Freckles

di Sarucc
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** UNO ***
Capitolo 2: *** DUE ***
Capitolo 3: *** TRE ***
Capitolo 4: *** QUATTRO ***



Capitolo 1
*** UNO ***


Musica nelle orecchie, sparata al massimo ovviamente. “Mi scusi, non è che potrebbe abbassare un po’ il volume della musica per cortesia?” Mi aveva domandato una signora di una certa età, era sempre seduta dietro di me. A malincuore dovetti moderare il volume.
Lessi la prossima fermata sul piccolo tabellone, la mia ora era giunta. Premetti il campanello per prenotare la fermata e scesi all’apertura delle porte. Non so come ma riuscii ad inciampare, un ragazzo che stava salendo sul bus mi tirò per la mano evitandomi il disastro. Lo guardai, disse qualcosa ma non sentivo per la musica alta, annuii e basta. Mi lasciò andare e corsi a lavoro. Sperai di non rivederlo anche domani.
Aprii la porta e Geremia mi squadrò. “Di nuovo in ritardo.” Annuii e filai negli spogliatoi. Le cameriere erano già li e, come al solito, parlavano di come la camicia aderisse perfettamente sul petto di uno dei barman del locale. Feci ruotare gli occhi.
Bets! Tu che ne pensi?” mi domandò Lisa e sbuffò quando la guardai senza rispondere. “Del barman che lavora con te dietro al banco. Mi pare che si chiami Noah.” Disse sognante. “Non sono di mio interesse certi argomenti, lo sai.” Le risposi stiracchiando i muscoli. Sbuffò ancora e continuò a babare con le altre cameriere.
Mi finii di sistemare la camicetta ed uscii, avviandomi al bancone. Il presunto Noah era già a preparare caffè. Quando finì di farne uno mi venne incontro sorridendo. Mi salutò calorosamente. Ricambiai per buon educazione, domandandomi perché mi salutasse. Alzò le mani e mi sistemò il cartellino col nome. “Ti fai chiamare Elisabetta o con qualche nomignolo assurdamente disgustoso e dolce?”. Continuava a sorridere. Ma che cazzo sorrideva? “Dipende. Le cameriere mi chiamano Bets, come la maggior parte dei miei amici. Altri se li inventano i soprannomi.” Annuì e tornò a fare quello che gli riusciva meglio, fare i caffè.
Mi misi a pulire il bancone. Mollai lo straccio, buttandolo dentro al lavandino, quando entrò un cliente e venne verso di me. “Desidera?” chiesi sorridendo. Ed ecco che la solita routine di bibite, cibo e sorrisi fatti a caso a persone sconosciute. Ogni tanto venivano i miei amici ad approfittare dei cocktail gratis che gli offrivo. Quel giorno non vennero, avevano scuola e non volevano saltarla.
Di solito marinavano il mercoledì, ma oggi stranamente hanno deciso di fare i bravi studenti.
Verso mezzogiorno e mezzo arrivò Geremia a congedarci, di clienti non ce n’erano molti quindi a quei pochi ci pensava lui.
In tempo per il pranzo. “Frecks, vieni con me a mangiare un trancio di pizza?” Scossi la testa e mi avviai al Mc Donald. Ma subito mi stoppai, mi girai e lo guardai. Tolsi le cuffie. “Scusa ma come mi hai chiamata?” Ripeté quello strano soprannome. “Perché mi chiami così?” Fece spallucce, aprì la porta della pizzeria e me la tenne aperta. Entrai anche se contraria.
Un trancio margherita per favore” ordinai. “Lo stesso” Sorrise Noah. “Ecco a voi ragazzi” Disse la ragazza porgendoci i due piatti in plastica. “Sono in tutto quattro euro.” Sfoderò uno di quei sorrisi a 44 denti a Noah mentre lui tirava fuori i soldi. Non sembrava nemmeno essersi accorto del tentativo della ragazza di abbordarlo.
Mi scappò una risatina mentre mi sedevo al tavolo. Mi guardò incuriosito mentre addentava affamato la sua pizza. Scossi la testa e mangiai. “Ti ha per caso colpito un fulmine?” Gli domandai prendendolo alla sprovvista. Era di nuovo curioso. “In un anno che lavoriamo assieme solo oggi ti sei accorto della mia presenza.” Rise. “Avevi il cartellino col nome storto.” Inclinò la testa da un lato e continuò a fissarmi, masticando la sua pizza. “Forse sono l’unica con cui non ci hai provato.” Tirai fuori la bottiglietta d’acqua dalla borsa e sorseggiai un goccio. Lui sorrise. “O forse perché sei strana.” “E tu mi hai invitato a mangiare un trancio di pizza solo perché sono strana?” Annuì.
