La zingara dalla pelle diafana

di ShadowsOfBrokenGirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Le vie del destino ***
Capitolo 3: *** Alla luce dell'alba ***
Capitolo 4: *** Noi due siamo amici ***
Capitolo 5: *** Il baule del mio passato ***
Capitolo 6: *** Give me love like her ***
Capitolo 7: *** World Of Changes ***
Capitolo 8: *** Uno spiacevole inconveniente ***
Capitolo 9: *** Somewhere only we know ***
Capitolo 10: *** Un cielo sereno ***
Capitolo 11: *** 30 ottobre 1922 ***
Capitolo 12: *** Compleanno al teatro ***
Capitolo 13: *** A heart full of love ***
Capitolo 14: *** I am yours ***
Capitolo 15: *** Se c'era una volta l'amore ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La zingara dalla pelle diafana

 

Prologo

 
Abbassò le palpebre e sospirò profondamente. Era da quando si era messa a letto che avvertiva una strana sensazione, un senso di colpa. Passò la mano tra i capelli e sospirò. Sollevò il busto e controllò l’ora sul suo orologio da polso : era ancora l’una. Pensò che era davvero strano come il tempo che correva così velocemente di giorno, rallentasse tanto di notte. Si ristese sul cuscino e chiuse gli occhi. Si chiese che cosa potesse preoccuparle tanto, che cosa le provocasse quella strana sensazione. Era una stimata scrittrice che con il suo romanzo d’esordio era riuscita a guadagnare fama e fortuna. La sua carriera era all’apice e dal suo libro era stato tratto un film che aveva riscosso grande successo tra le casalinghe annoiate e le ragazzine innamorate. Aveva sognato tutta la vita di arrivare a questo punto e adesso perché avrebbe dovuto sentirsi in colpa?
Finalmente la stanchezza vinse sull’ansia e la sua mente si lasciò cullare nel dolce mare del sogno.
 
Si ritrovò seduta davanti alla scrivania del suo studio a fissare un foglio bianco. Scriveva qualcosa  e subito dopo lo cancellava.
Aveva un groppo in gola e a stento riusciva a trattenere le lacrime che volevano necessariamente scivolare lungo le guance. Sospirava tristemente e non riusciva ad andare avanti.
Improvvisamente avvertì una sensazione di benessere e di sollievo e sentì come se una mano le si fosse posata sulla spalla. Si voltò e vide un viso a lei molto noto : due occhi espressivi e sinceri ed un sorriso che le aveva sempre donato grande sicurezza e conforto. La sua roccia, il suo confidente, il suo mondo si era materializzato di fronte a lei. “Materializzato” era davvero la parola giusta da usare! Infatti lui non era davvero reale e anche lei sapeva bene che presto, come una bolla di sapone, si sarebbe dissolto nel nulla. Avrebbe voluto parlargli, dirgli che le dispiaceva di non aver mantenuto la promessa, fatta tanti anni fa, ma non poteva. Le era possibile soltanto osservarlo e farsi trasmettere il messaggio che quel angelo le aveva portato, ossia che “andava tutto bene”. Del resto era quella la storia del loro rapporto da un po’ di tempo a questa parte : non lo vedeva da più di vent’anni, ma il suo ricordo era sempre riuscita a farla andare avanti e a farla imboccare la strada giusta.
Lei sorrise e lui ricambiò il sorriso.
 
In quel momento si svegliò e i suoi due occhi verde smeraldo videro la sua camera da letto. Osservò le prime luci dell’alba che combattevano contro le tapparelle per entrare ad illuminare la stanza. Si alzò e camminò scalza fino alla cucina del suo piccolo appartamento. Preparò il caffé, cercando di non fare troppo rumore per potersi godere il silenzio. Versò la bevanda in una tazzina bianca e vi riversò dentro una piccola quantità di zucchero. Camminò fino alla finestra e ne aprì le tapparelle. Si affacciò e cominciò a sorseggiare il suo caffé, osservando il passaggio che le si affacciava davanti. Il sole era sorto e si vedeva appena tra gli alti palazzi di New York. Chiuse gli occhi e ricordò quando da ragazzina osservava ogni giorno il sole sorgere. Stesa sull’erba bagnata dalla rugiada nella radura vicino al villaggio in cui era cresciuta, aspettava con ansia l’inizio di un nuovo giorno. Le venne alla mente un’occasione in particolare in cui i suoi occhi, animati da un sogno, splendevano più dell’alba.
“Sai un giorno diventerò una scrittrice!! Ho deciso! Farò emozionare e sognare i lettori come fanno gli autori che mi leggi sempre.”aveva detto.
 “Devi lavorare molto per raggiungere questo obiettivo, ma sei abbastanza determinata per riuscirci.E di che cosa parlerà questo libro? Hai già pensato ad una trama?”le aveva risposto il ragazzo, steso al suo fianco.
“Di me e te, di noi, della nostra splendida e sincera amicizia!”
“Senti a me, quando avrai realizzato il tu sogno ti sarai dimenticata di me…”sussurrò tristemente lui.
“Ti prometto che io non mi dimenticherò mai di te e che tu sarai accanto a me alla presentazione del libro.”
“Ti credo, mia zingara dalla pelle diafana” disse sorridendo.
 
Lasciò cadere la tazza dalle sue mani, che al contatto col pavimento di marmo si ruppe in tanti piccoli pezzi. Le lacrime sgorgarono dai suoi occhi e scesero lungo le guance.
Che ne era stato di tutte quelle promesse? Le aveva portate via il vento…
Per scrivere il suo primo libro si era fatta consigliare dalla direttrice della casa editrice e aveva scelto di trattare una storiella da quattro soldi che non aveva nulla di suo. Si rendette conto che non solo si era venduta per soldi, ma soprattutto che Fabrizio aveva ragione, l’aveva dimenticato. Da quando la vita aveva cominciato a sorriderle, non aveva più pensato alla persona che l’aveva sostenuta nelle avversità. Avrebbe pianto a lungo, se non le fosse tornato alla mente ciò che lui le aveva detto in sogno, che andava tutto bene.
Lui non era mai stato un tipo vendicativo ed era sempre stato capace di perdonare, a differenza sua che aveva sempre detto, parafrasando la Austen, che una volta violata la sua fiducia questa era persa per sempre.
“Sì, ma qualcosa dovrò pur fare per rimediare al mio errore e alle mie mancanze” pensò. Le venne un’idea ed all’istante corse nel suo studio per realizzarla. Presa la rubrica, cercò il numero della direttrice della sua casa editrice tra la lista di numeri scritti con inchiostri diversi. Esultò quando lo trovò, come una bambina che vede un cesto di caramelle. Veloce digitò i numeri e si preparò ad affrontare la donna che, con la sua voce severa e decisa, le aveva spesso messo paura. Restò molto delusa quando sentì la voce della segreteria dirle di lasciare un messaggio dopo il bip. Pensò però che se lo avesse detto a quella voce meccanica, la sua direttrice non avrebbe potuto replicare nulla. Così respirò profondamente e dopo il fastidioso suono del beep, disse velocemente : “Non ho intenzione di scrivere il seguito di Turbinio di Passioni. Scriverò un libro dalla trama diversa…più personale. Le farò leggere il manoscritto appena l’avrò finito e spero che accetti di pubblicarlo. Se non lo farà, mi rivolgerò a qualche altra casa. Buona giornata!”
Quando ebbe attaccato, si sentì più libera, priva di quell’opprimente peso. Sospirò profondamente e sedutasi sulla sedia cominciò a scrivere. 
 
Ciao a tutti ragazzi!! Mi presento : sono Mari! E’ la prima storia che pubblico in questa sezione, ma non sono proprio una novellina dato che ho già pubblicato diverse storie su manga, anime e nella sezione drammatico. Questa storia significa molto per me e avere la possibilità di condividerla con voi è significativo per me! C’è molto di me in questa storia :  infatti seppur tratta di una zingara che ha vissuto una vita difficile, contiene i miei sogni, paure e sensazioni. Da questo prologo non si capisce molto forse, ma vi assicuro che presto capirete molto di più. Spero proprio che vogliate leggere e recensire questa mia storia e intraprendere questo cammino insieme a me. Grazie per l’attenzione e tanto amore a chi recensirà e leggerà questa storia. 

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Capitolo 2
*** Le vie del destino ***


La zingara dalla pelle diafana

 

Capitolo uno

Le vie del destino

 

Fissai il palmo della mia mano un’altra volta. Vidi i solchi che mi segnavano la pelle, ma non riuscii ad interpretarli. Arresami, sospirai ed alzai lo sguardo. Osservai il cielo grigio coperto da qualche batuffolo grigio, che incupiva l’ambiente selvaggio in cui mi trovavo. Con le braccia appoggiate ad una cassa di legno alquanto malconcia, contemplai una famiglia distinta, elegantemente vestita, fare capolinea nella radura. Le tre figure calpestarono le foglie secche e camminarono verso il centro dove erano state improvvisate delle bancarelle, procedendo a zig zag a causa degli agglomerati di cianfrusaglie disseminati un po’ ovunque. Dopo aver percorso la metà del percorso, poterono già vedere nitidamente lo spettacolo che gli alberi gli nascondevano prima. Un gruppo di  strane case apparivano all’orizzonte, anche se quel nome era inadeguato a descrivere un ammasso di pietre di vario genere e svariata grandezza che non trasmettevano la sicurezza che solitamente comunicano le abitazioni. Da queste bizzarre dimore entravano ed uscivano una decina di donne dalla pelle scura vestite con abiti colorati e con i capelli coperti da un panno di stoffa. Una volta avvicinatisi furono investiti dal tanfo che quei corpi olivastri emanavano ed arricciarono istintivamente il naso. Guardavano quegli zingari con un misto di curiosità e disprezzo, chiedendosi per quale ragione avessero deciso deliberatamente di vivere in quello stato così selvaggio. Loro che si erano serviti dei comfort che la società gli aveva offerto per migliorare la loro vita, non si spiegavano il fatto che quegli uomini preferissero vivere in contatto con la natura.

 

Che cosa capivano quegli snob?-mi chiesi. Potevano mai rendersi conto delle emozioni che si provavano quando si assisteva, sdraiati sull’erba bagnata, al sorgere del sole? Avrebbero mai compreso il legame che univa quella comunità, la solidarietà e la fratellanza dei loro rapporti?

Perché erano lì allora? Perchè quella comunità di girovaghi provava a mostrare agli uomini di città i vantaggi della loro condizione, aprendogli le porte dei campi e vendendogli i cesti fatti dalle loro mani. Da parte loro gli abitanti si avvicinavano divertiti di poter rientrare in contatto con quel mondo così lontano. Quella ricorrenza si teneva ogni primo giorno di autunno.

 

-Dove sono i tuoi cestini??-

Quella voce mi riportò alla realtà e dissipò le nuvole dei miei pensieri. Abbassai lo sguardo e vidi un basso bambino vestito di tutto punto che mi fissava con i suoi occhi curiosi e vispi. Guardai i suoi genitori avvicinarsi ad una bancarella su cui erano esposte delle grandi ceste e non curarsi di lui.

-Allora tu non vendi cestini?-mi chiese, irritato del fatto che io non avessi risposto al suo primo quesito.

-No, non vendo cestini. Io sono una chiromante!-

- Chiro-cosa? –chiese il bimbo.

- Io leggo le mani delle persone e da quello che vedo prevedo quale piega prenderà il loro futuro.-

-Sei una sorta di strega?-disse affascinato.

-Una specie!-

-Allora leggi la mia mano ti prego!!-gridò con una voce stridula ed emozionata.

Presi la sua candida e morbida manina tra le mie screpolate mani sporche di terra e cominciai ad osservarla. La linea della vita che partiva dall’inizio era lunga e curvata a formare un semicerchio sul palmo, questo significava che quel dolce bambino era pieno di forza ed entusiasmo.

Esaminai poi la linea della mente che era corta e questo stava ad indicare una preferenza per le conquiste fisiche. Mentre stavo per soffermarmi sulla linea del destino qualcuno mi strappò quella manina. Alzai lo sguardo e vidi lo sguardo accigliato della madre del bambino fissato su di me.

-Io non voglio che mio figlio creda a stupidaggini come la magia e la chiromanzia…-gridò.

Lo guardò e gli disse: - La magia non esiste, hai capito? E questa ragazza non è altro che un’imbrogliona che dice milioni di sciocchezze pur di poter guadagnare qualche spicciolo!-

-Ma io non le avrei chiesto nulla…-ceraci di difendermi.

-Bene perché non ho intenzione di dare nulla ad una ladra come te. Perché non vai a lavorare invece di continuare a chiedere l’elemosina o peggio rubare alle persone oneste?-

Abbassai la testa mortificata cercando di trattenere le lacrime. Mi ero sentita ripetere quella frase almeno un milione di volte, ma ogni volta che quelle parole venivano pronunciate sentivo come se mi stessero conficcando una lama nel petto. Il bambino, mentre veniva condotto via con la forza da sua madre, mi fissava. I suoi occhi mi pregavano di aiutarlo, aiutarlo a credere che la magia fosse reale. Io non feci nulla ed aspettai che lui se ne andasse per tornare dietro la mia cassa di legno dove dovevo aspettare i miei clienti. Eppure mi sentivo colpevole, come se avessi commesso un torto.

-Che potevo dirgli? Nulla!-pensavo tra me-Nemmeno io ho la certezza di non essere un imbrogliona!-

Fin da bambina mi avevano insegnato a memoria a cosa corrispondessero le linee che solcavano le mani e come interpretarle. Avevano inoltre aggiunto che non sarei mai stata capace di leggere le mie di mani e quelle di coloro il cui destino sarebbe stato legato al mio. Quando avevo posto delle domande, mi era stata chiusa la bocca e detto che non c’era nessuna cosa più da sapere.

Tuttavia la faccenda non mi era mai sembrata molto chiara ed in particolare avevo considerato una vera fregatura il fatto che io potessi predire il futuro di tutti fuorché il mio.

Non mi ero quindi mai rassegnata e avevo sempre continuato ad osservare le mie mani senza riuscire ad ottenere dei risultati.

Alzai lo sguardo ed incontrai quello di un ragazzo, che poco lontano da me mi stava fissando. Lo guardai cercando di capire se lo avessi mai visto o se lo conoscessi. I suoi capelli marroni illuminati dai raggi del sole, che filtravano attraverso le foglie degli alti alberi nella radura, i suoi occhi scuri e la sua espressione impenetrabile mi confermarono che non avevo mai visto quel ragazzo. I suoi amici lo raggiunsero e lo chiamarono, richiamandolo dai suoi pensieri:

-Ehy Fabrizio che ci fai qui?-gli chiesero.

Guardarono anche loro nella mia direzione per capire che cosa avesse spinto il loro amico a recarsi in quell’accampamento di zingari.

-Volevi farti leggere la mano? Ah non dovevi vergognarti di dirlo…-

Detto questo, lo afferrarono per le braccia e lo condussero da me.

Il ragazzo timidamente mi porse la mano. Era così vergognato per l’atteggiamento con cui gli amici lo avevano condotto a forza da me che non osò guardarmi in viso. Avendo visto il rossore sulle sue guance, appena coperte da una barba non molto folta, sorrisi. Afferrai la sua mano e cominciai ad osservarla. Con mio grande stupore non riuscii a distinguere le linee che solcavano le mani. Ci riprovai, ma non conseguii un risultato migliore.

-Ebbene?-chiese uno dei suoi amici impaziente.

-Io…io…non riesco a leggerla…-dissi dispiaciuta e confusa.

Dentro di me sapevo cosa voleva dire tutto quello : il mio destino era incrociato con quello di quel ragazzo moro. Ma come era possibile? Io nemmeno lo conoscevo!

I miei pensieri furono interrotti da una fragorosa risata.

-Andiamocene…questa non è altro che una imbrogliona! Non vedi la sua pelle pallida? Non è nemmeno una zingara…non ha né la pelle olivastra, né i capelli scuri…-

Quei commenti cattivi mi ferirono : quelle parole rimbombavano nella mia testa ed ogni volta mi facevano sempre più male.

Una lacrima scivolò lungo il mio viso e cadde sulla mano del ragazzo castano, che non avevo lasciato. Mi sbrigai ad asciugarmi gli occhi e le guance, dato che la cosa che avevo sempre temuto più degli insulti era stato il mostrarmi debole.

Mentre i due ragazzi mi stavano ancora deridendo a gran voce, lui li fissò con aria di disapprovazione ed affermò con voce severa:

-Adesso basta! E’ davvero sleale prendervela con chi non può rispondere. Io al vostro posto mi vergognerei dell’accaduto.-

Loro li guardarono allibiti e non risposero nulla.

-E adesso andiamo…-

Alzai lo sguardo sorpresa e lo fissai : lui mi sorrise e mi fece l’occhiolino, prima di sparire insieme alla sua compagnia.

Una grande gioia mi investì e dipinse sul mio viso un sorriso. Nella mia vita non mi ero mia sentita così protetta e al sicuro…non ero mai stata difesa da nessuno.

In quel momento non mi chiesi né chi fosse quel ragazzo, né se lo avrei rivisto ma capii che quanto era successo non lo avrei mai dimenticato.

 

But when you’re near me
I feel like I’m standing with an army
I am armed with weapons

 

Scusate se vi ho fatto aspettare tanto per questo capitolo, ma volevo che fosse perfetto e spero di essere riuscita nel mio intento. Ho voluto introdurvi pian piano nella storia… Spero vi sia piaciuto questo capitolo e che mi lascerete una bella recensione! ;)

Grazie dell’attenzione e Buon Anno!!

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Capitolo 3
*** Alla luce dell'alba ***


La zingara dalla pelle diafana

 

Capitolo due

Alla luce dell’alba

 

Ero rannicchiata in un angolo a mangiare un piccolo pezzo di pane con dentro del formaggio. La vendita dei cestini era andata abbastanza bene e aveva dato la possibilità al capo della nostra tribù di comprare per noi dei tozzi di pane ed un pezzo di formaggio. Quella misera merenda rappresentava la nostra cena.

Terminai di mangiare e ad appoggiai la testa contro il muro. Osservai la stanza che dividevo con una decina di altre zingare, in cui regnava un disordine totale. Una decina di coperte, che per noi fungevano da letti, erano gettate sul pavimento grezzo. Le mie compagne di stanza sedute su di esse conversavano allegramente tra di loro e si raccontavano divertenti aneddoti della loro giornata.

Una piccola bambina a cui era stata appena data la sua porzione di pane, spaventata da un cane che aveva fatto capolino nella stanza, lo lasciò cadere a terra. L’animale le si avvicinò e mangiò il suo cibo. La bimba cominciò a piangere e strillare un po’ per la paura e un po’ perché si sentiva colpevole di aver perso la sua cena. Le sue compagne si alzarono e le si avvicinarono. Presto la bambina fu circondata da un folto gruppo di zingare che le dava ogni tipo di attenzioni : la donna più alta le asciugò le lacrime e le altre staccarono un pezzo dalla loro merenda e , dopo averlo raggruppato, glielo porsero. La bambina, smesso di piangere, mangiò con avidità quello che le sue compagne le avevano gentilmente offerto e tornò a sorridere. Il cane che era rimasto accanto a lei, attirato dal profumo di cibo che percepiva, le si avvicinò ancor di più e la fece spaventare nuovamente. Le altre zingare le spiegarono che non c’era nulla di cui aver paura e che quel cane era suo amico come ogni altro animale. La bimba tutta tremante accarezzò il Labrador, che la ringraziò leccandole il viso e cominciando a scodinzolare felice.

 

Quelle scene erano abbastanza usuali nella comunità zingara in cui vivevo. Le donne erano molto solidali tra di loro e si aiutavano senza avere la pretesa di voler ricevere qualcosa in cambio. Ma la cosa che più le rendeva speciali era il loro amore verso la natura e ogni essere vivente che la popolava. Per questi valori avevo sempre stimato quel gruppo di donne : per me erano un simbolo di perfezione assoluta a cui io potevo solo aspirare, ma mai raggiungere. Era per quella ragione che non avevo mai cercato di entrarvi a far parte e che avevo preferito restare in disparte, in un angolo ad osservarle ed idealizzarle. Da parte loro, quelle zingare non avevano mai avuto alcun interesse a far entrare nel loro gruppo una ragazza così diversa dai loro canoni. Vivevamo nella stanza da anni, ma eravamo divise da uno spesso muro di silenzi ed indifferenza.

 

Quando quella sera quindi andai a dormire prima del solito nessuno mi chiese spiegazioni. Piegai a metà la coperta così da poter usarne una parte come materasso e l’altra come coperta. Appoggiai la mia testa su un sacco riempito di paglia fresca, che adoperavo come cuscino e cominciai a pensare. Riflettei su quello che mi era successo quel giorno: mi ero svegliata piena di speranza e sorridente avevo aspettato nel campo che il ragazzo moro tornasse. Ero stata così sicura che lui sarebbe venuto, che mi aveva molto deluso il fatto che egli non si fosse fatto per niente vedere. Sospirai e cominciai a dubitare che lo avrei rivisto. Una sensazione di grande tristezza mi invase e mi lasciò un amaro sapore in bocca. Cercavo di autoconvincermi che non mi importava, che sarei stata benissimo anche senza di lui…come del resto stavo prima di vederlo. Possibile che un ragazzo del tutto anonimo, né troppo bello, né troppo simpatico, uno dei tanti che vedevo ogni giorno, fosse riuscito a colpirmi così tanto? Mi faceva paura il fatto che la sua sola assenza o presenza potesse modificare a tal punto il mio umore? Io, che da sempre, mi ero allontanata dai rapporti umani adesso mi ero fatta colpire da un ragazzo solo perché lui mi aveva difeso? Sospirai nuovamente e dissi a me stessa che presto lo avrei dimenticato.

Il sonno placò le mie preoccupazioni e mi concesse qualche ora di riposo. Quando riaprii gli occhi, il sole non era ancora sorto. Nella stanza buia le mie debolezze e paure, sorsero dal pavimento come degli spaventosi fantasmi e cominciarono a volarmi intorno. Tutte le parole cattive che mi erano state rivolte negli ultimi giorni, mesi, anni rimbombarono nella mia testa:

-Imbrogliona!-

-Perché non vai a lavorare?-

-Non vedi la sua pelle pallida? Non è nemmeno una zingara…non ha né la pelle olivastra, né i capelli scuri…-

Era come se ora che il mio angelo era sparito, le ombre che era riuscito a scacciare fossero tornate e gridassero più forte di prima. Tremante mi alzai dalle coperte e corsi velocemente fuori dalla casa fatiscente in cui stavo riposando. Il cielo si stava schiarendo e aveva assunto un colore grigiastro, che non metteva affatto allegria. Continuai a correre nei campi ed entrai a gran velocità nella foresta, senza osare guardarmi indietro come se vi fossero davvero dei fantasmi a rincorrermi.

