Ancora più di Darwin.

di KintanaChloe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La prima della specie. ***
Capitolo 2: *** Il secondo siero. ***
Capitolo 3: *** La giusta cavia. ***
Capitolo 4: *** Allevarli insieme. ***
Capitolo 5: *** Nessun senso di colpa. ***



Capitolo 1
*** La prima della specie. ***


Nel laboratorio regnava il silenzio. Doctor None stava lavorando da mesi al suo primo esperimento, ma non sembravano esserci progressi. La ragazza era distesa su un tavolo, a metà tra una barella e una tomba, i capelli scuri sparsi sul bianco delle lenzuola che creavano un assurdo contrasto. Era silente, pallida, fredda come il ghiaccio.
E più di ogni altra cosa, non rispondeva al gene modificato come le cavie bianche.
«Arianne… Non puoi cedere. Non ora.»
La giovane era silente. Le palpebre erano chiuse, a nascondere l’universo che si celava dietro di esse, e le braccia erano immobili. Doctor None era sconvolto. Come poteva essere che sua figlia, la sua unica figlia biologica, non rispondesse al suo primissimo gene modificato? Come era possibile che sua figlia non fosse la prima della stirpe superiore che si apprestava a creare?
Per un attimo, il timore agguantò il volto dello scienziato come delle unghie sulla carne. La sua idea, da anni a questa parte, era quella di creare una razza di umani superiori, un qualcosa che mai si era visto se non in pagine fantastiche di fumetti o di libri. La scienza aveva guidato la ragione di Doctor None, che aveva scelto quello pseudonimo per non essere tracciabile da organizzazioni governative, che probabilmente avrebbero solo sfruttato le sue illustri creature.
Creature che tardavano ad arrivare.
Egli guardò sua figlia, la sua unica figlia, e ancora non riuscì a concepire come non potesse rispondere alle iniezioni. Le sue braccia tumefatte, il ritmo sinusale del battito cardiaco non erano mai stati un freno, non avevano mai fermato l’inventiva e il genio di quell’uomo da quando aveva guardato le piccole manine della bimba immerse nella neve di Febbraio.
Il lontano Febbraio del 2022.
Proprio in quel momento, mentre la figlia aveva asserito che le sarebbe piaciuto vedere la neve tutti i giorni, l’idea delle creature si era formata nella sua mente. Ciò che spinge un padre a volere il meglio per sua figlia, può spingere una mente superiore e ambiziosa alle idee più spericolate. Perché Doctor None era sinceramente convinto di poter riuscire a donare alla figlia la neve e il ghiaccio ogni volta che li desiderava, semplicemente modificandone il DNA. Sapendo che gli uomini utilizzano solo il dieci per cento delle loro menti, perché per i codici genetici non può essere lo stesso? Secondo Doctor None, studioso, tra le altre cose, di evoluzione e di genetica, ogni corpo si adatta all’ambiente, e adattandosi può compiere atti straordinari.
Quindi perché sua figlia non rispondeva al DNA, dopo anni di prove su cavie e su scimmie? Forse non era adatta, non era abbastanza forte, nonostante il suo desiderio? Doctor None sapeva che avrebbe potuto mettere semplicemente da parte sua figlia, o quello che ne restava, e provare con un'altra cavia umana, andare avanti, come aveva fatto con i topi e con le scimmie, finchè il gene modificato non avesse attecchito nel sangue.
Ma non voleva rassegnarsi. Non voleva ammettere la sconfitta, non voleva ammettere che il sangue del suo sangue non era pronto per entrare a far parte di una specie superiore. Non poteva essere vero, e nella sua distorta mente, era come ammettere che lui stesso non era pronto per entrare nella storia dell’uomo.
Guardò sua figlia, che ancora non si muoveva. Poi si rivolse verso Denton, il suo assistente, e parlò in un sibilo che uscì dai suoi denti leggermente sporgenti:
«Datele trecento milligrammi di morfina, e poi ricominciamo.»
«Ma.. Signore, potrebbe non…»
«Fai come ti ho detto.»