Finii la mia pizza in silenzio e mi alzai. Presi la borsa, salutai ed uscii. La ragazza che ci aveva provato con Noah sembrava fin troppo felice della mia uscita di scena anticipata, ma il suo sorriso svanì quando Noah mi seguì.
Aprii la borsa e tirai fuori il pacchetto di sigarette. Ne tirai fuori una, l’accesi e tirai un sospiro di sollievo. Facevo abbastanza freddo e il fumo si confondeva con il fiato freddo della mia bocca. Noah assistette alla scena. Mi prese la sigaretta e la spense contro il muro bagnato. “Ma che vuoi? Hai appena sprecato una sigaretta nuova.” Mi guardò, buttando la sigaretta in mezzo alla strada dove venne spiaccicata da una macchina. Sospirai e ne accesi un’altra, assicurandomi di tenerla lontana da lui. “Buttami via anche questa e ti lancio l’accendino sui capelli Noah, lo giuro.” Non rispose, alzò solo le mani in segno di resa. Controllai l’ora sul campanile della chiesa li vicino, l’una. Mancava solo mezzora al rientro a lavoro. Tirai un'altra boccata dalla sigaretta sotto lo sguardo deluso di Noah. Lo guardai. “Che c’è? Ora ti preoccupi per i miei polmoni?” “Odio il fumo.” Feci spallucce. “Non sono affari tuoi.” Abbassò lo sguardo e non so perché ma mi sentii in colpa. “Scusami.” Mi guardò spegnere la sigaretta. Attraversai la strada e mi diressi a lavoro. A Geremia faceva sempre piacere quando tornavo prima a lavoro, glielo dovevo visti i miei ritardi mattinieri.
Mi lavai le mani per togliere l’olezzo di fumo. Ed eccolo, il solito afflusso di vecchietti vogliosi di birra e attenzioni. “Signor Benson, le porto il solito?”. “Oh si cara” Disse mostrandomi i suoi denti corrosi dal fumo e dalla vecchiaia. Tirai fuori un bicchiere e lo riempii con birra alla spina. Mi lanciò i soldi mentre gliela poggiavo davanti.
Servii tutti gli altri abituali clienti mentre Noah trafficava con la macchinetta per macinare i chicchi di caffè. Gli diedi una mano, mi ringraziò e tornai ai miei anziani.
Si fecero le quattro e Geremia mi si avvicinò. “Puoi andare, hai lavorato bene oggi.” Lo ringraziai e andai nello spogliatoio a cambiarmi. Tornare ai miei comodi vestiti non era niente male, quella divisa era imbarazzante e scomoda. “Bang bang” trillò il mio telefono. –Hey teso appena stacchi vieni da Macedonia che andiamo a farci un giro?- La mia migliore amica che organizzava ogni possibile uscita. Le risposi con un si veloce, misi la cuffia e le cuffiette. Uscii e salutai tutti. Noah non c’era. Corsi fuori sperando di non incontrarlo. Arrivai alla fermata appena in tempo per salire sul bus. Mi sentii toccare la spalla. “Cosa?” dissi girandomi. Era il tipo della mattina. Tolsi le cuffie e lo salutai. Non rispose. Allora rimisi le cuffie, prenotai la fermata e scesi. Mi voltai a guardare quel ragazzo, aveva un viso familiare ma non lo collegavo a nessuno che conoscevo.
Ed eccoli li, Tia, Ovi e Zac. Alzai la mano per salutarli. Dopo i vari abbracci e sbaciucchi vari, salimmo in macchina di Ovi. Lei era l’unica con la patente. Ovi stava per Ovidia, ma ci ricordava Crudelia e poi, Ovi, è molto più dolce. Mentre Tia e Zac stavano si stavano preparando per l’esame di teoria di guida, io ero alla pratica ma iniziavo a rinunciarci, essendo stata bocciata già una volta per aver quasi investito un pedone.
Salimmo tutti in macchina e, con il solito CD di Hit Mania Summer sparato a palla, partimmo per andare da Macedonia.