Procedendo velocemente, riuscii a stento a scansare gli alberi che mi intralciavano il cammino e mi fermai solo di fronte al lago. Il sole era ormai sorto e c’era abbastanza luce per permettermi di distinguere bene l’ambiente attorno a me. Mi inginocchiai sulle foglie adagiate sul terreno e ancora bagnate dalla rugiada mattutina e osservai la mia immagine riflessa nell’acqua.

-Se solo non avessi i capelli così biondi, gli occhi azzurri o la pelle così chiara potrei mimetizzarmi, potrei essere una vera zingara! Eviterei gli sguardi altrui sempre posti sulla mia persone…se solo non fossi così diversa!-

Battei i pugni sul terreno piena di rabbia, mentre le lacrime scendevano lungo le guance. Nonostante mi sentissi ridicola ed infantile a comportarmi in quel modo, non potevo assolutamente farne a meno. Afferrai con i pugni del terreno e cominciai a spalmarla sul mio viso. Alla fine mi guardai ed osservai il mio aspetto terribile. Continuavo a piangere e a pensare a quanto sarebbe stato bello avere la pelle olivastra, quando sentii un rumore di passi dietro di me. Una mano si posò sulla mia spalla ed io mi irrigidii chiedendomi chi fosse. Naturalmente il mio primo pensiero andò al mio angelo, ma la ragione mi ricordava che quel pensiero non era altro che un’illusione. Abbassai lo sguardo e notai che questa persona misteriosa si era inginocchiata accanto a me. Afferrò una coperta, che evidentemente aveva portato con sé, e me la strofinò sul volto finché non lo pulì del tutto. Alzai gli occhi e mi specchiai in un paio di iridi marroni, guardai poi un sorriso sincero rivolto a me ed arrossii. Quando ebbe terminato di lustrarmi il viso, si sedette accanto a me e mi coprì con il plaid che aveva già precedentemente usato. Mi avvolsi nel caldo drappo in quanto mi ero accorta che l’aria mattutina stava cominciando a farmi rabbrividire.

-Credo che in questo momento dovresti dirmi “Grazie”…-commentò.

-Ti ringrazio sia per quello che hai fatto adesso sia per avermi difesa qualche giorno fa.-

Sorrise mostrando i denti e sbadigliò.

-Che ci fai qui?-gli chiesi sorpresa che una cosa tanto irreale si fosse realizzata.

-E’ mia abitudine venire ogni mattina qui e restarci per un’oretta per potermi rilassare prima di dover andare a scuola. Vedi? Avevo portato anche un libro da leggere. -disse sventolando davanti ai miei occhi un testo con una donna dal viso sconvolto e un lungo abito bianco, dipinta sulla copertina.

-Tu invece non vieni spesso qui, vero? Non ti avevo mai incontrata…-

-E’ vero…io non sono mai venuta qui…-affermai.

Lui avvicinò le ginocchia al petto e vi appoggiò i palmi. Poi passò le mani tra i capelli e si aggiustò il ciuffo che cadeva lungo la fronte. Mi chiesi se quella specie di tic denotasse un carattere egocentrico…

Lo osservai per un attimo e tornai a rivolgere lo sguardo di fronte a me.

-Comunque io sono Fabrizio- disse tendendomi la mano.

-Sì, lo avevo intuito. Avevo sentito i tuoi amici chiamarti l’altro giorno…-

-Ah già! E tu sei?-mi domandò sorridendomi in modo buffo.

-Mmm… Destiny…-sussurrai a mezza voce.

A quel punto mi feci coraggio e gli chiesi quello che bramavo di sapere.

-Ma chi sei?-

-Io? Fabrizio…mi pare di averlo già detto!-

-No…intendevo…vivi nei dintorni? Perché non ti ho mai visto? Spunti per caso dal nulla?-

Avrei voluto chiedergli se fosse un angelo, ma mi trattenni per evitare di essere considerata una pazza.

-Non so se hai notato mentre correvi qui una grande casa bianca, dovresti averla vista prima di entrare nella foresta. Beh io vivo lì. Sono il figlio del proprietario della terra nella quale voi vi siete trasferiti il mese scorso.-

La cosa adesso, in effetti, era più chiara e aveva perso ogni alone leggendario.

Guardò di fronte a lui ed osservò il cielo in cui il sole era diventato sempre più splendente. Questo gli fece ricordare che per lui era arrivato il momento di tornare a casa sua. Si alzò in piedi e sbadigliò, alzando le braccia.

-Mi piacerebbe restare qui in silenzio con te, ma purtroppo devo andare a scuola!-

 Feci per restituirgli la coperta, ma la rifiutò.

-Facciamo così…me la restituirai domani. Mi troverai qui alla stessa ora!-sussurrò facendomi l’occhiolino.

E mentre lui se ne andava, io mi strinsi di più nel drappo di cotone e respirai a pieni polmoni il profumo che quello emanava. Il suo profumo.

 

 

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Capitolo 4
*** Noi due siamo amici ***


La zingara dalla pelle diafana
 
Capitolo due
Noi due siamo Amici
La debole luce del mattino filtrava appena attraverso i grandi quadrati di cotone che coprivano le finestre della stanza, ma io ero già in piedi. Qualche zingara, svegliata dai rumori che producevo involontariamente, apriva le palpebre insonnolite, mi scrutava con poco interesse e dopo aver scosso la testa e strofinato gli occhi con le mani, riprendeva a dormire. Intanto io ero inginocchiata sulla mia coperta e osservavo il drappo che mi aveva prestato Fabrizio il giorno precedente e che avrei dovuto restituirgli. Una voce nella mia testa mi sussurrava : “Sei pronta a privarti dell’unica cosa che hai di lui? Ti rendi conto che se per una qualsiasi ragione tu non dovessi vederlo più, dopo che lui avesse ripreso questo oggetto…non avresti più nulla che ti ricordi ciò che è successo?”. Aveva innegabilmente ragione, ma potevo mica rifiutarmi di consegnargli un oggetto che apparteneva a lui? Notai che un lembo del drappo era rovinato e riuscii a strapparlo senza difficoltà. Riosservai la coperta e mi accorsi che l’assenza di quella sottile estremità non era troppo evidente e fui soddisfatta del risultato. Piegai accuratamente il plaid e lo appoggiai a terra. Poi camminai fino alla finestra e spostai il velo che mi impediva di vedere nitidamente il paesaggio esterno. Il sole era già sorto, seppur da poco, e lui era sicuramente già arrivato lì. Lo immaginai guardarsi intorno e scrutare con attenzione la radura sorpreso e deluso del fatto che non fossi lì. Se avessi avuto una consigliera, forse mi avrebbe avvertito che bisogna far attendere gli uomini per non fargli capire che teniamo troppo a loro. Non avendo nessuno però mi lasciai guidare dall’istinto, che mi ordinò di raggiungerlo prima che se ne andasse.
Il risultato? Dopo aver corso a perdifiato per tutta la foresta, arrivai a pochi metri da lui sudata e con un gran fiatone. Dovetti quindi attendere qualche secondo, nascosta dietro un albero, per potermi riprendere e dunque raggiungerlo. Camminai verso di lui fingendo un’andatura sciolta e disinvolta e quando silenziosamente mi sedetti, mi chiesi se fosse stata verosimile. Osservai i suoi occhi calmi ed il suo sorriso tranquillo e mi sorpresi che non potesse percepire tutto il mio imbarazzo. Possibile che lui non lo provasse? O forse era solo bravo a nasconderlo?
-Allora non sei una chimera?-mi chiese con tono canzonatorio.
-A quanto pare…-risposi in modo alquanto acido.
-Credevo che non saresti più tornata…ieri non mi sei sembrata molto convinta quando te l’ho proposto!-mi spiegò.
-Beh dovevo portarti questo.-
Detto questo gli consegnai la coperta, sperando che non si accorgesse del lembo mancante. Lui la piegò velocemente e la appoggiò accanto a sé.
-Beh io sono felice che tu sia qui…è piacevole poter apprezzare questa vista in compagnia di qualcuno.-
Mi indicò un paio di alberi in lontananza. In cima al fusto non vi era più una folta chioma, ma i rami  non erano del tutto spogli. Su di essi erano infatti nati diversi ciuffi di erbetta la cui punta era colorata di un allegro arancione brillante.
-Vedi quei due alberi? Quelli non sono spogli come dovrebbero essere i tronchi nella attuale stagione autunnale. Tuttavia non sono nemmeno coperti da un verdeggiante fogliame o da piccoli boccioli rosa, come è consueto in primavera. Sai cosa mi fa pensare questo? Ad una persona che è circondata da molte persone, ma che in realtà si sente tremendamente sola. A qualcuno che dovrebbe essere felice e grato, ma che in realtà rifiuta la vita. A chi, proprio come quell’albero, è vivo (e ce ne accorgiamo dall’erba che è cresciuta sui rami) ma che in realtà si sta lasciando morire.-
Lo scrutai attentamente mentre enunciava quel pensiero e mi chiesi a chi stesse pensando. Infatti in quel frangente di tempo il suo sguardo si era intristito e nei suoi occhi, velati di amarezza, era scomparsa la scintilla che prima li illuminava.
-Che sciocco! Adesso penserai che mi manchi qualche rotella!-cercò di giustificarsi, scuotendo il capo velocemente.
-Non dire così…anzi hai detto delle cose bellissime! Sei davvero un grande poeta!-lo elogiai con entusiasmo.
-Non esagerare! Io non sono un poeta! John Keats lui sì che era un poeta!! Ascolta questa citazione! -
Detto questo, salì su un grande masso e cominciò a recitare a memoria questi versi.
 
Non posso esistere senza di te. 
Mi dimentico di tutto tranne che di rivederti: 
In questo momento ho la sensazione 
come di dissolvermi:
sarei estremamente triste 
senza la speranza di rivederti presto. 

 
La cosa che più mi colpì fu il fatto che, mentre pronunciava queste parole così suadenti, non smise mai di guardarmi negli occhi.
-Non avevi mai letto questa poesia? Nemmeno a scuola?-
Dopo avermi posto questa domanda dalla risposta così scontata, il suo viso si contrasse in un’espressione  di pentimento.
-Scusami…non avevo riflettuto- sussurrò a mezza voce.
-In effetti nel campo non abbiamo una biblioteca molto fornita…-mi giustificai.
Lui continuò a farneticare diverse scuse, ma io lo pregai di smetterla.
-Per farmi perdonare, ti regalo questo!-disse allungandomi un libro dalla copertina di cuoio.
Lo guardai con aria interrogativa.
-Qui ho trascritto le mie poesie preferite…e c’è anche quella che ti ho recitato prima! Sono sicuro che piaceranno anche a te!-
Avrei voluto rifiutare, ma la sua espressione non ammetteva un rifiuto. Così lo presi dalle sue mani e cominciai a sfogliarlo. Pagine giallastre macchiate da diversi inchiostri scorrevano veloci davanti ai miei occhi.
Si alzò e si avvicinò a me. Abbassò il viso sulla mia testa fino a sfiorarmi i capelli con il naso. Ero già pronta a ricevere questo bacio “d’arrivederci” con il cuore che batteva all’impazzata, quando lui invertì la rotta. Rialzò velocemente la testa e mi mise una mano sulla spalla.
-Allora ci vediamo domani. Cerca di essere puntuale però!-
-Sei sicuro che posso tenerlo?-chiesi alludendo al suo quaderno. Non credevo che fosse giusto che lui si privasse di una cosa così speciale per darla a me.
-E’ un mio regalo da amico ad un’amica! Perché siamo amici,no?-
Annuii e lui si allontanò di corsa.
 

Autunno, grigio autunno
Un cielo gonfio che non piove
Non so perché mi abbracci
So soltanto che volevi

Poi mi dici Io ci sono, io ti aspetto
Noi due siamo amici
 
Spero vi sia piaciuto il capitolo!! Nel prossimo capitolo scoprirete a chi si riferiva Fabrizio con la metafora dell’albero (che tra l’altro mi auguro gradiate). Grazie per le recensioni e per aver aspettato che la mia ispirazione e che il tempo tornassero da me. 

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Capitolo 5
*** Il baule del mio passato ***


La zingara dalla pelle diafana

Il baule del mio passato


- L’altro giorno mi riferivo a mia madre, comunque…-
Un cinguettio di uccelli accompagnò le sue parole. Il suono delle campane in lontananza annunciò agli abitanti del borgo l’imminente inizio della messa mattutina. Immaginai un esiguo gruppo di vecchiette che, coperte le loro spalle con dei pesanti scialli, camminavano verso la piccola chiesetta bianca spettegolando riguardo il povero malcapitato. Mi era capitato spesso di vederle, quando ero andata a svolgere delle commissioni per il capo del campo.
-Quando ti ho parlato di quell’albero, ricordi?-si spiegò meglio.
Certo che lo ricordavo. Erano già trascorse un paio di settimane dal giorno in cui si era tanto rattristato guardando un albero dall’aspetto particolare. Da allora nessuno dei due aveva più fatto cenno all’accaduto e mai avevo avuto il coraggio di chiedergli a chi stesse pensando, nonostante fossi curiosa di saperlo. Spesso la mia mente mi suggeriva che doveva essere una persona a cui teneva molto, magari una ragazza per cui nutriva un particolare affetto…
Nell’apprendere che quella donna misteriosa era sua madre, provai uno strano senso di sollievo.
-Sì, mi ricordo…-commentai.
-Ma cosa le è successo? Hai detto che si sta lasciando morire…-lo incalzai. –Sempre che tu voglia dirmelo, certo!-
Mi fissò negli occhi e dopo aver meditato per qualche secondo, mi rispose: - Non ho mai raccontato a nessuno di mia madre, ma con te mi sento così a mio agio…-
Sorrisi felice che lui si fosse fidato di me perché per me era lo stesso. Se avessi dovuto affidare la mia vita nelle mani di qualcuno, quel qualcuno sarebbe stato lui senza dubbio. 
-Fin da quando ero bambino è sempre stata uguale, umbratile ed enigmatica. Raramente avevo visto apparire sul suo viso pallido e smorto un sorriso. Avevo sempre creduto che la tristezza fosse da sempre radicata nel suo carattere, ma sono stato ingenuo : nessuno nasce morto, ma si muore vivendo.
Qualche settimana fa ho però trovato per caso una scatola color panna che teneva nascosta in un cassetto. Cedendo alla mia curiosità l’ho aperta e ho ritrovato numerosi oggetti che mi hanno guidato nella scoperta del passato di mia madre. Una vecchia foto in bianco e nero la ritraeva giovane in un campo di grano con indosso un semplice prendisole, diverso dagli eleganti e sofisticati abiti che indossa adesso. Quello che però mi ha colpito non è stata la semplicità di questa immagine ma il sorriso impresso sul suo volto, spontaneo, dolce e meraviglioso. Ho letto allora le lettere ingiallite che erano state piegate accuratamente : a quanto pare il mittente era sempre lo stesso, una certa Mrs Collins che non avevo mai sentito. Sono riuscito a scoprire che questa donna dalla calligrafia elegante non aveva mai ricevuto una risposta e che in realtà era mia nonna. Ti sembrerà strano, ma non avevo mai creduto di avere dei parenti oltre ai miei genitori. Non me ne avevano mai parlato … ma in effetti a pensarci avrei dovuto immaginarlo!- disse ridendo.
-Ma cosa c’era scritto nelle lettere?- gli chiesi cercando di farlo tornare al suo discorso iniziale.
-Ah sì! Mrs Collins in ogni lettera raccontava cosa le fosse accaduto in quel lasso di tempo: un nuovo vicino si era trasferito nella tenuta accanto alla loro, suo marito aveva intenzione di comprare un nuovo terreno ed altre notizie inutili che tendevano a  sviare il discorso che la signora voleva realmente affrontare. Alla fine della lettere tuttavia afferrando il coraggio a quattro mani e chiedeva a mia madre come stesse, realmente.-
Prese un foglio di carta dalla tasca e me lo lesse: “E’ inutile che tu ti ostini a non rispondere, che tu ti chiuda in te stessa. Non smetterò mai di mandarti delle lettere piene di rimproveri. Non avresti dovuto sposare tuo marito, non avresti dovuto gettare la tua vita così! E per quale ragione poi? Per punire me e la mia idea di combinarti un matrimonio. Saresti stata più felice di così! Avresti avuto ancora una famiglia a sostenerti e non saresti stata abbandonata in una landa desolata costretta a vivere con un essere spregevole. Spero che quel lurido campagnolo si stia divertendo a spendere la tua dote!”
-Cosa ne pensi di questa storia?-gli chiesi curiosa di conoscere il suo parere. – Hai mai notato delle discussioni tra i tuoi genitori?-
-Beh nella mia casa non ci sono mai stati gesti di affetto, si vive all’insegna della severità e dell’austerità. Dunque il fatto che i miei genitori non parlassero molto tra loro o che non si baciassero non mi aveva mai insospettito. Del resto non avevo mai ricevuto nemmeno io un gesto d’affetto…quindi… -
-Che cosa triste- pensai ad alta voce.
-Per fortuna la mia vita non è stata sempre così grigia e qualche momento di allegria c’è stato. Lavora nella nostra casa un’ anziana signora di nome Rosaria, che si è occupata di me quando ero bambino. Per fortuna lei non era affatto arcigna e crudele e ha portato gioia e ilarità nella mia infanzia. Era meraviglioso poter vedere al mio ritorno un volto amico e bonario, che mi accoglieva sempre con un sorriso e perdonava  ogni marachella. E tuttora riveste il ruolo di madre che la mia non ha potuto occupare, chiusa come è nella sua solitudine. Questo non significa però che io non ami mia madre…al contrario sono determinato a scoprire la verit sul suo conto. Voglio capire se la mia pace familiare è reale o solo una farsa! Se mio padre , che ai miei occhi - come credo accada a tutti i bambini - è sempre stato se non un eroe almeno un uomo onesto, sia realmente un farabutto. Per questa ragione ho inviato una lettera a mia nonna chiedendole spiegazioni. Spero solo che non si siano trasferiti e che mi mandi al più presto una risposta. –
-Vedrai che dissiperà tutti i tuoi dubbi. Hai il diritto di scoprire la verità, anche se dolorosa,no?-
-Sono d’accordo con te- disse mettendo una mano sulla mia e sorridendomi. – E devo dire che mi ha fatto davvero bene sfogarmi con te. Perché non lo fai anche tu? Credimi…ti sentirai meglio.-
-A proposito di cosa?- gli chiesi fingendo di non capire.
-Beh di tutto. Tu chi sei veramente? E chi ci fai in questa comunità di zingari? Perché non sei nata lì…lo so. Sono certo che tu non mi abbia detto tutto.-
-E invece ti sbagli! Non c’ è nulla da dire!- risposi irritata e mi allontanai a passo svelto da lui.
-Si può sapere perché ostini a scappare? Un peso diventa più leggero se portato in due. O non ti fidi di me?-
Mi fermai un secondo a riflettere : strinsi con la mano un lembo della mia gonna lacera e sospirai. Fabrizio mi aveva chiesto se mi fidassi di lui … ma cosa voleva saperne della fiducia che avevo in lui? Tuttavia per dimostrargliela dovevo narrargli la mia storia, riaprire il baule del mio passato. Ero pronta a parlarne? Assolutamente no : mai avrei creduto che qualcuno mi avrebbe chiesto qualcosa di me. Non sapevo nemmeno da dove cominciare!
-Mi fido di te, non dubitarne mai. Mai.-
E cominciai a narrargli con un fiume di parole delle mie origini misteriose : nessuno mi aveva mai detto chi fossero i miei genitori né se ne avessi. L’ unica cosa che sapevo era che donna Jasmine mi aveva trovato accanto alla sua baracca abbandonata in un cesto. Avendo udito i miei gemiti disperati, mi aveva portato dal capo del clan zingaro e gli aveva chiesto come comportarsi con me. L’uomo aveva dimostrato che loro non avrebbero potuto tenermi : ero così diversa dalle altre zingare e a cosa sarei servita? Lei aveva cercato di convincerlo che, se ben istruita, mi sarei resa utile. “Ma ha la pelle bianca, non è credibile come zingara! Non potremo farle chiedere l’elemosina!” “Ed io le insegnerò l’arte della chiromanzia e della cartomanzia.” Alla fine era riuscita a convincerlo ed io ero rimasta nel campo. Tuttavia non ero mai riuscita ad integrarmi nella comunità e mi ero chiusa in una cella di solitudine e silenzio. Ero cresciuta con donna Jasmine che mi aveva insegnato tutto quello che sapeva sul mondo degli zingari e sulla vita senza smettere mai di ribadire che “dovevo esserle grata perché senza di lei sarei morta”. Tuttavia era sempre più gradevole stare con lei che con le altre che nemmeno mi consideravano. Dunque quando quella che per me era stata una madre era venuta a mancare, la mia vita era diventata ancora più vuota. A volte dimenticavo persino quale fosse il suono della mia voce dato che non parlavo mai.
-E non c’è nulla più da dire… -commentai.
-E’ normale che loro non ti accettino : tu non sei una zingara! Hai mai provato ad interagire con altri tuoi coetanei?-
-Oltre te? No… -
- E allora ho la soluzione per te! Domani sera mi hanno invitato ad una festa di carnevale … non c’è un poso migliore per conoscere dei ragazzi!- propose entusiasta.
-Ma non credo che mi accetteranno … sono una zingara in fondo!-
-Ti presenterò come una mia parente e ti fornirò dei vestiti, nessuno si accorgerà delle tue origini gitane. Ti divertirai, credimi.-
E mi lasciai persuadere dalla sua gioia e dalla sua allegria. Annuii e sospirai.
 
Scusate il ritardo! Spero che vi sia piaciuto questo capitolo! Nel prossimo leggeremo della festa a cui parteciperanno Fabrizio e Destiny. Ringrazio ShadowDragon2000 e Remedios la Bella per le loro recensioni! Grazie di leggere le mie storie!

