S come Speranza

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Si strinse addosso il cappotto, in un inutile tentativo di ripararsi dall’aria gelida che le sferzava il viso.
Il suo respiro si condensava in piccole nuvolette davanti a lei, mentre camminava velocemente diretta a casa, il ticchettio dei tacchi degli stivali sul ciottolato a scandire il ritmo dei suoi passi.
Un brivido l’attraversò, mentre portava le mani a sfregare contro gli avambracci opposti, per trasmettere un po’ di calore agli arti indolenziti dal freddo, sebbene non fosse certa che fosse realmente quella la causa dei tremiti che l’attraversavano.
La recente scoperta l’aveva sconvolta.
Si era aspettata che quell’incontro sarebbe stato determinante per ciò a cui lavorava da qualche mese ormai, ma non si sarebbe mai immaginata una simile rivelazione.
Ora aveva fretta di tornare a casa perché aveva parecchio materiale su cui lavorare, certo, ma anche perché, da brava giornalista, per quanto giovane fosse, sentiva istintivamente di essere appena diventata una persona che “sapeva troppo”.
E l’atroce dubbio che lo sapesse anche qualcun altro non voleva abbandonarla.
Si rendeva conto che la sensazione di essere seguita era al novantanove per cento frutto della sua immaginazione ma non poteva fare a meno di guardarsi intorno febbrilmente.
Era tardi, non aveva idea di che ore fossero esattamente ma intorno era buio pesto e la scarsa illuminazione di quel quartiere periferico e deserto non aiutava.
Sembrava di essere in una città fantasma.
Solo qualche finestra resisteva tenacemente illuminata, contribuendo ad intensificare a tratti la luce dei lampioni.
Strinse il nodo della cintura del cappotto, prima di infilare le mani in tasca, mentre attraversava la strada, guardando a destra e a sinistra, in un gesto meccanico ed inutile vista la totale assenza di macchine e di qualsiasi altra forma di vita, animale o umana che fosse.
Il silenzio era totale, rotto solo da una sirena della polizia in lontananza e dal suo respiro un po’ affannato, per il freddo e l’agitazione, ragion per cui lo percepì immediatamente lo scalpiccio che si faceva sempre più vicino, gelandole il sangue nelle vene.
Ebbe la certezza che seguivano lei quando, fingendo di essersi incastrata con un tacco e fermandosi, anche il rumore di passi alle sue spalle cessò.
Chiunque fosse, o fossero, era un pessimo inseguitore, pensò Kaya, guardandosi intorno rapidamente e individuando un vicolo in cui infilarsi, pregando non fosse cieco ma portasse a una zona un po’ più affollata della città.
In fondo era venerdì sera.
Si maledisse per l’ennesima volta per aver accettato di fissare l’incontro in un luogo così poco battuto, assecondando la paura del suo informatore di venire riconosciuto troppo facilmente.
Così ora a essere nei guai era lei.
Cercando di continuare a camminare, resistendo all’impulso di mettersi a correre, puntò decisa la piccola stradina che spariva nel buio, tra le mura di due case.
Con suo immenso sollievo, vide un arco poco distante che conduceva dalla parte opposta del vicolo, una scorciatoia per spostarsi in un altro quartiere che, secondo i suoi rapidi calcoli mentali, portava più vicino al centro.
Percepì una presenza alle sue spalle, segno che l’inseguitore aveva accelerato il passo e stava guadagnando terreno e, abbandonate prudenza e apparenza, prese a correre verso la propria salvezza, voltandosi per valutare la posizione del pedinatore, che la distanziava solo di pochi metri ormai.
Con uno slancio, cercò di allungare le falcate ma non riuscì nemmeno a posare il piede a terra che andò a sbattere contro qualcosa che la sospinse all’indietro facendola cadere.
Riuscì ad attutire il colpo, caricando il peso sugli avambracci, e, risollevatasi con il busto, si scostò qualche ciocca bionda dal viso per liberare gli occhi, che si sgranarono di terrore nello squadrare la figura davanti a sé.
Vestito di nero da capo a piedi, era difficile dire, al colpo d’occhio, se si trattasse di un uomo o una donna.
La corporatura faceva pensare a un maschio ma i connotati e la voce avevano un che di femminile, per non parlare dei tacchi a spillo.
-Ah!- esclamò, guardandola con un inquietante sorriso celato dietro alla mano aperta davanti alla bocca -Ben fatto Nero!-
Kaya sgranò gli occhi mentre si voltava verso il suo inseguitore, che ora avanzava con andatura pacata verso di lei, le mani in tasca.
Anche lui completamente in nero, portava un cappello a tesa larga con una piuma rossa e il viso ricordava quello di una faina o una donnola.
Si avvicinò, leccandosi le labbra con sguardo sadico, facendo crescere l’orrore in lei.
Lo leggeva nei loro occhi, era spacciata!
-Sciaaa! Avevi forse qualche dubbio Dellinger?!-
-Ah! Dopo l’ultima missione! Ma questa volta sei stato bravo, anche se temo di non poterti lasciare l’onore di toglierla di mezzo! Stasera ho proprio voglia di divertirmi!- disse, distendendo le gambe una per volta.
Con uno scatto, Kaya si voltò di nuovo verso il biondo e ambiguo ragazzo, respirando affannato e guardandosi intorno febbrile.
Si sentiva come una gazzella braccata da due predatori ed era consapevole di non avere possibilità ma non trovò di meglio da fare che tentare l’impossibile, lasciando che l’istinto prendesse il sopravvento.
Con un rapido movimento si spinse in avanti, rimettendosi in piedi e lanciandosi verso l’arco nel vicolo, alle spalle di quello che si chiamava Dellinger, cercando di sfuggire alla sua presa.
Un verso rotto e secco risuonò nelle sue orecchie, verso che riconobbe come la propria voce, mentre veniva catapultata all’indietro e finiva con la schiena addosso a Nero.
L’uomo l’afferrò prontamente, bloccandole un braccio dietro la schiena con una mano ed estraendo con l’altra un coltello molto simile a una piccola sciabola, per puntarglielo alla gola.
Kaya trattenne il fiato, in preda al terrore.
-È una gattina con gli artigli! Sciaaa!-
-Ah! Tienila ferma, non ho voglia di sporcarmi troppo e preferisco fare in un colpo solo!- esclamò Dellinger, al colmo del divertimento e piegandosi con il busto in avanti, mentre si preparava a prendere la rincorsa.
Gli occhi di Kaya si sgranarono all’inverosimile nel notare l’elmetto munito di corna appuntite e metalliche che il biondo portava.
Oh, kami!
Voleva trapassarla?!
Per quanto in quel momento l’istinto di sopravvivenza protestasse a gran voce nella sua testa, Kaya non poté impedirsi di pensare che tra tutti i modi per morire, quello gli sembrava uno dei più dolorosi.
Alla meglio sarebbe morta dissanguata, spegnendosi lentamente.
Alla peggio, però, le avrebbe perforato i polmoni, uccidendola in modo altrettanto lento ma molto più atroce.
Serrò gli occhi quando lo vide partire alla carica, incapace perfino di urlare, mentre lacrime di paura e rabbia sfuggivano al suo controllo, rigandole le guance.
Lo sentiva avvicinarsi, sentiva che era giunta la fine e trattenne il fiato, mentre lo spostamento d’aria la investiva.
Un rumore di ferraglia, alla sua destra, le fece spalancare gli occhi, incredula.
Portò una mano al ventre, tastando alla ricerca di una qualche ferita che, con sua sorpresa, non trovò, così come non percepì alcun dolore né il proprio sangue sgorgare dall’apertura.
Non l’aveva colpita!
Eppure lo aveva sentito chiaramente avvicinarsi.
Ancora quel rumore metallico le fece girare la testa di scatto, incurante della lama affilata che si trovava ancora a pochi millimetri dalla sua carotide, puntando gli occhi sulla stessa scena a cui Nero stava assistendo incredulo.
In mezzo a due bidoni della spazzatura ribaltati Dellinger si dimenava, scalciando e agitandosi, avvolto da un drappo di stoffa rosso.
