Uguali

di EleEmerald
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Siamo così simili ***
Capitolo 3: *** Elettra ***
Capitolo 4: *** Liquirizia ***
Capitolo 5: *** La scritta sul muro ***
Capitolo 6: *** Vostra figlia per errore ***
Capitolo 7: *** Un nuovo ragazzo in classe ***
Capitolo 8: *** Ospedale e confusione ***
Capitolo 9: *** Iniziano le ricerche ***
Capitolo 10: *** La signora Pizzo ***
Capitolo 11: *** Una cosa ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Sto tornando a casa da scuola con Marco. É una giornata d'autunno e le foglie cominciano a cadere formando un tappeto rossastro per strada, ma fa ancora caldo e siamo ancora tutti con una felpa leggera.
Marco cammina vicino a me con lo sguardo perso, forse i suoi occhi marroni stanno guardando le foglie cadere o forse é come al solito tra le nuvole, questa é una caratteristica che ci accomuna, come mille altre. Siamo sognatori. Pazzi, scemi e insieme creiamo la migliore amicizia del mondo. Abbiamo gli stessi gusti e lo stesso carattere a parte qualche piccola cosa. Di aspetto fisico ognuno ha il proprio. Io, capelli castani e lisci, non troppo alta, abbastanza magra, gli occhi...Be' lui li ha nocciola e io, io li ho più chiari di qualsiasi persona io abbia mai incontrato, azzurri, chiari come quelli della Rose anziana in Titanic e qualche volta mi chiedo se quando invecchierò arriveranno a sparire del tutto. Questo colore può essere normale in una famiglia dagli occhi chiari ma no, questo non é il mio caso, occhi castani da generazioni. Quando in terza media ho studiato genetica sono arrivata a cercare gli occhi di tutti i miei parenti, niente. É quasi impossibile, e dico quasi, perché forse sono tutti eterozigoti e sono uscita io. Ho smesso di pormi il problema convincendomi che era così perché i miei si amano e non sono stata adottata, glielo ho chiesto dicendo che non mi cambiava niente e loro mi hanno assicurato che ero loro figlia e io mi fido di loro. 
Marco è molto alto e devo sempre alzare la testa per guardarlo negli occhi, ha i capelli corti, ma abbastanza da far si che riesca ad arruffarglieli come facevo da bambina. Ci siamo conosciuti alle elementari. Eravamo in classe insieme ma non ci siamo mai parlati il primo mese finché mia mamma non ha tardato a venirmi a prendere e lui si é accorto ed é venuto a farmi compagnia, senza di lui avrei pianto tutto il tempo. Devo ringraziare mia mamma di quel ritardo, senza non avrei conosciuto il migliore degli amici.
- Ti ho visto l'altra volta, che baciavi quella ragazza - dico, é il modo migliore per farlo tornare al presente: dire cose così, di punto in bianco. Di solito capisce che scherzo e inizia subito una conversazione senza badare a quello che ho detto.
- Eh? Cosa? Come hai fatto a vedermi? - dice con la bocca aperta dallo stupore.
Okay, fermi tutti, questa non era la risposta che mi aspettavo, perché cavolo non me lo ha detto? 
- Sch-scherzavi vero? Che idiota - dice.
Sono ancora mezza scioccata quando scoppio a ridere per quello che ha detto - Chi era? - gli chiedo.
- Nessuno.
- Qualcuno doveva essere. - 
- Non era nessuno.
- Sono felice che non era Ulisse, che "ragazza era?  - dico io.
- Nessuno di importante.
- E tu baci le ragazze non importanti! Da te non me lo sarei mai aspettato! -
- È importante solo che te lo dirò quando sarà il momento - dice lui.
- Ti preego! -  
- No.
- Tanto lo scoprirò, non mi chiamano Detective Christal per niente, sai? 
- Nessuno ti chiama così, Christal -
- Si si anche Ulisse.
- Dico sul serio -
- Non contraddirmi! - dico, poi scoppio a ridere.
Nel frattempo siamo arrivati a casa e dopo aver salutato Marco, entro in casa, ma mi dirigo subito alla finestra - Ciao! - urlo.
E lui, come ogni giorno, sventola la mano in segno di saluto. 
Sorrido.

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Capitolo 2
*** Siamo così simili ***


Il mattino seguente é una domenica e posso dormire finché voglio. Il mio sonno però viene disturbato da una linguetta insistente che mi fa il solletico ai piedi. Babù, la mia piccola cagnolina di appena due anni, mi guarda con i suoi dolci occhioni e cerca di entrare sotto le coperte. É un incrocio di due razze, é bianca e marroncina ed é di taglia piccola. Per averla ho lottato con i miei genitori per ben otto anni ma alla fine ho vinto io, a una condizione però: taglia media. Ho sempre amato i cani grandi ma pur di averlo avrei adottato qualsiasi razza. Una volta al canile però questa piccola cucciolotta di due mesi, mentre gli altri cani si accalcavano per farsi scegliere, é arrivata piano piano da dietro e, da un angolo, mi ha guardato con gli stessi occhi con cui mi sta guardando ora. Io e Mattia, il mio fratellino che hai tempi aveva sei anni, proprio l'età in cui ho iniziato a desiderare un cane, l'abbiamo scelta subito. 
Mi alzo dal letto e Babù, contenta di essere riuscita nell'impresa di svegliarmi, si dirige nella stanza di Mattia. La seguo a ruota. Una volta arrivata Babù salta sul letto di Mattia e io faccio lo stesso. Il mio fratellino si alza dal letto come uno zombie. I suoi occhi castani impiastricciati, i capelli riccioli arruffati, anche se li porta arruffati anche da sveglio. La parola spazzola non fa parte del suo vocabolario. Mi chino e gli do un bacio sulla guancia. 
- Dai! Ti ho detto di non darmi i baci di mattina!  - 
Voglio un mondo di bene a mio fratello ma non lo sopporto quando dice queste assurdità! Anche Babù  lo sta leccando e non gli dice nulla. Gli lancio uno sguardo truce. 
Mattia é nato quando avevo otto anni, non sono mai stata gelosa però. Ho sempre amato i bambini e già all'asilo guardavo i più piccoli con dolcezza anche se non avevo il coraggio di trattarli, come facevano le mie compagne, come se fossero miei fratellini o figli. Da piccoli facevamo questo gioco.
Prendo Babù tra le braccia e mi avvio in cucina. Saluto i miei genitori e mi siedo al tavolo, dove faccio colazione, con la cagnolina accoccolata sulle mie gambe. 

Il pomeriggio esco con Marco. Sono ancora pensierosa per quello che mi ha detto ieri e la curiosità in questi casi non é d'aiuto. So già che passerò gran parte del tempo, domani, a guardare con quali ragazze parla fuori da scuola. Ho la testa piena di pensieri e in più le immagini del sogno che ho fatto quella mattina mi attanagliano la testa. "Chi sei? Chi sei? Chi siamo?" La voce della ragazza del sogno pulsa nei miei ricordi. Solo poche immagini e poche parole. Eppure il sogno rimane lì.
- Cos'hai? - chiede Marco - c'é qualcosa che ti tormenta. Lo vedo.
- No no, non è niente.
- Sei sicura? 
- Certo.
- Se lo dici tu. - non sembra convinto.
In un attimo cambia espressione sul volto e mi indica la libreria.
Corriamo dentro e ci dirigiamo al nostro reparto preferito. Per fortuna il giorno prima ho ricevuto la paghetta e messa insieme con i soldi datimi da mia nonna riesco a comprare il seguito di un libro appena letto e già che ci sono prendo anche quello dopo. Io e Marco abbiamo una passione sfrenata per i libri, li divoriamo e i nostri genitori si lamentano sempre. Quando leggo un libro lo consiglio a lui e lui fa lo stesso con me. La maggior parte dei libri li prendo in biblioteca perché non ho abbastanza soldi ma i più belli o le saghe dove non sono ancora usciti tutti i seguiti mi piace averli, così quando esce il seguito non sono costretta ad aspettare che arrivi in biblioteca o, cosa più probabile, non rischio di prendere solo quello non avendo il resto della saga. Anche Marco compra un libro e poi usciamo.
- Spostati! Non rie...a fren.. re - una ragazza in bicicletta mi finisce addosso facendo volare i libri che avevo in mano.
Cado per terra e i libri mi finiscono in grembo.
- Aia.
- Oddio! Scusa! Perdonami. Sei uscita all'improvviso e non ho fatto in tempo a frenare - la ragazza tende la mano per aiutare ad alzarmi. Alzo la testa e spalanco la bocca. La ragazza davanti a me ha i capelli castani come i miei, più corti però, le arrivano alle spalle. Ha il mio stesso viso e ha gli occhi di un azzurro chiarissimo. Siamo due gocce d'acqua. Identiche.  

Angolino dell'autrice: 
Scusate se non vi ho salutato prima, me ne sono accorta solo adesso, così ho deciso di farmi perdonare entrando più nel vivo della storia con il primo vero capitolo! Spero tanto che la storia vi piaccia! Ringrazio tutti quelli che leggono ma soprattutto coloro che lasciano una piccola recensione! Per voi non é tanto, per me significa che vi piace la storia! Alla prossima, grazie!

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Capitolo 3
*** Elettra ***


Guardo Marco, che sembra ancora più scioccato di me. Continua a spostare lo sguardo da me alla ragazza cercando di trovare qualche differenza. Afferro la mano della ragazze e mi tiro su. 
- Ci assomigliano tantissimo - dice lei.
- S-si - continuo a osservarla.
- Io sono Elettra - mi osserva - Qual é il tuo nome? É la prima volta che ti vedo. Non é che siamo parenti? 
- Mi chiamo Christal. Non saprei. Per essere così simili dovremmo essere parenti strette e anche io non ti ho mai vista prima. 
- Ehm, esistono sette sosia di noi nel mondo - interviene Marco - forse é per quello.
- Non è detto. Non abbiamo prove, é una cosa che si dice ma non credo nessuno abbia davvero trovato i suoi sosia. E poi neanche i sosia si assomigliano così. Solo i gemelli. - risponde Elettra. É molto sicura di se e razionale, io avrei dato ragione a Marco - quanti anni hai? - chiede infine.
- Ne ho 16.
- 18. É strano - sorride - Chiederò ai miei genitori. Forse hai ragione tu - si rivolge a Marco.
- Mi chiamo Marco.
- Senti Christal questa cosa é strana e tu sembri parecchio scioccata - ride - ti lascio il mio numero. Scusami, probabilmente ti tormenterò in queste settimane. Solo che mi incuriosisce questa cosa.
Dopo esserci scambiate i numeri di telefono Elettra salta in bicicletta e va via. 
Alzo la testa per guardare negli occhi Marco. Non so così stia pensando. I miei occhi iniziano a diventare lucidi, lo abbraccio e scoppio a piangere.
Non mi importa delle persone in mezzo alla strada che si sono fermate a guardarmi, stringo forte Marco e continuo a singhiozzare. D'un tratto le immagini del sogno acquistano un senso. "Chi sei? Chi sei? Chi siamo?" 
- Chi sono? - sussurro.
Il mio migliore amico mi stringe forte e mi accarezza i capelli. 
- Ri...non piangere. So che non sai chi sei e...e i tuoi genitori, insomma... - 
- Grazie.
- Di cosa? -
- Di esserci. 
Appoggia la testa tra i miei capelli e restiamo lì, abbracciati, con la gente che ci fissa. 

Quella sera torno a casa per cena. Babù mi accoglie sulla porta e inizia a rotolarsi per farsi accarezzare. La prendo in braccio e vado in cucina. 
- Ben tornata - dice mia mamma in modo ironico. Le avevo detto che sarei tornata due ore prima ma non me la sentivo. 
- Scusa mamma, solo che Marco mi ha chiesto di vedere un film con lui e ho accettato. Il telefono non ha più credito e non ho potuto avvisarti - bugie.
- Non fa niente.
Sto per andare in camera a svestirmi e mettermi abiti più comodi quando mi volto verso mia madre.
- Mamma? Per caso ho una parente che si chiama Elettra? Oggi nel film c'era una ragazza con questo nome e mi era sembrato di averlo già sentito a qualcuno. Però nessuna mia amica, compagna di classe o anche qualcuno che ho visto a scuola ce l'ha, lo dice anche Marco.
- Elettra dici? No nessuno nella mia famiglia ha questo nome. Francesco? - si rivolge a mio padre.
- Nessuno. - dice lui.
- Allora devo essermi sbagliata. - cerco di sorridere e vado in camera. 
Mi fidavo così tanto dei miei genitori e ora non so più se credergli.
Durante la cena rimango zitta, ascoltando mio fratello e i miei genitori parlare. Non é da me, io intervengo sempre a dire la mia o a raccontare cosa ho fatto durante la giornata, non è normale per me rimanere zitta.
- Che film hai visto da Marco? - chiede Mattia.
- Ehm...uno Disney.
- Beeeello!! Quale? 
- ...Mmmh Il Re Leone - dico questo perché lo conosco a memoria e se mi chiedessero qualcosa saprei come rispondere, ma non serve, anche Mattia lo ha visto talmente tante volte, é il suo preferito e anche il mio.
- Christal, cos'hai? - mia madre si accorge subito che qualcosa in me non va, é dall'inizio della cena che mi osserva.
- Non ho niente perché?
- La verità.
- Mattia non sono iniziati i pokemon? 
- É vero! - va via da tavola e corre in sala a guardarli.
- Mamma, papà, sono stata adottata?
- Perché di nuovo questa storia, credevo che avessi smesso di pensarlo tre anni fa. - dice mio padre.
- No tesoro. Te lo avremmo detto ormai. Perché ti é tornato questo dubbio? - dice invece mia mamma.
- Gli occhi...
- So che nessuno di noi li ha azzurri ma, lo hai già trovato una soluzione a questo. - dice a mia mamma.
- Ne sei sicura?
- Certo. - sorride - Guarda il lato positivo, i tuoi occhi sono unici. -
Unici. Non sa quanto si sbaglia.
 Alcune ragazze hanno i miei stessi capelli, le mie stesse scarpe, ma mai avrei pensato che qualcuno avrebbe potuto avere i miei occhi, gli stessi. Così chiari. Uguali.  