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Capitolo 6
*** Give me love like her ***


La zingara dalla pelle diafana

Give me Love like her

Camminavo lungo la stradina di campagna con un cesto di vimini in mano.  Il sole era già alto in cielo e mi riscaldava la pelle. Man mano che mi avvicinavo al villaggio udivo sempre meno il cinguettio degli uccelli, che veniva sostituito dai rumori del paese. Risate, grida, le ruote dei carri che venivano trainati da cavalli esausti… era il giorno di Carnevale ed era normale che vi fosse tanto trambusto.  Ogni anno veniva organizzata una grande parata durante la quale i paesani indossavano gli abiti più strani e bizzarri con l’unico scopo di fare baccano e divertirsi.  Quando entrai in paese il falegname insieme ad un gruppo di ragazzi  stava montando una statua buffa  fatta di carta su un carro a ruote. Lo guardai ammirata cercando di capire cosa rappresentasse :  doveva essere una simpatica caricatura del governatore perché molti gli lanciarono contro della frutta e risero. Dopo aver assistito a quella simpatica scenetta, continuai a camminare fino alla panetteria. Aprii la porta di legno ed il mio ingresso venne accompagnato dal suono di una campanella.  C’erano già diverse persone in fila ad attendere che la donna col grembiule rosso dietro il bancone distribuisse a tutti ciò che desideravano. Loro alzarono lo sguardo e mi fissarono con un’espressione diffidente. Abbassai la testa rassegnata : ero ormai abituata a quegli sguardi. Le zingare sono delle ladre, persone poco raccomandabili e vanno evitate. Quando fu il mio turno riversai tutte le monete che avevo in tasca sul bancone di mogano e le contai velocemente.
-Se non hai i soldi per pagare, non riceverai nulla! Qui non si regala niente!- puntualizzò la panettiera.
-No, no… sono sicura di averli!-
Dopo che li ebbe contati anche lei, mi consegnò due grandi pezzi di pane circondati da una carta scura. Li presi, li riposi nel mio cesto e lasciai la bottega. Mentre percorrevo le varie stradine, ombreggiate da alte querce, passai accanto all’alto edificio di pietra in cui Fabrizio stava studiando. Ripensai allora alla conversazione che avevamo avuto quella mattina : mi aveva dato altre indicazioni sulla festa di questa sera e consegnato i vestiti che avrei dovuto indossare. Fissai una finestra e mi chiesi se anche lui mi stesse pensando.
L’ idea di partecipare alla festa non mi entusiasmava per nulla : non ero mai stata una persona molto socievole ed intervenire ad un ricevimento in cui mi sarei sentita un’intrusa mi sembrava un’idea folle. Avevo i nervi a fior di pelle e la tachicardia al solo pensiero. Tuttavia non potevo mancare, non potevo deludere Fabrizio. E poi avrei trascorso la serata insieme a lui e ci saremmo sicuramente divertiti. Cercai di autoconvincermi e di sorridere, ma la sensazione che qualcosa sarebbe andato storto non mi abbandonò. Mai. Nemmeno quando sul far della sera, indossati i vestiti che mi erano stati consegnati, mi ammirai nel riflesso di un lago. Portavo una gonna lunga viola dal tessuto leopardato lunga fino al ginocchio e una camicetta viola, le mie braccia erano coperte da una giacchetta trasparente dello stesso colore. Il mio vestiario mi soddisfaceva molto, nonostante fosse diverso da quello che mettevo di solito. Quando tuttavia entrai nella sala adibita alle feste che venivano organizzate in quel villaggio, capii che i miei vestiti erano del tutto inappropriati. Tutte le ragazze lì presenti indossavano abiti corti e leggeri, molto eleganti. I loro capelli erano tagliati corti e arricciati, mentre la loro fronte era cinta da una fascia brillantinata da cui, in alcune, usciva una piuma di struzzo. Il loro sguardo si posò su di me : mi guardarono dalla testa ai piedi. Pregai non si accorgessero del rossore che doveva aver colorato le mie gote. Per fortuna arrivò Fabrizio a tirarmi fuori dall’imbarazzo. –Quella è mia cugina, si chiama Destiny. Siate gentili con lei.-
-Scusami tanto! Questi vestiti appartenevano a mia madre, ma a quanto pare non sono più in linea con la moda odierna. Questi americani! Importano nuove mode così velocemente. Ora le ragazze si fanno chiamare le  flappers girls , si sentono emancipate così!- si giustificò.
-Non preoccuparti- lo rassicurai.
-Ma sono sicuro che nessuno se ne sarà accorto!-
“Un corno” pensai.  Tutti mi fissavano e ne ero consapevole.
Mentre mi stava parlando,  sentimmo che qualcuno lo stava chiamando. Ci girammo di scatto entrambi in quella direzione e vedemmo una scintillante presenza. Una ragazza dai capelli biondi fluenti e ricci, dagli occhi circondati da un pesante ombretto nero e dalle labbra carnose e ricoperte da un rossetto fucsia acceso si avvicinò a noi. Indossava un abito nero di merletto molto semplice,  che aveva cucito al centro del petto un elegante cameo bianco. Portava al collo una lunga collana di perle che si abbinava alla sua carnagione chiara. Le sue gambe erano coperte da calze nere su cui erano ricamati dei graziosi fiori.
-Oh Queen! Questa è mia cugina Destiny!- mi presentò alla sua amica. Sorrisi falsamente, mentre l’umiliazione mi cuoceva tanto da farmi salire le lacrime agli occhi.
La ragazza mi ignorò completamente e si rivolse al mio amico rimproverandolo per essersi allontanato e ordinandogli di andarle a prendere un bicchiere di champagne.  Mi innervosì vederlo servire come un bravo cameriere quella ragazza arrogante. Mi chiesi se fossero fidanzati e quali fossero i rapporti tra di loro : osservai gli occhi gelidi di Queen e tremai al pensiero di doverle rivolgere la parola, capii quindi che solo da Fabrizio avrei potuto ricevere delle risposte. Mi feci spazio tra i tanti ragazzi intenti a scatenarsi nelle danze, a baciarsi o a parlare con voce languida, fino a raggiungere il mio amico. Lo vidi intento a prendere un bicchiere alto e luccicante e mi avvicinai.
-La tua ragazza chiede e tu obbedisci, no?-lo attaccai furiosa, guardandolo dritto negli occhi.
-Ma Queen non è la mia ragazza. O meglio non ancora!  E’ la ragazza più popolare della scuola e questa sera ha accettato di venire alla festa con me. Sono sicuro che facendo la mossa giusta diventerò presto il suo ragazzo. Augurami buona fortuna!-
“Credevo di essere la ragazza con cui eri venuto alla festa”sussurrai a mezza voce, mentre lui si stava allontanando.
Cercai intorno al tavolo del buffet un posto a sedere e trovato uno sgabello mi accomodai. Impressi sul mio volto un sorriso così che a quei ragazzi sembrasse che mi stessi divertendo e cercai di confondermi con la tappezzeria. E credo che alla fine vi riuscii davvero dato che nessuno mi rivolse la parola, né mi guardò più. Presi dal tavolo uno di quegli alti bicchieri di cristallo e osservai la mia immagine tra le bollicine dello champagne. Ero stata davvero sciocca a pensare che potesse andare diversamente : che fossi tra gli zingari o tra gli uomini la situazione non era diversa. Ero destinata ad essere asociale, abbandonata a me stessa e dovevo farmene una ragione. Seguendo questi pensieri così tristi era davvero difficile trattenere le lacrime e così per distrarmi mi misi ad osservare la festa. I ragazzi erano ormai completamente ubriachi e stringevano forti le loro ragazze che storcevano un po’ il naso all’odore di alcol che proveniva dalle loro bocche, ma abituatesi rapidamente li baciavano avidamente. Osservai che le feste degli uomini non erano così diverse dalle serate che si svolgevano tra zingari : alla fine entrambe finivano con un branco di persone brille che giacevano con delle donne. E la civiltà che gli uomini ostentavano era solo apparente! Il mio cervello smise di fare stupide osservazioni quando i miei occhi videro Fabrizio e Queen ballare insieme. Una lacrima mi scivolò lungo il viso. Decisi che era arrivato il momento di andare via, capii che non intendevo più restare lì ad osservare la felicità altrui. Ero pur sempre un essere umano e non potevo procurarmi dolore da sola. Mi alzai dalla sedia e mi avviai verso l’uscita, sgomitando tra le persone che trovavo sulla pista. Quando uscii fuori dalla porta e fui avvolta dall’oscurità della notte, provai un senso di sollievo come se fossi tornata a respirare dopo una prolungata apnea. Osservai la grande luna sopra di me e immaginai come sarebbe stato bello nascere luna, essere sempre calma e imperturbabile, non essere costretta a vivere.
-Destiny te ne stai andando?- mi chiese Fabrizio. Era sulla soglia e mi guardava preoccupato.
-Non c’è nulla per me lì dentro. -dissi stizzita.
-Ma perché ce l’hai con me? Cosa ho fatto? -
    -La colpa non è tua... è tutta mia. Sono stata io che ho sbagliato, che ho creduto che tu fossi diverso da quei ragazzi lì dentro che non hanno sentimenti né sensibilità. –
-Ma io sono diverso!- si difese lui.
-In ogni caso cerchi di somigliare a loro!-
Le mie parole furono interrotte dall’arrivo di Queen che, dopo aver raggiunto Fabrizio, lo invitò a tornare dentro. Lui si voltò e si immerse nell’assordante suono che proveniva dal giradischi e nelle luci accecanti, lasciandomi sola fuori.
(Vi consiglio di ascoltare questa canzone, mentre leggete il resto: https://www.youtube.com/watch?v=FOjdXSrtUxA )
 Give me love like never before
Cos lately I’ve been craving more
And It’s been a while but I still feel the same
Maybe I should let you go

Ero seduta vicino al fuoco insieme ad un gruppo di zingari, come ogni sera del resto. Questa notte tuttavia era diverso : il mio viso non aveva la solita espressione calma e serena di sempre. Piegatolo sulle mia braccia, accovacciata nell’oscurità singhiozzavo disperata. E non mi importava se li stavo disturbando, se stavo rendendo la loro cantilena ancora più triste. Con dei tamburi cantavano in coro l’amore tradito di un principe che dopo aver amato una gitana, era stato abbandonato perché lei bramava la sua libertà, cosa che lui non poteva darle.
 My my my my give me love
My my my my give me love
My my my my give me love
My my my my give me love

Più il suono diventava travolgente e più i gemiti mi scuotevano il mio petto. Gli avevo aperto il mio cuore, gli avevo raccontato il mio passato, mi ero fidata. Maledissi la mia ingenuità che mi aveva fatta innamorare del primo ragazzo che avevo incontrato. Ricordai tutti gesti dolci che mi aveva rivolto e mi chiesi se il ragazzo che avevo conosciuto fosse lo stesso di quella sera, se fosse davvero esistito. E in quell’istante desiderai di morire, maledissi donna Jasmine per avermi salvato e dunque condannata ad un mondo che non aveva un posto per me.
Che capitolo triste! Mi fa piacere però di aver trovato una collocazione storica al mio racconto: gli anni 20! Le flappers girls avevano uno stile che adoro! Spero vi sia piaciuto il capitolo e anche la canzone che vi ho proposto, che pur essendo recente ha un suono (soprattutto nella parte finale) che ho trovato particolarmente adatto ad una serata tra zingari. Comunque ho le foto degli abiti di Destiny e Queen:
 Queen http://www.polyvore.com/gatsby_dresses-black_lace_20s_inspired/thing?context_id=2545624&context_type=lookbook&id=83312932
Destiny: https://www.facebook.com/236038786472591/photos/pcb.630359780373821/630359713707161/?type=1&theater
Alla prossima e grazie di recensire!!
 

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Capitolo 7
*** World Of Changes ***


La zingara dalla pelle diafana

World of Changes

Sospirai e girai la pagina ingiallita del libro che stavo leggendo.                                                                                        
– Mi piacerebbe davvero tanto essere come Estella, non avere un cuore! Adesso non mi farebbe così male. Non proverei questa strana sensazione allo stomaco e non avrei costantemente questo groppo in gola!- esclamai abbattuta.
La notte precedente avevo pianto fino ad addormentarmi, ma a quanto pare non era stato  abbastanza! Al mio risveglio avevo a stento trattenuto nuove lacrime che questa volta non avrei più potuto fermare. Nonostante cercassi di distrarmi, non riuscivo a smettere di pensare a Fabrizio che disinteressandosi di me, si voltava e tornava da Queen. Il mio respiro aumentava insieme al battito cardiaco. Una grande rabbia mi sconvolgeva e mi faceva desiderare i piani più diabolici da attuare contro di lui. L’angoscia poi sostituiva il rancore e cominciavo a chiedermi cosa fosse successo dopo che avevo lasciato la festa. Si erano baciati? E se fossero andati a letto insieme? A quel punto cominciavo a prendermela con me stessa: -Mi sta bene! La prossima volta mi guarderò bene dall’innamorarmi del primo che mi sorrida!- .  Avrei fatto tutto perché quel dolore cessasse, perché riuscissi di nuovo ad adattarmi alla solitudine e all’oscurità, ma qualcosa era cambiato e sapevo che non sarei potuta tornare indietro. In questo modo avevo trascorso diverse ore insonni fin quando all’orizzonte non era sorto il sole avvolgendomi con la sua luce opaca e rassicurante. Avevo potuto dunque scorgere davanti a me i resti del falò che era stato realizzato la sera precedente dagli zingari.  Del fuoco possente che aveva illuminato le mie sofferenze ora non restava che qualche pezzo di legna nero come la pece da cui saliva del fumo grigio. Allora cominciai ad indugiare : dovevo recarmi nella radura in cui lo incontravo tutte le mattine? Lo avrei trovato? Avrei voluto incontrarlo? Alla fine dopo aver deciso che era inutile giungere fino a lì perché sicuramente non lo avrei incontrato, la curiosità aveva avuto la meglio su di me e ci ero andata. Come avevo immaginato, ai piedi dell’albero in cui solevamo sederci e chiacchierare per delle ore non c’era che un uccellino che cinguettava allegro. Osservando con più attenzione avevo però notato che, appoggiato su un letto di foglie secche, c’era un libro dalla copertina scura. Mi ero girata intorno, cercando la persona che aveva dimenticato lì quell’oggetto, ma non avevo visto nessuno : la radura sembrava essere deserta. Lo avevo quindi aperto curiosa e ne avevo letto il titolo scritto a grandi caratteri al centro del foglio ingiallito, Grandi Speranze di Charles Dickens. Nella pagina successiva era stato scritto un messaggio con dell’inchiostro scuro.
“Come what may le promesse sono promesse!”.                                                                        
Per decifrare quelle parole ci avevo messo un po’ e solo dopo qualche minuto mi ero ricordata della promessa che mi aveva fatto Fabrizio qualche settimana prima. Essendosi reso conto che non avevo una biblioteca fornita con cui poter  appagare il mio desiderio di leggere dei libri, si era offerto di prestarmi alcuni dei suoi. Fissai il libro diffidente e indecisa se portarlo con me o buttarlo a terra indignata. Non avrei mai voluto accettare nessun regalo da quello stupido ragazzo, ma avevo proprio bisogno di qualcosa che mi distraesse dal dolore che provavo e la lettura poteva sicuramente aiutarmi. E inoltre pensare che lui si fosse ricordato dell’impegno preso con me, che avesse dedicato qualche attimo della sua mattina alla ricerca di qualcosa destinato a me e che fosse venuto fin qui per portarmelo, mi fece sorridere. Così avevo deciso di portarlo via con me e tornata al campo avevo cercato un luogo adatto per immergermi nella lettura. Mi ero dunque seduta su una cassa di legno in un posto isolato, coperta dall’ombra di un alto pino e avevo seguito con molto trasporto le avventure del giovane Pip. E incredibilmente durante la lettura della prima parte del romanzo avevo dimenticato le mie sofferenze. Quando poi anche il protagonista aveva cominciato a struggersi d’amore, avevo finito per angosciarmi ancora di più. E avevo iniziato ad invidiare e ad ammirare la misteriosa Estella, una donna graziosa quanto malvagia di cui si era invaghito Pip. Lei lo aveva messo ben in guardia del fatto che non avrebbe mai potuto ricambiarlo dato che non aveva un cuore. Sembrava assurdo, ma era così : era stata allevata dalla signora Havisham  come una seduttrice che doveva far innamorare gli uomini di sé, senza mai restare compromessa da questo sentimento. Semplicemente ignorava cosa significasse sudare,tremare e sentire riempirsi di un’enorme gioia alla vista di un altro essere. Non capiva come fosse possibile che due estranei potessero legarsi a tal punto che l’assenza dell’uno avrebbe impedito all’altro di respirare. Era privata della gioia, ma anche libera dai tormenti che questo sentimento provoca. E in quel momento io non desideravo altro…
-Hey come stai?- Una voce mi richiamò dalla lettura. Prima di alzare la testa e guardare il mio interlocutore fui investita da un dolce profumo di viole. Due occhi scuri e magnetici erano fissi su di me : l’unica cosa che gli ostruivano la visuale del mio viso triste e smorto era un ciuffo di capelli corvini.
Fu in quel momento che mi ricordai di un dettaglio che prima avevo sottovalutato riguardo alla notte scorsa. Era accaduto qualcosa che , se non avessi avuto il cuore spezzato, mi avrebbe reso immensamente felice. Mentre stavo singhiozzando disperata, una zingara si era avvicinata a me e mi aveva offerto un fazzoletto. Si era accorta della mia sofferenza e voleva aiutarmi, si era finalmente distrutto il muro eretto tra me e gli zingari? Stavo per diventare una di loro? E quella ragazza era ora davanti a me e mi aveva chiesto come stessi. Mi alzai di scatto, senza far caso al libro che era caduto sull’erba bagnata.       –Benissimo- balbettai, arrossendo.
-Non sembra proprio… -affermò, guardando i miei occhi rossi. –Basta restare lì ad angustiarsi! Vieni come me, ti farò distrarre un po’!-
Mi afferrò per un braccio e mi trascinò con sé. I miei piedi ci misero pochi attimi ad abituarsi alla sua andatura, ma il mio cuore ci mise più tempo a rallentare i battiti. Stavo camminando accanto ad una perfetta sconosciuta che mi trattava con la naturalezza con cui si vizia una migliore amica. E non sapevo nemmeno il suo nome. La guardai meglio e riuscii a scoprire qualcosa in più su di lei : doveva avere più o meno la mia età nonostante avesse una statura molto più elevata.
-Mi chiamo Flora, comunque!-si presentò.
-Ed io Destiny!-
-Sì, lo so come ti chiami…-
La guardai in viso con uno sguardo confuso, ma lei mi impedì di chiederle ciò che davvero volevo capire : perché in tanti anni mi avesse rivolto la parola solo in quel momento. Fu infatti lei a pormi una domanda e ad interrompere il corso dei miei pensieri.
-E’ per un ragazzo che stai così, vero?-
Annuii seria.
-Chi è? Magari lo conosco…-disse curiosa.
Rivolsi il mio sguardo nel vuoto, mentre indugiavo su cosa fare : dovevo confidarmi con quella ragazza? Mi avrebbe aiutato? Ma è possibile dire a un altro quello che senti? Decisi comunque che ci avrei provato perché altrimenti avrei finito per logorarmi l’animo a furia di tenermi tutto dentro.
-E’ il figlio del padrone del campo…-
-Ah Fabrizio! Non lo definirei proprio il mio tipo, ma come si dice? I gusti son gusti! E allora che ti ha fatto?-
Gli raccontai nel modo più breve possibile quello che era successo giusto la sera prima e lei mi ascoltò con attenzione. Quando ebbi finito di parlare, mi guardò sorridendo della mia ingenuità.
 -Ma non devi preoccuparti … conosco Queen! E’ vero tutti i ragazzi le vanno dietro, ma di solito la cosa non dura più di una serata. Non so se mi spiego … -disse facendomi l’occhiolino. – E vedrai che presto riavrai il tuo Fabrizio tutto per te! Anzi hai detto che già questa mattina ti ha lasciato un libro? Si è già dimenticato di lei? Perché la cosa non ti tira su?-
La guardai furiosa e disgustata dalle sue parole e gridai : -E cosa ne è della fedeltà? Io non voglio avere al mio fianco un porco!!-
 -Ma voi non stavate insieme, eravate solo amici … -
-Lo so, ma la cosa mi infastidisce ugualmente! E poi come faccio a piacergli io e allo stesso tempo lei? In fondo siamo il giorno e la notte! –
-A questo si può rimediare- disse aggiustandomi i capelli e sbottonandomi la camicia che indossavo ancora dalla sera precedente.
-No, io non ho intenzione di cambiare! Io sono questa : che vi piaccia o no! Non cambierò per lui … per nessuno! Perché quando lui se ne sarà andato, io resterò sola e non potrò più riavere indietro me stessa.-
Lei restò per qualche secondo con lo sguardo fisso nel vuoto a riflettere sulle mie parole. Io intanto gridai che non lo avrei mai più visto.
-Se è quello che vuoi, bene! Ma se la sua presenza ,come mi hai detto, era l’unica cosa a renderti felice, dovresti pensare alla possibilità di chiarirti con lui. Magari la cosa è andata diversamente da quel che credi! Sai hai un mondo di possibilità davanti a te, un milioni di modi per essere felice e non devi negartene nessuno.-
Ricordai di aver già sentito quelle parole, ma non riuscivo proprio a rammendarmi dove. Solo quando lei cominciò a cantarle battendo a ritmo la mano sulla gamba, mi ricordai che era il testo di una canzone. L’avevo già ascoltata diverse volte, ma non ne avevo mai capito il vero significato. In quel momento però non distratta dalle risate degli zingari o dal forte odore di alcool, mi fece riflettere.
You've got a face for a smile, you know
A shame you waste it
When you're breaking me slowly but I've
Got a world of chances, for you
I've got a world of chances, for you
Cullata da quel rilassante suono ripetitivo e lento, cominciai a pensare alla possibilità di perdonare Fabrizio. Riflettei sul fatto che tutti in fondo meritiamo una seconda possibilità e che in fondo non avrei sbagliato a mettere da parte l’orgoglio per una volta.
-Gli darò una seconda possibilità. Se lui verrà a chiedermi scusa, le accetterò! Magari non subito, ma le accetterò.-
-E’ già qualcosa … -disse ridendo fragorosamente.
-Se verrà…-
-Verrà, verrà.- disse sicura guardando sorridente di fronte a lei. Mi voltai curiosa nella direzione in cui aveva rivolto la sua attenzione e vidi Fabrizio. Appena si accorse che lo stavo guardando, girò dall’altro lato il viso rosso dalla vergogna e se ne andò ignorandomi.

