American Idiot

di Midnight the mad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** American Idiot ***
Capitolo 2: *** Jesus of Suburbia - 1. Jesus of Suburbia ***
Capitolo 3: *** Jesus of Suburbia - 2. City of the Damned ***
Capitolo 4: *** Jesus of Suburbia - 3. I don't care ***
Capitolo 5: *** Jesus of Suburbia - 4. Dearly Beloved ***
Capitolo 6: *** Jesus of Suburbia - 5. Tales from another broken home ***
Capitolo 7: *** Holiday ***
Capitolo 8: *** Boulevard of Broken Dreams ***
Capitolo 9: *** Are we the waiting ***
Capitolo 10: *** St. Jimmy ***
Capitolo 11: *** Give me Novacaine ***
Capitolo 12: *** She's a rebel ***
Capitolo 13: *** Extraordinary girl ***
Capitolo 14: *** Letterbomb ***
Capitolo 15: *** Wake me up when September ends ***
Capitolo 16: *** Homecoming - 1. The death of St. Jimmy ***
Capitolo 17: *** Homecoming - 2. East 12 St. ***
Capitolo 18: *** Homecoming - 3. Nobody likes you ***
Capitolo 19: *** Homecoming - 4. Rock n' roll girlfriend ***
Capitolo 20: *** Homecoming - 5. We're coming home again ***
Capitolo 21: *** Whatsername ***



Capitolo 1
*** American Idiot ***


Questa non è la storia di American Idiot. Questa è la storia di qualcuno che quell'album l'ha ascoltato. Questo è l'album che accompagna una storia, una storia diversa.
Questo è... il mio American Idiot.
 
AMERICAN IDIOT
(Un liceo qualsiasi in una città qualsiasi
in un 1 agosto di un anno qualsiasi)
 
Quando l’impresa di pulizie quella mattina entrò per l’ultima giornata di lavoro dopo la fine degli esami di Maturità, quello che videro fu sufficientemente sconvolgente.
Qualsiasi superficie possibile era stata completamente ricoperta di parole, compresi i soffitti, i muri e i pavimenti. Scritte a pennarello nero indelebile.
Da un esame più attento si rivelarono tutte uguali, poche frasi che si ripetevano all’infinito:
 
Welcome to a new kind of tension
all across the alienation.
Everything isn’t meant to be ok.
 
Nessuno capì mai chi fosse stato, né perché.
O meglio, qualcuno lo sapeva eccome, ma decisamente non avrebbe mai aperto bocca.
-
Che le sigarette non fossero granché era una delle cose che Kurt sapeva con più certezza. Aveva fumato solo una volta nella sua vita, il giorno prima di compiere quindici anni. Una sola sigaretta, finita fino al filtro. E poi basta. Dopotutto bisognava sempre provare, ma fumare di per sé non aveva una grande utilità. Non serviva a sballasi e faceva male; traducendo, era autolesionista. E Kurt non era autolesionista. Una potenziale suicida sì, ma autolesionista no. Perché morire un po’ alla volta? Morire tutto insieme sembrava decisamente più divertente.
Per questo, mentre se ne stava alla fermata dell’autobus con un cretino che le sfumacchiava in faccia, il suo umore non era dei migliori. Erano già passati due mesi dalla sua ultima trovata, a scuola. La notte dopo la fine degli esami aveva reclutato più gente possibile e aveva letteralmente ricoperto la scuola di scritte, per due motivi: il primo, che così sarebbe stata decisamente più interessante; il secondo, che così avrebbe potuto sbattere in faccia a tutti – sia ai professori che agli alunni appena diplomati – dove stavano andando a finire quelli appena usciti da quella scuola tanto odiata. In un nuovo tipo di nervosismo, di paura, di problemi, in un mondo di disoccupazione che continuava tranquillamente a crescere in una nazione stupida e superata in cui doveva sembrare per forza che andasse tutto bene.
“Beh, in realtà non è proprio così. Ok significa 0 Killed, zero morti. Ma i feriti?”
Comunque, Kurt sapeva che nessuno avrebbe capito. Né i professori, né quelli che l’avevano aiutata convinti di stare commettendo un semplice atto di vandalismo. Ma a Kurt non importava che le persone capissero. Forse neanche lo voleva. Le piacevano i misteri e le piaceva sapere di essere l’unica a capire mentre gli altri impazzivano provandoci.
L’autobus arrivò e lei salì, infilandosi le mani in tasca. Mentre il mezzo si muoveva tra le vie, molto più affollate di quelle dove aveva vissuto fino a poco tempo prima, si ritrovò a guardarsi intorno. Quella città piovigginosa e troppo grande non aveva assolutamente nulla di neanche apparentemente familiare. Era solo una città, con gente da città che camminava per le strade e troppe storie nascoste negli angoli con nessuno ad ascoltarle. A parte lei. Anche se non era venuta lì per ascoltare storie, almeno in teoria.
Tirò fuori uno spinello e se lo accese. Se l’avessero buttata fuori dal pullman o arrestata, beh, se ne sarebbe fatta una ragione. Non era la prima volta che rischiava di finire nei guai, ma dopotutto non c’era niente da perdere. “Vivere con tranquillità nella vita significa semplicemente convincersi che niente è così importante da non poter rischiare di perderlo.”, era la cosa che amava dirsi. E, in effetti, riusciva a seguire quella linea di pensiero. Beh, tranne che per una cosa in particolare.
“Nessuno è perfetto.” si giustificò, e tirò una boccata. La donna accanto a lei fece una smorfia e si spostò, ma non fece commenti né chiamò qualcuno. A quanto pareva la gente lì ci aveva fatto l’abitudine, oppure preferiva farsi i fatti suoi. Meglio così. Kurt odiava quelli che non si facevano i fatti loro, sebbene lei, i propri, non se li facesse mai. Non si era mai considerata una persona coerente.
Quando arrivò alla sua fermata aveva già la testa sufficientemente annebbiata. Fece un mezzo sorriso e guardò l’edificio davanti a sé. Un’altra immersione nello schifo prima di emergere e riuscire finalmente a vedere quello che restava del mondo. Sorrise di nuovo.
Ed entrò.
-
Don’t wanna be an American Idiot,
don’t want a nation under the new mania!
And can you hear the sound of hysteria?
The subliminal mind fuck America.
 
Syd spiaccicò una mano sul pulsante della sveglia con un mezzo ringhio. Aveva messo quella canzone come sveglia sperando che alzarsi fosse più piacevole. Il risultato? Ovviamente non era servito a nulla.
- Tesooooroooo... – cinguettò sua madre. – E’ ora di alzarsi! –
- Ho capito! – sbuffò lei, tirandosi su e rassegnandosi ad aprire gli occhi. Erano le quattro del mattino. E in quel momento sarebbe stata a dormire tranquilla nel suo nuovo appartamento in affitto a 200 km da lì se solo i suoi genitori non avessero organizzato una festa di addio la sera prima.
Syd odiava le feste di addio. Le odiava con tutta l’anima. Doveva andare, sarebbe andata. Piangerci sopra non sarebbe servito a nulla.
Entrò nel bagno e si infilò i vestiti che si era preparata. Il resto era tutto in valigia, ormai, oppure era già stato spedito nell’appartamento che aveva preso in affitto.
Si lavò i denti e si passò una linea di eye-liner sulle palpebre. Si guardò allo specchio e decise di raccogliere i rasta in una coda. I suoi genitori avevano rotto le scatole per mesi per via di quei capelli, ma Syd li aveva ignorati. Ho quasi vent’anni, cazzo., aveva risposto, sentendosi patetica perché sapeva benissimo che vent’anni non erano e non significavano niente, ma a quanto pareva quella era l’unica lingua che i suoi genitori capissero. Sono adulta, lasciatemi in pace.
Quando arrivò il momento di mettersi in macchina Syd si ritrovò a sospirare. Avrebbe voluto guidare lei, da sola, ma l’auto non era sua e i suoi genitori avevano insistito per accompagnarla, così si infilò le cuffie nelle orecchie e si lasciò cadere sul sedile del passeggero insieme a un libro da leggere. Dopo poco iniziò a piovere. Gocce sottili, graffianti, che scivolavano sul vetro dell’auto creando scie argentee alla luce dei lampioni. Intanto, nelle sue orecchie si susseguivano le canzoni. Syd sapeva che si stava addormentando. Sonnecchiava, con brevi sprazzi di note e parole che riuscivano a farsi strada nel groviglio che era la sua testa.
 
...They’re leavin’ it up at the Hotel California,
what a nice surprise, what a nice surprise
bring your alibis...
 
Un pensiero scivolò tra la musica. “E poi che succede?”
 
...We’re just two lost souls swimming in a fish bowl
year after year...
 
Già, chissà come sarebbe andata. C’era una strada, con un grande punto interrogativo alla fine.
 
...then I crashed into a wall,
then I felt to pieces on the floor;
now you’re sick to death...
 
Osservò i suoi genitori. Chissà se senza di loro se la sarebbe cavata o sarebbe andata in pezzi contro un muro. Forse, dopotutto, il gusto stava anche in quel dubbio.
Lentamente il sonno passò e arrivò la noia. Syd sbadigliò e si tolse le cuffie dalle orecchie prendendo il libro, Novecento di Alessandro Baricco. L’aveva comprato a una bancarella dell’usato perché lo svendevano a un euro e cinquanta. Non l’aveva mai sentito nominare, ma la ispirava abbastanza, quindi l’aveva comprato. Lo aprì alla prima pagina. E, alla seconda, un brivido le scese giù per la spina dorsale.
Negli occhi della gente si vede quello che vedranno, non quello che hanno visto.
Lanciò un’occhiata fuori dal finestrino. Syd. Il nome che si era data perché le piaceva, perché a differenza del suo aveva una storia e un senso. Lei non ce l’aveva, una storia, e neanche un senso, quindi aveva preso quelli di qualcun altro. Non che fossero una storia e un senso felici, però. E questo lo sapevano anche i Pink Floyd quando avevano dedicato una canzone al vero Syd.
 
Now there’s a look in your eyes,
seems like black holes in the sky...
-
Quando la sveglia suonò, Andrea sbadigliò rumorosamente e si tirò su, le palpebre pesanti. Cercò di fare un rapido programma di quello che avrebbe dovuto fare da lì ai successivi venti minuti prima di spegnere di nuovo il cervello e, una volta fatto, si infilò sotto la doccia.
Una volta uscito tornò in camera e si diresse verso l’armadio.
E poi suonò il campanello.
Sbuffando si strinse l’asciugamano in vita e si diresse verso la porta di ingresso. E, quando la aprì, restò di sasso.
Davanti a lui c’erano un uomo e una donna tra i cinquanta e i sessanta, e dietro di loro c’era una ragazza con i rasta castano scuro legati in una coda e l’aria annoiata, con una valigia in mano. Anche loro tre sembrarono stupirsi. Si fissarono.
- Ehm... questo non è l’appartamento di Andrea De Rossi? – domandò la donna, dopo qualche secondo di imbarazzo.
- Sì, sono io. – rispose lui.
La donna e l’uomo si guardarono. – Cavolo. – disse lei. – Mi sa che abbiamo... – Si voltò verso la ragazza. – Andrea, ma tu non avevi detto che era una ragazza? –
In quel momento Andrea – lui – si rese conto dell’equivoco. In effetti lui aveva pensato di condividere l’appartamento con un ragazzo. Andrea era un nome da maschio, no?
- Andrea è un nome da femmina! – rispose Andrea – lei.
- Veramente no. – rispose lui.
- In America sì. – fece la ragazza. Poi guardò quelli che probabilmente erano i suoi genitori. – Beh, chi se ne frega. Ciao mamma, ciao papà. –
I due la fissarono come se l’avessero appena vista sgozzare un gatto. – Chi se ne frega? – ripeté la donna. – Non puoi stare in un appartamento con un ragazzo. –
- E perché no? Cazzo, mamma, guardalo. E’ uno studente. Cosa vuoi che faccia? E poi almeno così non dovrò andare in giro per i locali nel caso mi venga voglia di scopare. Ciao. – ripeté, ed entrò sbattendo loro la porta in faccia.
Andrea – lui – la fissò. – Ehm. – disse.
- Che c’è? Vuoi che me ne vada? – rispose lei, alzando gli occhi al cielo. – Povero verginello del cazzo. –
Il ragazzo la fissò. – Hai recentemente vinto Miss Gentilezza, vero? – sbuffò. – Comunque non c’è problema se rimani. Mi serve qualcuno con cui dividere l’affitto. –
Lei lo squadrò da capo a piedi, poi annuì. – Allora ok. Comunque, io sono Syd. –
- Ma tua madre non ti ha chiamata... –
- Io. Sono. Syd. – ripeté lei, scandendo le parole e porgendogli la mano.
Lui la guardò. Certo che questa era strana forte. – Andrea. – si presentò, stringendogliela, anche se era inutile.
- Bene. Dov’è camera mia? –
Andrea le indicò una porta. La ragazza si avviò e il pavimento di vecchio parquet scricchiolò sotto i suoi piedi.
Syd alzò gli occhi al cielo. – Casa dolce casa. –
-
Syd mollò valigia, libro e borsa sul pavimento della sua stanza. Era piccola, ma tutto sommato non era male. La sua roba era già tutta lì, infilata in degli scatoloni. Lei non perse tempo a cambiarsi nonostante con quel caldo umido avesse sudato dall’inizio alla fine del viaggio e si gettò sul letto, che cigolò sotto il suo peso.
Ok. Non era andata esattamente come si aspettava, visto che non aveva trovato la coinquilina ordinata che si aspettava e la foto che c’era su internet dell’appartamento doveva risalire a almeno una ventina d’anni prima, ma ok. Non era poi troppo male.
Il ragazzo, Andrea, doveva avere più o meno la sua età. Capelli neri, magro come un chiodo, tre o quattro piercing sparsi in giro per la faccia e un tatuaggio che partiva dal fianco destro che rappresentava dei rovi che gli si attorcigliavano addosso. Non era poi troppo male neppure lui, almeno a impatto, anche se quello che aveva detto ai suoi a proposito del sesso era stato solo per toglierseli di torno. Questa era la sua nuova vita e loro non c’entravano, accidenti. Non che non volesse bene ai suoi genitori o che loro non ne volessero a lei, però... però si sentiva come se avesse sprecato i primi vent’anni della sua vita in qualcosa che non le interessava davvero, in mezzo a gente con cui non si sentiva a suo agio e in una città che conosceva come le sue tasche. Lei invece voleva sorprese. Voleva novità. Voleva... qualcosa che la svegliasse dal torpore in cui si sentiva incastrata, voleva sentirsi... viva. E invece la sua vita fino ad ora era stata l’esatto opposto.
 
Welcome to a new kind of tension
all across the alienation...
Everything isn’t meant to be ok.
 
“Già, non deve andare tutto bene per forza. Posso anche andare a sbattere contro quel fottuto muro se ne vale la pena.”
-
L’università era piena di gente. Kurt si guardò intorno. Si era infilata le cuffie nelle orecchie, e adesso le sembrava di camminare restando fuori dal mondo, quasi in una bolla che la separava dalle persone. Adorava farlo, forse era per questo che si stava distruggendo i timpani.
 
Television dreams of tomorrow;
we’re not the ones who’re meant to follow;
for there’s enough to argue.
 
Tutta quella gente, guidata lì da sogni preimpostati. Oppure era solo che tutto era già stato detto, fatto e pensato. Niente era davvero originale. Questo l’aveva pensato lei, e prima l’aveva pensato Kurt Cobain, e prima chissà chi altro, tutti scoprendo solo dopo di non essere stato il primo a inventarselo. Una semplice prova di quella stessa frase. “Dicono che i sogni sono tutti gratis, ma son quasi tutti quanti usati.” pensò. “Però questi sono davvero i loro sogni? Davvero una cosa è un sogno se te lo infilano a forza in testa?”
 
Well, maybe I’m the faggot America;
I’m not a part of the redneck agenda.
Now everybody do the propaganda
and sing along to the age of paranoia.
 
Lei, in un certo senso, si sentiva abbastanza fuori da quella storia.
“E’ solo che accetto di non avere un futuro.”
Sorrise amaramente. Già. Anche se in realtà le dava un po’ fastidio che “avere un brutto futuro” fosse sinonimo di “non avere un futuro”.
Ma ormai era stanca di trovare spiegazioni.
Entrò nell’aula. Un attimo prima di togliersi le cuffie chiuse gli occhi.
 
Don’t want to be an America idiot;
one nation controlled by the media.
Information age of hysteria,
it’s calling out to idiot America.

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Capitolo 2
*** Jesus of Suburbia - 1. Jesus of Suburbia ***


JESUS OF SUBURBIA
 
JESUS OF SUBURBIA
(Un’altra città qualsiasi, solo un po’ più grande,
in un ottobre dello stesso anno)
 
- Che tu sappia c’è qualcosa per cena? – domandò Syd, entrando in casa.
Andrea sollevò la testa dal testo che stava sottolineando, un po’ stupito. Syd non aveva mai cenato a casa da quando si era trasferita lì, tre giorni prima. Era sempre stata fuori, tornando a orari assurdi. Andrea iniziava a chiedersi come facesse a non cascare dal sonno.
Scrollò le spalle. – Beh, penso di sì. – In realtà non faceva la spesa da quando si era trasferito lì, però qualcosa doveva essere avanzato. Tipo avanzi di cibo cinese della sera precedente.
- Ok. Ti dispiace se ceno qui? –
- Per quanto mi risulta, è anche casa tua. – rispose lui. Poi, visto che stranamente Syd aveva iniziato una conversazione, decise di approfittarne. – Come ti sembra l’Università? –
Lei sembrò rifletterci su. – Non lo so, a dire il vero. Penso che sia sopravvalutata, ma almeno ho una scusa per restare qui. –
- Ti piace questa città? – domandò lui. In effetti non era un brutto posto, ma neanche chissà quale meraviglia.
- Beh, è grande e fredda ed estranea, ma solitamente sono le cose familiari a mettermi a disagio, quindi è ok. – rispose lei.
Andrea la fissò. Le cose familiari la mettevano a disagio. Ok.
- E che palle, non guardarmi così. E’ vero. Mi rompe fare l’abitudine alle cose. E’ fastidioso che dopo un po’ non siano più vere come prima solo perché ti ci sei abituato. L’abitudine spegne le cose, non le... senti più, non ci fai più caso. –
Il ragazzo mise giù il libro. – Sei strana, Syd. –
- Tutti sono bravi in qualcosa. Io sono brava a essere strana. – rispose lei, alzando le spalle. – Si potrebbe dire che mi viene naturale, anche se “venire naturale” è una cosa abbastanza avventata da dire. Che ne sai di cosa ti ha influenzato in tutta la vita? – Lo guardò. – Tu invece cosa sei bravo a fare? –
Andrea si rese conto che quella era la prima conversazione vera e propria che avevano, e che era decisamente assurda come prima conversazione. Però... beh, però ormai l’avevano iniziata. Si alzò dal divano ed entrò in camera sua, riemergendosene poco dopo con la custodia della chitarra in mano.
Syd non cambiò espressione. – Si potrebbe dire che sei un po’... come dire... “montato”. –
Lui sorrise. – Si potrebbe dire che sono realista. – ribatté. Si sedette sul divano e tirò fuori la chitarra dalla custodia. Era vecchia e si vedeva, ricoperta di graffi e scritte com’era. Ma era sua. E, in un certo senso, lui era di quella chitarra.
Iniziò a scordarla e, quando gli sembrò di esserci riuscito abbastanza bene, prese un respiro. – Non metterti a piangere. – scherzò.
Syd alzò gli occhi al cielo.
Lui appoggiò le dita sulle corde e iniziò a suonare.
-
Quello che veniva fuori da quella chitarra era assurdo. Syd non aveva idea di come Andrea ci stesse riuscendo, ma era così. Cambi improvvisi, accelerando, crescendo. La chitarra era scordata da fare schifo, eppure era anche quello che rendeva tutto così... speciale. Stava usando note assurde, eppure la canzone era bellissima, e perfettamente riconoscibile.
Durò un’infinità, ma lei la conosceva, quindi se l’aspettava. Si chiese se Andrea la stesse suonando in suo onore o se fosse un caso.
E poi lui iniziò a cantare.
Non aveva esattamente una bella voce, eppure era perfettamente adatta al contesto. Non era bravo a cantare e si era creato una musica in cui la sua voce era perfetta. Era... era un fottuto genio.
 
Remember when you were young,
you shone like the sun...
Shine on you crazy diamond.
Now there’s a look in your eyes
like black holes in the sky...
 
Già. Buchi neri negli occhi. E quello che avevi negli occhi... era il tuo futuro.
Ma Andrea questo non lo sapeva, quindi continuò a cantare.
E lei non lo interruppe.
 
Shine on you crazy diamond.
You were caught on the cross fire childhood and stardom,
blown on the steel breeze.
Come on you target faraway laughter,
come on you stranger, you legend, you martyr, and shine!
 
“Sì, ma come si fa a brillare in un modo che piaccia anche a me?”
Syd si rese conto di avere le lacrime agli occhi. Era così, in effetti: lei aveva sempre odiato brillare, almeno nel senso comune del termine. Eppure, ehi, era la ragazza perfetta sotto un sacco di punti di vista. Brava a scuola, studiosa, ordinata, gentile e tutto. E poi a un certo punto si era girata e aveva detto: “fottetevi”.
Brillare era orribile, eppure quella canzone la stava implorando di farlo.
 
You reached for the secret too soon,
you cried for the moon...
Shine on you crazy diamond!
Threatened by shadows at night
and exposed in the light...
Shine on you crazy diamond!
 
Andrea sollevò la testa e la guardò negli occhi con un mezzo sorriso.
 
Weel, you wore out your welcome
with random precision.
Rode on the steel breeze.
Come on you raver, you seer of visions.
Come on you painter, you piper, you prisoner, and shine!
 
Andrea mise giù la chitarra.
Syd lo fissò. – Non è finita. – fu la prima cosa che le uscì.
- Nessuna storia finisce alla fine, tutto finisce sempre a metà. – ribatté lui. – O sbaglio? –
- Almeno le storie che raccontiamo noi sarebbe bello se finissero con una fine. – rispose lei.
- Ma così non sono realistiche. –
- E chi se ne frega della realtà? –
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, quasi divertito, e riprese la chitarra in mano.
 
Nobody knows where you are,
how near or how far.
Shine on you crazy diamond!
Pile on many more layers
and I’ll be joining you there.
Shine on you crazy diamond
and we’ll bask in the shadow
of yesterday’s triumph
and sail on the steel breeze.
Come on you boy child, you winner and loser,
come on you miner for truth and delusion, and shine!
 
