, eppure, a tendere l’orecchio, sembrava quasi di sentire qualcosa, come un tremore che scoteva impercettibilmente il terreno, ed entrambi impiegarono solo pochi attimi a percepirlo in modo nitido.

Arthur si inginocchiò, poggiando una mano sulla sabbia umida, mentre sul suo volto compariva un’espressione preoccupata.

«Mio signore…» balbettò Gora quasi spaventato mentre il suo compagno, rialzatosi in piedi, sembrava tendere al massimo ogni fibra del suo corpo, gettando da un lato il pesante mantello e mettendo a nudo la propria spada

«Arrivano.»

Il tremore si fece sempre più intenso, tanto da far tremare i sassi e vibrare le pareti; poi, come per qualche strano sortilegio, strane ed inquietanti bolle nere simili a catrame cominciarono a formarsi in terra subito oltre il muro di cinta, emettendo un fumo maleodorante e facendosi, di secondo in secondo, sempre più grosse, fino a tramutarsi in un centinaio di esseri mostruosi che di umano avevano solo la struttura.

Erano orrendi; simili a rettili, presentavano una pelle squamosa, il muso schiacciato con le ossa praticamente messe a nudo, denti aguzzi da predatori, occhi piccoli e gialli e una testa innaturalmente rotonda, come quella di un neonato. Erano tutti armati, chi con spade, chi con asce, chi persino solo con bastoni e pietre, e molti indossavano scampoli di armature arrugginite, quasi le avessero recuperate depredando cadaveri sui campi di battaglia.

Gora, come spaventato, fece qualche passo indietro, ma forse contagiato dall’apparente imperturbabilità del suo padrone quasi subito parve riscuotersi, assumendo a sua volta un tono di sfida nei confronti di quelle creature, che come mosche attirate da una carcassa cominciarono subito ad avvicinarsi, minacciose, emettendo latrati e stridii sommessi che raggelavano il sangue.

Fatti solo pochi passi, la loro avanzata sospettosa si tramutò invece in una carica furibonda, un vero e proprio assalto; fortunatamente il portone non era completamente spalancato, e i suoi battenti erano davvero troppo pesanti perché quell’orda, per quanto imponente, potesse riuscire ad aprirli completamente, così il loro ingresso nel cortile risultò alquanto complicato, dando modo ad Arthur di poterne fare scempio con relativa facilità.

A dar man forte al giovane intervenne il suo compagno, che preso messosi in bocca un pendente simile a quello di Arthur puntò il dito contro una coppia di statue ornamentali che sorreggevano le colonne del porticato, e che come per incanto si animarono di vita propria, prendendo a muoversi e unendosi a loro volta alla battaglia schiacciando quelle creature sotto le loro mani di pietra.

Niza, che nel mentre aveva trovato un po’ di cibo, delle selle e una balestra, attirato dal rumore tornò nel cortile, e fu solo per la sua prontezza di riflessi se uno dei mostri non gli mozzò di netto la testa appena varcata la porta dei sotterranei.

Pur atterrito dalla mostruosità di quelle creature il giovane non si fece prendere dal panico, e sguainata la spada si gettò nella mischia dopo aver ucciso il primo aggressore, ma nel mentre la situazione, invece che migliorare, si era aggravata: comprendendo le difficoltà di attaccare dal portone, infatti, i mostri avevano puntato invece ai bastioni, riuscendo a scalarli con le loro mani artigliate e sciamando così all’interno in gran numero, giacché i tre guerrieri si ritrovarono ben presto attaccati da tutte le direzioni.

Ucciso l’ennesimo mostro Arthur si guardò un momento attorno, e comprendendo di essere ormai circondato parve quasi gettare la spugna, inginocchiandosi a terra e piantando con moderata forza la spada nel terreno.

«Che sta facendo?» gridò Niza.

Gora, accorgendosene, si fece bianco come un lenzuolo.

«Mio signore, non fatelo!»

Tuttavia, nel momento in cui sentì il suo compagno iniziare a salmodiare in una strana lingua, Gora prese subito l’iniziativa, richiamando le due statue sotto il suo controllo e mettendole a difesa di Arthur perché nessuno di quei mostri potesse toccarlo.

«Svelto, allontaniamoci!» urlò afferrando Niza per un braccio e portandolo con sé in uno stretto pertugio, di cui sbarrò immediatamente l’accesso animando una terza statua ed erigendola a proprio scudo. «Chiudi gli occhi!»

Niza, pur sempre più confuso, obbedì, lasciando Arthur da solo nel mezzo del cortile; questi, imperterrito, continuò a salmodiare, le mani ben strette attorno all’elsa, e d’improvviso il gioiello che portava al collo esplose in un accecante bagliore di luce, che accompagnato da una violenta raffica di vento si propagò in ogni direzione con la potenza di un tornado.

Le creature cercarono a loro volta di proteggersi, ma come il bagliore, potentissimo, le investì, i loro corpi si mutarono nuovamente in quella sorta di catrame putrescente che rapidamente si dissolse, e così pure quelli che erano già morti; anche le statue evocate da Gora caddero in pezzi, private da un istante all’altro dell’energia che permetteva loro di muoversi, fino a che nella fortezza non tornarono la quiete ed il silenzio.

Quando Niza aprì gli occhi, di quei mostri non vi era più traccia, e nei suoi occhi si stampò uno sguardo di incredulità mista a sgomento.

«Mio signore…» disse Gora avvicinandosi, impassibile, ad Arthur, che rialzatosi rinfoderò la spada

«Ormai non ci sono più dubbi.»

«Se è in atto un’orda» disse Gora guardando verso il cielo. «Presto manderanno qualcuno. E sicuramente avranno percepito anche l’incantesimo.»

«Dobbiamo fare presto.»

I loro pensieri però vennero bloccati dal rumore, alle loro spalle, di un’arma sguainata; voltatisi, video Niza che, tremante, teneva la spada puntata contro di loro.

«Chi… che cosa diavolo siete voi?» domandò a denti stretti.

 

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