Scusate per il ritardo. Ma a causa dello studio non riesco che a scrivere qualche riga e ci metto un secolo a scrivere un capitolo. Spero comunque che vi piaccia.  P.s. Come What May è una canzone della colonna sonora del Moulin Rouge (film che adoro) e vuol dire "Comunque vada"

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Capitolo 8
*** Uno spiacevole inconveniente ***


La zingara dalla pelle diafana

Uno spiacevole inconveniente

Ero stesa a terra, coperta appena da una vecchia e logora trapunta. Nonostante avessi chiuso le palpebre e mi sentissi esausta, non facevo altro che girarmi e rigirarmi facendo cadere quello straccio che doveva ripararmi dal freddo della notte. Le immagini di quello che era accaduto in quel giorno, così triste e felice allo stesso tempo, mi occupavano la testa e mi costringevano a restare sveglia a pensare. Rividi davanti agli occhi Fabrizio che evitava il mio sguardo con le guance rosse. Era passata una sola giornata dall’ultima volta che lo avevo visto, eppure avevo già dimenticato il suo viso … come se tutti i giorni che avevamo trascorso insieme fossero stati solo un sogno dal quale mi ero svegliata troppo presto. Per questo osservare – anche se da lontano – i suoi occhi scuri e la barba disordinata che gli dava un aspetto buffo fu per me meraviglioso. Cominciai a chiedermi cosa ci facesse lì, se mi stesse o meno cercando. Sarebbe tornato? Lo avrei rivisto? Lo avrei perdonato?
Aprii gli occhi e richiusi subito le palpebre. In questo modo l’ immagine di Fabrizio sparì.
 
Ripensai al rosso del tramonto, al meraviglioso crepuscolo a cui avevo assistito insieme a Flora. Mentre io mi ero fermata ad osservare il cielo che si era colorato di tante meravigliose sfumature, lei mi aveva superato e aveva strappato dal terreno una pianta selvatica. Quando le avevo chiesto cosa fosse, mi aveva spiegato che era la camomilla e che dopo averla essiccata avrebbe potuto preparare un infuso che mi avrebbe calmato i nervi. Mi aveva inoltre fatto capire che lei aveva studiato i poteri curativi delle erbe e che adesso era capace di preparare tisane e pozioni che non servivano solo ai membri del campo, ma che venivano anche venduti all’erboristeria del paese.
-E’ una cosa davvero affascinante! Davvero utile! Come avrei voluto studiare questo anziché imparare a leggere le mani! Avrei evitato diverse offese e molti problemi!- avevo affermato piena di invidia.
Lei era scoppiata in una fragorosa risata e aveva asserito che era vero che “chi aveva il pane, non aveva i denti.” Mi aveva rivelato che il ruolo di chiromante era quello a cui avevano aspirato tutte le ragazze del campo e quanto le aveva infastidito che quell’incarico fosse andato a me, che non ero nemmeno una zingara. Era da questo che nasceva la loro antipatia nei miei confronti, era per questa ragione che non mi avevano parlato per anni! Mi aveva descritto quanto fosse importante il mio ruolo all’interno di una comunità di zingari, di quanto fosse difficile e duro conoscere il futuro e il destino delle persone. – Potresti salvare delle vite e sarai spesso costretta a vederne altre terminare senza che tu possa fare nulla. Non è uan sciocchezza! E’ come se tu avessi nelle tue mani le sorti di tutti noi. Promettimi che non parlerai mai più con leggerezza della tua arte.-
Glielo avevo giurato e le avevo chiesto cosa l’avesse persuasa ad avvicinarsi a me nonostante l’antipatia che provava.
-Ti ho visto piangere disperata e mi hai fatto pena … ho capito che portarti rancore per qualcosa che non avevi deciso tu, era stupido! Quella situazione era assurda e così le ho messo fine. E ne sono felice! Sei molto più simpatica ed interessante di quanto pensassi.-mi aveva detto mettendo la sua mano sulla mia.
 
Sorrisi nel buio della stanza e ricordai quando mi aveva portato dalle sue amiche e le aveva parlato con trasporto ed energia. Le aveva convinte che ero una brava ragazza e che non meritavo affatto quello che mi stavano facendo e che dovevano darmi una possibilità. Nonostante alcune fossero reticenti all’inizio, alla fine tutte si erano lasciate dissuadere e mi avevano invitato a sedere con loro. Avevo a stento trattenuto le lacrime per la felicità di appartenere finalmente ad un gruppo. Non avevo parlato molto e mi ero limitata ad ascoltare i loro discorsi, ma per me era già abbastanza. Anche se qualcuna di loro mi guardava ancora con diffidenza sapevo che da quel giorno in poi tutto sarebbe andato meglio, che non sarei più stata sola.
Cullata da questo pensiero, mi addormentai.
 
Il giorno successivo accompagnai Flora in paese. La ragazza aveva infatti preparato quella notte una serie di filtri che doveva consegnare alla farmacia perché fossero venduti. Entrate nel negozio, lei mi lasciò da sola nel locale in mezzo ad un gruppo di persone che mi fissavano e distoglievano lo sguardo appena li coglievo in fallo. L’imbarazzo durò solo per pochi minuti ma fu abbastanza da mettermi di cattivo umore. Per fortuna dopo che la mia amica tornò con il suo sorriso e la seguii fuori dal negozio, risentii il calore del sole e il precedente inconveniente sembrò dimenticato. Camminammo tra i vicoli stretti e le mura fatte di pietre sporgenti. Osservammo le vetrine di diversi negozietti, lodando una volta il tessuto di una mantella e un’altra volta la bellezza di una bambola di porcellana. La nostra passeggiata era allietata dal chiacchiericcio delle paesane e dalle risate dei bambini che correvano tra le nostre gambe. Distratte dalla nostra conversazione, ci ritrovammo in aperta campagna in un luogo che non avevo mai visto. Mi spaventava un po’ l’idea di camminare in un posto così isolato per la prima volta, ma vedendo la sicurezza con cui Flora procedeva mi tranquillizzai. Mentre lei mi raccontava di una strana esperienza che aveva vissuto, io mi soffermai ad osservare le foglie delle enormi querce che ci riparavano dal sole. Quando rivolsi di nuovo lo sguardo di fronte a me, ammirai una grande casa sulla destra. Le mura erano state affrescate di verde e l’aspetto elegante ma modesto dell’abitazione suggeriva che vi dimorassero delle persone di una discreta condizione sociale.
La mia amica, che si era accorta che non la stavo più ascoltando, mi spiegò che quella casa apparteneva ai genitori di Queen. Suo padre era un dottore molto stimato e sua madre una distinta e raffinata casalinga. L’unica pecora nera di quella famiglia esemplare era il nonno della ragazza che, nonostante vivesse in un ambiente così lussuoso, era ostinato a voler continuare ad esercitare il suo mestiere di falegname. Questa questione era stata al centro di numerose critiche da parte delle compaesane e aveva fatto storcere il naso alla figlia più di una volta.
Arrossii dall’imbarazzo : mai e poi mai avrei voluto imbattermi in lei.
-Tranquilla, dubito che tu possa incontrarla e soprattutto che lei possa riconoscerti!-mi assicurò.
Annuii ma accelerai il passo perché comunque passare di fronte alla sua casa mi metteva a disagio. Quando quindi mi trovai a pochi passi da questa, tenni lo sguardo fisso di fronte a me ed i miei piedi assunsero un’andatura così veloce che si sarebbe benissimo potuto dire che stessi correndo. La mia amica mi strinse forte il braccio e mi costrinse a fermarmi e a guardare in una determinata direzione. Osservai che c’era nel grande giardino verde una casetta di legno sulla cui soglia un ragazzo stava tagliando uno spesso pezzo di legno. Al suo fianco un uomo anziano gli dava delle indicazioni. Queen con un vassoio su cui erano appoggiati due bicchieri di limonata si stava avvicinando a loro.
Guardai meglio il ragazzo e riconobbi il suo sorriso. Impallidii e mi vennero i brividi, mentre di fronte ai miei occhi riapparvero i ricordi di un sogno che avevo fatto quella notte.             
 
Ero in una stazione abbandonata. Davanti a me c’era una figura di spalle che correva veloce sui binari. Improvvisamente si era voltata e mi aveva incitato a sbrigarmi. -Aspettami Fabrizio, arrivo.- avevo affermato.
Ci eravamo fermati ad un tratto e lui mi aveva guardato fisso negli occhi annunciandomi una notizia straordinaria di cui non riuscivo a comprendere le parole. Avevo capito che fosse bella perché il suo viso sprizzava energia e gioia. Io allora lo avevo abbracciato forte e spinta da un coraggio che nemmeno credevo di avere, lo avevo baciato.
 
Era buffo che quel sogno mi fosse venuto in mente proprio in quel momento … o meglio non era per niente buffo.
-Cavolo! Cavolo! L’ha portato a casa … e lo sta facendo lavorare nel laboratorio di suo nonno. Che sia una cosa seria?-commentò la mia amica.
-Ma tu non avevi detto che Queen non è il tipo da cosa seria!?!-le chiesi sorpresa.
-A quanto pare mi sbagliavo … -
Fabrizio si accorse della nostra presenza ed alzò lo sguardo. Completamente rossa in viso, mi apprestai a fuggire via. Prima però lo guardai in cerca di una spiegazione. Volevo sapere che ci facesse lì, se fossero fidanzati, se lui l’amasse e se fosse ricambiato. Lui evitò i miei occhi pieni di dubbi e di tristezza e continuò a tagliare tranquillamente. Intravidi lo sguardo dispiaciuto della sua ragazza prima di correre via da quella situazione imbarazzante.
Flora mi venne dietro, tentando di raggiungermi.
-Ci sarà una spiegazione, credimi.- mi gridò.
-Sì, è molto semplice : ho perso il treno, mentre Queen ha ottenuto un posto in prima classe! E’ finita per me, finita. Me lo toglierò dalla testa … anzi l’ho già fatto. Vedi – dissi puntandomi le dita sul mio sorriso finto. – sto già benissimo!-
-Non riesco ancora a credere che quella ragazza possa aver messo la testa a posto … e con un ragazzo che non è affatto il suo tipo!- commentò incredula.
-Spero solo che non lo tradisca, non voglio che lui soffra … come sto soffrendo io adesso!-dissi sedendomi su un’enorme masso che vidi a pochi passi da me. Si inginocchiò accanto a me e mi strinse la mano tremante.
-Forse è il caso che tu non mi accompagni più per un po’. Anzi meglio che tu non venga più in città.-
-Non mi muoverò mai più dal campo … non voglio nemmeno rischiare di incrociare la coppietta!-
 
Mantenni fede alla promessa e non uscii dal campo nemmeno un giorno. Le mie uniche occupazioni nelle seguenti settimane consistettero nel conquistarmi la fiducia e l’affetto delle mie nuove amiche e rendermi utile all’interno della comunità. Nonostante fossi circondata da un mucchio di persone che erano finalmente gentili con me, non potevo fare a meno di sentirmi sola. Un grande vuoto mi riempiva lo stomaco e non bastava ridere forte per scacciarlo via. Stavo cercando di conviverci.
 Un mese intero mi ci volle perché la fitta si alleviasse. E per ironia della sorte proprio quando avevo cominciato a credere che avrei potuto vivere benissimo senza di lui, Fabrizio tornò con forza a far parte della mia esistenza.
 
Sì sono viva!! Scusate tanto il ritardo … ma ho dovuto affrontare lo studio per la maturità! Ma adesso sono tornata da vincitrice e sono pronta a riaggiornare questa storia. Spero che vi sia piaciuto questo capitolo e vi prometto che ne arriverà presto un altro.
  
 
         
     

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Capitolo 9
*** Somewhere only we know ***


La zingara dalla pelle diafana

Somewhere only we know


Quel giorno si era prospettato normale al principio. Avevo aperto gli occhi e visto in modo indistinto la disordinata chioma nero corvino della zingara che dormiva a qualche passo da me. Come ogni mattina avevo alzato il busto e di fronte a me era apparsa l’immagine della stanza in cui risiedevo fiocamente illuminata. Senza fare troppo rumore avevo camminato fino alla soglia e, quando ero uscita all’aperto avevo sentito un brivido lungo la schiena a causa del contatto dei miei piedi nudi con l’erba bagnata. Strofinandomi le braccia nel tentativo di riscaldare mi ero inginocchiata a terra in attesa che il Sole sorgesse. Non avevo infatti perso quella abitudine, ma avevo deciso che fosse meglio non spingermi fino alla radura per ammirare quello spettacolo. Temendo un incontro imbarazzante con Fabrizio, non ci ero più andata. Per scacciare via dalla mia testa i ricordi del nostro primo incontro, che spesso si imponevano insistenti, mi misi ad osservare il cielo coperto da nuvole minacciose che sembravano avere la consistenza della panna. Nonostante fosse ormai primavera inoltrata, il Sole riscaldava le nostre vite ormai fin troppo raramente spazzato via da quel vento freddo che ci faceva rabbrividire di infelicità. Eppure io, come le foglie delle querce che mi circondavano, avevo bisogno di assorbire la rassicurante luce solare. Portatrice di gioia, di speranza, di amore. Un piccolo spiraglio di luce sbucò dalle nuvole e illuminò il paesaggio grigio.
-L’alba è molto più bella quando il cielo è limpido e terso.-disse Flora sedendosi accanto a me.
Come ogni altra mattina si era alzata presto per poter raccogliere le erbe, che le necessitavano per i suoi infusi. Guardai distrattamente la sua gonna sui cui queste erano appoggiate l’una sull’altra. Ci fu qualcosa di insolito però in quel mucchio che mi spinse a riguardare in quella direzione : un foglio bianco sbucava fuori.
-E quella lettera?- le chiesi.
-Non saprei dirti di chi sia. L’ho trovata nel luogo in cui vado di solito e l’ho raccolta perché c’era scritto il mio nome sopra. Del mittente però non c’è traccia.-
-E l’hai già letta?-
-No … disse lei- arrossendo un po’.
-Leggila adesso! Magari è di un ammiratore segreto!-
Al suo ennesimo rifiuto mi offrii di leggerla io. A questa mia richiesta lei sbiancò e scosse il capo. Poi notando che i miei occhi non erano più curiosi ma cominciavano a diventare sospettosi, decise di leggerla lei. Aprì la busta ed estrasse rapidamente il foglio. La sua fronte corrugata dalla preoccupazione si rilassò.
-Deve essere uno scherzo. E’ una specie di indovinello.-
Mi diede in mano quel pezzettino di carta e lessi quelle poche righe scritte in una calligrafia che non mi era affatto nuova. “Lì da dove partono i ricordi potrai trovarne altri da aggiungere al cesto”.
-Ci hai capito qualcosa?-mi chiese.
Scossi il capo. Alcune delle nostre compagne cominciarono ad uscire e a dedicarsi alle proprie mansioni ed io nascosi quell’insignificante pezzo di carta nella mia gonna. Non ci pensai più per tutta la mattina, finché non accadde qualcosa che mi costrinse a riprendere la lettera con le mani tremanti. Mentre mettevo ordine tra le mie cose, per caso cadde l’agendina che Fabrizio mi aveva regalato. Nel cadere sul pavimento si era aperta ed io distrattamente l’avevo guardata. Dopo aver sospirato l’avevo richiusa e messa al suo posto sotto il cuscino. Un brivido mi aveva percorso la schiena : la scrittura che avevo intravisto in quelle pagine sembrava la stessa della lettera. Presi i due fogli e li misi l’uno accanto all’altro. Ero agitata come se stessi facendo una grande scoperta archeologica che mi avrebbe procurato milioni di euro. Forse allora l’affetto di Fabrizio valeva per me persino più di milioni di euro. Sudavo e ridevo come una folle, mentre cercavo di capire cosa volesse dirmi con quel bigliettino.
Lì da dove partone i ricordi … la fonte? No, non era lì che ci eravamo conosciuti. Il nostro primo incontro era avvenuto alle bancarelle durante il giorno di apertura del campo. Le bancarelle però erano state smontate e adesso non ce ne era più traccia. Rilessi il testo e mi soffermai sulla parola “cesto”: perché aveva usato quella al posto di “baule”, che sarebbe stata molto più giusta?
Capii all’istante cosa intendeva. I cesti, che non erano stati venduti in quella giornata, erano stati chiusi in una casetta di legno all’interno del campo. Senza pensarci due volte mi precipitai lì e cominciai a guardare tra i cesti vecchi ammucchiati. Dopo diversi minuti non ero riuscita a trovare nulla.                           -Dove ha potuto nasconderlo?-mi chiedevo, scrutando ogni angolo di quello sgabuzzino. Tra le lastre di legno che componevano quell’edificio vidi un fogliettino sporco di terra. Lo afferrai e lo lessi rapidamente : “Se questa fonte potessi purificarmi dagli errori che ho fatto, giuro che mi ci immergerei.” Questo indizio non era difficile da decifrare : lo avrei scuramente trovato vicino alla fonte nel bosco.
Correvo rapidamente nella foresta malgrado il vento che mi soffiava contro e che mi spingeva all’indietro la mia chioma chiara. Mentre la mia gonna danzava nella brezza, mi sembrava di volare, di librarmi nell’aria come gli uccelli. La mia testa era vuota : non riuscivo a pensare a nulla, proprio come non ero capace di smettere di ridere e tremare. Sicuramente avrei dovuto chiedermi perché quei bigliettini fossero indirizzati alla mia amica e non a me, ma ero fin troppo presa da quel gioco puerile per potermi soffermare su stupidi dubbi. Arrivata alla sorgente trovai sotto un sasso un altro foglio. “This could be the end of everything, so why don't we go somewhere only we know?” Mi soffermai qualche secondo febbricitante. “Perché non andiamo in un luogo che solo noi conosciamo?” diceva.                                                                                                                                       
 -La radura da dove osservavamo il sorgere del sole! Ma certo! Lui deve essere lì. Mi starà aspettando lì!-


Giungere lì e non trovare nessuno fu davvero triste. Mi guardai intorno alla ricerca di un indizio o della sua presenza. Non c’era nulla di tutto questo. Allora tutti i dubbi che avevo tralasciato per distrazione mi assalirono e mi colpirono come un milione di spade. Tante lame che mi perforano la pelle e scendevano sempre più in profondità.                                             
Forse non li aveva scritti lui, forse non erano destinati a me.
- O magari è uno scherzo!- esclamai gesticolando come se avessi all’improvviso un mistero inesplicabile. – Sì sicuramente Fabrizio avrà architettato questo scherzo per potermi prendere in giro insieme alla sua ragazza.-
-Ed io ci sono cascata, come una sciocca!!-gridai furiosa e mi colpii la gamba con il pugno.
-Conclusione errata, mio caro Watson.-
Avevo udito una voce dal fondo della foresta, proprio dietro di me. Mi voltai e vidi Fabrizio che veniva verso di me. Sbiancai e rabbrividii di fronte a quella visione. Era come se una fantasia che mi era sembrata irrealizzabile fino a qualche istante prima avesse preso forma di fronte ai miei occhi. Sbattei le palpebre : sì era ancora lì.                                     
Era lui ed era venuto solo per me.    


 Spero che vi sia piaciuta questa caccia al tesoro che è il risultato del fatto che in questi giorno ho giocato a Sherlock Holmes. Nel prossimo capitolo Fabrizio darà la sua versione dei fatti… ho pensato di dividere questo e il prossimo capitolo (che inizialmente dovevano essere un solo capitolo) in due per aumentare la suspance. Non odiatemi Xd Spero vi sia piaciuto e ci vediamo alla prossima ;)

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Capitolo 10
*** Un cielo sereno ***