- E’ la mia parte preferita. – mormorò Syd quando la musica finì davvero. - Cioè, è tutta un addio, questa canzone, ma questa è la parte in cui c’è lo... “strappo”. –
- Sì, ma il cantante qui dice che o raggiungerà, il diamante pazzo, no? – osservò il ragazzo.
- Ma è una promessa che non manterrà. E’ ovvio che non lo farà. Perché anche lui lo chiama “pazzo”, quel diamante. Lo desidera, ma gli sta lontano perché un diamante pazzo è qualcosa di bello da guardare ma che se lo tocchi... ti tagli. E fa male. –
Andrea la osservò. – E tu sei un diamante pazzo? –
Syd si mise a ridere. – Io non sono un diamante. Col cavolo. I diamanti hanno un che di bello nella loro pazzia. Io invece sono un’idiota e basta. Una pazza... senza essere un diamante. –
- E allora perché ti chiami Syd? –
Lei esitò. – Perché... perché è bello raccontarsi bugie. E perché forse sarebbe bello diventare un diamante. Ma di quelli che piacciono a me, non di quelli che piacciono agli altri. –
Andrea ricominciò a strimpellare. – Non sei male. – disse, dopo un po’.
- Beh, neanche tu. Anche se non ho ancora capito cosa ci fai all’Università visto come suoni. –
Lui scrollò le spalle. – Quando ero piccolo, tipo quattro anni, un giorno stavo camminando in centro con mia madre e a un certo punto ho sentito uno che suonava la fisarmonica. Era una specie di barbone, ma sul serio, era la cosa più bella che avessi mai sentito in vita mia, perché quello non era qualcuno che conoscevi già e che aveva iniziato a piacerti a forza di ascoltarlo. Era qualcosa che ti colpiva subito come uno schiaffo e o ti piaceva o non ti piaceva e non c’era da raccontarsi bugie. In effetti quello che hai detto tu sull’abitudine è vero. E io non voglio diventare un’abitudine. –
- Sembra... bello. – disse la ragazza. Esitò. – Ok, ammetto che avrei dovuto parlarti prima. –
Lui sorrise. – Già, non sarebbe stato male. – Il suo stomaco brontolò. – Cena? –
- Ok. Tu... che fai stasera? –
- Lavoro. – rispose lui. – Anche perché se non lo faccio io qui ho chiuso. –
- Sei dentro con una borsa di studio? –
- Sono dentro perché i miei pagano. Stavo per vincerla, ma poi me l’ha fottuta una tizia. Mi chiedo come abbiano fatto a dargliela visto che a vederla almeno dalle foto sembra una drogata del cazzo, però fatto sta che lei l’ha presa e io no. Comunque l’affitto me lo devo pagare se voglio restare qui. Non è che siamo messi bene, a soldi. – rispose Andrea, poi si avviò verso il frigo. – Ramen? –
- Ah-ah. Dov’è che lavori, quindi? –
- In un pub qui vicino. Inizio alle dieci e finisco a mezzanotte. Poi c’è anche un turno fino alle due, ma se dormo così poco io poi la mattina non mi alzo. – spiegò il ragazzo, tirando fuori degli spaghetti cinesi da una ciotola di cartone e versandoli in due piatti. – Anatra? –
- Mettici tutto quello che trovi. – rispose Syd. – Ti dispiace se vado a fare una doccia prima? –
- Beh, in realtà sì se non posso venire con te. – ribatté lui, ironico.
La ragazza alzò gli occhi al cielo. – Ci vorranno ancora un bel po’ di canzoni prima che ti faccia venire a letto con me, idiota. –
Mentre si infilava in bagno lo sentì gridarle dietro. – Mi darò da fare! –
Sorrise.
-
Quella sera il locale era piuttosto affollato. Sul minuscolo palco suonacchiavano quattro ragazzi dall’aria annoiata, e nell’aria regnava una musica svogliata e deprimente. Kurt sbuffò. Sembrava che venire lì non fosse stata una buona idea, o almeno non così presto. Però aveva voglia di cambiare aria. Lavorare sempre nel solito locale iniziava ad essere noioso.
Sbadigliò e in quel momento sentì una voce. – Ehi, sei sola? –
Si girò. C’era un ragazzino sui sedici anni – se li aveva – dall’aria sufficientemente spaurita. Lei scrollò le spalle. – Sì, ma purtroppo per te sono anche una puttana. Anche se vedendo quanto sembri sfigato potrei anche solo farmi pagare da bere in cambio. Così magari puoi raccontare ai tuoi amici una notte di sesso bollente. –
Il ragazzino arrossì fino alla punta delle orecchie. “Ecco.” pensò Kurt. “Adesso esiti, pensi di andartene, ci ripensi e mi compri qualcosa.”
Lui deglutì. – Ehm... cosa vuoi da bere? –
“Bingo.”
-
Quando Andrea finì il turno era stanco morto. Il giorno dopo aveva lezione alle otto e aveva voglia di dormire almeno dodici ore, nonostante ne avesse molte meno a disposizione. “Non esiste una maniera per allungare il tempo?” pensò, sconsolato. Si infilò nello spogliatoio per cambiarsi, e in quel momento notò che il marsupio con cellulare e portafogli era scomparso. “Cazzo.
Alzò gli occhi al cielo, sibilando una bestemmia. Qualcuno dietro di lui rise. Si girò e vide una ragazza che lo osservava divertita. Lei sollevò un sopracciglio e canticchiò: - Look down, look down, Sweet Jesus doesn't care...
Lui sbuffò. - E allora cosa dovrei fare? -
La ragazza alzò le spalle. - Beh, diventa tu Gesù, così almeno puoi risolverti tutti i problemi che vuoi. –
Andrea la squadrò da capo a piedi. Non era tanto alta, con i capelli multicolore, vestita con una gonna di pelle nera con una cerniera sul davanti, un paio di calze strappate e anfibi al ginocchio sporchi di fango, il tutto corredato da una giacca di pelle indossata direttamente sul reggiseno di pizzo nero. Aspetta. Ma quella era... – Tu sei la troietta che ha vinto la borsa di studio. –
Lei fece finta di pensarci su. – Beh, in effetti la descrizione corrisponde. Sono una troia e ho vinto una borsa di studio. Però in realtà io non ho idea di chi sia tu, quindi ti dispiacerebbe illuminarmi? –
Il ragazzo scrollò le spalle. – Nessuno. E non vedo perché ti sia disturbata a parlare con me. –
- Beh, stavo solo cercando di aiutarti. – Lei sorrise. – Sono felice di vedere che mi odi a morte, visto che anche se non so perché mi fa sempre piacere sapere di non essere indifferente agli idioti. Però non sarebbe male se mi spiegassi che problemi hai. –
- Stavi cercando di aiutarmi suggerendomi di diventare Gesù. – osservò Andrea. – Sinceramente, non è uno dei consigli più brillanti che io abbia mai ricevuto. –
- Veramente è estremamente intelligente come consiglio, ma tu in questo momento non hai voglia di capire oppure proprio non sei capace. Però non mi sembri stupido, quindi dire che non hai voglia e basta. Comunque, cazzi tuoi. Invece sono fatti miei se mi odi, quindi ti faccio notare che non mi hai ancora risposto. –
Andrea aveva voglia di darle un pugno. – Beh, sono incazzato perché una borsa di studio è andata a una puttana che se ne sbatte altamente invece che a uno che l’avrebbe usata sul serio. – rispose. – Tutto qui. –
- Cosa ti dice che io non la stia usando? – ribatté lei. – Comunque, in effetti, immagino che volendo potrei sbattermene. Ma non ne ho voglia, quindi per il momento mi sto interessando a quello che faccio. Anche se non ci crederai. –
- Mi fa pensare che tu non la stia usando il fatto che sei una prostituta che bazzica locali schifosi. –
- E tu cosa sei? Un idiota che bazzica gli stessi locali, e per lo stesso motivo. Ognuno ha il suo modo per guadagnarsi da vivere, solo che devi ammettere che il mio è estremamente più divertente. – rispose la ragazza.
Andrea si ritrovò a non sapere cosa ribattere. Lei ghignò e gli porse la mano. – Kurt. –
- Kurt? –
- Sì, sai, tipo Kurt Cobain. Il cantante dei Nirvana, hai presente? –
- Sì, ho presente, ma è un nome da maschio. –
- Embé? Ho fatto cose peggiori di darmi un nome da maschio. – Sorrise. Stava dicendo la verità, ovviamente. – Comunque se proprio ti da fastidio puoi chiamarmi St. Jimmy. –
- St... Quello di American Idiot? – domandò lui.
- Sì, lui. –
- E perché? –
Il sorriso divertito della ragazza si incupì per un secondo, così velocemente che Andrea quasi non se ne accorse, poi tornò. – E’ una storia lunga. Comunque ti conviene stare attento, Jesus. Sembra che a quelli come te porti male avere attorno quelli come me. Detto questo... non è che per caso hai un posto dove dormire? La metropolitana è ok, ma ultimamente fa freddino là sotto. –
Andrea era paralizzato. Quella ragazza sembrava completamente partita di testa, ma qualcosa gli diceva che non lo era affatto, e questo faceva ancora più paura. – Se vuoi un posto dove dormire perché quell’avvertimento? –
- Un po’ per principio. Ma è una storia lunga, te l’ho detto. – La ragazza scrollò le spalle. – Dicevamo, ce l’hai un posto dove potrei stare? –
- Tu puoi pagarmi? –
- Dipende come vuoi essere pagato. –
Lui alzò gli occhi al cielo. Era stufo di quelle risposte che non significavano niente. Però... però quella troia gli piaceva, in un certo senso. Così alla fine disse: - Ok. –
-
La metropolitana a mezzanotte e passa era quasi deserta. Andrea sbadigliò, seduto su un sedile del treno in corsa. Erano passati a prendere le cose di Kurt, o St. Jimmy, come aveva detto di chiamarsi, ovvero due valigie vecchie e mezze distrutte e la custodia di quello che sembrava un violino.
Le stazioni si susseguivano, tutte uguali. St. Jimmy fumava uno spinello, e intanto Andrea pensava.
Beh, diventa tu Gesù, così almeno puoi risolverti tutti i problemi che vuoi.
E in quel momento un’idea gli attraversò la mente. “E perché no?”
Si stupì da solo di quell’idea, eppure... beh, forse lei, St. Jimmy, aveva ragione. Poteva trovare la maniera di bastarsi. Di diventare almeno per se stesso il sostituto di Gesù, perché a quanto pareva... Sweet Jesus doesn’t care. “E allora vaffanculo. Tanto a quanto pare bisogna cavarsela da soli.”
Il treno superò l’ennesima stazione, uno sprazzo di luce a metà del buio delle gallerie. Non c’era niente tranne il rumore del treno, eppure ad Andrea sembrò di sentire una canzone nell’aria.
 
I’m the son of rage and love,
the Jesus of Suburbia,
from the bible of “none of the above”...
 
Guardò la ragazza accanto a lui. Lei lo osservò. Gli porse la canna, e Andrea la prese facendo una tirata.
 
...on a steady diet of soda pop and ritalin.
No one ever died for my sins in hell
as far as I can tell
at least the ones I got away with...
 
“Sì, e comunque a un certo punto chi se ne frega?”
Si stupì di averlo pensato. Però solo in quel momento si rendeva conto di tutta la rabbia che aveva avuto dentro. La rabbia di non avere mai abbastanza soldi, di non avere o poter fare mai abbastanza. E iniziava a pensare che non ci fosse niente di sbagliato.
 
...But there’s nothing wrong with me,
this is how I’m supposed to be
in a land of make believe
that don’t believe in me.
 
Guardò St. Jimmy. Pazza era pazza, ma forse... capiva. Lei lo guardò con un mezzo ghigno. – Vedi, era un consiglio intelligente. – disse, quasi gli avesse letto nel pensiero.
Andrea si morse il labbro. “Benvenuto... Jesus of Suburbia.”

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Capitolo 3
*** Jesus of Suburbia - 2. City of the Damned ***


JESUS OF SUBURBIA

CITY OF THE DAMNED
(Stessa città, parcheggio di un supermercato,
2:03 del giorno successivo)
 
Syd si guardava intorno e pensava che quel posto faceva schifo.
Era lì. Nello stesso posto dove andava tutte le sere da quando era arrivata. Lo schifoso parcheggio vuoto di un supermercato fallito, immerso nelle luci gelide dei lampioni.
Non sapeva perché ci andava. Sapeva solo che, da quando era arrivata in quella città, quello era l’unico posto vero in cui fosse stata. Un posto che non fingeva di essere qualcosa che non era.
Così veniva lì e ci restava, e se qualcuno l’avesse presa e le avesse fatto del male poco importava, o almeno era quello che si sforzava di pensare. C’era qualcosa in quella città che non andava.
Anche se, in un certo senso, quel giorno era cambiato qualcosa.
Pensò ad Andrea che suonava. Al suo sorriso. Alla prima cena in compagnia. Sì, era stato bello. La prima cosa bella, oltre che vera, da quando era arrivata.
Da una vita, in effetti.
Chiuse gli occhi e si concentrò sulla canzone che stava ascoltando.
 
At the center of the Earth
in the parking lot
of the 7-11 where I was taught
the motto was just a lie;
it says: “Home is where your heart is”...
 
Pensò che Shine on you crazy diamond suonata in quel modo era stata la prima cosa dopo anni a farle capire di avere ancora un cuore. A farla sentire a casa.
Infilò le mani in tasca.
 
...but what a shame
‘cause everyone’s heart
doesn’t beat the same;
we’re beating out of time...
 
Eppure le era davvero sembrato di capire, di essere capita. Di avere conosciuto qualcuno come lei.
E perché le canzoni dovevano avere sempre ragione? si chiese. Alla fine, magari, poteva trovarsi un posto sicuro, qualcosa di suo in quella città fredda come un cadavere.
Forse.
-
Quando entrò in casa le luci erano spente e regnava il silenzio. Probabilmente Andrea stava dormendo. Però la ragazza notò che da sotto la porta chiusa della propria camera proveniva un po’ di luce. Si era dimenticata la lampada accesa?
Entrò nella stanza e restò di sasso.
In piedi, perfettamente immobile a fissare la libreria, c’era una ragazza più o meno della sua età, con addosso nient’altro che la biancheria intima e una chioma multicolore. Aveva le braccia incrociate al petto e l’aria assorta.
Syd non sapeva cosa fare. Tutta quella situazione era così assurda da farla sentire con il cervello completamente vuoto. – Tu chi cazzo sei? – le uscì, alla fine.
La ragazza si girò verso di lei. – Ah, ciao. – disse, poi ricominciò a guardare la libreria. – Stavo decidendo cosa leggere. –
- Tu stavi... che? – domandò Syd.
La sconosciuta alzò gli occhi al cielo e la fissò di nuovo. – Ah, è camera tua? –
- Sì che è camera mia! Ma tu chi cazzo sei? –
- Boh, penso che potresti chiamarmi Kurt. O St. Jimmy. Scegli tu. Però se scegli St. Jimmy mi raccomando, St. Jimmy. Non Jimmy e basta. Don’t wear it out. – Concluse canticchiando con un mezzo sorriso.
Syd sollevò un sopracciglio. – E che ci fai qui? –
- Il tuo coinquilino ha deciso di ospitarmi dopo che gli ho fatto notare che vivere in una metropolitana non è granché. – St. Jimmy scrollò le spalle. – Lo posso prendere un libro? –
Lei non sapeva cosa fare. Aveva una sconosciuta seminuda in camera che le stava chiedendo se poteva prestarle un libro, cazzo. – Ehm... ok. Però quello è il mio letto. –
L’altra alzò gli occhi al cielo. – Ovvio. – Detto questo si avvicinò e tirò fuori Il ritratto di Dorian Gray. – Ah, sottolineo. – disse.
Syd la guardò senza capire.
- I libri. Di solito sottolineo le frasi. Posso farlo? –
- No. –
- Ok. – La ragazza scrollò le spalle e indicò una valigia appoggiata sul pavimento con un cenno. – Se vuoi prendere qualcosa tu fai pure. Io te lo ridò facciamo domani sera, va bene? –
Lei non rispose neanche. Era tutto troppo assurdo. St. Jimmy uscì dalla stanza e lei rimase sola con la valigia e un bel po’ di sconvolgimento. Alla fine l’unica cosa che riuscì a fare fu chinarsi sulla valigia e aprirla.
Si stupì. Era completamente piena di libri. Libri di ogni genere. Ne tirò fuori un paio e si rese conto che uno era per bambini. L’altro, invece, aveva in copertina una foto di Kurt Cobain e si chiamava Diari. Era consumato, sporco e ridotto malissimo. Lo aprì alla prima pagina e trovò una scritta fatta a penna verde.
Because, you know, heroes aren’t meant to survive.
Girò pagina, e trovò solo poche parole stampate.
Non leggere il mio diario quando non ci sono.
Ok, adesso vado a lavorare. Quando ti svegli stamattina, leggi pure il mio diario. Fruga tra le mie cose e scopri come sono fatto.
Sotto, a penna, c’era scritto: Realista.
Girò pagina di nuovo. La prima cosa che c’era lì dentro era una lettera a un certo Dale, scritta da Kurt Cobain. Syd iniziò a leggere. Era un libro strano, su tutta la linea. E la cosa più assurda erano le frasi sottolineate, alcune senza apparente motivo, e spesso con colori diversi. Però sembrava interessante.
Rendendosi conto che quella notte non avrebbe chiuso occhi la ragazza sospirò e si spostò sul letto, accendendo la lampada sul comodino.
Trovò un’altra scritta accanto alla frase: Capisco e apprezzo il valore della religione per gli altri, che diceva: Io capisco, ma apprezzare... non sono abbastanza altruista.
Qualche riga dopo era sottolineata la frase: Uso frammenti del carattere degli altri per costruire il mio, e accanto c’era una lettera L scritta a penna. Syd si chiese cosa potesse voler dire, ma dopo poco si arrese rendendosi conto che non aveva modo di scoprirlo. Però era difficile non farsi domande, quando praticamente in ogni pagina c’erano frasi sottolineate e scritte.
Mi piace giocare male le mie carte.
Mi manca la sincerità. Queste non sono opinioni. Queste non sono parole di saggezza, questa è solo una denuncia.
Mi piace lamentarmi e non fare nulla per migliorare le cose. – con scritto accanto: Che tanto è inutile.
E poi, qualche riga dopo…
Mi piace infiltrarmi nell’ingranaggio di un sistema fingendo di farne parte e poi lentamente far marcire tutto l’impero da dentro. con scritto accanto: The needle in the vein of the establishment.
Syd deglutì. “St. Jimmy. Ora capisco.”
-
- Ehi, Syd. –
La ragazza batté le palpebre, sbadigliando, e tirò su la testa. Si rese conto di aver dormito con la faccia sul libro aperto, esattamente su una pagina con una frase sottolineata, Sono sordo di spirito, con accanto scritto: E io?
Guardò la ragazza accanto al suo letto e le ci volle un po’ per riconoscere St. Jimmy. – Che c’è? –
- Sono le sette e mezza. E Jesus mi ha detto di andarti a chiamare. –
- Jesus? –
- Il tuo coinquilino. –
- Si chiama Andrea, no? –
- Credo che abbia rivalutato l’importanza dei nomi. Insomma, tu non ti chiami “davvero” Syd e io non mi chiamo “davvero” St. Jimmy o Kurt, no? –
- No, però perché proprio Jesus? –
- Perché lui ha deciso che di aspettare Dio non ha più voglia e che ogni tanto i miracoli bisogna farseli da soli, almeno credo. Hai mai sentito parlare di Jesus of Suburbia? –
Ah. Quel Jesus. – E tu... perché St. Jimmy? –
- E’ una storia lunga e io ho fame. – rispose lei, poi uscì dalla stanza.
Syd rimase immobile per qualche secondo. Ovviamente era una cazzata, ma perché non avrebbe dovuto volerle dire il perché di un nome?
In effetti, pensò, neanche lei amava spiegare alla gente perché avesse scelto proprio Syd. Così si alzò e, senza neanche cambiarsi, si infilò in cucina.
C’era un forte odore di caffè e Andrea – o forse avrebbe dovuto chiamarlo Jesus of Suburbia ne stava bevendo una tazza seduto a tavola. St. Jimmy era appoggiata al fornello spento con in mano un pacco di biscotti e con addosso una maglietta di Master of Puppets. Syd aveva lo stomaco chiuso, perciò optò per il caffè. – Ti piacciono i Metallica? – domandò, accendendo la macchinetta.
La ragazza scrollò le spalle. – In realtà non li adoro, però questa immagine è epica. – Alla sua occhiata sbuffò. – Senti, non sono il tipo da mettermi una maglietta con la faccia dei miei idoli. Mi metto le magliette se mi piacciono, punto. –
Jesus ingoiò l’ultimo sorso di caffè. – Vedo che vi siete conosciute. – fece, sbadigliando.
- Beh, quando sono tornata lei era in camera mia, quindi è stato un po’ difficile non notarla. – ribatté Syd bevendo un sorso di caffè.
Jesus lanciò un’occhiataccia a St. Jimmy. – Perché eri in camera sua? –
- Stavo cercando qualcosa da leggere. – ribatté lei.
- Senti, il fatto che ti abbia fatta venire qui non significa che tu possa frugare tra la roba degli altri come ti pare. –
- Mica stavo rubando, coglione. – sbuffò la ragazza. – Piantala di fare queste scene. –
- Magari dovresti solo sceglierti meglio le puttane. – osservò Syd.
- Vedi? Lei ha capito tutto della vita. Sei tu che sei un idiota. – rispose St. Jimmy.
Lui alzò gli occhi al cielo. – Ti faccio notare che sei mia ospite. –
- E io ti faccio notare che ti ho già avvertito una volta che non so quanto questa possa rivelarsi una buona cosa per voi. – ribatté la ragazza.
- In che senso ospite? – domandò Syd. Quindi quella ragazza non era semplicemente qualcuno che Jesus si era portato a letto?
- Nel senso che viveva in una metropolitana. – rispose lui. – E che se non è un problema vorrebbe restare a vivere qui per un po’. –
- Vivere qui? Non ce l’abbiamo un’altra stanza. –
- Però avete un ottimo divano. – osservò St. Jimmy. – Sul serio, ci si dorme bene. –
- Non puoi dormire su un divano per sempre. –
- Meglio un divano che un pavimento. – La ragazza scrollò le spalle e chiuse il pacco di biscotti. – Se per te va bene che resto. Se non ti va bene sono perfettamente d’accordo con te. –
Syd la osservò. Era strana, questo era sicuro, ma l’aveva già capito da un po’. Eppure quei commenti le sembravano ancora più assurdi.
Alla fine, però, St. Jimmy le piaceva. Non sapeva esattamente perché, ma le piaceva.
Così disse: - Per me è ok se resti. –
-
Quel giorno all’Università fu qualcosa che Jesus riuscì a definire solo come “una rottura di palle”. Le lezioni non furono granché e fuori diluviava. All’ora di pranzo incontrò Syd, che stava masticando un panino sotto una tettoia, gli occhi fissi sul traffico che c’era fuori. Di St. Jimmy non c’era traccia.
- Ehi. – fece, sedendosi accanto a lei.
- Ehi. – rispose la ragazza, senza guardarlo. Aveva la fronte corrugata e le labbra tese.
- Tutto ok? –
- E’ solo che... – Fece una smorfia. – Nulla. –
Jesus pensò di insistere, ma dopotutto non poteva neanche dire di conoscerla, quella ragazza, quindi cosa avrebbe potuto dire? Decise di lasciar perdere. – Hai lezione oggi pomeriggio? –
- Sì, purtroppo sì. Cazzo, avrei voglia di prendere una macchina e scappare da questo posto. – sbuffò lei.
- Se volete ho la macchina. – osservò una voce dietro di loro.
Fecero entrambi un salto e videro St. Jimmy ridacchiare.
- La macchina? Tu? – domandò Jesus. – Non hai neanche un cazzo di posto dove stare e hai la macchina? –
- Sì, beh, l’ho appena presa in prestito a quel coglione che stava accanto a me in aula. – La ragazza sollevò un mazzo di chiavi. – Che dite, facciamo un giretto? –
-
- Abbiamo rubato una macchina. – ripeté Jesus per l’ennesima volta. – Abbiamo appena rubato una macchina. –
- E due bottiglie di tequila. – osservò Syd.
- Prese in prestito senza chiedere. – li corresse St. Jimmy. – Almeno per quanto riguarda la macchina. Le bottiglie... beh, ridarle vuote sarebbe un po’ inutile immagino. – aggiunse, dopo qualche secondo. Stava guidando da quasi mezz’ora. Avevano imboccato la superstrada e adesso viaggiavano con i finestrini chiusi e la musica a palla. Syd non aveva idea di dove stessero andando, ma per qualche motivo le andava più che bene essersi lasciata alle spalle la città per un po’. Se ne stava lì, seduta sul sedile del passeggero, in silenzio, fissando la strada che si srotolava davanti a loro.
All’improvviso St. Jimmy sbuffò e spense la radio su una canzone dei Nirvana.
- Pensavo ti piacessero. – osservò Syd.
- Non è un momento da Nirvana. – ribatté lei. – Questo è un momento da quella canzone. –
- Quella canzone? – domandò Jesus dal sedile del passeggero.
- Sì, la canzone. – St. Jimmy sorrise. – Ehi, Syd, dovrei avere l’MP3 in tasca. Attaccalo alla radio e seleziona la numero 56. –
La ragazza eseguì, attaccando l’MP3 alla radio con un cavo che trovò nella tasca e accendendolo. Dopo pochi secondi una voce iniziò a gridare a tutto volume nella macchina.
 
I got my first real six string,
bought it at the five and dime,
played it ‘til my fingers bled;
was the summer of ’69.
 
- Bryan Adams? – domandò Jesus, con una smorfia.
- Bryan Adams, già. – rispose St. Jimmy. – E, caro, questa è la canzone più bella del mondo. –
- Così stai esagerando. – sbuffò lui. – La canzone più bella del mondo non potrà mai essere di Bryan Adams. –
- E allora qual è? –
Silenzio.
- Vedi, io sono una delle poche persone al mondo che sanno benissimo qual è la loro canzone preferita e perché. –
- E perché sarebbe... – iniziò Syd, ma lei aveva già iniziato a cantare insieme alla radio.
 
...I should know we’d never get far...
But when I look back now
that summer seemed to last forever
and if I had a choice,
ya – I’d always wanna be there:
those were the best days of my life.
 
St. Jimmy alzò il volume e poi si mise a gridare per coprire il rumore. – E’ solo che è una canzone multiuso! – urlò, prima di ricominciare a cantare.
 
Standin’ on your mama’s porch
you told me that you’d wait forever;
oh, and when you held my hand
I knew that it was now or never;
those were the best days of my life
back in the summer of ’69.
 
Syd forse iniziava a capire. Nostalgia. Rimpianto. Rimorsi. Decisione. Felicità. Tristezza. Tutto incastrato in quelle poche strofe. Una canzone multiuso.
 
Man, we were killin’ time,
we were young and restless,
we needed to unwind.
I guess nothin’ can last forever – forever, no...
 
- Quando non sai cosa si adatta a quello che hai in testa, ascolta questa. – spiegò St. Jimmy, confermando i suoi pensieri. – Sicuramente si adatta a tutto, no? –
Syd osservò Jesus che annuiva con aria assorta.
 
And now the times are changin’;
look at everything that’s come and gone...
Sometimes, when I play that old six string,
I think about ya ‘n wonder what went wrong...
 