Il telefono dall'altro capo squilla.
- Pronto? Elettra? Sono Christal.
- Sono io. Ciao Christal.
- Ho bisogno di vederti.


 Angolino dell'autrice: Ciao a tutti! Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Dedico il capitolo a Bea, che c'é sempre per me quando devo scrivere qualcosa, e a Marta, perché é con lei che posso parlare dei miei libri con qualcuno che condivide questa passione.

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Capitolo 4
*** Liquirizia ***


Il mattino dopo a scuola i professori mi richiamano più e più volte. La mia testa non riesce certo a stare concentrata su quella stupida regola grammaticale che non ho bisogno di studiare perché conosco da quando sono nata. Non ho mai amato la grammatica, io e lei non abbiamo bei rapporti, certo, so quanto é importante ma a volte non capisco che bisogno c'é di sapere il nome di un aggettivo, o un avverbio. I miei pensieri viaggiano ancora e mi ritrovo a pensare a cosa sarebbe successo se non avessi incontrato Elettra, se ci fossimo trattenuti di più in libreria o di meno, se lei non ci fosse venuta addosso, se la sua bici fosse riuscita a frenare.
So che il pomeriggio la dovrò incontrare e ho paura, paura di scoprire qualcosa su di me. Avrei preferito non averla mai incontrata. 
Sento un foglietto di carta toccarmi la schiena, mi giro e prendo il bigliettino.

Cos'hai? É tutto il giorno che sei tra le nuvole.    M.

Mi giro, Marco é dietro di me, nella fila di fianco.
"Ieri" scarabocchio sul foglio e glielo tiro. Legge il biglietto e lo ritira.
"Sai che ci sono" c'é scritto. Sussurro un grazie e lui sorride.

I miei piedi scricchiolano sulle foglie cadute. Inizia a fare freddo, vedo il mio respiro formare una nuvola bianca. Mi avvicino all'albero dell'appuntamento: é spoglio a parte qualche foglia rossa. 
Elettra é seduta sotto l'albero, mi fa un cenno della mano per salutarmi e io mi siedo vicino a lei.
- Ciao! - mi saluta - É  strano vederti. 
- É come uno specchio - dico io.
Allunga una mano e io faccio lo stesso, le nostre dita si toccano. É come se stessi guardando me stessa, fa paura sapere che non é così. Ritaggo la mano.
- Christal ieri ho chiesto ai miei genitori spiegazioni, sono rimasti più shoccati di me e te. Non capiscono come possa essere possibile.
- Lo hai detto ai tuoi genitori? - dico sgranando gli occhi.
- Certo! Come facevo se no a capire se eri mia sorella! - osserva la mia faccia - Tu no?
- Non ho avuto il coraggio, forse non volevo saperlo. Non volevo credere mi avessero mentito. 
- I miei genitori non mentono, lo so - dice lei. 
- Come fai ad esserne sicura? 
- Oh, mia madre si strofina le mani quando mente e mio padre distoglie lo sguardo, l'ho imparato con gli anni, quando me ne sono accorta li ho messi alla prova per verificare e avevo ragione, non se ne sono mai accorti - dice ridendo. La sua risata é contagiosa e in un attimo mi ritrovo a ridere anch'io.
- Sai, non mi importa di saperlo - continua - di sapere tutto questo. Chi siamo. Infondo ormai la mia vita non cambierà, non voglio che lo faccia.
- Non sei curiosa? 
- Si. Sono curiosa. Ma non mi struggerò a cercare una soluzione, dopo il nostro incontro la mia vita continuerà così com'è iniziata. Solo con un'amica in più.
É così saggia. Le sorrido: - Allora Elettr - mi ferma.
- Se saremo amiche dovrai chiamarmi Ele.
- Okay, be' le amiche raccontano di loro. Che scuola frequenti? - chiedo.
- Faccio il liceo scientifico, sono in quinta. Tu sei in terza, vero? 
- Esatto.

Sono molto confusa e nonostante il pomeriggio sia passato tra risate io non mi sento rassicurata. Sono curiosa e ho paura. Elettra, anche se lei preferisce Ele, non ha nessuna voglia di scoprire perché siamo così eppure io si. Sono curiosa, e non lo sono come lo si può essere per un segreto o la sciocca vita sentimentale di qualche amica, sono curiosa, voglio sapere, é una cosa che mi schiaccia le costole e mi toglie il respiro. Devo sapere, è un mio diritto. Provo rabbia, rabbia e paura. La paura riesce a vincere sulla rabbia e i miei occhi si offuscano di lacrime. Odio piangere, non ho mai pianto così tanto, tutti mi hanno sempre detto che ero una ragazza forte eppure da quando ho conosciuto Elettra sembra che non riesca più a contenere le lacrime, forse tutte le lacrime a cui non ho permesso di uscire quando ero piccola e mi facevo male o quando litigavo con qualcuno stanno uscendo in questo momento, trattenute per troppo tempo. Strizzo gli occhi cercando di ricacciare le lacrime dentro e tiro su con il naso. 
So esattamente da chi andare, non voglio che i miei genitori mi vedano in questo stato, o forse sono io che non voglio vedere loro. Ho raccontato a mia madre che sarei andata a dormire da Sara, in effetti era così prima che gli venisse la febbre.
Imbocco la via alberata che conduce a casa mia ma la supero. Sono le nove di sera quando suono al citofono.
- Chi é? - risponde la sua voce.
- Sono Ri, scusa se non ho avvisato, ho bisogno di parlarti - Ho bisogno di piangere da qualcuno.
Ri, solo lui mi chiama così. Ha inventato questo nome quando si é accorto che Chri era troppo usato, voleva qualcosa che usava solo lui. Sfioro il campanello che porto al collo, a qualcuno potrebbe sembrare una collana trovata in un uovo di pasqua, un filo rosso che regge un campanellino color oro. Per me é molto più importante.
Il cancello si apre e io entro nel giardino diretta alla porta. Marco sbuca dalla casa e mi viene incontro.
- Ri, hai qualcosa? Stai bene? - mi chiede preoccupato.
- Sto bene - che bugiarda. Non posso mentirgli - se intendi di salute.
Mi guida in casa. 
- Scusa non volevo disturbare di sera, devo scusarmi con tua mamma - mi avvio in cucina, in un luogo che per me è una seconda casa. La cucina é vuota.
- Mia mamma e mio padre sono via, tornano domani. É il loro venticinquesimo di matrimonio - spiega lui.
- Sei a casa da solo? 
- Si.
- Io avrei paura da sola di notte. Beatrice non c'é? - Bea é la sorella maggiore di Marco. Ha 24 anni ed é sempre via per l'università che purtroppo non c'é nei dintorni, costringendo la ragazza a prendersi un piccolo appartamento vicino alla sede principale.
- Università.
- Allora non do fastidio?
- Per niente. Appena é suonato il citofono mi sono spaventato ma quando ho scoperto che eri tu ho ringraziato che qualcuno fosse qui. Non dirlo a scuola. Ti prego.
Rido. Lui mi conduce nella sua stanza e io mi sdraio sul letto. Inizio a raccontargli dell'incontro con Eletta. Di quello che lei ha detto e di quello che penso invece io. Mi metto a sedere mentre racconto, e quando le lacrime cominciano a risgorgarmi dagli occhi, lui mi cinge con le sue braccia. Il suo abbraccio é così caldo che affondo la testa nell'incavo del collo e gli bagno tutta la maglietta. Piano piano mi fa stendere sul letto e tra le sue braccia riesco a calmare il mio pianto. A volte penso abbia poteri speciali, sa esattamente cosa voglio, quando lo voglio. Un altra persona avrebbe cercato di farmi sorridere e invece lui mi lascia piangere e sfogarmi. Quando sono andata da lui avevo pensato di tornare a casa verso le 10, avrei detto a mia mamma che Sara era stata male e che me ne ero andata per farla guarire, la sua assenza a scuola avrebbe confermato quello che avevo detto. Ora invece voglio  rimanere lì tra le braccia del mio amico, a respirare il profumo di liquirizia, sua madre usa sempre quel sapone per lavare i vestiti e io lo adoro, e sentire le sue mani che mi accarezzano i capelli. Infondo cosa può cambiare? Se mia madre si accorgerà che Sara non verrà a scuola domani le dirò che la mattina si é svegliata con la febbre. I miei occhi iniziano a chiudersi e mi addormento respirando contro il petto del mio migliore amico.


Angolino dell'autrice: Ciao a tutti! Scusatemi tanto se non ho pubblicato prima ma ero in Francia e, nonostante avessi il wifi purtroppo non riuscivo. Mi faccio perdonare con un capitolo più lungo! Dedico il capitolo alla mia Dolcezzina, che segue sempre la storia e recensisce, ma anche perché é una vera amica e so che questo capitolo le piacerà! Grazie a coloro che leggono, ricordatevi che se recensite mi farete felicissima! Accetto anche le critiche! Al prossimo capitolo!

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Capitolo 5
*** La scritta sul muro ***


Tttzzzz. Tzzz.
Sbatto gli occhi. La sveglia suona incessantemente da qualche minuto. Nessuno sembra aver voglia di spegnerla. Sento un gemito vicino a me e qualcuno che sbuffa, poi la sveglia si spegne.
- Ri.
- Cosa?
- Dobbiamo alzarci. C'é scuola. 
- Cosa? - mi tiro su a sedere, mi strofino gli occhi e rovino ancora di più il trucco, già colato a causa delle lacrime. 
Mi alzo dal letto e mi chiudo in bagno. Faccio un grosso respiro. Cosa ci faccio lì? Poi ricordo. Elettra, le lacrime, il profumo di liquirizia e la calda voce del mio migliore amico che mi rassicura. Rido. Cosa pensavo avessi fatto? Io, che non ho ancora dato il primo bacio. 
Guardo lo zainetto che mi ero
portata dietro con i vestiti di ricambio. Dopo aver tolto i vestiti del giorno prima, sfilo dei pantaloni dallo zaino e
So dov'é il cotone, conosco quella casa meglio delle mie tasche, tranne per alcune cose.
Rientro in bagno e trovo subito quello che cercavo. Rimedio al disastro sulla mia faccia e poi vado in cucina, dove é pronto un the sul tavolo.
- Ti ho preparato la colazione, così facciamo più infetta, visto che voi donne siete lunghe a prepararvi - dice Marco.
Gli lancio uno sguardo truce - Infatti sei sempre tu che arrivi in ritardo quando usciamo.
Alza un dito e apre la bocca per ribattere ma poi la richiude, sconfitto.
Sorrido trionfante.
Alle otto meno un quarto ci incamminiamo, la scuola non è molto lontana da casa sua. Quando arriviamo a scuola mi si gela il sangue nelle vene, avevo quasi dimenticato il motivo per cui ero andata da Marco e ora me lo
ritrovato davanti.
- Cosa ci fai qui? - chiede Marco.
- Scusa Christal. Forse so qualcosa - Elettra é davanti a me.
- Non adesso. Dobbiamo andare in classe - dice Marco proprio mentre la campanella suona.
- Si lo so. Anch'io devo andare a scuola. Sono passata davanti e ho pensato che dovevo dirtelo, ora però non è il momento. Torno questo pomeriggio, dopo le lezioni - dice e si allontana correndo. Arriverà in ritardo. Mi accorgo di non aver aperto bocca neanche una volta. Entro in classe. Lisa avvicina a me.
- Era tua sorella? Siete identiche! 
- Ri non ha sorelle - dice Marco passando di fianco - vai a sederti - le dice per liquidarla.
Lei gli lancia un occhiata cupa e va a sedersi. 
- Grazie - gli dico.
Quel pomeriggio Elettra non si presenta. Sono agitata, curiosa e forse anche arrabbiata.

Volevo davvero sapere cosa aveva da darmi. Inizio a fare la strada di ritorno verso casa. Marco mi corre dietro e mi chiede se ho bisogno di qualcosa ma io voglio solo starmene da sola. Una volta a casa saluto Marco alla finestra e, dopo aver mangiato facendo finta che tutto vada bene, vado in camera mia. Marco inizia a tampinarmi di messaggi, in altri casi mi avrebbe lasciata in pace, ma ora non é un caso normale. Grido di frustrazione e lancio il cellulare sul letto, poi mi ci butto anch'io. Guardo il soffitto, dove, quando ero piccola, c'erano gli adesivi che si illuminavano al buio. Mi alzo e sposto leggermente il letto, seduta per terra inizio a muovere la mano sul muro, sfiorando la scritta. 
QUANDO AVRAI BISOGNO DI ME, IO SARÒ CON TE. 
Le lettere sono scritte in grassetto,
sono nere, é come se fossero stampate. Era lui che aveva fatto quella scritta, così come era lui che mi aveva regalato la collana che porto al collo l'anno prima. Lui c'era davvero sempre, in tutti i miei ricordi, e non solo quando avevo bisogno di lui. In tutti i momenti più belli. I migliori.
Prendo il telefono. Scusa, scrivo, ho davvero bisogno di te.