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Capitolo 2
*** DUE ***


Arrivammo a casa sua in meno di mezzora. Certo che Ovi era spericolata nel guidare. Macedonia ci venne incontro mentre scendevamo dalla macchina. “Hey ragazzi! Tutto ok?” annuimmo tutti. “Allora, dove ci porti oggi?” erano quasi le sette. La mia pancia reclamava del cibo. “Prima di tutto andiamo in casa che mangiamo la grigliata. Il mio moroso l’ha preparata con tanto amore.” Disse con tono sognante. Feci ruotare gli occhi e Zac mi tirò una gomitata nelle costole. –Bang bang- squillò il mio telefono. Mi allontanai dalla compagnia per rispondere. Era un numero che non conoscevo. “Pronto?” Risposi. “Bets? Sono Noah. Dove sei?” Riattaccai, scuotendo la testa. Ma che si impicciava? Tornai dai miei amici che avevano appena finito di mettere il pollo e le salsicce nei piatti. Andai nella cucinetta a prendere la birra dal frigorifero. –Bang bang- “Che vuoi Noah?” Non rispose subito. “Che torni a casa.” Riattaccai ancora, mi dispiaceva ma stava esagerando. Ritornai dai miei amici. “Ecco la birra rega!” Urlai. Esultarono mentre distribuivo le bottiglie.
Verso le nove ci dividemmo, Zac e il moroso di Mace andarono in salotto mentre noi ragazze salimmo in camera per cambiarci i vestiti. “Bets tu che ti metti?” Fissai dentro l’armadio di Mace e presi un paio pantaloni strappati, la sua maglia dell’Abercrombie e un maglioncino bianco semplice. Mostrai il completo alle ragazze che annuirono. I loro outfit erano formati da vestiti corti con calze oppure da maglie scollate e jeans attillati ma in ogni caso le cose che non potevano mancare erano le nostre giacche da motociclisti e i tacchi. Erano le uniche due cose che non mi rifiutavo di mettere per una bella serata di musica e alcool.
Appena le ragazze si finirono di truccare scendemmo al piano di sotto dove intanto il moroso di Mace aveva invitato un suo amico.
Ragazze lui si chiama Dave.” Lo salutammo. Presi le chiavi della macchina e le lanciai a Ovi. Uscimmo e partimmo con due macchine. Ovi, io, Tia e Zac in una e Dave, Mace e il suo moroso nell’altra.
-Bang bang- “Basta Noah! Mi stai seriamente rompendo.” Dove sei?” I miei amici mi guardavano curiosi. “Basta. Non sono affari tuoi.” E riattaccai. “E’ un ragazzo che viene a lavoro con me, è da prima che mi stressa.” Spiegai. Annuirono senza fare domande.
Arrivammo al club Blue Nights alle dieci, giusto in tempo per iniziare a festeggiare. “Ragazzi però prima dell’alcool direi che ci sta una sigarettina veloce.” Propose Ovi. Tirammo fuori i pacchetti e tra chiacchiere varie fumammo almeno tre sigarette per uno.
Entrammo che tutti erano già in pista a ballare. Trascinai i miei amici a ballare. Tra una canzone e l’altra ci andavamo a bere un po’ di Malibù.
Verso l’una prendemmo quattro bottiglie di Vodka alla pesca, ci sedemmo al tavolo e iniziammo a bere come spugne. Ovi e il moroso di Mace si trattennero dal bere tanto, visto che avevano il compito di riportarci a casa. Quando le finimmo tornammo in pista, anche se eravamo del tutto disfatti la musica ci teneva in piedi.
Per il resto del tempo che rimasi in pista non avevo la consapevolezza di niente di quello che facevo, pensavo solo a muovere i piedi.
Alle tre spaccate la gente iniziava a diradarsi e uscire per vomitare. Appena spenta la musica uscimmo anche noi, barcollanti e fin troppo euforici. I nostri amici sobri ci portarono a casa di Macedonia, dove ci fecero entrare a fatica. Toccato il pavimento di casa crollammo tutti addormentati.
-Bang bang. Bang bang. Bang bang. Bang Bang.- Suonava con insistenza il mio telefono. Mi svegliai che erano le sette e mezza. La testa mi doleva come non mai. Mi guardai attorno, erano tutti addormentati a terra. Mi alzai a fatica e andai in bagno. Fissai la mia immagine allo specchio. Capelli arruffati, trucco sbavato, occhi rossi e succhiotto sul collo. Devasto puro. Scossi la testa. Andai in camera di Mace, aprii l’armadio e le presi una felpa semplice, un paio di pantaloni e raccolsi le mie scarpe. Tornai in bagno e feci una doccia calda. Quando finii erano le otto e venti, i miei amici dormivano ancora, così mi cimentai nell’arte del preparare la colazione. Tostai il pane, tirai fuori le arance per spremerle, presi la frutta e i cereali. Preparai la tavola e vi poggiai tutto sopra.