Kaya aggrottò le sopracciglia, aprendo leggermente la bocca in un’espressione basita.
Si scambiò uno sguardo con il proprio aguzzino, interdetto quanto lei, resistendo all’impulso di chiedergli cosa diavolo fosse successo mentre aveva gli occhi chiusi.
Un mugugno fece riportare a entrambi l’attenzione sull’assurda scena di fronte a loro.
E fu a quel punto che si resero conto che accanto a Dellinger qualcos’altro, o meglio qualcun altro, si muoveva, dimenandosi quanto il biondo per liberarsi dal groviglio di cotone e arti.
Aggrottarono entrambi le sopracciglia per poi spalancare di nuovo gli occhi quando un gomito nudo spuntò dal nulla andandosi a schiantare contro la faccia di Dellinger e mettendo fine ai suoi lamenti e movimenti inconsulti.
Lo guardarono accasciarsi privo di sensi, ancora avvolto dal drappo rosso, aggrottando la fronte comprensivi, quasi come se avessero sentito il colpo anche loro, prima che la loro attenzione venisse attratta da una figura che tentava goffamente di rimettersi in piedi, imprecando per la difficoltà di liberare quello che si rivelò essere un mantello rosso, che celava solo in parte l’abbigliamento alquanto singolare del suo possessore.
Nonostante la fredda stagione indossava solo una salopette beige “acqua in casa”, con una maglietta a maniche corte chiara e una fascia a righe bianche e blu sul braccio sinistro.
Appeso alla spalla aveva uno strano aggeggio nero, rotondo e munito di corde elastiche, e portava a tracolla una borsa arancione.
Ma ciò che più di ogni altra cosa colpiva, era la maschera.
Gialla e blu, con tre punte ondulate, una sopra la testa e due altezza tempie, delle strane lenti a specchio a celargli gli occhi, arrivava a coprirlo fino al mento, senza riuscire tuttavia a nascondere un folto pizzetto, nero come la capigliatura afro raccolta in una coda sulla nuca.
Al centro c’era un buco dal quale spuntava un naso esageratamente lungo al di sotto del quale erano disegnati due baffi a ricciolo blu e una bocca rossa.
-Accidenti! Che botta!- esclamò l’uomo mascherato, la voce attutita dalla maschera, mentre finiva di liberare il mantello, tirandolo verso di sé.
Sollevò lo sguardo sugli altri due che ancora lo fissavano allibiti.
-Che sta succedendo?!- domandò, notando il coltello nelle mani di Nero.
La faina tornò a serrare la presa su Kaya, che emise un gemito spaventato, sgranando nuovamente gli occhi per la paura.
-Ehi! Ehi!- protestò il riccio, sollevando entrambe le mani ai lati del viso, in un gesto di resa -Calma! Non c’è bisogno di arrivare a tanto!-
-Stai indietro o le taglio la gola!- sibilò Nero, indietreggiando e trascinando Kaya con sé -Non sono affari tuoi!!!-
L’uomo mascherato stette un attimo a fissarli, facendo trattenere il fiato a Kaya, che lo fissava speranzosa, per poi stringersi nelle spalle e avviarsi per uscire dal vicolo.
-Hai ragione!- fu il suo unico commento, che lasciò nero di stucco e fece aggrottare le sopracciglia a Kaya.
Cos’aveva detto?!?!?!
Ah ma che cuor di leone! Di fronte a una donna in pericolo reagiva così?!
Ma complimenti davvero!
Mentre ancora lo insultava mentalmente, si rese conto di avere nuovamente entrambe le braccia libere, dal momento che Nero era rimasto così spiazzato da averla lasciata andare, senza nemmeno rendersene conto.
Ripresasi da quel breve attimo di stupore caricò con tutta la forza che aveva, mollando una gomitata nei reni al suo aguzzino che si piegò in avanti incassando il colpo.
Qualcosa andò a schiantarsi sul muro dietro di loro, rilasciando una polverina rossastra tutta intorno che fece pizzicare gli occhi a Kaya anche a distanza.
Perplessa, si girò a guardare da dove provenisse quello strano proiettile, trovando l’uomo mascherato con in mano la sua, Kaya lo realizzò in quel momento, fionda, immobile in posizione di attacco.
-Merda!- commentò il riccio.
Capì al volo, la biondina, che il suo pugno aveva mandato a vuoto l’attacco a sorpresa del ragazzo e subito assunse un’espressione tra l’imbarazzato e il dispiaciuto, aprendo la bocca per scusarsi.
Ma non fece in tempo a emettere verbo che il mascherato si allungò verso di lei, afferrandola per il polso e trascinandola verso di sé, lontano da Nero.
-Andiamo!- la incitò, prendendo a correre come un ossesso, voltandosi di tanto in tanto per tenere d’occhio la faina che li inseguiva senza tregua.
Spingevano sui piedi, le mani saldamente intrecciate e il petto smosso dal fiatone, incuranti del fracasso che riecheggiava nella strada deserta, rimbalzando da un muro all’altro, concentrati a seminare l’inseguitore.
-Gira a destra!- suggerì Kaya a mezza voce, facendogli imboccare un vicolo ancor più stretto del precedente -Le scale!- disse ancora, indicando con un cenno del capo delle scale antincendio esterne, che si arrampicavano su per il muro di una delle case del quartiere, con il tetto a terrazza.
Con uno strattone, il moro portò Kaya di fronte a sé, obbligandola a precederlo sulle scale e sospingendola con le mani posate sui suoi fianchi, mentre si voltava per valutare la posizione dell’inseguitore che, con suo sollievo, sembrava essere scomparso.
La seguì a ruota, incitandola ad andare più in fretta, in modo da scomparire alla vista di chiunque si fosse trovato in strada, casomai Nero fosse giunto a breve nel vicolo.
Con un balzo saltò dalle scale al tetto a terrazza, notando a malapena che da quell’altezza si vedeva chiaramente il Monumento alla Giustizia, che svettava al centro della città,
Il busto piegato in avanti e le mani posate sulle ginocchia, respirava affannato per riprendere fiato.
Kaya, anche lei con il fiatone, lo guardò accigliata.
-Ma… Ma tu… chi sei?!- riuscì ad articolare a fatica.
Il moro sollevò la testa a scrutarla.
-Beh… Sono… un… un uomo mascherato!-
-Questo lo vedo!- esclamò la bionda, sempre più perplessa.
-Non trovi assurdo domandare a un uomo mascherato chi è?!- chiese ancora.
Kaya lo fissò un istante prima di concedergli, con un cenno della testa, che in effetti aveva ragione.
-Tuttavia…- riprese il moro, raddrizzandosi -Permettimi di presentarmi!- le disse, inchinandosi con fare galante, portando un braccio coperto dal mantello a piegarsi davanti al petto, prima di mettersi a gesticolare per accompagnare il proprio discorso -Salve, signorina! Mi presento! Io sono il solitario, pedissequo soldato, difensore e seguace di signora Speranza! Colui che senza sosta né spavento si aggira silenzioso nell’oscurità, a salvaguardia dei deboli e bisognosi, vessati dalla stolida ed esecrabile tirannia!-
Kaya lo guardava ad occhi spalancati e senza parole, con un sorriso tra il divertito e l’incredulo, che scivolò via dal suo volto quando si accorse di un movimento alle spalle del ragazzo.
Con sommo orrore, vide una figura sollevarsi sopra il bordo di cemento e riconobbe il viso di Nero oltre la spalla del ragazzo mascherato.
Aprì la bocca puntando il dito per indicargli il pericolo a gesti, sopperendo alla momentanea mancanza di voce dovuta allo spavento ma il moro proseguiva imperterrito, perso nel suo contorto discorso.
-Ma ora, prima che questa mia presentazione diventi noiosa e senza senso, permettimi di dirti, con assoluta sincerità, che è per me un onore conoscerti e che io sono il solo…-
Allargò le braccia in un gesto teatrale, imprimendo involontariamente una spinta alla sacca che portava a tracolla.
-…insostituibile…-
Ormai al colmo dell’incredulità, Kaya guardò la borsa arancione schiantarsi sul muso da donnola del loro inseguitore, tramortendolo e facendolo ricadere all’indietro.