Quella notte incubi si insinuano nella mia testa e mi ritrovo a svegliarmi di soprassalto più e più volte. Sogno milioni di ragazze uguali a me, sogno i miei genitori che dicono che non sono loro figlia, sogno mio fratello e sogno Marco. Quando mi sveglio, Babù mi lecca un piede. Rido, ma é una risata lontana. Sono sveglia ma i miei occhi non vedono il mondo davanti a me, rivivono i sogni. Mi sfilo dalle coperte e mi preparo. Quando arrivo al piazzale della scuola ciò che mi trovo davanti è la stessa scena del giorno prima.
- Ciao Chri...scusa per ieri io...Senti farò in fretta così potrai andare a scuola - non mi lascia il tempo di replicare perché dice quelle parole come se lasciasse andare un respiro trattenuto troppo a lungo - ho indagato e ho scoperto qualcosa. Il mio DNA non corrisponde a quello dei miei genitori.
                                  
Angolino dell'autrice: Eccomi! Lo so, lo so, scusate l'enorne ritardo. Questa settimana ero in montagna con una mia amica, la ragazza a cui dedico i miei capitoli e anzi, ne approfitto e le dedico anche questo, grazie Bea ti voglio bene ♥ Tornata dalla montagna ho cambiato telefono e sono riuscita solo ieri a mettere su questo le parti già scritte. Grazie a tutti! Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Vostra figlia per errore ***


Quel pomeriggio Elettra mi racconta delle sue scoperte. Mi dice di avermi mentito, che non era affatto vero che non voleva sapere, la curiosità la stava corrodendo. Non aveva detto niente ai suoi genitori, a differenza loro lei sapeva mentire. Il suo cervello le aveva detto di provare, era maggiorenne, poteva farlo. Aveva staccato un capello ad entrambi i genitori, loro non si erano accorti di niente, poi aveva fatto il test del DNA il giorno prima che mi aveva incontrato. Non ci era voluto molto, ieri mattina era venuta per dirmelo ma non aveva potuto e al pomeriggio, quando era passata a prendere i risultati non ce l'aveva fatta a dirmelo e non si era presentata. Io non dico nulla, mi limito ad annuire tutto il tempo, non riesco ad aprire bocca e quando lo faccio convinta di sapere cosa dire le parole non escono. Infine quando mi dice di non aver ancora detto niente ai suoi genitori e mi chiede di andare con lei io le rispondo di no. Lei sembra sorpresa.
- È una cosa tua. Se ci fossi io rovinerei tutto.
- Ma così potremmo scoprire che legame ci unisce!
In effetti Elettra non ha tutti i torti però non me la sento di comparire in casa loro per parlare di una cosa così delicata, e la mia somiglianza con loro figlia non farebbe niente di meglio che turbarli. Alla fine riesce a convincermi: quella sera andrò con lei.

Salgo i gradini dell'ingresso seguendo Elettra, il mio cuore batte a mille. La padrona di casa apre la porta e mi conduce in cucina, dove si trovano i suoi genitori. Poco prima di entrare però mi dice di restare lì ad aspettare fino a quando non lo dirà lei. Annuisco.
- Ele! È da venti minuti che ti chiamo! Avevo paura ti fosse successo qualcosa! - sua madre corre ad abbracciare la figlia appena entra nella cucina, si vede che la sua preoccupazione è reale perché trattiene a stento le lacrime. 
- Lasciami! - risponde sua figlia divincolandosi. 
La madre si porta le mani alla bocca - Amore mio cos'è successo?
- Credevate non lo avrei scoperto?! Ho 18 anni! Non credete che ho l'età per saperlo?
- Sapere cosa? - dice suo padre, calmo.
- QUESTO - Elettra tira fuori i risultati dell'esame.
- Cosa sono? - alla domanda del padre la figlia gli allunga il foglio - Deve esserci un errore.
- NON C'È NESSUN ERRORE!
- Ele, ascoltami, ti ho partorito!
 - Evidentemente non l'hai fatto. 
- Si! - sua madre inizia a piangere.
Non ho mai desiderato trovarmi in un altro posto così ardentemente come adesso.
- Vorrei anche io fosse vero, non sono arrabbiata per il fatto di essere stata adottata ma per il fatto che non me lo avete detto. Quando lo avreste fatto!? QUANDO? - reprime le lacrime e fa un grande respiro prima di dire con calma - Chri, vieni.      
Sento le gambe ancorate al pavimento, speravo non mi chiamasse mai, non ora di certo. Traggo un grande respiro e metto piede nella stanza. Appena mi vedono, i suoi genitori spalancano la bocca, sua madre rischia di cadere dalla sedia. Non so cosa dire. Per forrtuna Ele interviene in mio soccorso: - Lei è Christal. Come potete vedere siamo identiche. Ha 16 anni.
- N-non è possibile - dicono in coro.
- Non dovrei essere qui - dico strofinandomi una mano.
- L'ho incontrata domenica. Se sono vostra figlia come mi spiegate Chri?
Sua madre serra la bocca mentre il padre inizia ad ipotizzare teorie, neanche un minuto dopo si arrende.
- Mamma, dimmi la verità.
- La verità la conosci Ele. Ti ho partorito io, é vero, non riuscivo ad avere bambini e ho utilizzato la fecondazione artificiale ma hanno usato il nostro DNA. Non ti ho adottata, ti sentivo muoverti dentro di me.
- Ti prego, non mentirmi di nuovo - mentre Ele inizia a piangere una lampadina si accende nella mia testa.
- Fecondazione artificiale? - chiedo.
- Si.
- Anche i miei genitori mi hanno sempre detto che l'hanno usata.
 - Okay Chri, ma la mamma mente.
- Non penso - mi volto a guardarla - A scuola abbiamo studiato il metodo embrionale a genetica. Sai cos'è?
- Non è qualcosa che c'entra con la clonazione? Cosa può importarci della - si blocca di colpo.
- Non so il legame che ci unisce ma so per certo che tu puoi benissimo essere nata da tua madre ma non avere il suo stesso sangue e questo perché qualcuno invece di mettere nell'utero di tua madre la bambina con il DNA dei tuoi genitori ne ha messa un'altra. Non so se l'abbia fatto apposta o no ma lo ha fatto - osservo i suoi genitori che sono bocca aperta - ho sempre amato scienze - aggiungo arrossendo.
- Pensi che tu e io siamo...?  - chiede Elettra.
- Questo spiegherebbe perché siamo identiche.  Ma siamo il clone di CHI? - dico scandendo l'ultima parola.
- Questo è impossibile, nessuno ha mai creato il clone di un essere umano! - suo padre sembra spaventato. 
- Non è così difficile. Anzi. Si tolga dalla testa i film in cui clonano le persone perché è davvero diverso da come quei film lo fanno sembrare. I casi sono due. 1) C'era una donna identica a noi e qualcuno ha voluto clonarla. 2) Siamo entrambe figlie di qualcuno, anzi siamo la stessa figlia di qualcuno. 
- Io non ci sto capendo nulla - dice suo padre.
Stringo i pugni: - Io invece ci sto capendo più di quanto vorrei davvero.

Quella sera, quando lascio la casa di Elettra, lei e i suoi genitori sembrano spaventati, con un peso sul cuore, io invece mi sento l'esatto opposto di loro: mi sento leggera. Come se avessero tolto un pezzo  del peso che ero costretta a portare, non tutto, ma una parte molto consistente. Faccio la strada per       tornare a casa tranquillamente e, una volta a casa, mi siedo subito a tavola e mi metto a mangiare. È strano che dopo aver capito tutto questo non si sia aggiunto un altro peso al mio cuore, non lo capisco, eppure sono felice. Non dico niente ai miei genitori perché so che reagiranno come la famiglia di Elettra. Decido che glielo dirò quando tutto sarà finito, quando saprò chi sono.

Angolino dell'autrice: Eccoci qui. Si sono scoperte cose interessanti in questo capitolo. E voi cos'avreste fatto? Come avreste reagito a questa scoperta? Vi prego lasciate una piccola recensione, mi fareste felice davvero! Anche una sola riga! Grazie a coloro che leggono la mia storia. Alla prossima.

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Capitolo 7
*** Un nuovo ragazzo in classe ***


Il matino dopo mi sveglio di buon ora e mi alzo stiracchiandomi. Davanti a scuola non c'è nessuno ad aspettarmi per darmi brutte notizie perché quella peggiore l'ho data io il giorno prima. In effetti sono parecchio compiaciuta di me stessa, vorrei correre dalla prof di scienze e dirle che per una volta la ringrazio per le sue lezioni, ma come ogni studente sono troppo orgogliosa per farlo, ma con qualcuno devo pur vantarmi così avvicino Marco prima dell'inizio delle lezioni. Non sono una ragazza a cui piace vantarsi però, insomma, a chi non piacerebbe vantarsi con il proprio migliore amico? 
- Marco! - lo chiamo.
Si volta: - 'Giorno.
- Chi è la miglior alunna della classe in Scienze? - dico tutta compiaciuta.
- In effetti Lucia, ha preso un altro 10 ieri, che secchiona.
 - Sono io! Lo sai che se ti faccio queste domande devi dire che sono io! 
- Ma io dico la verità...Aia! - lo zittisco subito con il pugno che gli tiro in testa.
- Ieri ho dato una dimostrazione di quanto sono brava in scienze...
- Oh no, non di nuovo.
- Ho scoperto come siamo nate io ed Elettra...
- Ah allora io sono uno scienziato con una laurea, te lo dicevo se me lo chiedevi.
- Perché voi ragazzi siete sempre così pervertiti?
- È nel nostro DNA - dice con un sorrisetto.                        
- Stavo dicendo che io e lei probabilmente siamo cloni...
- COSA? Dai Ri smettila di dire cavolate.
- Ascoltami!! - proprio in quel momento suona la campanella.
Gli tiro un colpo sulla testa, arrabbiata.
- Perché oggi mi picchi? - si massaggia la testa e mi guarda come un cucciolo ferito, mi volto verso la lavagna proprio mentre la prof di italiano entra accompagnata da un ragazzo. 
- Ragazzi - dice lei indicando il ragazzo - lui è Andrea Franchini - si volta verso di lui - Franchini vai a sederti lì - indica un banco e solo dopo che mi vado a sedere mi accorgo che il banco che sta indicando è vicino al mio.
"No!" penso mentre osservo il ragazzo che si avvicina, è davvero molto bello, il tipo di ragazzo che trovi solo nei libri, i capelli biondi che riflettono la luce che entra dalle finestre, e appena si siede e si gira verso di me mi accorgo che i suoi occhi sono di un blu intenso, a guardarli sembrano un mare infinito.
 Mi sento una stupida quando mi accorgo di avere la bocca aperta, per fortuna lui non si è accorto di niente. "Non mi interessa se è figo! Sarà un deficiente, non lo voglio di fianco" sbuffo.   
- Ciao - dice con un timido sorriso.
- Christal - rispondo alla domanda che sarebbe stata pronunciata da un minuto all'altro. 
- Io sono Sara - si affretta a presentarsi la mia amica, che fino a pochi minuti prima si era lamentata con me del grande mal di testa che aveva per via della febbre appena passata. Soffoco una risata.
- Vi siete preparati, vero? Interrogo - annuncia la prof.
L' intera classe fa finta di fare qualcos'altro mentre la prof fa scorrere il dito sulla lista, mi abbasso e faccio per tirare fuori il libro dalla cartella, impaurita. Marco mi guarda con un sopracciglio alzato. 
- Che c'è? - dico in labbiale. Regola n. 1 non parlare dopo che la prof ha annunciato che interrogherà.
- Ti ha già interrogato!
In quel momento mi ricordo del 7 che sono riuscita a guadagnarmi due settimane prima senza aver studiato, sorrido compiaciuta.
- Sara Tommasini.
- No! - Sara si alza.
- Buona fortuna - dice il ragazzo di fianco a me.
Evidentemente la prof decide di non interrogare nessun altro perché inizia a mettere Sara sotto pressione. Per passare il tempo inizio a scrivere un biglietto dove spiego a Marco la storia dei cloni. Andrea mi guarda, infastidita mi volto a guardarlo nascondendo il foglio. 
- Cosa fai? - chiede.
- Sto spiegando una cosa a Marco.
- Marco?
Lo indico e lui saluta Andrea sorridendo, essendo ad un liceo linguistico abbiamo solo tre ragazzi in classe, averne un altro per loro fa sempre piacere, e anche per noi.
- È il tuo ragazzo? 
- No. - dico ridendo - È il mio mogliore amico - guardo la prof. Oh dai per colpa della prof ho avuto un banco vuoto per due mesi e Sara dall'altra parte con cui potevo comunicare solo quando la prof era troppo impegnata per guardare mentre ora ho qualcuno vicino, perché dovrei stare zitta.
- Perché sei venuto qui ora? È ottobre, la scuola è iniziata da un mese. 
- Mio padre è un militare, ci hanno dato poco preavviso, mio padre è venuto qui due settimame appena l'hanno chiamato. Io e mia madre volevamo finire l'anno poi anche lei ha trovato lavoro qui e siamo dovuti venire per forza.
- E tu sei felice?
- Credi davvero che si può essere felici dopo aver perso gli amici di una vita? 
- No. Mi dispiace. Una volta avevo un'amica, anche suo padre era militare, quando se n'è andata ci sono stata malissimo e anche lei, sono riuscita a rivederla una volta, sua mamma ha detto che ha fatto settimane a letto a piangere. 
- Quando è successo?
- Alle medie.
- Mi dispiace.
- Ti dispiace? Io ho perso un'amica, tu ne hai persi molti di più. 
- Già - dice con amerezza.
Forse era meglio che non gli ricordavo ciò che era già così vivido.
- Be' non so se posso consolarti, però non sei solo, hai già un'amica - mi sento tanto una bambina ma lui sorride ed è questo che conta.
- Vedo che hai già stretto amicizia Franchini, visto che è il tuo primo giorno di scuola te la faccio passare liscia, la prossima volta no - la prof torna a voltarsi verso Sara e io sbuffo. Passo la giornata a chiaccherare con lui e sono costretta a ricredermi,  non è affatto il tipo di ragazzo che crede di essere migliore degli altri. Al momento di andare lo saluto e imbocco la strada verso casa con Marco.
- Perché non sei tornata a casa con lui? - dice Marco.
- Eh? Marco lo sai che faccio sempre la strada con te e poi lui abita da un'altra parte - lo guardo confusa - sei geloso?
- Non sono geloso - dice voltandosi dall'altra parte.
Rido: - Nessuno ti porterà via il titolo di mio migliore amico. - Già. Sarò sempre il tuo migliore amico - ha un tono di voce strano ma non ci faccio molto caso.