Tornai in salotto dove tutti giacevano e presi il telefono. Chiamai Noah che mi aveva intasato di messaggi. “La finisci di perseguitarmi?” Gli domandai furiosa. “Sto solo cercando di tenerti alla larga dai guai. Ma ieri sera non ci sono riuscito.” Sospirò. “Oggi vieni?” Domandò. “Il giovedì ho il giorno libero.” Non rispose, mi salutò e chiuse la telefonata. Svegliai i pigroni, che non avevano proprio una bella cera. Si alzarono e facemmo colazione assieme. “Ieri sera è stato fantastico ma siamo veramente messi male eh.” Brontolò Zac. Dave rise. “Avete sboccato come Dio comanda ragazzi.” Disse Ovi e il moroso di Mace confermò sorridendo. Scossi la testa e versai il succo nei bicchieri.
Dopo che tutti si diedero una sistemata lasciammo la casa di Mace per andare a casa mia.
Ciao nonna.” Dissi entrando. Zac, Tia e Ovi fecero lo stesso e quando mia nonna ci salutò andammo al piano di sopra. “Che stanchezza.” Disse Zac sospirando e buttandosi sul mio letto. Presi la poltrona e l’avvicinai a lui. “Però ci stava una serata così.” Dissi. “Si ma ragazzi non vi si regge quando siete ubriachi.” Sospirò Ovi. Le domandai se sapesse qualcosa del succhiotto. “Ad un certo punto della serata un ragazzo ti si è avvicinato, sembrava ti conoscesse.. vi siete messi a ballare e poi ti ha fatto quello prima di sparire.” Rabbrividii al pensiero che potesse essere stato Noah. Non indagai oltre, glielo avrei domandato personalmente a lui il giorno dopo.
Uscimmo a pranzo. Il cinese mi tirava su dopo una serata di sbronza totale. Mentre mangiavamo i nostri involtini primavera, Ovi ci raccontò di come un tipo tentò di abbordarla dicendole che i suoi orecchini risplendevano quanto i suoi denti.
Mi accompagnarono a casa verso le tre. “Domani passate da me?” Annuirono e partirono.
Cercai le chiavi di casa. “Dannata borsa!” pensai. Mentre le cercavo mi sentii toccare la spalla. Il ragazzo del bus era di fronte a me e sorrideva, come le altre volte. Controllò il mio collo e il sorriso svanì. Lo salutai. Rimase in silenzio. “Senti, pure tu ti ci metti a perseguitarmi?” Domandai scocciata. La mia domanda sembrò sorprenderlo ma almeno ricevetti una risposta. “Perseguitarti?” Era impressionante quanto la sua voce somigliasse a quella di Noah. Annuii. “Stavo solo cercando di fare amicizia.” Rispose annoiato facendo spallucce. “Bel modo di iniziare un’amicizia.” Sbuffai. Rise. “Scusa ma devo perfezionare la mia tecnica.” Annuii ancora. “Il tuo nome sarebbe?” Domandai. Scosse la testa. “Non ti dirò il mio nome.” Ero stupita. “E come pensi che dovrei chiamarti?” Sorrise. Scossi la testa, non capendo perché non mi dicesse il suo nome. “Non mi sembra un buon modo per iniziare qualcosa. Come faccio a esserti amica non sapendo il tuo nome?” Domandai. Sembrò pensarci su un attimo ed infine fece spallucce. Sospirai. “Non ho tempo da perdere con ste cazzate.” Si imbronciò. “Mi chiamo Max.”  Disse sospirando. Annuii. “Bene Max. mi sapresti dire perché quando hai visto il succhiotto hai cambiato espressione?” Chiesi dubbiosa. Sembrò agitarsi. Spostava il peso da una gamba all’altra. Si mise a fissare le macchine che passavano. “Non dirmi che..” Tornò con lo sguardo su di me. Lo fissai sbigottita. “Scusa ma come ti sei permesso?” Abbassò lo sguardo. Corsi in casa, sbigottita e stupita. Ma che stava succedendo?