St. Jimmy spense di colpo la radio. – Vedi? Si incastra sempre a pennello in qualche modo. Perché noi stiamo soltanto ammazzando il tempo e non sappiamo che cazzo ci facciamo qui, perché non è che possiamo scappare per sempre e forse non sappiamo neanche da cosa e perché stiamo scappando, ma non ci importa perché siamo giovani o forse perché siamo stanchi. E magari quando saremo vecchi, se mai saremo vecchi, ci guarderemo indietro e penseremo quanto siamo stati stupidi o intelligenti a correre via da quella schifosa città morta anche solo per un pomeriggio. E ci chiederemo perché ci siamo tornati. Perché ci torneremo, credetemi. Anche se sappiamo che prima o poi quel posto ammazzerà anche noi. –
La ragazza frenò, parcheggiando in un’area di sosta, ma Syd era troppo sconvolta per accorgersene. – Ripeti quello che hai detto. – disse.
- E’ una cosa un po’ lunga. – rispose St. Jimmy.
- La parte della città. – disse Jesus. – Tu... –
- ...tu sei un genio. – concluse Syd.
- Nah. Sono solo realista. – ribatté la ragazza, stappando una bottiglia e prendendo un sorso. – Non lasciatevi trascinare, sul serio. E’ bello illudersi. Ve l’ho detto che riesco sempre a combinare casini. –
Sembrava sincera, ma l’altra era già partita in quarta. – Come fai a parlarne come se fosse ovvio? Non è così ovvio. –
- Mi piace pensare. – ribatté St. Jimmy. – Tutto qui. Insomma, se avete detto che sono un genio vuol dire semplicemente che ho detto a parole qualcosa che non riuscivate a dire, vero? – Porse la bottiglia a Syd.
- Come fai a saperlo? – chiese Jesus.
Lei fece un mezzo sorriso. – Perché succede di continuo. La gente ha paura di pensare. Ha paura di ammettere le cose con se stessa. Ovvio che ne abbia, insomma, pensate che noi ci viviamo, in quella città. Non credo che sarà bello per voi tornarci ora che l’ho messo in chiaro. Prima potevate sempre fare finta. –
- Io lo sapevo che era una facciata. – ribatté Syd. – Quando... Sì, insomma, c’è un motivo per cui torno sempre a quell’ora. C’è un parcheggio di un supermercato abbandonato non tanto lontano dal nostro appartamento, no? E quel posto è... è la cosa più vera che io sia riuscita a trovare in città. – Bevve un sorso di tequila. Non era così male. Ne buttò giù un altro. – Tipo che sono venuta qui perché stavo scappando dall’abitudine. Non mi piace abituarmi alle cose, perché poi inizi a vederle in modo... non so, superficiale. E... – Bevve un altro sorso, poi passò la bottiglia a Jesus. – ...e invece tutto quello che ho trovato qui è stato... l’elevamento a potenza della superficialità, però qui non è in me, è nelle cose in generale. Perché tutti i negozi del mondo sono come quel supermercato, vuoti perché sono pieni di cose che non servono a un cazzo tranne che a spendere i soldi che guadagniamo facendo questa vita. E l’Università è solo un modo per riuscire a incastrarsi nella società che fa schifo ma non si sa vivere senza. E questo è un discorso anarchico del cazzo, probabilmente. Ma in effetti forse è solo che non c’è nessun modo per evitare la superficialità. –
- Secondo me è che tutto è un po’ fatto perché... perché si deve. – disse Jesus dopo qualche secondo, appoggiandosi ai sedili anteriori.
- Sogni preimpostati. – tradusse St. Jimmy.
- Sì, qualcosa del genere. Che devi per forza avere cose come... Non so, quando avevo quindici anni non avevo la ragazza e la cosa che volevo di più al mondo era avere una ragazza perché tutti avevano una ragazza e io no. Anche se in realtà non era la ragazza, l’importante, era essere felice, e io avevo trasformato qualcosa che avrebbe potuto forse rendermi felice nella mia ideale felicità. Ed è un po’... un po’ brutto, no? –
- Mh... non ci avevo mai pensato. Però... già. – rispose la ragazza, attorcigliandosi una ciocca colorata attorno al dito. – E’ solo che è tutta una enorme merda e noi ci siamo dentro, immagino. Non è che sono disfattista. Io non è che ci stia così male, qui dentro. Dopotutto mi piacciono le situazioni senza via d’uscita, soprattutto perché di solito ce l’hanno una via d’uscita. –
- E quale sarebbe la via d’uscita da questa situazione? – domandò Jesus.
- Immagino che sia morire. – ribatté Syd. – No? – aggiunse, rivolta a St. Jimmy.
- Già. Perché no? Non ho mai detto di essere coraggiosa. – Scrollò le spalle. – Comunque adesso non ho ancora voglia di... diciamo, uscire. Capite cosa intendo? Anche se non so perché, in realtà. Forse è solo che ho ancora voglia di vedere come andrà a finire questo casino. – Afferrò la bottiglia dalla mano di Jesus e la vuotò, aprendone un’altra. – E voi? Perché non siete ancora usciti? –
- Secondo me perché alla fin fine è meno peggio di quello che sembra. Si può rendere meno peggio. – rispose Syd.
- Io sinceramente perché... non ci avevo mai pensato. – disse Jesus.
St. Jimmy alzò gli occhi al cielo, ma senza sorridere. C’era un che di amaro nella sua espressione. Syd la guardò, e lei guardò Syd.
- Che c’è? – domandò il ragazzo.
- Nulla. – rispose tranquillamente St. Jimmy. – E’ solo che... va sempre a finire così. – Si allacciò la cintura e rimise in moto. – Torniamo alla nostra città morta? O qualcuno ha voglia di morire qui? –
A quanto pareva nessuno voleva morire lì, perciò la ragazza partì.
Quando arrivarono a casa Syd si buttò sul letto e pensò che c’era decisamente qualcosa che non andava in St. Jimmy, ma lei le piaceva sempre di più. Oppure era proprio quello che non andava in lei a piacerle. E parecchio.


Ehilà :) Approfitto di una cosa che devo dirvi in questo capitolo anche per presentarmi. Mi chiamo Whatsherface e beh... so che quando arriverete a un certo punto della storia penserete a questo capitolo e direte: "Oddio, come ho fatto a non pensarci?" Tutto quiXD (perché io sono cattiva e chi ha letto Blue lo sa benissimo muahahahahahahah) E volevo ringraziare OldWhatsername24 per aver recensito il primo capitolo e dirvi che se la storia non mi fa schifo a me non fanno schifo le recensioni ;) Insomma mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate.
Fatevi sentire :)
Au revoir
Whatsherface detta St. Jimmy detta Kurt. 
...sì, gente, quella sono io. 
Scappate finché siete in tempo XD

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Capitolo 4
*** Jesus of Suburbia - 3. I don't care ***


JESUS OF SUBURBIA
I DON’T CARE
(Stessa città,
il giorno successivo)
Quando quella mattina Jesus si svegliò, pensò che non aveva nessuna voglia di alzarsi.
E non si alzò. Almeno non subito. Syd dovette andare a chiamarlo prima che si decidesse a uscire dal letto e vestirsi.
E tutto per un solo motivo.
La gente ha paura di pensare. Ha paura di ammettere le cose con se stessa. Ovvio che ne abbia, insomma, pensate che noi ci viviamo, in quella città. Non credo che sarà bello per voi tornarci ora che l’ho messo in chiaro. Prima potevate sempre fare finta.
Già.
Aveva passato una buona metà della notte a riflettere sulle parole di St. Jimmy. Quelle, e altre. Tutte quelle che le aveva sentito pronunciare da quando l’aveva incontrata. Ed era arrivato alla conclusione che in due giorni le aveva sentito dire più cose di quelle che avesse mai sentito in una vita intera, piena di parole senza significati, di voci che avevano paura di sputtanare la verità.
Eppure St. Jimmy non aveva paura della verità. Della sua, di verità, quanto meno.
E lui?
Pensò all’Università. Ai sacrifici che i suoi genitori avevano fatto per riuscire a mandarcelo. Al modo in cui aveva vissuto fino a quel momento.
E adesso iniziava a chiedersi quanto tutto quello avesse avuto senso. Davvero era andato lì perché gli interessava? Cosa gli sarebbe piaciuto fare, in realtà?
Beh, lo sapeva. Suonare, ecco cosa gli piaceva fare, cosa gli era sempre piaciuto fare.
Ma un uomo che viveva per strada e suonava in giro come capitava non era abbastanza per gli altri. Non sarebbe mai stato abbastanza per i suoi genitori se non fosse diventato quello che loro speravano che diventasse.
Perché quell’assurdo sogno americano era così: dai ai tuoi figli un futuro migliore.
“Avete mai pensato di dargli quello che desiderano, invece?” pensò. E, per una volta, lo fece senza paura. Perché prima l’idea di pensare male di qualcuno che l’aveva messo al mondo gli era sembrata orribile. Ma ora il mondo era ipocrita, quella città era morta e lui dentro era fin troppo vivo.
“Sei Gesù, no? Bastati. Che ti importa di loro?”
-
Quella giornata fu un inferno. Perché niente di quello che stava facendo aveva senso o l’aveva mai avuto, perché gli veniva da vomitare dallo schifo, perché era tutto assurdo. Perché, per la prima volta in vita sua, non gli importava più di andare bene, ma solo di andarsi bene.
E allora perché era così orribile? Perché si sentiva in colpa?
“Vaffanculo a tutti, porco Dio, vaffanculo!”
Afferrò la chitarra, quasi strappandola dalla custodia, e pensò a cosa suonare, ma non gli venne in mente niente. Non andava bene niente, niente, in nessun senso.
Gli venne voglia di urlare. Diede un pugno alla testiera del letto e in quel momento la porta si aprì.
Sulla soglia comparve Syd. – Tutto... bene? – domandò lei.
“No, cazzo, no, non va bene per niente, non capisco, non capisco, fammi smettere di pensare.”
- No. – disse, semplicemente. Deglutì. Non sapeva spiegarsi, o forse semplicemente non voleva farlo. Però aveva bisogno di fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
E Syd probabilmente se ne accorse. – Mi suoni qualcosa? – domandò.
Lui fece una smorfia. Non aveva idea di cosa suonare. – Tipo? – chiese.
La ragazza scrollò le spalle. – Quello che ti pare. –
- Non mi pare niente. Ho la testa vuota. –
Syd si morse il labbro. – Allora... suonami Cigarettes and Valentines dei Green Day. Se la conosci. –
Se la conosceva? Certo che la conosceva. E, in effetti, sembrava abbastanza adatta a quel momento. Strana, ripetitiva, non sempre sensata. Sì, in effetti andava bene.
Diede i primi accordi e iniziò a cantare quasi subito.
 
I don’t wanna go back home,
I don’t wanna kiss goodnight;
let us paralyze this moment ‘til it dies...
 
Già. Non voleva tornare a casa, adesso. Non voleva essere consolato. Non voleva altre bugie sul “poi andrà tutto bene”. Voleva solo... stare bene. Con se stesso. Tutto qui. Ma...
 
To the end of the Earth
under the Valley of the Stars
there’s a car crashing deep inside my heart.
 
Gli si troncò la voce. Insensata? Come aveva fatto a pensare che quella canzone fosse insensata? Aveva fin troppo senso, ora come ora.
“Magari è solo che è tutto troppo relativo.” pensò.
- Perché ti sei fermato? – chiese Syd.
Lui si riscosse. Non se n’era neanche accorto. Prese un respiro, ma quando ricominciò a suonare gli uscì un’altra canzone.
 
Everyone’s so full of shit!
Born and raised by hypocrites!
Hearts recycled but never saved
from the cradle to the grave...
 
- E’ che è vero. Sono tutti ipocriti e neanche se ne rendono conto. E’ questo il problema, Syd. – mormorò.
La ragazza si morse di nuovo il labbro. – Non credo che dovresti... –
- Cosa? Che non dovrei prendere tutto questo sul serio? E come faccio a non prenderlo sul serio? –
- Non hai capito. Dico solo che non devi essere così... disfattista. Tu ti stai deprimendo. E cosa ottieni a deprimerti? –
- Mi sembra di raccontarmi bugie e basta se... ignoro tutto questo. – gli uscì. – Lei non lo ignora. –
- Lei è strana, Jesus, ok? Non so se sono ancora riuscita a capirla, ma è strana, questo lo so. Ed evidentemente per lei questa consapevolezza non è un problema. Ma in effetti forse devi solo vivere. Non ti concentrare troppo su questo. Finché ti piace quello che fai, fallo, altrimenti smetti. Ma non mollare tutto solo perché è ipocrita. Qualcosa può essere bello pur essendo ipocrita. Perché no? –
Jesus la guardò e gli venne quasi da ridere. – Sai, me l’aveva detto. – mormorò.
- Cosa? – chiese Syd.
- Sembra che a quelli come te porti male avere attorno quelli come me. – disse lui. – Mi farà andare fuori di testa, vero? – domandò, quasi rassegnato.
- Non devi mica tenerla qui per forza. –
- Ma non voglio che vada via. Cioè, cazzo, mi sentirei in colpa. – Sbuffò.
- Beh, se ci tieni alla tua sanità mentale, tienila qui solo finché non ti verrà voglia di portartela a letto, perché se succederà vorrà dire che sei partito di testa quanto lei. – scherzò la ragazza.
Jesus sollevò un sopracciglio. – Non è che sei gelosa? – domandò, con un mezzo sorriso.
- Gelosa di qualcuno che neanche conosco? – ribatté lei, quasi con sfida.
Lui sbuffò di nuovo, alzando gli occhi al cielo. – Donne. – borbottò.
- Donne. – concordò Syd.
E in quel momento fu chiaro a entrambi che quel pomeriggio avrebbero scopato. Tanto.

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Capitolo 5
*** Jesus of Suburbia - 4. Dearly Beloved ***


JESUS OF SUBURBIA
DEARLY BELOVED
(Stessa città,
la sera dello stesso giorno)
 
Quando Jesus si svegliò, Syd stava ancora dormendo. Il ragazzo si alzò sbadigliando e si guardò intorno alla ricerca dei suoi vestiti. Si infilò quello che riuscì a trovare, ma la maglietta sembrava misteriosamente scomparsa, così si chiuse direttamente la felpa sul torace nudo. Quel gesto gli ricordò, chissà per quale motivo, la prima volta che aveva incontrato St. Jimmy.
Già, St. Jimmy. Per un pomeriggio intero era riuscito a non pensare a lei. Solo che non sapeva se fosse una buona cosa o no. Cioè, quella ragazza l’aveva mandato in crisi, ma Jesus sapeva che aveva ragione su tutta la linea.
Entrò in cucina e la vide seduta al tavolo davanti a un libro aperto e a un cappuccino. Gli sembrò strano vederle bere qualcosa di analcolico, in realtà. Lei sembrava tanto una da ubriacarsi dalla mattina alla sera. Eppure, in effetti, l’aveva vista bere solo una volta.
“Chi cazzo sei tu, St. Jimmy?”
- Ehilà. – fece la ragazza. – Bella la scopata? –
Alzò gli occhi al cielo e si sedette. – Che fai? –
- Studio. Sai, ogni tanto capita. – Sbadigliò e mise giù la tazza. – Mi piaceva di più quando la caffeina mi dava alla testa così tanto che poi mi veniva da vomitare. –
- Non è granché. –
- E’ meglio di quello che sembra. – ribatté, scrollando le spalle. – Anche tu fai l’esame dopodomani? –
- Già. Però dai, sembra semplice. –
- Mh. – commentò la ragazza. Jesus non capì cosa volesse dire, ma non fece in tempo a chiederglielo perché lei continuò: - Sai, quando ero più piccola sapevo con una certezza incredibile che o sarei morta entro i trent’anni o sarei diventata una fisica delle particelle e un’astrofisica. Ora inizio a convincermi che le due cose potrebbero tranquillamente accadere contemporaneamente e non mi dispiacerebbe poi così tanto. –
- Non è così ovvio morire entro i trent’anni. – osservò lui.
- Dipende tutto da quando esaurisci i motivi di divertimento. – fece lei, poi si rimise a leggere.
Jesus la guardò. Quella era St. Jimmy. Risposte scontate e poche spiegazioni, e le spiegazioni che c’erano erano troppo per lui e contemporaneamente non gli bastavano.
Come fai a vivere così? avrebbe voluto chiederle. A vivere senza la sicurezza, a vivere senza evitare di pensare, di concentrarsi sulle cose. Perché era così che andava, in fondo. Le cose si sfioravano appena, di solito, se ne sentiva appena il sapore. Della vita si sentiva appena il sapore.
E non sapeva se gli bastava, o meglio, non più. Non essere disfattista era raccontarsi bugie, era quello il punto.
- Come si fa a non impazzire? – gli uscì.
La ragazza sorrise appena senza alzare lo sguardo. – Non si può. –
- Tu lo fai, però. –
St. Jimmy sospirò. – Io sono pazza, Jesus. Sinceramente, pensavo te ne fossi accorto. –
- Non lo sembri. –
Un altro sorriso. – Un sacco di cose non sono come sembrano. Ma credimi, non dovrebbero essere quelle a preoccuparti. –
- E allora quali dovrebbero essere? –
- Quelle che sono esattamente come sembrano. Sul serio, quelle sono le uniche cose che dovrebbero fare paura. –
- C’è qualcosa che dici che abbia senso? – sbottò il ragazzo. Gli sembrava sempre di più che lei lo stesso prendendo in giro.
- Tutto quello che dico ha senso e non lo ha, a seconda di come lo vedi. Ma questo vale per tutto e probabilmente lo sai già anche tu. – Sbadigliò di nuovo e vuotò la tazza, poi si alzò e la buttò nel lavandino. – Direi che per oggi basta studiare. Tanto fra poco devo andare a lavoro. –
Detto questo uscì dalla cucina e lui si ritrovò a fissare l’uscio senza sapere cosa fare. Giri di parole, ecco tutto quello che si otteneva a parlare con quella ragazza. E lui sicuramente non aveva voglia di perdere tempo o di farsi rovinare la vita da lei.
Cinque minuti dopo era ad aspettare sulla porta di ingresso che lei uscisse per andare a “lavoro”.
Quando lo vide St. Jimmy fece una smorfia. – Non promette per niente bene. –
- Magari è una di quelle cose che non sono come sembrano. – osservò lui, serafico.
- Senti, io non ti piaccio e lo sappiamo entrambi. Ogni volta che apro bocca ti incazzi. Quindi non vedo cosa... –
- Non è vero. – la interruppe. – Quando apri bocca e ti spieghi non mi incazzo. –
- Sì, ma poi stai di merda. E io non ho più voglia di... – Si bloccò. – Ma tanto non sono fatti miei. – aggiunse, dopo un po’. Però aveva lo sguardo cupo.
- Non hai più voglia di cosa? – domandò Jesus, senza capire.
- Lascia perdere. Se vuoi venire, vieni. Se avrò voglia di parlare, parlerò. Tu spera solo che non ne abbia voglia. –
- Stai ricominciando a dire cose alla cazzo o sbaglio? – ribatté il ragazzo.
- Dio, quanto sei stupido. – borbottò lei, poi lo superò e uscì di casa.
Jesus la seguì sul pianerottolo. – Ma che problemi hai? – Iniziava ad arrabbiarsi. Perché doveva parlare in quel modo?
St. Jimmy non rispose e iniziò a scendere le scale.
- Spiegami, cazzo! Che cosa ci sarà di difficile? – le urlò dietro lui.
La ragazza si girò e gli lanciò un’occhiata di fuoco. – Lasciami in pace. – disse, semplicemente, poi sparì fuori dal portone.
Jesus rimase immobile sul pianerottolo, senza sapere cosa fare. Quello scatto l’aveva lasciato di sasso. St. Jimmy per lui era sempre stata una stronza geniale e irriverente. Ma ora? Che senso aveva il modo in cui si era comportata?
Nessuno, decise. Era stata solo una scenata tanto per farla.
-
Era stata solo una scenata tanto per farla.
Sì, probabilmente lo era stata.
St. Jimmy lanciò un’occhiata fuori dal finestrino dell’autobus. Pioveva, e le parole che aveva scritto poco prima sulla condensa del vetro stavano già scomparendo.
We are the last call and we’re so pathetic...
“Le cose che dovrebbero fare paura sono quelle che sono esattamente come sembrano. Sul serio.” pensò, e prese un respiro. Aveva passato già da un po’ la sua fermata, ma non le importava. Quale altro posto c’era per passare una notte come questa se non un autobus semivuoto diretto chissà dove?
Ricordò che, quando aveva circa tredici anni, un giorno al supermercato aveva trovato una maglietta dei Sex Pistols con disegnato sopra un treno, e sul treno c’era scritto: Direction Nowhere, o qualcosa del genere, comunque. E in quel momento a lei sembrava proprio di stare andando da nessuna parte, o meglio, le sembrava ancora più del solito.
Chiuse gli occhi. Perché aveva fatto quella scenata a Jesus? Che senso aveva avuto? Non aveva fatto altro che peggiorare le cose. Se avesse voluto tenerselo lontano le sarebbe bastato fingere di essere normale. Eppure non l’aveva fatto. Gli aveva schiaffato in faccia tutto e poi si era ritrovata a gridargli contro sentendosi assolutamente vuota, senza sapere perché lo stesse facendo.
“Ma non c’era neanche un motivo per smettere.”
Forse, in realtà, non voleva tenere lontano Jesus. Voleva disperatamente che lui capisse, eppure continuava a piacerle l’idea di avere qualcosa per sé, qualcosa che nessuno riuscisse davvero a capire a parte lei. Le piaceva illudersi di essere speciale, di avere qualcosa in più. Le era sempre piaciuto e l’aveva sempre saputo, e aveva sempre saputo anche che tutto quello era stupido. Aveva anche sempre saputo, però, che evitare le cose stupide era assolutamente impossibile. E aveva sempre saputo, anche, che quella consapevolezza era un modo di giustificarsi, ma che giustificarsi era normale, e che quella era una giustificazione a sua volta, ma che in fondo non importava, perché...
Cazzo, con che coraggio Jesus aveva detto che lei non era pazza?
Pensi troppo, aveva detto una volta lei. E St. Jimmy aveva risposto che era verissimo, ma che le andava bene così. Solo che, ogni tanto, pensare troppo era stancante, e faceva male. E allora veniva voglia di parlare con qualcuno, ma con chi? Con chi, se neanche lei era riuscita ad ascoltare tutti i suoi discorsi?
La ragazza chiuse gli occhi e appoggiò la testa al finestrino. “Forse mi serve solo qualcuno che sia capace di non farsi male.”
-
- Tu che ne pensi di lei, Syd? –
La ragazza alzò la testa dal libro che stava leggendo. Pensava che il suo coinquilino fosse già uscito, a dire il vero. – Di lei? – ripeté.
- Di St. Jimmy. Cioè, è assurda, e spara cazzate dalla mattina alla sera, ed è una stronza, però... mi sento sempre come se lo stupido fossi io perché non capisco. – disse lui, appoggiandosi allo stipite. – A te non capita mai? –
Syd ripensò a quando aveva letto il diario di Kurt Cobain e tutto quello che St. Jimmy ci aveva infilato dentro. Ma non fece in tempo a decidere cosa dire che Jesus ricominciò a parlare: - Sembra sempre così... così convinta di se stessa, come se volesse sempre farti sentire inferiore, e non si rende conto che è solo un’idiota e che le piace rovinarsi la vita tenendosi lontana da chiunque. – Adesso sembrava quasi arrabbiato.
Per qualche motivo alla ragazza venne da pensare che era quasi divertente il modo in cui le persone frustrate riuscissero a odiare chiunque. – Secondo me no, invece. Secondo me sa benissimo quello che fa e lo fa comunque. E’ troppo intelligente per non accorgersene. –
- E allora perché continua a farlo? – sbottò Jesus, alzando gli occhi al cielo.
- Magari perché non ha nessun motivo per smettere. Altrimenti perché? – fece lei. – Comunque, senti, non credo che dovresti... farti così tanti problemi. Se vorrà spiegarsi si spiegherà, no? –
Il ragazzo fece una smorfia. – Non ha senso. – borbottò, e uscì.
Syd appoggiò il libro sul tavolino del salotto e pensò che invece di senso ne aveva eccome. E che anche a lei sarebbe piaciuto capire St. Jimmy, ma che Jesus non ci sarebbe riuscito se continuava a essere convinto che le cose dovessero avere un senso.
Sospirò e si alzò, avvicinandosi al divano. St. Jimmy aveva riempito dei suoi libri la libreria del sotto, e adesso erano tutti lì, sporchi e mezzi sfasciati. Appoggiato allo scaffale trovò anche Il ritratto di Dorian Gray. Si era quasi dimenticata di averglielo prestato. Lo prese e lo aprì.
E si bloccò.
Lo sfogliò. E si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo. Praticamente in ogni pagina la ragazza aveva sottolineato qualcosa. E meno male che le aveva detto di non farlo.
Beh, ormai non c’era molto da fare. Lo riappoggiò allo scaffale e ricominciò a guardare i libri. All’improvviso ne notò uno piuttosto piccolo, con la costoletta viola e bianca. Lo tirò fuori e riconobbe il libro per bambini che aveva visto la prima volta. Lo guardò meglio. Era uno di quelli messi peggio, con la copertina piegata e scolorita che rappresentava una strega china su un calderone, e il titolo era: Strega come me.
Lo aprì. Neanche a dirlo, anche quello era tutto sottolineato. Ma cosa ci poteva essere da sottolineare in un libro per bambini?
Iniziò a leggere.
-
La città di notte sapeva semplicemente di buio. Buio freddo, che si insinuava ovunque, anche sotto la luce dei lampioni. Il buio non si poteva fermare. Stava sempre lì, nascosto, in agguato, forse in attesa. Di cosa Jesus non lo sapeva, ma non era quella la domanda che si stava facendo adesso.
Era uscito da lavoro, ma non era tornato a casa. Era rimasto lì a gironzolare senza meta, e a pensare. Già, stava pensando troppo. Stava pensando alle parole di St. Jimmy, al fatto che probabilmente ce l’avevano eccome un senso, solo che lui non aveva mai voluto vederlo.
Ma adesso lo stava facendo. Adesso tutti i pensieri di quel giorno erano tornati ed esigevano conseguenze, perché se St. Jimmy aveva ragione allora restare indifferenti era impossibile.
Pensò a quello che gli aveva detto Syd. Di calmarsi, di non lasciarsi travolgere. Di lasciar perdere, in un certo senso.
Ma come era possibile lasciar perdere?
No, non l’avrebbe fatto. Non ne era capace.
Avrebbe trovato St. Jimmy e basta. Le avrebbe parlato. L’avrebbe capita, perché aveva un bisogno assurdo di capirla.
“Scusa, Syd, ma non posso fare quello che mi chiedi di fare. Non ci riesco.” pensò, e si avviò nel buio, con una canzone troppo vera che gli risuonava in testa.
 