La zingara dalla pelle diafana

Un cielo sereno

Camminavo per la foresta con gli occhi coperti dalle sue mani. Il cinguettio degli uccelli che ascoltavo in sottofondo veniva talvolta interrotto dal rumore di qualche ramo secco che per sbaglio calpestavo. Il verso delle anatre, che nuotavano nel laghetto in cui lo avevo incontrato, diveniva sempre più impercettibile al mio orecchio.
-Siamo arrivati?-chiesi impaziente.
-Non ancora … adesso vai dritto e poi gira a destra.-
-Ma quando arriveremo lì mi dovrai una spiegazione!-esclamai con tono di rimprovero.
-Quello che vuoi … ma adesso cammina.-
Era strano, ma lui sembrava essere persino più impaziente di me. Quando mi aveva infatti comunicato di avere qualcosa da mostrarmi, i suoi occhi si erano illuminati di una strana luce. Ed il suo entusiasmo si era trasmesso anche a me. Il cuore mi batteva all’impazzata mentre mi muovevo guidato dalla sua voce. E a giudicare dalle sue mani un po’ sudate che mi sfioravano le palpebre chiuso, anche lui doveva essere piuttosto agitato.
-Voilà!-esclamò permettendomi davvero di vedere ciò che era davanti a me. Mi ritrovai a pochi passi da una casetta in legno non troppo grande che doveva essere stata usata come ripostiglio da qualcuno. Il suo aspetto malandato e antico mi lasciò immaginare che non venisse usato da molto tempo.
Rivolsi il mio sguardo interrogativo a Fabrizio. Lui mi diede una chiave e mi esortò ad aprire la porta di quel ripostiglio. Un po’ interdetta feci scattare la serratura ed entrai in quel locale. Era decisamente più grande di quanto mi aspettassi ed una finestra di fronte all’entrata lasciava entrare la luce. Sotto la finestra c’era una grande scrivania su cui vi erano appoggiati un foglio bianco ed una penna stilografico. Girai su me stessa e guardai due grandi scaffali di mogano, uno pieno di libri dai diversi colori e dalle differenti rilegature, nell’altro invece c’erano diversi piani vuoti. Dovevo ammettere che era una libreria davvero carina, ma non capivo cosa centrasse con me.
-Di chi è questo studio?-chiesi.
-E’ tuo.-
-Mio?-
-Esatto … è proprio tuo! Qui potrai leggere e scrivere in tranquillità. E’ come se fosse la tua camera, una stanza che non devi dividere con nessun’altro. Anche se è un po’ distante dal campo … -
Nonostante la spiegazione non ero riuscita a capire ugualmente nulla. Lo guardai stranita e lui ricominciò a spiegare con maggiore chiarezza :
-So di aver sbagliato la sera della festa. Ho tante cose di cui scusarmi, lo so. E speravo che farti questo regalo potesse aiutarti a perdonarmi. So anche che non sarà abbastanza e quindi se mi permetterai di spiegarti, ti racconterò ogni cosa. –
Annuii e mi sedetti sulla sedia accanto allo scrittoio, lui si sedette a terra con le gambe incrociate e attese un mio cenno per poter cominciare.
 -Prima di tutto ho sbagliato a darti il vestito di mia mamma : credevo che andasse bene, ma a quanto pare questo non ha fatto altro che isolarti ancora di più dagli altri. Non ne capisco molto di moda…
Non volevo prenderti in giro, assolutamente! Volevo solo che tu socializzassi con i miei amici, credevo che tu potessi trovarti bene con loro, nel loro mondo. E invece ho sbagliato alla grande! Ho notato che hai fatto amicizia con Flora, un’altra zingara del tuo campo … a quanto pare il tuo posto è proprio quello! Tu sei una zingara e non potrai mai far parte dello stupido e platinato mondo degli uomini “per bene”! Sei una ragazza libera, dolce, anticonformista … non puoi trovarti bene con persone che hanno un orizzonte chiuso e che si crogiolano nell’anonimato e nelle false mode. E a dire la verità credo che nemmeno io potrò mai farne parte! Mi sono stancato in pochi giorni di associare il mio nome a quello di un branco     di ubriaconi che sbandierano al vento parole difficili con cui vogliono mostrare una loro presunta intelligenza. Privi di qualsiasi sensibilità e rispetto, ma pieni di amore per loro stessi. Ecco chi ti ho fatto conoscere : un branco di superbi! Non avevo capito la vera ragione per cui mi ero avvicinato a te : avevo visto nella tua persona la stessa spontaneità e franchezza che mi contraddistingueva e che non mi aveva mai permesso di far amicizia con gli altri. Io e te siamo speciali e possiamo andare d’accordo solo l’uno con l’altro!-
Mentre lui parlava, il mio cuore batteva sempre più forte. La disperazione che mi aveva afflitto in questi giorni e il vuoto che aveva squarciato il mio petto sembravano sparire. Le cicatrici si stavano rimarginando e nulla avrebbe più potuto turbare il sorriso che era spuntato ora sul mio viso.
-Tu sei la mia amica più cara! Ed io non volevo che questo mio errore ci facesse allontanare! Per questo ho pensato ad una sorpresa da farti ed ho pensato a questo! Se ben ricordi durante il nostro primo incontro, ti eri dispiaciuta di non avere una libreria tutta tua ed io te l’ho regalata!-
-Come hai fatto a trovare tanti libri?-chiesi curiosa.-Spero che tu non abbia dovuto comprarli … -
Mi chiesi preoccupata quanto gli sarebbe costata l’intera spesa.
-Stai pur tranquilla. La biblioteca e la scrivania le ho realizzati io seguendo i consigli del nonno di Queen… Per i libri ne ho presi una parte dalla mia camera, ma dato che non erano abbastanza… Queen me ne ha donati moltissimi e ne ha anche chiesti alle sue amiche.-
Ecco rispuntato il suo nome. La buona samaritana che lo aveva aiutato a realizzare quella sorpresa! All’improvviso odiavo quell’enorme stanzino, odiavo Fabrizio, odiavo me stessa. Come avevo potuto credere che tutto sarebbe tornato alla normalità, lui era ormai legato a lei e a lei soltanto.
-E’ stato molto gentile da parte sua … - affermai con voce ostile.
-Lo penso anche io. Ha detto che si sentiva in colpa per il nostro litigio e che voleva aiutarmi a farci riappacificare. Era anche intenzionata a parlare con te se le mie spiegazioni non fossero state sufficienti. Ricordi quella sera quando hai lasciato la festa? Beh le ho rovinato la sera … ero così dispiaciuto di averti allontanato che le ho parlato tutto il tempo della nostra amicizia, di quanto ci tenessi, di come tu fossi la cosa migliore che mi fosse mai capitata. E lei ha così apprezzato il mio racconto! Ha detto che “amicizie del genere non fioriscono tutti i giorni” e che avrebbe fatto di tutto perché tutto tornasse come prima. Anzi ha detto che le piacerebbe tanto conoscerti, sempre che tu non sia in disaccordo … -
Ero molto lusingata dalle sue parole, ma la fitta della gelosia non voleva proprio abbandonarmi. Non facevo che chiedermi se loro fossero fidanzati e non riuscivo a non tremare di fronte a questa tremenda possibilità. Mi chiese se mi piacesse la sua sorpresa ed io annuii pensierosa.
-Mi aspettavo un po’ più di entusiasmo, su!- mi rimproverò scherzosamente.
-Hai ragione … è bellissimo! Nessuno mi aveva mai fatto un regalo così bello e si era impegnato tanto per prepararmelo!-lo ringraziai.
Un abbraccio accompagnò i miei ringraziamenti e lui sostenne che “è in questo modo che si ripaga una persona.
-Allora pace fatta?-
Ci mettemmo d’accordo che d’ora in poi ci saremmo incontrati non più alla fonte ma in questo luogo. Mi chiese poi se avessi finito di leggere “Grandi speranze” e data la mia risposta affermativa, cominciammo a discuterne. Sostenni che nel complesso il libro mi era piaciuto, ma avevo trovato il protagonista Pip troppo arrogante in alcuni punti e il finale mi aveva deluso.
-Beh Pip non è arrogante, se riesci ben a capirlo. Lui è sospeso tra due mondi, quello basso e semplice in cui vive e quello più alto e raffinato a cui lo ha introdotto Estella. Vorrebbe vivere nel secondo, ma è costretto ad accontentarsi del primo. E proprio il suo non volersi accontentare lo porta a disprezzare la sua condizione e gli altri che si trovano nella stessa. Ma alla fine anche lui si rende conto che se si fosse accorto di quello che già aveva, senza desiderare cose troppo elevate, sarebbe stato molto più felice. Una minore intensità di aspirazioni senza dubbio permette una maggiore coincidenza con la propria vita. Il libro non finisce con un lieto fine : hai ragione! Alla fine Estella sposa un altro uomo che le promette una vita più agiata, ma infelice. E solo alla fine comprende i suoi errori, ma in fin dei conti cosa ci si poteva aspettare ad lei? Era stata istruita a non amare, a non godere della luce del sole e anche se per qualche tempo si era lasciata riscaldare dai suoi raggi, non avrebbe mai potuto mai goderne appieno. Ci ha rinunciato per continuare a vivere nelle tenebre, come la Signorina Havisham le aveva insegnato, ed è stata per questo punita con un’esistenza infelice. Certo un finale non troppo fiabesco, ma molto reale.-
Fui colpita dal suo modo di parlare, dalla sua intelligenza e dalla sua sensibilità che gli permetteva di vedere cose che io invece avevo tralasciato. Insieme all’affetto stavano nascendo anche la stima ed il rispetto per lui.
Alla fine della nostra discussione, lui si congedò dicendo di volermi lasciare un po’ da sola nella mia nuova stanza. Guardai il cielo attraverso la finestra : dovevano essere le cinque o le sei del pomeriggio. Il cielo si era schiarito, solo qualche rara nuvola copriva il Sole che stava per calare. Anche io mi sentivo come il cielo : ero stata rasserenata dalle parole di Fabrizio, ma la domanda che non avevo avuto il coraggio di esprimere mi spaventava ancora.
“Cosa c’è tra te e Queen?”
Osservai i vari libri posti sugli scaffali di legno, mentre mi ripetevo che ero davvero fortunata ad “avere un amico come lui”, “che se non mi avesse voluto bene non avrebbe mai fatto tutto questo per me”. Tuttavia quelle consolazioni non erano abbastanza per me. Qualcuno bussò alla porta e mi voltai, sicura di rivedere Fabrizio sulla soglia. La porta si aprì e davanti a me apparve Queen.
“Parli del diavolo e spuntano le corna”-pensai.
La osservai meglio. La prima volta che l’avevo vista si era presentata vestita come un’elegante e vanitosa flappy girl, ma adesso che era in una tenuta decisamente più sportiva non sembrava più altera e antipatica. Il suo aspetto era decisamente curato, come si addiceva ad una ragazza di condizione agiata quale era, ma più semplice.
-Posso entrare?-mi chiese.
Annuii e lei mi rivolse un sorriso imbarazzato mentre entrava e si sedeva sulla sedia che le avevo mostrato.
Si guardava intorno cercando le parole giuste ed io appoggiata al muro davanti a lei battevo il piede a tempo in attesa che cominciasse.
-Volevo scusarmi … - iniziò lei con voce incerta.
-Non ce ne è bisogno … - risposi io con tono ostile.
Ero infastidita e triste, volevo solo restare sola. Desideravo che se ne andasse e mi lasciasse in pace.
-Cosa c’è tra te e Fabrizio?-
La mia domanda ruppe il silenzio confuso. Mi sorpresi della mia audacia e delle mie parole : volevo conoscere la risposta a quella domanda più di qualsiasi cosa, ma non credevo che sarei riuscita a porla. Figuriamoci a lei. E invece …
-Non siamo fidanzati se è quello che ti stai chiedendo. Quella sera ero uscita con lui solo perché volevo fare un dispetto al mio ex. Credo che lui mi avesse invitato con la speranza che accettassi dato che ero una delle ragazze più popolari. Quando gli ho detto poi che ci sarei andata lui sarà stato così felice, ma abbiamo presto scoperto di non avere nulla in comune. Siamo rimasti amici, ma non potremo mai essere di più. E poi grazie a lui sono tornata con il mio fidanzato! Ha detto che vedermi con un’altra persona lo ha  fatto capire che mi amava davvero … -
Sorrisi piena di gratitudine : ora la mia felicità era completa.
Le strinsi la mano e solo allora notai come fosse simpatica e gentile. Forse non sarebbe stato così disgustoso essere sua amica. Da quel che vidi anche lei pensava lo stesso.
-Sei innamorata di lui?-mi chiese.
-Non ne sono sicura … sto ancora cercando di capire se la nostra è una meravigliosa amicizia o possa diventare qualcosa in più.-le spiegai.
-Beh … comunque vada, sei molto fortunata! Fabrizio è davvero un ragazzo speciale, ce ne sono pochi come lui … e ti vuole molto bene!-
-Ora lo so-
Pensai a quanto fossi stata stupida, ma d’ora in poi non avrei più dubitato del suo affetto. Guardai alla finestra e anche il cielo si era rasserenato.


Spero vi piaccia il nuovo capitolo! Per quanto riguarda il libro di cui parla Fabrizio…forse è il caso che voi ne leggiate la trama per poter capire. E tra l’altro a pensarci tra Fabrizio e Pip c’è un’analogia : entrambi hanno voluto cambiare il loro mondo, sperando in qualcosa di meglio e così hanno ferito i loro cari. Alla fine però sono tornati alle origini e si sono ricongiunti.

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Capitolo 11
*** 30 ottobre 1922 ***


La zingara dalla pelle diafana

30 ottobre 1922

E la primavera arrivò. L’aria divenne più calda ed Eolo racchiuse i venti, che per tutto l’inverno avevano scosso gli alberi, nuovamente nella sua anfora. I rami, prima spogli, si colorarono di innumerevoli fiori variopinti. Queste magnifiche macchie di colore sembravano essere state dipinte da un sapiente pittore. Riuscivo persino ad immaginarlo : una creatura evanescente che in una notte era riuscita a tinteggiare tutti gli alberi. Quanta ammirazione provavo per quell’individuo! Trascorrevo molto tempo a perdermi tra tutti quei colori e ad ascoltare il canto degli uccelli, ipotizzando come potesse essere. Ero sicura che somigliasse agli angeli biondi incisi sulle vetrate delle Chiese che spesso avevo osservato in paese. Mi ricordava una canzone che avevo sentito canticchiare ad un gruppo di ragazze in centro.
“Se Dio sapesse di te, sarebbe al tuo fianco. Direbbe son io, il pittore son io, facendosi bello per te. Ma è troppo occupato a dipingere nuvole in cielo per badare anche a te.”
Sussurravo tra me e me queste parole, mentre leggevo seduta sotto quei rami colorati che sembravano formare  una splendida cupola cangiante oltre ad uno schermo dal sole.
Non si era risvegliata solo la natura, ma anche gli animali. Stando in silenzio, si riuscivano ad udire ogni tipo di verso. I vari suoni formavano un rilassante concerto degno delle migliori composizioni di Mozart. Tutto trasmetteva gioia e felicità ed io ero molto propensa a percepire l’amore che volava nell’aria. Dal giorno in cui io e Fabrizio ci eravamo chiariti, infatti, il sorriso non era mai scomparso dal mio viso. E trascorrevamo la maggior parte del nostro tempo insieme. Ci incontravamo ogni mattina nella radura per veder sorgere l’alba e poi ci salutavamo. Ognuno di noi tornava nel suo mondo. Lui passava da casa sua, faceva colazione e si recava a scuola. Io andavo al campo, aiutavo Flora a preparare i suoi filtri e le altre a dividere tra tutte le zingare il poco cibo che avevamo. Dopo l’ora di pranzo però i nostri due mondi, fino a quel momento distinti, si scontravano e amalgamavano. A piedi o pedalando biciclette arrugginite, attraversavamo veloci le stradine di campagna diretti al nostro rifugio. I pipistrelli volendo mangiare gli insetti presenti nell’aria, volavano bassi sfiorando le nostre teste. Il sole, che filtrava attraverso le foglie degli alberi, illuminava le nostre labbra sorridenti e le nostre bocche intente a ridere e a chiacchierare. Le piante verdi sembravano voler superare i recinti, che cingevano la fine della viottola e l’inizio dei vari appezzamenti di terreno. Anche loro volevano partecipare alla nostra gioia. Abbracciarci. Giungevamo al mio studio che era presto diventato nostro. Lì trascorrevamo il pomeriggio a leggere o a parlare. Spesso a fare entrambe le cose. Ormai eravamo così in sintonia da non aver nemmeno bisogno di parlare per poter esprimere i nostri pensieri. Ci bastava leggerceli negli occhi. Uscivamo solo quando l’aria era divenuta più fresca e il cielo era solcato da un lungo ponte di nuvole rosa. Spesso immaginavo che questa fosse destinata agli angeli che volevano osservare le vicende degli uomini. “Chissà cosa pensano di noi.”mi chiedevo spesso.
Le nuvole però sparivano presto, confondendosi nel grigiore proprio dell’avvicinarsi della sera. Prima che il cielo fosse completamente scuro, eravamo tornati ognuno a casa sua. Separati. Ma solo per poche ore.
Eravamo davvero convinti di aver afferrato la felicità e che non potessimo più perderla. Non ripensai mai alle parole di Queen in quei giorni di tranquilla spensieratezza. Non ci interessava darci degli stereotipi, essere amanti, fidanzati, innamorati. Non ci interessava chiarire agli altri o a noi stessi di quale natura fossero i nostri sentimenti. Eravamo insieme e stavamo bene : questo ci bastava. E che fosse amore o no che importava?
Fu in una di queste mattine che decisi del mio futuro. Stesa sul prato bagnato dalla rugiada, ebbi una folgorazione. Volevo che il cielo che osservavo, gli alberi che mi circondavano e i sentimenti che mi facevano arrossare le guance durassero in eterno. Come i paesaggi e le emozioni che prendevano vita nei libri che leggevo. Volevo condividere con il mondo la mia tristezza e la mia gioia, la mia solitudine e le mie amicizie. Sapevo che ,infatti, nonostante le diversità che dividevano gli uomini di tutta la Terra, in realtà le ragioni per tutti combattevamo o piangevamo erano le stesse. Eravamo tutti uniti in un abbraccio comunitario ed io volevo proprio parlare di questa fratellanza. Che non doveva esistere solo tra membri di una stessa razza. Ma tra tutti gli uomini. Indistintamente.
  -Sai un giorno diventerò una scrittrice!! Ho deciso! Farò emozionare e sognare i lettori come fanno gli autori che mi leggi sempre.-aveva espresso il risultato della mia meditazione a Fabrizio.
 -Devi lavorare molto per raggiungere questo obiettivo, ma sei abbastanza determinata per riuscirci. E di che cosa parlerà il tuo  libro? Hai già pensato ad una trama?-rispose stuzzicandomi.
-Di me e te, di noi, della nostra splendida e sincera amicizia!-
-Senti a me, quando avrai realizzato il tu sogno ti sarai dimenticata di me…- sussurrò tristemente lui.
-Ti prometto che io non mi dimenticherò mai di te e che tu sarai accanto a me alla presentazione del libro.-
-Ti credo, mia zingara dalla pelle diafana- disse sorridendo, ma poco convinto.
Alzai il busto e puntai i miei occhi curiosi nei suoi.
– E tu cosa vorresti diventare?-chiesi.
-Mi piacerebbe aiutare le persone, vorrei diventare tanto un medico.-mi rispose arrossendo un po’.
-Mi sembra stupendo. Sei una persona così gentile e generosa : sarai un dottore perfetto!-
- Non bastano solo generosità e determinazione. Ma è necessario molto denaro affinché io possa studiare nelle migliori scuole. Denaro che mio padre però non vuole investire perché non approva il mio desiderio. Vorrebbe che lavorassi in banca come lui, che diventassi un uomo d’affari. Dice che è l’unico mestiere che dia sicurezza al giorno d’oggi.-
Appoggiai la mia mano sulla sua e cercai di rassicurarlo.
-Vedrai che riuscirai a convincerlo. Quando vedrà quanto ci tieni, ti lascerà studiare medicina.-
Lui sorrise e annuì. –Hai ragione tutto andrà bene. E ascolta, Dottor Fabrizio suona bene, stranamente.-
Il Sole sorse e illuminò le nostre risate.
 
In quei giorni vivevamo in una bolla di felicità che ci proteggeva dal mondo esterno.  Non ci accorgemmo che qualcosa di terribile stava accadendo, che qualcosa stava cambiando.
I mesi passarono senza sosta e ci sfuggirono dalle mani come la sabbia che afferriamo in una spiaggia desolata. La primavera lasciò il posto al calore estivo. I fiori di cui erano cosparsi tutti gli alberi si trasformarono in succosi frutti.   
Tornò poi l’autunno e con lui l’aria gelida. Questa volta però il vento freddo non voleva annunciare soltanto la morte della natura. Mentre noi eravamo intenti a stare insieme e a leggere tanti romanzi, era sorto un uomo. Carismatico, grande oratore. Cominciò a gridare da un alto pulpito promesse sempre diverse che potessero attirargli tutti gli strati della popolazione. Si presentò come il promotore di una nuova nazione priva di povertà e disordini. Più equa. Più giusta. Più autorevole. Quell’uomo, come tutti i cittadini, aveva questo sogno ma a differenza loro lui si sentiva in grado di realizzarlo. Al campo non erano arrivate le sue parole altisonanti, che erano invece riuscite a convincere tutti i paesani. E nonostante spesso sentissi mormorare il suo nome in paese e vedessi dei manifesti ritraenti il suo aspetto affissi su molte mura, non avevo alcuna idea della sua esistenza. Nemmeno Fabrizio era molto informato : tendeva ad estraniarsi dai discorsi dei suoi coetanei ed odiando la politica, qualunque volta cominciassero a scuola a parlare di questo argomento, lui spegneva il cervello e pensava ad altro. Suo padre sembrava essere un grande sostenitore di quell’uomo e spesso lo aveva esortato ad iscriversi al partito fascista. Aveva sempre rifiutato mostrando il suo disprezzo per la vita politica. “Prima o poi dovrai crescere e interessarti a quello che ti circonda. Dovrai diventare un uomo vero e smetterla di rintanarti in quei libri.” Suo padre glielo ripeteva in continuazione e lui sperava con tutto il cuore che quel momento fosse il più lontano possibile.
Venne il giorno in cui non potemmo più scappare e la realtà ci travolse come un tornado. In una delle nostre passeggiate ci spingemmo in una campagna più in prossimità del paese. Lì trovammo una folla che festeggiava allegra. Uomini e donne ballavano e cantavano. I bambini, senza capire fino in fondo cosa stesse succedendo, si univano a quella generale euforia ridendo e cantando a squarciagola parole incomprensibili.
“Lotta al socialismo” “Abbiamo vinto” “Vincere e Vinceremo” “Viva il duce” ripetevano.
Fabrizio si avvicinò a lui e chiese curioso cosa fosse accaduto di tanto bello.
-Come non lo sai? Il Re ha dato l’incarico a Mussolini di formare il nuovo governo!-
-Era ora!- gridò un altro uomo dietro di lui, che aveva in mano un bicchiere traboccante di vino.
Era il 30 ottobre 1922 e da allora non si poté più fare finta di nulla. Il Fascismo cambiò radicalmente la vita di ognuno di noi e cercò di manipolare le nostre menti. Impose cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Regole da rispettare e a cui non si poteva nemmeno pensare di disobbedire. No. Non si poté più semplicemente voltare lo sguardo e pensare ad altro.


Che ci fa Mussolini nella mia fanfic?? Vai via!! Sarà stata una scelta dettata dal troppo studio o dalla visione del film “Storia di una ladra di libri”, ma ho deciso di intrufolare la storia nella mia storia. E avrà una grande importanza nella narrazione. (No tranquilli … nessuno di loro due è ebreo, ma ricordate che anche gli zingari furono discriminati!) Spero che non vi dispiaccia l’idea …Fatemi sapere i vostri pareri. P.s. Come ogni anno, andrò in vacanza nelle prossime due settimane...non so se quindi riuscirò ad aggiornarvi. Se non ci riuscissi, ci rivediamo presto.

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Capitolo 12
*** Compleanno al teatro ***


La zingara dalla pelle diafana

Compleanno al teatro

Ero seduta su una grande poltrona di velluto. Non mi sentivo affatto a mio agio : le mie braccia tremavano e le mie mani era sudate. Davanti a me c’era un grande armadio con le ante spalancate così che potessi ammirarne il contenuto. Abiti di ogni tipo e colore apparivano ai miei occhi : gonne larghe drappeggiate, corpetti pieni di merletto, vestiti lunghi e pieni di strass. Un ripiano in basso era pieno di cappellini di vari colori, decorati da piume e nastri. Avvertii quanto fosse folle quello che stavo per fare. Che Fabrizio mi stava costringendo a fare.
La porta si aprì e lui entrò. Indossava una camicia di seta bianca ed un completo scuro molto elegante. Nel taschino aveva una piccola rosa rossa e al collo un papillon giallo. Era quel dettaglio a renderlo originale : neanche in quella occasione voleva adeguarsi alla massa, senza infrangere le regole. Adoravo quel lato di lui quasi quanto mi divertivo a  prenderlo in giro per questa stessa ragione.
-Il papillon giallo è orribile sullo smoking!- lo avvertii.
-Dici? A me piace!- disse, scrutandosi in uno specchio appeso alla parete.
Mentre lui passava una mano sui suoi capelli gellati, io riversai su di lui tutti i miei dubbi.
-Non si può fare! Ci scopriranno! Credi davvero che riuscirò ad entrare in un teatro senza che nessuno si accorga che sono una zingara?-
-Se indossi uno degli abiti di mia madre e ti atteggi come una grande dama, non noteranno nulla. Fidati di me!-
-E se i tuoi genitori tornassero in anticipo?-gli chiesi allarmata.
-Roma è molto distante da qui e quindi rientreranno a notte inoltrata. Forse persino domani mattina.-
Si avvicinò a me e mi mise le mani sulle spalle. Mi guardò negli occhi e mi sussurrò tre parole. “Andrà tutto bene”. Il conforto che riuscì a trasmettermi fu enorme : respirai profondamente e sorrisi. Annuii.
-E ora lascia che Mrs Grammy ti aiuti a prepararti.-
Si voltò e attraversò l’intera stanza da letto. Superò il grande armadio e l’elegante letto matrimoniale in noce, poi aprì la porta. Prima di lasciarmi da sola in quella grande alcova vuota, si ricordò di una cosa.
–Ah comunque buon compleanno!-mi disse, facendomi l’occhiolino.
-Ti ho detto di non prenderla troppo sul serio questa faccenda del compleanno, non sappiamo se sono nata davvero oggi.- Storsi il naso.
 