-…sensazionale…-
Un boato improvviso interruppe la voce del ragazzo e fece voltare di scatto la giornalista che spalancò gli occhi nel vedere una micidiale esplosione distruggere la cupola del Monumento alla Giustizia.
Non si trattava di un semplice attentato.
Non si preoccupò nemmeno per un attimo dell’incolumità di chi poteva trovarsi in zona perché era evidente che era stato programmato per non rischiare di ferire nessuno.
Perché a detonare non era stata una bomba ma una serie di fuochi d’artificio che ora scoppiettavano nel cielo, colorando quella buia e fredda notte di mille luci colorate mentre dagli altoparlanti di tutta la città, che il presidente Spandam usava per parlare con i propri cittadini dal suo palazzo, si diffondeva la nona sinfonia di Beethoven.
-È pazzesco…- mormorò la giovane, affascinata da quell’epico e magnifico spettacolo.
-Sì lo è- confermò il moro, affiancandola, stupito quanto lei.
Cerchi verdi, cascate arancioni e viola, fuochi che si aprivano a raggiera, virando dal blu al rosso al dorato.
Trattennero il fiato mentre negli occhi di lei e nelle lenti di lui si rifletteva l’ultima, spettacolare serie di esplosioni, accompagnate dai movimenti finali dell’Inno alla Gioia, finché un’ultima serie di candelotti, sparati a regola d’arte, esplosero in piccoli cerchi, disegnando una S dorata contro il blu scuro del cielo notturno.
La musica si spense mentre i fiocchi dorati si disperdevano come cenere al vento prima di raggiungere il suolo e una nuova consapevolezza si faceva strada nella mente di Kaya.
La visione di quella lettera, inequivocabile firma dell’attentatore, aveva risvegliato in lei un ricordo che le aveva permesso di rimettere a posto tutti i pezzi.
-Oh kami!- esclamò, voltandosi verso di lui, la mano a coprire la bocca spalancata per lo stupore -Oh kami tu sei… sei Sogeking!!!-
Il ragazzo spinse il petto in fuori con orgoglio a quelle parole, portando le mani chiuse a pugno sui fianchi.
-Esattamente!- annuì, soddisfatto.
Kaya continuava a fissarlo a bocca spalancata, dandosi della stupida per non averlo riconosciuto.
Chiunque in quella città sapeva chi fosse, ed era un idolo per tutti quelli che, come lei, si opponeva segretamente all’attuale governo.
Era diventato famoso tre anni prima quando, durante il carnevale, aveva tentato di eliminare il presidente Spandam con una piccola bomba che lo aveva sfigurato irrimediabilmente, senza purtroppo ucciderlo.
Era stato solo il primo di una serie di atti anarchici, tutti a base di esplosioni e giochi pirotecnici, che lo avevano fatto diventare il paladino di buona parte della popolazione, essendo l’unico che si opponeva platealmente alla tirannia, riuscendo a sfuggire alla presunta giustizia che operava lì a Raftel.
Da allora il presidente non usciva quasi mai dai suoi alloggi se non accompagnato dalle proprie guardie personali, gli agenti più in gamba e pericolosi del corpo speciale di polizia da lui istituito, la Ciper Pool 9 o CP9, e solo quando era strettamente necessario, comunicando con i cittadini attraverso gli altoparlanti o la televisione.
Kaya lo detestava profondamente, celando attentamente quell’odio dietro a una maschera di neutra obbedienza per poter portare avanti le proprie indagini senza rischiare il carcere.
Non era sempre facile, lavorando proprio per l’emittente televisiva di Raftel, che si occupava di trasmettere i discorsi del presidente. Ogni volta che vedeva la sua faccia da codardo, decorata da strisce di cuoio borchiate, o sentiva la sua insopportabile risata gli veniva voglia di spaccare il televisore, ma un simile gesto le sarebbe costato la galera.
Lo sapeva bene lei come anche Koala, sua collega e amica, nonché anarchica quanto lei, la cui calma apparente le dava la forza necessaria per proseguire quella farsa che andava avanti da quando avevano preso coscienza di essere vittime di un regime totalitario, che regnava incontrastato da ormai diciassette anni.
All’università era stato più facile, ma da quando lavoravano per la televisione, la tolleranza di entrambe era messa sempre più a dura prova.
Era una tirannia, lo sapevano se non tutti, comunque in molti.
C’era il coprifuoco, tranne che nel fine settimana, non c’era libertà di pensiero o di opinione, c’era una polizia che poteva commettere impunemente crimini efferati.
Kaya odiava tutto questo e il suo sogno era trovare qualcosa che potesse condannare il presidente agli occhi del Governo Mondiale, all’oscuro di tutto, così che fosse sollevato dal proprio incarico.
 E, naturalmente, Sogeking era il suo eroe.
-Sei stato tu vero?! È opera tua!- esclamò emozionata, indicando il punto dove, alcuni minuti prima, svettava la cupola del Monumento, ora ridotta a un ammasso di cemento e macerie, collassato su se stesso.
-C-come?!- domandò spiazzato Sogeking, seguendo interdetto l’indice di Kaya -Oh! Quello! Ma… ma certo che sì!- esclamò poi, esitante.
-Lo sai! Ho sempre voluto incontrarti!- mormorò, con una sincerità disarmante, avvicinandosi di più e investendolo con il suo profumo di vaniglia -Io sono Kaya!- aggiunse, allungando una mano bianca e affusolata verso di lui.
Lo sentì deglutire rumorosamente, mentre gliela stringeva un po’ imbarazzato, contrastando con la sua pelle olivastra  la carnagione candida di lei.
Rimasero qualche istante così, fissandosi in silenzio, colpiti dall’improvvisa intimità della situazione, finché Sogeking non si schiarì la gola, riportandoli entrambi alla realtà.
-Meglio andare!- le disse, sciogliendo l’intreccio e avviandosi per scendere davanti a lei, superando con noncuranza  Nero, accasciato sul pianerottolo esterno delle scale.
Come poco prima per salire, l’aiutò anche a scendere gli ultimi scalini, tornando a posarle le mani sui fianchi e trovandosi con il viso a pochi centimetri dal suo.
Per un fugace attimo, desiderò non indossare la maschera, mentre studiava il volto perfettamente simmetrico della ragazza, incorniciato da una cascata di capelli color miele e i suoi profondi occhi marroni, illuminati dal sorriso che le increspava le labbra carnose e lievemente pallide.
-Ti ho trovato!!!- un ruggito riempì l’aria, facendoli voltare di scatto verso un uomo tarchiato e visibilmente affannato, che fissava truce Sogeking, gli occhi iniettati di sangue.
-E lui chi è?!- domandò Kaya, i palmi ancora appoggiati al petto del ragazzo.
-È una storia un po’ lunga da spiegare- disse, cominciando a indietreggiare e tornando ad afferrarle un polso -Magari più tardi, ora corri!!!- aggiunse, lanciandosi nella direzione opposta al loro nuovo inseguitore e trascinandosela dietro come poco prima.
-Fermati farabutto!!!-
-Accidenti!- imprecò il moro, sentendo la voce dell’uomo così vicina.
Si voltò a guardarlo e si ritrovò a sgranare gli occhi dietro alle lenti nel vederlo brandire un mattone, pronto a scagliarglielo dietro.
Gli bastò un’occhiata per accorgersi che, con il lancio che si apprestava a fare, il mattone sarebbe finito dritto addosso a Kaya.
Rapido, non appena si trovarono nuovamente su una strada più ampia, la spinse di lato, addossandosi poi al muro con la schiena e preparandosi a far inciampare l’uomo, sfruttando il lungo bastone della sua fionda.
Si concentrò, chiudendo gli occhi, per calcolare quanto mancava al grassone per raggiungere l’uscita del vicolo, consapevole che l’effetto sorpresa era fondamentale per riuscire a farlo cadere.
Riaprì gli occhi e, con un movimento deciso, puntò il bastone a terra, tenendolo in obliquo, osservando poi l’uomo catapultarsi in avanti, come se fosse appena stato sparato da un cannone a tutta velocità.