Angolino dell'autrice: Eccomi! Un nuovo ragazzo in classe, come vi sembra? Spero vi stia simpatico, a me piace molto. Grazie per averlo letto. So che lo dico sempre ma ricordatevi di recensire. Dedico al capitolo a Marta che mi ha fatto venire le idee per creare Andrea e per il suo ruolo nella trama. Al prossimo capitolo lettori.

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Capitolo 8
*** Ospedale e confusione ***


Quando quella sera esco per prendermi un gelato me lo trovo davanti appena svoltato l'angolo. Sussulto, possibile che sia appena entrato nella mia vita e lo rincontro di già? Andrea fa un cenno di saluto e allarga la bocca in un sorriso.
- Ciao - dico avvicinandomi.
- Cosa fai qui in giro?
- Stavo andando a prendermi un gelato - ho un attimo di esitazione poi chiedo, forse per essere cortese - vuoi venire?
- Stavo facendo un giro nel centro ma mi sono perso, vengo con te se poi mi riaccompagni a casa - dice ridendo.
- Certo - rido.
Camminiamo sul marciapiede uno di fanco all'altra, lui ha le mani in tasca e cerca di memorizzare la strada mentre io cammino con naturalezza, quasi non guardo la strada, non ne ho bisogno, comunque.
 Ogni tanto mi volto a guardare il suo profilo, i capelli biondi e i suoi occhi così profondi, impenetrabili. Non ho mai amato quest'abbinamemto, è così scontato, ma ora capisco come fanno le persone ad innamorarsene: sono due colori bellissimi, e insieme fanno scintille. Non sono il tipo di persona a cui piacciono le cose che di solito fanno impazzire la gente. Forse Andrea si accorge che lo osservo e fa un sorriso sbilenco e si copre la faccia con le mani.
- Odio essere fissato - dice.
- Oh scusami tanto! - che figuraccia - È...è che non sono abituata a camminare vicino ad un ragazzo.
Lui alza un sopracciglio.  Ma perché i ragazzi ci riescono sempre?
- A parte Marco, certo.
Entriamo in gelateria e la gelataia si rivolge a noi chidendoci quale gelato preferiamo.
- Vorrei un cono. Liquirizia e... -
 Guardo attentamente i vari gusti mentre la ragazza inizia a preparmi il cono, appena vedo la meringata salto su e la indico - meringata! Adoro quando la mettete - la ragazza mi sorride e mi porge il cono.
- Liquirizia? A me non piace - dice Andrea ordinando il suo gelato.
- Che cosa? È buonissima! È il mio gusto preferito da 11 anni!      
- Ricordi anche gli anni?
Arrossisco. Eccome se me lo ricordo: - Oh lunga storia - in realtà non è lunga ma non voglio dirgliela.
Ci fermiamo a parlare finché il gelato non finisce poi mi avvio sulla strada del centro per riaccompagnarlo come avevo promesso, durante le strada mi arriva un messaggio di Elettra.
"Ciao Chri, scusa se non mi sono fatta sentire...io vorrei scoprire la verità. Domani andrò all'ospedale. Vieni con me?"
Senza pensarci due volte rispondo di si. Mi metto il telefono in tasca sotto lo sguardo di Andrea.
- Scusa avrei dovuto farmi i fatti miei ma ho letto che vuole scoprire la verità...su cosa?
Sono parecchio infastidita, lo conosco da un giorno e spera che gli racconti le mie faccende personali? 
- Niente - lo sento irrigidirsi e poi sussurra delle scuse.                         
- Centro. Sai dov'è la via Catullo? - chiede lui.
- Ti accompagno.
Arrivati in quella via dedicata a Catullo, di cui purtroppo conosco solo pochi versi e molto tristi, lo saluto e me ne vado. Sto svoltando per la strada di casa quando qualcuno da dietro mi tocca la spalla. Urlo e una mano mi tappa la bocca, sento il cuore battere a mille.  Poi la persona dietro di me ride. Penso ad un serial killer ma poi riconosco la risata. Do un morso alla mano che si allontana emettendo dei versi di dolore. 
- Visto che oggi mi picchi? - dice Marco guardando il morso sulla mano e lamentandosi come un bambino.
- DEFICIENTE! 
- Dai calmati Ri.
- SIAMO IN UNA STRADA BUIA DI NOTTE, MI AFFERRI IN QUEL MODO E MI DICI DI CALMARMI? - mi metto una mano sul cuore che continua a battere all'impazzata - Mi hai spaventata. 
- Scusami, credevo mi avessi visto, non volevo spaventarti.
- Adesso ho paura ad andare a casa da sola...mi accompagni?
Annuisce, sembra dispiaciuto, e io non posso essere arrabbiata era solo uno scherzo innocente, così decido di raccontargli dell'ospedale.
 Quando concludo mi chiede se può venire, acconsento, non voglio andarci da sola, ho bisogno di qualcuno e so che ci saranno i genitori di Elettra.

Quando il giorno seguente mi preparo per l'ospedale mia madre mi riempe di domande, negli ultimi giorni sto uscendo spesso, è vero, ma penso che mia mamma sospetti che io sia fidanzata.
- Con chi esci? - rieccola con la solita domanda.
- Marco.
- È un appuntamento? - mi volto, indignata, infilo la maglietta infretta finendo per distruggere la pettinatura. In realtà non è una pettinatura, sono solo i capelli raccolti con una spilla però odio dover rifare tutto.
- E con chi, scusa? - le chiedo.   
- Marco - dice lei con un sorrisetto.
 - È il mio migliore amico!
- E allora? 
- Mamma! Non provo niente per lui.
- Questo è quello che pensi tu.
- E tu cosa pensi invece? - incrocio le braccia al petto.
- Penso, anzi pensiamo, che stareste molto bene insieme e... - mi guarda - Questo non lo dico.
- Okay - faccio un respiro - pensiamo?
- Io, Beatrice e Marta - chiarisce lei.
- Tu, la sorella e la mamma di Marco volete che noi due ci mettiamo insieme? 
- Si!! - Oddio che cosa imbarazzante.
- Okay devo andare - torno in bagno a sistemarmi e poco dopo il campanello della porta suona.
Sento i passi di mia madre alla porta poi una voce famigliare. Marco.
Prendo la mia roba e dopo aver afferrato Marco, lo conduco fuori.
- Che succede? - chiede lui.
- Ma lo sapevi che le nostre mamme e tua sorella vogliono che ci mettiamo insieme? - inizio a ridere.
- Anche la tua? Non sapevo che avessero coinvolto anche tua mamma! - sorride. 
- Quindi lo sapevi? 
- Be' se ogni volta che torni a casa sorridendo tua madre e tua sorella ti chiedono se ti sei fidanzato con la tua migliore amica, un'idea te la fai.
Scoppio a ridere. 

Elettra e i suoi genitori ci aspettano davanti all'ospedale. Appena sua madre ci vede si volta verso il marito, li vedo sussurrare e poi lui alza le spalle, sento Elettra rimproverarli e poi la vedo correre verso di me. Ci saluta. 
- Dove sono i tuoi genitori? - chiede sua madre.
- Mamma per favore.
Porto le mani alla catenella che porto al collo, nervosa, e la faccio tintinnare. 
- Non sono potuti venire - mento.
- Se non vuoi dirglielo d'accordo ma all'ospedale non ti diranno nulla - sembra così diversa dall'ultima volta, poi si la riconosco - Scusa, penso di poter capire la tua situazione, però siccome sei minorenne non potrai sapere nulla, tanto vale che tu sia venuta.
Non ci avevo pensato.
- È vero Christal - dice Marco.
- Che stupida, io non ci avevo pensato.
- Ma sei hai avuto il coraggio di dirlo al tuo ragazzo, dirlo alla tua famiglia deve essere più facile - sua madre sorride dopo quella frase.
- È il mio migliore amico - specifico, sembra che tutti oggi pensano che stiamo insieme - e poi lui c'era quando ho incontrato Elettra quindi non ho dovuto dirglielo. È diverso, comunque.
- Entriamo - conclude Elettra.
L'aria nell'ospedale è fredda e mi mette subito tanta tristezza. Un'infermiera si avvicina a noi appena ci vede entrare: - Dovete visitare un parente? 
- No in realtà noi avremmo bisogno di un'informazione. Potremmo leggere la cartella clinica di Elettra Candelli? - chiede sua madre.
- Mi dispiace queste sono informazioni private della signorina. Di cosa avete bisogno nello specifico? - si guarda intorno preoccupata.
- Ehm sono io Elettra.
- Oh! Sei maggiorenne?
- Si.
- Allora d'accordo. Puoi dirmi quando sei stata ricoverata l'ultima volta? - chiede mentre va al bancone
- Non sono mai stata ricoverata però sono nata qui - sorride.
- Be' allora ci troverai solo la data di nascita e il tuo ginecologo, penso che tu sappia già queste cose - guarda sua madre poi la vedo armeggiare con il computer - Allora...Elettra Candelli. Data di nascita 11 novembre 1996 nel nostro ospedale. Madre: Chiara Peroncelli e Mario Candelli. Nata - alza di nuovo lo sguardo - con fecondazione artificiale. Dottore Christian Meroni. È tutto.
- È stato il dottor Meroni ad occuparsi della mia fecondazione? - chiede Elettra.
- Si. Il dottor Meroni ha lavorato nel nostro ospedale molti anni.
- Ha lavorato qui anche nel 1998? - chiedo sapendo che quella è l'unica domanda a cui potrò avere risposta. 
- Esatto. È andato in pensione l'anno scorso.
- Potrei chiederle la cartella di Christal Bellini? - provo comunque anche se so qual è la risposta.
- Maggiorenne? 
- No ma...
- Mi dispiace non posso leggertela. Se cercate il dottor Meroni mi dispiace ma non so dove poter trovarlo. Serve altro? - si alza alla chiamata di un collega.
- No. Grazie di tutto - risponde Chiara, ora so il suo nome, al mio posto.