Il tono preoccupato dell’assistente si contrappose a quello deciso di Doctor None, che non aveva alcuna intenzione di darsi per vinto. Guardò la morfina scorrere a gocce nel braccio tumefatto di sua figlia, ormai ridotto ad una sottile rete intricata di vene azzurrine e piccoli punti rossastri. Poi delle mani la alzarono fino a farla sedere, e le iniettarono il siero azzurrino nella spina dorsale, quasi come fosse una semplice epidurale. Arianne era come una bambola, rispondeva a tutto senza muoversi, ormai ridotta ad uno stato comatoso. Doctor None non perse un attimo dei trattamenti rivolti a sua figlia, non si voltò con tranquillità nemmeno quando la adagiarono, per l’ennesima volta, su quel bizzarro tavolo operatorio.
L’unico momento in cui sobbalzò, fu quando sua figlia dischiuse le labbra per parlare e dire una sola, semplicissima parola soffocata:
«Papà…»
«Arianne!»

Per quanto mostruoso negli intenti, Doctor None non era fatto di pietra. Si affrettò a stringere la mano della figlia provata, e la portò alle labbra per darle un lieve bacio affettuoso, prima di continuare a parlare.
«Come ti senti, tesoro?»
«Sono stanca... Mi fa male la testa.»

Doctor None, con fare paterno, appoggiò una mano sulla fronte di sua figlia, e la ritrasse qualche decimo di secondo dopo. Non perché la figlia scottasse, ma per il motivo inverso. Era fredda, di più, era gelida, di più, era glaciale.
E il ghiaccio si stava propagando.
Ogni piccolo, impercettibile tubo attaccato alle sue braccia e pieno di liquido si stava indurendo, la flebo di morfina divenne rigida come marmo, quella dei liquidi esplose, spargendo piccoli cristalli sul pavimento.
Ma non erano cristalli, era ghiaccio. L’esperimento stava finalmente riuscendo.
«Arianne!»
Doctor None abbracciò la figlia, avvertendo la freddezza del suo corpo. Il ritmo sinusale del cuore tornò normale, la figlia adorata gli sorrise e si voltò su un fianco, poi cadde addormentata ed esausta.
Doctor None non si accorse della piccola goccia di sangue che scivolava dalla narice destra della figlia ventenne, sporcando il suo labbro superiore.

 
Era troppo occupato a piangere di gioia.
 

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Capitolo 2
*** Il secondo siero. ***