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Capitolo 3
*** TRE ***


Mi buttai sul divano vicino alla poltrona di nonna. “Nonna, secondo te io sono pazza?” Le domandai. Mi guardò, poggiò la sua ruvida mano sulla mia fronte e scosse la testa. “Non ti aspetterai mica una risposta alla Cappellaio Matto vero?” Alzò un sopracciglio e io scoppiai a ridere. La amavo quando faceva così. “No nonna. Solo che ieri è stata una giornata strana..” Mi chiese cosa stesse succedendo e le raccontai tutto. Mi guardò pensierosa. “Si, forse stai impazzendo Bets.” Sospirai. “Ma questo non vuol dire che sia un male. Questo Max, hai detto che ti è familiare no? Sforzati di collegarlo a qualcuno.” Mi disse. Ci pensai un attimo. In effetti somigliava molto a Noah, solo che lui era più spinto mentre Max sembrava molto più riservato. “C’è una certa somiglianza con un collega di lavoro.” Sospirai. Ad un tratto mi ricordai della conversazione con Noah. “Nonna esco, ci vediamo dopo.” Le diedi un bacio sulla fronte e uscii di casa correndo. Presi il primo bus che capitò e scesi dove lavoravo. Entrai nel ristorante sperando che Noah fosse ancora li e per mia fortuna stava staccando ora. Mi avvicinai al bancone, lui era girato verso le macchinette del caffè. “Desidera?” mi domandò. “Lei cosa mi consiglia?” Chiesi ironicamente e sorrisi quando si girò stupefatto. “Che ci fai qui?” Domandò scuotendo la testa. “Non si può nemmeno ordinare adesso?” Misi il broncio. Mi tirò lo strofinaccio in faccia e poi andò a cambiarsi mentre mi facevo un caffè veloce.
Lo vidi uscire e mi affiancai a lui. Mi chiese che volevo. Appena usciti lo trascinai alla fermata. “Conosci un certo Max?” Arrivai dritta al punto, il che lo prese di sorpresa. Balbettò qualcosa. Sbuffai. “Vuota il sacco Noah!” Sorrise e si arrese, alzando le mani. “Ok. Si ne conosco uno. E allora?” Sembrava nervoso. Tirai giù un po’ la scollatura tanto da fargli vedere il succhiotto rosso sul mio collo. Balbettò qualcos’altro e poi brontolò. “E allora?” Ripeté. Sbuffai ancora e lo presi per la maglia, trascinandolo vicino a me. Era un sacco più alto ma riuscivo comunque a tenere il tono minaccioso. “Calma. È un mio caro amico.” Annuii poco convinta. “Mi spieghi cosa intendevi ieri sera?” domandai ancora. Sospirò, incrociando le braccia al petto. “Non so perché ma sento il bisogno di starti vicino e proteggerti.” Si passò una mano tra i capelli, aspettando la mia reazione. Ma non sapevo cosa dire. Alzò un sopracciglio quando vide che avevo aperto la bocca per parlare ma era uscito solo un fioco grugnito.
Annuii poi, riprendendomi dalle sue parole. Gli domandai il perché e lui scosse la testa, come se volesse nascondermelo. “Te l’ho detto. Non lo so nemmeno io. Come hai notato anche tu, ho iniziato a calcolarti solo da ieri. Credimi. Ti trovo simpatica e alquanto attraente. Mi sono sempre piaciute le ragazze more con le lentiggini.” Disse rigirando tra le dita una ciocca dei miei capelli. Ciò mi fece ricordare che avevo il parrucchiere. “Oddio devo correre!”Lo allontanai e corsi via. Ma mi seguì. “Ti do un passaggio, ovunque tu debba andare.” Lo ringraziai e accettai solo perché ero in ritardo. Salimmo in macchina e non appena partì il cuore mi salì in gola. Guidava peggio di Ovi. Mi dovetti aggrappare al suo braccio per non essere sbalzata in avanti quando frenava bruscamente. Rideva ogni volta che ciò accadeva. Io non lo trovavo affatto divertente.
Arrivammo dal mio parrucchiere e corsi giù per entrare come se dovessi fare una rapina. “Oh Bets, sei sempre così di fretta.” Disse la Signora Medison portandosi le mani sulle guance. Sbuffai e salutai tutti. Quando Noah entrò e mi affiancò gli sguardi delle presenti si posarono su di noi.
