Take My Hand

di Yoan Seiyryu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hello Captain, I'm the Mad Hatter ***
Capitolo 2: *** 1 - Howl ***
Capitolo 3: *** 2 - Just a name ***
Capitolo 4: *** 3 - Alive ***
Capitolo 5: *** 4 - Books and Blood ***
Capitolo 6: *** 5 - Revenge ***
Capitolo 7: *** 6 - Prison ***
Capitolo 8: *** 7 - Freedom ***



Capitolo 1
*** Hello Captain, I'm the Mad Hatter ***


 




 

Prologo

Hello Captain, I'm the Mad Hatter




 

 
 

“Capitano” la voce del suo secondo lo riportò all’attenzione “abbiamo un ospite indesiderato”.
A Killian Jones non piacque quella notizia. Peter Pan e i suoi scagnozzi spesso disturbavano la sua breve rotta da un capo all’altro dell’isola e detestava doverli incontrare, anche se per scambiare poche parole.
Finse di non aver udito ed iniziò ad osservare l’uncino che aveva appena terminato di lucidare, rispecchiandovi in esso. Incontrare i propri occhi nell’arma con cui avrebbe ucciso il Coccodrillo gli ricordava il suo incessante desiderio di vendetta e mai avrebbe dimenticato la sua missione. Mai.
“Capitano…” fu richiamato ancora una volta.
Gli occhi limpidi ed azzurri come le profondità dell’oceano si volsero verso il secondo e dalle labbra uscì un sospiro che lasciava intravedere la stanchezza e il desiderio di rimanere da solo.
“Di chi si tratta?” domandò pazientemente Killian.
“Non ne abbiamo idea Capitano, è saltato fuori da un cilindro o qualcosa di simile. Alcuni dicono di averlo visto cadere dal cielo” si affrettò a rispondere il pirata che si strinse nelle spalle.
Killian inarcò un sopracciglio, non poteva trattarsi di uno dei Bambini Sperduti di Peter Pan ed in ogni caso i suoi uomini avevano già iniziato a tirare fuori storie improbabili a riguardo. I marinai erano sempre stati noti per la loro inventiva e la paura che ne facevano derivare, doveva porre rimedio a quell’inconveniente il prima possibile.
Una volta uscito dalla cabina si diresse verso il ponte per capire lui stesso il motivo di tanta agitazione. Si fermò davanti all’albero maestro quando i suoi occhi incontrarono quelli dell’intruso, anche se fu colpito più dalla sua smorfia divertiva. Due dei suoi pirati lo tenevano per ambo le braccia così da evitare una possibile fuga e lo gettarono davanti al Capitano perché si prostrasse ai suoi piedi in segno di rispetto.
L’indesiderato iniziò a gesticolare con le mani segnalando di voler essere lasciato libero, ma Killian non gli concesse nulla e anzi andò ad incrociare le braccia al petto per guardarlo dall’alto verso il basso.
“Piombato dal cielo sulla mia nave:  non è una cosa da tutti i giorni” fece schioccare la lingua, prima di sedersi sul bordo del parapetto e lanciargli uno sguardo vagamente disgustato.
“Il che dipende dai punti di vista” rispose l’altro, arrendendosi alla stretta dei due marinai che lo tenevano malamente.
L’aria salmastra e l’umidità lo avevano avvolto immediatamente da quando era sopraggiunto sulla Jolly Roger. Detestava il mare e il non poter mettere piede a terra, gli mancava la sicurezza di poter fuggire se le cose avessero preso una brutta piega.
“Io non credo nei punti di vista. La verità è unica e sola e non c’è nulla che si possa fare per cambiarla” sussurrò il Capitano,  che prese a studiare l’uomo  che tirò le labbra un’espressione annoiata.
Roteò gli occhi al cielo e abbandonò per un attimo la testa verso il basso.
“Non sono qui per ricevere una predica, per quanto sia interessante ascoltare i vaneggiamenti di un uomo di mare, il tempo sta scadendo ed io dovrei tornarmene  da dove sono venuto” accompagnò le parole sempre gesticolando, facendo segno di avere fretta.

Tic Tac. Tic Tac. Non era questo il suono che ha accompagnato la perdita della tua mano sinistra, Hook? Tic Tac. Ricordi, è stato il Coccodrillo a cercare di annientarti. Il Coccodrillo. Tic Tac.

“E’ proprio questo il punto” rispose il Capitano, lanciandogli uno sguardo colmo d’ira con cui quasi fece spaventare il nuovo venuto “da dove vieni? Come hai fatto ad arrivare sin qui? Chi sei?”.
In risposta ricevette uno sbuffo piuttosto infastidito, non amava dare risposte e non si preoccupava affatto di darlo a vedere.
“Prima di tutto, l’ordine delle domande è errato” inclinò la testa da una parte “secondo di tutto, dovresti porre una domanda alla volta Capitano. La curiosità non ti dà mai le risposte che desideri” schioccò la lingua sul palato per poi sorridere.
Il pirata si avventò su di lui, puntandogli contro l’uncino che andò a premere sulla gola, di modo che la compressione fosse abbastanza forte da bloccargli il respiro per qualche secondo. La vittima tirò in basso le labbra, in segno di tristezza, ma non parve così preoccupato come avrebbe dovuto mostrarsi.
“E va bene, non forziamo troppo la mano” quella battuta insulsa non fece che peggiorare la situazione perché questa volta si vide puntare anche un coltello all’altezza dello sterno. Intanto gli uomini che lo tenevano lasciarono la presa, spesso la furia del Capitano bastava a sconfiggere più nemici assieme.
“Ho capito, l’ironia non fa per te” gli allontanò l’uncino dalla gola e fece un passo indietro per scostarsi dalla lama “da dove vengo? Dalla Foresta Incantata. Come ho fatto ad arrivare fin qui? I tuoi topi di fogna hanno preso la mia risposta e la vorrei indietro. Chi sono? Jefferson, umilmente” si inchinò appena tanto da sembrare una messinscena bella e buona. “Ma hai dimenticato la domanda più importante: perché sono qui?”.
Capitan Hook, così come veniva grottescamente nominato, sgranò lievemente gli occhi. Quell’uomo, Jefferson, proveniva dalla Foresta Incantata. Un paese che aveva lasciato molto tempo fa per rifugiarsi in un luogo in cui il tempo non scorreva mai, per trovare il modo di consumare la propria vendetta.

Tic Tac. Tic Tac.

Per raggiungere Neverland c’era bisogno di un portale, dunque Jefferson doveva averne usato uno, forse anche lui era entrato in possesso di un fagiolo magico e probabilmente doveva averne degli altri visto che gli premeva tanto tornare da dove era venuto.
Il Capitano rifletté sull’eventualità di sfruttare la presenza di quell’uomo a bordo della sua nave, per anni aveva cercato un modo per ritornare alla Foresta Incantata e forse era giunto il momento di abbandonare Neverland.
Il suo secondo si avvicinò, interrompendo il corso dei suoi pensieri per consegnargli un cilindro nero appariscente e dall’opinabile gusto. Gli sussurrò all’orecchio che alcuni lo avevano visto uscire da lì. Quando Jefferson vide il cappello si inumidì le labbra e vi agganciò gli occhi per non perderlo di vista.
“Allora qual è il motivo per cui sei arrivato qui, desideri un’esecuzione veloce?” domandò con un sogghigno Killian, almeno si sarebbe divertito ad intrattenere il suo equipaggio.
Prima di ogni cosa desiderava scoprire i reali motivi di quell’arrivo così stupefacente.
“No” visto che si era liberato degli aguzzini Jefferson si portò una mano al collo “vorrei tenere la testa sulle spalle, se non ti dispiace. In ogni caso sono qui per un semplice motivo: hai qualcosa che mi interessa portare alla Foresta Incantata”.
Capitan Hook aggrottò appena le sopracciglia, non avrebbe immaginato che quell’uomo fosse interessato ad uno dei suoi tesori perché di certo doveva trattarsi di qualcosa di simile.
“Cosa ti fa credere che, a qualunque cosa tu alluda, io deciderò di dartela?” la domanda fu accolta senza alcuna sorpresa.
“Perché credo che la mia offerta possa interessarti”.
Jefferson a dire il vero detestava giungere a patti con qualcuno, proprio perché era legato ad un accordo con il suo datore di lavoro che non era altri che Tremotino, il Signore Oscuro.
Per ottenere oro, ricchezza e benessere aveva messo a disposizione la sua abilità nel passare i varchi dei mondi magici e procurargli ciò di cui aveva bisogno, ma a modo suo. Tremotino quella volta aveva bisogno dell’inchiostro che le Sirene di Neverland custodivano gelosamente ed impossessarsene direttamente sarebbe stato decisamente rischioso ed irrealizzabile, era un estraneo in quel mondo e non poteva permettersi di perdere la vita.
Il Capitano Hook al contrario, era riuscito a procurarsene un po’ sottraendolo con l’inganno ad una sirena per rivenderlo poi al migliore offerente. Dunque perché rischiare la vita se poteva giocare d’astuzia?
“Sentiamo la tua proposta” disse Killian tenendo sempre le braccia incrociate al petto.
Jefferson sorrise all’angolo delle labbra e si affrettò a rispondere: “Consegnami l’inchiostro magico e in cambio ti condurrò alla Foresta Incantata” in più prevenne una possibile domande e poiché detestava dare risposte si limitò ad aggiungere “il cilindrò sarà il nostro mezzo di trasporto, ma possiamo attraversarlo solo in due. Possono entrarvi lo stesso numero di persone che hanno attraversato il varco, è la legge del cappello”.
Il Capitano non si sentì di dare una risposta immediata, c’era qualcosa negli occhi di quell’uomo che non riusciva a lasciarlo andare. Non si fidava ma al tempo stesso desiderava più di ogni altra cosa lasciare quell’isola maledetta.
“Per quale motivo desideri tanto l’inchiostro?” insistette Killian.


Ancora domande. Domande. Solo in un posto si fanno così tante domande e di certo non è Neverland.

“Affari miei, non scendiamo nei particolari” Jefferson cercò di sviare subito la conversazione.
Non poteva rivelargli alcunché su Tremotino visto che conosceva perfettamente il passato che lo legava al Capitano e sapeva anche di quanto desiderasse far ritorno alla Foresta Incantata.
“Sei arrivato sin qui sapendo già che ti avrei seguito. Perché?”
“Nemmeno un Capitano coraggioso vorrebbe trascorrere tutta la sua vita a Neverland. Quest’isola appartiene solo all’Ombra e nessuno può vivere qui senza esserne risucchiato” in fondo Jefferson diceva la verità.
Killian non poté controbattere a quell’osservazione, dunque lanciò un’occhiata attenta al cilindro e gli sorse spontanea un’altra domanda, cosa che infastidì ulteriormente Jefferson.
“Hai detto che secondo la legge del cappello può tornare indietro lo stesso numero di persone che vi sono entrate. Ma tu sei arrivato qui da solo”.
Jefferson tirò su col naso, poiché era libero di muoversi si incamminò verso la balaustra dove Killian era appoggiato e gettò un’occhiata verso le onde che battevano sulla linea di galleggiamento della Jolly Roger.
“Sicuro?”
Il Capitano si avvicinò per fare lo stesso e sporgendosi notò la figura di un uomo che tingeva l’acqua di rosso. Era stato ucciso e ciò implicava il fatto che non ci si potesse fidare di Jefferson, ma in fondo non poteva giudicarlo per un atto che lui stesso avrebbe compiuto senza il minimo senso di colpa. Non fece più alcuna domanda visto che si era convinto a seguirlo. C’era qualcosa di simile nei loro occhi, qualcosa che li accomunava e per questo Killian prese la sua decisione. L’accordo fu sancito da una stretta di mano e mandò un sottoposto a prendere la boccetta d’inchiostro magico per poterglielo consegnare. Jefferson riuscì a riappropriarsi del cilindro e senza perdere tempo, visto che era molto tardi, lo gettò sul ponte davanti a sé perché il varco potesse aprirsi

Quando riaprirò gli occhi non ci sarà più alcuna isola, alcuna ombra a tormentarmi, alcun ticchettio di orologi nella mia testa.

Entrambi furono risucchiati dal vortice magico che li trascinò lontani da Neverland per raggiungere la Foresta Incantata.

Ecco, in questo modo non potrà più porre nessuna domanda.






 

// Nda: 

Ed ecco qui questo nuovo esperimento, una storia in cui si intrecceranno le vicende di Jefferson e di Killian Jones. Informo subito che i primi capitoli seguiranno gli episodi distaccati sia dell'uno che dell'altro, i quali si rincontreranno relativamente presto. In più posso dire riguardo a Jefferson che in questo caso ho scelto di descriverlo nel momento in cui lavora per Tremotino e quindi quando ancora non si comporta da bravo padre di famiglia.
Il banner è stato realizzato dalla pagina facebook: "Once upon a time graphic". 
Queste due coppie sono le mie OTP (sì, non ne ho mai soltanto una xD e soprattutto deve essere Crack) e mi auguro di aver fatto un buon lavoro. Per ora pubblicherò ogni giovedì, sperando che la storia possa piacervi. Ringrazio tutte le ragazze che già a conoscenza di questo progetto mi hanno sostenuta. 
Se vi va di seguire gli aggiornamenti e se siete interessati a fare domande, a seguire spoiler, foto e così via potete iscrivervi al gruppo: https://www.facebook.com/groups/507038592717142/?fref=ts


 

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Capitolo 2
*** 1 - Howl ***






I

Howl





 

Era notte. No, molto probabilmente non lo era ancora. La luce non filtrava mai tra le tende pesanti del Castello Oscuro e ormai aveva perso il senso del tempo. Giorni? Settimane? Ore? Stava solo sognando e non se ne rendeva nemmeno conto.
Si era addormentato profondamente sulla poltrona della sala principale, il cilindro gli cadeva sulla fronte e copriva buona parte dell’espressione del viso. Il Signore Oscuro amava farsi attendere e ricordava la propria importanza più del dovuto, scomparendo nel momento in cui si sarebbe dovuto presentare. Egli diceva che non si preoccupava mai del tempo perché mai ne sarebbe stato scalfito. Concetto interessante, se solo Jefferson non avesse avuto tanti affari da svolgere. Ma non si sarebbe lamentato per nulla al mondo, nemmeno per quelle lunghe attese, visto che la ricompensa gli garantiva la possibilità di vivere negli agi.
Lo stato di semi-incoscienza iniziava ad abbandonarlo, si era appena reso conto di star sognando che in quel momento fu richiamato dall’eco di grida femminili che prepotenti risuonarono nelle orecchie, lasciando che si destasse completamente.
Il cilindro rotolò giù dalla testa e finì a terra, solo allora Jefferson spalancò gli occhi sentendosi piuttosto confuso. Quella voce l’aveva sognata o l’aveva sentita davvero?
Non ebbe il tempo di pensarlo che udì altre grida, questa volta però si fecero più intense e dunque si rese conto che erano reali, molto reali. Troppo.

Conosci la differenza tra sogno e realtà, Cappellaio?
 
Chiuse lentamente le labbra tra loro per creare una smorfia infastidita, detestava essere svegliato di soprassalto, soprattutto nei momenti in cui aveva trovato un po’ di pace.
Ci pensò a lungo ma alla fine decise di rispondere a quel richiamo e si alzò in piedi con uno scatto veloce, posizionando il piede sotto il cilindro per sollevarlo e riprenderlo a mezz’aria. Lo sistemò sotto il braccio e prese ad ispezionare la sala, sapeva esattamente dove recarsi e si avvicinò al caminetto dove scoppiettava un fuoco crepitante.
“Vediamo chi ha tutta questa forza di urlare”.
Lo disse come se fosse una cantilena.
Chinò la schiena e spostò la coda del soprabito, tese l’orecchio e cercò di ascoltare meglio le grida che confermarono la sua ipotesi. Afferrò una delle leve alla sua destra e il fuoco si spense all’improvviso, lasciando rivelare dietro di sé una camera che conduceva alle segrete del Castello. Conosceva bene quel luogo poiché Tremotino vi lasciava marcire chiunque si frapponesse di fronte ai suoi scopi.
Le fiaccole ai lati delle pareti si accesero nel momento in cui Jefferson scivolò sulle scale a chiocciola, quando arrivò all’ultimo scalino balzò giù e rimase in perfetto equilibrio.
L’eco della voce femminile continuava a penetrargli nelle orecchie, fino quasi a ferirle, tanto che fu costretto a coprirle per evitare di esserne infastidito.
“Qualcuno mi aiuti, voglio uscire di qui!” la voce ormai si faceva sempre più chiara e squillante.
Jefferson si mosse sicuro lungo il corridoio dalla scarsa illuminazione e finalmente sopraggiunse davanti alla cella da cui provenivano le grida di aiuto.
Si ritrovò davanti ad una giovane ragazza vestita da un abito decisamente singolare, era ricoperta di un tessuto dorato che le lascava soltanto le spalle scoperte e i capelli castani ornavano un viso pallido e stanco, ma sin troppo bello.
Nel momento in cui la ragazza si rese conto di non essere più sola si sistemò di fronte alle sbarre per poter guardare meglio al  di fuori.
“Voi non siete Tremotino”.
“Uhm, perspicace” rispose Jefferson che ancora si sentiva assonnato.
Andò ad appoggiare un braccio sulle sbarre e vi sistemò sopra la fronte per studiare meglio il volto della prigioniera.
 “Vi pregherei di non urlare in quel modo, oltre che arrecare fastidio mi avete anche destato dal sonno”.
Gli occhi azzurri di lei sprofondarono nel buio della cella, non si aspettava nulla di simile.
Era decisamente bella, una delle donne più belle che Jefferson avesse mai visto. Con quel suo atteggiamento composto ed impettito dimostrava di avere un carattere forte e una grande fiducia in se stessa. Si chiese il motivo per cui Tremotino l’avesse portata in quel luogo, oltre al desiderare di preservare la sua bellezza, ma era un’idea sciocca visto che in quel modo l’avrebbe solo che deteriorata.
“Mi dispiace di aver rovinato il vostro riposo” era calda la sua voce come lo era il suo sguardo.
“Ma sono stanca di rimanere rinchiusa in una gabbia. Se devo restare al Castello per sempre, vorrei farlo ai piani superiori e con un letto più comodo” quando continuò il tono era mutato diventando sarcastico.
La ragazza indicò il giaciglio di paglia dietro di lei per mostrargli le condizioni in cui era costretta a vivere.
Si era arresa all’idea di non poter tornare indietro e mai lo avrebbe fatto. Desiderava l’avventura, diventare come una delle eroine dei suoi libri, eppure si era ritrovata a stringere un accordo con il Signore Oscuro per salvare il suo regno. Un accordo che le costò la libertà.
Rammaricarsene sarebbe stato vano e sciocco, ma pretendeva un po’ di generosità e non avrebbe permesso al Signore Oscuro di vivere nel buio gelido di una cella.
“Dubito che urlare possa servire a qualcosa” sospirò Jefferson fingendo una forma di interesse nei suoi confronti “cosa avete fatto per finire qui dentro? Non mi sembrate così pericolosa da aver bisogno di essere rinchiusa”.
Belle decise di avvicinarsi ulteriormente, incoraggiata dal suo fare tranquillo, molto diverso dalla supponenza che aveva mostrato poco prima.
“Tremotino aveva bisogno di qualcuno che si occupasse del Castello e ha preso me in cambio della salvezza del mio regno” la spiegazione di lei fu breve ed indolore.
Lo disse con una calma così serafica che Jefferson quasi non riuscì a credere alle proprie orecchie. Certe stranezze erano dovute al suo datore di lavoro ma non credeva che potesse esser così capriccioso da rovinare l’esistenza di una giovane principessa, quale rivelò essere in seguito. Ecco spiegato il suo abito rigonfio e ricamato alla perfezione, per non parlare dell’atteggiamento composto che ostinava a tenere in piedi.
“Un vero peccato:  non tutti hanno la fortuna di vivere la vita che desiderano” Jefferson non provava alcun interesse nel consolare o compatire il fato avverso della giovane principessa, ma aveva trovato un modo per distrarsi dalla noia e dall’attesa.
“Voi chi siete, il carceriere?” domandò lei, sperando quasi di riuscire a convincerlo di farla uscire.
Jefferson fece schioccare le labbra e scosse la testa in segno di diniego.
“Se avevo detto perspicace, ora ci ho ripensato. Sono alle dipendenze del vostro padrone, come vi ho detto mi avete svegliato dal sonno e sono venuto solo per chiedervi di fare silenzio” si portò un dito alle labbra per enfatizzare la richiesta, svelando in verità le sue intenzioni.

Insopportabile. Insensibile! Saccente?

Belle non resistette e finì per dargli le spalle decisamente stizzita.
 “Non sono intenzionata a rimanere qui, perciò finché non verrò liberata non la smetterò di gridare” chiuse le braccia al petto, attendendo una risposta.
Jefferson sbadigliò, portando una mano alle labbra per non mostrarsi troppo scortese.
“Riferirò, buona permanenza principessa” così facendo si allontanò, almeno ci aveva provato, ma con le donne era sempre difficile scendere a patti.
Desiderava solo un po’ di riposo, nient’altro, ma aveva già intuito che gli sarebbe stato impedito dalle rinnovate grida della ragazza che ne aveva ancora per molto.  
Senza nemmeno salutarla Jefferson cercò di ritirarsi piuttosto in fretta.
“Siete tutti uguali!” gli urlò dietro lei quando si rese conto di esser stata lasciata nuovamente sola nel buio gelido della sua cella.
“Perché le donne hanno il potere di lamentarsi sempre delle stesse cose?” borbottò lui che solo per un attimo credé di aver compiuto un errore nell’esser sceso all’interno dei sotterranei del Castello, ma in quel modo non avrebbe potuto incontrare degli occhi così belli.
Ripercorse le scale a chiocciola velocemente, udendo le nuove grida di aiuto. Quella ragazza sembrava caparbia e probabilmente non si sarebbe arresa con facilità.
Non appena si ritrovò nella sala del caminetto dove aveva lasciato il cilindro prima di scendere nelle segrete, si rese conto di non riuscire a vederlo da nessuna parte.
Volgendo la testa dall’altra parte incontrò lo sguardo di Tremotino, rilassato e sorridente, seduto sulla poltrona su cui prima si era addormentato lui stesso. Reggeva tra le mani il cilindro che aveva preso a sventolare avanti e indietro.
“Chi ti ha dato il permesso di sbirciare tra le mie cose?” domandò verso di lui, accompagnando la frase con una risatina che inquietava sempre Jefferson quando la sentiva.
“Sono un viaggiatore tra i mondi magici, non è difficile attraversare le zone remote di un Castello quando il padrone di casa non c’è” si limitò a rispondere, rimanendo al suo posto per evitare qualunque tipo di impatto.
Se in un primo momento Tremotino sembrò adirato poi scoppiò a ridere e si alzò in piedi per lanciare verso di lui il cilindro che fu prontamente afferrato.
“Per questo ti chiedo di servirmi: hai un cuore oscuro quasi quanto il mio” sghignazzò prima di tirare in alto la leva del caminetto per far tornare il fuoco a scoppiettare.
“Forse non così oscuro” si limitò a sussurrare Jefferson, provocando un’altra risata nel suo interlocutore.
“Cos’hai trovato di interessante nelle mie segrete?” gli domandò facendogli segno di seguirlo davanti ad un grande tavolo dove sorgevano alcuni dei suoi incantesimi di preparazione che gli sarebbero serviti una volta ultimati.
Si sedette su uno sgabello in legno per avvicinarsi alcune ampolle di vetro al cui interno vi erano dei liquidi colorati.
Jefferson accennò brevemente  alla ragazza chiusa nella cella angusta e che lo aveva tormentato per quasi tutto il pomeriggio con le sue grida.
“Come fate a sopportare tutto quel rumore durante il giorno?” gli domandò mentre si udivano in lontananza gli echi delle lamentele.
“Uso un trucco vecchio ma efficace, mio caro” Tremotino tirò fuori dalle tasche dei tappi di sughero che gli mostrò per un istante e che poi cacciò via per fare spazio a cose più importanti.
Jefferson sogghignò.
“Prima o poi nemmeno quelli funzioneranno. Perché non le concedete di vagare per il Castello? Finirà per diventare una tortura se continuerete a lasciarla lì sotto” gli suggerì, sedendosi sul tavolo di fronte a lui.
Tremotino si leccò le labbra, riflettendo su quella possibilità.  
“Dovrei farla uscire di lì…” schioccò la lingua prima di continuare “ci penserò, al momento mi diverte più così”.
Jefferson rispose con una indifferente alzata di spalle.
“Ottimo, allora possiamo parlare della mia ricompensa”.  
 