«La sua memoria è irrimediabilmente danneggiata. Vi sono dei danni alla corteccia prefrontale e non sono sicuro che riuscirà ad utilizzare il suo dono senza ripercussioni sulla salute.»
Fu questo il responso di Denton all’ennesima TAC celebrale di Arianne, che ora viveva qualche piano sopra il laboratorio, e non riusciva a riconoscere nessuno.
«Lo userà. Non ho fatto tutto questo per nulla.»
Doctor None era ben deciso a metterla alla prova, ma Arianne era diventata più schiva, meno decisa. Non possedeva più quella personalità esuberante che aveva da bambina, non possedeva più quella forza e quella gioia di vivere che avevano caratterizzato gli anni della sua preadolescenza. Era ridotta all’ombra della ragazza che era stata.
Colmo d’ignominia, era ben decisa a non fidarsi di Doctor.
Ciononostante, l’uomo non sembrava essere poi tanto distrutto. Riteneva che la perdita della memoria della figlia fosse un giusto prezzo da pagare per l’inizio della sua razza umana “potenziata”.
Decise quindi di parlare a Denton, prendendolo in disparte. L’inettitudine dell’uomo era compensata solo dalle sue vastissime conoscenze mediche, e se avesse trovato qualcun altro che stesse al suo pari, l’avrebbe volentieri liquidato.
Ma non esisteva un medico al pari di Denton, e ciò significava sorbirsi inutili ramanzine su come il “Progetto Più Di Darwin”, come aveva deciso di chiamarlo, andasse chiuso il prima possibile.
«Voglio provare un nuovo siero, Denton.»
«Ma… Signore»
Iniziò intimorito il ragazzo bruno «Vostra figlia è quasi morta per il siero, e la base è comune a tutti. Come possiamo garantire la sopravvivenza delle cavie?»
La risata che accompagnò l’ultima frase fu aspra e priva di gioia, teatrale per un uomo meticoloso come Doctor.
«Io non voglio la sopravvivenza delle cavie. Non voglio la sopravvivenza della specie. Credi che se volessi la sopravvivenza del genere umano mi prodigherei così tanto per creare un qualcosa di superiore? È la selezione naturale. O ti adatti o MUORI.»
Fabian Denton si morse il labbro inferiore chinando lo sguardo, come spesso capitava quando era vittima di una delle numerose sfuriate di Doctor. Perché lavorare per quell’uomo? La lauta paga era una spinta necessaria per, come lo chiamava lui, il miglioramento della specie?
In realtà, Fabian aveva sempre sentito il desiderio di abbandonare la ricerca. Ma i file erano talmente tanti, talmente tanti erano stati i risultati positivi che avevano riscontrato in quelle cavie, che mostravano pregi strabilianti per un topo. Miglioramenti fisici, capacità al limite del sovrannaturale.
Il tasso di mortalità era l’unico, spiacevole inconveniente: Una trentina di cavie morte, in media, per una viva. Uno spiacevole dato che Doctor None sembrava non vedere, e che ora, dopo il successo con sua figlia, sembrava non ritenere necessario.
Di conseguenza, i casi erano due: O gettare cadaveri uccisi dal siero, o accanirsi su di essi fino all’arrivo di un possibile, e per nulla certo, risultato.
Più di ogni altra cosa, Fabian Denton era governato dalla paura. Come poteva fidarsi di un uomo che non si sarebbe fatto scrupoli ad uccidere la sua unica figlia? La rivelazione di anche una sola appendice dei file nascosti del progetto avrebbero potuto significare la morte, per Fabian, o qualcosa di molto peggio.
«Fabian? Mi stai ascoltando?»
Il tono esigente di Doctor richiamò l’assistente dai suoi pensieri.
«S-Si, Doctor, mi dica pure.»
«Stavo pensando…»
“Il che non è mai un buon segno”, aggiunse mentalmente Fabian «Che potremmo provare i due sieri della forza. Mi pare di ricordare che fossero quelli con i maggiori risultati di prestazione.» Concluse quindi Doctor. Fabian notò la lieve gioia nei suoi occhi, un vago accenno, per quanto radicalmente diverso dallo sguardo usuale del suo superiore.
Poi ebbe il coraggio di parlare.
«Si, Doctor. Ma erano anche quelli con…» Ma il suo tono di voce andò a scemare e Fabian non ebbe il coraggio di terminare la frase. Il sorriso si stava sciogliendo, dal volto di Doctor, come un ghiacciolo su un termosifone.
«Con?»
«…Con il più alto tasso di mortalità.»

Doctor None si avvicinò al suo assistente con arroganza. Non era l’arroganza di un uomo consapevole di conoscere la scienza, bensì quella di un delirante umano che tenta di auto elevarsi a divinità.
«Allora farai meglio a trovare un numero soddisfacente di cavie. E che siano elementi decenti.»
Poi si voltò e lasciò il suo assistente interdetto e al limite dell’attacco di panico. Un pugno salì dallo stomaco alla gola di Fabian Denton, che iniziò ad annaspare in cerca di aria, dirigendosi all’esterno a passi rapidi. Allargò la cravatta sotto il camice e sentì l’estremo bisogno di una sigaretta ma, cazzo, aveva smesso di fumare tre mesi prima. Le vertigini salirono alla sua mente quando realizzò quale fosse stata effettivamente la richiesta di Doctor None.

 
Voleva delle cavie umane, ne voleva tante, e aveva incaricato lui per cercarle.
 