Dearly beloved, are you listenin’?
I can’t remember a word that you were saying.
Are we demented or am I disturbed?
The space that’s in between insane and insecure...

Ehi people! Scusate l'assenza, ma anche voi siete un po' freddini... me la lasciate una recensione? (Occhioni a cucciolo)
 

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Capitolo 6
*** Jesus of Suburbia - 5. Tales from another broken home ***


JESUS OF SUBURBIA
TALES FROM ANOTHER BROKEN HOME
(Stessa città,
stessa notte)
 
There is no place like home
when you have no place to go.
 
Fu solo quando anche quella frase comparve sul finestrino dell’autobus che St. Jimmy riuscì a risvegliarsi almeno un po’ dal torpore che la avvolgeva. Batté le palpebre un paio di volte e, senza neanche cercare di capire dove fosse, scese alla fermata successiva.
La notte la accolse come un lago di acqua scura mentre lei si guardava intorno rabbrividendo. Aveva iniziato a piovigginare. La ragazza chiuse gli occhi, ascoltando il gelo dei minuscoli aghi d’acqua che le graffiavano la pelle. Reclinò la testa all’indietro e solo in quel momento sollevò le palpebre, trovandosi faccia a faccia con un cielo coperto di nubi.
Di stelle non c’era traccia. Non che non se l’aspettasse, ma in quel momento si rese conto che quella era la prima volta, da quando era arrivata lì, che guardava il cielo. In realtà non sapeva neanche se si vedessero, le stelle, o se le luci della città, lì, fossero capaci di ucciderle tutte. Non ci aveva mai fatto caso, semplicemente. Eppure, da quanto tempo era lì? Mesi?
“Quand’è esattamente che smetti di guardare il cielo?” si domandò, avviandosi sotto la pioggia. Le sembrava di riconoscere il posto, non doveva essere tanto lontana da casa.
Chissà che ore erano. Non portava orologi da quando aveva iniziato a farsi domande sul tempo. Una volta in un libro aveva trovato una frase: Il tempo serve ma non esiste. Il tempo era solo una creazione umana, quindi? Chissà. Ma la cosa che le sembrava più importante era la percezione del tempo. Tutte le persone percepivano lo stesso tempo pur vivendo di più o di meno? Oppure no? La velocità di quello che si percepiva come “scorrere del tempo” poteva cambiare a seconda di quanto tempo vero e proprio si viveva?
Scacciò quelle domande, sentendosi incredibilmente vuota una volta che l’ebbe fatto. Perché per lei doveva essere sempre così complicato non pensare?
Arrivò a casa con la testa che sembrava volerle scoppiare e gli occhi che si chiudevano. “Casa.” pensò, guardandosi intorno nell’ingresso. Da quando aveva iniziato a chiamare così quel posto? Da quanto quell’appartamento era diventato un luogo in cui tornare?
La pioggia adesso scrosciava fuori dalle finestre, e St. Jimmy rimase imbambolata a fissare le gocce che si schiantavano quasi con furia – oppure con tristezza – sui tetti attorno.
Si riscosse quando sentì l’orologio della cucina battere le tre del mattino e si accorse di stare tremando. Doveva farsi una doccia calda e poi mettersi a letto, tutto qui. Non sembrava difficile.
Camminò fino al bagno, lasciando una scia di impronte con le scarpe sfondate e fradice. Non le importava di stare bagnando per terra. Non le importava di niente. Quella casa era vuota, sapeva di vuoto, e anche lei sapeva di vuoto. Nient’altro.
Si mise sotto la doccia e si lavò più velocemente che poté, poi uscì e si asciugò i capelli. Non aveva idea di dove cercarsi dei vestiti, non aveva neanche la forza di farlo. Alla fine si avvolse nelle coperte sul divano, completamente nuda, e chiuse gli occhi. Solo in quel momento si accorse di qualcosa che le premeva contro una costola, ma decise che non valeva la pena di spostarlo. La stanchezza la travolse e tutto diventò ancora più nero.
-
Il cielo era bellissimo, quella notte.
Cielo vero, vivo, così vicino che le stelle ti sembrava di poterle toccare.
Kurt prese un respiro e guardò lei, mentre lei guardava il mare, e il cielo che si specchiava nel mare e la musica scorreva fuori dal cellulare appoggiato sugli scogli.
 
‘Cause you’re a sky,
‘cause you’re a sky full of stars...
 
- Sai, secondo me lo sei davvero, Kurt. – disse la ragazza. Già, la chiamava sempre Kurt, mai St. Jimmy. Dopotutto, però, era stata lei stessa a darle quel nome.
- Un cielo pieno di stelle? – chiese, senza capire.
- Beh, sì. Sei... una distesa di silenzio e cose troppo profonde e poi ogni tanto spuntano delle luci, delle cose a cui tieni e per cui riesci a non essere così logica o a non pensare troppo. – Si morse il labbro. – Ma la sai una  cosa? Né le luci né il buio sono così belli se li guardi da soli. Però se li metti insieme sono la cosa più bella del mondo. –
Kurt sospirò. – Devi smetterla di dire queste cose. Sono molto peggio di quello che sembra. –
- Io l’ho visto, il tuo peggio, e ti giuro che non è vero. – ribatté lei.
La ragazza, per qualche motivo, sentì gli occhi sentirsi di lacrime. E stava già per svegliarsi, sapeva già cosa sarebbe successo dopo, quando aprì la bocca e riuscì a tirarsi fuori un: - No, tu non l’hai mai visto, il peggio. –
-
Quando si svegliò la luce della mattina filtrava dalle finestre e inondava il salotto. Doveva essere sicuramente più tardi delle sette, anzi, probabilmente erano almeno le nove. E, ovviamente, nessuno si era preso la briga di svegliarla.
Alzando la testa, però, vide Syd seduta a leggere su una poltrona. – Che ore sono? – biascicò.
La ragazza guardò l’orologio che aveva al polso. – Le otto e cinquanta, perché? –
- Non dovresti essere a lezione? –
- L’edificio si è completamente allagato per via del temporale di stanotte. Io l’avevo detto che quel posto fa schifo. – Sbuffò. – Comunque, lezioni sospese per almeno due giorni. Se vuoi puoi tornare a dormire. – La guardò meglio. – Esattamente dove è andato Jesus dopo che avete fatto sesso? – Aggiunse, con una smorfia.
- Dopo che... eh? – domandò. Poi capì. Giusto, i vestiti. Se n’era completamente dimenticata. – Non lo so dov’è. Ma non abbiamo fatto sesso. Non ho i vestiti perché non avevo voglia di cercarli. Se non è in camera sua per quello che ne so non è mai tornato, stanotte. Io sono arrivata verso le tre, ho fatto una doccia e sono andata a letto. Ieri sera non ero neanche capace di tenere gli occhi aperti, figurarsi di scopare. –
Sulla faccia di Syd si dipinse un’espressione preoccupata. – Ma se non è tornato allora che fine ha fatto? –
St. Jimmy scrollò le spalle. – Boh. Magari ha incontrato qualche figa per strada ed è rimasto da lei. Oppure è morto. In entrambi i casi, chiamalo e chiediglielo. – Detto questo si alzò tirandosi addosso la coperta, lo stomaco che brontolava. Solo in quel momento si accorse che il qualcosa di duro che c’era sul divano quando era andata a dormire la sera prima era un libro. Un suo libro.
Non fece commenti. Dopotutto non faceva differenza se Syd leggeva la sua roba o no.
- Ah, bello quel libro. – disse la ragazza, prendendo il telefono.
St. Jimmy scrollò le spalle. – Piace anche a me. – disse, poi si infilò in cucina. Trovò un piatto di passata di verdure avanzata dalla sera prima e la mise in forno a scaldare. Trovò un pezzo di pane secco, lo spezzettò e ce lo infilò dentro, poi arraffò un cucchiaio e tornò sul divano a mangiare.
- Mangi quello per colazione? – chiese Syd. – Ah, comunque lui ha detto che sta bene e torna. –
- Sì, mangio questo per colazione. Trovo la colazione molto discriminatoria nei confronti dei cibi. – rispose St. Jimmy. – Buon per lui. – aggiunse.
Rimasero in silenzio per qualche secondo, poi Syd si alzò e si stiracchiò. – Beh, io vado a fare la spesa. Ti serve qualcosa? –
- Mh... non lo so. La vendono la cioccolata calda fai da te? –
- Credo di sì. Se la trovo la prendo. Altro? –
- Per me no. –
Syd prese la giacca dall’attaccapanni e uscì.
St. Jimmy finì di mangiare, poi aprì la sua valigia alla ricerca di qualcosa da mettersi. Aveva lasciato i vestiti lì, non avendo idea di dove altro infilarli. Alla fine riuscì a trovare un maglione nero scolorito e un paio di leggins grigi. Erano macchiati di tempere in più punti, ma dopotutto non aveva importanza.
Dipingere. Già, avrebbe potuto farlo. Era da un po’ che non le capitava più di trovare una buona idea per un dipinto, però. Decise che ci avrebbe pensato su.
Prese il libro che Syd aveva lasciato sul divano e, prima di metterlo a posto, lo aprì per sfogliarlo. All’improvviso si bloccò.
Circa a metà lei aveva sottolineato una parte.
“Chimera” è il nome di un tipo di mostri, quei mostri favolosi inventati unendo parti di animali diversi. Ma chimera è anche un modo per dire sogni, i sogni più stravaganti e irrealizzabili. Ma “chimere” si nasce o si diventa? E io che tipo di chimera sono? E quali sono le mie parti?
E accanto ci aveva scritto:
“Ma una vita di sogni impossibili...”. Era una citazione, e non aveva finito la frase semplicemente perché non c’entrava tutta. Ma adesso c’era un’altra scritta un po’ sotto, e decisamente non era sua.
Che cos’è una vita di sogni impossibili?
Per qualche motivo le venne da sorridere. Doveva essere stata Syd. E perché non avrebbe dovuto risponderle nello stesso modo?
-
- Che fai? – domandò una voce dietro di lei.
St. Jimmy sollevò lo sguardo dal foglio e incrociò quello di Jesus. – Ah, buongiorno anche a te. – disse. – Comunque, direi che si vede cosa sto facendo. – aggiunse, intingendo per l’ennesima volta il pennello nella tempera.
- Che cosa sarebbe quello, scusa? – chiese il ragazzo, osservando il dipinto.
- Alla fine lo vedi. Che hai fatto stanotte? –
- Ti stavo cercando. –
Silenzio. St. Jimmy lo guardò.
- Sì, beh, ho provato in un bel po’ di locali, ma non eri da nessuna parte. –
- E perché mi cercavi? –
- Perché volevo... parlare con te. –
St. Jimmy rise. – Mi sembra che ieri sera fosse abbastanza chiaro che non volevo parlare con te. –
- Ieri eri incazzata, non so perché. Quindi ho deciso di riprovarci. –
Lei sospirò. – Ok. Di cosa vorresti parlare? –
- Di... di come si fa a non lasciarsi trascinare da tutto questo. Cioè, non odiare questa città. –
- Oh, ma io la odio. Eppure sono qui perché non ho una ragione per andarmene. E’ tutto qui, Jesus. Non è che serva una ragione per restare. Ma se non ne hai neanche una per andartene resti. Capisci cosa intendo? Insomma, avere una ragione per restare sarebbe meglio, ma sinceramente non saprei trovarne una. E tu? –
Jesus si morse il labbro. – Non lo so. – concluse.
- Beh, pensaci. E cerca di non incazzarti. Pensa che... beh, un posto dove andare non ce l’hai. Sarà brutto, ma rimarrai qui. –
- Perché parli come se lo sapessi meglio di me? –
- Perché è così che funziona. Senti, non so che cosa ci fai tu qui, ok? Ma sai come è andata secondo me? Secondo me i tuoi genitori volevano che tu facessi questa scuola, e ti ci hanno mandato, e tu sei qui tutto felice e contento con la tua bella valigia di sogni che ti hanno regalato senza che tu te ne sia costruito neanche uno. E ci resterai perché non puoi andare da nessun’altra parte, Jesus. Sei incastrato nella tua vita, tutto qui. Si è incastrati finché non si molla la vita, dall’inizio alla fine. E io non impazzisco pensandoci perché tanto so che non ci posso fare niente. Cioè, cazzo, guardami. Ti sembro felice? Ti sembro felice, Jesus? – Lo fissò dritto negli occhi. – No, non sono felice. Non sto male, quindi non ho la ragione per andarmene, ma credimi, non ho neanche una ragione per restare. – Non so perché non me ne vado. Forse è solo che non ho nessuna ragione per andarmene, visto che di ragioni per restare non ce ne sono. La prima volta che l’aveva scritto sul suo diario aveva quattordici anni. E la sua vita era sempre stata così. Restare finché non c’era un motivo per andarsene, e tutti i motivi per andarsene erano sempre presi al volo.
Sospirò. – Cerca solo di non spegnerti. Quando inizi a morire, allora credimi, è una ragione valida per andarsene. – Concluse. Beh, almeno si era sfogata, pensò. Anche se non era servito a niente.
Jesus aveva lo sguardo basso, fisso sul dipinto. Non fece commenti, disse solo: - Mi sta guardando. –
St. Jimmy sorrise. Già. Osservò il dipinto. Una catena montuosa che si rifletteva in un lago, e attraverso la montagna, una galleria. Una galleria che, insieme al suo riflesso, era un occhio che li fissava.
- E tu che motivo avevi di venire qui? – chiese lui, dopo un po’.
- Beh, c’era l’Università. C’era non vedere i miei genitori. C’era... vedere un po’ questo pezzo di mondo. – Sospirò. In teoria c’era un altro motivo, anche, ma non si sentiva come se l’avesse omesso, visto che non era neanche sicura che c’entrasse qualcosa.
Lui fece una smorfia. – Tutti incastrati, già. – mormorò. Poi scrollò le spalle. – Sei brava. – disse, indicando il dipinto con un cenno del mento.
- Solo per i disegni strani. – ribatté.
- Dipingi spesso? –
- Prima sì. Era da un po’ che non lo facevo più. –
- E gli altri dipinti dove sono? –
- Erano appesi in camera mia insieme ai poster. Adesso probabilmente saranno nella spazzatura, oppure mia madre li terrà con se per piangerci sopra. Non ne ho idea. –
- E non ti importa? –
- Questa roba mi serve a tirarmi fuori la roba dalla testa, principalmente. – rispose. – Quindi... beh, in realtà non così tanto. –
- Ti dispiace se lo tengo io, quindi? – chiese lui.
- Fai come ti pare, però ti conviene farlo asciugare, prima. – Diede l’ultima pennellata di azzurro al cielo e andò all’acquaio a sciacquare il pennello.
- St. Jimmy? –
- Mh? –
- Perché tua madre dovrebbe piangere sui tuoi disegni? –
Sentì un sorriso amaro affiorarle alle labbra. – Ma per la pazzia che ha portato via la sua adorabile bambina, che domande. – rispose. Si rese conto che la voce le si era indurita. – Non credo di esserle mai davvero piaciuta. C’era qualcosa in me che le faceva paura, immagino. E poi è successo quello che è successo, e allora le cose sono degenerate. Ma sarebbe solo l’ennesimo racconto di una famiglia caduta in disgrazia, e immagino che di storie del genere tu ne abbia già sentite fino alla nausea. – Mise il pennello ad asciugare e si girò. – Ti basti sapere che era una ragione abbastanza forte da farmi scappare. E non dico andarmene. Dico scappare. –
-
Quando Syd arrivò a casa Jesus era tornato ed era in cucina a parlare con St. Jimmy. Lei decise che al momento non voleva disturbarli. O meglio, forse non voleva vedere lui dopo che aveva iniziato a ignorarla per andare dietro a St. Jimmy dopo che avevano fatto sesso. Ma dopotutto, che cosa doveva aspettarsi. Quella del giorno prima per Jesus era stata una fuga da se stesso, e lei era stata la prima persona che gli era capitata sotto mano. Non c’era niente di romantico.
Però... Syd chiuse gli occhi, risentendo le note di Shine on you crazy diamond. Era passato così poco, e lui neanche sembrava più lo stesso ragazzo.
“Che accidenti gli hai fatto, St. Jimmy?”
Subito dopo averlo pensato capì che era un’idea stupida. Se Jesus era interessato a lei, erano fatti suoi. Quella era la realtà, punto.
E a quanto pareva non importava né il fatto che Syd fosse interessata a lui... né che lo fosse a St. Jimmy.
Capì di essersi sbagliata circa mezzo minuto dopo, quando vide un libro appoggiato sul tavolino del salotto con sopra un post-it con scritto il suo nome sopra e un segnalibro circa a metà. Lo prese e staccò il foglietto.
Bianca come il latte, rossa come il sangue. Sì, ne aveva sentito parlare, ma non l’aveva mai letto. Le sembrava un libro semplicemente strappalacrime, e non le erano mai piaciuti i libri strappalacrime.
Lo aprì nel punto segnato e trovò una frase sottolineata con l’evidenziatore giallo.
Una vita senza sogni è un giardino senza fiori, ma una vita di sogni impossibili è un giardino di fiori finti.
Sorrise. Quel modo di comunicare iniziava a piacerle. Afferrò una penna e scrisse: E se tu sei una chimera...

Ed eccovi l'ultima parte di Jesus of Suburbia, spero che vi sia piaciuta! Fatevi sentire :) 
 

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Capitolo 7
*** Holiday ***


HOLIDAY
(Qualche giorno dopo)
 
Direi che tutti i miei sogni sono impossibili, sì. Che la mia vita intera è un sogno impossibile.
Syd si morse il labbro. Poi si diresse verso la libreria e tirò fuori Novecento. Lo aprì a una delle prime pagine e scrisse: Però in qualche modo qui ci sei arrivata., poi sottolineò una frase subito accanto: Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla.
Lasciò il libro sul tavolino del salotto insieme alla penna. St. Jimmy forse avrebbe risposto, o forse no. Eppure, era quasi sicura di sì.
E, infatti, dopo solo un’ora, quando tornò, c’era un segno più avanti, in una delle ultime pagine. E lei aveva evidenziato due righe che le fecero venire una stretta allo stomaco.
Fantasmi/
 Ci puoi morire se li lasci fare.
-
Diluviava di nuovo. Jesus sospirò, girando pagina del libro che teneva in mano. Erano ore che stava lì a... studiare, se si poteva dire così. In pratica stava fissando le parole stampate sulla carta quasi senza vederle, aspettando disperatamente che il pomeriggio passasse.
All’improvviso la porta di casa si aprì ed entrò St. Jimmy con un sacchetto della spesa, l’impermeabile completamente fradicio. – Hear the sound of the falling rain comin’ down like an Armageddon flame! – canticchiò. – Madonna, fuori è tipo il diluvio universale. Se va avanti così ancora un altro giorno ci troveremo a nuotare per muoverci per le strade. – Appese l’impermeabile all’attaccapanni e si sfilò le scarpe. – Che fate di bello? –
- Cerchiamo di sopravvivere all’alluvione usando come zattere i libri di fisica. – rispose Jesus. – Ma sei hai altre idee io sono disponibilissimo. –
St. Jimmy scrollò le spalle. – Purtroppo no. – disse, mollando il sacchetto sul pavimento della cucina e dirigendosi verso le valigie. Afferrò la custodia del violino e tirò fuori lo strumento, iniziando a pizzicare le corde come per accordarlo. Jesus si rese conto di non averla mai sentita suonare da quando era arrivata.
Alla fine St. Jimmy si posizionò il violino sotto il mento e iniziò a muovere l’archetto accarezzando piano le corde degli acuti.
E poi iniziò la canzone vera e propria.
Sia lui che Syd rimasero paralizzati mentre la ragazza faceva scaturire dallo strumento la colonna sonora de I Pirati dei Caraibi. – Wow. – fece la ragazza alla fine.
St. Jimmy scrollò le spalle. – Ho imparato a suonare il violino perché volevo imparare a fare questa canzone. –
- Noto con piacere che sei una dalle motivazioni profonde. – sbadigliò Jesus.
- Una canzone è una delle motivazioni più profonde del mondo. – ribatté St. Jimmy.
Syd ridacchiò. – Concordo, mi dispiace, Jesus. Tu perché hai iniziato a suonare la chitarra, scusa? –
- Ah, suoni la chitarra? – chiese l’altra. – Bello. Io ci ho provato, ma sono negata. E poi questa canzone veniva male alla chitarra. –
- Cioè, tu hai provato tutti gli strumenti finché non ne hai trovato uno con cui veniva bene? –
- Qualcosa del genere. –
Jesus ridacchiò.
- Perché non suoni qualcosa tu? – fece Syd. - Non per offesa, ma con il violino non si riesce ad essere molto... partecipativi. –
St. Jimmy scrollò le spalle. – Nessuna offesa. Prendi la chitarra e suona qualcosa. –
Jesus alzò gli occhi al cielo. – Agli ordini, maestà. – sbuffò, infilandosi in camera sua per andarla a prendere. – Che cosa dovrei suonare? –
- Non lo so, decidi tu. – fece Syd, guardando St. Jimmy.
La ragazza ci pensò mordendosi il labbro. – Conosci Wanderwall degli Oasis, vero? –
- Mh-mh. – rispose lui, e iniziò a suonarla. Trattenne a stento un sorriso davanti all’espressione di St. Jimmy mentre ascoltava i primi accordi. Eppure, a quanto pareva, le piacevano, perché lei invece non si fece problemi a sorridere. Per qualche motivo quel gesto lo mise in imbarazzo, ma cercò di non pensarci e si concentrò sulle parole.
 
Today is gonna be the day
that they’re never gonna throw it back to you.
By now you should’ve somehow
realized what you gotta do.
I don’t believe that anybody
feels the way I do about you now...
 
“Già.” pensò. Non credeva che qualcuno avesse mai provato qualcosa di simile a quello che lui provava per St. Jimmy. Per metà la adorava, per metà la detestava, e un altro migliaio di sentimenti senza un filo logico continuavano a passargli per la testa ogni volta che la vedeva.
 
Backbeat the word was on the street
that the fire in your heart is out.
I’m sure you’ve heard it all before
but you never really had a doubt.
 
“Come se mi fossi preso una vacanza dalla vita, già.” pensò Jesus. “Ecco come sono sempre vissuto. Come se combattere e pensare con la mia testa fossero cose che non potevo fare. Ho spento un fuoco perché dovevo, ma prima chi aveva mai pensato che fosse sbagliato? E adesso che lo so, che devo fare?”
 
I don’t believe that anybody
feels the way I do about you now...
 
Lanciò un’occhiata a St. Jimmy. Aveva gli occhi chiusi e canticchiava a fior di labbra. Ed era stata lei la causa di tutte le sue consapevolezze.
Ma doveva odiarla o amarla per questo? Era un bene o un male? Lui voleva davvero rendersene conto oppure no?
 
And all the roads we have to walk along are winding;
and all the lights that lead us there are blinding...
There are many things that I would
like to say to you
but I don’t know how...
Because maybe
you’re gonna be the one who saves me...
And after all
you’re my wonderwall...
 
“E se non mi salvi che succede, St. Jimmy?”
-
Today was gonna be the day
but they’ll never throw it back to you...
 
St. Jimmy sentì una forte quanto familiare fitta di dolore nel petto. “Già, chissà cosa sarebbe successo oggi se... se le cose non fossero andate in quel modo."
 
By now you should’ve somehow
realized what you’re not to do.
 
“Sì, lo so benissimo cosa non dovrei fare, eppure lo sto facendo di nuovo.”
“Non sono mai stata una persona coerente.”
 
I don’t believe that everybody
feels the way I do
about you now...
 
“In effetti, è difficile da credere che tutti si sentano così anche più di una volta nella vita. Insomma, è come avere un fottuto uragano in testa. Come fa la gente a sopravvivere?”
“Come faccio io a sopravvivere?”
 
And all the roads that lead to you were winding;
and all the lights that light the way are blinding...
 
“Ma quale strada, cazzo? Quale strada? Non c’è mai stata nessuna strada. Il sentiero ci si deve scavare da soli e te lo puoi scavare solo quando sai dove andare. Solo quando hai uno scopo. Ma io che scopo ho? Che scopo ho mai avuto?”
“E’ un po’ come se la mia vita fosse in vacanza. Eppure... ho deciso io di mandarcela.”
“Ma poi che altro potrei fare?”
“Che senso avrebbe, comunque?”
 
There are many things that I would like to say to you
but I don’t know how...
 
“Già, mi piacerebbe poter di nuovo parlare con te.”
“Ma... se devo essere sincera, credo che non ti chiederei scusa. E che tu sapresti che se lo facessi non sarei sincera.”
“Non credo che tu voglia scuse, in realtà. Non le hai mai volute.”
“Ma allora che cosa volevi?”
 
I said maybe
you’re gonna be the one who saves me...
 
“Ma che vuol dire salvare?”
 
And after all
you’re my wanderwall...
 
...in the Boulevard of Broken Dreams.
“Sei il mio muro dei sogni... nel viale dei sogni infranti.”