 
 
 

**

 
 
 
 
 
Rosso come il colore del sangue.

Gli mancava l’aria e respirare era diventata una vera e propria tortura. Non ricordava assolutamente nulla di ciò che gli era capitato e di come era finito accanto a quel ruscello che continuava a domandargli il suo nome.

Come ti chiami?

I suoi occhi si fecero improvvisamente ciechi di una luce insopportabile, continuava a cadere finché non si fermò all’improvviso. Qualcuno doveva averlo colpito alla testa per farlo svenire, perché gli faceva male, molto male.

Non temere, ti aiuterò io.

Il fiume continuava a parlare con lui, anche se l’acqua era rossa e tinta di sangue. Una voce così profonda e dolce come poteva incutergli tanto timore?
Mani fredde gli afferrarono il viso, o forse era lui ad essere freddo, poiché quel contatto lo bruciò. Gridava ma senza sapere che cosa uscisse dalla sua gola, a volte aveva l’idea di non poterlo nemmeno fare. Lunghi capelli neri piombarono davanti al suo viso, fino a sommergerlo e a incatenarlo in un abisso senza fondo.

Sei qui per portarmi via?

Ora udiva solo la sua voce.
La fronte bruciava e  i suoi occhi continuavano a non vedere nulla, alternando visioni oscure a brillanti che gli procuravano emicrania e fastidi.
Per diversi giorni subì quella tortura e non riuscì a venire a capo di quel mistero, ma poco a poco si rendeva conto che il suo letto non era più fatto di pietre né di acqua, ma era un giaciglio di foglie molto più comodo.
A fatica riuscì a svegliarsi da quell’incubo mettendo a fuoco ciò che gli stava attorno, alzando il viso si rese conto che era all’interno di una piccola capanna che doveva esser stata costruita per non rimanervi a lungo. Non ebbe modo di decidere se stesse ancora sognando, ma ora riusciva a muoversi più liberamente e la prima cosa che fece fu quella di alzarsi in piedi. Non appena ci provò le gambe non ressero e cadde nuovamente sul giaciglio in modo pesante.
In quel momento sopraggiunse una figura alta e slanciata che entrò nella capanna con una certa preoccupazione, indossava un lungo mantello rosso e i capelli corvini incorniciavano un viso sottile e gentile.
“Sei un’allucinazione o sei reale?” le domandò lui portando una mano alla testa per fermare quel fastidio così intenso.
Lei gli rivolse un sorriso di sollievo e si avvicinò per farlo stendere di nuovo.
“Sono reale. Invece quelle che hai avuto in questi giorni erano allucinazioni” disse confermando la sua ipotesi mentre inumidì una pezza nell’acqua contenuta in una piccola bacinella improvvisata, dopo averla strizzata gliela posò sulla fronte “ti pregherei di non fare gesti avventati, la febbre non è ancora scesa”.
Il Capitano Hook della Jolly Roger era febbricitante? E per quale motivo aveva avuto delle allucinazioni?
“Da quanto tempo sono qui?” fu la prima domanda che le pose, non le aveva nemmeno chiesto chi fosse.
Forse il Cappellaio aveva ragione, non sapeva dare un ordine alle domande. Ora che ci pensava però, i ricordi iniziavano a venire sempre più a galla.
“Tre giorni, eri privo di sensi sulla riva del fiume e continuavi a lamentarti. Hai mangiato dei funghi velenosi, dovresti fare più attenzione” le consigliò bonariamente prima di riprendere a spiegare “ti ho somministrato una cura che usa mia nonna quando i bambini tornavano al villaggio in queste stesse condizioni, la febbre indica il fatto che stai guarendo”.
Killian tirò le labbra in una smorfia, non era affatto lieto di sapere che il suo ritorno alla Foresta Incantata era stato segnato dal malessere.
La sua memoria poco a poco iniziava a tornare e la mente si colorò di immagini più vive e profonde. Non aveva mangiato funghi di sua spontanea volontà, ricordò che una volta entrati nel cilindro magico di quel Jefferson, lui gli aveva consigliato di mangiare dei funghi che a suo dire non lo avrebbero fatto soffrire di nausea durante il viaggio verso il nuovo mondo.
Quel maledetto impostore lo aveva ingannato, per quale motivo aveva deciso di avvelenarlo? Non avrebbe mancato ai patti riprendendosi l’inchiostro, dunque perché metterlo fuori gioco per poi scappare via?
Se mai lo avesse incontrato di nuovo lo avrebbe  fatto pentire per ciò che aveva fatto.
“Immagino che io debba ringraziarti per avermi aiutato, non è così?” disse prima di portarsi la mano a coprire la pezza umida sulla fronte.
La ragazza si limitò a sorridere e si strinse nelle spalle.
“Non sei obbligato a farlo, in fondo ho scelto io di intervenire. Avrei potuto lasciarti lì dov’eri” i suoi occhi si soffermarono sull’uncino che aveva al posto della mano, da quando aveva iniziato a prendersi cura di lui si era incuriosita di quel particolare così grottesco. Per quale motivo aveva perso la mano?
Lui se ne accorse e sogghignò.
“Vorresti saperlo, non è così?” era abbastanza vicina da poter sfiorare con l’uncino ai suoi lunghi capelli a fino a lasciarli una volta arrivata la fine.
Era senz’altro bella, i suoi occhi risplendevano di un colore intenso e le sue labbra erano invitanti quanto il suo sorriso. Magari sarebbe arrivato anche al suo cuore, in fondo tutte le donne prima o poi cedevano al suo fascino.
“Mi piacerebbe prima conoscere il tuo nome, ti ho salvato la vita ma non vuol dire che dobbiamo raggiungere una sorta di confidenza”.

Com’è fredda e distante. Perché? Avvicinati.

Fu quasi un peccato non riuscire a raccontarle la storia della sua vita, di solito tutti volevano conoscere il modo in cui aveva perso la mano. O forse era davvero intenzionata a non approfondire quella conoscenza così improvvisata?
“Il mio nome è Killian Jones, ma tutti mi conoscono come Capitan Hook. Sono in debito con te visto che mi hai  aiutato, come posso chiamarti?”.
Se non voleva raggiungere alcuna confidenza, probabilmente non gli avrebbe nemmeno svelato il suo nome.
La ragazza aveva compreso fin dall’inizio che non si trattava di un semplice viandante o di un avventuriero, era proprio un uomo di mare in carne ed ossa, anzi peggio, un pirata. Aveva sentito parlare di Capitan Hook ma non conosceva i particolari del suo incidente, né del motivo per cui era scomparso dai mari che circondavano la Foresta Incantata. Si diceva che fosse stato risucchiato in un mondo diverso dove il tempo non scorreva mai e non vi era modo di sopravvivere senza affrontare pericoli continui.
“Red Hood”.
Un nome piuttosto facile da imparare, visto che indossava davvero un mantello dal cappuccio rosso.
“Posso chiederti come hai fatto a raggiungere la Foresta Incantata? Ci sono molte voci sul  viaggio verso Neverland ed ogni storia racconta una cosa diversa” non ebbe timore di chiederlo, era semplice curiosità.
Non appena fosse stato in grado di rimettersi in piedi le loro strade si sarebbero divise, per questo aveva scelto di aiutarlo. Da una parte non poteva lasciarlo morire e dall’altra aveva timore di poter diventare un pericolo molto più rischioso per lui. Nonostante sua madre prima di morire le avesse insegnato come governare il lupo dentro di sé, continuava a servirsi del mantello e a nascondere la sua natura quando si trovava in compagnia di altri.
“Sarei curioso di sentirle tutte” sogghignò Killian con una certa curiosità “in ogni caso ho fatto ritorno qui grazie all’aiuto di uno strano quanto particolare individuo che mi ha permesso di viaggiare con lui all’interno di un cappello magico”.
Red sgranò appena gli occhi, di certo Capitan Hook non doveva essere d’animo puro e tutti lo dipingevano in maniera assolutamente negativa, ma non sembrava avere un cuore oscuro. Aveva compreso di chi stesse parlando, il Cappellaio era noto nella Foresta Incantata per la capacità di viaggiare tra i mondi e tutti sapevano di chi fosse al servizio.
“I tuoi occhi parlano per le tue labbra. Sai a chi mi riferisco?” alzò leggermente il busto dal giaciglio che Red aveva preparato per lui, perché non entrasse in contatto con l’umidità che sarebbe salita di sera.
La ragazza annuì e non trattenne l’informazione per sé: “Certo, l’unico che può fare una cosa simile è Jefferson. Lui lavora per il Signore Oscuro”.
Quell’affermazione fece aggrottare le sopracciglia di Killian, non riusciva a credere di esser stato raggirato così facilmente.  Aveva donato l’inchiostro magico ad un suo nemico? Maledetto Cappellaio! Se lo avesse rincontrato gli avrebbe conficcato l’uncino in gola per poi lasciarlo dissanguare e gioire della sua morte.
Cercò di rimettersi in piedi per poterlo andare a cercare all’istante, Red che aveva compreso la situazione si spinse in avanti per farlo tornare a riposare.
“Non fare cose azzardate! In queste condizioni non puoi andare da nessuna parte, prima deve scendere la febbre o tornerai ad avere altre allucinazioni” gli disse con tono perentorio, tanto che Killian non poté continuare a contrariarla.
Sbuffò e si rimise con la nuca appoggiata sul cuscino di foglie e paglia, la pezza inumidita era scivolata a terra dunque Red fu costretta a raccoglierla e a sciacquarla ancora una volta.
“Sembra che tu conosca molto bene gli effetti di questi funghi, tua nonna è la guaritrice del villaggio?” in realtà non gli interessava minimamente ma era solo un modo per distogliere l’attenzione dal suo doppio obiettivo: far fuori Jefferson e trovare un modo per fare lo stesso con Tremotino. Servo e padrone in un solo istante avrebbero salutato questa vita.
Doveva trovare un alleato forte per farlo, qualcuno che fosse in grado come lui di odiare il Signore Oscuro, qualcuno che conoscesse tutti i suoi segreti.
“No, ma è una cuoca meravigliosa e conosce gli ingredienti adatti per curare gli effetti da avvelenamento di funghi” sorrise prima di alzarsi in piedi e dargli le spalle, sciolse il mantello rosso e lo ripose sulla superficie di un piccolo baule.
Killian si domandò il motivo per cui una donna così bella vivesse in un luogo simile.  
“Oh, capisco, questo è il tuo regalo per la mia convalescenza?” le domandò con un sorriso ironico, osservandola mentre tirava via il mantello.
Lei si voltò e gli rivolse uno sguardo di ghiaccio.
“Non farti strane idee Capitan Hook, non so che tipo di donne abbiate conosciuto qui alla Foresta Incantata, ma io non sono disposta a condividere lo stesso letto con il primo sconosciuto incontrato per caso”.
Le sue parole erano forti e dure, non aveva idea però se fossero pronunciate con altrettanta sincerità. Che strano, Milah non aveva avuto problemi a concedersi a lui la sera stessa che si erano incontrati alla locanda di un villaggio lontano.
Cacciò via quell’immagine che lo turbò abbastanza da volerla tenere da parte, dunque Red Hood voleva mantenere integra la sua figura di donna? Gli piacque e finì per sorriderle con meno ironia, decidendo alla fine di prendersi un’altra giornata almeno per riposare e schiarirsi le idee.
Poi si sarebbe rimesso in viaggio, probabilmente non l’avrebbe più incontrata, ma esser salvato da una donna così bella valeva tutti i funghi velenosi che Jefferson gli aveva propinato. 

 



 

// Nda: 

Ed ecco qui il primo capitolo! 
Intanto vi ringrazio tutte, sia le ragazze che hanno recensito che quelle che hanno inserito la storia tra le seguite, sono davvero molto contenta. 
Come avete potuto vedere il capitolo è diviso a metà e molto più in là le scene inizieranno ad unirsi, per ora vedremo episodi distaccati dei protegonasti. 
Per quanto riguarda la Mad Beauty: Vi ricordate di Belle che girda nella prigione? Ho cambiato gli interni del Castello e l'ho rinchiusa nelle segrete :3 mi affascinava di più. 
Per la Red Hook: Immagino che la Red consapevole della sua natura non si lasci andare facilmente, perché potrebbe essere un pericolo. Quindi non so se in questo caso sia da considerare molto IC xD. 
In realtà non credo di avere note da aggiungere, la stanchezza si fa sentire T_T. 
Probabilmente giovedì prossimo non aggiornerò con il secondo capitolo perché essendo Halloween pubblicherò una one-shot su quel tema quindi Take my hand slitterà ad un'altra giornata. 
Grazie mille ancora una volta e spero che il capitolo vi sia piaciuto <3.


 

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Capitolo 3
*** 2 - Just a name ***


II 
 

Just a name



 



Non aveva più pensato alla giovane principessa rinchiusa nelle segrete del Castello del Signore Oscuro.

Bugiardo, ci hai pensato eccome.

 O meglio, di tanto in tanto le orecchie fischiavano al ricordo delle sue urla, ma le ricacciava via immediatamente. Quegli occhi azzurri non se ne erano andati del tutto, le venature delle iridi così simili alle onde di un mare in tempesta gli avevano lasciato un’ottima impressione. Doveva possedere un carattere forte e di certo si trattava di una sognatrice, lo aveva letto nel suo sguardo rattristato.
Ma non era per rivederla che stava facendo ritorno al Castello di Tremotino con il suo nuovo bottino, non erano trascorsi che pochi giorni e già vi si ripresentava. Ultimamente era diventato piuttosto bravo a trovare oggetti magici utili agli esperimenti del Signore Oscuro, anche se non si crucciava per il fatto che non conoscesse le sue reali intenzioni. Quando sopraggiunse al Castello si diresse immediatamente nella sala in cui si incontrava sempre con lui per parlare di affari, ma anche quella volta si ritrovò da solo. La prima impressione che ebbe in quell’istante fu di aver sbagliato strada ed esser arrivato in un posto diverso da quello che conosceva lui. Guardandosi attorno non poté evitare di notare che tutto sembrava cambiato, persino le tende rosse e pesanti erano state scostate per lasciar entrare la luce. Da quando il sole batteva su quell’ala del Castello?
Ciò che più lo stupì fu il non trovare nemmeno uno strato di polvere sul lungo tavolo di legno a cui si avvicinò per poterlo studiare. Socchiuse appena gli occhi e poi vi passò un dito da angolo ad angolo, constatando  l’impeccabile pulizia.
“Qualcuno ha deciso di fare le pulizie di primavera” disse a se stesso.
Ora sembrava il Palazzo di un grande re e non più una camera oscura e grottesca. Avvertì dietro di lui rumori di alcuni passi concitati, non potevano che appartenere ad una donna, troppo piccoli e insicuri.
Quando si voltò fu piacevolmente sorpreso nel ritrovarsi davanti la giovane principessa dagli occhi azzurri, questa volta non indossava l’abito oro della scorsa volta, la tipologia era decisamente diversa ma le donava molto.
“Oggi non ci deliziate con le vostre urla?” la domanda dal tono sarcastico non piacque affatto a Belle che arrestò il passo sulla soglia della porta.
“Come potete vedere non sono più rinchiusa in una cella stretta e buia, quindi non ho bisogno di chiedere aiuto a chi preferisce dormire, anziché dare una mano ad una fanciulla indifesa”.

Le donne reagiscono sempre allo stesso modo quando vengono punzecchiate, per questo sono divertenti.

“Allora non avete dimenticato il nostro primo incontro, me ne compiaccio. In più ci avete riflettuto sopra, quindi ho fatto parte dei vostri pensieri a lungo” sorrise mestamente, tenendosi a distanza per evitare un eventuale rovescio sulla guancia. Meglio prevenire che curare.
Belle schiuse lievemente le labbra, stupita di quell’affermazione che lasciava intravedere una eccessiva sicurezza.
“Non ho mai soffermato alcun pensiero su di voi” ribatté mostrando poca certezza in ciò che stava dicendo.
“Il vostro tono di insofferenza vi tradisce, indica il fatto che avete rimuginato su ciò che ho fatto e deve avervi anche infastidito molto” sogghignò con soddisfazione Jefferson.
Le diede le spalle e si indirizzò verso il tavolo per potersi sedere sul bordo e abbandonare gli stivali sporchi di fango sulla sedia che aveva davanti.
Belle sgranò gli occhi, prima in imbarazzo per le parole che le venivano rivolte, poi per ciò che fu costretta a dire.
“Vi prego: fate attenzione, ho appena finito di pulire!”.
L’esclamazione fu accompagnata da una mossa perentoria in cui avvicinandosi gli sventolò davanti al viso uno strofinaccio, di modo che potesse spostarsi di lì. Ma Jefferson, imperterrito, vi rimase e la guardò a lungo in quegli occhi che lo ipnotizzavano. La ragazza fu costretta a spostare lei stesse le gambe di lui dalla sedia per lasciarla libera.
Perché si comportava in quel modo così irritante? Sospirò inquieta, gli amici di Tremotino erano davvero strani e la cosa in realtà non la stupiva affatto.
“Immagino che questa sia la vostra nuova professione: prima eravate uno spirito urlante della casa, ora una perfetta cameriera” la canzonò senza avere il minimo riguardo verso i suoi sentimenti e soprattutto non si dispiacque per averle dato un lavoro aggiuntivo.
Belle si chinò per poter ripulire il fango dalla sedia, rimanere calma in una situazione simile iniziava a diventare quasi impossibile.
“E la vostra è quella di torturare qualunque persona vi capiti di fronte?” ovviamente si riferiva al sarcasmo che trapelava da ogni frase pronunciata dalle sue labbra.
Non desiderava entrare in alcuna discussione in proposito ma vi fu quasi costretta. Il suo animo era pacifico, se scosso però era in grado di far uscire forza e coraggio. Quello che le aveva permesso di scendere a patti con il Signore Oscuro e salvare il suo regno dagli Orchi.
“Certo che no: soltanto voi” le labbra di Jefferson si tirarono in un sorriso, era piacevole stuzzicarla e assistere al cambiamento che i suoi occhi producevano.
Quando Belle finì di ripulire la sedia, si alzò in piedi e lo fissò con sguardo gelido. Avrebbe continuato a rispondergli, se solo non avesse preferito evitare di cadere così in basso, trascinata da sentimenti negativi che non le appartenevano.
“Se siete qui per Tremotino temo che non sia la giornata adatta, probabilmente non tornerà prima di domani mattina. O chissà, tra qualche giorno” gli comunicò nella speranza di vederlo andare via.
Di tutti i clienti di cui il Signore Oscuro si serviva, Jefferson era quello che meno sopportava. Pur avendolo visto una volta sola e quella del momento, non riusciva proprio a farselo piacere.
Lui in tutta risposta si stiracchiò, allungando le braccia verso l’alto e scrocchiando il collo per sentirsi più libero. Non era la prima volta che gli capitava di aspettare per così tanto tempo, inoltre la sua abitazione era decisamente lontana per poter fare avanti e indietro.
“Molto bene, allora per questa notte rimarrò qui” così dicendo scivolò giù dal tavolo per poi dirigersi verso la poltrona, gettare il cappello sul bracciolo e sedersi abbandonandovi il peso.
Belle avvampò quando udì quelle parole, si sentiva improvvisamente a disagio all’idea di dover trascorrere tutto quel tempo in sua compagnia. Non che fosse stata costretta, ma di certo lui avrebbe insistito nel molestarla con la sua sola presenza.
Purtroppo non aveva alcun diritto di mandarlo via, visto che quella non era la sua casa. Abituarsi a vivere in un luogo così tetro sarebbe stato difficile, ma non si sarebbe persa d’animo e avrebbe trasformato quella casa in un posto confortevole.
Decise in ogni caso di riappacificarsi con l’ospite e cercare un punto d’incontro per quella convivenza, seppur di breve tempo.
“Tremotino mi ha rivelato che siete stato voi ad insistere perché uscissi dalle segrete” si strinse nelle spalle mentre andava ad accomodarsi sulla poltrona accanto alla sua “immagino che debba ringraziarvi”.
Non era compiaciuta per quel particolare, ma non poteva rifiutargli parole gentili.
Jefferson abbandonò la nuca sullo schienale della poltrona e iniziò a soffiare verso l’alto, prima di decidersi e rispondere.
“C’è una cosa che mi sfugge sempre riguardo le persone comuni: perché usano le parole sbagliate?” lasciò creare una smorfia sulle labbra per poi passare le mani tra i capelli e scompigliarli “dire grazie non è un dovere, è qualcosa che scaturisce da una riconoscenza sincera. Non mi ringraziate se vi sentite costretta” le rivolse un mezzo sorriso.
Belle rimase perplessa per qualche istante, interdetta da ciò che le aveva detto. Era proprio strano sentirsi dire cose simili, essendo un’amante dei libri come lo era lei e l’uso corretto delle parole era qualcosa che conosceva decisamente bene.
“Ne deduco che vi piaccia giocare con il linguaggio” gli disse fingendo di non aver colto direttamente il messaggio.
Jefferson scrollò le spalle e si alzò in piedi per poter coprire la distanza tra loro. Se non poteva dormire almeno avrebbe conversato con lei che iniziava a diventare sempre più interessante.

L’ordinario è ben più sconvolgente dello straordinario, siamo così abituati a credere che la bellezza sia fuori dagli schemi che finiamo per perdere tutte le meraviglie che si trovano nel quotidiano.