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Capitolo 3
*** La giusta cavia. ***


Il vento era terribile, perfettamente consono allo stato d’animo di Doctor. Quel vento talmente freddo e forte che se esci di casa ti rimescola dentro, ma tuttavia non abbastanza forte perché le persone rimangano a casa dai loro quotidiani impegni: La scuola, il lavoro, gli uffici.
Doctor era… Sconsolato. Sebbene non si ritenesse in grado di provare qualcosa di terribile come lo sconforto, in quel momento era l’unico modo accettabile per definire ciò che provava. Il suo esperimento, talmente perfetto da lavorare su un topo, non riusciva ad attecchire sul DNA di un primate, ed erano ancora alla sperimentazione su scimmie, senza poter sconfinare su quella umana. Se fosse stato per lui, Doctor non avrebbe nemmeno perso tempo a provare i sieri sulle cavie, ma la sperimentazione animale e poi su primati era una delle poche condizioni di Denton che lui si era costretto ad accettare.
Camminava per la città di Londra, che da sempre lo aveva confortato con le sue vie anguste e lo sporco per terra. Londra era la sua città natale, e da sempre la prova ai suoi occhi che le persone non meritavano la magnanimità di quel mondo. Perché avrebbero dovuto? Non esitavano a sporcarlo, ad inquinarlo. E non si limitavano a violentare il mondo, bensì esercitavano violenza anche gli uni sugli altri, ben poco diversi dalle bestie che si azzannavano nella savana, semplicemente con meno peluria.
Londra era per lui la prova che ciò che stava facendo era giusto.
Si incamminò verso un cafè, dove entrò stringendosi nell’impermeabile e tirando indietro gli incolti capelli scuri. Erano passati i momenti in cui le signore si voltavano a guardarlo per il suo volto arguto e ben curato, ora sul suo viso ci era solo lo spettro del fascino che una volta vi aveva abitato. Gli occhi erano ancora azzurri e luminosi, ma contornati da rughe vistose, i denti, con l’avanzare degli anni, si erano fatti sempre più sporgenti, tanto da sembrare quasi cavallini, e davano al suo sorriso, per quanto rarissimo, un’aria inquietante, quasi come se avesse sempre un fine diabolico.
Entrò quindi quasi ignorato dai commensali, e si rivolse al barista. Era un ragazzo gracile, aveva evidentemente appena passato la ventina, o semplicemente non portava bene la sua giovane età. Appoggiò lo straccio bianco con cui stava pulendo il bancone sulla spalla, in una patetica ma divertente imitazione di un barman più grande, e guardò Doctor dritto negli occhi, con aria di sfida.
Nei suoi occhi verdeazzurri sembrava non esistere alcun barlume di futuro.
«Cosa le porto?»
Doctor capì che fosse una domanda semplicemente per il contesto e il luogo in cui si trovavano. Nella voce del ragazzo, sebbene fosse scura e greve, non vi era alcuna inflessione, non solo di accento, ma anche di richiesta. Sembrava che ogni singola stilla di gioia di vita, tipica dei ragazzi tra i venti e i trent’anni, gli fosse stata tolta, risucchiata e dispersa, probabilmente, dai mobili di legno del locale, incrostati di macchie zuccherine e a volte appiccicose.
«Chardonnay.» Rispose Doctor, in tono sospirato.
Il ragazzo ghignò, rivolgendo finalmente lo sguardo al suo interlocutore.
«Dì, ti sembra un posto dove si serve Chardonnay?»
La monotonia della frase non arginò la sfida che celava, soprattutto unita al sopracciglio inarcato del ragazzo, ancor di più al gesto eloquente della sua mano destra, con cui mostrò a Doctor i tavolini del bar. Nessuno beveva vino, anzi, nessuno beveva qualcosa che non fosse birra, di ogni foggia e tipologia: Chiara, scura, in calici, in pinte, dal profumo dolciastro, dalla schiuma invadente…
«Forse dovresti andare a Kingsway Hall, amico
La voce del ragazzo richiamò Doctor dalla sua osservazione del locale, e Doctor si concesse un brevissimo sorriso. Era vero, forse non avrebbe potuto ordinare uno Chardonnay. Ma forse avrebbe anche portato a termine qualcosa di più importante.
«C’è un retro, dietro a questa bettola, ragazzo?» Chiese curioso Doctor, facendo vagare le mani nelle tasche dell’impermeabile, dando l’idea di avere qualcosa da comprare. Un ragazzo così distaccato non poteva non essere dipendente da qualcosa, e non avrebbe resistito alla possibile vendita ad un uomo con un costoso impermeabile.
Lo accompagnò sul retro del locale in meno di dieci minuti, e iniziò a tempestarlo di domande.
«Beh, cosa vuoi? Fumo? Erba? Cosa? Non vendo medicinali, e nemmeno sintetiche.»
Doctor si guardò attorno. Nessuno passava, il retro era un chiostro interno al locale, con una piccola scaletta antincendio che dava sulla strada principale. Inziò a frugare nella sua ventiquattrore, in cerca.
«…Allora? Mi devi far perdere tempo?» Doctor continuò a frugare. Proprio in quel momento doveva metterci tanto? Non riusciva a trovare la siringa di sedativo, e per un attimo pensò di non averlo con se. Assurdo, disse alla sua mente geniale, quella poteva essere la sua occasione di provare i nuovi sieri, e non poteva catturarla. Le sue dita si chiusero su una siringa in un piccolo contenitore di plastica, proprio mentre il giovane si voltava, dicendo.
«Fanculo, una perdita di tempo.»
In due passi, Doctor None fu dietro di lui, e iniettò il sedativo al suo collo. Il giovane non ebbe il tempo di dire nulla, semplicemente si accasciò, permettendo all’adulto di trascinarlo nella sua auto, in un parcheggio appena oltre la piccola scala.