Una trovatella infatti non conosce la data del suo compleanno, sa soltanto il giorno in cui è stata abbandonata. E onestamente non mi sembrava un’occasione da festeggiare. Ma dal momento in cui avevo rivelato al mio amico che stava per ricorrere l’anniversario del mio ritrovamento alle porte del campo, lui aveva cominciato a parlare di “compleanno”. E quando ha saputo che non avevo mai festeggiato quella ricorrenza, aveva iniziato a divertirsi pensando ad un possibile regalo da farmi.
Questa mattina alla fine si era presentato davanti a me con due biglietti nella mano. Mi aveva spiegato che quei foglietti ci avrebbero permesso di assistere alla messa in scena del musical “Les Miserables”. Avendo io letto e adorato il libro di Victor Hugo sarei stata ben felice di vederlo rappresentato, ma dubitavo che lasciassero entrare una zingara in un grande teatro.
“Stai tranquilla! E’ solo un piccolo teatro locale, mica “La scala” di Milano. E poi verrai a casa mia, tanto i miei genitori questa sera sono fuori città. Lì ti presterò uno dei vestiti da gran galà di mia madre : vestita come lei, nessuno ti riconoscerà.”  
 
Mi sedetti sul letto e le mie mani sfiorarono le coperte di raso bianco. Era tutto così nuovo per me. Io, che avevo sempre vissuto in un campo zingari e che mi ero sempre vestita in modo trasandato, stavo per vivere una serata da vera principessa. O almeno così la aveva definita Fabrizio. Mi lasciai cadere sul morbido materasso e mi coprii il viso con le mani. L’idea mi spaventava ed eccitava allo stesso tempo. La porta si riaprì ed una donna entrò. Mi drizzai velocemente in piedi spaventata. La osservai attentamente mentre si avvicinava. Doveva avere una sessantina d’anni, come lasciavano intendere i suoi capelli grigi e le rughe del suo viso. Il suo sguardo dolce e comprensivo, oltre al fatto che stesse indossando un’uniforme da cameriera, mi rilassò. Sicuramente non era la madre di Fabrizio. Doveva essere la Mrs Grammy di cui mi aveva parlato.
Dopo avermi salutato cordialmente, tuffò la sua testa coperta di riccioli bianchi nell’armadio. Stette diversi secondi a fissare i vari articoli, cercando qualcosa che potesse andarmi bene. All’improvviso corse soddisfatta verso di me con un abito tra le braccia. Lo appoggiò con delicatezza sulle coperte del letto e mi esortò a guardarlo. Aveva un taglio decisamente particolare :  molto accollato non lasciava scoperto nemmeno un centimetro di collo. Era stretto in vita e lungo i  fianchi, mentre il tessuto della gonna era più largo e così ricadeva fin sui piedi. La stoffa color panna, che lo componeva, era arricchita da ricami  marroni e color oro che erano più numerosi nella parte alta dell’abito. Divenivano poi più rari nella parte che doveva coprire le natiche fino a sparire del tutto man mano che si scendeva. Al posto delle maniche c’erano due piccoli triangoli di tessuto molto trasparente.
-Le piace signorina?-
-Si è molto bello! Ma mi starà bene?-le chiesi incerta.
-Certo, lei è molto longilinea e le calzerà a pennello!-esclamò.
Tuttavia avendo visto la riluttanza persistere nei miei occhi spaventati, mi fece sedere sul letto accanto a lei.
- Capisco la sua titubanza ed i suoi timori -disse- ma vedrà che, dopo che l’avrò abbigliata, non si riconoscerà nemmeno lei. Si figuri se potrà farlo qualcun altro. Lei questa sera non è una zingara,  né un’orfana. No. Lei è una donna che sta per trascorrere il suo compleanno al teatro. Non dovremmo mai farci definire da una categoria, da un’etichetta. Noi, prima di essere qualsiasi cosa, siamo uomini. E lo siamo tutti allo stesso modo.-mi disse, accarezzandomi i capelli.
-Perché fa questo per me? Se i suoi padroni di casa la scoprissero, lei perderebbe il lavoro!-
-Perché voglio bene a Fabrizio e voglio che sia felice! E so che uscire questa sera con lei lo renderà contento. E per lui sono anche disposta a correre qualche rischio. Lei no?-
Riflettei qualche istante e alla fine annuii.
-Ma smetta di darmi del lei, per favore, che non ci sono abituata.-la pregai, provocandole una risata.
 
Ci mise una mezz’ora per prepararmi. Mi lavò i capelli, me li pettinò e li sistemò elegantemente dietro le spalle. Quando ebbi indossato l’abito, mi diede degli orecchini di perle che si abbinassero e che rendessero le mie orecchie più fini ed eleganti. Il problema più grande lo incontrammo nella scelta delle scarpe, dato che non ero capace di portare i tacchi alti. Alla fine optammo per delle calzature dal tacco medio che mi permettessero di fare più di un passo prima di inciampare.
Dopo aver infilato un cappotto beige con il collo di pelliccia, mi ammirai nello specchio. Fui davvero impressionata dal mio aspetto elegante e signorile.
-Ha fatto davvero un gran lavoro!-esclamai, prima di ringraziare Mrs Grammy una decina di volte.
Lei mi fermò e mi esortò a raggiungere il mio amico al piano di sotto, altrimenti avrei fatto tardi. Mi fermai per qualche istante ad osservarla. Non sapevo che aspetto avesse una nonna, ma credo che dovesse essere come lei. Mi dispiacque di non averla. Mentre uscivo dalla stanza, mi sembrò di essere nella favola di Cenerentola. Se quella donna mi avesse anche detto di tornare prima di mezzanotte altrimenti la nostra vettura sarebbe tornata una zucca, non me ne sarei meravigliata.
Attraversai il corridoio un po’ impacciata, a causa di quell’abbigliamento a cui non ero abituata. Con grande lentezza e cautela scesi i gradini delle scale, che mi portavano all’ingresso. Arrivata da Fabrizio lo pregai di darmi il braccio e di aiutarmi ad andare fino alla macchina.
-Per fortuna che lì dovrai restare seduta!- mi disse, scoppiando a ridere di fronte al mio buffo portamento.
Mi condusse in una elegante vettura scura, che sembrava essere molto nuova e costosa. Ero andata molto spesso in paese, ma non ne avevo mai vista una del genere. Era più frequente vedere carretti guidati da muli o possenti cavalli, piuttosto che imbattersi in una Fiat.  Mentre mi sedevo nell’abitacolo dell’auto, facendo attenzione a non strappare il mio abito, mi chiesi a chi appartenesse questo veicolo. Fabrizio rispose ai miei pensieri, come se li avessi pronunciati, raccontandomi che quella non era la macchina dei suoi genitori poiché era servita loro per intraprendere il viaggio.
-Me l’ha prestata Queen.-mi spiegò- E’ di suo padre. Ha detto che potevo usarla, ma naturalmente devo fare molta attenzione a non rovinarla.-
-E tu sai guidarla?-gli chiesi.
-Ma certo, madame.-
Durante il breve tragitto, in cui la luna sembrava guidarci illuminandoci il cammino, gli chiesi quale fosse la ragione che avesse spinto i suoi genitori ad allontanarsi tanto da casa. Lui mi spiegò che a Roma era stata organizzata una cena tra i più grandi capi del Partito e che suo padre, essendo un accanito sostenitore del Fascismo, aveva sfruttato la sua fama di grande proprietario terriero per potervi prendere parte. Ottenuto il permesso di partecipare aveva convinto sua moglie a seguirlo, ma non era riuscito a persuadere lui.
-Avevo altri programmi … -mi disse, facendomi l’occhiolino.- E poi mi sarei annoiato a morte in una sala in cui tutti parlavano di politica. Sai che io odio da morire la politica. Ma a ben pensarci, adesso ho una ragione per tollerare il Fascismo.-
-Davvero? Quale?-
-Beh ha allontanato i miei genitori da casa permettendomi di uscire con te. Dovremmo essergli grati!-
Entrammo in paese e percorremmo veloci le strade circondate da due file di alti palazzi, che ci nascondevano dagli occhi indiscreti della luna. La sua luce, che prima mi era sembrata una gentile scorta, adesso sembrava che volesse spiarci. Che fosse gelosa della nostra fuga. Che potesse illuminarmi e svelare a tutti la mia identità. Mi passai la mano sulla fronte per asciugarmi il sudore. Respirai e cercai di allontanare le mille paure che mi affliggevano.
 Passammo di fronte ad una alta e antica torre dell’orologio. Era quello l’unico monumento che poteva essere considerato un attrazione turistica, nel paesino in cui vivevamo. Una volta Fabrizio mi aveva raccontato che era stata costruita su ordine di un vescovo ai tempi del medioevo. Al di sopra del quadrante bianco su cui si rincorrevano le lancette, c’era una volta a padiglione che dava dimora ad una grossa campana di bronzo. Quando l’orologio segnò le otto, il suono della campana si diffuse nell’intero borgo. I fari della nostra vettura illuminarono diversi uomini che tornavano a casa con lo sguardo stanco. Donne con i loro cesti di vimini pieni di cibarie che si accingevano ad andare a preparare per i loro cari. Bambini che salutavano i loro compagni e abbandonavano i loro giochi innocenti per rientrare presto nella loro dimora. Era sorprendente come bastasse quel semplice suono per far riunire ogni sera tutte le famiglie. Avendo udito quel segnale, tutti tornavano dai propri cari e si sedevano per cenare intorno allo stesso tavolo. Nonostante gli impegni e i loro litigi, trascorrevano la serata a parlare della loro giornata insieme.
Mi chiesi quale melodia servisse per farmi rintracciare con i miei genitori. Quelli che mi avevano abbandonato diciassette anni prima. Solitamente non pensavo mai a loro, ma ogni anno per tutta la durata del mio compleanno non riuscivo proprio ad allontanare dalla mia testa le domande, che dovevano attanagliare la mente di ogni orfano.
“Perché mi avevano abbandonato? Cosa avevano trovato di così ripugnante in me? Perché non mi avevano mai cercato? Erano morti? Chi erano? Li avrei mai visti?”
I miei occhi si inumidirono e sul mio viso apparve un sorriso triste e amareggiato. Per fortuna Fabrizio parcheggiò l’auto in un grande cortile buio e mi annunciò che eravamo arrivati. Dovetti quindi cancellare ogni traccia di tristezza dal mio volto e sbrigarmi a scendere dalla vettura. Mentre mi avviavo nel piccolo teatro, tenendomi al braccio del mio amico, sospirai profondamente e mi preparai al compleanno migliore della mia vita.
 

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Capitolo 13
*** A heart full of love ***


La zingara dalla pelle diafana

A heart full of love

 
Entrammo nella grande sala del teatro, scortati da un alto uomo che indossava uno smoking. Stretta al braccio di Fabrizio osservai ogni particolare del luogo. Numerose file di poltrone rosse riempivano l’auditorium, tutte rivolte verso una grande tenda di velluto rosso, che doveva nascondere il palco. Ai piedi di questo c’erano delle poltrone di colore diverso su cui era seduta l’orchestra. Numerosi uomini ben vestiti accarezzavano i loro strumenti e li accordavano in attesa dell’inizio dello spettacolo.
 L’uomo mi distolse dalla mia analisi di quel luogo, che trasmetteva regalità e sfarzo, esortandoci a seguirlo. Lui ci avrebbe portato ai nostri posti. Dopo aver superato una decina di file di sedie, si fermò e disse due numeri, prima di congedarsi. Camminammo leggendo con attenzione le cifre ricamate su quelle poltrone, fin quando non trovammo i posti riservati a noi.
Osservai il resto del teatro. Mille e mille balconi ci circondavano, ognuno diviso dall’altro da una colonna di gesso bianco. In ciascuno di quei quadrati si vedevano uomini ben vestiti accomodati su sedie dall’imbottitura di velluto rosso accanto a grandi dame abbigliate in modo ricercato. Molti di loro coprivano i loro occhi con dei piccoli binocoli, con cui avrebbero potuto vedere meglio lo spettacolo. Anche l’auditorium in cui eravamo seduti noi era piuttosto affollato. Potevo udire infatti un gruppo di uomini in smoking, poco lontani da me, discutere di politica. Una coppia di anziani, elegantemente vestita ricordava con nostalgia quanta bella fosse stata la loro giovinezza. Delle dame mi passarono accanto con le loro larghe gonne coperte di fiocchi e ricami. Potei origliare le parole piene di entusiasmo con cui descrivevano la bravura e la bellezza della giovane attrice che avrebbe interpretato Cosette.
Pensai che ero entrata in un mondo nuovo, diverso da quello a cui ero abituata. I miei occhi, che avevano da sempre osservato gli zingari del campo o i popolani, si ritrovavano ora a specchiarsi in quelli dei membri della classe più alta della città. I miei timori, adesso che mi ero accorta che nessuno mi aveva riconosciuto, erano scomparsi e avevano lasciato spazio solo all’emozione. Fabrizio poteva leggere la gioia sul mio viso e sembrava che farlo lo divertisse molto, dato che preferiva ammirare questo piuttosto che il teatro.
L’enorme lampadario di cristallo, che era fissato al tetto e che illuminava la sala, diminuì la sua luce fino a spegnersi. Numerosi passi affrettati si udirono nell’oscurità : gli ultimi arrivati si affrettarono a prendere posto. Chiesi al mio amico cosa stesse accadendo e lui mi spiegò che lo show stava iniziando. L’enorme tenda infatti si aprì e lasciò intravedere il palco avvolto dall’oscurità. Un gruppo di voci rauche cominciò a cantare. Ripeterono due parole tre volte “Look Down”, battendo i piedi. L’orchestra cominciò a suonare i suoi grandi strumenti. La luce tornò. Lo spettacolo era veramente iniziato.
Look Down
Un ammasso di forzati, che indossavano abiti malandati e strappati, tiravano una lunga serie di corde. Un uomo, vestito con un uniforme da gendarme, li sorvegliava con uno sguardo severo. I prigionieri, costretti a tenere basso lo sguardo, manifestarono la loro speranza in una possibilità di rivalsa. Qualcuno di loro gridava che presto sarebbe uscito e si sarebbe ricongiunto con la sua donna, un altro pregava Dio. Ma i loro compagni li ammonirono che mai sarebbero usciti da quell’abisso. Che tutti si erano dimenticati di loro. Che nemmeno Dio badava a loro. Quando ebbero terminato il loro canto pieno di disperazione, un detenuto si avvicinò dissolvendo il suo anonimato. La guardia , Javert, lo avvisò che in quel giorno sarebbe stato rilasciato, ma non avrebbe mai vissuto realmente la libertà. Sarebbe stato vigilato dalle guardie per sempre, sarebbe stato costretto a dichiarare il suo stato di ex-carcerato a tutti. Il sospetto lo avrebbe seguito come un’ombra, nessuno si sarebbe mai fidato di lui. Jean Valjean (così si chiamava infatti) però non aveva prestato fede alle sue parole. Se ne era andato con un cuore pieno di speranza, curioso di scoprire cosa avrebbe riservato per lui la sua nuova vita. Tuttavia il destino descrittogli da Javert si era avverato.
Aveva vagabondato per l’intera città alla ricerca di un rifugio ma tutti lo avevo scacciato, fin quando non era stato accorto da un vescovo. Il prete gli aveva offerto del cibo per rimettersi ed un letto dove riposare, ma lui aveva tradito la sua fiducia. Aveva rubato tutta la sua argenteria ed era fuggito nella notte. Catturato era sto riportato dal vescovo che aveva però asserito che era stato lui a donargli quegli oggetti. Aveva messo nelle sue mani anche due candelabri d’argento di grande valore. “Ma usa questi averi per divenire un uomo onesto. Ricorda : c’è un disegno divino in tutto questo.  Di fronte alla testimonianza dei Martiri, fratello io ho salvato la tua anima in nome di Dio.”
Mi commossi di fronte al suo soliloquio. Lo vidi tremare, commuoversi ripensando alle parole del suo salvatore. Chiedersi se fosse ancora possibile cambiare vita, se ci sarebbe riuscito. La sua indole nata per amare, ma bastonata dall’uomo e dall’ingiustizia, si era macchiata di odio verso quel mondo che da sempre lo aveva rifiutato.  “Io ci provo, ma crollo”
Lo vidi sollevarsi dall’oscurità, rinascere, strappare il suo documento e dare un’ultima possibilità a se stesso. Al mondo. All’amore.
At The End of the Day
Il sipario calò e quando la tenda venne rialzata, la scena era mutata. Sullo sfondo era stato dipinto uno stralcio della città di Parigi con le sue strade malandate e squallide. Una banda di uomini e donne, vestiti di stracci, ci descrissero in poche parole la vita dei poveri. Per loro la fine di un giorno significa solo ventiquattro in meno da vivere. Sentii che potevo comprenderli, o almeno potevo farlo meglio di tutti quei ricchi spettatori che, disgustati, storcevano il naso di fronte a loro.
Un gruppo di operaie appari e tra queste si distinse Fantine. Vidi le sue compagne di lavoro strapparle di mano la lettera, che aveva ricevuto dai locandieri che stavano accudendo sua figlia. I coniugi le chiedevano maggior denaro poiché la sua piccola Cosette aveva bisogno di maggiori cure. Le sue compagne, avendo scoperto l’esistenza di quella bambina, lo avevano comunicato al capo turno. L’uomo, offeso dalla mancanza di lealtà di Fantine che non li aveva informati di quella situazione, la licenziò gettandola in strada. Da quel giorno la povera donna era stata inghiottita dalla disperazione e si era rifugiata nelle vie più malfamate  di Parigi. Luoghi brulicanti di donne di malaffare e di uomini che sapevano come guadagnare sfruttando le loro sofferenze. Fantine era stata costretta a vendere ogni cosa, pur di poter mandare il denaro necessario alle cure della sua povera bambina malata. Prima i capelli, poi i suoi denti. Infine se stessa. Potei ammirare il grande talento dell’attrice che la interpretava, mentre si esibiva nella bellissima “I dreamed a dream”. Con questa canzone riuscì ad emozionarci tutti. Quella donna, gesticolando e gemendo disperata, inveì contro la vita che aveva allontanato da sé il suo amato e che aveva distrutto il suo sogno di felicità. Ci mostrò che tutte le sue speranze giovanili erano naufragate in quell’abisso tremendo in cui non riusciva a respirare.
La sua vita però ad un tratto si incrociò con quella di Jean Valjean che, violata la condizionale, era divenuto il sindaco della città. L’uomo aveva aiutato la città a prosperare ed era divenuto famoso per la sua generosità. Dunque avendo incontrato quella povera donna sventurata, l’aveva salvata da un arresto e le aveva promesso che le avrebbe riportato indietro sua figlia.
Who Am I?
Padre Madelaine, come il galeotto veniva adesso chiamato dai cittadini, ignari del suo passato, aveva saputo di un uomo che era stato catturato e che sarebbe stato presto processato. Questo uomo, a cui era stata attribuita falsamente l’identità di Jean Valjean, avrebbe pagato per i suoi peccati. Questa notizia aveva fatto vacillare il povero sindaco. La sua anima si divise in due. L’ex detenuto, che ancora viveva in lui, gli suggeriva di approfittare dell’occasione che gli si presentava : se quell’individuo fosse stato chiuso in carcere, lui sarebbe stato libero per sempre dai sospetti. Libero davvero.
Tuttavia c’era una nuova parte in lui, che voleva assolutamente prevalere. Era l’uomo che aveva affidato la sua anima a Dio. Costui gli aveva presentato la futura dannazione eterna nel caso in cui avesse lasciato che il mostro della Legge si abbattesse contro un innocente.
“Se parlo sono condannato, se non parlo sono dannato”.
Dopo questo difficile ed emozionante conflitto con se stesso, lui aveva deciso di perseguire la via della verità. Si era recato in tribunale e aveva annunciato la verità di fronte ai volti increduli dei giudici. Era poi tornato dalla donna che aveva salvato, Fantine, per rassicurarla e dirle che le avrebbe riportato la sua piccola Cosette. Gli eventi però erano precipitati : la donna era morta tra le sue braccia e Javert si era recato da lui con il fermo proposito di arrestarlo. Ci era voluta un’enorme forza per riuscire a sconfiggere quello sbirro a duello e grande astuzia per riuscire a scappare. Perché adesso lui aveva una missione importante, trovare Cosette e salvarla, secondo quanto aveva promesso a sua madre. Si era recato subito dai locandieri di Montfermail, presso cui viveva la bambina. Lì però aveva notato con grande disapprovazione che i consorti, dall’aspetto stravagante, erano degli imbroglioni e che oltre a derubare i propri clienti trattavano la povera bambina come una sguattera. I soldi, che Fantine guadagnava con tanto sforzo e mandava loro, venivano usati per viziare Eponine, la loro figlia minore. Lui aveva preso con sé la bambina e con lei scappò.
Suddenly    
Seduto nella carrozza, fuggendo nella notte, lui aveva visto il viso della bimba appoggiato alla sua spalla. L’aveva vista affidarsi completamente a lui e qualcosa in lui si era acceso.
Il vescovo aveva fatto sorgere sul suo orizzonte l'alba della virtù; Cosette l'alba dell'amore.
L’amore, che era ancora in lui e non aveva mai trovato una persona da viziare, si era riversato tutto su quell’angelo. Erano svaniti l’odio e la solitudine, ombre che per troppo lo avevano seguito. Cominciò a guardare il mondo con occhi nuovi, con speranze nuove. Mai si sarebbe separato da lei, mai avrebbe permesso che le facessero del male. Ben presto quell’idillio si era spezzato e loro erano stati costretti a fuggire, rincorsi dalla polizia che aveva rintracciato l’ex galeotto. Avevano trovato rifugio in un monastero, lì avevano soggiornato per nove anni.
Red & Black
Quando erano usciti, la città era completamente cambiata. Le strade erano ancora colme di poveri sventurati, ma questi avevano acquisito consapevolezza del loro stato e volevano rovesciare il mondo. Le folle erano guidate da un gruppo di giovani borghesi, i ragazzi dell’ABC cafè. Cresciuti con il mito della rivoluzione, loro volevano far sorgere un giorno nuovo per la Francia. Tra questi si distingueva un ragazzo, Marius, che aveva rifiutato il patrimonio del nonno poiché questo aveva offeso suo padre, che era stato un soldato di Napoleone. Era sempre seguito da una ragazzina che stravedeva per lui, Eponine. La donna cercava in ogni modo di farsi notare da quei due occhi azzurri, che però a stento si accorgevano di lei. Un giorno questi tuttavia si erano posati su una fanciulla ed erano rimasti incantati. Una fanciulla, che non era lei. Ma Cosette. La povera Eponine era stata obbligata a vedere il cuore del ragazzo sfuggirgli dalle mani. Aveva anteposto la sua felicità alla propria e lo aveva aiutato a trovare il misterioso angelo. La vidi sola nell’oscurità a disperarsi, cantando la famosa e commuovente “On My Own”. Creare un mondo immaginario in cui era felice al fianco del suo principe, in cui non era costretta a vedere il lieto fine degli altri, in cui poteva vivere la sua gioia. Ma vidi anche con commozione la distruzione di questo sogno e il suo ritorno alla dura e terribile realtà.
“I love him, but only on my own”.
A heart full of love
Dopo questo triste momento, vedemmo Cosette camminare spensierata sul palco. La ragazza era cresciuta e si trovava adesso ad affrontare i dubbi più dolci e amari della giovinezza, quelli provocati dalla freccia di Cupido. Si chiedeva cosa fosse quel sentimento che la sconvolgeva, chi fosse quel ragazzo che l’aveva stregata, se fosse amore quello che provava.
“I’m no longer alone now that love in my life is so near” cantò con la sua voce da usignolo.
Risalì sulla scena Jean Valjean e cercò di difendersi dalle domande che sua figlia, spinta dalla curiosità ,  le poneva sul suo passato. Lui non poteva raccontarle la verità, doveva proteggerla da quel peso. Inoltre temeva che se lei avesse conosciuto la sua vera identità, lo avrebbe lasciato e perderla lo spaventava troppo. Era l’unica cosa che avesse. L’unica persona che avesse mai amato. E dalla quale aveva ricevuto affetto incondizionato e sincero.
Finalmente lei si era incontrata con il ragazzo che le aveva sconvolto il cuore. Marius, infatti, guidato dalla fedele Eponine, le era venuto incontro. I tre personaggi avevano cantato insieme, lasciando che le loro voci si fondessero in una meravigliosa melodia. I due innamorati esprimevano tutta la loro gioia e il loro immenso amore. Pieni di allegria, progettavano una vita insieme, ora che si erano finalmente trovati.
Eponine, seduta in un angolo, da sola, riempiva di tristezza quel canto. Tratteneva a stento le lacrime, mentre il suo cuore le si spezzava. Rimpiangeva quello che non era stato e che mai sarebbe potuto nascere con quel ragazzo. Si rammaricava che quelle dolci parole non fossero state rivolte a lei. Un’altra donna stava vivendo il suo sogno d’amore.
Cosette era stata però richiamata da suo padre, che le aveva annunciato che dovevano scappare. Dovevano partire all’istante e mai più sarebbero tornati in quella casa. La ragazza era davvero sconsolata : che destino triste era il suo! Ora che aveva trovato il vero amore, era costretto a lasciarlo! Aveva lasciato una lettera al suo amato affinché lui potesse sapere dove fosse e potesse seguirla. Questo messaggio, tuttavia, non era stato trovato da Marius, ma da Eponine. La ragazza aveva visto nella scomparsa della sua rivale un grande regalo affinché i suoi sogni si realizzassero e aveva deciso di non consegnare al suo amico quelle parole.