Ed ecco due modi diversi di vedere una "vita in vacanza"... E una piccola anticipazione sul prossimo capitolo ;)
Ringrazio tantissimo per le recensioni a Tales from another broken home, continuate così! :D

 

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Capitolo 8
*** Boulevard of Broken Dreams ***


BOULEVARD OF BROKEN DREAMS
(Sera dello stesso giorno)
 
- Che cos’hai oggi? –
St. Jimmy alzò la testa e Syd sentì i suoi occhi addosso, indagatori e stanchi. – In che senso che cos’ho? –
- Nel senso che c’è qualcosa che non va. –
La ragazza fece una smorfia. – E allora? Non mi sembra che siano fatti tuoi. –
- No, non lo sono. –
Silenzio.
- Ma vuoi saperlo comunque. – concluse St. Jimmy.
- Sì. –
- E perché? –
- Perché voglio capirti, ok? Perché non ho ancora capito niente di te e voglio rimediare. –
La ragazza sospirò. – Capirmi. – mormorò. – Non ti piacerebbe. –
- Questo lascialo giudicare a me. –
Capì subito di aver detto qualcosa di sbagliato. St. Jimmy strinse i pugni, si alzò di scatto dal divano lasciando cadere a terra il libro che aveva sulle ginocchia e uscì di casa sbattendo la porta.
-
...- No, tu non l’hai mai visto, il peggio. –
Lei la guardò. – Che vuoi dire, Kurt? –
- Che non è vero. Non l’hai visto il peggio. Tu non hai mai... – Si interruppe, serrando la mascella. All’improvviso iniziava a sentirsi arrabbiata. Eppure era quasi assurdo, vista la felicità che c’era stata fino a poco prima.
- Kurt, mi spaventi quando fai così. Calmati. – mormorò la ragazza, abbracciandola.
- No, non mi calmo. – ribatté. – Non mi calmo perché la verità la gente non vuole vederla, cazzo! -
-
St. Jimmy batté più volte le palpebre, cercando di scacciare quei ricordi, e si guardò intorno. Era corsa fuori di casa senza neanche badare a dove stava andando e senza indossare un impermeabile, e ovviamente stava ancora piovendo, perciò era già quasi fradicia. “Merda.” pensò, rabbrividendo. Eppure non aveva nessuna intenzione di tornare a casa. Perché lì c’era Syd e Syd aveva parlato esattamente come avrebbe parlato lei. “Avete tutti troppa fiducia in voi stessi.” pensò, stringendosi le braccia attorno al corpo e sentendo le lacrime che si mescolavano alle gocce gelide che le cadevano sul viso. “Alla fine l’unica che resta sono io, e solo perché per me tutto questo non ha importanza, riesce a non averla. Ma se ti devi concentrare sui particolari e... e quei particolari fanno male allora...”
Serrò le palpebre. Basta. Doveva smettere di pensare. Lei glielo diceva sempre, di smettere di pensare.
Sì, ma nemmeno lei ne era stata capace quando era stato il momento di farlo. O almeno, era così che St. Jimmy se la immaginava. Ripensò ad alcune parole di Novecento.
Tutto quel mondo/
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce/
E quanto ce n’é/
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla...
Sì, era esattamente questo quello che si immaginava.
Lei che si sentiva tutto addosso, troppo addosso, e capiva di non farcela più.
Ed era tutta colpa sua.
Eppure non si era mai scusata, non aveva mai voluto farlo. Le scuse sono soltanto una stupida convenzione. Anche se la gente cambia idea, nel momento in cui ha fatto quello che ha fatto ci credeva davvero. Il fatto che ora dispiaccia non significa che prima dispiacesse. Scusarsi è auto giudicarsi, ma che senso ha auto giudicarsi? Non esistono parti di noi sbagliate e parti giuste. Esistono solo tutte le parti di noi che ci sono e ci sono state. Si ricordava di aver scritto quelle cose in un tema, una volta, a scuola, nel periodo in cui ancora non era diventata davvero St. Jimmy, o almeno non in modo visibile, ma stava iniziando a farlo. La professoressa non aveva reagito bene.
Un po’ come quando sua madre si era arrabbiata per un brutto voto e quando lei aveva detto che non le importava aveva ribattuto che ne andava del suo futuro. E allora St. Jimmy le aveva chiesto: Perché bisogna per forza costringere i figli ad avere un futuro?
E che altro dovrei fare? aveva domandato sua madre.
Pensare  un po’ a se stessa. Farti una vita. Lasciarmi in pace. Se poi per me va a finire male, cazzi miei.
No, non lo sono, perché tu sei mia figlia!
E allora? Che ti importa? Mi hai messa al mondo, e il tuo l’hai fatto. E no, mamma, non mi sento come se ti dovessi qualcosa. Non sarò la tua seconda possibilità solo perché sei infelice della tua vita.
Non sono infelice della mia vita, ma non voglio che tu lo sia della tua!
Questo lascialo decidere a me. Che ne sai? Magari io non voglio essere felice.
Tutti vogliono essere felici.
E St. Jimmy aveva lasciato perdere, perché non aveva voglia di litigare. C’era stato un tempo in cui le era importato di far capire di avere ragione, ma ora non più. Adesso la ragione era relativa e sua madre troppo stupida per capirlo.
Pensò che quello che aveva detto lei a sua madre, Questo lascialo decidere a me, era quasi uguale al Questo lascialo giudicare a me di Syd.
“Beh, perché non dovrei far giudicare a lei?” rifletté. “Dopotutto, poi se muore sono fatti suoi.”
Si rendeva perfettamente conto di poter essere definita “cattiva”, ma dopotutto in effetti riusciva a capire Syd. Voleva fare con la sua testa anche a costo di farsi male, e lo stesso valeva per Jesus. E perché lei non avrebbe dovuto lasciarglielo fare? Anche se poi l’avessero lasciata sola, sarebbe stato giusto farli decidere per sé stessi. E poi quello di non rimanere sola era un sogno che si era infranto già da parecchi anni, per lei.
Così si girò e iniziò a tornare verso casa, come sempre senza riuscire a smettere di pensare. Iniziò a guardarsi intorno, osservando la pioggia che faceva sfumare le figure delle case in nuvole di fumo grigio, come se fossero state fatte di niente, come se fossero state fatte di sogni, i sogni di chi aveva voluto trovarsi un posto dove vivere, un posto dove andare, e alla fine era approdato lì. E lì i sogni si erano infranti, perché quella città morta non poteva essere la casa di nessuno, poteva essere solo un posto in cui morire un po’ alla volta dentro fino a quando non restava più nulla.
St. Jimmy iniziò a rallentare, sentendosi stranamente nel posto giusto, adesso. In un viale quasi irreale, pieno di sogni infranti. Pensò che magari avrebbe potuto lasciare lì anche i propri per un po’. Magari sarebbe tornata a riprenderseli, o forse no. Avrebbe deciso poi.
E così continuò a camminare, e a ogni passo si lasciava qualcosa dietro. Desideri, era piena di desideri, desideri che non si erano mai realizzati, dai più stupidi ai più veri. Alcuni li aveva rotti lei, altri erano passati, semplicemente, altri ancora li aveva infranti il mondo. Chiuse gli occhi e gridò per sentire la propria voce sopra il rumore della pioggia battente.
 
A parte che i sogni passano
se uno li fa passare:
alcuni li hai sempre difesi,
altri hai dovuto vederli finire...
 
Spalancò di nuovo gli occhi e osservò il mare di pioggia che aveva attorno, quel mare che le lavava di dosso i sogni. Eppure, quando arrivò a casa, mancava ancora qualcosa. Mancava un sogno da mandare via, da lasciarsi indietro.
You’re my wonderwall in the Boulevard of Broken Dreams.
Il sogno più grande della sua vita, che era anche un sogno infranto.
“Forse tornerò a riprenderti.” pensò. “Ma non adesso. E no, non mi scuso.”
E poi la lasciò andare.
Eppure, mentre entrava in casa, non si sentì in colpa. Anzi, stava bene, stranamente bene. E, un attimo prima di chiudere la porta, le sembrò quasi di sentire lei ridere.
-
Jesus uscì dalla doccia, infilandosi l’accappatoio e rabbrividendo. Iniziava a fare veramente freddo e il riscaldamento si accendeva solo alle otto di sera. Si asciugò i capelli ed uscì dal bagno per andare a vestirsi, ma si bloccò quando vide St. Jimmy china sulla valigia dove teneva i vestiti, con i capelli bagnati e completamente nuda.
Si bloccò alla vista della sua schiena. Aveva un tatuaggio sulla spalla destra, che sembrava una scritta. Si avvicinò di un passo e lei lo sentì, probabilmente, perché si alzò in piedi e si girò.
- Ehi. – fece. Non sembrava che si vergognasse minimamente a stargli davanti senza vestiti. – Hai visto Syd? –
- No. Credo sia uscita. – rispose lui, cercando di sembrare naturale, ma era difficile esserlo in quella situazione. – Ti serve una maglietta? –
St. Jimmy alzò gli occhi al cielo.
- No, sul serio. –
La ragazza fece un mezzo ghigno e si limitò a sedersi sul divano, incrociando le braccia quasi con aria di sfida. – Perché, scusa? Non ti piace quello che vedi? –
Lui alzò gli occhi al cielo. – E’ che... fa freddo. – inventò, lì su due piedi. Qualcosa gli diceva che se le avesse detto che non era normale stare nudi davanti ai coinquilini St. Jimmy gli avrebbe riso in faccia.
- Sei patetico. – ribatté lei.
- Lo so. – concordò.
- E’ solo che il pudore è una creazione puramente umana, ma è decisamente una cosa stupida. Cioè, a che cazzo serve? –
- Mh. – fece lui. In effetti in un certo senso aveva ragione, però...
- Vedi? – chiese la ragazza, quasi gli avesse letto nel pensiero. – L’umanità ti si è così tanto radicata in testa che ti mette a disagio una cosa così stupida. –
- Tu invece l’hai proprio sradicata, eh? – scherzò lui. – Cosa c’è scritto sulla tua spalla? –
- Tu sèmes des syllabes pour récolter des étoiles. – rispose St. Jimmy.
- Non so il francese. –
- Si seminano sillabe per raccogliere stelle. – tradusse.
- E che significa? –
- Non ne ho idea. Però sono sicura che debba voler dire qualcosa. –
- Cioè... ti sei fatta tatuare una frase e non sai che cosa significhi? –
- Certo. Che gusto ci sarebbe a tatuarsi una frase che significa qualcosa? Così invece questa me la posso portare dietro, e pensarci ogni tanto. Così non la dimenticherò prima di aver capito cosa vuol dire. –
- E’... assurdo. – mormorò lui. – Però immagino che abbia senso. E quello invece, sai cosa significa? – aggiunse, indicandole la mano sinistra. Su tutta la linea esterna del pollice e dell’indice St. Jimmy aveva una scritta, Il cielo è vuoto e la terra è rotonda, e quando formava un cerchio con pollice e indice anche quella frase diventava circolare.
- Ovviamente no. – rispose, scrollando le spalle. – Ma ammettilo, sono frasi che hanno un senso, fosse anche solo che quando le leggi ti vengono i brividi. –
Jesus annuì. In effetti, anche se aveva fatto l’abitudine alla seconda, quella a proposito delle stelle era bellissima, anche se non aveva idea di che senso avesse. – E... quella? – domandò, indicando una scritta sull’interno della caviglia di lei.
- Lì c’è scritto Fly on. –
- E... anche quella non sai che significa? – chiese lui.
- Certo che lo so. Significa Vola. Volare è la cosa più bella del mondo, sia in senso metaforico che concreto. –
- Ma perché ti sei tatuata qualcosa sapendo cosa significa? –
- Non è un tatuaggio. – ribatté la ragazza, accavallando la gamba destra e poggiando il collo del piede sulla coscia sinistra per fargli vedere meglio la scritta. – E’ solo... un promemoria. –
Jesus guardò e si rese conto che quella era una cicatrice. – Ti sei... incisa quelle parole? –
- Sì, come promemoria, te l’ho detto. –
- Vola? –
- Già. – Sospirò. – Sai, mi piacerebbe spiegarti cosa intendo, ma stavolta sul serio non so come fare. –
- Perché all’improvviso hai deciso di volerti spiegare? –
- Perché ho deciso che non me ne importa più niente della sanità mentale altrui. – rispose lei, scherzando ma con una nota seria nello sguardo.
Jesus si ritrovò a rabbrividire per il freddo. – Cazzo, perché in questo stupido condominio si accende il riscaldamento così tardi? Io vado a infilarmi sotto le coperte, altroché. – Esitò. – Vuoi... venire con me? –
Lei rise. – Mi stai invitando a scopare con te, Jesus? –
- No. Ti sto invitando a continuare la conversazione in un posto caldo. Se poi ci scappa anche la scopata tanto meglio. –
St. Jimmy alzò le spalle. – Ok. –
-
- Posso farti una domanda? – mormorò St. Jimmy, fissando il soffitto.
- Mh-mh. –
La ragazza si morse il labbro. – Perché sei andato a letto con Syd e con me? Cioè... lei l’hai usata per calmarti. E me... per cosa mi hai usata? –
- Qualcosa mi dice che lo sai già. –
- Forse. Ma sarebbe il motivo esattamente opposto a quello per cui ci sei andato con lei. –
Lui si girò su un fianco e la guardò. – Esatto. E’ perché non ho più voglia di stare calmo. –
St. Jimmy sentì una fitta al petto al ricordo di lei che diceva la stessa cosa, ma poi lo scacciò. I sogni infranti se li era lasciati alle spalle in mezzo alla pioggia e lo stesso doveva valere per i ricordi. Ormai quelli non erano più fatti suoi. Lei non doveva salvare nessuno.
- Ok. – mormorò.
- Ti da fastidio che ti abbia usata? –
- Tutti si usano a vicenda. E’ l’unica cosa che si fa con la gente che ci sta intorno. – rispose, poi si alzò. – Io però adesso penso che andrò a cercarmi qualcosa da mangiare. Ci si vede, Jesus of Suburbia. –
Lui sorrise. – Ci si vede, St. Jimmy. –
La ragazza uscì dalla camera, chiudendosi la porta alle spalle, e si trovò davanti Syd. 

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Capitolo 9
*** Are we the waiting ***


WE ARE THE WAITING
(Stesso momento)
 
La voce di St. Jimmy si bloccò sulla prima lettera del “ciao” che stava per dire. Guardò Syd. Aveva un’espressione indecifrabile. La squadrò da capo a piedi. – Hai di nuovo intenzione di dirmi che non siete andati a letto insieme? – chiese, un’incredibile amarezza nella voce.
- Siamo andati a letto insieme. – ribatté l’altra. – Non vedo perché dovrei nasconderlo. –
Syd serrò la mascella. – Forse sarebbe stato meglio non saperlo, invece. – sussurrò.
St. Jimmy non riuscì a impedirselo. Le rise in faccia. – Cioè, tu vuoi sapere solo quello che ti pare? Eh no, cara. Se vuoi la verità, te la prendi tutta. E se fa male... chi se ne frega. – disse, poi si avvicinò alle valige e si mise i primi vestiti che le capitarono. Iniziava a sentirsi arrabbiata. Dio, quant’era stupida quella ragazzina.  – Vuoi sapere qualcosa di me, troietta? – fece. – Ecco, ora sai che scopo con il tuo ragazzo o quello che è. –
Per un po’ Syd non disse niente, anzi, per così tanto tempo che la ragazza dovette voltarsi per accertarsi che non se ne fosse andata. Quando i loro sguardi si incrociarono, Syd fece una smorfia. – Non è il mio ragazzo. – disse. – Lo so che non gli importa di me. O meglio, non più. Perché dovrebbe? Mi ha usata quando aveva voglia di scopare e adesso non mi vuole tra i piedi. Evidentemente ha trovato una puttana migliore. –
- Lo prendo come un complimento. – ribatté St. Jimmy.
E poi Syd scoppiò a piangere.
-
Aveva iniziato a piangere. Non sapeva neanche perché, ma adesso non riusciva a fermarsi. Era incazzata, forse. Era incazzata perché non aveva nessun motivo per essere incazzata e lo era. Era... patetica.
- Sono patetica. – disse.
St. Jimmy annuì. – Già. –
Si guardarono.
- Perché piangi? – chiese lei.
- Per tutto. –
- Che vuol dire per tutto? –
- Non lo so. Ogni tanto bisogna piangere. Fa bene. E’ per questo che leggiamo libri tristi o guardiamo film tristi o ascoltiamo musica triste. Perché troviamo un motivo per piangere, visto che la gente di solito pensa che piangere senza motivo sia stupido. Così quando ti senti triste ti riempi di roba triste e hai il diritto di piangere. Ma io me ne frego del diritto, ok? Ho voglia di piangere e basta. –
Non sollevò neanche gli occhi per guardare St. Jimmy. Lei, che era così menefreghista e così forte e così... così strana. Già, strana, pensò, mentre sentiva delle labbra posarsi sulle sue. “Strana, strana, strana.” continuò a ripetersi, mentre rispondeva al bacio. E alla fine aprì gli occhi.
St. Jimmy esitò. – Non lo so cosa voleva dire. – disse.
- Non te l’ho chiesto. – ribatté.
- Sì, ma è che... hai detto una cosa verissima. E... beh, a me viene voglia un sacco di volte di baciare le persone, ed è brutto dover sempre avere un motivo per farlo. Il motivo è solo che ogni tanto la gente ha bisogno di baci, un po’ come ha bisogno del sesso o di piangere o di tutto il resto. – Sospirò. – Mi odi? –
- No. – rispose Syd. – Ho solo bisogno di capire. –
St. Jimmy sospirò di nuovo. – Ok. – disse. – Tanto ormai ho deciso che non voglio più preoccuparmi per le persone. Da ora in poi sono cazzi vostri. – Aveva una strana amarezza nella voce. – Che cosa vorresti capire? –
- Te. Perché non riesco neanche a fare delle ipotesi. Non ho idea di chi sei. –
- E perché vorresti averla? –
- Tu perché mi hai baciata? –
Si guardarono. – Io non sono innamorata di te, Syd. – disse St. Jimmy, alla fine. – Sono innamorata di tante cose, ma è da un bel po’ che non mi innamoro delle persone. E più conosco una persona, meno mi sento innamorata di lei. –
- Neanche io sono innamorata di te. – ribatté. – Volevo solo dire che come tu non sapevi perché mi hai baciata, io non so perché voglio saperlo. Forse perché... perché ho come l’impressione che farlo cambierà qualcosa. –
- Già, perché tutto quello che facciamo nella vita è semplicemente aspettare che le cose cambino. – mormorò St. Jimmy, ma non sembrava una critica, solo un’osservazione. – Solo che poi non cambia niente, in realtà. –
- Fammi illudere. Altrimenti cosa fai nella vita, se non hai niente da aspettare? –
- Beh, muori. – rispose St. Jimmy. – Ma dopotutto aspettare è meno drastico. Alla fine muori comunque, no? E noi abbiamo tutti questa grande e stupida speranza che prima o poi qualcosa cambierà davvero. – Sbadigliò. – Che ne dici se ci prendiamo qualcosa da mangiare prima di raccontare la storia? –
- E’ davvero così lunga? –
- Immagino di sì. A seconda di come li vivi vent’anni sanno essere infiniti. –
- Se li vivi come un’attesa continua, ti giuro che è così. – rispose Syd. Già. La sua vita era sempre stata un’attesa di qualcosa, non sapeva neanche lei di cosa.
St. Jimmy le sorrise. – Anche se sono troppo pieni, credimi. – ribatté, poi entrò in cucina e mise dell’acqua a bollire sul fuoco. Per un po’ rimasero entrambe in silenzio, poi la ragazza sollevò lo sguardo dalla pentola. – Posso farti una domanda? – chiese.
- Mh-mh. –
- Perché proprio Syd? –
Lei si morse il labbro. In realtà, ora che ci pensava, non l’aveva mai detto a nessuno. – E’ che... io non ho mai avuto niente di mio. Neanche un futuro, neanche... una storia, ok? Non avevo niente addosso, niente di niente, e così ho deciso di prendermi la storia di qualcun altro usando il suo nome. –
- Syd? - 
- Già. Syd. Problemi? -
- No, è che tipo, sei... "incastrata" a fare Syd. Che lo sai già che alla fine morirai da drogata pazza e chissà cos'altro. Io fossi in te me lo darei un futuro, almeno con il nome. Concediti il beneficio del dubbio. -
- Tu sei la prima a non darti un futuro con il tuo nome. -
Lei scrollò le spalle. - Non ho mai avuto così tanta voglia di avere un futuro. Tu invece non vuoi altro. Quindi almeno datti una possibilità. -
- Sì, ma non voglio sperare troppo, capisci cosa intendo? Che poi se va male resto delusa. -
- E allora chiamati Whatsername. –
Si guardarono. – Whatsername. – ripeté Syd.
- Già. Così non hai obblighi. Whatsername è una con infinite possibilità, perché nessuno sa chi sia. Non hai nessun nome con cui essere ricordata, così la gente non può pensare niente di qualsiasi decisione prenderai. Almeno metaforicamente suona bene. –
Rise. – In un certo senso sì. –
Per un altro po’ di tempo regnò il silenzio. St. Jimmy buttò la pasta e iniziò a mescolare. Poi sentirono una voce. – Syd... –
La ragazza si girò e guardò Jesus. – Whatsername. – lo corresse. – E no, non sono arrabbiata. Sul serio. –
- Mi dispiace. –
Lei rise di nuovo. – Ovviamente non è vero, ma apprezzo il tentativo. –
Jesus si morse il labbro. – Beccato. Rompo se chiedo di cosa stavate parlando? –
St. Jimmy scrollò le spalle. – Stavo per iniziare a raccontare la grande storia di come sono arrivata in questa schifosa città. –
Jesus lanciò un’occhiata fuori dalla finestra. – Sembra interessante. – mormorò. – Cazzo, però sta ancora piovendo. Che palle. Io vorrei che andasse a fuoco, invece che essere così bagnata. –
- Decisamente se andasse a fuoco avremmo un  motivo per andare via. – concordò la ragazza.
- Potremmo farlo noi. – disse Whatsername. – Bruciare tutto. –
- No che non possiamo. – sbuffò Jesus.
- Che Gesù sei se non hai neanche il coraggio di fare quello che vuoi? –
- Infatti so benissimo che mi sto solo raccontando bugie. – ribatté il ragazzo scrollando le spalle. – Ma dopotutto, che altro vorresti fare? –
Lei non rispose.
Passò qualche altro minuto. St. Jimmy scolò la pasta e ci versò sopra del sugo in scatola, mescolando, poi la distribuì in tre piatti. Si sedettero attorno al tavolo.
St. Jimmy deglutì. – Direi che è il momento di iniziare questa storia. –
- Mh-mh. – concordò Whatsername.
- E’ solo che... non so da dove cominciare. –
- Comincia dall’inizio. – suggerì Jesus.
- E’ questo il problema. – ribatté lei. – Che io non lo so, bene, quando è cominciato tutto. In che... momento e in che modo. – Sospirò, riflettendoci. – Beh, ok, a grandi linee penso di saperlo. Siete sicuri di volerla sentire, la mia storia? –
- Altrimenti perché saremmo qui? – ribatté Jesus.
St. Jimmy annuì tra sé. – Ok. – mormorò. – Comincio. –


Ed ecco che è arrivata anche Whatsername... spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatevi sentire! :)

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Capitolo 10
*** St. Jimmy ***


Allora, premetto che questo capitolo è un po' particolare, visto che è ambientato in un tempo diverso dagli altri e racconta anche un periodo più lungo del normale. Non sono sicura che vi piacerà, però meglio di così non riuscivo a fare... ditemi cosa ne pensate! 