“Ritengo che abbia una qualche importanza, decisamente” sussurrò mentre cercava di sprofondare nel suo sguardo per potervi navigare all’interno e arrivare a sfiorare frammenti della sua anima.
Ma Belle non lasciò trapelare nulla di sé, mascherandosi immediatamente quando si accorse di quella incessante ricerca.
“Prima che me ne dimentichi, il vostro nome è Belle? Si dovrebbe sempre chiamare qualcuno con il nome che gli spetta” si chinò appena su di lei quando si appoggiò sul bracciolo della poltrona.
“Un nome è soltanto un nome [1], Jefferson” rispose per dimostrargli il fatto che anche lei si era informata.
Lui fu decisamente soddisfatto e finì per sorridere con gusto.
“Allora mi avete pensato davvero” le sfiorò la fronte con l’indice della mano per poterla spingere verso lo schienale e farla rilassare, era così tesa che sembrava un fascio di nervi. “In ogni caso ciò che avete appena detto è una cosa sciocca, se io vi chiamassi in un altro modo questo vi procurerebbe un certo fastidio, noi siamo come ci chiamiamo. Siete d’accordo, Lacey?”
“Io non sono Lac…” la ragazza si ritrovò piuttosto contrariata nel rendersi conto di esser caduta nel suo gioco, tant’è che finì per premere le unghie sulla gonna dell’abito, cercando di trattenere l’irritazione sempre più crescente.
Jefferson scoppiò in una risata decisamente divertita, così fresca e leggera che per un momento Belle ne fu completamente soggiogata. Era incredibile, un attimo prima quell’uomo si mostrava come il più fastidioso mai conosciuto ed un attimo dopo l’aveva intrappolata.
Non aggiunse nulla per torturarla ulteriormente e dunque si alzò in piedi per togliere il soprabito e andare a sistemarlo sull’appendiabiti, all’interno della grande tasca vi era ciò che aveva recuperato per Tremotino.
Poi si ritirò verso il caminetto alla ricerca di un po’ di calore, allungò le mani verso il fuoco e rimase in silenzio per qualche istante. Belle tornò a respirare e sciolse la tensione, forse sarebbe riuscita a rilassarsi.
Jefferson spostò di lato lo sguardo e si avvide di un bastone animato posizionato proprio lì accanto, decorato in modo assolutamente egregio. Ne aveva sempre desiderato uno e quello gli piaceva in modo particolare.
Lo afferrò per poterlo studiare, sfilò l’arma che vi era all’interno e vi si specchiò, incontrando i suoi occhi illuminati dalla fioca luce del fuoco.
“Credo proprio che lo terrò” sussurrò prima di appoggiarlo a terra.
“Non vi dovreste appropriare di ciò che non è vostro, Tremotino potrebbe non gradire” le consigliò tornando ad alzarsi in piedi, aveva ancora molto da fare e non poteva permettersi il lusso di rilassarsi. Alcune stanze non erano state completate.
Jefferson si voltò verso di lei iniziando a far roteare il bastone da una parte all’altra, maneggiandolo come se sapesse esattamente che cosa farne.
“Con tutte le armi magiche che gli procuro, può benissimo fare a meno di questa” sogghignò prima di fermarsi e battere un colpo a terra con il bastone.
In quel momento il pavimento iniziò a tremare fino a far ricadere Belle sulla poltrona. Ora sapeva esattamente a cosa gli sarebbe servito.
 
 
 
 
**




 
 
Lo troverò. Lo troverò eccome il Cappellaio e gli conficcherò l’uncino nel petto.

Non era riuscito a pensare ad altro da quando la ragazza che si era presa cura di lui gli aveva rivelato quel particolare. Essere ingannato in quel modo, come aveva potuto abbassare la guardia?
Rimanere disteso sul giaciglio così a lungo iniziava a dargli fastidio, soprattutto per il fatto di dover pensare sempre alla medesima difficoltà. Trovare Jefferson, farlo fuori e poi occuparsi del Signore Oscuro. Ma da dove avrebbe potuto cominciare? Cercare l’uno voleva mettersi sulla buona strada per arrivare dall’altro. Peccato che non avesse idea di dove si trovasse la dimora di Tremotino e quella parte della Foresta Incantata gli era sconosciuta. Se solo avesse avuto una mappa, sarebbe riuscito a cavarsela piuttosto in fretta. La febbre non era del tutto passata e a volte intravedeva ancora qualche allucinazione, la testa gli bruciava ed era costretto a ricercare il sonno per trovare un po’ di quiete.
La ragazza dal mantello rosso non si era fatta vedere per tutta la mattinata e la solitudine iniziava a pesare. Per fortuna però, quel desiderio si realizzò e quando lo stomaco iniziò a richiedere di esser soddisfatto, la vide entrare nella capanna conducendo con sé due lepri bianche dall’aria decisamente deliziosa.
“Però, oltre che prenderti cura degli altri, sai anche cacciare?” le domandò mentre staccava la schiena dal giaciglio per poi passarsi la lingua sulle labbra, stuzzicandola.
Red inarcò un sopracciglio, osservando le prede che teneva tra le mani.
“Noto con piacere che ti senti meglio, visto che hai la forza di pensare a battute così sciocche” si fece avanti per sedersi su uno sgabello di legno.
Quello era il piccolo rifugio che aveva creato con Snow White ma che avrebbe abbandonato presto o tardi, per far ritorno verso casa quando ne avrebbe avuta l’occasione. Ancora non se la sentiva di affrontare sua nonna dopo l’incontro che aveva fatto con i Figli della Luna.
“Rilassati, dolcezza, con l’aria corrucciata sei deliziosa ma quando sorridi sei decisamente più bella” l’insistenza faceva parte del suo carattere e non mancò di farglielo notare.
“Se la smettessi di rivolgerti a me come se fossi una recente conquista, sorriderei di più” non si lasciò convincere nemmeno quella volta. “Hai ancora qualche allucinazione?”.
Hook si inumidì le labbra secche mentre si metteva a sedere, chiudendosi lentamente la camicia, aveva bisogno di bere.
“Ogni tanto ne ho qualcuna ma riesco a governarle piuttosto bene. Mi piace quando qualcuno si preoccupa per me” affermò cercando di sollevarsi e dirigersi verso il basso tavolino di legno al centro della capanna.
Red sospirò profondamente, sperava di riuscire a mantenere la calma. Da molto tempo aveva timore di rapportarsi con gli altri, era decisamente difficile accettare la propria natura ed essere certa di non procurare più alcun dolore.
“Oh, non dirmi che il grande Capitan Hook sente il bisogno di ricevere affetto?” lo schernì divertita mentre preparava il pranzo con cura, così come sua nonna le aveva insegnato a fare.
“Ogni tanto ho qualche pretesa, ecco” appoggiò un gomito sul tavolo in modo poco elegante, la spossatezza non lo rendeva capace di rimanere lucido e comportarsi da gentiluomo come sapeva fare bene quando lo desiderava.
Detestava quel malessere e detestava ancora di più il fatto che fosse stato causato da uno stolto di cui si era fidato. Guardò Red di sottecchi, osservandone ogni movenza. Era leggera, serafica, solare. Per un attimo credé davvero di avere davanti un’allucinazione, invece era decisamente reale e la cosa non gli dispiaceva affatto. Da tanto tempo non incontrava una donna simile e gli occhi volevano la loro parte.
Il pranzo fu pronto e sistemato sul basso tavolino, Red si sedette comodamente dall’altra parte, iniziando a mangiare in tutta tranquillità.
“Svelami un mistero: per quale motivo vivi in questo posto?” le domandò per spezzare il silenzio e fare un po’ di conversazione.
Red sollevò gli occhi per poterlo guardare e scrollò le spalle.
“Tornare a casa implicherebbe una sicurezza che al momento non possiedo. E’ meglio che lasci passare un po’ di tempo, ho bisogno di capire cosa voglio esattamente” rivelò nonostante avesse preferito non parlare di sé.
“Problemi con la nonna informata sui funghi avvelenati?” era curioso, non poteva esimersi dal porle altre domande.
Lei sorrise a mezza bocca e lui ne fu assolutamente soddisfatto.
“In realtà i problemi sono tutti miei, ma devo dire che anche quello potrebbe essere un motivo del mio allontanamento” continuava a lasciar scoprire il meno possibile, in fondo non poteva dire al mondo di essere un lupo mannaro.
Killian si perse qualche istante a gustare il sapore della carne, nonostante fosse alterato dagli effetti ancora prolungati dei funghi ma poi decise di prendere un’altra strada. Sollevò appena l’uncino perché lei potesse vederlo ed iniziò.
“Non volevi saperne nulla a riguardo, ma in realtà sei curiosa di conoscere” appoggiò di nuovo il braccio sul tavolo e si versò dell’acqua nel boccale di legno “e’ stato un Coccodrillo a mozzarmi la mano, me l’ha portata via così come ha fatto con la donna che amavo. Ed indovina? Sono tornato qui per lui”.
Red deglutì a vuoto, non le aveva narrato alcun particolare della storia eppure l’idea di un’immagine così cruenta le fece ricordare il momento in cui si era svegliata dallo stato di lupo e aveva trovato Peter esanime, immerso nella coltre di neve bagnata del suo stesso sangue.
“Anche io ho perso la persona che amavo, è stata brutalmente uccisa, quindi abbiamo una cosa che ci accomuna”.
Killian sgranò gli occhi nell’udire quella rivelazione, una ragazza così giovane doveva portare un peso simile sulle spalle? La vita era davvero ingiusta.
“Allora non sei andata via dalla tua casa perché la cucina di tua nonna non ti soddisfaceva, stai cercando il tuo Coccodrillo?” sorrise all’idea di vedere sul suo volto i segni  del desiderio di una lotta vendicativa.
Red deglutì a forza e dovette coprire il rossore sulle guance trangugiando un intero boccale d’acqua per riprendersi da quell’affermazione.
Peccato che fosse ella stessa  il suo Coccodrillo, autodistruggersi non sarebbe stata una grande idea.
“Esatto” mentì spudoratamente e Killian se ne rese conto, ma preferì non intervenire su quel punto in particolare, voleva capire fin dove si sarebbe spinta “sai già come compiere la tua vendetta?”.
Forse non avrebbe dovuto incitarlo allo spargimento di sangue, ma lui era Capitan Hook ed era rinomato proprio per tutte le sue malefatte. Come poteva convincerlo a ritirarsi verso qualcosa che non conosceva affatto? E soprattutto non ne aveva alcun diritto. Lei non era la sua coscienza, non era il Grillo Parlante. Doveva rimanerne fuori il più possibile.
“Ancora no, ma sono venuto qui per scoprirlo” mandò giù un sorso d’acqua e rimase insoddisfatto “non hai del rum, del sidro, qualcosa che sia diverso da questo?” sollevò il boccale.
Red non fece in tempo a rispondere che non aveva nulla di simile quando sul viso di lui comparve una smorfia inorridita e gli occhi divennero vitrei.
“Hook, cosa ti sta capitando?” gli domandò con preoccupazione.
Lui si alzò in piedi in fretta, troppo, tant’è che ricadde malamente sullo sgabello.

Acqua, acqua che lo sommerge fino a raggiungergli tutte le membra che diventano gelide, mentre la fronte e gli occhi iniziano a bruciare. Assalito da una corrente inarrestabile che gli provoca mancanza d’aria, tanto da condurre una mano alla gola.

Torna in te, quello che vedi non è reale. Guardami, non c’è nulla per cui tu debba preoccuparti.

Era di nuovo la voce del fiume? Lo stava salvando di nuovo poiché in quel momento le acque si ritirarono, lasciandolo libero di muoversi. I battiti del cuore rallentarono e la stretta al petto diminuì considerevolmente. Gli occhi azzurri ripresero coscienza di sé e poco a poco incontrarono le iridi di Red che si era alzata in piedi per poterlo aiutare.
“Cosa è accaduto?” le domandò prima di affondare il viso bruciante tra le mani, non riusciva a capacitarsene.  Un solo momento prima si era ritrovato immerso nell’acqua gelida ed ora non ve ne era più.
“E’ stata un’allucinazione, non sei ancora del tutto guarito. Temo che il tuo amico ti abbia somministrato ben più di qualche fungo allucinogeno, con la cura che ti ho dato saresti dovuto già tornare in forma ma la guarigione è lenta. Non rimane che aumentare la dose” gli spiegò mentre si allontanava da lui, tranquillizzata dal fatto che si fosse ripreso abbastanza in fretta.
Aveva letto la paura nei suoi occhi.
Killian batté vigorosamente un pugno sul tavolo, era furibondo e la rabbia iniziò ad ombrargli il viso che si contrasse in una smorfia di frustrazione. Detestava perdere così tanto tempo, soprattutto quando era di nuovo vicino al Coccodrillo e poteva agire per farlo fuori una volta per tutte.
Jefferson si era messo di mezzo, attentando alla sua vita, sempre di più cresceva dentro di lui un senso di vendetta maggiore. Perché la sua vita era così annebbiata da quei sentimenti?
“Vado a procurarmi ciò che serve per farti stare meglio. Ti prego di rimanere calmo, se dovessi avere un’altra allucinazione, chiudi gli occhi e non muoverti” gli disse Red mentre andava a recuperare il mantello rosso che ripose in fretta sulle spalle.
Killian si inumidì le labbra, aprendo lentamente il pugno per stendere la mano sul tavolo.
“Red…” sussurrò, come se si fosse ripreso da quei pensieri “per te sono uno sconosciuto e ciò che si dice di me non equivale certo ad una presentazione onorevole. Perché fai tutto questo, perché cerchi di aiutarmi?”.
La ragazza inclinò appena la testa, ricordando di come Snow White fosse rimasta accanto a lei nonostante l’avesse vista agire come un vero e proprio mostro. Lasciò spuntare un sorriso tiepido sulle labbra, afferrando anche un cestino dove conservare le erbe da raccogliere.
“Perché no? Non posso giudicare un uomo dal proprio passato” così facendo lo salutò con la promessa che sarebbe tornata presto e uscì dalla capanna.
Killian rimase quasi senza fiato, non aveva mai incontrato nessuno che avesse dentro di sé un animo così buono ed incline alla speranza. O forse si trattava soltanto di ingenuità? No, doveva esservi qualcosa di più. La sofferenza di quella ragazza era tangibile e i suoi occhi la esprimevano tutta, ma non si era persa d’animo. Una volta o l’altra sarebbe riuscito a smascherare tutto ciò che nascondeva dentro di sé.








Note: 

[1] Citazione rimaneggiata da Romeo e Giulietta. 



// Nda: 

Salve mie care lettrici! Ed ecco qui il secondo capitolo della storia. Comunico che l'aggiornamento avverrà una volta ogni due settimane, tra domenica e lunedì, in alternanza con l'altra long 'You found me'. 
Poichè mi è stato chiesto dirò direttamente qui che il triangolo Rumpel/Belle/Jefferson non sarà presente, per il semplice fatto che vorrei inserirlo in un'altra storia dove ho già in mente come strutturarlo. 
Grazie a tutte coloro che stanno seguendo la storia, alla prossima!
 

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Capitolo 4
*** 3 - Alive ***


III

Alive 




 


Tremotino non aveva ancora fatto ritorno al Castello, ciò voleva dire che Jefferson sarebbe rimasto ad attenderlo anche per la notte, come già aveva annunciato in precedenza.
Belle lo aveva lasciato girovagare liberamente, traendone profitto per rimanere da sola e non essere angustiata da quella presenza così impositiva. Fortunatamente le sale da sistemare erano ancora molte e preoccuparsi delle pulizie la distoglieva dai suoi pensieri.
L’ora di cena però non tardò a giungere e Belle dovette abbandonare il suo compito di domestica per potersi recare nella sala da pranzo. Tremotino aveva imparato a gradire la sua compagnia e con il tempo le concesse ciò che nessun altro servitore aveva ottenuto fino a quel momento, come ad esempio cenare insieme a lui. Per quella sera però fu costretta a condividere la medesima tavola con l’ospite del padrone che Belle continuava a non vedere di buon grado.
“Noto con piacere che vi siete svegliato giusto in tempo per la cena” sorrise ironicamente mentre si presentava all’ingresso con un abito pulito ma meno appariscente di quello che indossava il giorno del suo arrivo al Castello.
“Il fascino del tempo è proprio questo: c’è un’ora per dormire, un’ora per prendere il tè, un’ora per le piacevoli conversazioni” rispose Jefferson quando la vide entrare “se non riuscissimo a scandirlo sarebbe un vero e proprio disastro” aggiunse con un sorriso sghembo prima di accomodarsi a capotavola per sprofondare sulla sedia e allungare con poca eleganza le gambe al di sotto del tavolo.
Belle andò a sedersi dalla parte opposta, compiendo ogni movimento con assoluta grazia.
“Ne parlate come se poteste controllarlo” sussurrò a voce bassa ma  se le sue parole giunsero lo stesso alle orecchie di lui.
“Oh, non è poi così difficile. Posso addirittura fermarlo” così facendo tirò fuori un orologio da taschino che lasciò penzolare davanti agli occhi, sorreggendolo con la catenina dorata. Lo aprì e poi bloccò il meccanismo. “Ecco, siete soddisfatta?” le domandò prima di posarlo accanto a lui.
Belle aggrottò le sopracciglia, non riusciva a capacitarsi di simili stranezze ma al contempo non poteva  evitare di trovare interessante quella sua particolarità.
“A cosa serve un orologio che non segna l’ora esatta?” rispose con un’altra domanda mentre la prima pietanza fu sistemata davanti ai due commensali.
Alcuni candelabri erano stati disposti nella sala e sulla tavola imbandita per poter illuminare l’aria notturna che si era creata e riscaldarla con il lume di candela.
“Questa è una convenzione creata appositamente per renderci tutti schiavi di noi stessi” disse Jefferson mentre scuoteva velocemente la testa e poi iniziava ad assaporare la zuppa che aveva davanti “esistono mondi in cui il tempo non scorre mai ed altri in cui è incontrollabile, se doveste ritrovarvi in situazioni simili, un orologio che segna l’ora esatta non vi aiuterebbe. E poi, l’ora esatta rispetto a cosa?”.
Belle non ebbe la prontezza di rispondere all’istante, tant’è che preferì concentrarsi sul piatto di zuppa, prima di trarre un respiro profondo.
“Alle nostre abitudini, a ciò che il destino ha in serbo per noi” sussurrò quasi timorosa di aver detto una cosa errata.
Jefferson sogghignò e si lasciò sfuggire una risata leggera.
“Nessuno deciderà del mio destino, tranne io” aggiunse con assoluta convinzione.
Belle sgranò gli occhi di fronte a quella frase, poco tempo fa l’aveva pronunciata lei stessa quando si era ritrovata schiava di una situazione a cui non desiderava soccombere. Jefferson doveva possedere una grande sicurezza di sé per riuscire a parlare in modo così fluido e senza timore di dire cose sciocche o strampalate. Le sfuggì un mezzo sorriso, forse non era una persona così ombrosa come aveva pensato.
Sprofondarono in silenzio per un po’, entrambi si immersero in riflessioni che non vollero comunicare all’altro, godendosi la cena senza turbarla con parole pronunciate ad alta voce. Ma poi Jefferson si risvegliò e le chiese: “Allora, come si prospetta la vostra eterna permanenza qui al Castello? Immagino che nel vostro regno abbiate lasciato parte di un passato che potrebbe mancarvi” disse prima di aggiungere “o forse no”.
Non mancava mai di ironizzare sulla condizione di semi-prigionia di Belle, questo la faceva adirare e non poco. Inoltre a Jefferson importava relativamente del racconto della vita di una principessa strappata dalla sua casa, ma almeno avrebbe coperto l’attesa di Tremotino con qualcosa di meno noioso degli oggetti grotteschi del Castello.
Belle si soffermò ad osservare il calice di cristallo che aveva davanti, sfiorandolo appena con le dita della mano. Per un attimo il suo volto arrossì, nel momento in cui le fu posta quell’ultima domanda e Jefferson non mancò di intervenire. Era un acuto osservatore, non c’era dubbio.
“Dunque c’è davvero qualcosa che avete lasciato lì, un aspirante innamorato, magari?” sbeffeggiare l’amore era il suo pane quotidiano, non aveva provato alcun rimorso quando lui e il Dottor Frankenstein avevano privato Regina della possibilità di riportare il suo amato, illudendola di poter ricominciare una nuova vita. Gli affari erano affari.
“Gaston, il mio pretendente?” disse lei ad alta voce mentre i ricordi cercavano di ricostruire l’immagine del suo viso “no, la sua arroganza gli permetteva  di amare solo stesso, nonostante abbia cercato di fermare Tremotino. Temo però che lo abbia fatto più per orgoglio che non per amore”.
Jefferson si lasciò sfuggire una risata divertita prima di appoggiare un gomito sul tavolo e il pugno della mano sotto il mento per poter sollevare lo sguardo su di lei.
“Voi donne siete incontentabili. Se agiamo privi di orgoglio siamo dei codardi, se dimostriamo di tenere al nostro onore non siamo in grado di provare amore” scosse appena la testa prima di abbandonare il cucchiaio nel piatto vuoto.
Belle studiò a lungo il suo sguardo che lasciava intravedere un velo di rammarico o forse anche di rancore, cercare di comprenderlo sembrava a dir poco impossibile.
“Dalle vostre parole traspare una sorta di delusione. Siete stato innamorato?” alla fine domandò.
Innamorato, dice? No, che parola impegnativa.
Certo, si era infatuato di Jacqueline e lei era riuscita ad approfittarsene in due o più occasioni. Un tempo, prima di entrare in affari con Tremotino, era un libero professionista decisamente disoccupato. Jacqueline o Jack, come era solita farsi chiamare, era un’avventuriera alla ricerca di fama e denaro, non proprio un’eroina che ci si aspetterebbe di incontrare. Le loro strade si unirono quando erano entrambi alla ricerca della creatura chiamata Ciciarampa, che poteva essere uccisa solo con un’arma proveniente dal Paese delle Meraviglie, il suo luogo di nascita. Jefferson riuscì a procurare a Jack una spada adatta a quella missione che portò a termine con astuzia e singolare bravura. Sì, si era davvero infatuato di lei. Affrontarono insieme altre avventure di quel genere, grazie alla spada che Jefferson le aveva dato, era in grado di far fuori la metà delle creature che incontrarono sulle loro strade, ottenendo laute ricompense. Se non fosse stato che una notte Jack avesse cercato di sottrargli il cappello magico, cosa che ovviamente non le riuscì di fare. Jefferson sospirò a quel ricordo, non aveva più udito parlare di lei, le ultime notizie riguardavano la terra dei Giganti dove ella desiderava procurarsi un fagiolo magico.
Cacciando via quell’immagine dalla sua memoria, allungò due dita verso la fiamma della candela più alta del candelabro e rispose alla domanda di Belle.
“L’amore è una forza incontrollabile, è come il fuoco. Esiste ma finché non viene acceso non sai dove si trova. Ti riscalda, a volte può bruciarti, sembra invincibile. Ma non abbastanza poiché basta un fattore esterno che rischia di spegnerlo” così chiuse la fiamma tra pollice ed indice, lasciando che il fumo si innalzasse in aria.
Belle deglutì a vuoto nell’udire parole così serie pronunciate da un uomo che aveva considerato più simile ad un bambino, dal carattere difficile da comprendere, quando in realtà pareva conoscere perfettamente il labirinto della natura umana. I suoi occhi non lasciavano traccia di tormenti o tumulti, erano semplicemente consapevoli della vita che aveva vissuto e di quello che avrebbe comportato il futuro.
La cena terminò ed i due finirono per cambiare volutamente argomento, evitando di sfiorare nuovamente angoli remoti della loro mente, si erano lasciati andare sin troppo di fronte a considerazioni personali che li avrebbero messi a nudo.
Jefferson si alzò in piedi e si diresse verso di lei per poterle tendere la mano, così da aiutarla a scivolare fuori dalla sedia e seguirlo. Belle inclinò lievemente il capo da una parte, un atto di fiducia simile le era difficile da compiere, ma fu piacevolmente sorpresa di se stessa quando le loro mani si unirono. Lui la sollevò in piedi e la trascinò verso la terrazza che si affacciava ad un grande roseto di rose rosse che costellavano il paesaggio davanti ai loro occhi. Belle si accomodò sui sedili di marmo che quel giorno stesso aveva ripulito, togliendovi le piante rampicanti che li avevano nascosti. Jefferson invece appoggiò le braccia al parapetto per poi scrutare le stelle del cielo.
“Posso chiedervi come avete conosciuto Tremotino?” gli domandò mentre cercava di studiare l’espressione del suo viso.
Jefferson si voltò lievemente, per consentirle di guardarlo negli occhi. Era piuttosto ovvio che Belle desiderasse conoscere di più non su di lui, ma sul proprio carceriere. Senza stupore aveva compreso che Tremotino si fosse affezionato a lei, visto che le aveva concesso diversi privilegi, in così poco tempo. Iniziò anche a credere che Belle in realtà si trovasse bene in quel Castello, anche se la libertà le era stata preclusa.
“La mia fama è cresciuta a dismisura nella Foresta Incantata, molti hanno richiesto il mio aiuto” le mostrò il cappello che fece roteare su una mano prima di fermarlo all’improvviso e riportarlo poi sulla testa “aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a creare un portale o ad attraversarne uno per raggiungere un mondo lontano da questo”.
Belle corrugò la fronte, studiando l’oggetto con cui giocava in tutta tranquillità. Posò con leggerezza le mani sulle ginocchia e sollevò il mento verso il suo, senza farsi mancare un sorriso dolce.
“E voi siete in grado di fare tutto questo? Credevo che per viaggiare tra i mondi vi fosse bisogno di un fagiolo magico” disse stringendosi nelle spalle.
Jefferson sogghignò prima di mettersi a sedere anche lui, appoggiando le braccia al parapetto mentre il cappello calava appena sulla fronte, nascondendogli parte dello sguardo.
“Sono tanti i modi in cui si possono aprire dei portali, il mio cilindro è in grado di farmi viaggiare tra i mondi, ma solo in quelli magici. A Tremotino serviva arrivare in un luogo in cui la magia non esiste. Alla fine non gli sono stato  poi così d’aiuto, ma siamo riusciti a trarre profitto da questa conoscenza” sorrise sghembo.
Belle non aveva idea del motivo per cui Tremotino avesse bisogno di arrivare così lontano, forse era alla ricerca di qualcosa, ma perché desiderare di raggiungere un posto in cui la magia non esisteva? Un’idea decisamente inconcepibile visto che era il Signore Oscuro in persona. In più fu attratta dalla scoperta che aveva fatto riguardo Jefferson, era un viaggiatore tra i mondi, un avventuriero, dunque doveva conoscere ciò che i suoi occhi potevano immaginare solo sui libri.
Desiderava porgli miriade di domande a riguardo, ravvivando la sua curiosità, ma Jefferson fermò il suo flusso di pensieri e si alzò in piedi.
“Sarà meglio rientrare, sta salendo l’umidità” si avvicinò a lei per potersi inchinare come si fa ad una principessa, ma era evidente che il sarcasmo in quel gesto fosse assolutamente voluto “buonanotte, Belle”.
Sussurrò il suo nome lasciandolo passare sul palato come se avesse desiderato accarezzarlo.  Aveva voglia di dormire perché arrivasse un nuovo giorno, così avrebbe incontrato Tremotino e sarebbe potuto tornare a casa, per prendersi un po’ di meritato riposo.
La lasciò sulla terrazza, sapeva perfettamente dove andare. Belle al contrario, preferì rimanere lì, avvertendo il freddo del marmo risalire sulle gambe mentre un lieve venticello si adagiava sul viso morbido e roseo.