 
Tre ore dopo il giovane era sul tavolo operatorio, uno dei due sieri della forza in circolo nel sistema nervoso.

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Capitolo 4
*** Allevarli insieme. ***


«Non possiamo continuare a sfidare la sorte, è già stato difficile!»
«Cosa succede, Denton, ti sono cresciute, le palle tutte in una volta?»

Doctor e Denton litigavano più spesso, ultimamente. Denton si era rifiutato di iniettare il siero sul ragazzo del pub, che più tardi avevano scoperto chiamarsi Allen Birch, e aveva preferito non assistere mentre Doctor stesso si improvvisava medico e sotto le direttive datogli da Denton iniettava il siero nella sua “preda”.
Così l’aveva chiamata, come fosse il re della giungla, e tutti gli altri dovessero obbedirgli.
Suo malgrado, il siero aveva attecchito sul povero Allen, nonostante il salto nel passaggio di prova sui primati, e in pochissimo tempo aveva sviluppato una forza inaudita agli arti superiori. Inoltre avevano compreso un nuovo mistero dei sieri creati da loro stessi: nei casi in cui le capacità celebrali erano state compromesse, erano in grado di curare i danni ritenuti irreparabili. La dipendenza da droghe, infatti, aveva inibito una parte consistente dei neuroni del giovane Allen, e il siero aveva riportato la sua mente al suo stato originale.
Essendo il primo esperimento e avendo avuto subito successo, inoltre, la corteccia prefrontale rimaneva intatta, un grandioso risultato rispetto a Arianne, la figlia di Doctor, che ancora non dava segni di recupero, sebbene minacciasse inquietanti sogni.
Allen non sembrava aver perso la memoria, il che avrebbe potuto essere un problema per Doctor, che lo teneva in una stanza non poco distante da quella di Arianne. Tuttavia il ragazzo sembrava mostrare gratitudine al suo carnefice, e sebbene Denton non riuscisse a capacitarsene, aveva accettato di buon grado la sua “prigionia”, almeno per il momento.
Questo aveva dato a Doctor None una nuova sicurezza, e i possibili dubbi che aveva sul fare o meno la cosa giusta si erano totalmente dissolti davanti alla gratitudine negli occhi del giovane Allen.
E ancora una volta aveva preso da parte Denton per una confessione, una nuova, brillante idea.
«Ho intenzione di creare quanti più Eletti possibile.» Quelle che prima chiamava “creature” ora erano diventati “Eletti”, come se scalassero una gerarchia di perfezione, partendo già da un altissimo gradino.
«E in seguito, voglio creare un luogo dove poterli educare.»
L’espressione sbigottita di Denton fu talmente palese che Doctor ghignò.
«Tranquillo, Denton, non guardarmi con quella faccia. Non ho intenzione di addossarmi la perdita di tempo che sarebbe educarli da solo. No, voglio creare un istituto. Diciamo una specie di Università. Non voglio marmocchi tra i piedi. Voglio che crescano intellettualmente, che diventino potenti sotto ogni aspetto. E più di ogni altra cosa, non voglio che Arianne rimanga da sola
Denton inarcò un sopracciglio, ma non trovò nessuno modo per controbattere l’idea. In effetti pensò che forse un angolo della pazzia di Doctor lo avesse contagiato, perché iniziò a pensare che fosse una grande idea. Non avendo il potere di fermare la follia di Doctor None nel voler creare una specie superiore, ritenne giusto almeno avere un luogo dove educarla, e magari renderla migliore del suo creatore.
«Non dici nulla?»
Doctor insistette con la domanda. Non sapeva per quale motivo, ma per un attimo aveva desiderato l’approvazione di Denton. Gratificato com’era dalla gioia causata nel giovane Allen, aveva desiderato che l’assistente condividesse la sua gioia, in primis per avere una conferma che fosse la giusta cosa, ma soprattutto per smettere di giudicarlo un inetto, e iniziare a pensarlo come socio.
Nella distorta mente di Doctor, un socio poteva essere tale solo se condivideva le sue idee. TUTTE le sue idee.
«è davvero una buona idea.» Denton lo pensava davvero, su questo non c’erano dubbi, ma preferì non dare a quella frase più gioia di quanta ne meritasse. Erano comunque giovani ragazzi strappati alle loro famiglie e alle loro vite, rinchiusi in un istituto. Come avrebbero fatto a renderlo praticamente invisibile alle ricerche, come avrebbero fatto a rendere il mondo cieco, fino al momento in cui avrebbero rivelato i loro intenti?
«Solo, non saprei come attuarla.»
«A questo penseremo dopo, prima voglio averne molti.»