Mi sedetti su una delle poltroncine davanti a uno specchio, ignorando gli sguardi curiosi. Arrivò la mia amica per tagliarmi i capelli. “Allora Bets, come li facciamo? Solito o cambi?” Sapeva che volevo farmi rossa e tagliare i capelli. La guardai, sospirò. “Vado a prendere la tinta.” E andò in una stanzetta chiusa da una tenda verde scuro.
Presi una rivista e iniziai a sfogliarla ma mi sentivo stranamente osservata, così guardai Noah che intanto mi fissava con disappunto. “Che c’è?” Gli chiesi. “Tinta?” Chiese inarcando un sopracciglio. Annuii e tornai a sfogliare la mia rivista. Me la tolse di mano, offeso perché mi tingevo. “Io ti dico che mi piaci mora e tu ti tingi?” Annuii ancora. “E poi hai detto che ti piacciono le more. Quindi mi faccio rossa. No scherzo. Lo desideravo da un sacco di tempo.” Scosse la testa e si sedette sulla sediolina vicino alla mia, mettendosi a sfogliare la rivista che poco prima avevo io tra le mani.
Mentre aspettavo che la tinta finisse di asciugarsi parlai con Noah di diversi argomenti, che svariavano dal perché avevamo mollato la scuola a come fosse insopportabile il nostro datore di lavoro.
Era un ragazzo simpatico infondo. E neppure tanto brutto, anzi. Ma io non ero tipa che si prende le cotte per il solito, tipico ragazzo che appare perfetto.
Quando finì shampoo e phon, pagai e uscimmo. Tirai fuori le mie sigarette e ne accesi una, ricordandomi ti tenerla lontana da Noah.
Mi guardava con fare di noncuranza e se ne stava appoggiato al muro a fissarmi. “Che vuoi?” Domandai appena finita la sigaretta. Fece una smorfia, alzando le spalle. Alzai gli occhi al cielo e poi cominciai ad avviarmi verso la stazione. “Dove vai?” Mi domandò.”A casa ve.” Si avvicinò a me. “Ti do io un passaggio.” Erano quasi le sette quindi mi vidi costretta ad accettare, ancora una volta.
Correva come un pazzo, esattamente come l’altra volta. Stavolta mi aggrappai alla portiera, attenta a non aprirla.
Sorpassammo casa mia. Lo fissai. “Hey guarda che abbiamo passato casa mia.” Mi guarda sorridendo. Sospirai e chiamai mia nonna, dicendole che sarei tornata più tardi.
Abiti con tua nonna?” Mi domandò, mantenendo lo sguardo sulla strada. “I miei sono divorziati. Mio padre si è trasferito in Spagna dopo il divorzio, mia mamma ora è a Milano per stare vicino a sua mamma.”  “Mi sembri indipendente comunque.” Sbuffai. “Mia nonna è come una seconda mamma, una sottospecie di migliore amica. In più abito con lei solo per badarle. Ho una casa tutta mia.”  La macchina si fermò davanti all’ingresso di uno zoo. “Beh stasera allora pizza da te.” Sorrise. “Scusa ma cosa ci facciamo qua?” Alzò le spalle. Si avvicinò una delle guardie. Pensai che fossimo in divieto di sosta. Noah abbassò il finestrino e sorrise. La guardia alzò il cappello in segno di saluto, ricambiando il sorriso. “Noah. Che piacere. Che ci fai qua?” Mi guardò. “Ah capisco. Delfini?” Rabbrividii. “Odio i delfini.” Gli dissi. Spalancò gli occhi e la guardia non sembrò sorpresa. “Facciamo gli orsi.” Rispose Noah guardandomi ancora. Annuii, considerato che ancora non avevo idea di cosa stesse facendo. Scese, mi aprì la portiera prima che potessi farlo io. “Che cavalleria.” Dissi alzando un sopracciglio. Mi prese un dito e mi tirò dentro lo zoo. Stava diventando tutto troppo strano.