Manca ancora molto tempo all'ora in cui devo ancora tornare. Marco mi accompagna a casa sua dove ci sono solo sua sorella e il suo ragazzo. Appena Beatrice mi vede corre ad abbracciarmi. Io e Beatrice siamo amiche, lei mi ha visto crescere insieme a suo fratello e quando avevo bisogno di confidarmi di cose femminili a qualcuno mi rivolgevo a lei oltre che a mia mamma. È tornata a casa per il weekend. 
- Andiamo di là Ri - dice Marco.
- Ciao Marco! - il ragazzo di Beatrice non è molto simpatico a Marco anche se i suoi genitori lo adorano, a me invece sta molto simpatico, studia all'università ed è lì che Bea lo ha incontrato, ma adora suonare la chitarra e ha una band, ed è per questo motivo che Marco non lo sopporta, oltre al fatto che tocca sua sorella, cosa che secondo lui nessuno può fare. È molto più alto di Beatrice, ha i capelli castani con un ciuffo, e ha gli occhi a mandorla.
- Ah ciao - mi prende per il braccio e mi trascina in camera. Sento Beatrice e Alessio ridacchiare e senza farmi sentire lo faccio anch'io.
In camera sua mi stendo sul letto, mi piace molto quel letto perché, fin da piccola, ne ho sempre voluto avere uno così grande. Il suo letto infatti è di una piazza e mezzo. 
Lui si siede vicino a me e guarda fuori dalla finestra. Un venticello leggero sta sfiorando gli alberi, foglie gialle e arancioni cadono dal marciapiede. Sospira.
- Che c'è? - sposto una ciocca di capelli che era caduta sotto di me.
- Con tutta questa storia io - deglutisce - io non so...Ri - si guarda la punta delle scarpe. 
- Marco, cos'hai? 
In un attimo lo vedo girarsi e abbassarsi verso di me. Io suoi occhi color nocciola sono fissi sui miei e poi si chiudono mentre le sue labbra toccano le mie. Mi irrigidisco al suo tocco. Il mio primo bacio. Non capisco, lui è il mio migliore amico, che cosa sta facendo? Poi mi rilasso e rispondo a quel bacio che profuma di liquirizia su quelle lenzuola. Chiudo gli occhi ma lui apre i suoi. Vengo strappata da quel momento come se mi avessero svegliata di colpo e quando apro gli occhi lui è, di nuovo, nella posizione di prima. Quelle scarpe devono essere davvero interessanti. 
- Ri...io... - non si volta.
- Mi hai baciato? - lo interrompo.
- Ti ho baciato. - Silenzio.
- Con tutta questa storia non sapevo più quando dirtelo. Volevo farlo tempo fa. Ri mi dispiace di averti baciata, lo so che tu volevi dare il tuo primo bacio a una persona che ami però io...Sono uno stupido. Odiami. È giusto.
Mi metto a sedere e mi tocco le labbra. Infondo ho risposto al bacio. Sono colpevole quanto lui, eppure un po' sono arrabbiata, quello che dice è vero. Mi alzo dal letto. 
- Hai ragione ad andartene - ma io non lo sto facendo. Faccio il giro del letto e mi siedo di fianco a lui.
 Lo abbraccio: - Non me ne vado. Non ti libererai di me così facilmente. Io non sono innamorata di te Marco. Tu sei mio amico e io purtroppo riesco a vederti solo così. Forse il motivo è che non ho mai provato a vederti in altro modo. Dammi tempo, restiamo amici, comportiamoci come sempre. 
- Come sempre - stringe il mio abbraccio e io, seppure confusa, sorrido.


Angolino autrice: Perdono! *si inginocchia* non cerco scuse per questo ritardo però non tiratemi pietre. Per farmi perdonare ho fatto il capitolo bello lungo e pieno di nuovi accaduti! Ricordo: recensiteee *occhi dolci* Dedico il capitolo a Beatrice che aspettava da tanto questo momento.

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Capitolo 9
*** Iniziano le ricerche ***


Sono stesa sul letto, è sera e sto guardando il soffitto. In bocca ho ancora il suo sapore e tutto è confuso. Sento bussare alla porta e mi volto mormorando di entrare, la testolina di mio fratello spunta da un angolo, cavolo lui si accorge sempre cosa mi passa per la mente, qualche volta penso che mi sappia leggere come un libro aperto, e adesso riuscirà a capire tutto.
- La mamma chiede se vuoi il gelato che il papi ha preso oggi dal gelataio - dice con quella sua vocina che sembra voler scappare come se disturbasse sempre.                      - No grazie. Sono piena.  
- Non hai mangiato molto - fa un cenno con la testa come per chiedermi il permesso e si siede sul mio letto - cos'è successo?
- Niente. Cose da grandi.
- Uffa mi sono stufato! Quando poi alla fine me le dite io vi aiuto sempre! Io le cose da piccoli ve le dico - sbuffa.
- Va bene Matty - lo chiamo con il suo soprannome - Oggi è successa una cosa, cioè tante tante cose, e continuo a ripertermi che devo ripensare alle prime cose e invece  ripenso all'ultima... - una stretta al cuore. E se Mattia non fosse mio fratello? Se la cosa dei geni è vera, lui non è il mio vero fratellino. Mi sento mancare il fiato.  
 - Penso che il problema sia risolto. Ti appena fatto pensare di nuovo alla prima vero? - punta i suoi occhi su di me - Hai fatto un respiro più lungo, come se prima lo avessi trattenuto.
Resto pietrificata: ha solo 8 anni ed è mille volte più intelligente di me: - Sei un attento osservatore Mattia. Saresti un bravo investigatore.
- Grazie. Mi dici cos'era l'ultima? Tra poco pensi di nuovo a quella. Se vuoi ti aiuto.
- Forse è qualcosa che devo sbrigare da sola.
- Dopo che sei andata via la mamma ha guardato il suo cellulare e si messa a dire che aveva ragione.
- Riguardo cosa?
- Ha vinto una scommessa con la mamma di Marco.
- Che scommessa? - d'un tratto inizio a covare rabbia verso mia mamma.
- Se sa che te l'ho detto mi mette in punizione e non mi da il gelato - si allontana, so che per convincerlo dovrò rinunciare a qualcosa.
- Matty ti prego! Ti do la mia paghetta per due settimane - scuote la testa - Una vaschetta di gelato tutta tua?
- Di più - che contrattatore questo bambino. 
- Okay, vaschetta tutta tua e due settimane di cioccolatini - nostra mamma una volta a settimana ci lascia un cioccolatino ciascuno e a me anche la paghetta, il mio giorno preferito in assoluto.
- Cinque.
- Cinque? Ma ho bisogno di quel cioccolato.
- Cinque o non se ne fa niente. 
- Va bene cedo. Dimmi della scommessa - mi avvicino.
Lui si guarda in torno per controllare non ci sia nessuno, chiude meglio la porta e viene da me: - La mamma di Marco ha detto che la sorella ha detto che è successo. 
- Cosa? Chi ha detto cosa?
- La sorella di Marco ha detto che è successo.
- Cosa!?
- Non lo so! 
- Niente cioccolato allora - e io che pensavo sapesse sul serio.
- Va bene te lo dico! La sorella di Marco ha detto che eri strana, allora ha chiesto Marco e lui gli ha urlato contro.
- Le ha urlato contro. Femmina. - Ecco l'ho corretto di nuovo, ora non mi dirà più nulla.
- Smettila! Guarda che lo so che a volte sbagli anche tu! Le - mi lancia uno sguardo - ha urlato contro che adesso sarà contenta, che te l'ha detto e ora ha rovinato tutto. E poi la mamma, quando lo ha detto a Papà, perché con me non diceva niente allora mi sono nascosto...
- Okay vai avanti, non mi interessa che ti sei nascosto - alzo gli occhi al cielo.
- ...dietro al divano, ha detto bacio e si è toccata le labbra, e io ho pensato che aveva sbagliato perché i baci si danno sulle guance, e papà è diventato rosso e ha detto qualcosa tipo la mia bambina e la mamma gli ha tirato un pugno sul braccio perché tu non sei bambina e potevi e alla fine ha detto che ha vinto dei soldi.
- Aveva scommesso su di me? 
- La mamma di Marco diceva che ti dava un bacino però poi scappava mentre la mamma dice che ti diceva ti amo. Cosa vuol dire ti amo? 
Sorrido. Che dolce, allungo le braccia e lui fa lo stesso: - Significa voler tanto bene a una persona. Molto più che un amico.
- Come mamma e papà?
- Come mamma e papà. 
Restiamo abbracciati per un po' e questo calore mi fa dimenticare la rabbia che provavo poco prima, scoprendo che la mamma, non solo voleva che ci mettevamo insieme, ma anche scommetteva su di noi, e aveva vinto anche dei soldi.      - Christal? - Mattia interrompe il silenzio - Io non amo nessuno. 
- Quando sarai più grande lo farai.
 - E tu? Ami qualcuno? - punta i suoi occhioni su di me.
- Non l'ho ancora capito - gli passo una mano sui cqpelli e poi lo riabbraccio, non voglio che mi veda con gli occhi lucidi.
Ma ora lo so: lui resterà per sempre mio fratello.

Quando il giorno dopo a scuola provo a parlare con Marco, lui mi evita. Lo rincorro per i corridoi, gli lancio biglietti in classe, urlo il suo nome nell'atrio. Niente. Alla fine della giornata sono furiosa, ma che comportamento é? Mi dici ti amo mi baci e poi non mi parli. Cosa non ti è chiaro del concetto "come sempre"? E glielo urlo anche, quando fa la strada per tornare a casa senza aspettarmi, cosa che non ha mai fatto prima, a quelle parole lui si volta e mi guarda corrergli dietro e poi riprende, camminando sempre più veloce. Ma una cosa in cui sono sempre stata più veloce io è proprio questa. Metto una gamba davanti all'altra e corro, acquistando sempre più velocità, corro, più veloce che posso, corro, forse anche un po' troppo forte. Marco si volta sentendo il mio respiro affannoso e si accorge che lo raggiungerò in ogni caso, scappa via, ma è troppo tardi, sono troppo vicina. Gli afferro il braccio. 
- Che cosa stai facendo? - gli chiedo più arrabbiata che mai.
Tenta di divincolarsi e un po' ci riesce, ma poi lo riafferro: - Senti: io tanto non ce la faccio a comportarmi come sempre. 
- Sei uno stupido.
- Uno stupido? Come pensi che faccia a comportarmi come sempre? - Questa volta riesce a divincolarsi.
- Non è non parlandomi che otterrai il mio amore! 
- Tanto non lo ottengo comunque, giusto?  È proprio perché mi comporto come un amico che non lo ottengo. Il migliore amico della protagonista non vince mai, Ri, dovresti saperlo - si strofina un occhio.                 
- Non è vero - ma invece so che è così e solo ora mi accorgo che io nei libri non ho mai tifato per il migliore amico mentre lui si.
 - Lo sai meglio di me - ha un occhio arrossato.
- Il protagonista però vince, perché si da da fare per conquistare il cuore dalla ragazza.
- Non sono io il protagonista.   - Siamo tutti i protagonisti della nostra vita. 
- Anche i protagonisti a volte perdono - sta alludendo ad un libro in particolare e so qual è.
 - Ha vinto comunque - dico sicura.
- La vita non è un libro, Christal - pronuncia il mio nome scandendo le lettere, mi chiama con il mio nome completo solo quando mi rimprovera e sentirlo ora, quasi urlato, mi fa venire da piangere. Ma non lo faccio, anzi.
- E ALLORA PRENDI IN MANO LA TUA VITA E FAI COME TI PARE. VUOI CONQUISTARMI? IMPEGNATI. PREFERISCI ODIARMI? FALLO - faccio un respiro profondo dopo aver urlato e mi calmo - Anche se io preferisco averti come prima.
- Non si può avere tutto ciò che si vuole Christal - detto questo, mi volta le spalle e se ne va.

"Andiamo a cercare questo famoso dottore. Oggi alle 4 passo da te" e con questo messaggio so come indirizzare i miei pensieri altrove. Fortunatamente è un sabato, posso restare fuori fino a quando voglio. Elettra arriva puntuale, evito spiegazioni a mia madre e probabilmente lei pensa che sto uscendo con Marco. Che faccia come vuole. Sulle pagine gialle ci sono 10 Christian Meroni nelle città vicino a noi, non sappiamo neanche se durante la pensione si sia trasferito, questo porterebbe ad altri 20 nella nostra regione e 10 nel resto dell'italia. Non sapevo fosse un nome diffuso, non lo sapeva neanche Elettra. Da quello che ha scoperto su internet questa famiglia ha l'abitudine di chiamare Christian i figli maschi, nome che non è sui più diffusi in italia, proprio per questo motivo, quella che era la metà della famiglia ma ora è la maggioranza, con i molti figli avuti, è sparsa mentre la metà più piccola è rimasta nei luighi di origine. Speriamo solo che in pensione non abbia deciso di andare via come l'altra metà. Entro nella macchina di Elettra, che ha la patente da poco, e lei parte subito verso la casa numero uno, che si trova in città. 
- Non sono sicura abiti qui perché è un condominio nuovo - dice lei.
- Fa niente, non è mai la prima casa, lo sanno tutti - mi guarda - Cosa?
- Hai gli occhi rossi. Hai pianto?
- No no. Prima mi era entrato un moscerino nell'occhio e mi si è arrossato - riesco a convincerla.
Passiamo il trafitto parlando su come faremo a capire chi è il dottore, purtroppo l'ospedale non ci ha lasciato foto e ci ha solo detto che l'uomo ha occhi verdi e capelli grigi, causa dell'età.
Dopo qualche minuto arriviamo alla casa. Scendo, sbattendo la portiera dietro di me, e Elettra fa lo stesso. Il condominio che si staglia davanti a noi è davvero molto nuovo. La maggior parte degli appartamenti è ancora vuoto mentre i balconi degli altri sono pieni di fiori. Due bambini strillano da una finestra mentre un cane abbaia dal balcone più alto. Camminiamo per il vialetto e arriviamo al citofono. Elettra fa scorrere il dito sui nomi finché non arriva a quello giusto.
- Chi è? - risponde la voce. Sembra molto squillante.
- Salve signore. Lei è Christian Meroni il medico? - chiede Elettra. 
- Io studio ancora e non per medicina. Mi spiace avete sbagliato - la voce chiude il citofono.
- Sembrava giovane dalla voce.
- Già. Avevi ragione non potevamo trovarlo al primo colpo - dice affranta.
- Dai andiamo a prenderci qualcosa.