Aveva ricominciato a parlare come un dio onnipotente, e Denton ricominciò a non sopportarlo.
Ma sospirò e lo guardò negli occhi, chiedendogli rassegnato «Da cosa dovremo iniziare?».
Doctor None digrignò i denti all’utilizzo di quel plurale, ma si limitò a inspirare con enfasi. Per un istante si sentì derubato della sua scoperta, come se qualcuno avesse rubato gli appunti di Darwin, del suo persorso, e li avesse spacciati per suoi. Si sentì, per un istante, come un novello Nikola Tesla.
Ma fu un istante, e come era arrivato, passò, dandogli il tempo di pentirsi di aver dato valore al giudizio di quell’idiota.
«Dal secondo siero della forza.»

 
Rispose, deciso. Omise, ovviamente, il suo desiderio di saltare qualsiasi tipo di sperimentazione.
 

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Capitolo 5
*** Nessun senso di colpa. ***


«Lasciatemi uscire, idioti, lasciatemi uscire!»
Fabian Denton non aveva mai urlato così tanto nella sua vita da quel giorno di Settembre, ma nessuno aveva sentito i suoi lamenti. Fabian Denton non avrebbe mai pensato che Doctor fosse capace di imprigionare un uomo adulto, ma da come aveva ridotto sua figlia e Allen, probabilmente avrebbe dovuto aspettarselo. Fabian Denton si era ritrovato sedato, addormentato e in seguito imprigionato in un luogo che Doctor gli aveva sempre tenuto segreto, una parte del laboratorio costituita da bizzarre celle di plexiglass. Il perché era ancora arcano, ma era intenzionato a scoprirlo presto.
Perché privare un uomo della sua libertà, un uomo che da poco si è iniziato a rendere partecipe di un intero progetto?
Il primo pensiero che attraversò la mente di Fabian era ovvio: Sapeva troppo. Da quando avevano iniziato a concepire l’idea di un istituto, Doctor aveva rivelato al suo assistente medico molti dettagli, non solo su sieri che avevano già concepito, ma anche su idee che aveva in mente, su nuove modifiche che voleva apportare sugli essere umani, nuove migliorie che secondo lui erano un passo dalla possibilità.
In poche parole, nel suo delirante sogno di onnipotenza, Doctor aveva concepito gli “Eletti”, si ostinava a chiamarli così, come una nuova gamma di automobili, un qualcosa da integrare, cambiare, riempire di “optional”, come dicevano vecchie pubblicità.
Un architetto di vite umane.
Cosa ancora più spregevole, non aveva mostrato alcun rimorso all’idea di poter vendere al miglior offerente queste “automobili”, proprio basandosi sulle loro capacità per alzarne il prezzo. I sieri, che prima concepiva solo come qualcosa atta a migliorare il mondo per un beneficio mondiale, per quanto distorto, ora potevano rappresentare per lui una fonte di guadagno.
Modificare a seconda della richiesta, provvedere un’offerta in base alla domanda, e speculare sul prezzo.
I pensieri assalivano la mente di Fabian come sanguisughe, e si ritrovò sulla branda, in un angolo di quella cella, stremato dalla situazione. Gli attacchi di panico, di cui aveva sempre sofferto, avevano lasciato in lui una perenne tachicardia, che se portata all’estremo si riduceva ad un costante bisogno di sonno.