 
ST. JIMMY
(Sei anni prima,
un’altra città, un’altra vita)
 
Kurt scoprì di chiamarsi Kurt quando aveva quattordici anni, e decise di chiamarsi St. Jimmy più o meno nello stesso periodo. Tutta colpa di un diario.
E di una sigaretta.
Il diario non era il suo diario, ovviamente. E lei ne venne a conoscenza quando un giorno le arrivò un messaggio. Un messaggio da lei.
Lei era la sua migliore amica da parecchio tempo, ormai, e aveva sempre sopportato tutte le sue osservazioni sul mondo e su tutto il resto. Già, perché Kurt aveva da ridire su un sacco di cose. Addirittura sulle parole: un giorno se n’era uscita dicendo che le parole erano solo un modo per limitare le cose che si sarebbero potute immaginare, perché il cervello aveva sempre un limite: “Se non sai descriverlo a parole non puoi pensarlo.” Questo era venuto fuori da un pomeriggio di intenso studio del latino, alla fine del quale lei aveva riflettuto che quello che stava facendo era assolutamente patetico: che senso aveva ricordare le parole di una lingua, se ormai quella lingua era morta? I concetti erano l’importante, ma le parole imparate in quel modo... Kurt pensava che fosse solo un modo per non far sparire davvero il latino dalla faccia della Terra. Ma, in realtà, che male ci sarebbe stato? Tutto sparisce dopo un po’. E i concetti sono sempre gli stessi che si ripetono, quindi l’”importante” era “salvo”.
Insomma, su quel messaggio c’era scritto: “Le parole fanno schifo. Voglio dire, tutto è già stato detto.”
Non vale rubarmi le battute. osservò lei, in risposta.
Non sono stata io. E’ stato Kurt Cobain. Sto leggendo il suo diario, e ti giuro, sembra di sentir parlare te.
Se lo dici tu.
La cosa era rimasta in sospeso per un po’, almeno fino a quando Kurt non si era fatta prestare il famoso diario. L’aveva letto, e l’aveva trovato geniale e quasi autobiografico. Cazzo, quella era lei. Quando dovette restituirlo quasi pensò di fingere di averlo perso e tenerselo, ma non avrebbe fatto una cosa del genere a lei, o magari di ricomprarlo, ma non aveva abbastanza soldi, così decise di lasciar perdere. Però, intanto, lei  aveva iniziato a chiamarla Kurt e lei a pensare troppo. Più rifletteva sul diario più le venivano in mente cose, idee, stranezze. Passò un inverno, l’inverno della prima superiore, e ci fu la prima vodka buttata giù a un ballo della scuola, le prime scappate di nascosto, il primo bacio – non era mai stata una persona particolarmente desiderata – e un sacco di libri – aveva finalmente comprato il diario di Kurt Cobain –, e poi all’inizio della seconda liceo ci furono... le sigarette.
Successe perché un’altra ragazza, Anna, le aveva fatto venire l’idea. Anna voleva fumare da un sacco e Kurt decise di provare. Trovava le sigarette assolutamente inutili, ma comunque per una volta voleva vedere com’era. Così decisero di prendere un pacchetto in due. Kurt ne voleva fumare una sola, Anna ancora non aveva deciso, comunque andava bene a entrambe.
Solo che poi la madre di Anna prese il telefono alla figlia, lesse i messaggi e fece una scenata incredibile a Kurt gridandole che doveva stare lontana da sua figlia perché l’avrebbe rovinata.
E Kurt le rise in faccia.
Sì, ok, non fu la cosa più brillante da fare, ma lei lo fece. E non se ne pentì mai. Insomma, che cosa voleva da lei quella donna? Davvero era convinta che se non ci fosse stata Kurt Anna non avrebbe mai provato a fumare una cazzo di sigaretta? Insomma, un po’ le dispiaceva per Anna che aveva una madre che evidentemente la riteneva incapace di decidere per se stessa – e Kurt, a quel tempo, era già convinta che tutti potessero decidere per sé, qualsiasi fossero le loro scelte – e un po’ la cosa le sembrava divertente. Temete, madri di tutto il mondo, St. Jimmy is coming down across the Halleyway!
Quando si ritrovò a paragonare quello che era successo a quella frase si bloccò per un secondo. Aveva già pensato di farsi un tatuaggio con la scritta: The needle in the vein of the establishment, ma non aveva mai ancora davvero pensato a se stessa come a St. Jimmy. Non portava sulla cattiva strada nessuno, lei.
O almeno fino ad ora.
E così prese quel nome. Un po’ era una presa in giro, un po’ la realtà. Già, perché lei era davvero l’ago nella vena dello spacciatore. Lo era con i suoi voti da brava ragazza e i suoi comportamenti da matta, lo era in tutto e per tutto e non voleva essere altro.
Il mondo è paralizzato. Tutto il mondo. La scuola è una macchina per la selezione della popolazione umana. Nessuno si salva. E’ tutto schematico, e a un certo punto vieni eliminato, ed è tutto sempre più superficiale. L’umanità mi fa ridere: dove sarebbe questa differenza tra persone e animali se la metti in questi termini? Se invece che valutare il pensiero si valuta solo il risultato? Che senso può avere tutto questo? scriveva sul suo diario, mentre se ne stava seduta in corridoio dopo che l’avevano buttata fuori dall’aula. Non pretendo che sia tutto giusto, ma pretendo che non si raccontino bugie. Possono anche bruciare il pianeta purché lo ammettano. Qui invece si fanno a pezzi l’un l’altro e la chiamano “vita”.
Ma i suoi genitori non erano particolarmente d’accordo. In casa sua iniziò a regnare quello che sembrava un vero e proprio odio, pronto a esplodere in litigi al minimo pretesto. L’unica cosa che riuscì a fare St. Jimmy fu stare lontana dai suoi familiari il più possibile. Dopo un anno circa non avrebbe neanche più saputo dire di che colore si fosse tinta i capelli sua madre. Semplicemente non le importava. Invece ai suoi genitori importava di lei.
Sarebbe meglio se mi odiassero e basta. scrisse una volta St. Jimmy. E’ stupido lo stereotipo per cui i genitori devono amare i proprio figli. Ma il fatto che cerchino di cambiarmi fa schifo. Davvero, se mi lasciassero in pace sarebbe a posto, in un certo senso. Già, perché lei sapeva benissimo i suoi genitori le lanciavano quegli sguardi schifati e fingevano di ignorarla solo per convincerla a cambiare. Comunque, a lei non interessava migliorare le cose. Non avrebbe cambiato se stessa per piacere a qualcuno. Magari se avesse continuato a ignorarli loro avrebbero smesso, oppure lei si sarebbe dimenticata di loro e basta.
Però ogni tanto le capitava di trovarsi a piangere soffocando i singhiozzi nel cuscino e odiando tutto quello che stava succedendo e la stupidità del mondo e il resto. E a volte, visto che aveva sempre considerato la morte sopravvalutata, dopo quelli che sembravano scherzi infantili e crudeli (la sua maglietta preferita casualmente rimasta strappata nella lavatrice, da mangiare per cena solo cose che lei detestava, i libri spariti dalla sua libreria) ci pensò, ad uccidersi. Sapeva come fare, le bastava un pretesto abbastanza forte per andarsene.
Vorrei che non servisse una ragione per andare via e che bastasse la mancanza di ragioni di rimanere per decidersi a scappare. scriveva sul suo diario. Ma tanto sono troppo viva. Sai, l’istinto di sopravvivenza è la cosa più brutta di questo mondo, perché io posso anche fare tutti i piani che voglio e scrivere tutte le lettere di addio che mi pare, ma tanto so che non ho il coraggio di buttarmi. Ho bisogno che qualcuno mi spinga giù da quel tetto, perché da sola non sono capace di saltare. Ci sono quasi, ma ancora non sono capace.
Intanto la vita andava avanti. Il tempo passava, e lei se ne stava appollaiata su una panchina fino alle nove di sera prima di tornare a casa e mangiare da sola e andare in camera sua, pur di vedere il meno possibile i suoi genitori, e pranzava fuori con quello che trovava perché non aveva soldi e ascoltava troppa musica.
E’ semplicemente che non saremo mai capaci di piacerci, perché io non sono disposta ad accettare loro e loro ad accettare me. si ritrovò a scrivere una volta. Eppure le sue previsioni stranamente si avverarono. Iniziò a notarlo dalle piccole cose. Quando i suoi smisero di chiederle dove andava, e di urlarle di tornare a casa, e poi quando per la prima volta la mandarono in college in Inghilterra per un’estate intera senza che lei lo chiedesse dopo che per anni si erano rifiutati di mandarcela nonostante le sue insistenze. E capì che il limite era arrivato, e che l’avevano passato, e che adesso non ci sarebbe stata più nessuna possibilità di tornare indietro, perché i suoi genitori ora non volevano più avere a che fare con lei. E probabilmente era meglio così.
“E’ meglio così, è meglio così, è meglio così.” Già, doveva ripeterselo, doveva ripeterselo per convincersene, perché adesso capitava di stare sveglia a nottate intere a chiedersi cosa si provasse a voler bene a qualcuno e a capirlo solo quando pensava a lei.
Perché lei c’era stata, sempre, ad ascoltarla piangere, a farla ridere, a non lasciarla sola quando invece lo era, a sopportare le sue grida e i discorsi contro il mondo e a volte ad aiutarla a essere l’ago nella vena dello spacciatore quando lo spacciatore era l’umanità stessa. Lei continuava a essere così, a mandare i piani a puttane perché ne aveva voglia, a essere una specie di genio e poi a scoparsi un ragazzo sulla cattedra facendo in modo che qualcuno la trovasse. Era una guerra, una guerra che nessuno avrebbe vinto semplicemente perché non c’era niente da vincere.
Niente di tutto questo ha senso. scrisse una volta. Se visto abbastanza da lontano, non cambierà nulla. Ma visto che non posso morire e che non posso essere felice allora continuerò così. Dopotutto non ho motivo di smettere.
Già. Andava per inerzia, senza una meta, e sapeva benissimo cosa stava facendo e non le importava. Pensi troppo. le diceva spesso lei, e aveva ragione, ma a St. Jimmy piaceva pensare. Le piaceva pensare perché non facendolo si arrabbiava. E anche facendolo si arrabbiava, ma era una rabbia diversa, consapevole. Quando invece non pensava si arrabbiava perché si stava impedendo da sola di capire.
Anche se non c’era niente da capire. Il mondo era sempre lo stesso che si ripeteva e lei sarebbe dovuta essere morta. Ma non era morta. Mancava... la spinta che la tirasse giù dal tetto.
Ma, quando quella spinta arrivò, qualcosa non andò come sarebbe dovuto andare. Lei non seppe cogliere l’attimo, forse. Chissà.
Fu l’infrangersi di un sogno. Fu un bacio a mezzanotte su una scogliera, con lo stereo che cantava che lei era un cielo pieno di stelle. Fu che lei le diede fiducia.
E fu l’errore più grande che potesse fare.
Ti amo e non ti voglio perdere. le disse. Anche se so che odi questi discorsi e tu non vuoi essere di nessuno e non vuoi essere costretta a fare nulla, ma io vorrei che tu fossi felice. Ti prometto che ti renderò felice, ok, Kurt? Però tu... devi aiutarmi.
Ma St. Jimmy non sapeva aiutarsi ad essere felice. Non ci riusciva, semplicemente. Era sempre peggio, invece. Si sentiva sempre più apatica, vuota. Probabilmente c’era stato un tempo in cui era stata innamorata di lei, ma comunque era stato prima di quel bacio, prima che tutta quell’indifferenza le si scaricasse addosso, troppo tempo prima. Perché i limiti si passano e non si può tornare indietro.
Adesso lei era un’indifferente e basta, lo sapeva e lo sapeva anche lei, e St. Jimmy vedeva il suo sconforto sempre più grande, e capiva che se la stava trascinando dietro in quella spirale senza uscita, ma era troppo indifferente per fare qualcosa, o forse semplicemente non ne era capace. Ormai le era indifferente anche l’idea di morire. Non si sentiva più abbastanza viva da non buttarsi, ma era troppo indifferente per andare sul tetto e tirarsi di sotto. Era diventata quello che era diventata perché era tutto troppo orribile.
Questo è esattamente quello che per anni mi ero ripromessa di non essere. scrisse una volta. Ti ricordi? Anni fa avevo scritto: “St. Jimmy, promettimi che se proprio dovrai morire non lo farai sbiadendo ma con uno sparo.” Insomma, forse era un po’ troppo poetico, ma credo di essere stata molto più intelligente allora di adesso. Essere indifferenti è la cosa più normale che si possa essere, perché io vedo le cose così da lontano che non riescono a cambiare nulla nell’enormità generale. Insomma, che vuoi che importi per l’Universo se la Terra sparisce? Eppure fa tutto male. So che dovrei smettere di comportarmi così, riuscivo a vivere bene nonostante questa consapevolezza, prima, ma ora in questo posto c’è troppo odio, e quell’odio l’ho provocato io, ma non voglio fermarlo perché... non lo so perché. Ma non smetterò di essere quell’ago, non posso smettere, non ci riesco, non voglio. Forse sono solo pazza. Non sono più una persona, qualsiasi cosa si intenda per persona. Non sono nemmeno un’idea. Sono soltanto lo specchio rovesciato di questo mondo marcio.
Forse fu per questo che quel giorno si trovò in mano una siringa e le cuffie nelle orecchie. E si piantò la siringa nel braccio mentre nelle cuffie Axl Rose gridava:
 
Knock-knock-knockin’ on Heaven’s door...
 
e lei si sentiva davvero come se stesse bussando alle porte del Paradiso, perché quella siringa era un modo per chiudere gli occhi e lei non doveva prendere la decisione di uccidersi, solo di rilassarsi per qualche minuto, ma quella dose era troppo grossa e probabilmente sarebbe morta. Non doveva decidere di uccidersi, ma alla fin fine si sarebbe ammazzata. Non sembrava troppo male.
E così spinse lo stantuffo. E fece male. Oppure no. Non se lo ricordava.
Ma quando riaprì gli occhi in una stanza di ospedale le sembrava ancora di sentire Axl Rose che cantava.
 
Knock-knock-knockin’ on Heaven’s door...
 
“...ti sbattono la porta in faccia.”
-
Fu solo quando la dimisero che lo scoprì. Quando i genitori di lei vennero a urlarle contro.
- E’ morta per colpa tua. –
Sì, lei era morta per colpa sua. Era morta dopo averla vista in ospedale in quelle condizioni, perché aveva capito di non poter fare niente.
Oppure sì.
Perché ci fu una cosa sola a cui St. Jimmy riuscì a non essere indifferente, e fu la mancanza di lei. Non cambiò niente, fuori. Continuò tutto così. Ma dentro di lei qualcosa successe. Il dolore prese il posto dell’indifferenza e in qualche modo fu bello, la fece sentire viva. Già, forse fu per questo che comunque, nonostante una “spinta” ci fosse – era sola, adesso, sola davvero – lei riuscì a restare viva.
E alla fine decise di andare via. Non appena finì il liceo si trasferì in quella città, pensando che non sarebbe cambiato niente. Eppure successe qualcosa. Un appartamento condiviso, un dialogo fatto di libri e di canzoni, la decisione di lasciarsi alle spalle dei sogni infranti. Forse sarebbe andato tutto bene. Forse.
Forse.

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Capitolo 11
*** Give me Novacaine ***


GIVE ME NOVACAINE
(La città del presente, nel tempo presente.
Che poi, chissà chi è che lo decide qual è il presente)
 
Silenzio.
Ormai sembrava regnare il silenzio da ore. Un silenzio teso, gelido, un silenzio che camminava su un filo teso sopra un precipizio, e se fosse caduto l’eco del caos che avrebbe provocato schiantandosi si sarebbe propagato per ore. E loro lo sapevano. Forse per questo nessuno sembrava osare aprire bocca.
St. Jimmy si concentrò sul cibo ormai freddo. La storia. Tutta la storia. L’aveva appena raccontata, ed era andata meglio del previsto. C’era riuscita, a parlarne. Non sapeva come, ma c’era riuscita.
Sì, però adesso cosa sarebbe successo?
Una parte di lei moriva dalla voglia di scoprirlo. Solo la paura di rompere il silenzio la fermava, perché voleva godersi gli ultimi momenti di calma prima dello schianto e dell’eco che ne sarebbe seguito. Eppure non era mai stata molto brava ad aspettare. A volte arriva il momento in cui devi strappare il cerotto. Fa male, ma poi passa e ti senti meglio., aveva letto una volta in un libro. Lei non avrebbe saputo dire con certezza se fosse il momento giusto – magari la ferita sotto il cerotto non si era ancora richiusa e avrebbe fatto infezione – ma sapeva anche che un momento giusto non esisteva. Quella ferita non sarebbe mai stata abbastanza guarita. Magari dopo sarebbe stata peggio – magari sarebbe addirittura morta – ma almeno avrebbe dato una svolta. L’ultima volta per darla c’era voluta la morte di qualcuno. Stavolta non sarebbe andata così.
E così disse: - Tutto qui. –
Whatsername sembrò riscuotersi di colpo, ma non disse niente. Jesus invece sembrava avere molto da dire. Anzi, da domandare.
- Tu... non ti senti in colpa perché lei è morta? – chiese.
St. Jimmy scosse la testa. – No. – rispose, semplicemente.
- Ma... ma come? – domandò lui.
- E’ stata una sua scelta. –
- Una scelta che tu le hai fatto fare! – ribatté Jesus, scattando in piedi e rovesciando la sedia. – Tu... tu hai lasciato che una persona morisse per te... perché? Per cosa? –
La ragazza chiuse gli occhi per un secondo. – Lei è morta perché aveva capito che non c’era più niente da salvare, e facendolo mi ha salvata, se si può dire così. Ma... ma non c’è stato niente di altruistico in questo, come fai a non capirlo? – St. Jimmy sospirò. – Lei è stata una delle persone più altruiste che io abbia mai conosciuto. Ma non è morta per me. E’ morta per se stessa. E’ vero che la sua morte era l’unica maniera per tirarmi fuori da... da quello che mi stava succedendo. E lei probabilmente lo sapeva. Ma lei era... era innamorata di me, Jesus. E non ce la faceva più a vedermi in quello stato. Stava solo male, e così si è uccisa. Perché non ne poteva più. Le conseguenze non c’entrano, o forse sì, ma lei non si è uccisa per salvare me, perché una volta che fossi stata salva lei non ci sarebbe più stata per apprezzarne le conseguenze. Il mondo è molto più egoista di quello che pensi. – aggiunse, con un sorriso amaro.
- Come... come puoi dire una cosa del genere di una persona che... –  Aveva iniziato ad alzare la voce. St. Jimmy aveva voglia di sospirare. In un certo senso, se l’aspettava.
- Una persona che cosa? Che è morta? Perché cazzo non si può dire la verità sulle persone morte? Se fosse viva non la difenderesti. Che poi non c’è nulla da difendere. Non ha fatto niente di male. –
Jesus sembrava sconvolto. – Tu sei completamente pazza. – disse. – Anzi, sei... sei peggio. No, non sei affatto pazza, tu capisci benissimo la realtà, sei... –
La ragazza si ritrovò a ridergli in faccia. - ...cattiva? – concluse. – Immagino dipenda parecchio dai punti di vista. Ma la sai una cosa? Non mi importa. –
- Lo so che non ti importa! – ribatté lui. – E’ questo il problema. Tu sei così e... e non ti importa di essere così! –
- E cosa dovrei fare secondo te? Passare la mia vita a piangere? Impiccarmi? Che senso avrebbe, secondo te? – chiese, fissandolo negli occhi.
Jesus non rispose e uscì sbattendo la porta.
St. Jimmy alzò gli occhi al cielo. – Fantastico. – mormorò.
Whatsername fece un sorriso amaro. – Ti sembrerà assurdo, ma capisco cosa intendi. E credo di capire anche un po’ te, in effetti. Tutto quel discorso sull’aspettare... Ora ha senso. Cioè, tu è tutta la vita che aspetti. Che aspetti cosa, però? –
- Non ne ho idea. Insomma, credo che prima aspettassi... la sua morte. E ora... non lo so, cosa aspetto. Forse è solo che le cose arrivano e non te ne accorgi, soprattutto se non sai cosa stai aspettando. –
L’altra si alzò. – Lo so perché non capisce. – mormorò.
- Jesus? –
- Già. –
- Beh, mi sembra abbastanza ovvio il perché. E’ ancora innamorato della realtà. Fa quasi ridere. Sai, prima che arrivassi tu, oggi, mi ha detto che aveva scopato con me perché “non voleva più stare calmo”, e tu lo fai stare calmo, gli fai vedere le cose... migliori, in un certo senso. Io invece sono il peggio. Ma tu gli dici bugie. –
- Non posso non dirgliele, St. Jimmy, ok? E tu dovresti smettere di parlare con lui. Lo farai impazzire sennò. Perché io capisco cosa vuoi dire, capisco te, almeno credo, ma lui non ne ha idea, lui si sta facendo del male e neanche se ne accorge. –
- E allora? – ribatté l’altra. – Ti ho detto che non ho più intenzione di preoccuparmi per la salute mentale altrui. Ti ricordo che sei stata tu a convincermi a raccontarti la storia. –
- Prima non la sapevo, infatti. Prima avevo capito che c’era qualcosa, ma non capivo che cosa. Ora lo so. Tu sei capace di tirare fuori dal mondo tutto lo schifo che c’è e mostrarlo in bella vista. Sarai anche realista, ma le persone non la reggono, questa cosa, se non riescono a concentrarsi sulle cose belle. Tu non lo fai, ma non muori perché per te non esistono cose belle o brutte, tu potresti definire quella schifezza semplicemente una cosa interessante da guardare. Guardi il mondo che crolla e ti piace, cazzo, è vero o no? –
St. Jimmy annuì. In effetti, era stupita che lei ci fosse arrivata.
- Senti, io non ti giudico per questo. Ma le altre persone, quasi tutte le altre, hanno bisogno di qualcosa di bello per sopravvivere. Io riesco a vedere sia il bello che il brutto, diciamo, e sopravvivo. Ma lui non ci riesce, a vederli uno alla volta. Verrà schiacciato se non la smetti. –
- Non vedo cosa dovrei farci. Se si vuole fare del male da solo, che se lo faccia. – ribatté. – Te l’ho detto, ho smesso di sentirmi in colpa. Tutti quei cazzo di sogni infranti me li sono lasciati indietro e senza sogni io non sono una persona, ok? Non chiedermi di avere pietà. Sono dei pensieri che sono lì per chiunque voglia ascoltarli. Se Jesus li vuole, li avrà. Non c’è un filtro, e credo sia anche giusto che non ci sia. –
Whatsername la guardò. – Non puoi davvero essere così fredda. A te importa degli altri. Ti basta non pensare, e ti importa. –
- Magari sì, ma in questo momento sto pensando. Non voglio abbastanza bene a Jesus da smettere di pensare per lui. – Scrollò le spalle. – Comunque non lo andrò a cercare, se questo ti fa stare meglio. –
- Te lo terrò lontano. – promise l’altra.
- Ci conto. –
-
- Jesus... –
- Piantala di chiamarmi così. –
Whatsername sospirò. Ci aveva messo poco a trovarlo, il ragazzo si era andato a sedere sulla panchina di una fermata dell’autobus poco lontana. E, in effetti, dove altro sarebbe potuto andare in quella città morta? – Perché? – domandò.
- Perché... perché quel cazzo di nome me l’ha dato lei, ma non significa niente, io non sono nessuno! Non sono capace di sentirmi Dio, lo vorrei, ma non ci riesco. Te l’ho detto anche prima, Syd. E’ tutta una bugia. – La ragazza notò che stava piangendo. – E lei è... è pazza, cazzo, io... io non la capisco, non riesco a... Il fatto è che voglio parlare con lei, ma tutte le volte che lo faccio sto da schifo, e subito dopo ne voglio ancora. E’ una droga. – Si massaggiò le tempie. – Io non capisco come faccia a essere così fredda, Syd. Non lo capisco. Però lei... mi piace. Ha ragione, quello che dice fa male ma... è vero. E più ci penso più sto male e più sto male più mi sento stupido. –
Whatsername evitò di fargli notare che non voleva più essere chiamata Syd. In quel momento, doveva tenere Jesus – o Andrea, comunque volesse farsi chiamare – lontano da St. Jimmy, anche con la testa. – Senti, io penso che forse... dovresti evitarla per un po’. – mormorò.
Lui la guardò senza aprire bocca.
- Il fatto è che... lei è una persona complicata, ok? Lo so e lo sai anche tu. Se parli con lei, lei ti dice le cose come stanno, esattamente come stanno, dal suo punto di vista. E il suo punto di vista non è molto... felice, Andrea. Ma come avrai capito anche tu, sa essere molto convincente. – Sospirò. – Io non dico che racconti cazzate. Non lo fa. Dice la verità, ma non è di questa verità che hai bisogno tu ora, te ne rendi conto? Andrai fuori di testa se continui così. –
Silenzio. Per un secondo, due, tre. Poi il ragazzo sollevò la testa di scatto. – Quindi vorresti dire che dovrei continuare a raccontarmi cazzate all’infinito. – sibilò.
Lei capì che aveva completamente frainteso, ma non fece in tempo ad aprire bocca che Jesus continuò: - Tu vuoi che questa schifosa città mi ammazzi, che io venga inglobato in questa merda? E’ questo che vuoi per me o per te o per chiunque altro? St. Jimmy è l’unica maniera che abbiamo per scappare, per salvarci. –
Whatsername strinse i pugni. – Andrea, per te adesso St. Jimmy è solo un modo di morire! – sbottò. – Va bene scappare, va bene non lasciarsi andare, ma il mondo non è solo questo, non può esserlo, perché se scappare significa vedere tutto lo schifo che c’è e poi questo schifo ti fa stare così male da ucciderti allora quello che stai facendo non ha senso! Che differenza c’è tra morire in questo modo o nell’altro? –
- Almeno hai combattuto, porca miseria! Tutto questo è sbagliato! –
- E quindi pensi che sia giusto odiare tutto e tutti per l’eternità? Ma l’hai sentito quello che ha detto lei prima? Di come era diventata, a forza di vederla come la vede lei? Ecco come diventerai tu. O non ti importerà più di niente e morirai come un apatico del cazzo oppure ti ammazzerai perché fa troppo schifo, o entrambi. Lei non è morta solo perché qualcuno l’ha fatta svegliare, ma chi ci sarà a svegliare te? Pensi sul serio che a lei importi di te? No. Se gliene importasse se ne sarebbe già andata. –
Ci fu di nuovo qualche secondo di silenzio, poi Jesus le rise in faccia. – Ah, ho capito. – mormorò alla fine. – Tu sei gelosa. Sei gelosa perché lei si è portata via il ragazzo che ti ha suonato Shine on you crazy diamond... Anzi, no. – Si bloccò, come colpito da una rivelazione. – Tu non sei gelosa di me. Tu sei gelosa di lei. Tu sei innamorata di lei, e non mi vuoi tra i piedi nel tuo quadretto perfetto! –
Whatsername sentì una fitta allo stomaco. Innamorata di St. Jimmy. Poco prima era stata lei stessa a dire che non la amava. Ma che quella ragazza la affascinasse... beh, quella era una certezza. Si sentiva capacissima di sopravviverle, e tutte le volte che St. Jimmy apriva bocca riusciva a spiegare a parole pensieri per lei quasi incomprensibili che però sapeva di aver già fatto. Quindi sì, forse era innamorata di St. Jimmy, per quanto quella ragazza fosse una menefreghista e così fredda e in un certo senso quasi cattiva. “Ma poi, cattiva perché?” si chiese. “Non va a fare del male a nessuno lei. E’ la gente che va da lei a farsi ferire. Non è buona, questo no, ma non essere buoni non significa essere cattivi.” – Non hai capito niente. – rispose, parlando lentamente e cercando di calmarsi. – Io lo sto dicendo per te! –
Jesus scosse la testa. – No, non lo stai dicendo per me. – ribatté. – Lo stai dicendo perché mi vuoi fuori dai piedi. Ma la sai una cosa? Lei non ti vuole. Non quanto me, per lo meno. –
“Cazzate.” pensò Whatsername. – E allora che cosa vuoi fare? Andare da lei, parlarci, stare male e poi ricominciare tutto da capo all’infinito finché non decidi di mollare la tua vita, mollare tutto quanto e alla fine spararti? – Lo fissò dritto negli occhi. – Hai ragione quando dici che il Gesù della Periferia è una bugia e basta, lo sai? Hai perfettamente ragione. Perché tu non lo sei, e non lo sarai fino a quando non capirai che prendere in mano la tua vita significa cambiarla e non distruggerla! –
Detto questo gli diede le spalle e corse via, sentendo le lacrime rigarle il viso. Non sapeva perché le importasse così tanto. Sapeva solo che aveva fallito. Jesus non l’avrebbe ascoltata e sarebbe tornato indietro, dalla sua droga, perché per lui farsi male era l’unica possibilità, era meglio di cercare di stare bene perché era più “giusto”. “Stupido, stupido, stupido!” pensò, lasciandosi cadere per terra con la schiena contro un muro.
“E’ solo che lui vuole lei, non me. Ma lei lo ucciderà.”
Deglutì. Forse avrebbe dovuto fare come St. Jimmy. Fregarsene. Cercare di salvare le persone non dava soddisfazioni, affatto. Sarebbero dovuti essere semplicemente affari di Jesus se si fosse lasciato andare così.
Sì, però le importava. Un po’ per Jesus, un po’ forse perché era convinta che, per quanto menefreghista fosse, se qualcun altro fosse morto per colpa sua St. Jimmy si sarebbe uccisa.
“In effetti” pensò. “siamo tutti così egoisti...”
-
Quando Jesus aprì la porta ed entrò in casa trovò St. Jimmy ancora seduta a tavola. – Già tornati? – chiese la ragazza, con aria stupita.
- Lei non c’è. – ribatté lui. – E’ andata via dopo avermi detto che mi farai morire pazzo. –
- E’ andata via dopo aver detto una cosa completamente vera. – St. Jimmy alzò le spalle. – Comunque, non ha importanza. Per me puoi fare quello che vuoi. –
- Grazie della concessione, Maestà. – sbuffò il ragazzo. – Smettetela. Perché siete così convinte che io non possa capire? –
L’altra fece un sorriso triste, ma non disse niente. Sbadigliò e iniziò a lavare i piatti.
-
St. Jimmy osservò l’acqua che scorreva sulla superficie di ceramica e si sentì sorridere tristemente di nuovo.
Perché siete così convinte che io non possa capire?”
“Sei troppo chiuso, idiota. Non puoi passare da quello che eri a quello che vuoi diventare in due secondi, non puoi farlo a forza, non puoi e basta. Perché prima non vedevi niente e ora pretendi di vedere tutto. Ma se non ti abitui, il tutto ti acceca. E poi ti uccide, perché tu non sai difenderti.”