 Angolino autrice: Eccomi! Puntuale per una volta. Allora la cosa dei Meroni me la sono inventata, non so neanche se esiste il cognome, ma ho deciso di dire che ce ne sono molti per movimentare il tutto e per renderlo meno noioso. Recensite!

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Capitolo 10
*** La signora Pizzo ***


La settimana seguente è una delle più brutte della mia vita. Passo i pomeriggi a cercare quel dottore con Elettra e a scuola Marco non accenna a parlarmi. Quel giorno io e Elettra abbiamo quasi perso le speranze di trovare il dottore, li abbiamo contattati tutti nella città, ne mancano solo tre, immaginavo che lo avremmo trovato sicuramente non tra i primi ma così tardi...no speravo di trovarlo prima, anzi, ormai preferisco non trovarlo. Scendiamo dalla macchina di fronte a un palazzo, è molto grande e per niemnge nuovo, le tegole del tetto, una volta poprabilmente di un rosso acceso, ormai sono sbiadite e rotte, la porta è grigia e si vede l'interno dell'abitazione da una piccola finistrella, dalla finestra più bassa si sentono i rumori provenienti da una televisione accesa . Nessuna targa porta il suo nome. 
- Sicura abiti qui? Era questa la casa? - chiedo a Elettra.
Annuisce: - Si. Era segnato questo numero civico. Provo a suonare qualcuno - scorre il dito sui tasti e ne clicca uno. Tzz.
- Dovevi cliccare il primo.
- Non sono in ordine di casa - si giustifica lei poi una voce risponde - Salve signora. Scusi per il disturbo...
- Non compro niente! - la interrompe la signora Pizzo, così dice il citofono, con veemenza.
- No signora, ho bisogno di un'informazione non voglio venderle niente! 
- Oh scusa, c'è questo tizio delle aspirapolveri che vuole sempre vendere e contatta sempre me, sai? Lo sa che non voglio niente ma lui lo fa apposta per infastidirmi! Pensa che l'altro giorno...Oh scusa! Dimmi pure cara.
Lancio uno sguardo a Elettra e mi trattengo dal ridere. "Proprio la signora che attacca bottone con tutti doveva trovare?" penso, ma almeno mi rallegra la giornata.
- Ci spiace signora di averla fatta spaventare...
- Oh dammi del tu! - risponde la voce.
- ...Si - riprende con fatica la mia amica - Sa per caso se in questo palazzo vive un certo Christian Meroni? Non è segnato qui, lo stiamo cercando.
- Oh! - inizio a sospettare che le piaccia molto dire "oh!" - Si si! Il dottore!
Il mio volto e quello di Elettra si illumina. Lo abbiamo trovato.
- Grazie signora! Come mai non è segnato? A chi devo suonare? 
- A nessuno, non abita più qui, si è trasferito il mese scorso - lo dice con leggerezza, come se non ci avesse appena dato false speranze e poi le avesse uccise.
- Ma lei ha detto...grazie tante signora - Elettra fa per chiudere la conversazione ma io intervengo.
- Saprebbe dove si è traferito? - chiedo sbalzando Ele da davanti al citofono per sentire meglio la voce.
- Si certo. Ce l'ho scritto su un foglio.  Oh ma non posso lasciarvi fuori al freddo, salite. Terzo piano - detto questo, scatta la porta e chiude la conversazione. 
Guardo Elettra: mi fa segno di andare avanti. Apro la porta, entro e la sento chiudersi dopo di me, mi volto, l'ha chiusa Elettra. Cerco l'ascensore ma non ne trovo. 
- È vecchio, dai, dovremo farcela a piedi, sono solo tre piani - dice lei.
Annuisco e salgo sui primi gradini, facendo scorrere la mano sul corrimano. Le scale sono molto ripide e mi sorge subito il dubbio di come una donna dalla voce anziana come quella che ci ha risposto al citofono possa farle tutti i giorni. Arriviamo al terzo piano e davanti a una porta aperta c'è una donna sulla settantina con in mano un piatto di biscotti.
- Oh! Scusate per le scale, io stessa faccio sempre fatica e non esco quasi mai, prendete un biscotto mentre aspettate - ci conduce in casa, in una piccola cucina molto graziosa e ci fa sedere. 
- Sedetevi, vado a cercare il foglio con l'indirizzo - fa un grosso sorriso.
- Scusate, non mi sono presentata. Sono Linda Pizzo. Quali sono invece i vostri nomi? Siete gemelle? Oh, che domanda sciocca, certo che si.
- Io e sono Elettra e lei è Christal. Veramente no, non siamo gemelle. Io ho 18 anni e lei 16 - risponde Elettra - Però...
- Però ci scambiano tutte per gemelle fin da quando eravamo all'asilo - sorrido alla donna. 
- Be' è molto plausibile - si allontana alla ricerca del foglio.
Elettra sgrana gli occhi verso di me.
- Senti Ele, se le diciamo la verità a questa donna verrà un colpo. 
- Hai ragione. 
Dopo una decina di minuti la signora Pizzo torna da noi con un foglio in mano. Il foglio, mezzo strappato su un lato, è scritto in quelli che sembrano, scrittura tipica dei dottori, eppure la donna lo riesce a decifrare.
- "Via Romani 23". Dovrebbe essere un palazzo come questo solo con un ascensore e molto più nuovo. Ha detto così lui. Lo capisco se se ne è voluto andare...
- In che senso? - chiedo.
- Oh dopo la morte della moglie...é caduto in depressione per un po'. Sono stata l'unica che gli ha dato del sostegno...se non ci fossi stata io...
oh, scommetto che gli altri nel palazzo vi hanno detto di suonare a me - sembra turbata.
- In realtà abbiamo suonato a caso.
- Siete state fortunate. Gli altri consideravano il povero Christian un pazzo. Ha lasciato solo a me il nuovo indirizzo, era come un figlio.
- Possiamo chiederle perché era depresso? La moglie...? - dice Elettra, educata come al solito. 
- Christian era sempre stato un ragazzo solo, i genitori abitavano qui ma erano sempre occupati, non avevano mai tempo per lui, e così cominciò ad allontanare gli altri bambini, a restare solo anche a scuola. Quando i genitori non c'erano veniva sempre da me, però non giocava con i miei figli, restava in disparte. Quando finì l'università mi accorsi che si era innamorato di una ragazza del suo corso, sapete, in un certo senso le assomigliare molto, ma non sarebbe possibile...Un giorno vidi Christian sotto una casa in centro, sotto la neve, mi fermai e vidi scendere la ragazza di corsa, che arrivata gli saltò in braccio e lo baciò, fui molto contenta per lui. Due anni dopo Christian e Federica si sposarono.
- E poi che accadde? - la faccenda che assomigliavamo a queste f
Federica mi dava sui brividi, rischiava di confermare le mie ipotesi. 
- Una notte Federica face un incidente stradale e morì. 
- Quanti anni aveva? - la pelle d'oca, mi stava facendo venire la pelle d'oca
- Ne aveva 38. Christian andò fuori di testa, tentò più molte di togliersi la vita e poi dopo 10 anni finalmente tornò quello di una volta. 
- Quanti anni ha adesso? - chiedo ancora.
- Ha 66 anni. 
Mi volto verso Elettra e la vedo deglutire. 
Ha paura. 
Come me.

Quella sera voglio solo svagarmi. Domani incontraremo quell'uomo e sapremo la verità. Ho bisogno di qualcuno che mi dia conforto, che mi dica che andrà tutto bene, ma non posso chiamare Marco, non posso farlo. 
Faccio scorrere le dita sul display e mentre ci passo con il dito mi accorgo che Andrea mi ha mandato un messaggio, mi chiede di uscire.  Durante quella settimana è stato un vero amico e non ho nessun motivo per rifiutare.
"D'accordo, sono da te alle 9, ho bisogno di uscire però" rispondo.
"Successo qualcosa? Va bene".
Alle 9 in punto lo avviso che sono da lui. Lo vedo scendere di corsa e appena è davanti a me sfoggia un grande sorriso. Indossa una semplice camicia blu a scacchi e dei pantaloni, entrambi intonano con i suoi occhi. Ci incamminiamo per le piccole stradine buie che ci sono intorno alla sua casa.
- Allora, dove mi porti? - chiedo.
- Ho un amico in un bar qui in centro, gli ho detto che sarei passato a salutarlo, va bene? - risponde lui.
- Perfetto!
Il bar chiamato "Merlino" non è molto pieno, tanta gente deve ancora arrivare e questo me lo fa apprezzare di più, odio i posti affollati. Non sembra tanto un bar, alcune luci colorate sono sparate qua e là e intorno è leggermente buio, non tanto quanto una discoteca, però di più di un bar normale. Resto imbambolata per un po' a fissare una luce verde finché Andrea mi prende per mano e mi tira dal suo amico. Il ragazzo delle bibite ci saluta con la mano. Ci avviciniamo.
- Andrea! - dice finendo di preparare una birra.
- Riccardo, questo bar è stupendo! - si volta verso di me - Lei è Christal.
- Ti sei trovata il ragazzo giusto! - ridacchia.
- Non è la mia ragazza.
- Non ne sempri contento - continua a ridacchiare. Gli tirerei volentieri un pugno in faccia. Non è divertente.
- Preparaci qualcosa e smettila, per favore - Andrea mi tira verso un tavolo.
- Simpatico - dico in modo sarcastico - Avrà 20 anni. Come fai a conoscerlo?
- 24 - mi corregge - Mio fratello ha la sua età, dopo un po' si è stancato dei viaggi di mio padre e si è iscritto all'università dell'altra città e non ha voluto più seguirci, ho conosciuto Riccardo, che era il suo coinquilino, due anni fa e ora che lui è venuto qui a fare il barista sono venuto a trovarlo. 
- Capisco, tuo fratello è qui anche lui?
- No, è rimasto in città. Però settimana scorsa è venuto a trovarci - spiega Andrea. 
- Ah, okay.
- Come mai avevi bisogno di uscire? Cos'è successo? 
- Niente, lo sai, quella faccenda.
- Ah certo. Giusto, chi sono io per sapere queste cose? Marco ti ha lasciata sola con questo casino una settimana e io che ti ho aiutata non posso comunque saperlo.
- Lo sai, di lui mi fido. È il mio migliore amico.
- Gran bel migliore amico, che ti lascia sola in questa situazione per un litigio banale - sembra furente.
- Non era banale...sono stata molto egoista con lui. 
- Dovresti dirglielo sai? 
- Cosa? 
- Che per te é solo un amico. Non credo ce l'abbia chiaro.
- Oh. Ce l'ha più chiaro di quanto tu possa pensare.
Passiamo la serata chiacchierando e poco a poco riesco a dimenticare quello che mi affligge. Quando inizia a fare tardi salutiamo Riccardo e andiamo.
La strada è molto buia e ormai inizia a fare freddo, un semplice giubbotto di jeans non basta. Mi stringo nelle braccia per cercare di farmi calore. Mentre Andrea mi riaccompagna a casa passiamo in una di quelle piccole stradine dell'andata. Lui si ferma di colpo e mi guarda. 
- Sai perché prima ho detto che dovevi fare presente a Marco che eravate solo amici? 
- Be'...
- Lo vedo, come ti guarda. 
- Come mi guarda? 
- Come se tu fossi il centro dell'universo. E allora mi sono chiesto: perché si è allontanato? Perché avete smesso di parlarvi? Perché per uno stupido litigio è stato così orgoglioso? - mi osserva - Cos'è successo Christal?
- Andrea, non sono affari tuoi.
- Lo sono. Anche tu lo guardi così, come vorrei che tu guardassi me.
- Te? Andrea io...io non capisco - sono confusa, cosa intende dire?
- Ti ha baciata? Vi siete baciati? - mi guarda in un modo che non ammette bugie.
- Noi...si, mi ha baciata.
- E tu lo ami? 
- No. 
- Lo ami, lo leggo nei tuoi occhi. 
Resto a bocca aperta, Andrea stringe i pugni.
- Una volta sola. Una.
Non capisco le sue parole poi si avvicina a me, indietreggio e finisco contro il muro. Appoggia le sue mani sulle mie braccia e appoggia la sua bocca sulla mia. Di nuovo, è successo due volte. 
Resto immobile e sento una lacrima bagnarmi le labbra, non è mia. 
Apro gli occhi e proprio dietro Andrea lo vedo, Marco. Che cosa sta succedendo? 
- Adesso baci anche lui? Credevo non volessi baciare chi non amavi - si allontana, e inizia a correre. 
A quelle parole Andrea si allontana da me e io faccio in tempo ad urlare una frase, prima che Marco se ne vada. 
- Non è come pensi - ripeto di nuovo sottovoce. Ma cosa me ne importa? Cosa me ne importa di quell'idiota? 
- Non avrei dovuto farlo. Lo ami. E io ti ho tolto la possibilità di essere felice, di far felice la ragazza che amo - una lacrima gli solca il viso.
- Non mi ami - sussurro - Lo credi, ma capirai di non amarmi. 
La testa mi gira ma non mi importa, inizio a correre, allontanandomi sempre di più dal ragazzo che piange. Voglio andare a casa.


Angolino dell'autrice: Eccomi! Scusate se non ho pubblicato prima, avevo quello che chiamano il blocco dello scrittore. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, mi è venuta l'idea della Signora Pizzo mentre scrivevo mentre quello che è successo con Andrea ce l'avevo in testa da tempo, anche se scrivendolo è venuto molto diverso. Vi prego, recensite. Manca poco alla fine, forse un capitolo, forse due. Il prossimo lo pubblico più in fretta promesso.