 
**




Le allucinazioni erano quasi scomparse anche se erano rimasti alcuni strascichi che si ripetevano ogni mattina che apriva gli occhi. Per quel giorno, fu dura riuscire a sedare la sensazione di tormento che gli appesantiva il cuore. Aveva scambiato la sua guaritrice per Milah e aveva iniziato a pronunciare il suo nome costantemente. I lunghi capelli neri, gli occhi azzurri, le labbra rosse. Tutto di lei gli ricordava Milah, la donna che aveva amato. Quando Red si sentì chiamare in quel modo avvertì una stretta al petto, poteva assorbire ogni fibra di dolore che lui emanava ogni volta che vedeva in lei qualcuno che non era. Cercò di calmarlo per evitare che sprofondasse davvero nelle sue allucinazioni e anzi provasse a combatterle. Non appena il Capitano riuscì a ristabilire la concentrazione sul mondo reale, sprofondò di nuovo in un sonno profondo che lo aiutò a riprendere consapevolezza.
La febbre stava scendendo e la sua salute migliorava giorno dopo giorno, sarebbe potuto tornare in piedi entro qualche giorno, cosa che non vedeva l’ora di fare. Dopo essersi svegliato per la seconda volta, Red gli consigliò di uscire per cambiare aria, soprattutto perché quella giornata si dimostrava calda e ne avrebbe tratto beneficio. Quando uscì dalla capanna, aiutato da lei, il sole gli ferì gli occhi e fu costretto a nasconderli giusto il tempo di abituarsi di nuovo alla luce. Lo accompagnò fino alla riva del fiume perché si potesse rinfrescare il viso.
Crollò su una pietra rialzata, tenendo i gomiti poggiati sulle ginocchia, mentre Red si sedette di fronte a lui, studiandone le reazioni.
“Suvvia, non guardarmi in quel modo. Sto bene” disse mentre si affacciava sullo specchio d’acqua per studiare il pallore ancora evidente di quella lunga convalescenza.
“Non ne sono poi così certa, visto che stamattina mi hai scambiata per un’altra persona” scrollò le spalle, rendendosi conto che Hook iniziava già a sentirsi meglio “Milah era il nome della donna che amavi?” gli domandò.
E’ così freddo il suo nome, così lontano, distante.
Annuì con un certo sforzo mentre sciacquò via la sua immagine dall’acqua per poi voltarsi verso di lei. Non amava parlare di ciò che aveva perso, ma al contempo era un modo per dimostrare a se stesso ogni giorno che meritava la sua vendetta.
“Parlami di lei, forse così ti libererai di queste allucinazioni” gli propose nel tentativo di aiutarlo.
Era fermamente convinta che esse arrivassero dal passato che aveva sulle spalle e che gli facevano ricordare quello che il suo cuore continuava a non voler accettare. E se invece Hook desiderasse di non liberarsene affatto? E se gli scherzi della sua mente lo stessero aiutando a tornare dalla donna che aveva perso? Sarebbe rimasto ancorato alle illusioni e lui non era mai stato un sognatore.
“Conobbi Milah in una locanda, ero alla ricerca di un tesoro prezioso che si trovava su quella stessa strada. Mi sfidò al gioco dei dadi, se avessi vinto io avrei potuto prendere tutto ciò che desideravo. Se avesse vinto lei l’avrei accolta sulla mia nave. Inutile dire che la lasciai vincere, non rappresentava per me alcuna sconfitta, visto che ne ero stato così attratto. C’era disperazione nei suoi occhi e malinconia, la sua vita si stava prosciugando accanto ad un uomo codardo che non poteva renderla felice. La accolsi sulla Jolly Roger, rendendola una vera e propria regina” sorrise di sottecchi a quel ricordo che illuminò il suo sguardo solo per un istante, finché non si adombrò alla domanda che gli fu posta successivamente.
Red evitò di creare storie riguardo al fatto che si trattasse di una donna sposata, non era un giudice né si sentiva in grado di sputare sentenze, dopo ciò che rappresentava lei per se stessa.
“Ed il Coccodrillo? Cosa è accaduto esattamente?” avvertì il sapore aspro sul palato mentre anche i suoi ricordi si fecero struggenti.
Hook si inumidì le labbra prima di raccogliere un sassolino e gettarlo davanti a sé perché ricadesse in acqua con un tonfo leggero.
“Suo marito, il codardo, divenne il Signore Oscuro e tornò a reclamare la madre di suo figlio. Le strappò il cuore proprio davanti ai miei occhi e lo stritolò senza alcuna pietà” sollevò l’uncino leggermente “tutto il resto te l’ho già narrato”.
Red si morse il labbro inferiore, la storia del Capitano era macchiata dal sangue di un amore che non era vissuto abbastanza. Inoltre, ciò che più la stupì fu scoprire l’identità del Coccodrillo. Ecco perché quando gli rivelò di Jefferson si era così impazientito, era stato ingannato da un sottoposto di Tremotino.
“Come farai a compiere la tua vendetta, Tremotino non può essere ucciso” sussurrò come se fosse diventata sua complice.
“Esiste un modo, sono arrivato sin qui per poter sfruttare la mia occasione” biascicò quelle parole con veemenza prima di alzarsi lentamente in piedi e assaporare i raggi del sole che gli illuminarono il viso.
La richiamò perché potessero avviarsi verso il bosco, desiderava fare una passeggiata, per quanto le sue forze reclamassero altro tempo per riprendersi del tutto. Red decise lo stesso si lasciarlo fare, era in grado di cavarsela da solo, soprattutto ora che la febbre stava scivolando via. Si affiancò a lui, stringendosi nel mantello rosso mentre si incamminarono su un sentiero.
“Ti ho raccontato la mia storia, eppure non sembri affatto spaventata. Non dovresti tentare di fermarmi, di aiutarmi a ragionare per mostrarmi la retta via?” le domandò con sincera curiosità, da quando lei lo aveva trovato non le aveva svelato nulla se non qualche particolare appena accennato.
“Io?” scrollò le spalle Red avviandosi verso l’ombra del bosco continuando a seguire il sentiero che avevano scelto “Non sono la persona adatta per una cosa simile, inoltre non mi intrometterei mai in questioni che non mi riguardano”.
Ti ho svelato chi sono e non hai avuto paura.
Hook tirò le labbra in un sorriso compiaciuto, era la prima volta che qualcuno gli si rivolgeva in un modo così aperto e disponibile. Red non giudicava il suo comportamento, non provava compassione per la sua tristezza e al tempo stesso lo aiutava a rimettersi in piedi. I suoi occhi però erano cerchiati di qualcosa che non voleva raccontare, invece lui doveva sapere.
“Anche tu hai perso una persona importante nella tua vita, come è accaduto?” le domandò mentre apriva la strada tra i cespugli, così da poter percorrere più agevolmente quel luogo fatto di luci ed ombre.
Red corrugò la fronte, non era la prima volta che lui le poneva quella domanda e ogni volta era riuscita a cambiare argomento. Ma si rese conto che al contrario, Hook non aveva nascosto nulla di sé, dunque doveva ricambiare in qualche modo.
Se ti dicessi cosa ho fatto, andresti via?
“Il villaggio che ho abbandonato era dilaniato dalla presenza di un mostro terribile, un lupo che si presentava ogni notte di luna piena e che con ferocia straziava gli innocenti che incontrava. Mia nonna cercava di non farmi uscire mai di casa, soprattutto in quei giorni, per proteggermi. Quando scoprì che avevo iniziato a frequentare Peter, un ragazzo del villaggio, mi proibì di incontrarlo ancora. Così una notte decidemmo di fuggire ma per nostra sfortuna scegliemmo il momento meno adatto, poiché il lupo attaccò e lo sbranò facendolo a pezzi” la voce tremava al ricordo della nave macchiata di sangue e il corpo esanime di Peter che ormai era divenuto irriconoscibile.
Le lacrime furono trattenute il più possibile negli occhi per evitare che potessero scendere. Hook assaggiò il rumore della voce strozzata di lei come una sofferenza amara che poteva capire perfettamente.
“Ma tu sei sopravvissuta, come è stato possibile?” insistette ancora perché proseguisse.
Red deglutì a vuoto e schiuse più volte le labbra, prima di affermare: “Non ricordo nulla, ero sconvolta”.
Mentì, ma non del tutto.
Hook si convinse che anche quella volta Red non gli raccontò tutta la verità sulla sua storia ma non poteva costringerla a fidarsi di qualcuno come lui.
“I lupi sono belve terribili” sentenziò Hook quasi senza riflettere.
La ragazza dal mantello rosso avvampò di fronte ad un’idea simile, se prima era convinta di non rivelargli nulla, ora lo era molto di più. In fondo mancavano davvero pochi giorni e poi lui se ne sarebbe andato e non lo avrebbe più rincontrato.
Scese un lungo silenzio tra loro, Hook iniziava a stancarsi e forse sarebbe stato meglio interrompere la passeggiata, mentre Red si sentiva fortemente a disagio per ciò che lui aveva pronunciato. Sarebbero tornati indietro, se non fosse stato che a poca distanza da loro assistettero ad una scena particolare.
“Non ti darò mai ciò che desideri!” la voce di un uomo incappucciato risuonò fino a loro che si nascosero immediatamente dietro al tronco di un albero per poter spiare quella discussione.
“Ma io non ti ho chiesto proprio nulla, prenderò quello che voglio da solo”.
Hook strinse con forza il pugno della mano sana, avrebbe potuto riconoscere quella presenza così intollerante anche se gli fosse mancata la vista e l’udito: Jefferson si trovava seduto sul ramo più basso di un albero, con i gomiti appoggiati alle ginocchia, mostrando un’aria decisamente annoiata.
Il Capitano fece per scattare in avanti ma Red lo afferrò per un braccio e se lo trascinò accanto, ammutolendolo con una mano che premette sulle sue labbra.
“Non fare gesti avventati, non sei ancora in grado di vedertela con lui” gli sussurrò cercando di calmarlo.
“Lasciami andare, deve pagarla per ciò che ha fatto!” inveì contro quella resistenza che si faceva difficile, visto che le forze iniziavano a scemare.
Intanto Jefferson era scivolato giù dal ramo dell’albero ritrovandosi davanti all’uomo incappucciato ed estrasse l’orologio da taschino, lo aprì e lo lasciò dondolare davanti agli occhi dell’avversario.
Quest’ultimo iniziò a seguirne il dondolio come se ne fosse rimasto ipnotizzato e poco a poco avvertiva le palpebre ricadergli lentamente sugli occhi che si chiusero di colpo. In un istante cadde a terra in ginocchio, con la faccia che si era spalmata sulla fanghiglia della terra umida. Jefferson sorrise divertito, si avvicinò ed estrasse dalla faretra una freccia dorata, quella che Tremotino gli aveva chiesto di prendere. Essa era in grado di colpire qualunque bersaglio a dispetto della distanza e della visibilità. 
“A volte è così facile che potrei iniziare ad annoiarmi” farfugliò Jefferson mentre metteva da parte la freccia, l’orologio e punzecchiava la spalla dell’uomo che era svenuto.
Red non riuscì più a controllare la furia di Hook che uscì allo scoperto e cercò di avventarsi sul Cappellaio che udendo quei rumori avversi si rimise in piedi.
“Tu! Tu me la pagherai per quello che hai fatto!” gli urlò contro il Capitano, brandendo l’uncino verso di lui.
Jefferson inclinò appena il capo di lato e mostrò una smorfia di finta paura.
“Sei ancora vivo? E’ proprio vero che è difficile sbarazzarsi dei topi di fogna” scosse il capo mentre spostava la coda del soprabito indietro e posava le mani ai fianchi.
Quando Hook sguainò la sciabola, Jefferson schioccò la lingua e gettò il cappello a terra, mentre le nubi viola iniziarono ad avvolgerlo.
“Non scappare, maledetto codardo!” il pirata tentò di avventarsi su di lui ma ricadde a terra poiché il Cappellaio era riuscito a farla franca, scomparendo all’improvviso.
Red corse verso di lui, inginocchiandosi per poterlo aiutare.
“La pazienza non è una tua virtù” lo rimproverò con forza. 








// NdA: 

Salve a tutti!
Sono riuscita ad aggiornare: non che il capitolo non fosse pronto, ma in questo periodo sto pubblicando molto e troppo spesso, volevo prima terminare la raccolta Mad Beauty ^^. 
Ecco qui il terzo capitolo. Che ne pensate della coppia Jacqueline/Jefferson? xD A me vien da ridere a pensarci a dire il vero.
Grazie a tutte coloro che hanno recensito e hanno inserito la storia tra le seguite. 

 

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Capitolo 5
*** 4 - Books and Blood ***


IV 

Books and Blood








Sfiorare le rilegature dei libri, sfogliare le pagine ingiallite ed avvertire un profumo diverso a seconda del volume che si tiene tra le mani, era una cosa che aveva sempre amato fare. I libri erano tutta la sua vita, o quasi. Al loro interno trovava avventure di uomini e donne che erano in grado di andare oltre se stessi, di vivere amori sempiterni e di creare amicizie a lunga durata che non si sarebbero disperse nella marea del tempo. Immaginare di essere la protagonista di una di quelle avventure la rallegravano, colmando le sue giornate di buoni propositi, poiché sapeva che prima o poi avrebbe raggiunto il suo obiettivo.
Quella mattina si era svegliata con il sorriso, in realtà non lo aveva mai perso da quando si era trasferita al Castello di Tremotino, ma amava rimanere stupita.
Sin dall’inizio la sua opinione nei riguardi di Jefferson, il Cappellaio, non era stata delle migliori, tant’è che si era mostrata ostile nei suoi confronti e non aveva mancato di far notare una certa antipatia. Ma approfondendo la sua conoscenza si era accorta che egli non possedeva solo boriosità nel carattere, vi era qualcosa di più profondo che avrebbe gradito conoscere.
Tutti sappiamo a cosa andiamo incontro, conosciamo la sofferenza prima ancora di provarla, è solo che vorremmo rimanere stupiti.
E lo stupore era ciò che aveva provato quando si era ritrovata a rivalutare l’opinione che si era fatta.
Si recò nella grande biblioteca che Tremotino le aveva affidato, poteva considerarla quasi come la sua stanza personale, dove si sarebbe potuta rifugiare in ogni momento. Non appena entrò si diresse verso uno degli scaffali più bassi per tirare fuori uno dei libri che avrebbe dovuto terminare di leggere, ma in quel momento udì un brontolio proveniente all’angolo della sala bianca. Si voltò verso l’intruso che se ne stava sdraiato sulla poltrona, con un libro aperto a coprire il volto. Stava dormendo… ancora?
Belle si avvicinò lievemente infastidita dall’averlo trovato lì senza la minima considerazione per quelli che considerava i suoi libri. Si schiarì la voce piegandosi verso di lui, di modo che potesse svegliarsi.
Il libro scivolò dal viso di Jefferson che immediatamente riaprì gli occhi, ritrovandosi davanti l’espressione della ragazza decisamente ostile. Scoccò uno dei suoi sorrisi ammalianti e si tirò in piedi.
“Non avrete dormito qui stanotte?” gli domandò mentre recuperava il libro, che era uno tra i suoi preferiti.
“Certamente no, ma stamattina all’alba non ho trovato nessuno con cui trascorrere il tempo e mi sono deciso a venire qui in biblioteca. Pessima idea, detesto leggere” bofonchiò prima di sistemarsi la camicia che stirò lievemente con le mani.
Belle sgranò gli occhi, un viaggiatore come lui avrebbe dovuto adorare le storie narrate nei libri!
“Trovo ottuso chiunque non apprezzi un buon libro” sputò quella sentenza mentre richiudeva il romanzo d’amore per poterlo riporre con cura lì dove era stato preso.
“E’ questione di punti di vista, io trovo una gran perdita di tempo trascorrere le proprie giornate in una biblioteca quando si può uscire fuori e vivere tutte le avventure che si desiderano” disse mentre appoggiava un gomito sullo scaffale più vicino, facendo storcere il naso a Belle che già si stava ricredendo su quello che aveva pensato su di lui quella notte stessa.
“Non tutti sono così fortunati da poter disporre della propria vita” sospirò di fronte a quella verità “in ogni caso, non vi è piaciuto il romanzo che stavate leggendo?” gli domandò per sviare l’argomento riguardante il proprio destino e la possibilità di sceglierne uno diverso.
Jefferson sbadigliò mentre si avviava verso la finestra per poter osservare all’esterno il roseto che si stagliava su larga parte del paesaggio che vi era a disposizione.
“Assolutamente banale e piuttosto sciocco, ma non me ne stupisco, visto che è stato scritto da una donna. E’ evidente che mancasse di esperienza, cosa che condanna una buona narrazione” sentenziò prima di voltarsi di nuovo verso di lei e riprendere a camminare per la stanza, portando le mani dietro la schiena.
Belle lo guardava solo con la coda dell’occhio, interessata alla sua opinione ma infastidita nell’udire parole simili contro ciò che aveva amato leggere tempo fa.
“Come potete dire una cosa simile?”
“Molto semplice: conosco meglio il mondo. Se vi piace un romanzo del genere è piuttosto ovvio che manchiate anche voi di esperienza. Temo proprio che i vostri orizzonti debbano essere ampliati” sogghignò prima di fermarsi a pochi passi da lei per catturare il suo sguardo “magari da un giovane straordinario, come uno degli eroi dei vostri libri”.
Spesso Belle aveva sognato di incontrare un eroe in grado di aprire gli occhi della propria amata e condurla sulla retta via, regalandole quelle avventure che da sola non avrebbe potuto affrontare.
“Meglio ancora da un giovane pericolosissimo che ha infettato il cuore di molte fanciulle…” [1] cercò di concludere quella frase, se solo gli occhi di Jefferson non si fossero soffermati nei suoi così a lungo da farla tentennare.
Il rossore sulle guance la fece avvampare e in un movimento leggero si girò per allontanarsi e raggiungere la scala così da allontanarsi da quella presenza che iniziava a diventare invasiva. Jefferson comprese di aver calcato la mano e che la timidezza di lei era dovuta proprio ad una strana idea che si affollava nella sua testa. Amava divertirsi in quel modo e mettere alle strette le persone che gli stavano attorno, ma Belle era particolare, la sua sincerità nel mostrare se stessa era invidiabile.
“Dunque è per questo che amate leggere: per vivere con l’immaginazione ciò che non vi è possibile intraprendere?” quella domanda perforò le orecchie di Belle mentre risaliva la scala per sistemare alcuni dei libri.
“Avete un’opinione così pessima a riguardo che in questo modo non riuscirete mai ad apprezzarne i lati positivi. I libri non permettono solo di vivere vite non nostre, ma ci insegnano questioni sulla natura umana che non sempre si ha la possibilità di conoscere. Ci aiutano incontrare noi stessi e ad affrontare demoni nascosti” disse in tutta semplicità, ora che gli era lontana aveva raggiunto nuovamente la giusta calma e poteva conversare amabilmente senza sentirsi a disagio.
Jefferson appoggiò le spalle allo scaffale bianco, portando una mano sotto il mento e sospirando.
“Ora che mi ci fate pensare, è piuttosto ovvio che le donne amino i libri. Siete state le prime ad aver scoperto lo specchio, ad aver indagato sulla vostra interiorità e ad aver capito che non esistono solo conflitti esterni” rivelò un sorriso sulle labbra prima di iniziare a sbadigliare rumorosamente.
“Sembra che conosciate bene l’animo delle donne, se ne parlate con così tanta sicurezza” disse Belle mentre tirava fuori un volume per poterlo sfogliare, poi lo ripose al suo posto e prese quello accanto, facendo la stessa cosa.
In realtà era presa più dalla conversazione e cercare un libro da leggere si trasformò in una sfida, la concentrazione non le bastava. Salì ancora di più sulla scala per passare allo scaffale superiore ed operare meccanicamente allo stesso modo.
“Sono un acuto osservatore, anche se posso sembrare distratto” così sbadigliò ancora una volta, facendo scaturire in Belle una risata leggera.
“Ma perché avete sempre bisogno di dormire?” scherzò assolutamente divertita dal vederlo così assonnato, ma la risata si spezzò quando perse l’equilibrio e rischiò di cadere sul pavimento, se non fosse stato che Jefferson riuscì a prenderla tra le braccia, accusando appena il colpo che lo fece indietreggiare di un passo.
“Tra i due non sembro io la bella addormentata, visto che siete caduta voi da una scala” le sorrise ampiamente, senza avere l’intenzione di lasciarla andare, anzi non accennò a muoversi da quella posizione e tenne salda la presa su di lei.
Belle, per la seconda volta, avvertì una strana sensazione correrle lungo la schiena, tanto che non riuscì a rispondere a quella battuta. Si limitò a deglutire cercando di evitare di incontrare il suo sguardo che al contrario la indagava a fondo, per studiarne lo stato d’animo.
“Vi pregherei di farmi scendere” sussurrò a bassa voce anche se le sue mani erano ancora intrecciate al suo collo.
Jefferson si strinse nelle spalle e la fece scivolare giù con delicatezza, prima di allontanarsi per lasciarla respirare, in quel momento la porta della biblioteca si spalancò portando con sé il padrone di casa che aveva appena fatto ritorno.
Fino a quel momento sia Belle che Jefferson avevano dimenticato di attendere entrambi il suo ritorno, poiché erano stati presi da altro e per un attimo sentirono la sua estraneità farsi più forte, come se avessero vissuto in un limbo per due giorni.
Il Signore Oscuro parve incredulo nell’incontrarli insieme, ma non si pose troppe domande se non quelle di cortesia.
“Ho forse interrotto qualcosa?” domandò verso Belle, la quale si limitò a scuotere la testa, lievemente in imbarazzo per ciò che era accaduto poco prima.
“Molto bene, perché sono decisamente infastidito” disse con voce stridula mentre si avviava verso una poltrona accanto alla finestra più grande dove avrebbe iniziato a filare l’oro da dare a Jefferson, visto che era lì proprio per questo.
Ritrovarselo in casa non era una novità, spesso era accaduto di far ritorno da lunghi viaggi e scoprire che aveva trascorso intere notti nella sua dimora. Ma di lui si fidava per il semplice fatto che senza oro Jefferson sarebbe caduto in miseria, dunque gli era indispensabile rimanere fedele al Signore Oscuro.
“Esattamente cosa vi turba?” aggrottò le sopracciglia Jefferson mentre si accomodava sul bordo del tavolo ed incrociava le braccia al petto.
Belle decise di rimanere accanto agli scaffali, udendo la conversazione in disparte per poterne cogliere i particolari silenziosamente.
“Ero alla ricerca di una pianta di fagioli magici che mi avrebbe condotto fino alla dimora dei Giganti per strapparne loro qualcuno” sibilò Tremotino prima di mettersi al lavoro “ma mi è arrivata notizia che sono stati uccisi tutti, o quasi, e che le piantagioni di fagioli sono andate distrutte!” alzò la voce per enfatizzare quell’ultima esclamazione.
Jefferson si inumidì le labbra cadendo in un ricordo recente, l’ultima volta che aveva udito voci riguardanti Jack erano rivolte proprio verso i Giganti, che fosse stata lei a sterminarli?
“Dunque il vostro è stato un viaggio inutile” sospirò Jefferson, poco incline a voler ascoltare le sue lamentele, al momento desiderava solo andarsene via con la propria ricompensa “ma posso risollevarvi il morale dicendovi che ho ottenuto la freccia magica che desideravate” sogghignò con soddisfazione.
Tremotino fermò la filatura e scoppiò in una risata che non riuscì a trattenere, sapeva che il Cappellaio sarebbe riuscito a portargliela, visto che uno scalzacani qualunque gliel’aveva sottratta durante una delle sue lunghe assenze.
“Ottimo, certi individui devono imparare che non si può sottrarre nulla al Signore Oscuro”.
Belle inarcò un sopracciglio e si avvicinò a lui, appoggiando una mano sullo schienale della poltrona.
“Forse le sue intenzioni erano buone, magari ne aveva bisogno per…”
“Hai sentito, Jefferson? Ora anche il rubare può diventare un atto giusto se fatto per un bene superiore! Come si dice, il fine giustifica il mezzo” sghignazzò per averla messa alle strette in quella situazione.
Jefferson si limitò a ridere ma Belle non gradì affatto la loro reazione dovuta alle parole che aveva pronunciato. Ecco, aveva di nuovo cambiato idea su di lui. Il Cappellaio non era poi così diverso da Tremotino, come suo sottoposto sembrava comportarsi al medesimo modo e non mostrava alcun rispetto per gli altri. Se aveva visto del buono in lui, era evidente che vi fossero anche delle ombre.