Lo vide rimbalzare e rotolare in mezzo alla strada e accasciarsi poi, privo di sensi, sul marciapiede opposto.
Con un sorriso trionfante si girò verso Kaya, pronto a sollevare le braccia in segno di vittoria ma ancora una volta gli occhi gli si sgranarono nel trovarla a terra, svenuta.
Capì di averla spinta troppo forte e che doveva essere scivolata e avere battuto la testa.
Si buttò in ginocchio accanto a lei, lasciando cadere la fionda, mentre la preoccupazione lo attanagliava, per poi scuoterle delicatamente posandole una mano sulla spalla.
-Kaya?!- la chiamò incerto, senza osare voltarle il viso per esaminarle la tempia.
Ma non ce ne fu bisogno, perché fu Kaya a girare la testa verso il muro, rivelando di non essersi fatta assolutamente niente e mugugnando infastidita.
-Mmmmh… So… Sogeking…- mormorò con gli occhi ancora serrati, prima di perdere nuovamente i sensi.
Il ragazzo percepì lo stomaco rivoltarsi a sentirla pronunciare il suo nome e non poté impedirsi di sorridere come un ebete.
Sollevato dal vederla respirare con regolarità, se la caricò in braccio, avviandosi verso il proprio nascondiglio mentre fischiettava l’Inno alla Gioia. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 -Ma cosa è successo?! Credevo fossi uscito per noleggiare un dvd!-
Il piccolo Chopper lo osservò a occhi sgranati attraversare lo spazio che corrispondeva al salotto del loro rifugio, diretto in camera, con Kaya tra le braccia.
-È una lunga storia, Chopper! Sappi solo…- gli disse il moro, chinandosi in avanti per depositare la bionda sul proprio letto -…che l’ho salvata!- concluse, voltandosi verso di lui con le mani sui fianchi, in una posa trionfale.
Non era poi così necessario specificare che era successo tutto per caso e che se non fosse stato per lei Nero li avrebbe di certo raggiunti e catturati.
Così come non era necessario riferire alla renna parlante che era stato lui a farla svenire e che i dvd non li noleggiava ma li rubava, insieme agli snack che poi sgranocchiavano durante la visione.
Non era necessario e soprattutto sarebbe stato un durissimo colpo per Chopper, che stravedeva per lui e i suoi, a suo dire, impareggiabili coraggio e integrità morale.
E infatti, come da manuale, proprio in quel momento il peloso amico del sedicente eroe lo stava osservando con gli occhi luccicanti ed espressione adorante.
-Oooooh Sogeking! Sei così forte e coraggioso!- proruppe con voce acuta e intrisa di emozione.
-Oh ma figurati!- minimizzò il moro, con un gesto della mano, prima di cominciare a spogliarsi del mantello -È stato un gioco da ragazzi!-
Depositò cappa e tracolla su uno sgabello, aprendo la sacca per recuperare i dvd e mostrarli all’amico, e stava già per togliersi anche la maschera che un mugugno soffocato lo fece voltare di scatto verso il letto.
Kaya stava riprendendo conoscenza e subito Chopper si precipitò verso di lei, salendo sul letto e inginocchiandosi al suo fianco, gli zoccoli appoggiati alle zampe ripiegate sotto il sedere. 
Lentamente le palpebre della ragazza si sollevarono, rivelando uno sguardo confuso e leggermente appannato, il quale prese a esaminare la stanza fino a focalizzarsi su un naso blu al centro di un musetto che la fissava curioso, a capo piegato di lato e occhi spalancati.
-Ciao!- la salutò Chopper, sorridendole –Ti sei svegliata!- esclamò felice.
Kaya aveva visto parecchie stranezze nella sua vita ma una cosa così davvero le superava tutte.
Quella creatura, qualsiasi cosa fosse, sembrava il peluche di un procione, con le corna da renna, un cappello a cilindro rosa in testa e, soprattutto, l’uso della parola.
Sbatté le palpebre un paio di volte, prima di portare l’indice di una mano a strofinare con il lato del dito gli occhi, per liberarli completamente dal sonno.
Poi, inspirando a pieni polmoni per risvegliarsi completamente, si tirò su a sedere, appoggiando la schiena alla testata del letto.
-Dove mi trovo?!- domandò, calma e per niente turbata.
L’ultima cosa che ricordava era la voce di Sogeking che la chiamava e l’istinto le diceva che, ovunque fosse, era al sicuro.
-Siamo nel mio rifugio!- la informò il ragazzo mascherato, avvicinandosi a lei e sedendosi su letto, dal lato opposto rispetto a Chopper -Stai bene?! Vuoi qualcosa da mangiare?!- le chiese premuroso.
Kaya sorrise, incantandolo, prima di annuire.
-Sto benissimo!- affermò in un sussurro.
-Se vuoi posso prepararti qualcosa! Sogeking mi ha detto che ti hanno aggredita! Se sei sotto shock avrai bisogno di reintegrare!- intervenne convinto il piccolo Chopper, mettendosi in piedi sul letto.
La ragazza si voltò verso di lui, senza smettere di sorridere di sorridere, sorpresa dal tono professionale che aveva usato.
-Beh in effetti…- mormorò portando una mano sul ventre.
-Volo!!!- esclamò la renna, balzando giù dal letto e precipitandosi fuori dalla stanza.
Lo osservarono correre via, sorridendo affettuosi.
-Soggetto particolare…- mormorò Kaya, riportando lo sguardo su Sogeking.
-Sì lo è! Vuole diventare un medico e studia parecchio per questo! Non so nemmeno come faccia, quei libri sono pieni di termini impronunciabili!- commentò il riccio, con una nota di orgoglio nella voce, girandosi di nuovo verso la porta fuori dalla quale la piccola renna era scomparsa poco prima.
Una sensazione calda e improvvisa gli fece spostare l’attenzione sulla propria mano, trovando le candide e affusolate dita di Kaya posate sulle proprie in un’immobile e delicata carezza, che lo fece deglutire a vuoto, mentre, dietro la maschera, il rossore gli mandava a fuoco la faccia.
-Grazie ancora per avermi salvata- soffiò a mezza voce la bionda, facendogli sollevare lo sguardo e mandandolo in tilt.
Kami se era bella!
Bella e sensualmente innocente, senza contare che lo guardava con un’intensità da mandare chiunque fuori di testa.
Si sentiva terribilmente accaldato e molto vicino a perdere il controllo ma, per quanto l’istinto gli dicesse di affidarsi ai sensi, gettando al vento la prudenza, la sua parte razionale gli ricordò che non doveva, non poteva togliere la maschera.
Non sapeva niente di Kaya ed era già stato un incosciente a portarla nel suo nascondiglio.
E se fosse stata una spia del governo?!
Certo per quanto riguardava l’ubicazione del suo rifugio non c’era da preoccuparsi, era svenuta al loro arrivo e sarebbe bastato portarla fuori da lì assicurandosi che non vedesse la strada ma, se avesse rivelato la propria identità, allora tutto sarebbe stato perduto.
Lo avrebbero trovato, lo avrebbero sbattuto in carcere e quasi certamente torturato, prima di giustiziarlo ed esporre il suo cadavere sulla pubblica piazza.
Un brivido di puro terrore lo percorse a quel pensiero, facendolo alzare di scatto e allontanarsi bruscamente dalla ragazza, che non poté impedirsi di osservarlo perplessa.
-Tutto a posto?!- domandò, corrugando le sopracciglia.
-C-certo che sì!- esclamò agitato, portando una mano a grattarsi la nuca -io…- esitò, cercando qualcosa da dire, spaventato all’idea di perdere il controllo.
-È pronto!- la voce di Chopper li raggiunse attraverso la porta aperta, levando Sogeking dall’impiccio e facendolo sospirare sollevato.
Il cigolare delle molle lo avvisò che Kaya si era alzata dal letto e si premurò di puntare lo sguardo altrove ma non poté nulla contro la zaffata di vaniglia e odore di pulito che lo raggiunse, quando la ragazza lo affiancò, posandogli un palmo sul braccio.
-Vogliamo andare?!- propose sorridendo.