Il sipario calò e mi lasciò meditare in silenzio. Non mi sentivo forse come Cosette? Ed Eponine? Non ero anche io innamorata? Cosa mi costava ammetterlo? Cosa mi tratteneva? Mi voltai e osservai Fabrizio.
Does he feel what I feel?
Lui ricambiava i miei sentimenti? Stava pensando anche lui quello che pensavo io? Anche il suo cuore era pieno d’amore? Mi dissi che se non gliene avessi parlato, non lo avrei mai saputo. Il che poteva essere sia un bene che un male : mi avrebbe certamente messo al riparo da una terribile delusione, ma mi avrebbe anche separato da un bel lieto fine. Ero disposta a correre questo rischio?
Solo l’inizio dello spettacolo mi separò da tutti questi dubbi.
Do you hear the people sing?
Un gruppo di uomini, sulle cui giacche c’erano delle coccarde tricolori, corsero sul palco. Uno di loro aveva in mano una grande bandiera francese, che faceva sventolare. Erano i ragazzi dell’ABC cafè, che in onore della morte di Lamarque, avevano organizzato una ribellione a favore del popolo e dei suoi diritti. Presto Eponine e Marius si unirono al gruppo e intonarono insieme a gran voce il loro inno ricolmo di speranza nell’ indomani.
There is a life about to start when tomorrow comes!
I soldati arrivarono di corsa e li attaccarono. Alcuni ragazzi caddero al suolo, gli altri contrattaccarono. Anche Marius sarebbe stato colpito, se Eponine non gli avesse fatto da scudo col suo corpo. La ragazza cadde quindi tremante a terra. Il ragazzo la prese tra le sue braccia e notò con angoscia il proiettile che le aveva attraversato il corpo e macchiato di sangue la camicetta scura. “Ma cosa hai fatto?”sussurrò commosso dal suo sacrificio. Lei prese una lettera e gliela porse, scusandosi del fatto che non gliela avesse consegnata prima. “E’ di Cosette” spiegò. Lui prese quel foglio e lo mise da parte. In quell’istante non avrebbe pensato ad altri che a quel suo angelo nero, che stava per morire tra le braccia.
Udimmo commossi la loro ultima conversazione. “You’re here, that’s all i need to know”.  Marius non la lasciò fin quando non spirò.
Solo quando lei ebbe lasciato questo mondo e i suoi compagni ebbero portato via il suo cadavere, Marius lesse la lettera. Grazie a questa scoprì che il suo enorme amore per Cosette era ricambiato e che lei adesso era ancora in Francia, in via dell’Homme Armè n 4. Il suo cuore fu travolto da una grande gioia, prima di ricordarsi del fatto che il loro sogno di felicità non si sarebbe mai avverato. Lui stava per morire insieme ai suoi compagni. Rispose allora al messaggio di Cosette : le disse che la amava e la pregò di pregare perché lui sopravvivesse e riuscisse a tornare a casa da lei. Mandò il più piccolo del gruppo, Gavroce, un ragazzino energico e vitale desideroso di aiutare quei ragazzi che ai suoi occhi sembravano eroi, a consegnare quel foglio a casa di Cosette. Il fanciullo riuscì in poco tempo a trovare la dimora e diede la lettera all’uomo che gli aveva aperto la porta. Jean Valjean, dunque, lesse incuriosito quel messaggio giunto a lui così misteriosamente. Apprese quindi una verità che gli era stata nascosta : sua figlia era innamorata di un giovane e presto questo ragazzo l’avrebbe sposata e resa felice. “Ma potrebbe morire questa notte”esclamò spaventato. Decise allora di salvare quel Marius, che aveva rubato il cuore della sua bambina, mettendo a rischio anche la sua stessa vita.
“If I die let me die, let him live. Bring him home”pregò a Dio mentre correva.

 Allora si precipitò alla barricata, dove trovò un terribile spettacolo. Le guardie erano riuscite a distruggere con i cannoni la fortificazione che doveva proteggere quei ribelli. Numerosi corpi erano al suolo ricoperti di sangue, tra questi riconobbe anche quello del bimbo che aveva visto poco tempo prima. Assistette all’eroica morte dei capi della barricata. Un giovane, che aveva in mano la bandiera francese, stava per essere ucciso da un soldato che gli aveva già puntato contro la pistola. Non aveva paura né rimpianti : coraggioso e deciso aspettava il colpo. Era convinto di morire per una ragione giusta, sicuro che altri avrebbe seguito il suo esempio e che un giorno la luce del Sole avrebbe davvero illuminato un mondo più equo, in cui regnasse l’amore. E che il merito sarebbe stato anche suo. Grantaire, un suo compagno, si avvicinò a lui e gli strinse la mano. Caddero così con gli occhi lucidi e i cuori pieni di speranza e orgoglio verso loro stessi. Jean Valjean stava osservando commosso quella scena, quando udì una flebile voce sussurrare il nome di Cosette. Guardò in basso e vide accanto al suo piede il cadavere di un giovane che doveva essere Marius. Era ferito, ma se fosse riuscito a portarlo in salvo si sarebbe ristabilito. Lo caricò dunque in spalla, deciso a salvarlo. Una voce a lui fin troppo nota, però richiamò la sua attenzione. Si voltò e vidi di fronte ai suoi occhi Javert.
Il gendarme lo aveva cercato a lungo e adesso lo aveva finalmente trovato. Tuttavia lo vide salvare un’altra vita umana. Javert vacillò e si chiese se quel galeotto fosse un angelo o un diavolo. Se le persone potessero davvero cambiare, essere buone. “Ti sbagli su di me e ti sei sempre sbagliato”gli spiegò Jean Valjean “Non sono peggiore di molti altri”. Colpito da quelle parole, lo lasciò andare. Ma il suo animo era inquieto : la sua fede incrollabile nella Legge si era dimostrata sbagliata. Inutile. E lui adesso non sapeva più in cosa credere. Non riusciva più a rendersi conto di chi era lui.
“My heart is stone and still it tremules. The world I have known is lost in shadow.”
Osservò la pistola, che aveva puntato al suo nemico. Le luci del palco vennero spente e nel silenzio si udirono delle parole gridate con voce disperata. “There is no way to go on...” Infine un colpo di pistola. Javert si era sparato.
 
Il sipario calò. Dopo qualche istante la tenda rossa venne rialzata e noi vedemmo Jean Valjean e Marius seduti l’uno di fronte all’altro. Il ragazzo si era quasi del tutto ristabilito e ascoltava con attenzione il padre della sua promessa sposa. Lui gli stava narrando la storia di un galeotto, che aveva violato la condizionale ed aveva vissuto fuggendo dalla legge insieme ad una bambina. Adesso lei era adulta ed all’oscuro di tutto e suo padre temeva che, se fossero venuti ad arrestarlo, lei sarebbe stata disonorata. Marius capì che il protagonista della storia era l’uomo che gli stava dinanzi e chiese disposizioni. Jean Valjean gli spiegò che per il bene di tutti lui sarebbe andato via, ma si fece promettere che sua figlia non avrebbe mai saputo nulla di quella storia. “E’ per la felicità di Cosette che va fatto” terminò e il ragazzo annuì.
In seguito vedemmo Marius e Cosette che festeggiavano allegri il loro matrimonio. Si guardavano innamorati e felici, circondati da una folla che applaudiva. Un ospite però chiese di vederlo in privato e lui si allontanò con questo personaggio misterioso. Costui gli raccontò di aver visto Jean Valjean portare in spalle un ragazzo che aveva assassinato durante la notte della ribellione. Marius incuriosito richiese una descrizione del giovane e capì di essere lui. “Allora avevo ragione”disse “è stato lui a salvarmi quella notte”
Chiese a quello sconosciuto dove si trovasse il galeotto e vi condusse Cosette. Lo trovarono in un piccola cella di un convento vicino. L’uomo stava per lasciare questo mondo, quando sua figlia entrò. Lei lo guardò piena di tristezza. “Papa, you’re going to live it’s too soon, too soon to say goodbye” lo pregò.
Marius lo ringraziò per avergli salvato la vita e gli chiese perdono per la sua ingratitudine. Negli ultimi istanti della sua vita Jean Valjean chiese perdono a Dio per i suoi peccati e sperò che Fantine fosse soddisfatta di come si era preso cura di sua figlia. Poi spirò sereno, pronto ad entrare a pieno diritto nel regno di Dio.
In ultimo tutti gli attori salirono sul palco e dandosi la mano cantarono un ultimo messaggio di speranza.
 Even the darkest night will end and the sun will rise. Do you hear the people sing? Say, do you hear the distant drums? 
It is the future that they bring when tomorrow comes...      
Si inchinarono infine sorridendo per i tanti applausi che ricevettero.
 
Tutti gli spettatori uscirono dalla sala del teatro, chiacchierando dei loro affari. Le donne parlavano di moda, si lamentavano dei capricci dei loro bimbi e dei difetti dei loro mariti. Gli uomini commentavano l’andamento delle azioni su cui avevano investito in Borsa. Decine di uomini e donne, ci camminarono accanto, ci ignorarono e lasciarono vuoto l’auditorium. Il rumore dei tacchi, il fruscio delle gonne che carezzavano il tappeto rosso, che coprivano il pavimento di marmo, il chiacchiericcio, le risate divennero più flebili. Poi tutto tacque. Io non riuscivo a sollevarmi dalla poltrona. Ero fin troppo agitata per farlo. Sentivo che quello spettacolo mi aveva cambiato la vita. O più semplicemente aveva reso manifesto ciò che mi sforzavo di celare. Spostai un ciuffo di capelli dalla fronte ma quello tornò nuovamente lì. Respirai profondamente e mi voltai verso Fabrizio. Anche lui mi guardava, incapace di muoversi. I suoi occhi brillavano. Mi chiesi se anche i miei lo stessero facendo.
“A heart full of love” sussurrai tremante. Il silenzio fece risuonare le mie parole come avrebbe fatto l’eco.
“A heart full of you”rispose lui.
Mi alzai in piedi e lui fece lo stesso. L’immagine della sala attorno a me vorticava forte ed era così difficile mantenere l’equilibrio. Ero innamorata? Adesso non potevo più negarlo. Né a Flora. Né a Fabrizio. Né a me stessa. Ero pronta ad amare? A mettere la mia vita nelle mani di un altro individuo? Io che mi ero sempre premurata di badare da sola a me stessa, io che ero sempre stata diffidente ero pronta ad amare? Volevo farlo? Lo volevo : era il mio cuore ad ordinarmelo. Pensai che nessuno è solo per natura e che ognuno cerca la sua metà, anche se non lo sa. L’amore aveva squarciato il mio cielo sereno come un fulmine, una forte e potente scarica di energia. La mia pace, costruita con tanta fatica, era stata distrutta e stava cadendo a pezzi. “I fulmini sono sempre seguiti dai temporali” pensai.
Con un veloce scatto mi voltai e corsi in direzione dell’uscita. Volevo uscire da lì e confondermi in quel folto gruppo di borghesi senz’anima.
“No fear, no regrets”mi gridò Fabrizio.
Mi bloccai e mi voltai. Ero tutta un tremito. Il mio volto era rosso e sudato. I capelli erano incollati alle guance e alla fronte.
“I feel lost” spiegai.
“I feel found” ribatté lui con un sorriso rassicurante.
  Probabilmente lui aveva compreso da più tempo di me la verità. Come sempre, del resto. Acuto e intelligente, era stato una vera guida per me in questi mesi. Nella lettura. Nell’aprirsi al mondo per socializzare. E adesso lo sarebbe stato anche nell’amore. Mi avrebbe preso per mano e mostrato come si costruisce la felicità. Mi avrebbe insegnato come si comportano le fidanzate. Le mogli. Le madri. Stavo correndo troppo? Forse sì.
Pensai che magari l’amore non era così terribile. In fin dei conti dopo il temporale non torna sempre il sole? E quel sole, accompagnato da un coloratissimo e magico arcobaleno, non è persino più bello di un semplice cielo sereno? Allo stesso modo, sedata tutta l’agitazione che mi stava sconvolgendo in quel momento, sarei stata invasa da una grande felicità. La più grande che avessi mai provato.
Si avvicinò lentamente a me, ma questa volta non fuggii. I suoi passi risuonavano nel silenzio del teatro e ad ognuno di essi il mio cuore aumentava i suoi battiti. Quando mi ebbe raggiunto, le sue mani sfiorarono le mie braccia nude e alla fine si posarono sui miei fianchi. Lo guardai ed ebbi un fremito. Mi sembrò di vederlo per la prima volta : i suoi occhi scuri timidi che spostavano continuamente lo sguardo, pur di incontrare i miei,  il suo sorriso falsamente spavaldo, le mani sudate e persino il suo papillon giallo, tutto mi sembrò perfetto. Perfettamente imperfetto.
“I don’t know what to say”disse lui ridendo, rosso in viso.
“Then make no sound”gli sussurrai.
Appoggiai la mia testa sulla sua spalla e lo abbracciai. Ascoltai il suo battito del cuore accelerare e sorrisi.

And it wasn't a dream
Not a dream after all

Ciao a tutti! Vi ringrazio poiché avete letto questo capitolo lunghissimo, quasi eterno! Ho cercato di sintetizzare lo spettacolo in modo efficace attraverso le canzoni usate e spero che voi riusciate a capirci qualcosa. Se poi il mio capitolo vi ha spinto a vedere il musical/film non posso esserne che felice. Questo è stato un capitolo davvero difficile da scrivere, ma mi è piaciuto tanto farlo. Prima di tutto perché il mio sogno nel cassetto è vedere dal vivo questo musical e poi la scena finale è stata bellissima da scrivere. Le frasi sono prese dalla canzone “A heart full of love” dai Miserabile naturalmente. Al prossimo capitolo! 

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Capitolo 14
*** I am yours ***


La zingara dalla pelle diafana

I am yours

Seduta nell’auto in silenzio ripensai a quello che era accaduto nel teatro. Grazie alle parole di quella magica canzone io e Fabrizio eravamo riusciti ad esprimere i nostri sentimenti più reconditi. L’amore che legava profondamente le nostre anime l’una all’altra. La paura che le strappava violentemente l’una dall’altra. 
Ci eravamo abbracciati e questo aveva creato un vincolo che i nostri piccoli terrori non avrebbero più potuto scalfire. Peccato che quel momento così romantico fosse stato interrotto in modo così brusco. Il direttore del teatro era spuntato all’improvviso e ci aveva inopportunamente chiesto di congedarci e lasciare quella sala. Eravamo scattati come molle e ci eravamo all’istante separati. Con gli sguardi abbassati avevamo chiesto scusa ed eravamo scappati via. Entrati in macchina, ancora imbarazzati, non eravamo stati capaci di rivolgerci la parola e nemmeno di guardarci. Non facevamo altro che scrutarci rapidamente con circospezione, per poi distogliere subito gli occhi non appena ci accorgevamo che anche l’altro ci stava fissando. 
Il motore della vettura smise di scoppiettare e l’automobile si fermò. Eravamo tornati a casa di Fabrizio. Aprii la portiera e scesi, tenendo alzato il lembo della gonna affinché non si sporcasse. Camminai lentamente e cautamente in direzione della grande porta di legno. Quell’uscio rappresentava ormai la mia unica via di fuga a quella situazione imbarazzante, a quella serata inizialmente magica, ma che si era presto trasformata in qualcosa da dimenticare. Una mano si pose sulla mia spalla e mi costrinse a fermarmi. 
-Aspetta, ti prego- mi fermò. –Non lasciamo che un piccolo inconveniente ci rovini la serata. Io non rimangio quello che ho detto e tu?-
Mi voltai e vidi le sue iridi scure, bramose di conoscere la verità. “Neanche io”sussurrai.
Mi accarezzò il mento con le sue mani morbide e mi sorrise. Avvicinò le sue labbra alle mie con un’audacia, che non avevo mai visto manifestarsi in lui prima.
Tuttavia fu interrotto da uno strano rumore. Ci voltammo e vedemmo un’automobile avvicinarsi a noi. La luce dei fari di quella vettura ci accecò. Sbattemmo diverse volte le palpebre, prima di riuscire a vedere nuovamente in modo nitido. Ci allontanammo l’uno dall’altro e guardai Fabrizio per cercare di capire cosa stesse accadendo. Lui era sconvolto : le braccia gli tremavano ed il sudore bagnava la sua fronte. Ebbi un brutto presentimento e mi feci prendere dallo sconforto.
L’automobile si fermò e da essa scesero due individui, avvolti dall’oscurità. Man mano che si avvicinarono a noi, potei vederli meglio.
Uno era un uomo alto e robusto. La sua espressione era severa : i suoi occhi erano cupi e penetranti, le sue labbra disegnavano un terribile ghigno, messo in evidenza da un paio di folti baffi neri.
L’altra era una donna alta e minuta, dotata di una certa eleganza innata che le avrebbe permesso di brillare anche con indosso uno straccio. I suoi capelli color nocciola le incorniciavano il viso pallido e smorto. Lo sguardo era spento e triste. 
Fabrizio si incamminò verso di loro e sussurrò con un filo di voce: “Madre, Padre siete tornati”.

Mi sfilai il vestito lentamente, mentre lei mi fissava. Glielo porsi e lei lo sistemò nell’armadio. Mi rivestii velocemente con i miei stracci da zingara. Il mio viso era completamente rosso per la vergogna e speravo di poter fuggire presto da quella casa. Guardai il volto della mamma di Fabrizio che mi fissava con durezza. La mia testa era stata bassa per tutto il tempo, proprio come le mie labbra erano state sigillate. Un terribile silenzio aveva seguito ogni mio movimento. Infilai i miei stivaletti di cuoio sporchi di terra e camminai fino alla porta. Prima di aprirla però mi voltai e osai finalmente rompere quell’assurda quiete. 
-Signora, mi dispiace. Le giuro che non volevamo fare nulla di male. Adesso magari lei non ci crede, ma io le avrei riportato il vestito indietro. Mi serviva solo per non essere riconosciuta a teatro! So che abbiamo fatto una sciocchezza, ma me ne assumo tutta la colpa. Non mi dica che lei non ha mai fatto una stupidaggine da giovane!- cercai di convincerla.
La donna incrociò le braccia e mi lanciò uno sguardo così freddo che capii di non avere speranze. Compresi che essere comprensiva non era esattamente nella sua natura. 
-Perché siete andati a teatro?-mi chiese sprezzante.     
-Era il mio compleanno e Fabrizio ha voluto farmi un regalo … -biascicai.
La domanda seguente arrivò all’istante, senza nemmeno darmi il tempo di terminare la risposta destinata al precedente quesito. Pensai che in un interrogatorio del tribunale non sarei stata torturata tanto e con tale veemenza. 
-State insieme?-
Mi soffermai a pensarci qualche istante. I suoi occhi inquisitori intanto cercavano di scrutare ogni espressione del mio viso. 