 
**






La prima notte di luna piena da quando era arrivato alla Foresta Incantata si era dimostrata insensibile nei confronti del suo sonno poiché non gli aveva dato modo di chiudere occhio. Era rimasto in dormiveglia a lungo, a causa degli ululati di un lupo nelle vicinanze che gli impedirono di rilassarsi. Nonostante la febbre fosse scesa continuava ad avere qualche allucinazione ma non devastanti come le altre, poco a poco sarebbe tornato in perfetta forma. Non si era reso conto quella volta che Red non era nel suo giaciglio ma che era uscita a perlustrare la zona, per accertarsi che andasse tutto bene, ma quando vi fece ritorno lo ritrovò con le mani sotto la nuca e gli occhi aperti puntati verso l’alto.
“Non riesci a dormire?” le chiese lei mentre sistemava il mantello rosso su uno sgabello, per poi recarsi verso il posto in cui era solita riposare la notte.
Il Capitano scosse la testa e sospirò.
“Continuo a pensare al Cappellaio, è diventata un’ossessione” si girò verso di lei per poterla guardare, solo in quel momento si accorse che aveva le labbra più rosse del solito e che all’angolo della bocca vi era una striscia porpora “va tutto bene Red, sei rientrata piuttosto tardi?”
La ragazza sollevò le sopracciglia, non comprendendo che cosa intendesse dire e si strinse nelle spalle.
“Certo, mi sono solo persa in qualche pensiero più profondo e non mi sono resa conto di essermi allontanata troppo” gli sorrise affabilmente mentre sedeva sul giaciglio, era stanca anche se il suo viso pareva turbato.
Hook non era il tipo da preoccuparsi per i problemi altrui e dimenticò subito quella faccenda.  Si addormentarono entrambi, ora che il lupo pareva scomparso dopo aver disturbato per tutto quel tempo. 
La notte seguente tornò ad esservi la medesima situazione, Hook non riusciva a prendere sonno e Red era rimasta fuori ancora una volta, mentre quei maledettissimi ululati insistevano nel disturbare i tentativi del pirata di addormentarsi pacificamente, visto e soprattutto che il giorno seguente si sarebbe messo in viaggio per perseguire finalmente i suoi obiettivi. Stanco di quella situazione si alzò dal giaciglio, afferrò la sciabola e si rivestì di tutto punto per andare a cercare il lupo e farlo fuori, o almeno spaventarlo per evitare che continuasse a lamentarsi in quel modo. Nessuno aveva il diritto di disturbare il sonno del Capitan Hook.
Armato uscì dalla capanna, preoccupato anche per la sorte di Red che incoscientemente insisteva nel compiere le sue passeggiate notturne. Quella ragazza gli nascondeva qualcosa, ora che si stava liberando delle allucinazioni, ne diventava sempre più convinto.
Non fu difficile mettersi sulle sue tracce visto che gli ululati insistevano verso la direzione della foresta ed era lì che si stava dirigendo. Mantenne la sciabola sfoderata per essere pronto di fronte a qualunque evenienza, non appena riuscì a riscontrare la sua presenza si fermò, nascondendosi dietro un albero. Era nero come il manto della notte e gli occhi dorati come fossero state delle stelle, Hook lo osservò a lungo per poterne studiare i movimenti. Fu colpito però da qualcosa che gli giaceva accanto, il corpo di un uomo che era stato sventrato. Si inumidì le labbra, ripensando al racconto di Red e per un attimo ebbe un’illuminazione.
Lei era fuggita via dal villaggio in cui era nata dopo che il suo innamorato era stato fatto a pezzi da un lupo, che avesse scelto di farlo per andare alla ricerca di quel mostro? Certo, non aveva alcun dubbio. Il lupo era per lei ciò che il Coccodrillo rappresentava per Hook, come aveva fatto a non capirlo immediatamente? In tal caso non poteva permetterle di agire da sola, visto che non sarebbe stata in grado di far fuori il mostro con le sue sole forze, avrebbe potuto ricambiarle il favore salvando la sua di vita. Si tirò via dal nascondiglio e iniziò ad avvicinarsi al lupo, il quale non appena si accorse della sua presenza prese a ringhiare, ma qualcosa nei suoi occhi mutò trasformandosi in un’espressione quasi umana e preoccupata.  Hook non si fece intenerire e si apprestò a farsi più vicino.
“Finalmente, sono due notti che non mi fai dormire” non appena pronunciò quelle parole assunse un’aria minacciosa, ma i suoi occhi azzurri furono richiamati da una cosa che lo lasciò senza fiato.
A poca distanza dal lupo giaceva un mantello rosso e lui sapeva perfettamente che apparteneva a Red. Era arrivato troppo tardi, non era riuscito ad aiutarla?
“Stupida, stupida ragazza! Perché non mi hai confidato le tue intenzioni, ti avrei dato una mano!” esclamò quasi a se stesso e a quel punto si lanciò verso il lupo per farlo fuori.
Non riusciva a intravedere il corpo di lei, forse era riuscita a fuggire prima che il mostro la facesse a pezzi, ma non poteva esserne completamente certo. Cercò di brandire l’arma verso di lui ma quest’ultimo si scostò per indietreggiare, sembrava non volesse attaccare.
“Cos’è, ti fa paura il mio uncino? Fai bene, perché ti strapperò il cuore con questo!” si avventò ancora su di lui ma senza risultato, a quel punto era abbastanza vicino al mantello di Red, lo afferrò immediatamente e decise di usarlo ad uno scopo che gli sarebbe tornato utile.
Tornò verso il lupo e lo gettò su di lui per poterlo incastrare sotto di esso e infilzargli la lama nel cuore, ma quando questo ne fu avvolto dal mantello, Hook si rese conto di un’incredibile trasformazione che avvenne proprio davanti ai suoi occhi. Il corpo del lupo si assottigliò poco a poco fino a diventare esile e slanciato, come quello di Red, che comparse sotto la stoffa rossa in cui si ritrovò.
“E questo che accidenti vuol dire?” sussurrò il pirata mentre si rialzava di scatto, guardando la ragazza che era ritornata alla sua forma normale.
Red si strinse nel mantello per poi arrossire fino alla punta delle orecchie, per la rabbia di esser stata scoperta e la paura di un giudizio approssimativo. Aveva le labbra sporche di sangue, proprio come era accaduto la notte precedente.
“Sono io il mio Coccodrillo” svelò in un sussurro, aveva iniziato a tremare.
Hook non riusciva ancora a credere che fosse reale, per un attimo pensò davvero che si trattasse di un’allucinazione, ma sapeva che non era così. Si chinò lievemente verso di lei per poterla guardare negli occhi chiari che riusciva ad intravedere anche attraverso la fioca luce che penetrava tra gli alberi della foresta.
“Mi hai fatto stare in pensiero” disse lui cercando di non mostrare alcuna emozione a riguardo anche se la sua testa si era affollata di mille domande “vieni, mi spiegherai una volta che saremo rientrati nella tua umile dimora” così facendo le porse una mano.
Non c’è paura nei suoi occhi, non mi guarda come se fossi un mostro.
Red guardò a lungo le dita della sua mano sana, circondate da anelli preziosi e dopo qualche istante decise di accettarla per farsi rimettere in piedi. Lui non accennò a lasciargliela e se la portò alle labbra per sfiorarla, guardandola intensamente per scoprire ciò che lei gli aveva nascosto.
“Ora ho capito perché non mi giudichi per il mio passato” cercò di smorzare l’atmosfera pesante che si era creata, ma almeno era riuscito a farla sorridere.
Rimasero in silenzio finché non raggiunsero la capanna, preferirono virare verso la riva del fiume, di modo che lei potesse ripulirsi dal sangue che aveva versato. Red aveva timore di guardarlo negli occhi, nonostante lui li cercasse continuamente, per la prima volta dopo tanto tempo aveva iniziato ad interessarsi a qualcuno che non fosse semplicemente lui.
La ragazza si sporse verso l’acqua del fiume per poterne raccogliere un po’ tra le mani che aveva unito a coppa e così ripulirsi le labbra sporche di sangue. Gli occhi erano umidi di lacrime e se avesse parlato avrebbe lasciato intendere un principio di pianto che non voleva far scendere.
“Ho ucciso io la persona che amavo, sono andata via dal mio villaggio per questo. Non volevo più fare del male a coloro che amavo, fino ad allora non avevo coscienza della mia trasformazione” sussurrò, anche se Hook aveva già intuito tutta la storia.
Lui si sistemò su una delle pietre tonde accanto al fiume, cercando di non guardarla per evitarle un possibile disagio.
“E non hai imparato a governarla?” le domandò senza esitazione.
Red inspirò profondamente mentre toglieva via il sangue, sollevò gli occhi su di lui per poi indicare il mantello con cui si ostinava a coprirsi.
“Questo mi impedisce di trasformarmi durante i giorni del lupo, c’è stata una persona che mi ha insegnato ad accettare il lupo che è in me ed ormai riesco a controllarlo ogni volta che mi trasformo” gli spiegò brevemente mentre si rialzava in piedi, spostando indietro i capelli.
Hook inarcò un sopracciglio, vi era qualcosa che non andava.
“Non mi sembri felice di uccidere, se ti è stato insegnato a rimanere cosciente durante la trasformazione, perché hai attaccato quell’uomo?” si riferiva al malcapitato che era stato smembrato all’interno della foresta.
Red si morse l’interno della guancia mentre si incamminava verso la capanna, seguita dal pirata che non l’aveva lasciata con lo sguardo nemmeno per un istante.
“Qualcuno lo aveva mandato per uccidermi, non ho idea di chi si tratti, né del motivo per cui cerchi la mia morte” sussurrò a mezza voce rientrando nel rifugio in cui erano ancora accese alcune candele per fare luce, Hook non le aveva spente, visto che non era riuscito a dormire a causa degli ululati del lupo.
“Forse però avrei dovuto approfittare di quest’occasione per lasciarmi morire, almeno in questo modo avrei cessato di fare del male ad altre persone” così facendo si sedette davanti al tavolo, portando le mani a coprire lo sguardo. Tremava ancora per ciò che era accaduto.
Hook scoppiò a ridere in una risata ampia e divertita mentre si sistemava accanto a lei, appoggiando il gomito sul tavolo e il pugno della mano sotto la guancia per sorreggerla. Red, costernata, si voltò a guardarlo per comprendere quella reazione improvvisa.
“Il tuo istinto animalesco ha avuto il sopravvento e hai preferito difenderti anziché lanciarti in un atto suicida” non era un’offesa, ma una constatazione, solo che lei non la prese come tale.
“Un motivo in più per andare incontro alla morte. Sono un’assassina e merito la giusta punizione” rimbrottò con parole forti e quasi disperate.
Il Capitano scosse lievemente la testa e aggiunse: “Anche io sono un assassino. Oh, credimi, ho ucciso così tanti uomini che non potresti contarli sulle dita di una mano. Non ricordo nemmeno uno dei loro volti, né conoscevo tutti i loro nomi. Eppure quando mi hai trovato febbricitante vicino al fiume, pur notando l’uncino al posto della mano, non hai esitato a salvarmi la vita. Conoscevi le storie che mi vedono come protagonista, sapevi di aiutare un uomo poco onorevole ma non ti sei tirata indietro. Mi hai detto che non si può giudicare un uomo dal proprio passato, quindi perché non pensarla allo stesso modo su di te?”.
Era strano prendersi cura di qualcuno che a stento si conosceva, cercare di aiutare gli altri non era mai stato un suo obiettivo. Ma quella ragazza così particolare gli aveva salvato la vita ed un pirata come lui non poteva mettere da parte un fattore simile, le leggi dei sette mari andavano rispettate fino all’ultimo.
“Tu puoi ancora salvarti, Killian Jones” era la prima volta che lo chiamava con il suo vero nome “io sono e rimarrò sempre un mostro”. 







Note: 

[1] Per chi ha visto il film 'Becoming Jane' ricorderà che questo scambio di battute appartiene a Jane Austen e a Tom Lefroy nella scena della biblioteca.




// NdA: 



Eccomiiiii! Dopo svariate settimane sono riuscita a pubblicare il capitolo. La stesura va a rilento, sono arrivata al decimo capitolo ma devo iniziare a scrivere la parte riguardante Storybrooke, prima o poi riuscirò ad andare avanti. 
Ringrazio tutte coloro che hanno iniziato a seguire la storia e che hanno recensito, inserendola nelle preferite/seguite/ricordate. 
A presto con il prossimo capitolo! E Buon Anno a tutte, oncers! <3

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Capitolo 6
*** 5 - Revenge ***








Revenge 




 


