Amanda

di sapphire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***
Capitolo 3: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Parte I ***


Amanda parte I
Titolo: Amanda
Paring: Johnlock.
Generi: Drammatico, angst, romantico.
Avvertenze: slash
Rating: giallo
Beta: il mio cervello
Trama: Ultimo episodio della terza stagione totalmente stravolto.
John non riesce a perdonare Mary per avergli mentito su chi è veramente e legge i file sulla chiavetta USB scoprendo cose che mai avrebbe voluto sapere.
E mentre Sherlock lo spinge a perdonarla lui non riesce nemmeno a guardarla in faccia. Ma il bambino c’è , esiste ed è l’unica cosa che lo tiene legato alla moglie, una moglie che rischia di morire di parto.
Capitoli: 2 + epilogo
 
Note iniziali:  Per chi amasse il personaggio di Mary avviso “lasciate ogni speranza oh voi c’he entrate”! o fuggite sciocchi, come preferite! XD Insomma se Mary vi piace e non volete vederla soffrire cambiare storia!
Ovviamente il titolo è stato scelto è per rendere onore all’attrice che interpreta Mary nella serie e che io trovo sia semplicemente perfetta nonostante abbia rovinato le mie fantasie johnlockiane -.-
L’ho divisa in tre capitoli perché word mi segnava più di 60 pagine e non ho il dono della sintesi -.-
Spero con tutto il cuore di aver reso i personaggi IC anche se ammetto  è stato difficile soprattutto con Sherlock.
La storia inizia a partire dalla 3x03 quando Sherlock ritorna in ospedale per l’emorragia dovuta alla ferita.
Auguro buona lettura a tutti  i lettori(?)/ lettrici.
 
Desclimer : Nulla di tutto ciò è mio ma appartiene a Sir Conan Doyle, alla BBC a ai rispettivi autori cui rendiamo grazie per averci donato cotanta bellezza. Amen.
La storia è di mia invenzione scritta senza scopo di lucro.
 
 
 
Amanda
 
 
PRIMA PARTE
 
Maggio
 
 
<< Come faccio? Come diamine faccio ad andare avanti, eh? Come faccio ad alzarmi ogni mattina e guardarla negli occhi senza vedere te steso a terra esanime? >>
<< L'hai scelta, John >> fu la lapidaria risposta di Sherlock.
John lo guardò intensamente per diversi secondi prima di crollare seduto su una sfortunata sedia verde in plastica abbandonata accanto al letto.
Sherlock faceva fatica a respirare in quel momento ed era uno strazio per lui restare seduto a guardarlo annegando nei sensi di colpa, senza sapere cosa fare per farlo stare meglio.
<< Si. Ho scelto lei >> sussurrò emettendo un fremito nel sospirare << L'ho scelta e adesso non so nemmeno perchè >> ammise.
<< No, lo sai >> ribatté chiudendo gli occhi << la ami John e hai scelto perchè è più simile a te di quanto avessi immaginato >>
Sherlock emise un sospiro stanco: la morfina stava facendo effetto e il suo corpo debilitato stava cedendo al sonno. John capì che avrebbe avuto poco tempo: doveva parlargli subito, prima che le flebo lo stordissero.
<< Ho letto i file sulla chiavetta usb >>
Sherlock sgranò gli occhi e indirizzò lo guardo verso di lui, sorpreso << Perché? >>
<< Dovevo farlo >>
Sherlock rimase in attesa sforzandosi di restare lucido e vigile ancora per qualche
minuto << ho aperto quei dannati file e aveva ragione. Ho smesso di amarla prima di arrivare alla fine >>
<< John... >> sussurrò con un filo di voce <<  ho accettato il suo caso >>
<< Tu vuoi arrivare a Magnussen >>
<< Sì ... anche >>  respirò profondamente ignorando la dolorosa fitta al torace << Mary ha bisogno del nostro aiuto. I documenti in mano a Magnussen potrebbero- >>
<< Ti ha sparato, Sherlock! >> gridò soffocato.
<< Mi ha salvato la vita. Avrebbe potuto uccidermi e non l’ha fatto. Risolverò il suo caso >>
John osservò il viso dell'amico distendersi e con un gesto premuroso gli sistemò il cuscino sotto la testa dandosi tempo per controllare attentamente la nuova cicatrice che svettava sul suo torace.
<< Come faccio a perdonarla? >> domandò tornando a sedersi composto sulla sedia, ignaro di essere ascoltato.
<< Hai perdonato me >>  mormorò Sherlock prima di addormentarsi.
 