Il giovane si limitò ad annuire, seguendola poi con gli occhi mentre lo precedeva e usciva dalla stanza, con passo aggraziato e leggiadro.
Sospirò riscuotendosi, prima di seguirla in salotto, dandosi dello stupido per essersi ficcato da solo in un simile casino.
 

§
 

Ringraziò con un cenno del capo, accettando il bicchierino di plastica contenente una brodaglia scura che si supponeva fosse caffè, proveniente da chissà quale thermos portato lì da chissà quale agente.
Aspettò che il poliziotto si fosse allontanato prima di accostare il naso e inspirare una zaffata di aroma, gettando poi il liquido in terra e accartocciando il bicchiere con un unico movimento della mano.
Kuzan Aokiji, ispettore della polizia di Raftel, odiava poche cose, ma le odiava con estrema cura.
Odiava venire svegliato nel cuore della notte.
Odiava il caffè scadente.
Odiava le ingiustizie.
Quindi l’offerta, per quanto gentile, di quello schifoso intruglio era solo il coronamento della nottata che stava trascorrendo, dopo essere stato svegliato alle quattro del mattino da una telefonata dell’agente Tashiji, che richiedeva la sua presenza sul luogo di un delitto.
La vittima era un uomo sulla cinquantina, corti capelli neri e un viso piuttosto anonimo, se non fosse stato per il trucco verde ed esagerato sugli occhi e il rossetto rosso.
Lo avevano trovato riverso su alcuni sacchetti di pattumiera, accatastati accanto ai cassonetti dell’immondizia di un vicolo della periferia, il corpo crivellato di colpi.  
Kuzan lo osservò con sguardo impassibile mentre sistemava meglio il cappellino di lana blu sulla testa, senza lasciar trasparire alcuna emozione, incrociando le braccia al petto per nascondere il tremore alle mani.
Sapeva a pelle, con certezza assoluta che, qualunque cosa avesse fatto quell’uomo, qualunque fosse stato il losco affare in cui si era invischiato per finire così, era solo una vittima innocente di qualcosa molto più grande di lui.
Lo sentiva nelle viscere e gli si ritorcevano le budella all’idea che l’infame bastardo che lo aveva ridotto così girasse a piede libero per la città.
-Ispettore Aokiji!- lo chiamò una voce, a metà tra un saluto e una richiesta di attenzione.
Si voltò verso Tashiji, la sua migliore e più giovane agente, trovandola a fissare in attesa uno dei cassonetti su cui erano accatastati dei sacchetti.
Kuzan sospirò, passandosi pollice e indice sugli occhi.
-Tashiji. Sono qua- mormorò asciutto, facendola voltare sorpresa verso la fonte del suono.
La guardò assottigliare lo sguardo, rendendosi infine conto di avere gli occhiali da vista in testa e rimettendoseli sul naso mentre un lieve rossore le imporporava le guance.
-Oh! Mi… mi scusi ispettore!-
Con un gesto della mano le comunicò che non c’era nessun problema, mentre la mora gli si avvicinava.
-Hai scoperto qualcosa?!-
Tashiji annuì, spostandolo sguardo sulla vittima.
-Si chiamava Bon Chan Kurei. Lavorava al Sabaody Centre come truccatore. Incesurato. In tasca aveva questo scontrino- disse, allungandogli un piccolo sacchetto di plastica contenente un pezzetto di carta stampato -È del Raoul’s Corner, un bar che rimane nel quartiere di Rogue Town. Ci si è recato sul tardi, verso le dieci e mezza, undici e ha consumato un paio di drink. Per ora è tutto ciò che ho-
Kuzan la osservò impassibile, senza lasciar trasparire l’ammirazione che provava per quella zelante e dinamica ragazza, destinata a diventare una grande ispettrice, almeno a livello teorico.
-Oppure ne ha consumato uno solo in compagnia- considerò il moro, voltandosi di nuovo verso il cadavere.
-Pensi che possa essere uscito con il proprio assassino?!-
-Io non penso niente Tashiji. Io analizzo ciò che vedo. E ciò che vedo assomiglia molto a…-
-Un regolamento di conti. Non potrei essere più d’accordo-
L’ispettore chiuse un attimo gli occhi, in un gesto infastidito, all’udire quella voce.
Perché, se c’era qualcosa che odiava sopra tutte le altre, quel qualcosa era Rob Lucci, il capo della CP9, e le ingerenze del suo corpo speciale in ogni singola indagine di cui si occupava la polizia di Raftel.
-Lucci- lo salutò, atono voltandosi verso di lui.
-Aokiji- rispose con altrettanta impassibilità l’uomo, squadrandolo prima di avvicinarsi -Chiunque fosse, non era di certo uno stinco di santo per finire così-
-Potrebbe anche essersi semplicemente trovato nel luogo sbagliato al momento sbagliato- fece notare con freddezza Kuzan.
Lucci lo guardò di striscio, con aria scettica.
-Da quando in qua si scarica un’intera mitragliatrice su un innocente spettatore?- domandò asciutto il capo della Ciper Pool.
-Da quando in qua il capo della CP9 in persona viene mandato sul luogo di un banale regolamento di conti?- lo provocò Kuzan, sentendo che cominciava a perdere il controllo.
Lucci gli lanciò un’altra occhiata, più lunga della precedente.
-Sai benissimo che il presidente Spandam tiene molto alla sicurezza dei suoi concittadini-
-Almeno quanto tiene alla propria- non poté impedirsi di commentare sarcastico, facendo trattenere il fiato e sgranare gli occhi a Tashiji.
Lucci si girò completamente verso l’uomo, per niente intimidito dai quasi due metri di statura dell’ispettore, con un ghigno quasi sadico sul volto.
-Attento Aokiji. Non tutti hanno la pazienza di Sengoku- mormorò sottovoce, riferendosi al capo della polizia, ormai abituato ai metodi poco ortodossi dell’ispettore -Tuttavia, hai ragione- riprese l’agente speciale, dopo un attimo -Il mio primo e più importante compito e assicurarmi che la vita del presidente non sia in pericolo, senza contare che la mia presenza qui sembra essere superflua. Ragion per cui attenderò con ansia il rapporto completo sul caso. Potete farmelo recapitare nel mio ufficio a Enies Lobby- concluse voltandosi verso Tashiji, la quale distolse lo sguardo, incapace di sostenere le iridi chiare e glaciali dell’uomo.
-Molto bene, Lucci. Tashiji se ne occuperà personalmente- lo informò, obbligandolo a lasciar stare la sua sottoposta -Ma non credo sarà una lettura emozionante. Come hai detto tu, si è chiaramente trattato di un regolamento di conti-
 Trattenne a stento un ringhio, nel vedere un sorriso soddisfatto disegnarsi sul suo volto, sottolineato da quel suo stupido pizzetto.
-Vedo che una volta tanto siamo d’accordo. Il presidente sarà felice di sapere che c’è un criminale in meno in giro per Raftel e lo sarà ancora di più quando catturerete quello che lo ha ridotto così. Mi premurerò di parlare di te al presidente personalmente, quando il caso sarà risolto- aggiunse mellifluo, facendo fremere di rabbia l’ispettore che si limitò ad annuire, non fidandosi della propria voce e del proprio autocontrollo qualora si fosse arrischiato ad aprire bocca.
Senza aggiungere né una parola né un saluto, Lucci tornò da dov’era venuto, camminando con passo pacato e deciso e lasciandosi inghiottire dal buio della notte che stava ormai volgendo al termine.
Kuzan lo osservò allontanarsi prima di tornare a concentrarsi sulla ragazza di fronte a sé.
-Domani andrò personalmente a interrogare il proprietario di quel bar. Tu intanto chiama Crocus e digli che l’autopsia di questo caso ha la massima priorità. Io vado al distretto a fare delle ricerche, ci vediamo direttamente lì più tardi-
Tashiji lo osservò a occhi sgranati, spiazzata da quell’improvvisa urgenza nei confronti di un caso che all’apparenza sembrava già essere stato archiviato.
-Ma… Hai detto che…- cominciò, indicando dove poco prima si trovava la schiena del capo della CP9.