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Capitolo 11
*** Una cosa ***


Entro in classe e traggo un respiro, pronta alla giornata più brutta della mia vita. La campanella suonerà tra molto ma, per la prima volta in vita mia, non ne sono affatto contenta. Cammino con la testa bassa dirigendomi al mio banco. 
Marco è già seduto al suo posto, così come Andrea, sento lo sguardo del primo puntato addosso ma non voglio alzare la testa. Lotto contro me stessa ma alla fine alzo lo sguardo. Marco ha gli occhi gelidi, che mi fanno rabbrividire, abbasso la testa ma continuo a guardarlo, probabilmente lui non si è accorto perché sospira e tira un pugno sul banco. Lo conosco troppo bene, quel pugno significa che ha odiato lanciarmi quello sguardo. Mi sento sollevata. 
Mi siedo al banco e volto la testa verso Andrea che ha un enorme livido su un pugno.
- Che hai fatto?! - dico preoccupata.
- Sono stato un idiota. Non avrei dovuto piangere come un bambino, me lo merito. E ora lasciami in pace Christal - dice prima di voltarsi verso il banco vuoto Sara.
Chino la testa poi Sara viene da me. 
- Quando ti deciderai a fare pace con Marco? - dice impettita.
Ci penso su. - Mai?  
- E quando invece la smetterai di essere orgogliosa? 
- Io, orgogliosa? Sara non sai il motivo per cui abbiamo litigato lasciami in pace, ti prego.
- D'accordo! - si volta - Marco! Quando chiederai scusa? Non potete buttare via 11 anni così! 
- Nessuno deve chiedere scusa, non è una cosa che ho deciso, ma lei poteva essere molto...meno vicina, molto meno vicina ai ragazzi diciamo - Marco mi lancia uno sguardo.
- Ti ho detto che non è come pensi! 
- E cosa penso? Come fai a sapere cosa penso? - ha di nuovo quello sguardo freddo. 
- Ragazzi non ci capisco più nulla - dice Sara. E poi sembra capire - Le stai dando della...Marco! Sei un idiota! Lei non ha ancora baciato nessuno, lo sai bene! A differenza tua.
Arrossisco violentemente. 
- Non credo sia così - dice Marco.
- E se fosse? Cosa te ne importa? 
- Gliene importa - lo fisso.
- Su dai, é tua amica non la tua ragazza. E tu quante ragazze hai baciato? Dieci? Venti? - Sara non sembra accorgersi del mio sguardo.
Marco bisbiglia qualcosa. Che cosa? Quante ragazze ha baciato? Sono gelosa, e parecchio. 
- Non mi importa quante ne ha baciate. Così a lui non deve importare di me - dico, ma non è vero, mi importa.
- Hai baciato qualcuno? - Sara resta a bocca aperta - Perché non me lo hai detto? Avete litigato per questo?
- Forse - diciamo all'unisono. 
- Ah! Io me ne vado - proprio mentre la mia amica si siede sento la campanella suonare.

Eccoci. Ci siamo. 
Sono davanti alla casa del dottore. la casa dove scoprirò chi sono, chi siamo io e Elettra. Un brivido mi percorre la schiena, poi, con un sospiro suono. Elettra è dietro di me, questa volta non ha voluto suonare il citofono, forse per farmi accorgere delle sue mani tremanti. Nessuno risponde e sono costretta a suonare due volte. Silenzio, poi una voce roca.
- Chi è?! - urla.
- Christian Meroni? - chiedo.
- Sono io Christian Meroni. Mi prende in giro? - anche se so che è impossibile mi sembra di sentire la puzza d'alcol fin da lì. 
- Ubriaco - mi rivolgo a Elettra.
- No - sembra che il signor Meroni mi abbia sentita - mi sono solo svegliato poco fa. 
- Abbiamo bisogno di parlare con lei! - dice Ele.
- Che volete da me? 
- Sappiamo che ha lavorato all'ospedale della città, è lei che si è occupato della nostra "nascita" - Elettra disegna delle virgolette nell'aria anche se sa benissimo che lui non la può vedere.
- Siete uguali, voi due? - dice con una punta di speranza.
- Si - diciamo all'unisono.
- Ce ne avete messo di tempo! - ci scatta la porta - Salite, forza! 
Guardo la ragazza identica a me: ha la bocca aperta. 
- Cos'è, uno scherzo? 
- Io dico di salire - metto un piede nell'edificio.
Mi guardo intorno, cercando l'ascensore di cui ci ha parlato la signora Pizzo, poi, una volta trovato, faccio cenno a Elettra di entrarci, mentre lo faccio io, sapendo che uscirò uguale a come sono entrata. L'ascensore si ferma sul pianerottolo e io sbircio dalla finestrella, davanti alla porta e riesco finalmente a scorgere quel famoso dottore. Ha i capelli brizzolati e non è troppo alto. Indossa una camicia hawaiana rossa e dei jeans consunti, so che se mi avvicinassi potrei forse sentire l'odore dell'alcol, dalla faccia penso non sia troppo ubriaco anche se prima lo sembrava. Esco dall'ascensore per prima.
- Cavolo - strabuzza gli occhi appena mi vede - siete, siete identiche. Federica - cerca di venirmi in contro ma appena scende anche Elettra si blocca a guardare anche lei e scoppia a piangere - Siete uguali a lei.
- Signore... 
- No, Ele! Sei stato tu? - dico. La paura sembrava essersene andata dal mio corpo. Non ho paura, ansia, pena per lui. Voglio sapere la verità. 
- A fare cosa? - si riprende e entra in casa mentre parla.
- A FARE QUESTO! - ci indico.
- Si - dice con leggerezza.
Sento Elettra irrigidirsi di fianco a me, ma io no, saremo uguali nel DNA, nell'aspetto fisico, nei geni. Ma non abbiamo lo stesso carattere, non ho ancora capito perché, ma ci sono vicina.
- E LO DICI COSÌ? COME SE FOSSE UNA SCIOCCHEZZA? - sto urlando. 
- Sedetevi. Penso che ormai abbiate capito. Come dicevo prima, ci avete messo tempo a trovarmi e a trovarvi - marca molto sul "vi".
- Io voglio solo sapere chi sono - la mia "gemella" inizia a tremare.
- Oh, giusto! Volete saltare al punto? Bene. Voi siete due cloni - sulla sua bocca inizia ad aprirsi un sorriso inquietante, decido di non assecondarlo, di non ribattere - Otto anni dopo della morte della mia Federica ho iniziato a capire che non potevo buttare via la mia vita. Volevo che lei vivesse, era tardi, ma un modo c'era. Io avevo il suo DNA. Aveva fatto molti esami e io sapevo riprodurlo in laboratorio. Ci ho messo due anni ma ce l'ho fatta. Purtroppo la scienza non è ancora in grado di creare essere adulti, non è ancora in grado di crearli in effetti ma a me bastava riprodurre Federica, grande o neonata che fosse. L'avrei cresciuta e l'avrei trattata come una figlia mia ma nessuna donna era disposta a far nascere la mia Federica. Io ero specializzato in queste cose, fecondazioni artificiali, e così capii che non mi importava averla per me, volevo solo che vivesse. Quale di voi ha diciotto anni? 
Elettra sussurra qualcosa che deve somigliare ad un io.
- I tuoi genitori vennero a fare la fecondazione il giorno sbagliato, scelsi loro. Loro due avrebbero cresciuto la mia Federica. Ti ho tenuto d'occhio per quei due anni, facevo in modo che il tuo pediatra mi dicesse come crescevi e poi... - si volta verso di me - Non eri programmata, lo sai? - fa un altro ghigno, quello, oltre al racconto, mi conferma ancora di più che sia è pazzo - Due anni dopo la sua nascita ho iniziato a desiderare di poterla avere io ma non potevo. Ho cercato di nuovo e poi ho pensato di farti partorire da una donna e rubarti appena messa nella nurse. L'ho fatto, tua madre era così felice e amava i tuoi occhi, come anche io li amavo, appena ti ho avuta davanti lì dentro ho deciso di lasciarti a loro. Federica era sulla terra di nuovo e io ero, dopo anni, finalmente felice, quello che mi iportava era quello. 
Terminato il racconto riacquisto la forza di parlare: - Tu non eri e non sei felice. Cosa credi? Che Elettra abbia davvero dato di nuovo la vita a tua moglie? Ti sei solo rovinato. Una cosa. Una cosa mi ha fatto capire tutta questa storia, ed è che, per quanto tu possa essere uguale ad una persona, non sarai mai come lei. Io e Elettra siamo identiche, siamo uguali a Federica, ma non siamo lei. Elettra non è me e io non sono lei, io sono impulsiva e testarda, ti sto gridando contro e spesso sono anche molto maleducata, quando mi arrabbio lo faccio davvero, sedici anni con i miei genitori e conosco le loro abitudini peggio di quelle di una persona che vedo per la prima volta. Per quel poco che ho conosciuto Elettra ho capito che lei è spesso l'opposto di me, sarebbe capace di dare del lei a una persona anche quando le grida contro anche se non penso lo faccia mai, è sempre così equilibrata e conosce benissimo i suoi genitori. Dimmi: ti sembriamo la stessa persona? Avremo lo stesso DNA per colpa sua, lo stesso viso, gli stessi occhi ma tutto questo non influenza l'anima di una persona. Quello che siamo DAVVERO dipende da noi e dalle persone che, volendoci bene, ci stanno intorno, un po' cambiando le nostre abutudini, un po' facendoci capire chi siamo. - Ecco ora ho capito.
Questo discorso lo lascia distucco. Mi fissa come se gli avessi fatto scoprire il mondo.
- Forse avrebbe dovuto pensarci prima. Andiamo Elettra - la prendo per un braccio e la porto via per sempre di lì. 

Sono in macchina con Elettra, quel discorso, che ha fatto capire tanto a quell'uomo mi è uscito così, la mia bocca ha preso a parlare dicendo cose in cui credo davvero. Quando siamo uscite da quella casa è iniziato a piovere, mi sono sentita come se quelle gocce stessero lavando via tutta la mia confusione. E ora, guardando fuori dal finestrino mi accorgo delle stupidaggini che tutta questa storia mi hanno fatto fare. Una in particolare. Ho ferito la persona più importante per me perché non mi sono fermata a pensare. Credevo che ora che avevo scoperto Elettra il mondo dovesse girare intorno a lei, le voglio bene ormai ma ho perso una persona a cui ne voglio di più. Non ho avuto il tempo di capire cosa quel bacio significa per me. Sento una stretta al cuore. Ho sempre voluto un ragazzo che ci sarebbe sempre stato per me, che mi amasse, che condivideva i miei stessi interessi e ce lo avevo davanti, ma non lo vedevo.  
- Ferma la macchina.
- Cosa? Christal piove, non hai l'ombrello, ti porto a casa.
- Devo fare una cosa. Sono stata una stupida, devo rimediare. Voglio essere felice. Ho fatto un casino e ora ho capito. Ferma la macchina.
Elettra mi guarda allibita e fa come le dico e io scendo dalla macchina.
- Ci vedremo ancora? 
Mi volto sorridendo: - Il fatto che ora sappiamo chi siamo non cambierà il fatto che mi sono affezionata a te. 
- Allora corri, corri da Marco.
- Come - cerco di formulare una domanda ma mi blocca.
- Conosco le abitudini dei miei genitori per un motivo: osservo le persone - sorride.
Prendo un respiro e corro sotto la pioggia. 