Era piuttosto stanco di fare avanti e indietro dal Castello di Tremotino, ultimamente non dormiva molto e quei continui viaggi gli condizionavano la vita. Non che desiderasse nulla di diverso, ma prima o poi sarebbe riuscito a creare un luogo stabile in cui sostare, finalmente. O forse avrebbe continuato a fare ciò che più gli riusciva, come superare i varchi magici per viaggiare tra i mondi, quei mondi che si sfioravano senza nemmeno sapere dell’esistenza degli altri che vi erano accanto. Ancora non si capacitava del motivo per cui il Signore Oscuro desiderasse recarsi in un mondo senza magia, ogni tanto si poneva qualche domanda a riguardo, ma in fondo non erano affari suoi e tutto ciò che faceva era solo per vivere una vita in modo degno. Quando superò la soglia di ingresso del Castello si avviò verso la sala in cui si riuniva sempre con il suo datore di lavoro, così da poter discutere del nuovo incarico che gli sarebbe stato affidato.
Da quando Belle era entrata a far parte della servitù privilegiata quel luogo era diventato più abitabile e non era sempre avvolto nell’oscurità, dove la luce mai riusciva a raggiungere gli angoli delle sale. Ora invece ogni finestra era scoperta dalle tende rosse di velluto, lasciando che i raggi del sole scaldassero le stanze durante il giorno, mentre la notte  permetteva alla luna di filtrare all’interno.
“Sei in ritardo, Jefferson” disse il Signore Oscuro in segno di saluto, mentre se ne stava seduto a filare l’oro.
Il Cappellaio mostrò un sorriso tirato e si avvicinò con il suo solito passo leggero, prima di soffermarsi davanti al tavolo colmo di alambicchi e pozioni magiche. Tirò fuori l’orologio da taschino e lo aprì per controllare.
“No, sono in perfetto orario” così facendo spostò le lancette indietro.
Tremotino gli volse un’occhiata divertita prima di alzarsi in piedi per lasciare la filatura, si avvicinò per osservare meglio l’orologio e annuire con vigore.
“Pare proprio che tu abbia ragione” scoppiò in una risatina divertita prima di tornare serio “ebbene, ho bisogno ancora una volta del tuo prezioso aiuto” disse per poi dargli le spalle e sedersi su uno sgabello, afferrando alcune ampolle dal liquido verde per iniziare a mescolarne il contenuto.
Jefferson appoggiò il cappello sullo schienale della sedia e lo seguì con lo sguardo.
“A vostra disposizione, cosa devo portarvi questa volta?”.
Tremotino rise ancora al solito modo e sollevò le dita in alto, come per pensare.
“Una fanciulla, ma non una qualunque, ho bisogno che tu la tolga di mezzo” iniziò a spiegare mentre veniva avvolto di tanto in tanto da leggere nubi viola che svanivano nell’arco di un secondo.
“Devo ucciderla?” voleva esserne certo.
“In realtà non mi importa di quello che ne farai. Se ti crea troppi problemi puoi anche tagliarle la testa, altrimenti portala qui e me ne occuperò io. Si tratta di una donna lupo che ha messo a repentaglio i piani di alcuni miei sottoposti, la scorsa notte ho mandato un cacciatore ad occuparsi di lei ma è stato colto in fallo. Quindi, dovrai trovarla e farla smettere di essere così fastidiosa” le ultime parole furono pronunciate con un acuto finale per imprimere alla frase una forza maggiore.
Gli diede gli indizi adatti per riuscire a mettersi sulle sue tracce, una giovane ragazza dai lunghi capelli neri che indossava costantemente un cappuccio rosso sulla testa, il quale le era utile per controllare la trasformazione durante i giorni del lupo. Avrebbe dovuto agire quella notte stessa poiché il mantello le garantiva di non essere colpita da alcun attacco, mentre senza di esso avrebbe potuto renderla vulnerabile.
Quella descrizione non risultò affatto nuova alle orecchie di Jefferson, poiché aveva già incontrato una ragazza che corrispondeva a quelle caratteristiche e l’aveva intravista quella volta che era riuscito a sottrarre la freccia d’oro al ladro. Era in compagnia del Capitano della Jolly Roger, probabilmente grazie a lei il pirata non era morto per avvelenamento. Jefferson preferì non raccontare nulla, non voleva che Tremotino scoprisse della presenza di Hook alla Foresta Incantata e che soprattutto ce l’avesse portato lui.
“Come desiderate, allora sarà meglio che mi metta a lavoro da adesso” si inumidì le labbra e riafferrò il cappello dallo schienale della sedia, dileguandosi dalla sala dopo essersi congedato.
Un lavoro non da poco, aveva affrontato molte altre creature della notte, ma doveva essere interessante ritrovarsi di fronte ad una donna in grado di diventare una belva famelica. Si sarebbe divertito, inoltre aveva la possibilità di incontrare di nuovo quel fastidioso pirata e forse sarebbe riuscito a metterlo al proprio posto. Per quella volta decise di attraversare il roseto, aveva bisogno di riflettere per organizzare un piano e cogliere di sorpresa il lupo nel momento più adatto della notte. Una volta che si ritrovò nel giardino di rose iniziò a camminare lentamente verso i viali alti che sembravano formare un labirinto, anche se in realtà così non era, l’importante era non tornare mai sui propri passi se si voleva raggiungere il cancello d’uscita della proprietà del Signore Oscuro.
Avanzando si accorse della figura di Belle seduta al di sotto di un cespuglio di rose bianche, le stava raccogliendo all’interno di un cesto, forse voleva portarle nella propria stanza per rallegrare l’atmosfera. Jefferson si avvicinò con il solito passo felpato e si fermò a poca distanza dalla panchina in marmo.
“Una mia conoscente ama dipingere le rose di rosso, non ho idea del motivo per cui lo faccia, forse ha un concetto molto astratto della natura” sorrise prima di chinarsi per osservare le rose che erano state recise.
Belle non si era accorta di lui, almeno fin quando non aveva udito la sua voce, dunque si voltò sorpresa dalla sua parte, appoggiando le forbici sulle gambe.
“E’ un vero peccato, le rose bianche mi piacciono: esprimono purezza e sensibilità” così dicendo fece spazio sulla panchina perché potesse accomodarsi anche lui, ormai aveva idea che i suoi incontri con Jefferson sarebbero stati sempre inaspettati.
Lui a direi l vero non aveva intenzione di  fare quella sosta ma il profumo di  fiori era inebriante e il sorriso di Belle lo invitavano a restare. Dunque si concedette quella pausa prima di iniziare a lavorare davvero e si sedette lì, raccogliendo una delle rose dal cesto.
“Non lo metto in dubbio, ma il bianco si sporca facilmente. Le rose rosse invece sono forti, crescono resistenti e hanno in sé tenacia e prontezza di spirito” le disse prima di rigirare il gambo del fiore tra le mani, facendo attenzione alle spine.
“Già, quello che avrei voluto dimostrare al mondo. Peccato che sarò costretta a rimanere confinata qui per sempre” sospirò lei iniziando a recidere i gambi troppo lunghi delle rose che avrebbe conservato.
“Cos’è che volete dimostrare con esattezza?” domandò Jefferson sollevando un sopracciglio.
Belle tirò le labbra in un sorriso e sospirò con fare malinconico.
“Ho sempre sognato di essere coraggiosa. Vorrei diventare un’eroina, vivere mille avventure e non arrendermi mai di fronte alle difficoltà” gli occhi blu e profondi si oscurarono lentamente mentre la consapevolezza si faceva strada tra le sue labbra “ma sembra che sia impossibile per me uscire dal Castello, quindi oltre a spolverare e a lavare i pavimenti, non ho molte aspirazioni” calò lievemente la testa verso le forbici, tagliando un altro pezzo della rosa che lasciò scivolare nel cesto.
Jefferson rigirò il fiore al contrario per lasciarlo penzolare davanti agli occhi, appoggiando una mano dietro di sé sulla panchina, per sorreggersi meglio.
“In realtà avete già compiuto un atto eroico, Belle” chiamarla con il suo nome gli lasciò una dolcezza piacevole sul palato “avete scelto la salvezza del vostro regno in cambio della prigione, altre principesse avrebbero preferito attendere l’arrivo del principe che le avrebbe portate in salvo” si strinse nelle spalle, in realtà non voleva consigliarle di fuggire da Tremotino, lui l’avrebbe trovata e a quel punto non ci sarebbe stato scampo per lei.
“Lo credete davvero?” domandò lei con un filo di voce, mostrando un sorriso dolce ed affabile.
Non riusciva davvero a comprendere come fosse il suo animo, a volte lo credeva avvolto nell’oscurità, altre in grado di emanare luce. Ambiguità, c’era solo ambiguità nel suo sguardo.
Jefferson si alzò in piedi lasciando il fiore sulla panchina per spolverare il soprabito, si schiarì la voce e rispose: “Vi ho già fatto un complimento, non vorrete sentirne degli altri? Non sarebbe proprio da me” le fece segno di seguirlo.
Belle sorrise all’angolo della bocca, raccolse il cesto colmo di rose e vi posò le forbici all’interno per poi iniziare a seguirlo. Lo raggiunse e si sistemò al suo fianco, voltando il viso verso il suo per poterne studiare l’espressione.
“Raccontatemi qualcosa delle vostre avventure, voi dovete aver viaggiato così tanto! I mondi che avete visto sono diversi dal nostro, che differenze ci sono, vi abitano creature strane e particolari?” la raffica di domande non diede tregua alle orecchie di Jefferson che non riuscì a recuperare quelle iniziali, travolto da tutto quell’entusiasmo.
Doveva rappresentare per lei un motivo di sfogo, un avventuriero che aveva qualcosa di interessante da narrarle. Allora perché non accontentarla e lasciarla sognare almeno un po’, per estraniarsi da una vita che prima o poi le sarebbe stata stretta?
“Ne esistono così tanti che non saprei da dove cominciare, ma potrei iniziare da Oltreconfine [1]. Ebbene, questo villaggio si trova così come dice il nome, al confine del mondo che conosciamo. Al di là di esso, ogni tanto, si aprono dei varchi da cui arrivano creature che non siamo abituati a vedere qui. Avete mai sentito parlare del Ciciarampa o del Grafobrancio? Provengono da Wonderland, una terra lontana e particolare, in quel luogo niente è ciò che è perché tutto è ciò che non è”.
Sapeva che avrebbe attratto la sua attenzione poiché Belle inclinò la testa di lato, non aveva del tutto compreso le sue parole, quindi chiese spiegazioni.
“Quello che dovrebbe essere, non è. E’ difficile comprendere per chi non vi è mai stato” le sorrise affabilmente, sciogliendo tutta l’ostilità che aveva mostrato verso di lei nei primi giorni.
In realtà non era stata ostilità, il suo modo di rapportarsi con lei fungeva semplicemente a comprendere che tipo di donna fosse, per riuscire a capirla meglio. Si era dimostrata paziente e gentile, nonostante le sue continue punzecchiature. Iniziò a raccontarle l’avventura che aveva vissuto insieme a Jacqueline [2] per affrontare il Ciciarampa e il modo in cui erano riusciti a sconfiggerlo. Così passò al Grafobrancio e alle altre creature strane che si erano poste sulla sua strada. Belle rimase ad ascoltarlo totalmente affascinata, i suoi occhi si illuminavano ad ogni parola, la vita di Jefferson sembrava appartenere a quella di un eroe dei libri che tanto amava leggere, invece era assolutamente reale. Quasi senza rendersene conto si ritrovarono nel viale che conduceva all’uscita del Castello, avevano camminato a lungo ed era arrivato il momento di congedarsi, Jefferson aveva un lavoro importante da portare a termine e Belle sarebbe dovuta rientrare per riprendere la sua attività di domestica.
“Guardate lì, una rosa rossa che cresce tra le rose bianche? Una vera rarità” disse lei indicando il fiore che cresceva all’ombra degli altri, risaltando in tutta la sua bellezza.
Jefferson si chinò per poterlo estrarre, lo girò tra le mani per guardarlo, finché non si decise a donarlo a lei.
“Di tanto in tanto accade che una rosa bianca riesca a trasformarsi in una rossa. Un’anima pura e candida può diventare coraggiosa e tenace” le sorrise nel modo di sempre, un modo che Belle aveva imparato ad apprezzare.
Lei accolse con piacere quel gesto e si inchinò per ringraziarlo, prima di afferrare la rosa tra le mani, facendo attenzione a non pungersi con le spine.
“Chissà se sarà abbastanza forte da resistere anche alle intemperie” sussurrò Belle quasi sovrapensiero.
Jefferson evitò di rispondere a quell’affermazione che sapeva di malinconia e si limitò semplicemente a fare un passo avanti per potersi discostare dal loro passo che si muoveva quasi in contemporanea.
“Arrivederci, Belle. Grazie per la piacevole passeggiata” le disse con tono incolore.
“Fate attenzione Jefferson, cercate di tornare sano e salvo” era la prima volta che si preoccupava per lui.
Sapeva che i compiti affidati da Tremotino erano pericolosi ma per un istante si sentì in dovere di rivolgergli un pensiero più profondo, anche se si pentì immediatamente per averlo fatto. Si congedarono, tornando ognuno per la propria strada.
 
 
 

 
**
 

 


Alcuni bandi erano stati attaccati sui tronchi degli alberi al principio della foresta, si mostrava la raffigurazione di un lupo dal pelo scuro su cui era stata posta una taglia molto alta. Il Capitano Hook, che ormai aveva terminato la sua convalescenza, si era accorto di quello che sarebbe potuto diventare un problema per Red, la ragazza che lo aveva salvato da morte certa. Quel giorno sarebbe dovuto andare via per rimettersi in viaggio, ma una sorta di preoccupazione si instaurò nel proprio animo, al pensiero dei guai in cui sarebbe potuta incorrere la sua guaritrice. Non aveva molto da portare via con sé, visto che era arrivato alla Foresta Incantata quasi senza preavviso, vista la fretta che il Cappellaio aveva avuto nel ritornarvi. Riuscì a convincere Red ad abbandonare il rifugio che si era costruita per cambiare luogo, di modo che la paura del lupo si placasse. Lui non aveva una meta ben precisa, doveva trovare il modo di uccidere il Coccodrillo e forse trovare il Cappellaio l’avrebbe aiutato a slegare i nodi che si erano creati. Red al contrario non poteva rimanere in quel posto, dunque decisero di proseguire insieme per la stessa strada finché non fosse giunto il momento di separarsi. Red desiderava incontrare Snow White, la principessa che l’aveva aiutata in passato, per poterla aiutare nella lotta che stava perpetrando contro Regina. Ad Hook di questo non importava molto, il suo scopo era più importante di qualunque altro avvenimento all’interno della Foresta Incantata.
“E cosa farai dopo?” la voce di Red si introdusse tra i pensieri del pirata che annegarono all’istante per tornare a prestare attenzione.
Si stavano incamminando verso un sentiero che conduceva ad un villaggio prossimo alla foresta, si sarebbero fermati in una locanda per la notte.
“Dopo cosa?” le domandò alla ricerca dell’uncino che aveva posto all’interno di un sacchetto nero.
Red gli stava accanto, avvolta imperterrita nel suo mantello rosso. Da quando lui aveva scoperto la sua reale natura si era sentita quasi denudata, poiché non poteva più nascondersi dietro ad un’armatura che ormai si era sciolta del tutto. Era vero, lei non giudicava il suo passato perché come lui era un’assassina e non aveva risparmiato nessuno che si era frapposto sulla medesima strada di Snow White. Non aveva paura del nomignolo che avevano affibbiato al Capitano della Jolly Roger, né di quello che avrebbe potuto fare. Portavano entrambi un grande peso sulle spalle, solo che uno non lo considerava tale mentre l’altra avrebbe rischiato di caderne schiacciata.
“Dopo che compirai la tua vendetta, quando il Coccodrillo morirà, cosa farai?” si spiegò meglio.
Il pirata si morse l’interno della guancia, sfuggendo al suo sguardo indagatore per sottrarsi a ciò che sapeva molto bene anche da sé.
“Questo è ancora da vedere. Ho prosciugato interi anni a favore della mia causa e forse anche la mia stessa anima ne risente. Ma ho promesso a me stesso che sarei riuscito a strappare il cuore del Signore Oscuro, stritolandolo davanti ai suoi occhi” strinse il pugno della mano sana intorno all’uncino che andò a montare su quella che gli mancava.
Il formicolio alla mano che non c’era più si era spesso fatto sentire, i primi giorni dopo l’incidente si erano dimostrati terribili, poiché avvertiva ancora quella sensazione tattile che non possedeva più.
“La vendetta però è una fine, non un inizio. Hai votato te stesso soltanto a questo, ma quando Tremotino verrà sconfitto poi non avrai più nulla da fare” disse lei semplicemente, arrotolando le dita delle mani intorno ai lembi del mantello.
Hook aveva pensato anche a questa eventualità, la morte del Coccodrillo avrebbe placato la sua sete di vendetta, ma una volta compiuta sarebbe potuto tornare ad essere semplicemente Killian Jones? Il nomignolo che gli avevano dato rappresentava una parte di sé che aveva creato per sconfiggere colui che più detestava al mondo, ma poi che cosa ne sarebbe stato di lui? Milah non sarebbe tornata indietro, la sua nave era rimasta a Neverland con tutto l’equipaggio e trovare dei portali magici era quasi impossibile.
“Provvederò in futuro ad occuparmi di me stesso, perché te ne preoccupi tanto? Domani potremmo anche prendere una strada diversa e non vederci mai più” le rispose senza mettere a nudo i propri pensieri.
Red sollevò lievemente il cappuccio dalla testa per rivolgergli un sorriso dolce che non aveva mai mancato di avere in tutti quei giorni.
Il pirata se ne rendeva conto, era bella e terribilmente pericolosa. Sotto quell’espressione serafica si nascondevano ombre che torturavano la sua anima. Gliel’aveva letto negli occhi quando aveva rivelato la sua vera natura, una natura che non desiderava avere ma che si era costretta ad accettare per il suo bene e quello degli altri.
“Ti ho salvato la vita, merito di preoccuparmi almeno un po’ riguardo ciò che ne vorrai fare. Altrimenti sarà stato tutto un lavoro inutile, non ti pare?”.
Hook sorrise all’angolo della bocca, apprezzava molto quella confidenza che iniziava ad esserci tra loro due. Red continuava a non volerlo distogliere dalla sua vendetta, nonostante sapesse molto bene quanto avrebbe desiderato farlo, poiché nei suoi occhi vi erano sentimenti di giustizia e di bontà che lui non aveva mai posseduto. Eppure si tratteneva, per lasciarlo libero di agire come meglio avrebbe preferito. E non solo, non poteva permettersi di indicare una strada migliore visto che lei stava rischiando di sprofondare nell’abisso.
“Le donne provano sempre il desiderio di voler controllare la vita degli uomini, credono di poterla comandare a proprio piacimento” scosse la testa con un certo divertimento.
Red si lasciò sfuggire una risata che si colorò dei raggi del tramonto che era iniziato a scendere all’orizzonte, illuminandole il viso di una luce soffusa, come fosse stata quella di una candela. Più Hook la guardava più sentiva di impazzire. La prima volta che aveva incontrato i suoi occhi l’aveva scambiata per un’allucinazione, quando era reale proprio come quella locanda che si ritrovarono di fronte. Decisero di fermarsi lì per la notte, qualcuno era alla ricerca di Red per poterla fare fuori ma ancora non avevano scoperto chi avesse mandato quel cacciatore la notte prima. In più se il Cappellaio lavorava davvero per Tremotino, doveva essere a conoscenza della presenza di Hook alla Foresta Incantata e non voleva farsi trovare prima del tempo.
Si sistemarono all’interno, ordinando una cena calda per potersi rifocillare, in più Hook si fece portare due boccali di birra per rinfrescare il palato che in quei giorni aveva potuto assaggiare soltanto acqua fresca. Era stata una vera e propria maledizione non esser riuscito a portare con sé del rum e in locande come quelle il prezzo era troppo alto per poterselo permettere.
“Gli anelli che indossi hanno un qualche significato o è una moda che si usa tra i pirati?” domandò Red mentre avvicinava il boccale di birra, sistemandosi meglio sulla sedia.
Hook era seduto dalla parte opposta, dando le spalle all’ingresso della sala, trangugiò immediatamente la sua non appena la ebbe tra le mani per poi sospirare serenamente. Aveva bisogno di avvertire il sapore amaro sul palato.
“Ma come siamo curiosi, all’inizio non volevi sapere nulla di me, invece ora non fai che pormi domande su domande” sogghignò lui inclinando appena la testa di lato “non ti starai affezionando?”.
Red roteò gli occhi al cielo e scosse il capo in segno di diniego.
“Non montarti la testa, Capitano. Sono semplicemente curiosa ed inizio a provare interesse per la tua storia, visto che sembri così desideroso di volerla sempre raccontare. Inoltre in questo modo non posso che garantirmi la tua benevolenza, osannandoti per le tue doti e al tempo stesso ti impedisco di concentrarti su di me e ciò che sono stata” dichiarò lei in tutta semplicità.
Hook deglutì a vuoto di fronte a quell’affermazione così forte, aveva perfettamente capito come avrebbe dovuto agire nei suoi confronti, stuzzicando il proprio ego per metterlo in risalto, così da lasciare lei nell’ombra. Per un attimo la immaginò a bordo della sua nave, chiedendosi come se la sarebbe cavata ma corse a scacciare freneticamente quel pensiero, non poteva permettersi nulla del genere.
“Dannatamente furba” sussurrò pur sapendo che quelle parole sarebbero giunte anche a lei “e va bene, in tal caso non mi esimerò, è vero che mi piace parlare di ciò che ho fatto. Questi anelli appartengono agli uomini di mare che ho sconfitto in passato e li indosso sempre per ricordarmi perennemente della mia missione, oltre a mettere in guardia chiunque si ponga sulla mia strada”.
Al pollice portava uno zaffiro sottratto a Nemo, il Capitano del Nautilus, una nave in grado di viaggiare sott’acqua ma che non faceva parte del loro mondo.
All’indice vi era un rubino che aveva rubato a Sinbad quando si erano incontrati a Siracusa con il medesimo intento di saccheggiare la città per procurarsi un inestimabile tesoro.
Al medio aveva uno smeraldo appartenente al Corsaro Nero, Emilio di Roccabruna, un vero e proprio gentiluomo a cui aveva promesso di riportargli indietro la donna che amava, Honorata.
All’anulare mostrava un turchese che gli aveva consegnato Angelica, la figlia di Barbanera, in cambio della cattura di Jack Sparrow, cosa che non finì affatto bene.
Al mignolo si illuminava un diamante che un tempo fu di Barbossa, il pirata dalla gamba di legno.
“Hai detto di aver sconfitto questi uomini, ma in realtà hai solo preso loro anelli che non erano tuoi” disse Red quando il racconto volse al termine.
Hook prese un gran sospiro e scosse la testa sconsolato.
“Certo, non ho affrontato tutti su un terreno di battaglia ma mi sono garantito il via libera sui sette mari, una sorta di salvacondotto. Indossando questi preziosi nessuno desidera battersi con il Capitano che li possiede, sono un segno di paura ma anche di rispetto” cercò di spiegarle come meglio poteva, anche se la legge dei pirati non era comprensibile alle masse.
“Che strano modo per confermare una vittoria” sorrise di sottecchi Red che iniziava a divertirsi stuzzicandolo su ciò a cui sembrava tenere molto, come poteva esserlo l’onore di un pirata.
La locandiera interruppe la loro conversazione conducendo con sé la cena che avevano ordinato, intanto Hook si fece portare un secondo boccale di birra visto che il primo l’aveva già svuotato con estrema facilità, mentre Red quasi non lo aveva cominciato.
Continuarono i racconti della vita da pirata, Red era affascinata da quelle storie, soprattutto perché aveva sempre vissuto in un piccolo villaggio dove ad eccezione per la paura del lupo non vi erano altri avvenimenti interessanti. Hook si divertiva a gonfiare molte delle sue avventure, rendendole più spettacolari ed emozionanti, nonostante un velo di verità ci fosse sempre alla base. La serata trascorse in modo piacevole, la locanda si colmava sempre di più avventori tra cui viandanti che erano capitati lì per prendere una sosta dal loro viaggio. Ne entrò anche uno piuttosto particolare, il quale indossava un cilindro alto che gli oscurava parte del viso. Era avvolto in un soprabito lungo e nero lasciato sbottonato, al di sotto indossava un panciotto rosso piuttosto elegante. Non zoppicava, ma portava con sé un bastone da passeggio che non aveva alcuna utilità se non quella di rifinire la sua figura per renderla maggiormente intrigante. Red non ebbe dubbi, lo riconobbe immediatamente quando aveva preso ad avvicinarsi a loro con passo felpato, Hook non se ne era accorto poiché gli dava le spalle.
“Killian…” sussurrò lei con voce mozzata “abbiamo un problema”.
 








Note:

[1] Oltreconfine, il villaggio che ho menzionato nella shot Mad Beauty ‘I will be a heroin’
[2] Jack/Jacqueline, menzionata nella medesima shot. 






// NdA: 

Salve a tutti! 
Prima di ogni cosa chiedo perdono per la tempistica assai lunga con cui sto pubblicando le long aperte, ma quest'ultimo periodo è stato abbastanza devastante e non ho avuto nemmeno modo di revisionare, scrivere e fare altro.
Spero di riuscire ad aggiornare almeno una volta al mese, ora dovrei avere più tempo. 
Ringrazio tutti i pazienti lettori che hanno iniziato a seguire questa storia, provvederò a rispondere alle recensioni lasciate. 
Mi auguro che la storia continui a piacervi, stiamo entrando nel vivo dell'azione. Alla prossima!