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Capitolo 12
*** She's a rebel ***


SHE’S A REBEL
(Poco dopo)
“Perché lei a me ha dato speranza e sta uccidendo lui?” Whatsername correva, non sapeva verso dove, non sapeva perché. Ma non aveva neanche una ragione per fermarsi, perciò non si fermava.
Pensò al proprio nome, a quel nuovo nome che sentiva pesare addosso in modo strano. Whatsername. Un modo di darsi una possibilità.
“Puoi essere quello che vuoi.” pensò. “Adesso non hai un nome, non hai niente che ti definisca. Puoi essere quello che ti pare e basta.”
Sì, ma lei cosa voleva essere? In quel momento, con le lacrime sul viso e la pioggia che la infradiciava, non ne aveva idea. Pioveva quasi sempre, in quella schifosa città, in quella schifosa città morta. Forse era solo che quel posto aveva bisogno di lavarsi di dosso lo schifo ogni giorno per salvare le apparenze, per attirare più gente nella sua spirale.
Quando si fermò più che fermarsi cadde a terra in ginocchio e vomitò anche l’anima. Non ce la faceva più, si sentiva marcia, spenta, quella città la stava davvero ammazzando. Chiuse gli occhi e appoggiò la testa alla parete di una casa. In testa aveva se stessa, se stessa in ogni fottuto istante della sua vita, se stessa che cercava di liberarsi dalle catene per poi finire solo in una gabbia ancora più grande, se stessa che tentava di salvare Jesus e non ci riusciva, perché essere buoni non serviva a un cazzo, perché quel posto se lo sarebbe portato via. E l’unica via d’uscita era darsi un nome, era essere St. Jimmy, essere come lei, esistere senza preoccuparsi di ferire gli altri o di curarli dalle ferite che avevano già.
“Ma io non sono lei. Non sono lei, non sono lei, non sono lei.”
Sollevò la testa verso il cielo e vide soltanto una coltre nera. Non c’era il cielo, le stelle erano morte, lei era morta e le restava semplicemente una domanda.
“E allora chi sono?”
-
Jesus era sdraiato sul divano e guardava il soffitto senza sapere cosa pensare. St. Jimmy era seduta lì accanto e leggeva, ma lui non aveva voglia di leggere. Non aveva voglia di fare niente. Gli mancava qualcosa, semplicemente.
Le lanciò un’occhiata. La ragazza teneva in mano un libro enorme e aveva le cuffie nelle orecchie. Chissà come faceva a leggere ascoltando musica. Lui non c’era mai riuscito.
A un certo punto St. Jimmy prese una penna dal tavolo e sembrò sottolineare qualcosa sulla pagina, poi si alzò e appoggiò il libro aperto a testa in giù sul tavolino e se ne andò.
Jesus lanciò un’ultima occhiata al libro, poi ricominciò a guardare il soffitto. Non si sentiva in colpa per quello che aveva detto a Whatsername. In realtà, non provava niente. Si sentiva semplicemente come se niente potesse toccarlo.
E non era affatto convinto che fosse una bella cosa.
-
Il bar dove entrò era semivuoto e caldo, e probabilmente fu quello il motivo per cui Whatsername decise di restare lì. Non aveva voglia di stare tra la gente e aveva un freddo terribile. Si sedette al banco e ordinò la cosa più forte che trovò sul menu. Le arrivò davanti un bicchiere. Troppo piccolo. Lo vuotò e fu come bere fuoco. Ne chiese un altro.
Andò avanti così per chissà quanto. Alla fine si rese conto che il barista la stava guardando. Sollevò gli occhi e incrociò quelli dell’uomo. E scoppiò a piangere di nuovo.
Lui sembrava non sapere cosa dire. Già, ovviamente non lo sapeva. Era uno sconosciuto in una città sconosciuta e lei non era nessuno.
Whatsername si trascinò giù dallo sgabello e si guardò intorno. In un angolo c’era un piccolo palco con qualche vecchio strumento. Caracollò fino alla pianola e ci si sedette davanti. Non poteva dire di saper davvero suonare, ma da piccola aveva preso lezioni per un po’. E poi aveva praticamente smesso perché detestava lo sguardo di sua madre mentre la guardava suonare.
Ma in quel momento tutto quello che voleva era buttare fuori qualcosa, qualcosa a cui non era nemmeno capace di dare il nome.
Appoggiò le dita sui tasti. Nessuno la fermò. Whatsername prese un respiro e iniziò a canticchiare suonando. Si rendeva perfettamente conto di stare sbagliando almeno metà degli accordi, ma non le importava. Non le importava di niente.
 
The snow glows white on the mountain tonight;
not a footprint to be seen.
A kingdom of isolation
and it looks like I’m the queen...
 
Pensò distrattamente che era vero. Si sentiva talmente sola...
 
The wind is bowling like this swirling storm inside;
couldn’t keep it in, Heaven knows I tried...
 
Sì, non era assolutamente capace di tenersi dentro tutto quello, ma allora a come disfarsene? A chi affidarlo?
 
“Don’t let them in”, “Don’t let them see”,
“Be the good girl you always have to be”;
“Conceal”, “Don’t feel”, “Don’t let them know”…
 
Pensò che quella era un po’ la sua storia. Il modo in cui i suoi genitori l’avevano sempre convinta a non far vedere il proprio lato ribelle, ma lei era Whatsername, lei era una ribelle.
Eppure... eppure forse non era tutto lì. Perché non era ancora cambiato niente, anche se lei si era allontanata dai suoi genitori. Perché forse non erano mai stati loro a fermarla, ma se stessa. Lei si era sempre rifiutata di farsi davvero vedere dal mondo. Perché? Per non farsi ferire.
Non aveva permesso a nessuno di conoscerla davvero, e invece forse era questo che doveva buttare fuori. Se stessa.
Era stata imprigionata in se stessa per troppo tempo.
 
Well, now they know!
Let it go, let it go,
can’t hold it back anymore...
Let it go, let it go,
turn away and slam the door.
 
E l’avrebbe fatto. Sarebbe uscita. Si sarebbe liberata dalle catene di paura che si era gettata addosso da sola.
“Sì, ma poi?”
 
I don’t care
what they’re going to say;
let the storm rage on:
the cold never bothered me anyway.
 
E poi se ne sarebbe fregata degli altri, ma non come St. Jimmy. Avrebbe ignorato le parole, semplicemente. Avrebbe guardato al cuore delle cose e ci si sarebbe tuffata, perché le parole non le bastavano più, i muri che creavano non le bastavano più.
 
It’s funny how some distance
makes everything seem small;
and the fear that once controlled me
can’t get to me at all.
 
In effetti, ora che ci pensava, si sentiva stranamente meglio. Sì, insomma, era ubriaca marcia, però non sentiva più quel peso nello stomaco. Le sembrava di essere da sola con quella pianola, persa in un’altra dimensione che in qualche modo le permetteva di vedere tutto con una calma incredibile, quasi fosse troppo piccolo per ferirla.
E, in effetti, le sembrava davvero piccolo, davvero stupido.
Forse perché per la prima volta in vita sua non ne aveva paura.
 
It’s time to see what I can do,
to test the limits and break through.
No right, no wrong, no rules for me;
I’m free!
 
No, non si sarebbe più preoccupata di fare la cosa giusta per cercare di accontentare se stessa. Avrebbe fatto quello che si sentiva di fare. Perché lei poteva essere una ribelle o una santa e non aveva importanza, finché fosse stata felice.
“Forse è questo il punto. Non importa cosa sei.”
E per la prima volta in vita sua forse capì davvero St. Jimmy. Perché anche lei era qualcosa. Era... pericolosa.
And she’s dangerous.” pensò. Già. St. Jimmy non era totalmente indifferente a tutto. Aveva un carattere di merda, questo sì. Era egoista, questo sì. Ma non era indifferente. Aveva solo preso la sua stessa decisione, stare bene, e per questo era diventata così pericolosa.
“E a un certo punto chi se ne frega se lo divento anch’io. Che tanto è tutto già troppo morto.”
 
Let it go, let it go,
I am one with wind and sky...
Let it go, let it go,
you’ll never see my cry!
Here I stand
and here I stay;
let the storm rage on...
 
Già, non avrebbe fermato il ciclone che stava crescendo dentro di lei e scalpitava per uscire. Perché si sentiva così dannatamente libera...
 
My power flurries through the air into the ground,
my soul is spiraling in frozen fractals all around
and one thought crystallizes like an icy blast...
I’m never going back,
the past is in the past!
 
E chissà se non sarebbe davvero riuscita a creare qualcosa uscendo da se stessa ed entrando in tutto. Chissà se non avrebbe creato qualcosa di suo, prima o poi.
Is she the mother of all bombs gonna detonade?
 
Let it go, let it go,
and I’ll rise like the break of dawn;
let it go, let it go,
the perfect girl is gone!
Here I stand in the light of day,
let the storm rage on:
the cold never bothered me anyway...
 
Sorrise e smise di suonare. Adesso si sentiva vuota. Aveva sputato tutto, aveva sorriso e tutto per merito di una canzone per bambini.
Non seppe mai per quanto tempo era rimasta lì, immobile, ma quando aprì gli occhi era l’alba e lei per la prima volta nella sua vita aveva il potere di fare qualcosa e sapeva come farlo.
…and she’s dangerous.


Ed eccomi qui. Non so neanche perché sono sparita. E sono tornata solo per una frase, una frase trovata in un libro che neanche compare in questo capitolo.
Eppure questo capitolo era tutto lì e ce l'ho tirato fuori. 
Beh, non ho nient'altro da dire.
Alla prossima, se ci sarà
Whatserface

 

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Capitolo 13
*** Extraordinary girl ***


Capitolo buttato giù di getto. E' cortissimo, lo so, ma dopotutto non doveva essere lungo.
In questo capitolo, semplicemente... inizia la fine.

 
EXTRAORDINARY GIRL
(Chissà quando e, soprattutto,
forse
- che magari era solo un sogno-)
St. Jimmy guardò tristemente il libro sul tavolino. Aveva quasi sperato che Jesus si alzasse e leggesse la frase che aveva sottolineato. Perché in fondo sentiva il bisogno di dirgli quelle parole, di salvarlo, perché lui stava dando fuoco al suo futuro. Ma, dopotutto, chi era lei per decidere del suo futuro?
Nessuno. No, lei non era nessuno.
E doveva soltanto lasciar perdere.
-
Whatsername entrò in casa in silenzio. Vide Jesus addormentato sul divano e un libro su un tavolino. Si avvicinò. I Miserabili di Victor Hugo. Lo tirò su, stando attenta a non perdere il segno, e lo girò. C’era una frase sottolineata. Un messaggio. Per chi?
- Dio vi benedirà. – disse. – Siete un angelo, dal momento che vi curate dei fiori. –
- No. – ella rispose. – Sono il diavolo, ma per me fa lo stesso. –
Chiuse il libro e le venne quasi da sorridere. Per me fa lo stesso. Già.
Entrò nella propria camera e trovò St. Jimmy seduta sul letto e delle parole scritte sul muro.
 
Welcome to a new kind of tension
all across the alienation;
everything isn’t meant to be ok.
 
- Sai... – disse la ragazza, senza neanche salutarla. – Ricoprimmo la scuola di questa scritta. Era lì all’infinito, perché era vera. Ed è vera anche adesso, accidenti. E’ questo che è la vita. E per salvarti devi... cosa? Forse non l’ho ancora capito. –
- Già. – concordò Whatsername. – Sei salva, ma a metà, tu. –
St. Jimmy si girò a guardarla. – In che senso... salva a metà? –
- Nel senso che tu... che non è davvero come hai detto. – mormorò. Riaprì il libro e lesse. – Per me fa lo stesso. Non è vero. Per te non fa lo stesso. – La fissò negli occhi. – Tu vuoi essere il diavolo, vuoi tenere la gente lontana da te e quando non ci riesci la distruggi. Perché vuoi qualcuno che capisca, ma nessuno riesce a capire sopravvivendo, e allora distruggi. Ma non sei felice, così. –
La ragazza deglutì. – Vattene. – mormorò.
- Io sono ancora viva. – ribatté Whatsername. – Sono ancora qui e voglio che tu capisca, cazzo, voglio vederti respirare, St. Jimmy, voglio vederti vivere, voglio che tu ti scuota perché sta ricominciando tutto da capo, come cazzo fai a non vederlo? Lei è morta per niente e tu distruggi tutto quello che hai intorno e non accetti aiuti, non accetti niente! – Le prese il viso tra le mani. – St. Jimmy, ti prego. Perché anche tu lo sai, sai che Jesus in questo momento è una guerra tra me e te, ma io non voglio combattere contro di te. Io voglio esserci, ma devi essere tu a capire che hai bisogno di me. –
St. Jimmy fece un sorriso triste. – Bisogno di te. – ripeté, lentamente. – Non ho bisogno di te. –
- St. Jimmy... –
- Non ce l’ho. Tutto qui. Perché hai ragione, le cose stanno tornando come prima. Ma c’è una cosa che è cambiata, una promessa che mi ero fatta e che ho intenzione di mantenere. –
Le appoggiò le labbra all’orecchio e le mormorò qualcosa.
Whatsername si sentì paralizzare. Quando fissò negli occhi St. Jimmy lei sorrise. – Hai capito? – chiese.
Lei sentì una lacrima scorrerle sulla guancia. – Perché? – chiese.
- Perché non sono capace di fare altrimenti. – Le sorrise. – Sei una ragazza straordinaria, Whatsername, ma sei qui per la persona sbagliata. E’ lui che puoi, che devi salvare. Non me. Mi ritiro dalla battaglia, hai vinto, hai vinto lui. Salvalo, perché così sarai felice. E credimi, il fatto che me ne importi dovrebbe farti sentire onorata. – Sorrise, ironica. – Allora... è ancora presto. Forse potrei dormire un po’ prima di cominciare. –
- No, non puoi dormire. – sussurrò Whatsername.
- Non posso? –
- No? –
- E perché? –
- Perché io ho un ultima cosa da chiederti. –
St. Jimmy sorrise di nuovo, quasi lo sapesse già?
- Cosa? –
- Se mi ami, fammi l’amore. –

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Capitolo 14
*** Letterbomb ***


LETTERBOMB
(Troppo poco tempo dopo,
stesso posto, oppure
a 2000 anni luce di distanza)
 
E quindi eccoci qui. E’ finita.
Non me ne sarei voluta andare. No, ma che dico? Certo che me ne sono voluta andare. Altrimenti perché sarei scappata?
Non riesco a sopportare questa città. Non ce la faccio più. Devo andarmene, e me ne andrò. E non vorrei lasciarvi qui, ma che altro potrei fare? Io ho la mia strada, voi la vostra. E io non voglio affondare.
E’ così, Jesus. Svegliati. Perché tu non sei nessuno, e ti stai aggrappando a delle sabbie mobili. Perché è questo che è St. Jimmy. Sabbie mobili.
Guardati intorno. Cosa vedi? Niente. Non c’è niente per te qui. Scappa. Vattene.
Sul serio. Andrea, Jesus, tu, come cazzo vuoi chiamarti, smettila e vattene. Lei non è una vita d’uscita.
Addio.
Whatsername
 
Jesus non riusciva a staccare gli occhi da quel foglio. Sentì la disperazione e la rabbia montargli dentro. “E che cosa dovrei fare, secondo te? Lei è l’unica che riesce a direzionare questo casino, porca miseria.”
Appallottolò la lettera e la lanciò nella spazzatura, uscendo di casa e sbattendo la porta.
Dietro di lui, uno sguardo lo seguì. St. Jimmy raccolse il foglio e lo lesse rapidamente. Non aveva funzionato, ovviamente non aveva funzionato. Jesus sarebbe rimasto lì con lei, perché lei era la via più facile.
No, Whatsername non ci sarebbe riuscita a salvarlo.
Strinse i pugni. “Mi dispiace, Jesus.” pensò.
E poi tornò in camera sua, prese un libro e corse fuori.
-
“La sua direzione.”
“Qual è la sua direzione?”
Jesus camminava rapido, quasi correva, le vie che gli scivolavano accanto senza che lui le vedesse. Rischiò di finire sotto un paio di auto, ma questo non lo fece rallentare.
“Che cosa significa St. Jimmy? Chi è? Perché dovrei stare lontano da lei?”
Whatsername era una ribelle, era qualcuno che era capace di prendere in mano la propria vita. E anche St. Jimmy lo era, però lei lo faceva con più facilità, in un certo senso. St. Jimmy non aveva dubbi, non aveva ripensamenti, non ne aveva mai. Perché? Come?
E fu in quel momento che Jesus ci arrivò e capì perché era sempre stato così attratto da St. Jimmy. Perché di vie d’uscite non ce n’erano senza soffrire, a parte una, e lui aveva imboccato quell’unica via per non impegnarsi troppo, per riuscire a non riflettere.
Ma quella via era a fondo chiuso.
Autodistruzione.
-
Whatsername guardò fuori dal finestrino e osservò la terra allontanarsi lentamente. Si era costretta a partire, a salire su quell’aereo, per non avere la tentazione di tornare indietro. Perché St. Jimmy non era salvabile, e se fosse rimasta neanche Jesus lo sarebbe stato. Doveva andarsene per se stessa, certo, ma anche per loro.
Chiuse gli occhi e deglutì. Cosa sarebbe successo adesso? Cosa avrebbero fatto?
Si prese il viso tra le mani. “Basta, è andata.”
 
I’m leaving it behind.

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Capitolo 15
*** Wake me up when September ends ***


WAKE ME UP WHEN SEPTEMBER ENDS
(Stesso posto,
stesso sogno)
“E che cosa dovrei fare ora?”
“Andarmene? Restare? Come si fa ad andare via da qui? I miei genitori credono in questo posto, in questa università del cazzo, in me. Stanno spendendo un sacco di soldi per mantenermi e io sono qui a pensare di scappare. Non posso scappare, Whatsername. L’unica cosa che posso fare effettivamente è autodistruggermi, perché questo posto fa schifo, e io non posso sopportare di restare qui, ma io non sono te, io non ce l’ho il coraggio di scappare.”
Jesus sollevò lo sguardo e si ritrovò a fissare il parcheggio di un supermercato fallito. Non c’era nessuno, ed era tutto così schifosamente desolato e distrutto.
“Eccolo il tuo regno, Jesus of Suburbia.” si disse, schifato. “Qui. Dovrei restare qui, secondo voi?”
E, in effetti, ci restò, in senso letterale. Perché non riusciva a staccarsi da lì. Era come bloccato perché andare avanti e tornare indietro sarebbe stato uguale e, soprattutto, inutile.
Appoggiato alla parete dall’intonaco scrostato si chiese se si era mai davvero immaginato di finire così. E capì che no, non l’aveva mai fatto. Gli era capitato di immaginarsi di tutto, ma non quello. Non di finire a consumarsi in una città morta in mezzo a centinaia di cadaveri come lui.
Capiva Whatsername. Sì, ora la capiva, la capiva sul serio. Capiva perché gli aveva urlato quelle cose. Lei aveva avuto bisogno di una spinta, per andarsene, una spinta che, non essendo servita per aiutare lui, era rimbalzata e l’aveva scaraventata via. Whatsername se n’era andata, perché nessuno si meritava di sopportare una cosa simile e, soprattutto, non se lo meritava lei. Non si meritava di stare lì a morire lentamente, circondata da una pazza e da uno stronzo che se l’era portata a letto semplicemente per bisogno di sfogarsi e che poi l’aveva scaraventata via dopo essersi trovato di meglio.
Ripensò a quel giorno così lontano in cui aveva suonato per lei. Shine on you crazy diamond, una canzone che parlava del suo nome, Syd. Un nome che sembrava destinato a una brutta fine. Ma lei l’aveva cambiato, se n’era liberata, si era liberata dalle catene ed era andata via.
E lui, invece? Che ne era stato del ragazzo che amava suonare, che trovava sempre la maniera di essere felice? Morto. Quella città l’aveva ammazzato. Le parole di St. Jimmy l’avevano ammazzato. Eppure, pensò, era stato avvertito. Lei gliel’aveva detto centinaia di volte, e anche Whatsername. Gli avevano detto di tenerla lontana, ma lui non aveva ascoltato e, adesso, non aveva altre possibilità che avvicinarsi ancora di più a lei e fare in fretta a morire.
Sentì una lacrima scivolargli sulla guancia. Una volta ricordava di aver letto qualcosa, una storiella, gli sembrava. Neanche se lo ricordava più. Si ricordava solo una frase. Dov’è finito tutto il futuro che c’era quando eravamo giovani?
Già, dov’era? Che fine aveva fatto? Come aveva fatto a sparire così velocemente, senza che lui se ne accorgesse?
Continuò a piangere, singhiozzando sempre più forte. Si sentiva sempre più stupido, sempre più finito, sempre più disperato.
Probabilmente si addormentò, anche se non avrebbe saputo dirlo con certezza. E nei suoi sogni, oppure nei suoi pensieri, qualsiasi cosa fossero, c’era il passato. C’erano le speranza di una vita. C’era un’infanzia. C’era qualcosa che era stato strappato via come un cerotto e che aveva sempre coperto la ferita della sua personalità, una ferita infetta e grondante il suo carattere orribile e la sua incapacità di sopravvivere. Già, evidentemente lui non era capace di salvarsi né lo era mai stato, e trovarsi lì da solo, in quella situazione, aveva distrutto anche le ultime apparenze che restavano e avevano portato tutto alla luce.
Magari, pensò, disperato, magari era un sogno. Un sogno e basta. E poi avrebbe aperto gli occhi e si sarebbe trovato di nuovo con tutta la vita davanti, di nuovo con migliaia di possibilità.
Ma no, non era un sogno, e sarebbe finita lì.
Però, se proprio doveva finire...
“Posso addormentarmi e svegliarmi quando finisce tutto questo? Quando il dolore se n’è andato?”
“Posso addormentarmi e morire ora?”
Ripensò a St. Jimmy e al suo racconto. A quando aveva detto che aveva cercato di ammazzarsi con un’overdose, senza essere capace di confessarsi di stare per morire. St. Jimmy aveva avuto paura, e anche lui ce l’aveva, per questo restava con lei, per questo preferiva autodistruggersi un pezzo alla volta che spararsi in testa.
“Quanto siamo stupidi, stupidi, stupidi.” pensò. “Cazzo, dovrei parlare con lei. Dovrei dirle che dovremmo deciderci tutti e due. Vivere, morire, tutto ma non questo.”
“Aiutami, St. Jimmy...”