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Capitolo 4
*** QUATTRO ***


Mi stava ancora tenendo per un dito mentre mi guidava attraverso le varie gabbie. Lo zoo era stato illuminato per noi. Non capivo perché mi avesse portato allo zoo, così senza motivo poi. “Perché mi hai portato allo zoo? A quest’ora soprattutto.” Domandai. “Dimmi se non è bello sto serpente.” Disse battendo col dito della mano libera sul vetro. Gli tirai una gomitata nelle costole. “Rispondi.” Gli intimai. “Mi andava di venire allo zoo.” Gli domandai perché la guardia gli avesse chiesto dei delfini. “Alle mie ex piacevano molto i delfini.”Io ne ho paura.” Sospirai. Scoppiò a ridere. Lo squadrai. Sospirai ancora. Continuammo ad andare avanti fra le gabbie. Ad un certo punto lo fermai. “Senti, io però ho fame.” Mi lasciò il dito. “Vado a prendere degli hamburger.”E dove? Non penso gli addetti siano qui per noi.” Sorrise. Mi disse di fidarmi, così mi sedetti a cavalcioni su una panca di cemento mentre lo aspettavo. Tornò una decina di minuti dopo con due panini, due birre e un pacchetto di patatine. “Ammettilo che li tenevi nascosti da qualche parte.” Dissi sorridendo. “E’ solo la scorta di cibo degli addetti del turno di notte.” Disse porgendomi un panino e una birra. Li presi volentieri.
Scoprii molto su Noah quella sera. Era figlio unico, viveva col padre visto che la madre l’aveva partorito e poi era sparita. Era molto simpatico anche se tendeva a chiudersi in se stesso quando gli chiedevo di lui.
Stappai la bottiglia e bevvi un sorso. “Da quanto fumi?” mi domandò. “Sono tipo cinque anni ormai.” “Perché fumi?” Mollai il panino per pulirmi. “Non so. Ho iniziato per caso. Ho amato fin dall’inizio l’odore del fumo, il pizzicorio sulla lingua.” Scossi le spalle e finii il mio panino mentre mi guardava. “Che c’è?” domandai. Scosse la testa. “Sei sporca sulla maglia e sulla guancia.” Diedi un’occhiata e notai che aveva ragione. Avevo una bella macchia di Ketchup. “Merda, non ho il cambio.” Sbuffai. “Vado un attimo a togliere la maglia, tengo solo il maglione.” Sorrise. “Puoi cambiarti anche qua se vuoi.” Ti piacerebbe.” Risposi alzando gli occhi al cielo. Mi misi dietro ad un cespuglio, assicurandomi che Noah non mi vedesse. Mi levai la maglia e gliela lanciai, finendo per distrarlo e fargli cadere il panino sui jeans. Scoppiai a ridere quando finii di infilarmi il maglione e tornare da lui. “Vendetta.” Dissi ridendo. “Ah ah. Divertente. E io come faccio ora?”  Tirai fuori dalla borsa delle salviettine umidificate e gliele passai. La macchia andò in parte via, ma rimase l’alone.
Per le dieci andammo a fare un giro in centro, era sempre così bello la sera.
E se andassimo a berci qualcosa?” Propose. Stavo per rispondergli quando vidi in lontananza un gruppo di ragazzi ubriachi che stavano venendo contro di noi. “Non mi sembra il caso Noah.” Seguì il mio sguardo e capì. Mi prese di nuovo per il dito e mi trascinò via mentre quei ragazzi ci urlavano di fermarci, di andare a bere con loro. Noah stava quasi correndo da quanto andava veloce. Troppo veloce, non vidi un sasso e caddi con la faccia a terra. “Cazzo Bets.” Mi raccolse da terra nel momento in cui i ragazzi si era avvicinati a tal punto da poter sentire l’olezzo di alcool che emanavano. “Fermatevi con noi dai.” Disse uno con una bottiglia vuota in mano.
Zoppicavo tenendomi a Noah ma uno del gruppo lo tirò per la maglia, facendolo cadere. Mi buttarono da una parte mentre se la prendevano con Noah. “Ti tieni le puttane solo per te?” disse sghignazzando quello con la bottiglia vuota. Non reagiva, se ne stava li a fissarli. “Hai paura? Vuoi andare a scopartela?” Si fissavano in cagnesco. “Non è una puttana. A differenza di te non uso le donne per soddisfare le mie voglie.” Buttò la bottiglia per terra e si diresse verso di me.
Ormai l’uomo era vicino al mio viso. Mi annusò i capelli. “Cos’è? L’odore delle puttane?” Sghignazzò. “Posso fare ciò che voglio.” Riprese. Guardò Noah che intanto veniva tenuto fermo da due tipi. Lo guardai, cercando di farlo stare tranquillo. Ma più lo guardavo più si agitava. “Non ti potrà aiutare.” Mi disse l’uomo e io tornai con lo sguardo su di lui. Mi ruttò in faccia. Gli tirai una capocciata per poi tirargli una ginocchiata nelle parti intime. Cadde a terra dolorante. Noah colse il momento di distrazione degli altri uomini per liberarsi e scagliare un cazzotto nei denti a entrambi. Gli altri del gruppo scapparono a gambe levate mentre i tre stesi a terra trovavano il modo di alzarsi.