 
 
 
La trovò seduta davanti al tavolo della cucina, immobile e silenziosa, avvolta in una sottile vestaglia rosa.
Teneva la testa china su una tazza di tè oramai fredda respirando a scatti.
Piangeva.
John pensò a come sarebbe stato facile, prima che la verità li schiacciasse, abbandonare le chiavi nell'ingresso e percorre i pochi metri fino alla cucina e avvolgere le braccia attorno alle sue spalle stringendola a sé dolcemente. Con lei era sempre stato semplice interpretarne i gesti, gli sguardi e rivolgerle gesti amorevoli, banali e nello stesso tempo essenziali.
La osservò ancora, chiedendosi perché si fosse dato la pena di tornare a casa.
Il bambino. Certo, il bambino, perché per quanto potesse odiare sua moglie in quel momento, non poteva ignorare l'essere che le cresceva dentro.
Altro non aveva desiderato che una famiglia dopo la morte di Sherlock e non aveva desistito nemmeno dopo la sua ricomparsa, nemmeno dopo averlo perdonato. Era stato tanto egoista da voler vedere il proprio sogno realizzarsi? Perché doveva essere punito in quel modo così crudele?
Un’intera vita per meritarsi lei.
Sherlock aveva spiegato che l’aveva scelta sapendo inconsciamente il pericolo che rappresentava, assuefatto da uno stile di vita adrenalinico, assuefatto dal rischio.
Forse aveva ragione, ma lei non sarebbe dovuta essere così. Sarebbe dovuta essere una persona normale, felice, sorridente, bella, spensierata e intelligente tale da contrastare l’aura spericolata di Sherlock. Non aveva chiesto un’assassina spietata. Non aveva chiesto una donna capace di ferire mortalmente il suo migliore amico.
 
 
Mary non si mosse di un centimetro aspettando che fosse lui a parlare per primo.
<< Immagino ti debba ringraziare- esordì tagliando il silenzio glaciale che regnava in casa- in fin dei conti Sherlock è vivo. Di nuovo in ospedale, ma vivo >>
<< John >> lo chiamò con una nota di pura disperazione nel tono di voce.
<< Non riesco a perdonarti. Non riesco neppure a sopportare la tua presenza al momento >>
Mary si riscosse e, voltandosi, incontrò gli occhi del marito, glaciali, scuri di rabbia. << Ma ti ho scelta. Dio solo sa perché ho scelto di meritare te come compagna e non ho intenzione di tirarmi indietro >> parlò rude ignorando le lacrime della donna.
<< E’ questa la mia punizione?  Un marito che mi odia e una casa gelida? >>
<< Puoi sempre scegliere di andartene, ma non te lo permetterei. In grembo porti mio figlio e farei qualsiasi cosa per lui, per tenerlo al sicuro. Lui non merita il mio rancore >>
<< John … >>
<< Hai sparato a Sherlock! >> urlò con il viso infiammato di rabbia al solo sentire il suo nome pronunciato dalla donna << Sherlock è in ospedale attaccato ad una flebo perché tu gli hai sparato! >>
<< Non avevo scelta! >>
<< Potevi scegliere di non rovinarmi la vita >>  Mary tremò di un pianto a stento trattenuto << E sai qual è la cosa assurda? Che lui ti difende. Vuole aiutarti, risolvere il tuo caso >>
Mary restò in silenzio per qualche secondo esaminando l’espressione furente di John pronto ad urlare ancora se ne avesse sentito il bisogno. Restò in silenzio perché sapeva di meritarsi tutta la sua ira, la sua frustrazione e la delusione di scoprire di non conoscere la propria compagna come si credeva.
<<  Hai... Hai letto i file? >> John rispose con un silenzio greve. Si voltò muovendo due passi verso la camera da letto degli ospiti.
<< Grazie a te Sherlock avrà bisogno di aiuto e ho intenzione di assumermi questo compito prima che ci pensi Mycroft >>  concluse chiudendosi la porta alle spalle.
 
 
 