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Capitolo 16
*** Homecoming - 1. The death of St. Jimmy ***


HOMECOMING

THE DEATH OF ST. JIMMY
(Troppo presto per dire che è finita,
troppo tardi per evitare che finisca)
 
Il viale dei sogni infranti non era mai stato bello come quella mattina. Pioveva ancora, ma era tutto stranamente pulito, reale. Non c’era mai stato niente di reale nel viale dei sogni infranti.
“Sono tornata, direi.” pensò, quasi con amarezza. “Voi ci siete ancora?”
Sì, c’erano. I suoi sogni, il suo passato. Tornò tutto e tutto insieme, e lei lo guardò e capì quanto era stata stupida. Avrebbe dovuto agire subito, fare subito quello che stava per fare adesso.
“Ma ora non lo farei se non avessi aspettato abbastanza da capire.” osservò.
E poi, con la sua valigia di sogni, si diresse verso la stazione della metropolitana.
-
Sto alla larga dalle informazioni di questa terra perché è l’unico modo di evitare un atteggiamento cinico. c’era scritto su quel libro. E lei, accanto, ci aveva scritto: Ma io non sto alla larga.
Già, non era stata alla larga. Forse era sempre stato quello il problema. Tutti quei casini, tutti quei mesi, anni che c’erano voluti per capirlo, spiegati in un’unica frase. Le venne quasi da ridere.
Lentamente, chiuse il libro. Si era fermata a leggere un po’ perché sentiva di averne bisogno. Ci sono momenti in cui hai solo bisogno di leggere, dopotutto, e lei non voleva più negarsi nulla.
Ci pensò per un secondo, poi lo riaprì alla prima pagina. Because, you know, heroes aren’t meant to survive.
Sorrise e, prendendo una penna, cancellò quella scritta, poi scribacchiò qualcos’altro. Chiuse il libro per l’ultima volta e si alzò.
Si infilò le cuffie nelle orecchie con l’unica canzone adatta a quel momento e iniziò a camminare.
 
My heart is beating from me;
I am standing all alone...
Please, call me only
if you are coming home.
 
“E dove sarebbe casa?”
“Voglio solo tornare a casa, ovunque si trovi.
The motto is a lie; it says: Home is where your heart is, but what a shame, ‘cause everyone’s heart doesn’t beat the same...
Già, ora che ci pensava non aveva mai trovato una risposta a quella domanda.
Chissà perché le cose avevano il vizio di venire in mente sempre nel momento sbagliato.
 
Waste another year flies by,
waste a night or two...
 
Già. Troppo tempo sprecato lì, in quel posto dove non sarebbe mai dovuta andare. In cui non sarebbero dovuti andare neanche Jesus e Whatsername.
 
You taught me how to live...
 
“Beh, forse è vero. Insomma, è quasi ironico, detto così, però tutto questo mi ha fatto capire qual è l’unica possibilità, dopotutto.”
 
In the street of shame,
when you’ve lost your dreams in the rain,
there’s no signs of hope;
the stems and seeds of the last of the dope...
 
Sì, aveva perso i sogni in un viale piovoso, ma ora se li era tornati a prendere.
Era cambiato qualcosa, decisamente.
 
There’s a glow of light,
the St. Jimmy is the spark in the night
bearing gifts and trust,
the fixture in the city of lust...
 
Beh, in effetti è vero. Una specie di Babbo Natale cattivo per una città cattiva, questo era stata lei.
E ora?
“Una scintilla nella notte. Posso essere una scintilla nella notte?”
Svoltò a destra e si infilò nella metropolitana. Lì dentro era il caos, c’era tanta, troppa gente. Si sentiva soffocare.
 
What the hell’s your name?
What’s your pleasure and what is your pain?
Do you dream too much?
Do you think what you need is a crutch?
 
Già, quali erano i loro veri nomi? Il suo, quello di Whatsername, quello di Jesus? E dove li avrebbero portati?
“Il mio e St. Jimmy.” decise. “E mi porta semplicemente dove va a finire St. Jimmy.”
Iniziò a farsi strada tra la folla con urgenza, quasi. Si mise a correre, spingendo di lato la gente. Troppa, troppa gente. Quasi tutti fossero lì a guardarla.
A guardarla fissare la morte in faccia.
St. Jimmy si bloccò. Fissò le rotaie. Non si fermò a chiedersi se fosse sbagliato, perché altrimenti avrebbe cambiato idea.
Gettò il libro sul pavimento si slanciò in avanti.
-
Jesus entrò nella stazione della metropolitana, quella dove erano andati a recuperare le cose di St. Jimmy la prima notte. Dio, sembrava passata un’eternità.
Eppure, il posto era affollatissimo, così tanto che sembrava impossibile riuscire a prendere il treno.
- Che succede? – domandò a un uomo accanto a lui.
- E’ morta una ragazza. Si è buttata sotto il treno. –
Jesus deglutì. Una ragazza morta suicida. Visto come si sentiva, ci sarebbe potuto essere lui al suo posto.
Fece per allontanarsi, perché non sopportava l’idea di rimanere lì, ma c’era veramente troppa gente. Si avvicinò alla parete e lì riuscì a scivolare tra i curiosi. Curiosi di cosa, poi? Di vedere cosa li aspettava prima o poi nella loro vita e di rallegrarsi che non fosse ancora il momento?
All’improvviso inciampò in qualcosa. Imprecò e si chinò a vedere cosa fosse. Era... un libro. Un libro che aveva già visto da qualche parte. L’avevano calpestato così tante volte che la copertina era a pezzi, ma lui riusciva a intravedere la fotografia di un uomo. La fotografia di...
Si bloccò, sentendosi gelare. Scostò la copertina, che cadde sul pavimento, rotta. I suoi occhi incrociarono una scritta in una calligrafia fin troppo familiare.
 
Jimmy died today,
he blew his brain out into the bay.
In the states of mine
it’s my own private suicide.

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Capitolo 17
*** Homecoming - 2. East 12 St. ***


HOMECOMING
EAST 12 ST.
(Troppo poco dopo)
 
Jesus aveva sempre adorato le sigarette dopo il caffè.
Ma, adesso, appoggiato alla parete appena fuori da un bar, non ne sentiva neanche il sapore. Non aveva neanche idea di quante ne avesse già fumate. Aveva comprato un pacchetto uscendo dalla metropolitana dopo aver vomitato per terra. Aveva buttato il libro in un angolo e l’aveva lasciato lì, perché non aveva il coraggio di portarselo dietro e continuava a fumare furiosamente soltanto per tenersi abbastanza impegnato.
“Perché?”
Ecco, l’aveva pensato. Ci si era impegnato, a scacciare quella domanda, ma alla fine era riuscita a farsi strada nonostante la cortina di fumo di sigaretta e, adesso, esigeva una risposta.
Deglutì e sentì la lingua quasi anestetizzata dalle troppe sigarette. Spense il mozzicone di quella che aveva in mano contro la parete, lasciando l’ennesima striscia di cenere sull’intonaco, e deglutì un paio di volte per cercare di riacquistare sensibilità in bocca, solo per perdere tempo. Poi rovesciò la testa all’indietro e prese un paio di respiri. Anche l’aria piena di smog gli sembrava pulita, adesso.
“Che cosa pensavi quando ti sei buttata sotto il treno?”
“Non era mai finita, vero? Quella storia. Non era mai davvero finita. Tu continuavi a pensarci. Hai provato a vivere di nuovo, ma poi... ma poi hai lasciato perdere, perché non stava funzionando. In effetti, St. Jimmy, che cosa avevi ottenuto? Niente. Eri solo riuscita a distruggermi.”
Jesus sentì una lacrima scivolargli sulla guancia. O forse era una goccia di pioggia? Gli sembrava che non ci fosse nessuna differenza.
“Lei se n’è andata. Tu te ne sei andata. E... e io non sono nessuno, cazzo. Perché io sono arrivato qui con una vita, e voi me l’avete massacrata, e adesso ve ne siete andate per evitare di fare altri danni, ma qui ci sono rimaste solo le macerie. Come cazzo fate a non capirlo?”
Jesus si piegò sulle ginocchia e vomitò di nuovo, stringendosi le braccia attorno all’addome. “Che cazzo dovrei fare adesso, secondo voi?”
Si tirò su e barcollò fino all’angolo della strada. Deglutì cercando di ricacciare indietro l’ennesimo conato di vomito.
- Che cazzo devo fare? – urlò, la voce spezzata dal pianto.
Qualche passante si girò, nessuno rispose.
“Dove cazzo sono tutti? Dove cazzo è la gente, dove cazzo è Dio, se c’è? Come ha potuto farmi questo, come avete potuto?”
Fece qualche altro passo. Faceva freddo, ma non abbastanza da farlo sentire sveglio. Cercò di calmare il respiro riempiendo i polmoni e svuotandoli, riempiendoli e svuotandoli.
E allora cosa dovrei fare? Beh, diventa tu Gesù, così almeno puoi risolverti tutti i problemi che vuoi.
Il primo discorso che aveva fatto con St. Jimmy. L’ultimo qual era stato? Nessuno, niente degno di nota.
Già, perché non lo sai mai qual è l’ultimo discorso.
“Dovrei morire anche io, adesso?” si chiese, osservando la strada. Una strada vuota, troppo vuota nonostante la gente, perché per lui non c’era nessuno.
Beh, diventa tu Gesù, così almeno puoi risolverti tutti i problemi che vuoi.
Non riesco a sopportare questa città. Non ce la faccio più.
Jesus sollevò lo sguardo. Non vedeva il cielo, non vedeva niente. C’era soltanto un enorme vuoto, il vuoto di quella città morta. Whatsername aveva avuto ragione ad andarsene. Ma lui? Lui cosa avrebbe potuto fare?
“Jesus of Suburbia. Cazzo, tu sei il Gesù della Periferia. O fai solo finta di esserlo? Ti sei dato un nome per darti una possibilità. E ancora non te la sei giocata.”
Pensò a quello che aveva detto tempo prima. Che il Gesù della Periferia era solo una bugia.
E se... e se non fosse stato così?
-
Il rumore della penna che grattava sul foglio era troppo forte, troppo penetrante. Jesus firmò quasi con lentezza, perché più veloce non riusciva a fare, anche se non vedeva l’ora di essere fuori da lì. Perché ormai aveva deciso, ormai aveva capito.
Consegnò i fogli per le dimissioni alla segretaria e si alzò dalla scrivania. Non voleva altro che un altro pacchetto di sigarette, ma in treno era vietato fumare, perciò lasciò perdere. Uscendo dalla stanza strinse la mano sulla maniglia della valigia.
Un’ora dopo stava partendo, e neanche sapeva per dove.

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Capitolo 18
*** Homecoming - 3. Nobody likes you ***


HOMECOMING
NOBODY LIKES YOU
(Non importa quando,
importa che è successo troppe volte)
 
Il treno era pieno di occhi.
Jesus li sentiva tutti, e tutti su di lui, anche se nessuno lo stava davvero guardando. Occhi cattivi, ostili, gelidi.
Chiuse i suoi per cercare di non vedere e si appoggiò allo schienale. Aveva voglia di vomitare, di nuovo. Non sapeva neanche cosa stesse facendo, sapeva solo che aveva bisogno di farlo e di sparire.
Non aveva provato a chiamare Whatsername. Se anche le fosse importato – e non ne era affatto sicuro – comunque non sarebbe tornata. Lei era scappata per fare qualcosa della sua vita, e anche lui avrebbe dovuto farlo, effettivamente. Sì, ma come? Si sentiva solo, perso, incastrato nella realtà.
“Non piaci a nessuno, idiota. Non sei nessuno. Hai mollato tutto quello che avresti potuto fare, non è rimasto niente della tua vecchia vita. I tuoi genitori ti odiano perché hai rinunciato all’Università. Non hai soldi, non hai un posto dove andare, non hai nessuno con cui parlare. Tu non esisti, Jesus!”
Quella voce nella sua testa gli stava quasi facendo venire voglia di tornare indietro. Avrebbe potuto rimediare a quello che aveva fatto, forse. Ma poi ripensava a St. Jimmy sotto il treno. Alle ultime parole di Whatsername. E si convinceva che non era lì che doveva andare.
Sì, ma allora dove, cazzo, dove?
“Non sei nessuno, idiota. Nessuno, nessuno, nessuno. E nessuna di loro due tornerà.”

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Capitolo 19
*** Homecoming - 4. Rock n' roll girlfriend ***


HOMECOMING
ROCK N’ ROLL GIRLFRIEND
(Vari momenti,
un po’ ovunque)
 
Aveva perso il conto dei bicchieri, eppure la cosa non lo preoccupava minimamente. Come avrebbe potuto? Dopotutto si stava divertendo. Sentì le labbra gonfie di silicone della donna seduta sulle sue ginocchia premere sulle sue. Una bella donna, un po’ più vecchia di quanto cercasse di apparire, ma tanto che importanza aveva? Domani neanche si sarebbe ricordata di lui, e probabilmente neanche lui di lei. Chissà se sarebbe riuscito a dimenticare anche... cosa? Gli venne da ridere. Beh, a quanto pareva ce l’aveva fatta.
Scopare con quella donna fu quasi meccanico, soprattutto perché lui aveva la testa altrove. Anzi, gli sembrava quasi che fosse scomparsa, la sua testa, che fosse finita chissà dove.
Beh, non aveva importanza.
 -
Incinta.
Aveva messo quella fottuta donna incinta.
Si prese la testa tra le mani. Quella schifosa puttana. Perché cazzo non poteva abortire? Che problemi aveva?
Io sto per avere un figlio e tu devi prendertene la responsabilità.” Continuava a sentire la sua voce irritante di quella schifosa puttana. Possibile che, tra tutti gli uomini con cui sicuramente andava a letto giornalmente, fosse convinta di essere incinta proprio di lui?
Si guardò allo specchio. Occhiaie, occhi rossi di pianto. La voce nella sua testa tornò a farsi sentire. “Beh, direi che sei fottuto, Jesus.”
 -
- Sei uno schifoso buono a nulla! –
La voce di quella donna era talmente acuta che prima o poi avrebbe mandato un vetro in frantumi, Jesus ne era praticamente certo. Sbuffò. Non ne poteva più di lei. Non ne poteva davvero più. – Sei tu che mi hai sposato, tesoro. Eppure, dato che mi hai conosciuto mentre ero ad ubriacarmi in quello schifo di locale, avresti dovuto capire subito con chi avevi a che fare. Ma non mi stupisco, visto che da brava puttana che sei fai in modo di sfruttare sempre al massimo i tuoi clienti. –
Lei gli mollò un ceffone. Jesus si passò una mano sulla guancia e gli ultimi due anni gli passarono davanti agli occhi in pochi secondi. Tutto lo schifo degli ultimi due anni, soprattutto. – Picchiarmi non cambierà le cose. Sei una troia, lo sei sempre stata e sempre lo sarai. Sarebbe stato molto meglio per quel bambino se tu avessi abortito, almeno non avrebbe dovuto avere una madre come te. – Sbadigliò. – E ora se permetti vado a dormire, visto che ho passato la giornata a lavorare per mantenere te. –
Un altro schiaffo. – Fuori da questa casa! Fuori! Non voglio mai più avere niente a che fare con te! –
Lui obbedì senza commentare. E non appena la porta si chiuse alle sue spalle, gli venne da ridere. E rise, rise di disperazione. E di sollievo.
“Arrivederci, puttana.”
 -
Si era tenuta il bambino. E anche quasi tutti i soldi. Aveva poca importanza, contava solo il fatto che non avrebbe dovuto contribuire agli alimenti di quello schifoso poppante. Era suo figlio, ma lo odiava per il semplice fatto che era anche figlio della sua ormai ex moglie.
Uscendo dall’aula del tribunale salì direttamente in macchina. Le sue cose erano già tutte lì, e lui aveva bisogno di scappare in un posto dove non avrebbe più potuto fare del male a se stesso.
“Morire o ricominciare, Jesus. Scegli. Perché così non puoi andare avanti.”
 -
Eppure, e ogni tanto la cosa lo faceva quasi ridere, andò avanti così davvero per un bel po’.

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Capitolo 20
*** Homecoming - 5. We're coming home again ***


HOMECOMING
WE’RE COMING HOME AGAIN
(Sulla strada verso casa.
Ma, ora che ci penso, dov’è casa?)
 
Successe in un bar. Troppi anni dopo.
Successe davanti a un bicchiere di Coca-Cola mescolata con un po’ di birra chiara.
Se l’avesse saputo prima, Jesus avrebbe scelto qualcosa di migliore da bere quella sera. Per esempio un bicchiere di rum di quello invecchiato cinquant’anni della Zacapa, o un Blue Label. Già, sarebbe stato disposto anche a spendere parecchio, pur di avere davanti qualcosa di un po’ più pittoresco, quando la incontrò. Anche del Seven Up mescolato alla birra sarebbe stato migliore. Almeno sarebbe stato come in quella vecchia canzone di Guccini quando dice La ragazza dietro il banco mescolava birra chiara e Seven Up, e il sorriso da fossette e denti era da pubblicità...
E invece no. Coca-Cola e birra in un minuscolo buco di periferia, in un giorno in cui non voleva ubriacarsi ma nemmeno pensare.
Il giorno in cui la vide dopo dieci anni.
Lei si sedette al banco e ordinò. Anche lei niente di particolarmente pittoresco o speciale, solo un bicchiere di prosecco e Campari con l’aggiunta di qualche nocciolina piluccata da una ciotola sul banco.
La vide solo dopo un po’. E non si sentì neanche particolarmente stupito o sconvolto. Insomma, provò qualcosa, ma non tanto come si sarebbe aspettato... se mai avesse immaginato quell’incontro. Ma tanto non l’aveva mai fatto. Forse era per questo che le sue sensazioni erano piuttosto sbagliate.
Anzi, lo era tutto, sbagliato. La situazione, il loro silenzio, l’ignorarsi volontario... o forse no. Non sembrava che lei l’avesse visto o tantomeno riconosciuto. Jesus sapeva di essere cambiato, e anche lei era cambiata.
Ma non aveva troppa importanza. Perché lui non voleva andarsene. E, sì, era strano. Perché per anni aveva sempre avuto la necessità di scappare chissà dove e da chissà cosa.
E invece ora prese solo un sorso di Coca-Cola e birra chiara. Magari lei se ne sarebbe andata e basta, se non avesse parlato. Valutò l’idea. Forse sarebbe stato meglio. Dopotutto, lei se n’era andata.
Eppure lui non stava più cercando una casa, ora. Ora era arrivato a destinazione, anche se non sapeva ancora come chiamarla.
- Remember when you were young. – sussurrò. – You shone like the sun...
Lei lo sentì. Si girò. – Shine on you crazy diamond. – concluse. Poi disse: - Ciao. –
Un “ciao” come migliaia, milioni di altri. Ma andava bene, in qualche modo.
- Ciao. – rispose Jesus.
Non le chiese cosa ci facesse lì. Non le chiese cosa fosse successo fino ad allora, se avesse realizzato il suo sogno. E neanche lei lo chiese a lui. Restarono lì, lui a tamburellare con le dita sul bancone e lei a sorseggiare il suo aperitivo, per un tempo che sembrò infinito. E andava tutto bene. In qualche modo andava tutto bene.
- E’ assurdo. – disse all’improvviso lui.
- Cosa? –
- Il fatto che questo non mi sembri per niente assurdo. –
Lei scrollò le spalle. – Che ci vuoi fare. – Deglutì. – Non... non mi aspettavo di vederti. –
- Nemmeno io. Ma non ha importanza. – Finì la sua birra. – Immagino che... che siano cose che succedono. –
- Oppure no. –
- Oppure no. – concordò lui. – Se vuoi possiamo fare finta che non sia mai capitato. Puoi... tornare alla tua vita. –
- Non stasera. – rispose Whatsername. – Sono appena uscita. Fammi respirare un secondo prima di tornarci. –
- Perché respirare proprio oggi? –
- Perché ho voglia di farmi del male. Tu perché proprio oggi? –
- Perché ogni giorno è buono per respirare... e lei ha trovato la forza di ammazzarsi. Magari ci riesco anche io, uno di questi giorni. – Gli venne da piangere. Non piangeva dalla notte prima che la vita, che quella donna incinta di suo figlio, gli crollasse addosso. E anche quella volta aveva pianto per St. Jimmy, e per Whatsername.
- Mi faceva del male, lo so. – continuò. – Lei mi faceva male. Tu no, tu tutto il contrario, ma... ma non mi salvavi abbastanza comunque. Neanche la sua morte mi ha salvato abbastanza. Evidentemente devo soltanto distruggermi. – Sospirò. – Tu sapevi che si sarebbe uccisa? –
- Sì. Sì, me l’aveva detto. –
- E perché non l’hai fermata? –
- Perché non ne ero capace... o forse perché non volevo. Forse il punto è che non avrei dovuto lasciare tutto. E lei sarebbe dovuta essere meno distruttiva. E tu più forte. –
- Pensi davvero che ci saremmo mai riusciti? – Gli venne quasi da ridere. Ovviamente no.
- No. Eravamo troppo convinti che fosse una questione di vita o di morte, e lo era. Avremmo dovuto trasformarla in una cosa un po’ più leggera, forse. Ora saprei farlo, in un certo senso. –
- Sì, ma mancherebbe lei ad aprirti gli occhi quando stai sognando troppo. – ribatté Jesus. – Senza di lei non funziona. –
- Neanche senza di te, se è per questo. Perché mi farei prendere troppo. –
- E senza di te io mi farei sommergere da tutto. E senza di noi lei... lei sarebbe collassata. Lo ha fatto, in effetti. Oppure no. Forse per lei non è mai stato un problema morire. –
- No. – concordò. – Però forse se le cose fossero andate diversamente avrebbero funzionato. –
- Ma non lo hanno fatto. –
- Non lo hanno fatto. –
Ci fu qualche secondo di silenzio, ma era un bel silenzio. – Tu sai dove l’hanno seppellita? –
Lui scosse la testa. – Neanche sapevo il suo nome, a dire il vero. Non sapevamo niente di lei. –
Lei rise. – Hai ragione. Forse la vera Whatsername era lei. Perché nessuno ha idea di chi fosse davvero. –

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Capitolo 21
*** Whatsername ***


WHATSERNAME
(Dove è cominciato tutto,
perché inizio e fine non sono mai così diversi)

La strada era buia. Persino le case sembravano riflettere l’ombra che si riversava sull’asfalto nero, e i lampioni non sembravano in grado di impedirlo.
- E’ qui, vero? –
- Sì. –
Whatsername accostò la macchina al marciapiede e i due si guardarono.
- Forse avremmo dovuto portare dei fiori. – osservò Jesus, quasi ironico.
- Non le sarebbero piaciuti. – ribatté lei. Ingoiò aria. – Scendiamo? –
- Che altro potremmo fare? – Jesus aprì la portiera, ma nonostante si fosse fatto coraggio esitò un secondo prima di scendere nell’aria fredda della notte.
Nonostante fosse davvero tardi, la strada non era deserta. C’era un uomo che camminava parlando al telefono. Un barbone appoggiato al muro. Passava qualche auto, anche.
Jesus tese una mano e Whatsername la strinse mentre arrivavano alla porta del palazzo. Il palazzo del loro appartamento. Non c’era niente che restasse di ciò che avevano passato, lì, ma dove altro sarebbero potuti andare?
- Ed eccoci qui. – sussurrò lei.
Lui non ribatté. – Direi che è la dimostrazione che alla fine non resta proprio un cazzo di niente. – Deglutì. – Mi manca. In modo strano, ma mi manca. –
- Anche a me manca. – rispose Whatsername. – E... mi piacerebbe quasi pensare che sia colpa mia, che se fossi rimasta non se ne sarebbe andata. Ma... ma penso che farsi prendere dai sensi di colpa sarebbe piuttosto inutile. Avrebbe fatto comunque di testa sua, era già collassato tutto. Avremmo dovuto frenare le cose dall’inizio, oppure ancora prima. Quando ci siamo incontrati stavano già precipitando. –
- E lo fanno ancora. – mormorò Jesus. – Non si fermano mai. –
- Finché non ti schianti. –
- Contro quale muro? –
Restarono in silenzio per un po’, stringendosi ancora la mano. – Che siamo venuti a fare qui, Jesus? – domandò Whatsername.
- Che cosa saremmo stati a fare da qualsiasi altra parte? – Alzò le spalle. – Immagino che abbiamo il diritto di piangere un po’. –
- Beh, sì, forse potrebbe essere un’idea. –
- Mh. Piangere. Potrei quasi sentirmi onorata. –
Un secondo di gelo.
Il lampione più vicino a loro disegnava una chiazza di inutile luce attorno a una persona appoggiata al palo. Quasi fosse un’aureola.
Jesus deglutì.
La donna sorrise, gli occhi ancora nascosti dalla visiera del cappello che indossava. – Dieci anni. E’ un sacco di tempo, vero? –
- Sei... viva. –
- Direi. Non credo che i morti parlino. – Un altro sorriso. Lei si staccò dal lampione e si avvicinò – Anche voi siete vivi, direi. –
- Ma tu ti sei... tu ti sei buttata sotto un treno. –
- Non direi. Una ragazza si è buttata sotto un treno. Mentre entravo in metropolitana per andare verso il palazzo dal quale volevo buttarmi. – Lei scrollò le spalle. – Una specie di segno del destino. Ho deciso di... di fare un azzardo. Di fare solo finta di morire. –
- Non è da te fare azzardi di questo tipo. – mormorò Whatsername.
- Ma direi che siamo un po’ cambiati tutti e tre. – Sorrise di nuovo. – E ora siamo qui. –
- Ora siamo qui. E questo sarebbe... –
- ...un altro azzardo. – concluse St. Jimmy. – Già. Che ci vuoi fare? Ultimamente mi sento spericolata. –
- Da quanto sei qui? –
- Da troppo tempo. –
Whatsername ricambiò il sorriso. – In effetti... hai ragione. – Guardò Jesus. – Forse sarebbe il caso di... –
Lui ingoiò aria. E poi... poi anche lui sorrise. – Di andare via. –

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