Suono il suo citofono. Tzz tzz.
- Chi è? - risponde la sua voce.
- Adesso mi ascolti. Hai sempre avuto ragione sono una stupida. 
- Ri?  - chiede. Poi sento chiudere il citofono e esce dalla porta per ascoltare quello che ho da dire.
- Ho fatto il più stupido errore della mia vita. Ti ho allontanato, ti ho detto che non avresti dovuto baciarmi a tradimento. Ti ho detto che eri un idiota perché non riuscivi a comportarti come sempre, perché dovevi stare con me, ti dicevo quelle cose perché sono una stupida egoista. Non volevo stare sola e invece mi sono ritrovata proprio così per tutti gli sbagli che ho fatto - lo guardo, lui mi osserva da lontano perché io sono ancora fuori dal cancello.
- Mi manchi, e mi accorgo solo ora che quello che sento per te non è amicizia! Mi manchi come l'aria. Mi sono innamorata di te. 
- È tardi - ma è sorpeso a sentire quelle parole.
- Lo so. Ma io sono quella che arriva sempre per ultima giusto? Capisco sempre le cose che hanno a che fare con i sentimenti per ultime. Io sono brava nella logica e il cuore non si usa esattamente come il cervello, no?
- Scusa, ma è tardi - si volta e chiude la porta dietro di sé, lasciandomi da sola sotto la pioggia. 
Suono il citofono di nuovo e urlo il suo nome, non ho intenzione di darmi per vinta. Lui non si fa vivo così scavalco il cancello e corro attraverso il giardino fino ad arrivare davanti alla finestra di camera sua, dove sono sicura si sia rintanato a pensare. 
- Marco!! - lo chiamo, e inizio a tirare dei piccoli sassi sul vetro. 
Arrivata al quinto apre la finestra.
- Che cosa fai?! 
- Ti obbligo ad ascoltarmi!
- Ti ho già ascoltata! 
- Fammi entrare - lo supplico.
Mi osserva, ho i vestiti fradici di pioggia e probabilmente domani avrò il raffreddore. Chiude la finestra. Possibile che sia così odioso? Ma dopo poco apre la porta di casa.
- Vieni - mi chiama.
Corro da lui e gli salterei in braccio se lui non mi guardasse arrabbiato.
- Ti do dei vestiti asciutti e ti cambi, poi torni a casa con l'ombrello. Me lo ridai a scuola. 
Senza dire una parola mi avvio in camera sua. 
- Vado a prenderti una maglietta da Beatrice, che è di là con Alessio. Sì - risponde ancora prima che io gli faccia la domanda - è tornata a casa anche questo weekend, lui non poteva andare da lei. Inizia a togliere i vestiti bagnati - detto questo se ne va.
Sbuffo e faccio come mi ha detto. Sfilo la felpa e mi tolgo la maglietta, brividi di freddo mi avvolgono poco prima che lui torni dalla camera a fianco.
- Metti queste - dice mettendo un piede in camera e poi si blocca.
- Che c'è? - chiedo.
Il suo sguardo indugia su di me ma io inizialmente non capisco. 
- Già - dice - Mi dimentico che non ti vergogni mai di me. 
- In che senso? - poi guardo il mio corpo. In effetti non è stata una grande idea togliermi la maglietta e restare in reggiseno nella camera di un ragazzo - Oddio! Giuro che non l'ho fatto apposta. Tu mi hai detto di iniziare a togliere le cose bagnate e io l'ho fatto! L'ultima volta che mi hai detto una cosa del genere avevo 11 anni e l'ho fatto, mi è venuto naturale. Chissà cosa pensi - dico velocemente quasi senza respirare, poi gli dico di passarmi la maglietta.
La mano che tiene la maglietta si protende verso la mia ma appena faccio per prenderla lui la lascia cadere, e invece di essere io ad afferrare la maglietta è lui ad afferrare la mia mano. Mi attira a se e in un attimo sono avvolta dal suo abbraccio. 
- Mi sei mancata così tanto - dice nell'abbraccio.
- Mi sei mancato anche tu - resto a farmi scaldare dall'abbraccio in silenzio per un po' poi gli dico di nuovo cosa provo - Mi sono innamorata di te.
- Anche io. Sono felice che tu non abbia detto "Ti amo". 
- Perché? Tu me lo avevi detto.
- Infatti io ti amo. Se me lo avresti detto sarei corso sotto la pioggia da te senza neanche essere sicuro che tu mi amassi sul serio.
- Ti amo.
- Ti odio quando fai così! Possibile che tu mi debba sempre far arrabbiare e stare male? 
- Scusa - stringo l'abbraccio.
Fa un sorriso poi inizia a camminare, vengo obbligata dall'abbraccio a fare gli stessi passi e poi mi accorgo di avere dietro qualcosa, lui continua a camminare e io cado su quello che c'è dietro di me. Fortunatamente è un atterraggio morbido perché mi ritrovo sul suo letto. 
E lui senza dire niente mi bacia. È il bacio più bello della mia vita, non che ne abbia dati molti ma sono sicura che resterà il migliore. Mi lascio trasportare da quella dolcezza e inizio a far scorrere le mani nei suoi capelli. Niente mi farebbe smettere se non il bisogno di respirare.
Sento dei passi in corridoio e la porta che si apre. Le nostre labbra si allontanano ma non riusciamo ad alzarci dal letto in tempo.
- Pensavo avessi bisogno di una felpa - Beatrice entra nella stanza e appena vede la scena di me, in reggiseno e Marco, sopra di me lascia cadere la felpa - suppondo di no - dice, e esce.
Restiamo in silenzio a guardarci e dal corridoio sentiamo Beatrice parlare con Alessio di quello che ha visto.
- Non aveva bisogno della felpa - sento dire lei.
- Perché?
- O mio fratello sta tentando di baciarsela a forza, o altro a giudicare che lei era in reggiseno, o penso che si siano messi insieme. 
- Secondo me è la prima - dice Alessio. 
Scoppio a ridere e Marco mi lancia un'occhiata, si alza a mi tira la maglietta. 
- Mettitela prima che pensino male.
- Troppo tardi - rido.
Poi si dirige alla porta e si mette a urlare a sua sorella - Per la cronaca, Christal è la mia ragazza! - chiude la porta e torna da me che nel frattempo ho messo la maglietta. 
- La tua ragazza? - chiedo. 
- Meglio che non ti dico qual era l'altra proposta.
Rido: - Sono felice.
- Felice? 
Annuisco. Sono felice come non lo sono mai stata prima e ora ridendo so davvero chi sono. Non sono la ragazza identica a Elettra, non sono la copia di qualcuno e non lo sarò mai. Sono Christal, ho 16 anni.
 

                           



Angolino dell'autrice: Eccomi. Questa volta non sono in ritardo. *Scoppia a piangere* La storia è finita. Volevo fare un epilogo ma amo questa fine. Questo è in assoluto il mio capitolo preferito per quello che dice Christal a Christian Meroni e perché finalmente si mette con Marco, tenevo tanto a questa cosa perché come ho detto nei vari capitoli quando un ragazzo si innamora della migliore amica nei libri resta sempre ferito. Mi era venuta l'idea della clonazione quando la studiavo a scuola :"D. Mi raccomando recensite e ditemi cose ne pensate del capitolo e della storia in generale, spero che la fine non sembri precipitosa. Grazie di aver letto e seguito la storia. *HO AGGIUNTO UN CAPITOLO QUINDI NON E' PIU' QUESTO L'ULTIMO, Scusate!*

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Capitolo 12
*** Epilogo ***


Angolino dell'autrice: Ehi! Lo so...non mi faccio sentire da settimane e dico "Ehi" (Ogni riferimento ad Harry Potter non è puramente casuale) In queste settimane sono stata sommersa fino al collo da verifiche e interrogazioni  e ho scritto questo capitolo nelle pause dello studio. Questo capitolo è dedicato a Shadow writer perché è stata lei a chiedermi di scriverlo. Lo so. Fa abbastanza schifo e siccome era corto ho aggiunto quell'epilogo di cui vi ho parlato l'altra volta che fa tre volte più schifo. Vi prego perdonatemi. Alla prossima storia e buona lettura. 


È passato un mese e mezzo dopo il mio incontro con il medico. Fa così freddo che un semplice calorifero non basta a riscaldare neanche una piccola stanza. La neve ha cominciato a cadere ieri a piccoli fiocchi e ormai tutta la città è coperta da un sottile strato di ghiaccio.  Strofino le mani per scaldarmele, nonostante stia indossando dei guanti blu, intonati alla sciarpa, e poi torno a dare la mano a Marco. Ho sempre odiato i fidanzati che si danno la mano per strada e ora sono una di loro, non capivo perché lo facevano, mi sembrava così stupido. Ma avere la sua mano nella mia mi fa sentire sicura e felice e quando me la stringe so che non sono sola al mondo. Stiamo andando in quel posto in cui vado molto spesso ormai: la casa di Elettra. Ho finalmente deciso di raccontare tutto quello che mi è successo ai miei genitori e per farlo ho bisogno di lei. 
Lei esce subito di casa, indossa un cappellino rosso e un giubbotto che ha l'aria di essere molto pesante e molto più caldo del mio, vorrei indossarlo io perché ho l'impressione che potrei morire di freddo da un momento all'altro. Il suo sguardo indugia sulle nostrr mani unite e poi fa un grosso sorriso. Marco non mi aveva mai tenuto la mano o baciato di fronte a lei. In effetti non so neanche che effetto gli faccia andare in giro con due ragazze identiche, se fossi lui sarei molto a disagio. Ho chiesto a Marco di accompagnarmi da Elettra prima di tornare a casa perché avevo paura di fare la strada da sola, non volevo pensare a cosa sarebbe potuto succedere dopo. 
- Vi accompagno fino a casa - dice.
Lo ringrazio mentalmente. 
Elettra inizia a raccontarmi quello che le è successo il giorno prima, non sembra agitata, in fondo lei ha già risolto tutto. Ma io ho già aspettato molto era meglio farlo molto prima.
Arrivati a casa vedo mia madre che mi aspetta, guardando fuori dalla finestra. Le faccio segno di chiudere le tende e di tornarsene in cucina e lei fa finta di farlo, ma so che in realtà sta guardando. 
Prima che possa avvisare Marco che mia mamma ci sta guardando lui mi da un bacio a stampo e mi augura buona fortuna, andando via. Mi volto verso la finestra, rossa come un peperone ma mia mamma non c'è, probabilmente è andata a ridacchiare da mio padre. 
Entro in casa e dico a Elettra di aspettare a entrare in cucina dai miei genitori quando glielo dirò io. In cucina mia mamma sta raccontando a mio padre quello che ha appena visto, gesticolando.
- Mamma, papà voglio dirvi una cosa importante - dico io con un sospiro.
Mia mamma si volta verso mio padre terrorizzata: - Che cos'è successo?
- Vi prego non reagite male. Vi ricordate quando vi ho chiesto se avevo una parente di nome Elettra?
- Si - dice mio padre - Non ne hai.
- Non è proprio esatto - guardo la porta.
- In che senso? - chiede papà. 
- Nel senso che ho incontrato una ragazza e...Insomma lei è uguale a me - controllo la loro reazione.
- Stai pensando che ho abbandonato una bambina? Non potrei mai farlo. Sarà sicuramente una coincidenza e poi non credo che tu sia così uguale a lei - dice mia mamma, sta cercando di capire quello che ho detto.
- Siamo identiche mamma...
Si porta le mani al viso. 
- ...ma è tutto risolto. Ho aspettato di scoprire tutto prima di dirvelo.
- Cosa dovevi dirci? Cos'hai scoperto?
Vado ad aprire la porta e faccio entrare la mia "gemella". Mia madre resta un po' sulla sedia, immobile, poi si alza di scatto per correre da Elettra, mio padre impallidisce sulla sedia. 
- Sei uguale a Christal - dice mia mamma con una mano sulla guancia di Elettra.
- Ehm si - lei arrossisce a quel contatto con una sconosciuta.
- Mamma, mettiti seduta.
Guardo Elettra e insieme gli raccontiamo tutta la storia. Il nostro incontro, le nostre chiamate, le scoperte in ospedale e la ricerca di Christian Meroni. Mio padre è sempre più pallido e non apre bocca. Poi arriviamo alla spiegazione dell'uomo. 
- Quell'uomo - dice mia mamma con una rabbia che non le ho mai visto dentro prima - Voleva portarti via da me. Come ha potuto pensare una cosa simile? Non avrebbe riavuto indietro sua moglie. 
- Lo so - dico.
- Ti ha resa uguale a qualcuno. Ti ha obbligata ad essere come lei.
- No.
- Perché no?
- Io non sarò mai la sua Federica. Io sono soltanto io. Sono tua figlia e lo sarò per sempre, non me ne importa niente dei legami di sangue, un vero genitore è quello che cresce il figlio.
Si alza per abbracciarmi e scoppia a piangere. Stringo l'abbraccio e guardo mio padre, che mi sorride. In fondo sono molto simile a loro, ho preso le loro abitudini. Poi sento l'abbraccio sciogliersi e mia mamma si fionda su Elettra, che fa un balzo indietro ma non riesce a sfuggire comunque dall'abbraccio di mia madre. 
- Non so neanche come ti chiami - dice attraverso l'abbraccio.
- Elettra - risponde lei. E io sorrido.
- Da noi sarai sempre la benvenuta.
E con queste parole so già che Elettra farà per sempre parte della mia vita, come una sorella.


12 anni dopo.
La prima volta che le vidi attaverso lo schermo sorrisi, me lo aspettavo. Dentro di me lo sapevo. La vita ama farci degli scherzi, spesso sono cattivi ma ce ne fa anche di meravigliosi. Come questo. 
Quando lo raccontai a Elettra lei si mise a ridere, credeva la stessi prendendo in giro ma non era così e quando capì che era vero mi strinse in uno di quei caldi abbracci, pieni di amore e felicità, che ricordi per tutta la vita. Aspettavo due gemelle. Omozigote, identiche. Mi ero sempre chiesta come fanno genitori a riconoscere i loro figli ma ora lo so. Nessuno è mai uguale e io lo so meglio di chiunque altro. Una madre sa sempre riconoscere i figli. Anche se spesso, lo ammetto, chiamo Elena con il nome di sua sorella, Beatrice, e viceversa, spero che capiscono qual è il loro nome. Marco è un padre fantastico. Mattia ora ha 20 anni ed è il classico ragazzo per il quale tutte farebbero follie, anche se probabilmente non gli correrebbero dietro se sapessero che quando è con le bambine diventa un bambino anche lui, ma è un bravissimo zio anche se ha rischiato di far cadere Elena due o tre volte. Mamma e Papà ormai considerano Elettra parte della famiglia e lo è davvero. Con quella scoperta la mia vita ha preso una svolta stupenda. Non è stata una cosa brutta incontrare Elettra, anzi. Anche se ho passato un brutto periodo, in cui non sapevo chi ero, ora so chi sono più che mai, e non me lo scorderò mai più. FINE.

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