Secondo i medici era vivo per miracolo ed erano stati abbastanza benevoli nel dare una prognosi di trenta giorni. Sherlock non era un paziente facile da trattare con i suoi continui lamenti a proposito della noia e delle morfina che gli infermieri avevano improvvisamente fatto sparire dalle flebo sostituendola con blandi antidolorifici.
John aveva passato la mattinata a parlare con i dottori e a subire gli attacchi testuali di Mycroft e Lestrade ed ora non gli restava altro da fare che ascoltare gli sproloqui del suo migliore amico, sveglio e vigile nonostante il dolore costante al petto.
Una macchina, giurò di avere di fronte.
<< Perché sei qui, John? Non dovresti essere a casa a lavorare sul tuo matrimonio? >> lo aggredì il detective mentre tentava disperatamente di togliersi gli elettrodi dal torace.
John sospirò spazientito e lo fermò prima che potesse azzardare ad alzarsi dal letto.
Era sveglio da soli  due giorni e già voleva riaddormentarlo a suon di pugni.
Non bastava il gelo della sua dimora in periferia e il suo rancore verso Mary che andava acuendosi sempre più, ora c'era anche Sherlock con il suo infantile modo di fare il malato e le continue aggressioni verbali .
<< Sherlock. Non mi rendere la vita più difficile di quello che già è. Hai avuto un'emorragia interna e benché parli non sei ancora fuori pericolo >>
<< Hai parlato con Mary? >> esordì il detective incerto sul porre o meno quella domanda.
John si rabbuiò tornando a sedersi sulla sedia verde e Sherlock interpretò il suo silenzio << Devi perdonarla John >>
<< Mi hai chiesto di fidarmi. Non ti perdonarla  >>
<< E’ tua moglie. Stai per diventare padre. Hai sempre desiderato una famiglia. >>
<< Che non comprendeva una donna traditrice e assassina >>
<< Smettila di comportati così. Sapevi esattamente che tipo di donna fosse ancora prima di sposarla >>
<< Sì e mi odio per questo >> parlò trattenendo a stento un gemito d’angoscia << odio l’ essere attratto solo da sociopatici e assassini >>
Sherlock lo ignorò volgendo il capo verso la sacca della flebo il cui liquido trasparente scendeva lentamente, goccia dopo goccia in modo ipnotico.
<< Cosa c'era in quella chiavetta? >>
 << La lista delle sue competenze e degli ordini ricevuti. E’ nata in Ucraina. Il suo vero nome è Aida >>  parlò con un nodo in gola << Aida … >>
Sherlock si infossò nel letto ospedaliero, meditando .
<< Ucraina. Avrei detto Moldavia, ma- >>
<< Sherlock! >> Il detective si zittì per qualche secondo scrutandolo profondamente nel modo in cui spesso  metteva in soggezione le persone è che John apprezzava perché sapeva che quel tipo di sguardo precedeva una domanda o un'affermazione brillante.
<< Che cosa hai intenzione di fare? >> ed eccola, la domanda chiave, a cui non poteva dare una risposta.
<< Non lo so >> disse << aspetta mio figlio Sherlock... mia moglie aspetta un bambino e io non riesco nemmeno a guardarla in faccia >> John si passò le mani sul volto, distrutto.
<< E ti ha sparato. Dopo tutto quello che ho passato quando ti credevo morto, lei ti ha sparato >>
Sherlock trattenne il respiro colpito da quelle parole.
<< Non - non aveva altra scelta >> rispose incerto.
<< Poteva non mentirmi >>
<< E l'avresti amata lo stesso se avessi scoperto la verità? >>
<< No >>
<< Sbagliato John – ammiccò lievemente cogliendo in fallo l’amico -non sono pratico di sentimenti, ma so che prima o poi andrai avanti. La perdonerai >>
<< Non dopo quello che ho letto >>sussurrò tristemente.
<< Non avresti dovuto farlo >> lo ammonì duramente << Mary ti ha dato la possibilità di scegliere e tu hai fatto l’ultima cosa che avresti dovuto fare. Avresti dovuto lasciare quei file esattamente dov’erano. Nel suo passato >>
<< Tu sai sempre tutto, vero? >>
Sherlock sospirò pesantemente << Solo il suo nome in codice e alcuni  dei suoi obbiettivi >>
<< Amanda >> lo interruppe piegando le labbra in una smorfia di disgusto << aveva quattro anni. C'è un intero fascicolo su di lei, un rapporto dei servizi segreti Russi. Catalogato come incidente. Ora dimmi Sherlock, come posso perdonare mia moglie dell’omicidio di una bambina di quattro anni figlia dell'ambasciatore portoghese? >>
Sherlock cercò di mettersi seduto pensando velocemente ad una risposta. Non la trovò e per una volta decise di tacere. Qualsiasi cosa sarebbe risultata ridicola da dire in quel momento.
<< Non ce la faccio >> John si passò ancora le mani sul viso, stanco e spossato dalla situazione.
<< Non c'è niente che io possa fare John. Non rinchiuso qui. Fermerò Magnussen...-
<< In questo momento, quello stronzo è l'ultimo dei miei problemi >>
Sherlock aggrottò la fonte, incerto: << Dubito che i file in mano a quell’uomo non siano rilevanti per te >>
<< Magnussen potrebbe anche dare quei documenti a Lestrade e starei a guardare >>
<< Non essere assurdo >>
<< Ho bisogno che tu mi dica cosa devo fare perché non ce la faccio >> ammise e Sherlock contemplò per qualche attimo il viso dell’amico. Non erano molte le opzioni valide o accettabili e, seppur era vero che aveva fatto rimettere a posto la poltrona del dottore a Baker Street, non poteva permettergli di scappare. Aveva giurato di proteggerli e lo avrebbe fatto a qualsiasi costo nonostante questo gli causasse un dolore acuto al petto che non aveva ancora trovato il tempo di definire.
John lo guardò totalmente annientato.
<< Torna da tua moglie, John >> l'uomo esitò << fallo per tuo figlio >>
 