-Quello che ho detto a Rob Lucci è solo un problema tra me e Rob Lucci, Tashiji. Tu preoccupati di fare ciò che ti ho chiesto e anche di andare a casa e concederti una dormita prima di venire al lavoro. Mi servi sveglia e in forma- le disse, autoritario, cogliendola alla sprovvista per quell’inaspettata premura verso di lei -Mi serve solo un ultimo favore prima che tu vada. Ho bisogno che ti assicuri che tutti i reperti siano stati catalogati con cura. Voglio il numero esatto di bossoli presenti sulla scena-
La mora annuì, sempre più perplessa e con le sopracciglia corrugate.
-Cos’hai in mente?!- domandò sottovoce.
Kuzan la osservò qualche istante con i suoi occhi scuri ma freddi come ghiaccio e determinati, prima di sospirare e decidere di confidarsi almeno con lei, l’unica di cui si fidava davvero.
-C’è sotto qualcosa- fu la sua lapidaria e irrevocabile risposta.
-E tu come lo sai?!-
-Istinto, Tashiji. Istinto- mormorò allontanandosi sotto lo sguardo lievemente allibito dell’agente, stringendosi nel parka per proteggersi dal vento freddo che aveva iniziato a soffiare.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Accostò il badge alla fotocellula, attendendo di sentire lo scatto della porta della sede della Thousand Sunny Network, battendo impaziente il piede a terra.
Non ci aveva pensato per tutto il weekend, troppo assorbita dalla strana avventura che si era ritrovata a vivere, nel covo di Sogeking e del suo piccolo e adorabile amico.
In realtà non avevano fatto nulla di particolarmente emozionante, guardato dei film, cucinato una torta e, per la maggior parte del tempo, ascoltato i racconti delle mirabolanti avventure del padrone di casa, conditi dalle proprie risate e dalle esclamazioni adoranti di Chopper.
Eppure la giovane giornalista faticava a ricordare quand’era stata l’ultima volta che si fosse sentita così bene, forse non le era mai nemmeno capitato prima.
Non dubitava che dipendesse dal trovarsi al cospetto di un grande eroe ma il battito del cuore, che accelerava ogni volta che pensava a lui, le faceva sospettare che ci fosse sotto di più.
Tuttavia ora Kaya voleva solo sbrigarsi a raggiungere il proprio ufficio per discutere con Koala delle sue recenti e importanti scoperte.
Spalancò la porta a vetri, salutando rapidamente Caimie al banco della reception, camminando rapida verso gli ascensori e riuscendo a bloccarne uno un attimo prima che le porte si richiudessero.
Sorrise nel mettere a fuoco il suo unico occupante, ovvero Kuro, il conduttore del telegiornale per cui lavorava, intento a sfregarsi gli occhi con un gesto un po’ assonnato.
-Ciao!- lo salutò entusiasta, facendolo concentrare su di sé.
-Oh! Buongiorno Kaya- rispose senza troppo entusiasmo, una sua tipica caratteristica, tornando a inforcare gli occhiali da vista rotondi e a puntare lo sguardo davanti a sé.
Rimasero immersi nel silenzio per qualche piano, finché la ragazza non decise di tentare un minimo di conversazione.
-Tutto bene il fine settimana?!-
Kuro le lanciò un’occhiata di sbieco.
-Regolare. E il tuo?-
-Interessante- commentò dopo un attimo di esitazione, per trovare i termine più adatto.
Con un tintinnio le porte della cabina si aprirono, permettendo ai due di allontanarsi in direzioni opposte, Kuro verso le macchinette per un caffè e Kaya dritta verso l’ufficio, dopo un breve e frettoloso congedo.
Sperava con tutto il cuore che Koala fosse già arrivata, perché non stava davvero più nella pelle, e stava già provando mentalmente come esporle la propria teoria che un pianto dirotto e straziante la distrasse, facendola concentrare sull’interno dello studio adibito alla registrazione delle previsioni del tempo.
-Zoro-senpaaahaaaahaaaaaai!!! Perché?!?!?!-
Corrugò le sopracciglia alla vista di Barto, uno dei cameraman, in ginocchio e piangente come una fontana, la testa reclinata all’indietro e le mani a stringere l’aria davanti al petto in un gesto disperato.
Ma cosa stava succedendo?!
Preoccupata e con una brutta sensazione addosso entrò rapida nella stanza, avvicinandosi alla console davanti alla quale Franky era seduto, un fazzoletto stretto in mano e cocenti lacrime che gli rigavano il volto.
-Franky, cosa sta succedendo?!- domandò agitata, mentre il tecnico del suono toglieva le cuffie e puntava sulla ragazza uno sguardo umido.
-Zoro è bloccato a letto con l’influenza e hanno chiesto a Barto di prendere il suo posto mentre aspettiamo un sostituto dalle risorse umane, anche perché è probabile che il fratello ne avrà per qualche giorno- mormorò, facendo sospirare Kaya di sollievo.
Ma che razza di baka erano?!
Le avevano fatto prendere un colpo!
-E si può sapere perché stai piangendo?!- domandò una punta di fastidio non da lei nella voce.
-È che… che Barto è così sensibile… - rispose l’omone, la voce incrinata e le lacrime in aumento -I-i-insomma guardalo lui… lui gli vuole c-così… beheneeeeeeee!!!- concluse scoppiando anche lui in singhiozzi e portando una mano a coprirsi gli occhi –E… e… e comunque n-non sto p-p-piangendooooooo!-
Kaya sorrise, scuotendo la testa, intenerita dalla sensibilità del tecnico mentre qualcuno alle sue spalle entrava nello studio.
-Vedo che avete già saputo dell’imminente morte di Zoro- commentò sarcastica Nami, giunta per la registrazione del mattino, con le mani sui fianchi e lo sguardo atono di fronte al siparietto tragico che si stava consumando.
-È messo tanto male?!- domandò la bionda, aggrottando le sopracciglia preoccupata. 
 -A sentire lui, è moribondo! Stamattina aveva 38 di febbre e voleva fare testamento!-
-Almeno per qualche giorno eviterà di mangiarti con gli occhi mentre presenti il meteo, Nami-swan!- intervenne Sanji, fermatosi sulla porta per informarsi delle condizioni dell’amico, facendo anche lui il suo ingresso nel locale.
-Il che non vedo come possa essere un bene, visto che la sorella non fa che ricambiare dimenticandosi di essere in onda e il pubblico maschile sembra apprezzare parecchio!- ribatté Franky, ammiccando e senza più l’ombra di una lacrima o un singhiozzo.
-Beh ci credo! Insomma quando Nami-swan ti guarda a quel modo è così… c-così…- boccheggiò il biondo, mentre un rivolo di sangue faceva capolino dalla sua narice.
Un tonfo micidiale fece sobbalzare Kaya, mentre davanti ai suoi occhi sgranati Sanji e Franky venivano appiattiti al suolo da uno dei micidiali pugni della meteorologa che tremava i rabbia per quei discorsi su di lei.
-Volete farla finita brutti deficienti?!?!- sbraitò affilando i denti, la mano fumante ancora serrata e levata a mezz’aria.
-Ehm… scusate?!-
Una voce un po’ incerta fece voltare le due ragazze verso la porta dove Kuina aveva appena fatto capolino, l’auricolare agganciato all’orecchio e la cartellina con i programmi del giorno in mano.
-Violet dice che in cucina è tutto pronto e manca solo Sanji per iniziare le ripr…-
-Kuinaaaaaa tesoooooooooro! Mi cercavi?!?! Il tuo Mr Prince è quiiiiiii!!!- la interruppe Sanji, volteggiando verso di lei in un tripudio di cuoricini e spruzzando sangue dal naso.
-Violet ti cerca! Dice di muoverti prima che a Ace venga un nuovo attacco narcolettico!- ribatté secca.
La moretta si appiattì contro lo stipite mentre il cuoco usciva veleggiando dallo studio urlando -Aspettami mia dea, sto arrivando!!!- prima di cercare Nami con gli occhi.
-Come sta?!- domandò, un po’ in apprensione.
La rossa sospirò, sconsolata.