Yoan 

 

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Capitolo 7
*** 6 - Prison ***




VI 

Prison 


 



Il suo nome pronunciato da quelle labbra morbide e rosse avrebbe avuto più effetto su di lui, se solo non si fosse ritrovato a dover sfoderare la sciabola nell’esatto momento in cui Jefferson, il Cappellaio, piombò dietro di lui senza il minimo avvertimento. Inaspettatamente però non ebbe alcuna reazione, nonostante Killian si fosse voltato per puntare l’arma contro di lui, destando l’attenzione sui presenti che già brilli iniziarono a proporre un giro di scommesse. Red si alzò in piedi stringendo i pugni delle mani, non aveva idea di che cosa quell’uomo desiderasse ma di certo non li avrebbe portati a nulla di buono. Jefferson inclinò la testa di lato, appoggiando il peso sul bastone da passeggio, osservò la punta dalla spada che gli arrivava alla gola e poi sollevò gli occhi sul Capitano con fare annoiato.
“Non sono qui per te, puoi anche farti da parte” sospirò lievemente infastidito di rincontrarlo ancora una volta, in un certo qual modo avrebbe preferito non vederlo mai più.
Hook si inumidì le labbra e scosse la testa.
“Oh, non vuoi farmi fuori? Che peccato! Perché a me non interessa quello che sei venuto a fare qui stasera, ti staccherò la testa dal collo” sibilò con forza e senza nemmeno dargli il tempo di spiegare la sua presenza si sedette sul tavolo che aveva dietro per sollevare le gambe e calciare la sedia per spingerla sul Cappellaio, il quale si ritrovò costretto ad indietreggiare.
“Tutta questa fretta finirà per ucciderti” la voce di Jefferson che fino a quel momento fu serafica divenne più scura e profonda, tornò in equilibrio senza cadere ma senza dargli tempo di riprendersi Killian si avventò su di lui per potergli rifilare una stoccata all’addome che fu prontamente schivata.
Jefferson saltò su un tavolo in attesa del nuovo attacco che bloccò con la fodera in legno del bastone, che si scalfì leggermente.
“Stai attento, è un oggetto prezioso!” esclamò iniziando ad adirarsi, ma ancora un altro attacco finì per farlo ricadere in piedi su una sedia e saltò su un tavolo schiacciando la mano di un commensale che gridò, sotto l’effetto dell’alcol il dolore era triplicato.
“Ho sempre detto che bisogna fare attenzione a dove si mettono le mani. Tu ne sai qualcosa, vero Capitano?” sghignazzò Jefferson che ricadde a terra ed appoggiò la schiena alla parete, incrociando le braccia al petto.
“Ti toglierò la voglia di fare lo spiritoso, Cappellaio” inveì il pirata contro di lui quando lo raggiunse per sferrare un colpo al lato dell’avversario, il quale si limitò a chinarsi in basso per evitarlo e mettersi al suo fianco. [1]
“Esattamente chi stai cercando di colpire?” disse Jefferson mentre teneva un braccio poggiato alla spalla del nemico ed osservava la parete vuota davanti a sé.
Non fu però abbastanza pronto perché Hook, stanco di quei giochi, gli sferrò un colpo al fianco con il pomo della sciabola. Red che fino a quel momento era rimasta in disparte si avvicinò per immobilizzare Jefferson, il quale era caduto a terra, ma lui fu più veloce e rotolando di lato si alzò in piedi, afferrando i polsi di lei per stringerglieli dietro la schiena.
“Ecco qui. Grazie per essere intervenuta, mi hai risparmiato del tempo prezioso” le sussurrò all’orecchio.
Red non riuscì a comprendere, non poteva muoversi da quella posizione, Jefferson sollevò il bastone e glielo appoggiò alla gola premendo abbastanza da farle sollevare il mento.
“Lasciala andare, lei non ti riguarda!” esclamò Hook che iniziava a perdere decisamente la pazienza, ma abbassò la sciabola, per timore che l’altro potesse fare gesti avventati.
Jefferson finse una smorfia di rammarico e indietreggiò, portandosela dietro.
“E’ qui che ti sbagli, Capitano. Sono venuto a prendere lei, magari la prossima volta avremo occasione di batterci ancora” disse sfoderando un sorriso all’angolo delle labbra.
Killian aggrottò le sopracciglia, che cosa poteva volere da Red? Non fu difficile immaginare che probabilmente tutto conduceva al Coccodrillo. La notte precedente qualcuno era stato mandato ad ucciderla, quella sera il Cappellaio desiderava portarla via con sé e lui stesso era un dipendente del Signore Oscuro. Non gli avrebbe permesso di trascinarla via, aveva un debito nei confronti di Red visto che gli aveva salvato la vita.
“Che cosa vuoi da me?” domandò Red che cercava di liberarsi dalla presa.
“A più tardi le spiegazioni, prima andiamocene di qui” disse Jefferson che però fu bloccato nel momento in cui Red gli pestò con forza un piedi, approfittando dell’improvvisa debolezza della presa, recuperò la libertà sui propri polsi e voltandosi gli sferrò un pugno sulla guancia di modo che potesse indietreggiare. Jefferson avrebbe dovuto immaginarlo, ma sperava di fare le cose in fretta.
Killian approfittò di quel momento e tirò Red verso di sé, afferrandola per un braccio.
“Và via, scappa! Mi occuperò io di lui” le ordinò spingendola verso l’uscita della locanda, ma Red non era intenzionata a rispettare le sue disposizioni.
“Io non me ne vado senza di te!” esclamò come a voler tornare sui propri passi.
Il pirata questa volta puntò la punta della sciabola verso la sua direzione, senza perdere di vista Jefferson che aveva preso a massaggiare la mandibola.
“Se riuscirà a prenderti non avrai via di fuga. Io ho un conto in sospeso con lui e con il Coccodrillo, perciò smettila di fare storie e muoviti!” la rimproverò aspramente quando fu interrotto dall’applauso lento del Cappellaio che fece un passo vanti.
“Commovente, davvero. Ma nessuno può sfuggirmi” nel momento in cui Red cercò di correre verso l’uscita, Jefferson sollevò il bastone da passeggio e lo piantò a terra provocando un terremoto interno alla locanda che fece cadere tutti a terra, tranne lui.
Red stessa non riuscì a fuggire, il mantello rosso si sfilò dalle spalle per ricaderle accanto. Jefferson si direzionò dalla sua parte per recuperarla, ma Hook non glielo permise mettendosi tra la loro strada. Lo afferrò per il collo del soprabito e lo scosse lievemente.
“Tu non la prenderai” sibilò con rabbia cieca, infatti quell’attimo bastò a Red per rimettersi in piedi ed uscire dalla locanda per allontanarsi il più in fretta possibile, anche se aveva dimenticato il suo mantello.
La luna piena era già alta nel cielo, non ci volle molto ad ascoltare gli ululati del lupo che si allontanavano veloci da quel posto.
Jefferson sospirò con aria affranta per poi sollevare gli occhi al cielo, si liberò dalla presa e tirò fuori l’orologio da taschino.
“Hai fatto scappare la preda, ma la prossima volta non mi sfuggirà. E cosa potrà fare se non ci sarai tu ad aiutarla?” inclinò la testa di lato, aprì l’orologio ed iniziò a farlo muovere con moto ondulatorio davanti agli occhi.
Il Capitano osservò quasi stordito quella sequenza, sapeva che si trattava di una trappola ma non riusciva a staccare gli occhi da quell’oggetto che gli fece addormentare il corpo e la mente. Cadde in un sonno profondo, riversandosi a terra accanto alla sciabola che gli era sfuggita di mano. Jefferson si chinò per arrotolare alcune ciocche di capelli del pirata e tirargli su la testa.
“Così mi sei decisamente più simpatico. Per questa volta non porterò il Lupo da Tremotino, ma credo che si accontenterà di ritrovare un vecchio amico” sogghignò all’angolo della bocca.
Non poteva permettersi di lasciarlo libero, aveva bisogno di trovare quella ragazza da sola, senza che qualcuno tentasse di metterla in salvo. Avrebbe rischiato molto svelando al Signore Oscuro che Hook era arrivato alla Foresta Incantata grazie a lui, ma in fondo lui non sapeva che si era rifugiato a Neverland. Caricò il corpo privo di sensi del pirata sulla spalla e poi andò a raccogliere il mantello rosso della ragazza che era caduto all’ingresso della locanda, di certo gli sarebbe tornato utile.



 
**



Quando riaprì gli occhi non vide altro che oscurità intorno a sé, la testa gli doleva e le palpebre faticavano a rimanere aperte, vi era una fioca luce in lontananza, al di fuori della cella. Le braccia intorpidite erano legate a delle catene piantate alla parete ma almeno poteva starsene seduto con la testa ciondolante in avanti. Ciò che più gli procurò fastidio non fu il trovarsi in gabbia ma la constatazione di non avere più l’uncino con sé. Quell’uomo, il Cappellaio, glielo aveva portato via. Sputò a terra con una certa enfasi e fece scivolare le gambe davanti a sé, mentre tentava di ricordare come fosse finito in quella situazione. Jefferson voleva prendere Red per portarla dal Signore Oscuro, non vi erano dubbi su questo, ma Hook le aveva dato l’occasione di mettersi in salvo. Il suo debito si era estinto e forse non l’avrebbe più incontrata.
Jefferson contemporaneamente se ne stava seduto su una poltrona della sala principale, era di pessimo umore e non mancava di farlo notare. Tra le mani scintillava l’uncino sottratto al pirata che giaceva nei sotterranei del Castello di Tremotino. Belle si era svegliata di soprassalto quando aveva sentito schiudersi le porte d’ingresso nel cuore della notte ed era scesa a controllare visto che il padrone di casa era andato via per qualche giorno. Al suo posto trovò Jefferson, già sistemato nella sala, in contemplazione di un oggetto lucente e sembrava poco incline a rivolgerle parole educate.
“Perché siete piombato qui a quest’ora?” gli domandò lei stringendosi in un lungo scialle, era vestita con la sola camicia da notte, bianca come le rose del giardino.
“Dovevo lasciare un peso in un luogo sicuro” rispose lui sbadigliando rumorosamente.
“Di che si tratta? Avete catturato il lupo?” era a conoscenza del lavoro che gli era stato affidato, per questo era preoccupata prima della sua partenza ma rivederlo sano e salvo le fece scaturire un certo senso di leggerezza al cuore.
Lui al contrario non mostrava alcun segno di serenità nel vedere i suoi occhi, infatti non le aveva rivolto nemmeno uno sguardo.
“No, un’inutile feccia me lo ha impedito e ora si trova a marcire nelle segrete, come punizione per essersi messo sulla mia strada” aggiunse con fare annoiato, continuando a far girare l’uncino tra le mani “se vi state chiedendo perché non vi siete accorta di nulla, è molto semplice: non tutti urlano come voi dal fondo di una gabbia, per alcuni è il posto che spetta loro” farfugliò perdendosi ulteriormente in quel gingillo che non smetteva di guardare.
Belle si oscurò in viso ed incrociò le braccia sotto al seno, mordendosi l’interno della guancia.
“Nessuno merita di vivere in questo modo” sussurrò tornando composta con la schiena, come faceva sempre quando credeva di dire una grande verità.
A quel punto Jefferson si alzò di scatto dalla poltrona e la raggiunse, appoggiandole l’uncino sulla guancia per percorrere la mandibola e soffermarsi sul collo.
“Nemmeno un assassino che ha fatto scorrere il sangue di molti innocenti?” sorrise con finto divertimento “con questo oggetto ha mietuto molte vittime” lo passò davanti ai suoi occhi perché potesse vederlo.
Belle deglutì a vuoto, non era abituata a quegli sbalzi d’umore, osservò a lungo l’uncino freddo che poco prima era entrato a contatto con la pelle morbida e calda, ma non riusciva a comprendere a che tipo di uomo potesse appartenere.
“Avanti, avrete pur letto qualche libro sui pirati. Uncini, gambe di legno, bende sugli occhi?” domandò retoricamente Jefferson che aveva letto la perplessità nell’espressione di lei, poi si voltò per tornare a sedersi sulla poltrona in modo poco elegante.
Dunque nelle prigioni vi era un pirata. Belle aveva sempre cercato di immaginare come potesse essere la vita a bordo di una nave, nonostante tutte le maldicenze che giravano attorno agli uomini di mare. In ogni caso non si arrese e provò ad insistere sull’argomento.
“Si è messo sulla vostra strada, quindi voleva fermarvi. Perché?” prese a camminare avanti e indietro, coprendosi ulteriormente con lo scialle.
“Ve l’ho detto, a causa sua non sono riuscito a catturare il lupo” sospirò Jefferson roteando gli occhi al cielo, sapeva perfettamente in che tipo di ragionamento sarebbe incappata e doveva assolutamente tirar via quei pensieri dalla sua testa.
“Quindi voleva proteggerlo” giunse alla conclusione in fretta, Belle tornò sui suoi passi per fermarsi davanti a lui ed incontrare i suoi occhi “di certo doveva avere un valido motivo per farlo”.
“Eccola che ricomincia” sussurrò Jefferson a bassa voce, prima di continuare “voi…” portò le mani al viso cercando di trattenere un impeto di rabbia “voi leggete troppi libri! Stiamo parlando di un pirata e di un lupo che hanno terrorizzato migliaia di persone. Chi per mare e chi per i boschi e credete che per farlo possiedano un valido motivo? Non vi basta sapere questo per essere sicura che meritino la prigione?”.
Belle scosse lievemente la testa e gli diede le spalle, non riusciva a comprendere il motivo per cui sembrava essere la sola a riporre tanta fiducia nell’animo umano.
“Ognuno di noi ha del buono in sé, bisogna solo avere l’occasione per dimostrarlo” si inumidì le labbra per poi dirigersi verso l’uscita della sala, voltandosi un’ultima volta per guardarlo con la coda degli occhi “torno a dormire, vi lascio meditare sulla conseguenza delle vostre azioni. Anche Tremotino ha compiuto molte atrocità, ma voi continuate a lavorare per lui. Se tanto desiderate porre fine alle ingiustizie, non dovreste essere qui” così non gli diede il tempo di rispondere e si ritirò per tornare alle proprie stanze.
“Ci mancava solo una predica morale a quest’ora della notte” farfugliò Jefferson mentre si sdraiava malamente sulla poltrona, appoggiando le gambe su uno dei braccioli e la nuca sull’altro.
Per un attimo provò quasi la sensazione di avere un rimorso di coscienza, come se una voce flebile provasse ad arrivare alle sue orecchie ma non appena cercò di prendere piede la cacciò via all’istante.


 
**



Tremotino era tornato e la delusione di non aver trovato il lupo durò solo pochi istanti, visto che al suo posto vi era l’uomo che un tempo portò via la sua Milah, lasciando Baelfire senza una madre. Jefferson gli consegnò l’uncino ma fu costretto a rimanere al Castello, il Signore Oscuro aveva ancora bisogno dei suoi servigi.
Il padrona di casa si recò nelle segrete, portando con sé gli strumenti di tortura adatti al prossimo divertimento, era da tempo che voleva intrattenersi in qualcosa di simile e finalmente ne ebbe l’occasione.
Fece trascinare Killian in una stanza più appropriata, aveva bisogno di spazio per fare ciò che aveva in mente.
“Fammi indovinare, ti sei fatto catturare appositamente per tentare di uccidermi!” esclamò il Signore Oscuro iniziando ad affilare i coltelli.
Killian era stato appeso per le braccia che tiravano in maniera fastidiosa, ma non voleva dargli alcuna soddisfazione. Quando lo aveva visto arrivare nella cella aveva tentato di ribellarsi, ma fu tutto inutile.
“A quanto pare ci vuole molto di più che un trucco per uccidere una Bestia” sputò con rabbia.
Tremotino sghignazzò voltandosi verso di lui con i coltelli che aveva preparato, minacciandolo quasi allegramente.
“Cosa pensavi di fare una volta arrivato qui?” incrociò le braccia al petto, mostrando un sorriso fintamente interessato.
“Ho solo salvato una ragazza da morte certa, non sono così stupido da farmi catturare senza avere un piano” farfugliò prima di rivelare una smorfia che non riuscì a reprimere.
“Ma certo, stai parlando della donna-lupo” disse Tremotino mentre portava la mano sotto il mento per riflettere, poi la sollevò in alto “ebbene, ho una soluzione ai tuoi problemi. Puoi scegliere tra il rivelarmi dove si trova la ragazza e il non farlo. Nel primo caso puoi assicurarti una morte veloce ed indolore, nel secondo ti torturerò fino alla sfinimento e mi dirai lo stesso dov’è, poi ti lascerò morire lentamente. Che ne pensi?” ridacchiò ancora una volta.
 Killian digrignò i denti, mai come in quel momento aveva desiderato piantargli l’uncino nel petto. Si trovava in trappola ed uscire di lì sarebbe stato impossibile. Si era cacciato in un guaio e al tempo stesso non poteva permettersi di dire nulla su Red. Il suo aiuto non poteva rimanere vano.
“In ogni caso non farò una bella fine. Mi dispiace, ma non ho intenzione di morire, almeno finché non ti avrò strappato il cuore dal petto” gli ringhiò contro muovendo le gambe penzolanti in avanti per tentare di colpirlo, ma era troppo debole e non vi arrivò.
“E va bene, allora tortura sia” rispose soddisfatto Tremotino.




 
**




Le urla di dolore si profusero fino ai piani più alti del Castello, Belle era in biblioteca intenta a leggere un romanzo, mentre Jefferson attendeva placidamente di ricevere nuovi ordini. Entrambi udirono  rumori infernali provenienti dal ventre di quella casa. Belle si alzò in piedi da dove era seduta e chiuse il libro con forza, stringendolo al petto.
“Non posso credere che lo stia torturando davvero, non pensavo dicesse seriamente” la voce le tremava.
Jefferson che era accanto alla finestra si voltò per poterla guardare, per nulla stupito.
“Il Signore Oscuro non scherza, soprattutto in casi simili” si limitò ad osservare, stringendosi nelle spalle.
Ad ogni grido che si faceva più forte Belle si sentiva morire dentro, non aveva nemmeno idea di come fosse fatto quest’uomo ma provava una gran pena per lui, mentre Jefferson era piuttosto indifferente riguardo la situazione.
“Come puoi startene fermo in quel modo senza fare nulla?” gli domandò lei con tono accusatorio.
Jefferson alzò gli occhi al cielo, un gesto che ormai aveva preso a fare piuttosto spesso.
“L’ho portato io qui, sarebbe assurdo che lo togliessi dai guai. Ha avuto ciò che si meritava” sibilò, non aveva alcun interesse nei riguardi della vita di quel pirata.
Gli era servito soltanto per prendere l’inchiostro magico, aveva anche tentato di metterlo fuori gioco ma era riuscito a sopravvivere. In fondo non erano affari suoi l’inimicizia creata tra lui e Tremotino, non era un paladino della Giustizia e di certo non lo sarebbe diventato in quel momento.
Belle non riusciva a comprendere il motivo per cui Jefferson continuasse a lavorare per il Signore Oscuro, se un momento prima pensava che avesse un animo buono, l’attimo dopo era pronta a tornare sui propri passi. Inoltre era continuamente tesa in sua compagnia, proprio per il fatto che si sentisse serena e al tempo stesso indispettita.
“Nessuno, nessuno merita di essere torturato. Nemmeno un pirata” rispose lei posando con foga il libro sul tavolo.
“Se non riuscite a sopportare l’idea di ascoltare le sue grida, andate in giardino!” sbottò Jefferson, ormai stanco di ascoltare le sue parole di lamento verso qualcosa che non sarebbe cambiato in nessun modo.
Belle si costrinse a rimanere calma e fece esattamente ciò le fu detto. Rimanere lì avrebbe solo peggiorato le cose e probabilmente avrebbero finito per litigare seriamente. Si avviò verso l’uscita della biblioteca in fretta, sollevando i lembi della gonna,  non si aspettava che lui la seguisse, era troppo orgoglioso per farlo. Quando fece un passo per uscire si avvide che Tremotino era appena sopraggiunto davanti a lei, era sporco di sangue sul panciotto che indossava, il sangue dell’uomo chiuso in prigione.
Belle lo fissò con odio e scosse velocemente la testa.
“Andavi da qualche parte?”
“Che vi ha fatto quell’uomo per meritarsi tutto questo?” gli domandò con rabbia interrompendo le sue parole.
“Nulla che riguardi anche te” rispose mentre entrava nella biblioteca per avviarsi verso Jefferson che intanto si era alzato in piedi, lo richiamò con un gesto della mano.
Belle però non si arrese e provò ad insistere perché la smettesse di comportarsi in quel modo, ma Tremotino sembrava poco compiaciuto di quel comportamento e la ammutolì in un momento.
“Ora basta, Belle! A meno che tu non voglia raggiungere il pirata, se non smetti di lamentarti ti chiuderò in cella” non mentiva mai su cose simile e Jefferson lo sapeva bene, dunque intervenne schiarendosi la voce e chiedendogli di non badare alle parole pronunciate dalla ragazza, di certo erano causate da tutti i libri che andava leggendo.
Strane idee si erano immesse nella sua testa, considerava buoni individui che non avevano un briciolo di luce dentro di sé. Belle fu costretta a tirare su col naso, non poteva credere che Jefferson sarebbe arrivato a tanto e questa volta senza dire niente si ritirò da lì per poter andare via. Non avrebbe permesso a quei due di compiere altri misfatti, doveva soltanto ideare un piano. Dopo diverse ore riuscì a scendere nelle segrete, nel momento in cui fu certa che nessuno se ne sarebbe accorto e portò con sé una brocca d’acqua e un boccale per poter dare un po’ di refrigerio al prigioniero.
Percorrere di nuovo i sotterranei, attraversando il cunicolo dietro al camino, fu difficile. La fioca luce delle fiaccole delle pareti non permetteva una buona visuale, inoltre le ricordava i momenti spiacevoli che aveva trascorso lì prima della sua liberazione. Cosa che era avvenuta in realtà grazie a Jefferson. Si ribellò a quel pensiero e si avviò verso un corridoio con celle disposte in ambo i lati, erano tutte vuote. Udì un mugolio di dolore verso una stanza che non aveva porte, l’ingresso era libero e poté entrarvi. Fu lì che trovo il corpo del pirata appeso a delle catene alte attaccate al soffitto, il sangue gli copriva parte del viso e scivolava fino alla camicia aperta, inumidendola. Il volto era contratto e gli occhi socchiusi, Belle provò un moto di disperazione nei suoi confronti, un’empatia che lui non mancò di notare.
Killian alzò lo sguardo su di lei, puntandole addosso gli occhi blu che si persero in quelli di lei, profondi ed attenti.
“Ha mandato voi a finirmi?” sogghignò quasi divertito.
Belle inclinò lievemente la testa e poi si avvicinò scuotendo la testa.
“No, io sono qui per aiutarvi. Intanto bevete un po’ d’acqua o finirete per disidratarvi” riempì il boccale più della metà e poi lo aiutò a sorseggiare da lì, gliene versò dell’altra e lo accontentò per una seconda volta.
Mentre Killian rinfrescava il palato e scompariva il sapore del sangue, non accennò a spostare lo sguardo altrove, la stava studiando con attenzione.
“Chi siete?” le domandò dopo essersi dissetato.
“Una domestica” si strinse lei nelle spalle, tirò fuori una pezza umida per togliere via il sangue che si era incrostato sulla pelle.
“Se lo foste davvero non avreste delle mani così delicate” si riferì sia al tocco sincero che possedeva che alla cura di esse.
“Perché mi state aiutando? Se Lui dovesse scoprirlo vi farebbe del male” disse con tono quasi convincente, in realtà voleva solo comprendere quanto quella donna fosse legata a lui e quanto potesse sfruttare quel colpo di fortuna derivato da  un gesto buono che non si sarebbe aspettato di trovare in un posto simile.
“Non ho molto da perdere in fondo, ma non riesco a sopportare soprusi del genere. Posso sapere perché Tremotino vi odia così tanto?” gli domandò terminando di ripulirlo, concentrandosi su di lui.
Soffriva nel vederlo in quel modo, con le braccia tirate e in uno sforzo che gli faceva tremare i muscoli del corpo, sembrava essere un giovane senza colpe con quegli occhi così intensi, non poteva credere alle parole di Jefferson, quel pirata non sembrava esser capace di cattivi sentimenti.
“No, non potreste capire. Pensereste che io sia un bugiardo e…” non gli diede il tempo di continuare e cercò di convincerlo a svelarle il motivo.
Hook socchiuse lievemente gli occhi e dopo aver preso un respiro profondo decise di rivelarle quel segreto.
“Sua moglie non era felice accanto a lui, desiderava una vita diversa. E’ fuggita con me, eravamo innamorati. Ma Tremotino è riuscito a trovarci e l’ha uccisa davanti ai miei occhi. Lui mi ha portato via il Vero Amore. Ora vuole vendicarsi su di me” sussurrò, omettendo che in realtà anche egli stesso desiderava la medesima cosa.









Note: 


[1] Questa tecnica schermistica NON funziona, se mai vi ritrovaste in un duello, non abbassatevi mai che rischiate di farvi spaccare la testa :3. 




NdA: 

Prima di tutto chiedo perdono per aver lasciato passare COSI' tanto tempo dall'ultimo aggiornamento, ma ho avuto problemi su problemi. In più, non voglio parlare di quel che è accaduto in questi ultimi mesi tra connessione internet, esami e vita normale. 
Siamo ancora nella Foresta Incantata ma dal decimo/undicesimo capitolo in poi l'attenzione si sposterà a Storybrooke (anche se devo ancora scrivere quella parte, il resto dei capitoli nella Foresta Incantata sono stati scritti). 
Ringrazio come sempre chi ha recensito questa storia, a cui tengo molto, poiché contiene le mie Crack OTP. 
Alla prossima, spero prestissimo! 