Forse, riposare gli avrebbe chiarito le idee. Si strinse le ginocchia al petto e dormì così, un sonno tormentato, ma privo di qualsiasi immagine.
Il sonno di un uomo tormentato dai sensi di colpa.
Quando si svegliò, dopo due ore somiglianti a soli dieci minuti, sentì dei rumori provenire dal piano di sopra, delle urla maschili. Fabian Denton era stanco di quella situazione, avrebbe dovuto essere di sopra, ad aiutare. Se Doctor aveva intenzione di lasciarsi dietro un’altra vittima, lui doveva essere lì, con lui, ad aiutare e fare di tutto per frenare la morte, come aveva fatto per Arianne. Cosa ancora più tetra, Doctor sapeva perfettamente che lui era l’unico in grado di tenere in vita una persona dopo i suoi sanguinari esperimenti. Lo sapeva, perché altrimenti non lo avrebbe chiamato. Doctor None era l’eccellenza, e non esigeva nulla di meno dai suoi assistenti.
Come spesso era capitato in quel giorno, Denton si trovò ad urlare di nuovo.
«Cosa succede? Doctor, fammi uscire! Cosa stai facendo! DOCTOR!»
Iniziò a battere pugni contro il plexiglass, a spingersi contro le cerniere della porta, stupidamente, perché era perfettamente conscio che un materiale come il plexiglass non si sarebbe distrutto solo per qualche misero urto. Sperò che il rumore attirasse Doctor, o uno dei suoi bizzarri assistenti, o la vittima stessa, per quanto potesse essere ancora consenziente. Ma niente. Per altri venti minuti che somigliarono a nove ore, non si mosse nulla. Finirono persino le urla.
Poi un rumore trascinato , seguito da un tonfo, destò i sensi del giovane medico.
«Hai urlato parecchio, eh, Fabian?»
Il tono di Doctor era scherzoso, un lampo di gioia in un attimo tetro. Scese lentamente le scale che portavano a quel sotterraneo, e Fabian notò che camminava incerto. Altri due passi sulle scale e una figura apparve, appoggiata alle spalle dell’uomo. La portava letteralmente in braccio, e per un attimo assurdo a Fabian sembrò un bambolotto addormentato. Poi capì che gli arti erano troppo lunghi, le spalle troppo larghe, e quello che prima sembrava un fantoccio prese le fattezze di un uomo, giovane e prestante, totalmente inerme.
«è… Non sarà..» Fabian non aveva il coraggio di terminare la frase, ma Doctor lo fece per lui. Il tono del pazzo era compiaciuto, fiero.
«Non è morto, se è questo che vuoi sapere. È semplicemente svenuto. Ho ignorato tutte le tue ansie della sperimentazione e eho fatto esattamente come ho fatto con Allen, ho cercato e ho provato. E ovviamente avevo ragione. Quando si sveglierà, questo ragazzo avrà una forza incredibile negli arti inferiori. E mi sarà grato esattamente come Allen
Fabian Denton era sconvolto, ma Doctor non notò il suo sguardo, gli occhi sgranati.
Abbandonò il ragazzo, esanime, nella cella di fianco alla sua, e tornò al piano di sopra con una camminata allegra e baldanzosa.

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