Tirai Noah per la maglia per portarlo via prima che potesse fare qualcos’altro. Mi prese per le spalle scuotendomi appena un po’. “Stai bene Bets?” Sorrisi. “Non mi ha nemmeno sfiorato.” Lo abbracciai, ringraziandolo. Mi prese di nuovo per un dito e mi trascinò in un bar vuoto, ci sedemmo e ordinò due cioccolate calde. Non appena arrivarono presi la tazza tra le mani per scaldarle. Sospirai dal sollievo. “Fa veramente freddo fuori.” Dissi e Noah annuì. “Che hai?” gli chiesi mentre mettevo lo zucchero nella cioccolata. “Erano dei veri bastardi.” Disse con rabbia. Sembrava volesse ucciderli. Una scintilla di odio gli balenò negli occhi. “Noah, tranquillo. Nessuno dei due si è fatto male e li abbiamo sistemati per bene.” Mi guardò, gli sorrisi prendendogli il dito e giocandoci un po’. “Siamo stati grandi.” Dissi ancora, tirando via la mano per prendere la tazza e bere un altro po’. Sospirò e bevve la sua cioccolata come se fosse acqua, come se il caldo bruciante non gli desse minimamente fastidio. Immaginai si fosse raffreddata. Guardai l’orologio sul telefono e notai che erano ormai le undici e mezza. “Noah, mi riporteresti a casa?” Annuì, andò a pagare e poi uscimmo. Ovviamente mi prese un dito per trascinarmi e tenermi d’occhi, come diceva lui.
Una ventina di minuti mi portò a casa mia, quella vera. “Posso dormire qua?” Mi domandò. “Come scusa?” Annuì, confermando che avevo sentito bene. “Perché?”Mio padre non c’è. E sarei da solo.” Sospirai. Scendemmo dalla macchina. Presi le chiavi e aprii ma prima di entrare lo guardai, avvisandolo che se avesse fatto qualcosa avrei reagito male. Sorrise e lo lasciai passare.
Si diede un occhiata attorno sbigottito. “Ma è un castello.” Disse. Alzai le spalle noncurante, ormai ero abituata alla grandezza di quella casa. “E’ solo tanto grande. Ci vogliono un sacco di soldi per scaldarla tutta. Per questo evito di viverci, anche se mio padre insiste per pagarmela.” Si mise a curiosare in giro finché non trovò il bagno. “Non è che potrei lavarmi?” Mi domandò. Aprii un cassetto e gli lanciai una delle maglie che mio padre mi aveva lasciato. “Dovrebbe starti, non ho pantaloni comunque. La tua camera è in fondo al corridoio a destra. Buonanotte.” Mi diede la buonanotte e salii le scale avviandomi al mio bagno. Mi feci una doccia calda e poi mi infilai nel letto.
Non appena chiusi gli occhi sentii le scale scricchiolare e la porta aprirsi. Mi rigirai dall’altra parte. “Senti Noah” sbuffai “E’ già tanto che ti ho fatto dormire qua stanotte. Non farmene pentire.”
I passi si fermarono vicino al mio letto. Sbuffai ancora, cocciuto. Mi girai e feci per alzarmi quando notai degli occhi troppo verdi per essere quelli di Noah. Soffocai un urlo quando intravidi un sorriso. “C… chi sei?” domandai. “Qualsiasi cosa tu voglia.” Disse ridendo.
Rabbrividii. “Cosa vuoi?” Immaginai stesse per rispondermi ma fu spaventato dai passi frenetici di qualcuno che correva su per le scale, forse Noah.
L’intruso mi salutò cordialmente, aprì la finestra e si lanciò giù. Corsi a vedere se si fosse fatto male ma non c’era traccia. In quel momento Noah entrò in camera, accese la luce e mi chiese cosa fosse successo. “In che senso?”Ho sentito dei passi e tu che parlavi con qualcuno.” Mi domandai come avesse fatto a sentirmi. Scrollai le spalle e guardai verso la finestra dove le tende svolazzavano impazzite. Si stava facendo tutto sempre più strano.

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