-Come vuoi che stia?! Lo conosci, sai com’è quando si ammala!-
Anche Kuina sospirò, stringendo la cartellina.
-Ha chiesto di fare testamento?!- chiese, mentre Nami rispondeva con un’eloquente occhiata.
-Uomini…- sospirarono in sincrono, scuotendo la testa.
Kaya trattenne una piccola risata davanti a quella scena, avviandosi poi verso la porta per uscire.
-Io vado, devo parlare con Koala! Buona giornata!-
-A più tardi!- rispose Nami, sorridendole radiosa.
-Ciao Kaya!- la salutò Kuina, girandosi di nuovo verso l’interno mentre la bionda si allontanava, captando l’ultimo strascico di conversazione -Ah, Franky, il cameraman che ha contattato le risorse umane sta salendo ora!-
-Suuuuuuuper, sorella! Grazie! Chi è?!-
-Non lo so, credo sia la prima volta che ce lo mandano! Si chiama Usopp! Appena arriva…-
Non sentì altro dopo essere entrata nell’ufficio, chiudendosi la porta alle spalle e facendo sollevare a Koala lo sguardo da alcune carte che stava analizzando.
-Mi fa piacere vedere che sei viva e in salute- commentò asciutta la castana, mentre Kaya assumeva un’espressione dispiaciuta.
-Lo so hai ragione, scusa! Non volevo farti preoccupare, io…-
-Se non volevi farmi preoccupare potevi mandarmi un messaggio! Dannazione, Kaya! Sono stata in ansia tutto il weekend! Con quello a cui stai lavorando non puoi sparire così! Sai che fatica ho fatto a trattenermi dal chiamare la polizia?!?! Credevo ti avessero catturata o peggio ancora…- si interruppe, portando due dita a stringere il ponte del naso, mentre, a occhi chiusi, si autoimponeva la calma.
-Avevo il cellulare scarico!- esclamò la bionda, mordendosi poi un labbro di fronte alle sguardo omicida dell’amica.
-Hai mai sentito parlare dei caricabatterie?! Sono degli aggeggini rettangolari e neri, con un filo attaccato…-
-Non sono stata a casa questo weekend!- la interruppe la bionda, facendole sgranare gli occhi incredula.
Perché le diceva le cose a pezzi?!
Si decideva a parlare chiaramente si o no?!
Kaya lanciò una fugace alla porta, prima di staccarsi e avvicinarsi alla scrivania dell’amica, posandovi sopra i palmi e chinando il busto verso di lei.
-Mi è successa una cosa pazzesca!- sussurrò, obbligando Koala a tendere le orecchie per captare ogni parola, mentre corrugava le sopracciglia -Non ci crederai mai ma… Sono stata nel covo di Sogeking! Tutto il fine settimana! Come sua ospite!- esclamò in rapida successione, illuminandosi sempre più a ogni frase.
Koala tornò a sgranare gli occhi a quelle parole.
-Hai ragione, non ci credo- affermò dopo un attimo di silenzio.
-Koala te lo giuro!-
Gli occhi indaco della giornalista presero a scrutare il volto pallido dell’amica.
Non aveva ragione di mentire, oltre al fatto che non ne era affatto capace e Koala lo sapeva bene.
-Ma come diavolo è successo?!- domandò poi, sentendo anche lei una punta di eccitazione alla sola idea di incontrare personalmente il loro idolo.
-Mi hanno aggredita e Sogeking mi ha salvata… cioè diciamo che è stata una fortuita serie di eventi più che un vero e proprio salvataggio ma non è quello il punto!- esclamò, gli occhi che brillavano.
-Chi ti ha aggredita?!- si accigliò la castana.
Kaya assunse un’espressione grave.
-Non posso dirlo con certezza ma… credo fossero funzionari governativi. Membri della CP9- disse, mortalmente seria.
Poco ci mancò che gli occhi di Koala cadessero fuori dalle orbite a quell’affermazione.
Si alzò in piedi, contenendo a stento l’euforia.
-Ma è magnifico! Cioè, non che ti abbiano aggredita, quello non è magnifico per niente ovviamente… a proposito, stai bene vero?!- la guardò annuire prima di riprendere a parlare -Ti rendi conto di cosa significa?! Avevamo ragione noi! Abbiamo ragione! C’è sotto qualcosa, qualcosa di grosso!!! E suppongo quindi che il tuo incontro non sia stato un buco nell’acqua?!- chiese conferma.
-Infatti! Questa volta mi hanno dato parecchie informazioni! Informazioni che confermano la tua teoria!-
Koala trattenne il fiato.
-Intendi… riguardo Punk Hazard?!- domandò sottovoce, quasi avesse paura di frantumare quella flebile speranza che Kaya gli stava dando se avesse alzato troppo la voce.
La guardò annuire, immobile e tesa, prima di riscuotersi e cercare di raccogliere meglio le idee che le affollavano la testa.
-Kaya, raccontami tutto- la invitò, parlando con calma per paura di esplodere.
La bionda sorrise, raddrizzandosi.
-Ho tutto segnato qui…- affermò, portando una mano a tastare la tasca destra del trench e trovandola vuota.
Un’improvvisa agitazione si impadronì di lei, tramutandosi presto in terrore quando constatò che anche l’altra tasca era vuota.
-No! No, no, no, no, NO! La mia agenda! Dov’è finita?! Avevo scritto tutto lì!!!- cominciò a dire, alzando la voce.
Koala la osservò agitarsi sempre più, arrivando quasi ad iperventilare, mentre si alzava e aggirava rapida la scrivania per raggiungerla e cercare di calmarla posandole le mani sulle spalle.
-Kaya, Kaya, calma!!!- la richiamò, scuotendola appena e riuscendo a zittirla -Stai calma! Non può essere scomparsa!-
-Non l’ho persa durante la fuga! Ne sono certa!- mormorò, guardando fisso l’amica con sguardo perso.
-Okay!- annuì Koala -Allora sarà da qualche parte nel rifugio di Sogeking no?!-
-Sempre che non sia scivolato fuori mentre ero svenuta- rifletté sconsolata.
-Sono certa che non è così! Vedrai che lo recupereremo!- affermò decisa e convinta -Intanto raccontami cos’hai scoperto!-
-D’accordo…- annuì la bionda dopo un attimo di esitazione, passandosi una mano sulla fronte e sul viso per riscuotersi -Allora…-
Delle urla provenienti da fuori l’ufficio la interruppero, facendo voltare entrambe le ragazze con un’espressione sconvolta sul viso.
-Cosa diavolo…-
Si precipitarono verso la porta, spalancandola e trovandosi a trattenere il fiato nel trovare la zona interna della sede della TSN, quella dove si trovavano gli studi di registrazione che, per ovvie ragioni, non aveva finestre e potevano contare solo sull’illuminazione artificiale, completamente immersa nel buio.
-Un blackout?!- mormorò Kaya, mentre altre porte si aprivano qua e là, regalando fiochi aloni di luce ai margini della zona buia, troppo deboli per consentire una migliore messa a fuoco di quello che stava succedendo, per via delle dense e grigie nuvole che da alcuni giorni oscuravano il cielo di Raftel.
Nuove grida raggiunsero  le loro orecchie, facendo gelare loro il sangue nelle vene.
Puntarono lo sguardo nella direzione da cui provenivano, notando una serie di luci intermittenti che fecero corrugare loro le sopracciglia.
Che stava succedendo?!
Sembrava ci fosse qualcuno, più di una persona, che stava setacciando l’intera sede alla ricerca di un ben preciso dipendente, usando delle torce per indentificare tutti coloro che capitavano a tiro in pochi secondi, spegnendole poi immediatamente e rendendo impossibile sia abituare gli occhi alla penombra sia mettere a fuoco alcunché.
-Kaya torniamo dentro- mormorò Koala, prudente e consapevole che l’oggetto delle ricerche poteva essere proprio l’amica se non entrambe -Kaya!- chiamò ancora, voltandosi dove poco prima si trovava la bionda e percependo chiaramente la sua improvvisa assenza.