 

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Capitolo 8
*** 7 - Freedom ***


VII 

Freedom





Gli occhi azzurri di Hook erano sinceri, aveva sofferto e il suo volto ne portava le cicatrici, con l’espressione simile ad un’anima disperata. Belle non desiderava mancare di rispetto a Tremotino, per tutto quel tempo l’aveva trattata non come una domestica ma come una vera e propria ospite. Certo, aveva perso la sua libertà, ma sapeva adattarsi in qualunque luogo, soprattutto grazie alla consapevolezza che il suo Regno non avrebbe più patito la morte dei soldati.
Guardare quell’uomo a cui era stato portato via il Vero Amore, che sarebbe stato torturato il giorno dopo, la convinse a fare un passo molto importante. Per un istante pensò a quale reazione Jefferson avrebbe potuto avere di fronte alla futura rivelazione, ma scacciò immediatamente quell’idea, non le importava che cosa ne sarebbe stato di lei e del giudizio che avrebbe attratto su di sé.
“Vi libererò  così potrete fuggire. Cercate di non farvi trovare, Tremotino conosce ogni mezzo per ottenere ciò che desidera e voi non meritate di morire” disse lei in tono perentorio.
Il Capitano sollevò lo sguardo su di lei per essere certo di aver capito bene.
“E cosa accadrà a voi se mi lascerete andare? Vi scoprirà e non potrete tornare indietro, si accanirà su di voi. No, non posso permetterlo” rispose Hook quasi in un sussurro.
In realtà non gli importava affatto del destino di quella giovane e bella ragazza, desiderava andare via per mettersi alla ricerca della chiave per uccidere il Coccodrillo. Belle ebbe la conferma di avere davanti a sé un uomo che era in grado di esternare buoni sentimenti, nonostante ciò che aveva dovuto sopportare.
“Non può farmi nulla di peggio che tenermi segregata per sempre nel suo Castello” aggiunse Belle prima di rompere le catene con un martello di modo che il pirata fosse libero. Quest’ultimo cadde a terra, le braccia erano indolenzite e probabilmente non sarebbe riuscito ad affrontare uno scontro di qualunque tipo. Doveva trovare il modo più veloce per uscire da quel posto.
“Allora venite via con me, possiamo fuggire insieme” provò a chiederle di modo che lo scortasse direttamente verso l’uscita più semplice da raggiungere.
Non conosceva il Castello e non l’aveva mai visto, poiché si era svegliato in cella dopo che vi era stato lasciato dal Cappellaio.
“No, io e Tremotino abbiamo un accordo e non posso romperlo. Voi andate: meritate di essere felice” gli sorrise con dolcezza.
Hook sollevò un sopracciglio, si domandò per quale motivo lei fosse così desiderosa di rimanere.
“I vostri occhi sono eloquenti. Siete legata a qualcuno che abita in questo luogo oscuro?” desiderava una risposta precisa poiché una determinata idea si fece strada nella sua testa.
Come poteva voler rimanere al Castello come prigioniera per l’eternità? Una donna che non fugge è una donna innamorata.
Belle non ebbe il coraggio di rispondere poiché ammettere ad alta voce qualcosa di cui non era certa la faceva sentire fragile e poco sicura di sé. A quella domanda però il volto di Jefferson si fece strada nella sua testa e fu costretta a scacciarlo via immediatamente.
“C’è qualcuno che vorrei salvare dalla sua oscurità” ammise in tutta sincerità.
Il Capitano comprese che Belle dovesse essere affezionata al Coccodrillo, altrimenti non avrebbe avuto motivo per restare. Strinse i pugni delle mani con vigore,  molto presto avrebbe agito, lasciando sprofondare lei e il suo padrone. Non gli importava affatto della ragazza che lo stava aiutando ad evadere poiché il suo desiderio era quello di uccidere il nemico di una vita e di farlo soffrire come lui stesso aveva sofferto.
“Mi auguro che riusciate nell’intento” le afferrò una mano per portarsela alle labbra e depositare un lieve bacio “nonostante temo che il vostro amore potrebbe essere calpestato. Ora vi chiederei un ultimo favore, qual è la strada più veloce da prendere per uscire di qui?”.
Belle si sentì quasi soffocare dal suo sguardo azzurro, le ferite che riportava sul viso e sul collo lo rendevano sofferente ma vi era molto di più dietro quegli occhi pieni di determinazione. Aveva preso la scelta migliore decidendo di aiutarlo, non poteva meritare una fine così triste e non avrebbe permesso né a Tremotino né a Jefferson di fargli del male.
“Vi accompagnerò fino all’uscita” si propose ancora una volta di mettere a rischio la propria incolumità.
Così fece, afferrò una delle fiaccole appese sulle pareti dei sotterranei e lo condusse all’esterno di quel luogo oscuro e pieno di ombre.




 
**



Il suo mantello era andato perduto, il Capitano della Jolly Roger altrettanto era andato perduto. Red vagava nella foresta quasi con disperazione, la notte si era inoltrata da un pezzo ma fortunatamente i giorni del lupo erano terminati e non doveva più preoccuparsi di se stessa. Killian l’aveva salvata, le aveva dato la possibilità di fuggire e lei aveva colto l’occasione senza tornare indietro. Come aveva potuto abbandonarlo? Una volta uscita dalla locanda si era trasformata in lupo ed era corsa via per allontanarsi da quel luogo e dal Cappellaio che era stato mandato a prenderla. Si pentì amaramente di aver lasciato il pirata da solo con un nemico che forse non sarebbe riuscito a battere. Così tornò sui suoi passi e si fece raccontare di come Killian fu trascinato via, secondo le informazioni ricevute doveva trovarsi al Castello Oscuro di Tremotino, il Coccodrillo di cui il pirata parlava sempre. Red si era messa in viaggio per poterlo salvare, non si sarebbe mai perdonata se avesse scoperto che ormai era troppo tardi. Inoltre senza il suo mantello si sentiva perduta e aveva bisogno di rifoderarsi di quell’armatura che non voleva lasciare. La sua sicurezza risiedeva tutta in quell’unico manufatto.
Perché non era fuggita e basta? Perché era tornata indietro? Aveva già salvato una volta il pirata, salvarlo di nuovo avrebbe significato legarsi a lui con un filo sottile che difficilmente sarebbe riuscita a spezzare. Eppure non poteva fare a meno di pensare che fosse un suo dovere quello di prendersi cura di lui. Che cosa sciocca, non era in grado di preoccuparsi di se stessa, come poteva fare lo stesso per un’altra persona?
Quando sopraggiunse nelle vicinanze del Castello si fermò ai margini della foresta per gettare uno sguardo davanti a sé, alla ricerca di un modo per entrare. Era talmente grande la dimora di Tremotino che avrebbe impiegato giorni a trovare il pirata ma arrendersi in un momento simile sarebbe stato inutile, non poteva più tirarsi indietro. Appoggiò le mani al tronco di un albero per poi far uscire la testa di lato e cercare una possibile entrata, ma in quel momento qualcuno le avvolse i fianchi con un braccio e la sospinse verso di sé. Red ebbe timore di esser stata trovata ma avrebbe riconosciuto quell’odore anche tra mille persone. Lasciò sciogliere la tensione e riuscì a voltarsi per incontrare gli occhi del Capitano che l’aveva salvata.
“Sei arrivata fin qui per immolarti al posto mio?” le domandò in un sussurro.
Red era talmente lieta di rivederlo che gli avrebbe gettato le braccia al collo ma evitò di farlo e rimase al proprio posto, con la gola che andava in fiamme.
“Credevo che ti avessero catturato e volevo salvarti” rispose facendo un passo indietro per tornare a distanza.
“Infatti sono stato chiuso in cella, il Cappellaio mi ha addormentato ed è riuscito a trascinarmi al Castello. Red, perché volevi salvarmi?” fece un passo avanti e lei fu costretta a tenere la schiena addossata al tronco di un albero.
Fece per sistemare il mantello sulle spalle ma si rese conto di non averne più alcuno, avvertì un lungo brivido di freddo percorrerle la schiena.
“Mi hai aiutata a fuggire e non potevo lasciarti nelle grinfie del Coccodrillo. Lui non può morire e tu non sai ancora se esiste un modo per ucciderlo. Avevo timore che potesse farti del male” sussurrò a denti stretti, rendendosi conto solo ora delle ferite che il pirata riportava sul viso e all’altezza del collo.
Inoltre la sua postura non era alta ed elegante, ma appena curvata e fiacca, le braccia erano appesantite e rimanevano ferma accanto ai fianchi.
“E cosa ti importa se muoio?” provò ad insistere con curiosità.
Non aveva pensato a lei durante la prigionia. Bugiardo, in realtà ci aveva pensato e si era chiesto se fosse riuscita a scappare senza che il Cappellaio potesse arrivare da lei. Nonostante questo non si era posto il problema di ritrovarla, ciò che sperava era solo che si fosse messa in salvo, rincontrarla non faceva parte dei suoi piani.
Red strinse gli occhi a due fessure e scivolò via dal tronco dell’albero per sistemarsi al fianco di lui.
“Ho faticato molto per tenerti in vita e non volevo sprecare il tempo usato per guarirti, tutto qui”.
Il Capitano sorrise a mezza bocca ma quando udì lo scricchiolio di foglie secche accanto ad alberi accanto a loro, le afferrò la mano per poterla trascinare via ed allontanarsi da quel luogo. Non aveva ancora certezza che non si fossero accorti della sua fuga.
“Come hai fatto a liberarti? Nessuno può fuggire da Tremotino!” esclamò Red prima di seguirlo, stringendo la mano che aveva raccolto nella propria.
Hook accelerò il passo facendo attenzione a seguire il sentiero giusto per uscire da quel posto ed allontanarsi velocemente, non riusciva a camminare a dovere a causa dell’indolenzimento dei muscoli ma rischiare di essere catturato per una seconda volta non gli sembrava un’idea allettante.
“Non tutti in quel Castello hanno un animo oscuro, Red” preferì non aggiungere altro.
La ragazza si impuntò e fermò il passo, facendo arrestare anche lui allo stesso modo. Ora che  era salvo vi era un’altra questione da risolvere e non poteva andarsene via senza aver almeno fatto un tentativo.
“In questo caso devo approfittare per tornare lì, ho perso il mio mantello e ho il dubbio che l’abbia preso il Cappellaio” confessò lasciando la presa sulla sua mano.
Hook alzò gli occhi al cielo e si strinse nelle spalle.
“Se vai al Castello non uscirai di lì, il mio è stato un colpo di fortuna che difficilmente si ripeterà. Inoltre non credo che tu abbia davvero bisogno di indossare una cosa come quella, mi hai detto di saper controllare la tua trasformazione” la fretta che aveva era impellente e fermarsi non era di certo una grande idea.
Red si morse l’interno della guancia e strinse i pugni con vigore, abbassando la testa di lato per far ricadere i lunghi capelli davanti al viso.
“Sì, ma senza di esso non possiedo alcuna certezza. Lo rivoglio indietro” si impuntò stringendo le braccia al petto.
Il pirata corrugò la fronte e passò una mano sotto il labbro, come a voler riflettere sul da farsi.
“Se torni al Castello sarà la tua fine. E’ stato Tremotino a mandare il Cappellaio a prenderti, non sarebbe una buona idea consegnarsi al proprio nemico. Ti aiuterò a diventare più sicura, ma per stanotte vieni con me e lascia da parte le tue paure” questa volta volse in alto il palmo della mano perché potesse ricongiungere il legame che li aveva uniti fino a poco prima.
Red era tormentata dalla paura di non avere alcuna certezza, di rischiare di fare ancora del male, ma gli occhi di Killian la rendevano meno intimorita.
“Perché fai questo per me?” domandò in un sussurro, tenendosi ancora a distanza.
Hook aggrottò le sopracciglia e prese un lungo sospiro.
“Mi hai salvato una volta ed eri disposta a farlo di nuovo anche a discapito della tua vita. Non ti permetterò di comportarti in modo così sciocco solo per un capriccio. Devi credere in te guardando avanti e non gettando occhiate al tuo passato” rispose con la speranza di averla convinta.
Red fece un lungo sospiro e dopo qualche istante decise di afferrare la sua mano, stringendola come se fosse la sua ancora di salvezza. Gli sorrise come mai aveva fatto fino a quel momento poiché era difficile fidarsi di se stessi e dunque anche degli altri. Ma Killian aveva qualcosa di diverso, qualcosa che non aveva mai avuto occasione di incontrare.
Di rimando il Capitano della Jolly Roger si perse nei suoi occhi, cercando di coglierne l’essenza. Ricambiò il sorriso ed annuì per poi prendere ad incamminarsi nuovamente.
“Killian, dov’è l’uncino?” domandò lei dopo che si rese conto di quella mancanza.
Hook indicò la tasca del soprabito con il polso dalla mano mancante.
“Qui, sono riuscito a recuperarlo dopo che me lo avevano strappato via” disse con una certa soddisfazione, un giorno avrebbe strappato il cuore sia al Cappellaio che a Tremotino.



 
**
 
 
Una luce soffusa che veniva spenta al di là del roseto, le code degli abiti che si muovevano frettolosi verso l’uscita e la preoccupazione evidente di coloro che stavano fuggendo. Jefferson era confuso e non aveva idea di che cosa stesse accadendo, ma ebbe un presentimento che lo fece sussultare. In quel momento si trovava seduto su una poltrona, non riusciva a prendere sonno e si era deciso a leggere uno dei romanzi che Belle gli aveva consigliato, per quanto avesse preferito far ritorno a casa propria doveva ancora svolgere delle commissioni per Tremotino. Chiuse il volume e lo appoggiò dietro di sé per poi recarsi verso uno degli ingressi che lo avrebbe condotto alle segrete del Castello, lì dove avrebbe dovuto trovare un prigioniero molto importante. Quando si ritrovò davanti alla cella vuota, con la fiaccola che sorreggeva in avanti per scrutare l’ambiente, provò un moto di rabbia che gli fece stringere il pugno della mano. La serratura non era stata forzata e le catene erano state spezzate, qualcuno doveva averlo aiutato a mettersi in fuga. Risalì i sotterranei per poter tornare al piano superiore, l’idea che fosse stata lei a liberarlo iniziò a tormentarlo furiosamente nella sua testa. Si diresse subito verso le scale che conducevano agli altri piani della casa e con passo felpato percorse il corridoio che si trovò davanti, alla ricerca della stanza di Belle. Udì dei rumori verso la parte opposta e si costrinse ad addossare la schiena al muro, aveva lasciato la fiaccola nelle segrete dunque non aveva altro che il filtro della luce della luna a sua disposizione per poter vedere cosa vi fosse davanti. I respiri si fecero corti quando notarono la figura della giovane donna che teneva in mano un candelabro, era rivestita di un mantello verde e la testa era incappucciata perché non potesse vedersi. Nel momento in cui andò ad aprire la porta della sua stanza per poi richiuderla dietro di sé, Jefferson si fece avanti ed infilò un piede nel mezzo per poterla bloccare. Belle alzò lo sguardo e ritrovò i suoi occhi azzurri illuminati dalla luce della candela, il viso sprofondò in un’espressione turbata e poco incline ai sorrisi. Deglutì appena, non sapendo cosa fare.
“Vorrei un minuto per parlarvi” disse Jefferson  con tono perentorio ma senza attendere alcuna risposta si fece avanti, chiudendo la porta dietro di sé.
Belle fece un passo indietro, sciogliendo il mantello perché ricadesse a terra ai suoi piedi.
“Non sta bene trovarci nella mia camera privata, andiamo altrove” suggerì lei quasi per paura delle conseguenze.
Jefferson scattò in avanti e le afferrò il collo con una mano per farla cadere seduta sul letto, di modo che potesse controllarla senza che tentasse di fuggire.
“I privilegi che un tempo avevate non ci sono più. Siete una domestica ed io mi comporterò onorevolmente. Perciò, siete disposta a rispondere ad ogni mia domanda?” lasciò lentamente la presa su di lei, inginocchiandosi per poterla guardare negli occhi che possedevano un colore a dir poco spaventoso. Spaventoso, perché profondo e lui non era abituato a perdersi.
“Con i vostri modi di fare ho forse scelta?” rimbrottò lei portando una mano al collo, come se ancora non riuscisse a respirare “finireste per torturarmi pur di sapere che cosa desiderate”.
Jefferson prese il candelabro dalle mani di lei per poterlo appoggiare su uno scrittoio, in qualche modo temeva la possibilità di lasciarle un’arma. Quando tornò lì chinò il viso in sua direzione, rimanendo in piedi.
“Avete un’idea così oscura di me, Belle. Credete che io sia senza cuore o che non abbia un minimo di morale. La vostra concezione di bene e male è banale, quasi infantile… non avete mai pensato all’esistenza dei punti di vista?” domandò con voce dolce e lui non aveva mai avuto in vita sua un tono simile, il suo sarcasmo si era perso all’improvviso e la serietà che giaceva sul suo volto era scura.
Belle si inumidì le labbra e andò a cercare riparo tra le pieghe della gonna che raccolse all’interno delle proprie mani, puntando lo sguardo dritto in quello di lui per dimostrargli di non avere paura.
“Io sono dell’idea che non ci siano vie di mezzo: o si è buoni o si è cattivi. Ma ho speranza che anche chi possieda un cuore oscuro possa risollevarsi ed abbracciare la luce”.
Jefferson roteò gli occhi al cielo e chinò la schiena per potersi avvicinare al suo viso e scrutarla a fondo, arrivando a metterla in difficoltà a causa di quella vicinanza che le impediva di respirare a dovere.
Era vestito solo con una camicia appena sbottonata e le occhiaie erano delineate sul viso, non dormiva spesso e quando accadeva i suoi sogni erano tormentati. Si leccò le labbra e poi iniziò a morderle come se stesse giocando.
“Il mondo non è in bianco e nero Belle, esistono miriadi di colori e sfumature che hanno bisogno di uno sguardo attento per essere notati. Ritenete di poter giudicare il cuore di una persona dalle azioni che compie ma non cercate di scoprirne le motivazioni, vi fermate alle apparenze, basandovi soltanto sulle vostre supposte idee di bontà” avanzò verso di lei finendo per sfiorarle la punta del naso con la propria.
Belle poteva sentire il suo respiro sul proprio, detestava il modo in cui lui riusciva ad avere tutto quel potere su di lei, tanto da farla arrossire. Le mani corsero a stringere maggiormente i lembi della gonna che già giacevano tra le dita e si tirò indietro con la schiena per allontanarsi dal suo viso e dal suo respiro.
“Non siete venuto sin qui per criticare il mio metro di giustizio. Cosa volete chiedermi?” domandò cercando di respirare.
Jefferson la lasciò stare e si risollevò portando le mani ai fianchi, non era il momento adatto per divertirsi ed effettivamente stava solo perdendo di vista il suo scopo.
“Il prigioniero non è nella sua cella. Voi ne sapete qualcosa?” finse di non ritenerla colpevole, almeno apparentemente.
Belle non era in grado di mentire, non ne aveva alcuna intenzione poiché si fidava del proprio cuore e delle scelte che andava compiendo. Dunque si alzò incrociando le braccia al petto e puntando uno sguardo serio su quello di lui.
“Certamente, sono stata io a lasciarlo andare. Non potevo permettere che…”
“Come?” la domanda retorica spezzò le parole di lei.
Jefferson non era sicuro che fosse stata Belle a tirarlo fuori dai sotterranei, aveva visto muoversi due ombre nel giardino ma non aveva riconosciuto quella di lei, nascosta dal manto della notte. Eppure vedendola tornare in camera comprese che non poteva essere altrimenti: dunque perché a quella conferma sembrava così adirato?
“Come avete potuto fare una cosa simile! Voi non vi rendete conto, quando Tremotino scoprirà cosa è accaduto si infurierà” portò le mani alla testa ed iniziò a vagare per la stanza “per quale motivo l’avete liberato?” domandò in un sussurro che gli spezzò la voce.
“Non meritava di essere torturato, conosco la storia di quell’uomo e aveva diritto di vivere il suo lieto fine” rispose con cieca fermezza la ragazza che lo seguiva attentamente con gli occhi.
Jefferson alzò gli occhi al cielo e cercò di trattenere una risata sarcastica.
“Qualche volta dovreste ascoltarvi:  quell’uomo è un assassino, un pirata, un fuorilegge, ha un conto in sospeso con Tremotino e farà di tutto per ucciderlo! Se dovesse riuscirvi si trasformerà lui stesso nel Signore Oscuro e allora non vi sarà più nulla che lo fermerà” sbraitò Jefferson completamente accecato da quella situazione in cui si era ritrovato.
La scomparsa del Capitano della Jolly Roger avrebbe suscitato un enorme moto di rabbia nel padrone del Castello e a quel punto sarebbe potuto capitare qualcosa a Belle, qualcosa di spiacevole. Lui non poteva permettere nulla di simile, non aveva un buon motivo per pensarci ma in qualche modo si sentiva responsabile.
“No, non è così Jefferson!” esclamò Belle mentre si avvicinava a lui per afferrargli le mani e stringerle nelle proprie “io so che non accadrà nulla di simile. Ho visto del buono in lui e so che quest’occasione gli permetterà di rifarsi una vita. Tremotino voleva vendicarsi di lui, non il contrario”.
Jefferson si guardò le mani, assaporando quella stretta così intensa che gli fece provare quasi un capogiro. Perché Belle gli faceva quell’effetto? Perché starle accanto lo rendeva così vulnerabile e pieno di preoccupazioni?
“I libri che leggete sono veleno, Belle. Vi riempiono la testa di cose avulse, gli eroi che tanto amate non esistono” sibilò a denti stretti prima di lasciare la presa su di lei “dovreste aprire gli occhi e vedere la realtà per ciò che è. Voi non ascoltate, desiderate capire solo ciò che vi fa più comodo” così facendo fece un passo indietro e rivolse lo sguardo alla porta.
Belle non riuscì a pronunciare alcuna parola, si sentì profondamente ferita nell’animo per quelle parole così dure. Dunque era solo una sognatrice, ciò a cui credeva non era altro che un’idea del mondo diversa ed irreale rispetto a ciò che in realtà fosse? Jefferson rappresentava per lei qualcosa di diverso, di estremo, di irraggiungibile ed irrazionale. Troppo lontano dal suo mondo ma al tempo stesso non riusciva a starne lontana. Fu allora che lui uscì dalla sua stanza, senza nemmeno darle la buonanotte.


 


Note: 
- Killian crede che Belle sia innamorata del Coccodrillo, infatti a Storybrooke la perseguiterà per questo motivo, capendo solo dopo che in realtà lei sia attratta dal Cappellaio. 



NdA: 

Eccoci qui! 
Devo dire che fino ad ora questa long è tra le preferite che ho pubblicato - oltre a L'Orologio - perché mette insieme le mie due coppie crack preferite. E' un capitolo, questo, a cui tengo molto perché affronto un tema che mi sta molto a cuore riguardo a Belle e che ho fatto esporre a Jefferson, nella speranza che si riesca a capire cosa vorrei tirare fuori e che a Storybrooke tornerà eccome! 
Spero che la storia continui a interessare, nonostante la tempistica lunga degli aggiornamenti. 
Se vi va di seguire le pubblicazioni di queste e altre storie ho una pagina autrice su facebook
--->https://www.facebook.com/pages/Hello-Captain-Im-the-Mad-Hatter/694524527306828?ref=aymt_homepage_panel

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