Ricordai di aver letto in Orgoglio e Pregiudizio un capitolo, in cui si era verificato un episodio analogo a questo. Lady Catherine de Bourgh si era, infatti, recata a casa di Elizabeth per essere informata riguardo la veridicità della voce secondo cui suo nipote, Mr Darcy, si fosse fidanzato con lei.
“Cercate di capirmi. Questo matrimonio, a cui voi avete la presunzione di aspirare, non potrà mai avere luogo. Mai. Mr Darcy è fidanzato a mia figlia. Ed ora cosa avete da dire a proposito?”aveva detto Lady Catherine de Bourgh.
“Semplicemente questo : che se è così, non avete motivo di temere che egli faccia proposte di matrimonio a me.”aveva risposto l’acuta e forse un po’ sfacciata Elizabeth.
“Ditemi, una volta per tutte, vi siete dunque fidanzata con lui?”
“No, non lo sono”
“E mi promettete di non impegnarvi mai in tal senso?”
“Non ho intenzione di fare promesse del genere.”
Elizabeth era stata coraggiosa ed era riuscita a zittire la dama che aveva di fronte. Tuttavia io non ero dotata dello stesso ardimento.

Abbassai dunque il capo e negai la relazione tra me e Fabrizio, nonostante fossi a conoscenza della menzogna, che si celava dietro al mio gesto. Se dichiararsi il proprio amore l’un l’altro ed essere sul punto di baciarsi non vuol dire stare insieme, allora cosa vuol dire essere fidanzati? Ero convinta che neanche la madre di Fabrizio mi avesse creduto, tuttavia non lo diede a vedere. 
Prese la parola e fui sollevata dal fatto che non si trattasse di un’altra domanda. 
-Ne sono felice. Devi sapere che suo padre non approverebbe una relazione con una zingara. Lui vuole che diventi un uomo d’affari sposato con una fanciulla ricca e soprattutto rispettabile-disse.
-E lei è d’accordo? Lei cosa ne pensa?- chiesi, facendo appello al suo affetto materno. 
“Una madre non può volere altro che la felicità per suo figlio”pensavo infatti.
-Non devo pensare. Così deve essere e così sarà.- rispose fredda. 
Scrutai gli occhi di quella donna in cerca dell’amore che ogni mamma dovrebbe avere, ma scoprii che ne erano assolutamente privi. Qualcosa di terribile aveva svuotato l’animo di questa signora da ogni forma di tenerezza e affetto. In lei non restava altro che un’ arida indifferenza. 
Mi tornarono in mente le parole di Fabrizio, quando mi aveva descritto sua madre come un albero vivo che si stava lasciando morire. Non potei non concordare con la sua riflessione. 
Sua madre si accorse che la stavo fissando e probabilmente intuì i miei pensieri. Dunque mi cacciò via chiamandomi “sporca zingara”.

Scesi di corsa le scale e mi ritrovai di fronte ad una porta attraverso la quale si udivano le grida di un uomo. Non riuscivo a capire cosa dicesse, ma intuii che era il padre di Fabrizio che lo stava aspramente rimproverando a causa mia. Misi la mano sulla maniglia, intenzionata ad entrare e a difenderlo. Una voce però mi fermò e mi costrinse a rinunciare al mio piano.
Mi voltai e riconobbi Mrs Grammy nella donna che si stava avvicinando a me. La sua voce dolce mi disse che avrei solo peggiorato la situazione e il suo sguardo triste e preoccupato mi convinse ad andarmene in fretta. Aprii la porta ed uscii fuori. Cominciai a correre via, nonostante mi vergognassi della mia fuga. Un’ eroina non sarebbe scappata, non avrebbe negato, ma avrebbe lottato per il suo amore. Ma io, a quanto pare, non lo ero. 

Pensai che l’ultima cosa che volevo era tornare nel campo e spiegare alle mie amiche entusiaste quanto male fosse andata la serata. Così mi diressi nella foresta, correndo nell’oscurità. La notte mi avvolgeva e la luce della luna non riusciva a filtrare attraverso il fitto fogliame di quegli alberi. Per fortuna io non volevo essere trovata né orientarmi. Vagare era il mio obiettivo, la mia meta era sconosciuta persino a me stessa.
Il rumore dei miei stivali vecchi che schiacciavano, senza pietà, le foglie secche cadute in terra rompeva l’armonia di suoni della natura. Il lugubre verso del gufo che si alternava al canto dell’assiuolo e insieme si sovrapponevano allo scroscio del fiume. 
Intanto io camminavo : mi perdevo e mi ritrovavo. Il dolore e l’imbarazzo lottavano dentro di me, lacerandomi l’anima. Ero stata sorpresa in casa d’altri con indosso abiti che non mi appartenevano : per quel che ne sapevo avrebbero anche potuto denunciarmi. Sbattei i pugni contro la corteccia di una quercia, rimproverandomi per la mia incoscienza.
Ma soprattutto ero stata offesa, come mai prima d’ora. Spesso le persone mi avevo attribuito appellativi maligni e ingiusti. Questa volta tuttavia mi era stato detto che “non ero all’altezza di Fabrizio poiché non ero una donna rispettabile”.
-E invece sono più che rispettabile! Sono educata, gentile e guadagno da vivere onestamente. Leggo le mani delle persone e predico loro il futuro!- gridai furiosa, come se la madre di Fabrizio potesse davvero udirmi.  Già, il mio lavoro non mi dava molta credibilità! Mi faceva sembrare una ciarlatana …
Nonostante tutte le rassicurazioni di Flora, infatti, io non riuscivo a non credermi un’imbrogliona. “Se non ci credi tu, come pretendi che possano farlo gli altri?”mi aveva detto.
Esposi i miei palmi alla fioca luce della Luna e cercai le linee guida. Strizzai gli occhi e feci innumerevoli tentativi. Niente, non riuscii a ricavarne nulla. 
-Perché non ci riesco? Perché non posso conoscere il mio futuro? Adesso ne avrei così bisogno! Vorrei tanto sapere che ne sarà di me, di Fabrizio, del nostro amore ancora in boccio!-
Mi chiesi per l’ennesima volta se io fossi davvero dotata di quel potere o se stessi davvero imbrogliando tutti. 
In fin dei conti non avevo mai potuto sapere se si fosse avverato quanto avevo predetto agli allocchi che mi avevano pagato perché lo facessi, dato che non li avevo più visti. 
Mi sentii al confine tra due mondi: non riuscivo ad appartenere completamente a nessuno dei due. Così restavo in bilico. Ero una zingara, vivevo in un campo con le mie compagne, avevo come loro un forte legame con la natura e la Madre Terra, conoscevo ed amavo le loro leggende, le tradizioni e le canzoni. Tuttavia mi sentivo anche una cittadina : leggevo i loro libri, avevo un’istruzione e credevo profondamente nella loro religione cristiana. La mia serata al teatro, inoltre, mi aveva introdotto in un mondo luccicante ed altolocato, che mi aveva conquistato. Mi aveva anche fatto capire che ero all’altezza di quella società e che potevo amalgamarmi in essa. 
Ricordai una canzone della tradizione zingaresca che amavo particolarmente e che avevo ascoltato spesso, quando ero bambina. 

Not because of who I am,
But because of what you've done.
Not because of what I've done,
But because of who you are.


Mi sedetti sull’erba bagnata e appoggiai la schiena al tronco di un albero, coperto in buona parte dal muschio. Respirai profondamente e con gli occhi chiusi cominciai a cantare : 

I am a flower quickly fading,
I am a wave tossed in the ocean,
A vapor in the wind.
You, you catch me when I'm falling,

And you've told me who I am.
I am yours.


Quella canzone riuscì a darmi la pace necessaria per pensare lucidamente. Non importava chi fossi, ma le decisioni che avrei preso. Potevo essere qualunque cosa volessi : una scrittrice, un’infermiera, una dama. Anche la fidanzata di Fabrizio!  E se per esserlo avrei dovuto abbandonare la mia comunità di zingare ed entrare nell’alta borghesia, lo avrei fatto senza indugio. 
I am yours.
Mi addormentai, mentre l’oscurità della stava svanendo. Quando il Sole sorse mi trovò assopita contro una quercia con un sorriso speranzoso sulle labbra.  

 
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo! La canzone che ho usato si chiama Who Am I  dei Casting Crowns, anche se per adattarla ho dovuto modificarla un po’. 

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Capitolo 15
*** Se c'era una volta l'amore ***


 Mi piegai e strappai con quanta forza avevo quel ciuffetto d’erba. Alla fine aprii la mano e vi ritrovai un gruppo di ramoscelli di diversa lunghezza evidentemente rovinati.
-Che cosa hai fatto? Dovevi raccoglierli, non tirarli! Adesso non posso più usarli.- mi rimproverò Flora.
Mi scusai dispiaciuta. Una folata di vento mi colpì il viso e scompigliò la mia chioma chiara.
Il paesaggio che ci circondava era tetro e malinconico. Un cielo grigio dalle sfumature violacee, completamente coperto da nuvole cariche di pioggia. Alberi spogli ci avvolgevano in quella radura priva di vita. La natura era morta e le uniche piante sopravvissute ai primi freddi, erano le erbe curative di cui Flora si serviva.
La mia amica si avvicinò a me e appoggiò le sue mani sulle mie spalle, coperte dal sottile tessuto della camicia logora. Mi guardò negli occhi preoccupata e mi chiese cosa fosse accaduto.
Fino a quel momento era stata molto discreta. Nonostante mi avesse visto presentarmi al campo in tarda mattinata, con i capelli scompigliati, il viso pallido e stravolto, gli occhi sottolineati da profonde occhiaie, non mi aveva chiesto spiegazioni. Adesso però non era riuscita più a trattenere la sua preoccupazione ed era stata costretta a chiedermi notizie. 
-Ci hanno scoperto!-esclamai, sospirando triste.
Mi strinse a sé e accarezzò i miei capelli, ancora umidi per la rugiada mattutina che mi aveva fatto da letto.

Nessuna delle due osò più spiccicare parola. Ci limitammo a passeggiare pensierose per le viottole di campagna.
Costeggiammo numerose case con le mura di mattoni rossi, quasi completamente ricoperte dall’edera. Gli altissimi pini dal fogliame scuro erano gli unici arbusti sopravvissuti all’implacabile e forte vento autunnale. Le panchine di legno, disposte lungo la strada, erano nascoste da decine di foglie dai colori accesi.
Un forte aroma di vino mi penetrò nelle narici : respirai profondamente a pieni polmoni quell’odore. A pochi metri di distanza da noi era raggruppato un gruppo di persone, circondate da bambini che gridavano e cantavano. In un’enorme cesto erano stati versati diversi chili di uva e delle donne li stavano pigiando con i piedi.
Flora vide l’allegria e la festa di quel rituale e decise di prendervi parte. Si voltò verso di me e mi esortò a seguirla.
–Dai sarà divertente!-esclamò entusiasta.
Non ero però in vena di svagarmi e quindi mi limitai a fermarmi a pochi passi dalla folla per poterla osservare.
Si fece spazio nell’affollamento e raggiunse la cesta, poi appoggiò le mani su questa e vi entrò dentro. Cominciò a calpestare i chicchi d’uva, sporcando i suoi piedi e il lembo della veste, e a cantare strane canzoni di tematica campestre. Gli altri la accompagnavano, battendo le mani a ritmo e ripetendo le sue parole. Ammirai il sorriso stampato sul suo volto e la sua gioia contagiosa. Mi dissi che avrei fatto di tutto per essere solare e spensierata come lei. Piuttosto che essere sempre sola ed eternamente condannata alla tristezza. Chissà se ero ancora in tempo per cambiare.

Le diedi la notizia mentre si stava pulendo i piedi, sporchi di succo d’uva con uno straccio che i contadini le avevano offerto.
-Sto pensando di lasciare il campo. Di cambiare vita.- esclamai, interrompendo il suo fiume di parole gioiose. 
Alzò la testa all’istante e mi fissò a bocca aperta. Aveva smesso di strofinare il panno contro la sua pelle. Avevo ottenuto tutta la sua attenzione.
-Sono stanca di essere disprezzata da tutti. Voglio essere un’ordinaria ragazza di paese. Scioccamente banale e comune. Non sarò più una zingara.-
-Te lo ha chiesto Fabrizio?- mi interrogò, puntando i suoi occhi nei miei.
-No. Tuttavia devo ammettere che è per lui che lo faccio. I suoi genitori non approveranno mai la nostra relazione, finché sarò quella che sono. E avessi visto con quale sguardo mi ha guardato sua madre e cosa ha detto! Mi ha accusato di non essere una persona rispettabile! Io non tollero più il biasimo delle persone.-
-E vuoi rinnegare te stessa per un' amore passeggero? Se affidi tutta te stessa a lui, quando ti lascerà cosa ne sarà di te?-
-Io non sono una zingara e lo sai. Io non ho una casa. Per me lui è casa. E se sono obbligata a fare questo sacrificio per lui,per essere finalmente felice, sono pronta a farlo!-
Scosse il capo in segno di disapprovazione e gettò a terra lo straccio con rabbia. Poi lo riprese e terminò di ripulirsi. Quando ebbe finito mi accarezzò una guancia.
-Continuo a credere che tu stia sbagliando, ma sei troppo testarda perché riesca a farti cambiare idea. Ti esorto però a pensarci attentamente prima di fare qualcosa di avventato. Non lasciare che sia l’amore a guidare i tuoi passi!-
-E cosa, dunque?-
-Il senno! La ragione!-gridò, gesticolando come una teatrante.
-Cosa ti avrà mai fatto questo sentimento per odiarlo tanto?- mi lagnai. 
-Nulla. Sono solo una persona ragionevole.-rispose, sfuggendo al mio sguardo e fingendo un sorriso.
Si infilò di nuovo le scarpe e si avviò lungo il sentiero, a passo svelto. Quando la ragiunsi, il sorriso era scomparso dal suo viso.
Vi era dunque anche per lei una ragione per cui soffrire. Talvolta anche il Sole non riesce a splendere.
-Ogni donna ha un segreto. Ha un’ amore sciupato che affiora e divora il suo cuore malato.-le cantai le parole di una vecchia e splendida canzone.
I suoi occhi le si fecero umidi e scosse il capo.
–Non voglio parlarne. Sappi solo che non sei stata l’unica a sognare di volare via. L’illusione di potersi librare in volo è magica. Quando precipiti nel vuoto, però, quando ti senti inghiottita da quell’abisso, credi di morire. Ma alla fine si sopravvive. Anche se ti senti più svuotata. Adesso non credo più in nulla, se non nelle mie azioni. Sono solo loro a garantirmi un buon futuro.-mi gridò stizzita. 
Ascoltai dispiaciuta le sue enigmatiche parole e non dissi più nulla per tutto il tragitto. Non potevo sapere allora cosa l’avesse spinta a pronunciarle, quale delusione le avesse sconvolto la vita.
Appresi solo dopo che cosa le fosse successo qualche anno prima che noi diventassimo amiche.
Un soldato, dall’affascinante accento settentrionale, si era recato al campo ed era rimasto affascinato da lei. Dalla sua bellezza naturale. Dalla sua intelligenza. Dalla sua schiettezza. Dalla sua gaiezza.
Anche lei a quel tempo desiderava vivere una vita lontana dal campo e lui le aveva promesso proprio questo. Le raccontò che l’avrebbe portata via con lui, quando sarebbe tornato nella sua bella Firenze. Quando gliene parlava, Flora riusciva già a vederla davanti ai suoi occhi, cullata dal suono delle sue parole che illustravano e dipingevano una città antica e misteriosa, piena di monumenti, in cui ovunque si respirava cultura. Migliaia di negozi e boutique all’ultima moda, di cui lei sarebbe stata un assidua frequentatrice. I suoi occhi brillavano, quando ci pensava.
Tuttavia quando la famiglia del ragazzo aveva scoperto che il loro rampollo aveva intenzione di sposare una zingara, si erano opposti. Nulla di simile alla mielosa e triste storia di Romeo e Giulietta. Lui aveva considerato che, sposando la candidata proposta dalla sua famiglia, avrebbe mantenuto un tenore di vita agiato. Perché rinunciare alla sua città, alla sua villa, ai suoi soldi per un bel visino?
Così era sparito, senza dir parola. Flora aveva trascorso interi mesi a chiedersi dove fosse andato, inventando per se stessa le migliori tra le menzogne. "Sarà andato a chiarire la questione con la sua famiglia" "Sara stato costretto ad allontanarsi per degli affari" "Presto tornerà da me" 
Aveva scoperto solo in seguito che lui aveva sposato un’altra e che vivevano insieme a Firenze. Il suo cuore, così come i suoi sogni erano caduti in pezzi. Aveva dunque smesso di credere negli uomini, limitandosi ad usarli per migliorare la sua vita. Alcune zingare del campo mi avevano riferito di una sua relazione segreta con un uomo più adulto, grazie al quale era riuscita ad ottenere numerosi contatti a cui vendere le sue erbe. Mi ero sempre chiesta chi fosse ma non riuscii mai a scoprirlo. 
 
Quando tornammo al campo, chiesi se avessero ricevuto qualche messaggio per me e fui sorpresa nel sapere che non ve ne era alcuno. Mi recai immediatamente, senza nemmeno accettare la ciotola del pranzo che le mie compagne mi avevano offerto, alla casetta nel bosco. Non trovai nulla nemmeno lì. Rovistai in ogni angolo di quella minuscola costruzione, come se fosse stato possibile che lo avesse nascosto. Perché avrebbe dovuto occultare un biglietto che voleva trovassi?
Quando ebbi finito, uscii delusa all’esterno e nemmeno mi accorsi della sottile ma fitta pioggerella che filtrava attraverso le foglie degli alti alberi. I sospiri mi sollevano il petto. I pensieri riempivano la mia testa. Le gocce di pioggia mi bagnavano completamente. I denti mordevano nervosamente il mio labbro inferiore. I piedi si immergevano nelle pozzanghere, createsi dove vi erano delle buche.
Mentre stavo per superare il confine tra il mondo delle zingare e il resto della città, vidi Flora corrermi incontro. Mi fermai e la attesi impaziente.
-Vuole vederti questa sera. Alla stazione abbandonata.- furono le uniche parole che riuscì a pronunciare, col fiatone provocatole dalla corsa.
Il viso con cui mi aveva annunciato quelle parole non mi rassicurò affatto. Appoggiai la mia faccia sulla sua spalla esausta. Avevo trascorso una giornata tremenda e pensai che ciò che mi aspettava sarebbe stato peggiore.
          
Incontrare Fabrizio quella serata fu come rivivere un incubo. Camminai sui binari abbandonati di una vecchia ferrovia in sfacelo. Stremata e intirizzita per il freddo, procedetti da sola nell’oscurità. Scorsi la sua sagoma con difficoltà. Quando i suoi occhi scuri incontrarono i miei più chiari, il coraggio gli mancò. Cominciò a correre e mi incitò a seguirlo. Cercai di muovere le gambe il più possibile, ma non riuscivo proprio a raggiungerlo.
Alla fine fu lui a fermarsi in un punto in cui le rotaie non c’erano più e al loro posto era cresciuto un manto di erbaccia scura. La luna fece capolino da dietro ad una nuvola scura e ci illuminò. Lui col volto turbato. Io con un’espressione preoccupata.
-Mio padre ha accosentito affinché studi medicina a Roma.-esclamò secco.
-Wow! Ma è fantastico!- gridai entusiasta.
Mi chiesi perchè mi stesse dando una notizia così bella con un'espressione così seria.
-Parto domani per Roma-aggiunse.
-Domani? Ma non devi prima completare il liceo?- chiesi sorpresa.
-Lui sostiene che se mi diplomassi in un liceo di Roma avrei più possibilità di essere accettato all’Università, che come sai si trova lì.-
Era palese che quella era una semplice scusa. La vera ragione che aveva spinto suo padre ad inscriverlo in una nuova scuola era allontanarci. E nessuno dei due poteva impedirglielo.
Sfoggiai un’enorme sorriso finto e lo baciai, sorprendendo entrambi con la mia audacia.
Le mie labbra impressero sulle sue tutta la mia malcelata tristezza e frustrazione. Quando ci staccammo sussurrò un misero “Mi dispiace”.
-Perché mai? Hai sempre sognato di entrare a medicina e finalmente potrai realizzare i tuoi desideri! Sono felice per te!-
Mi scrutò con attenzione e cercò di capire, guardandomi negli occhi, se stessi dicendo sul serio. Riuscii a nascondere la mia enorme tristezza e a sostenere il suo sguardo per diversi minuti. Gli strinsi forte le mani e lo salutai.
Scappai poi veloce, mentre lui mi pregava di incontrarci il mattino successivo per accomiatarci un’ultima volta. Per un estremo saluto. 

Tornata al campo, mi resi conto che trascorrere una gran manciata di tempo all’umidità può portare a conseguenze gravi.
Quando mi stesi sul telo che mi faceva da letto, la testa mi scoppiava e il mio corpo era scosso da forti tremori. Ero febbricitante e non lo sapevo. L’indomani stetti così male che non riuscii a svegliarmi prima di mezzogiorno, mandando dunque all’aria il mio incontro con Fabrizio.
Quando rinvenii, non feci che rammaricarmi di essermi assentata senza aver avuto la possibilità di comunicargliene la ragione. Mentre gettavo le mie parole al vento, mi immaginavo il ragazzo in viaggio mentre si dispiaceva e si chiedeva perché non fossi andato a salutarlo. Era triste e amareggiato e non poteva sapere quanto lo fossi anche io. Credeva che avevo rinunciato a lui, che non avevo mai tenuto a lui. Non sapeva quanto si sbagliava.
 
E' sincero il segreto è quella musica dolce 
che in passato l'ha fatta sognare 
e che adesso non serve ad un bel niente 
Se c'era una volta l'amore, ho dovuto ammazzarlo

Ragazzi! Spero vi piaccia questo capitolo! La canzone cantata da Destiny a Flora e i cui versi sono scritti anche qui sopra è "Se c'era una volta l'amore"

 

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