Si sentì raggelare, domandandosi che fine avesse fatto, troppo tesa per notare il tonfo sordo della porta della toilette, accanto all’ufficio del direttore.
Trattenne il fiato, riflettendo rapidamente.
Se l’avessero catturata non avrebbe potuto più fare nulla per l’amica e sperare di trovarla con il buio pesto che c’era era davvero assurdo.
Sapeva che avrebbero passato in rassegna anche gli uffici e si spostò rapida dalla porta del proprio, realizzando in quel momento che la sua proposta di tornare dentro non era poi la scelta migliore.
Approfittò del continuo spegnersi e accendersi delle torce per meglio orientarsi, riuscendo a trovare così la porta dello studio di registrazione che stavano setacciando in quel momento, appiattendosi sulla parete di fronte quando li sentì uscire, camminando lentamente ma sicuri e terribile per proseguire la loro ricerca.
Senza quasi respirare si staccò dal muro, precipitandosi dentro la sala buia e riuscendo a trovare a tentoni un tavolo dietro cui nascondersi.
Lì erano appena stati, ergo era salva.
Doveva solo aspettare che se ne andassero e poi avrebbe cercato Kaya.
 
 
***
 

Il panico si era impossessato di lei alla vista di quelle torce che intermittenti si accendevano a spegnevano accompagnate da grida di sottofondo.
Si trovavano nel bel mezzo di una retata, era chiaro.
Ma fu niente in confronto al terrore che provò quando un braccio l’avvolse per la vita trascinandola lontano dal fianco di Koala e una mano le tappò la bocca impedendole di gridare.
Si divincolò, stando attenta a non mugugnare perché, passato l’istinto iniziale di mettersi a urlare, il pensiero immediatamente successivo che l’attraversò fu non rivelare assolutamente la posizione di Koala.
Lei ormai era spacciata, l’avevano presa e gridare non sarebbe servito a salvarlo.
Sentì che veniva trascinata in una stanza e il rumore di una serratura che scattava e tornò a spalancare gli occhi, trattenendo il fiato.
Che stava succedendo?!
Perché non la portavano via?!
Dove diavolo si erano chiusi insieme a lei?!
-Kaya-
Sobbalzò sgranando gli occhi incredula nel riconoscere quella voce e mugugnò qualcosa contro il palmo del ragazzo.
-Oh scusa…- mormorò lui con una mezza risata nervosa, liberandola.
-Sogeking!- esclamò, girandosi verso di lui.
Nel buio pesto che li circondava la sola cosa che riusciva a distinguere era il suo inconfondibile e lungo naso.
-Cosa fai qui?!- domandò, dominando a stento l’agitazione.
-Hai perso la tua agenda da me! Ero venuto a riportartela!-
Sentì che le metteva qualcosa in mano e si aprì in un sorriso felice e sollevato, portando il quadernetto ad altezza occhi sebbene non riuscisse a vederlo.
-Grazie ai Kami! Meno male!!! E… e grazie a te naturalmente!- aggiunse poi, tornando a puntare gli occhi su dove supponeva si trovasse il viso mascherato di Sogeking.
Il ragazzo portò una mano a grattarsi la nuca e l’altra al fianco.
-Ma figurati cosa vuoi che sia! Una sciocchezza davvero!-
-No dico davvero!- mormorò convinta la giornalista, avanzando di un altro passo e investendolo con un’ondata di vaniglia -Ti sono immensamente grata!-
Lo sentì deglutire pesantemente a causa di tutta quell’intimità che il fatto di trovarsi così vicini e al buio stava creando, prima di risponderle balbettando e respirando un po’ affannato.
-B-beh prego… I-io credo che o-ora dovremmo… ecco… preoccuparci di trovarti un p-posto dove nasconderti…-
-Il tuo nascondiglio?!- propose Kaya avvicinandosi ancora senza pensare.
-Oh beh… ecco io…-
-Può venire da me! Non c’è problema!-
Una voce fiera e quasi teatrale si intromise, facendoli sobbalzare spaventati e girare simultaneamente verso il punto da cui proveniva.
Istintivamente, il ragazzo afferrò Kaya per un polso e se la trascinò dietro alle spalle, parandosi davanti a lei.
-Chi c’è?! Cosa vuoi da noi?!- domandò minaccioso al buio.
Un rumore come di acqua che scrosciava fece corrugare le sopracciglia a entrambi i ragazzi che, non fosse stato per il fatto di trovarsi al buio, si sarebbe scambiati un’occhiata perplessa.
-Il mio nome è Heraclesun e da voi vorrei un po’ di privacy mentre sono in bagno ma ormai ho finito e non importa!- esclamò entusiasta il capo della TSN.
-Heracles!- lo chiamò Kaya sollevata.
-Siamo in bagno?!- domandò Sogeking, incredulo.
-Kayasun, mia cara! Sei tu?!-
-Heracles!- ripeté la ragazza, allontanandosi da Sogeking e avvicinandosi a tentoni al suo datore di lavoro -Come stai?!- domandò, corrucciata.
-Oh molto bene! Riuscire a liberarsi dopo giorni di costipazione è un vero toccasana!- affermò l’uomo facendo sgranare gli occhi al ragazzo e sorridere Kaya nel buio.
-Cioè lei non era qui per nascondersi?!- domandò incredulo Sogeking, faticando a concepire che qualcuno potesse assolvere ai propri bisogni fisiologici in un momento tanto pericoloso e teso.
-Mio caro ragazzo, quando la natura chiama… E poi così facendo ho preso due piccioni con una fava! Ma chi ci ha attaccato?!- domandò poi, voltandosi verso dove doveva trovarsi la giornalista.
-Non lo sappiamo! Non sappiamo nemmeno chi cercano!-
-E per questo motivo è meglio essere prudenti! Heracles… È Heracles, giusto?!- chiese conferma Sogeking.
-Il mio nome è Heraclesun ragazzo! Corretto!-
Sogeking scosse un attimo la testa di fronte a quello strano soggetto.
-D’accordo! Heracles ha detto che lei può nasconderla?!- domandò speranzoso e agitato al tempo stesso.
-Ma certo! Ogni buon anarchico ha un rifugio in casa propria!- affermò con orgoglio facendo sgranare gli occhi a Kaya.
-Sei un anarchico?!- domandò incredula e sbalordita.
-Ma certo! Sono un anarchico e il mio nome è Her…-
-Sì, sì abbiamo capito! Heracles può tenerla al sicuro?!- domandò Sogeking, colpendo Kaya con la sincera preoccupazione che traspariva dalla sua voce e facendole aumentare i battiti a mille.
-Certo che sì, mio caro ragazzo!-
-E tu?!- domandò altrettanto preoccupata la bionda.
-Non devi preoccuparti per me!- le disse avvicinandosi e trovando le sue mani nel buio per stringerle -Me la caverò e verrò io da te! Promesso!-
Kaya sorrise annuendo convinta ed emozionata, dimentica di essere al buio.
Quando se ne ricordò fece appena in tempo ad aprire la bocca per dare voce ai propri pensieri, che una serie di passi pesanti e decisi si fecero sentire fuori dalla porta del bagno.
I tre trattennero il respiro, sperando che la singolare posizione della toilette la facesse passare inosservata a quegli efficienti e spietati soggetti, chiunque essi fossero, e fu con grande sollievo che li sentirono andare oltre senza soffermarsi a controllare lì dentro.
-Ora è il momento buono! Dovete andare!- li incitò Sogeking, parlando sottovoce.
Prima di poter aggiungere altro una presa decisa sulle sue spalle e una sensazione umida sulle labbra gli mozzarono il fiato in gola.
Sentì il cuore accelerare all’inverosimile e il cervello andare in tilt mentre Kaya lo baciava a fior di labbra prima di staccarsi da lui e sussurrargli un dolcissimo “Fa attenzione”.
Sentì che si avvicinavano alla porta del bagno e uscivano nel corridoio ancora buio, allontanandosi rapidi verso l’uscita dell’emittente televisiva.
Ancora scioccato, Sogeking rimase a fissare un punto imprecisato di fronte a sé con gli occhi sgranati.
-Anche tu- mormorò, mentre il battito tornava regolare.

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