 
 
Dicembre
 
Mary per la prima volta dopo tanti anni ebbe di nuovo paura; una paura cieca che la paralizzò contro lo schienale del divano di casa Holmes.
Si toccò il ventre gonfio e prese un respiro per calmarsi.
John stava rigirandosi tra le mani la chiavetta Usb davanti ai suoi occhi guardandola con aria turpe. Mesi e mesi di silenzio e ora il momento era arrivato. Aveva passato ogni singola notte a pensare ed immaginare una risposta da parte di John – mi perdonerà, non lo farà, vorrà il divorzio, vorrà vedermi sparire- il quale preferiva evitarla anziché degnarla di una parola. Ed ora era lì davanti a lei con il caminetto scoppiettante alle spalle e il suono di una composizione classica nell’aria.
<< Dimmi se hai letto i file >>
John non disse nulla sbattendo la piccola scatolina argentata sul tavolino accanto al divano.
<< John. Hai letto i file? >> ripeté con gli occhi carichi di lacrime.
<< Mesi fa >>
Mary singhiozzò abbassando lo sguardo << Oh Dio, no … >>
<< Sei stata tu a consegnarmela >>
<< Non avrei mai sperato che la aprissi >> si alzò in piedi a fatica sorreggendo il peso del pancione con una mano asciugandosi le lacrime con il palmo dell’altra. << Perché ora? >>,
<< E’ Natale >> rispose John amaramente << era Natale anche quel giorno, vero? Quando uccidesti Amanda >>
Mary sgranò gli occhi colpita << Era stato un … errore. Dio, John non passa giorno che non mi penta di quello che ho fatto. Per questo motivo ho cambiato vita diventando Mary >>
<< Aveva quattro anni per l’amor del cielo! Come fai a dormire la notte? >>
Bill Wiggins si affacciò alla porta, controllando la situazione con circospezione. Se il suo nuovo amico Sherlock aveva architettato quel pranzo natalizio in famiglia per far riconciliare i due sposi aveva fallito miseramente. Tornò in soggiorno continuando a mescolare il punch con un cucchiaio d’argento.
<< Ma è questo che sei, vero? Un’assassina >>
<< Non potrai mai perdonarmi, vero? >>
John sospirò << Forse un giorno potrei perdonare il tuo passato, forse potrei perdonarti l’avermi mentito, ma non potrò mai perdonarti di aver ferito Sherlock. No … non posso, non ci riesco e non dirmi che non avevi scelta perché potevi benissimo scegliere di non prendermi in giro fin dall’inizio >>
Non replicò leggendo in lui tutta la rabbia e la delusione che perpetrava dai suoi occhi << Che cosa hai intenzione di fare? >>
<< Recupererò i documenti che Magnussen ha su di te. L’ultima cosa che voglio è mandarti in prigione proprio adesso che hai mio figlio in grembo. Non ha bisogno di una madre dietro alle sbarre colpevole di pluriomicidi o sequestro di persona. Ma sappi che lo faccio solo per mio figlio. Sono stato chiaro? >> Mary si morse le labbra a sangue versando calde lacrime di disperazione << Io e te abbiamo chiuso >>
L’attimo dopo svenne accasciata contro di lui.
John la sistemò in modo che non cadesse ed aspettò Sherlock.
 
 
Quando uscirono dalla porta principale l’elicottero era già atterrato sopra la brughiera.
John non nascose la sua ansia sfregandosi le mani e tentando di ignorare il laptop che Sherlock sorreggeva a mezz’aria.
Mesi e mesi di preparazione per attuare un piano che aveva il sessanta percento di possibilità di fallire e solo in quel frangente John si chiese perché lo stesse facendo.
<< Spero che il tuo piano funzioni >>
<< Lo spero anche  io >>
John esitò prima di aprire il cancello del cortile << Vuoi che tua moglie sia al sicuro? >> lo incentivò il detective regalandogli un’occhiata aspra.
<< Voglio che mio figlio sia al sicuro >> precisò << e davvero credevi che la perfetta vita matrimoniale dei tuo genitori fosse d’esempio per me? Per farmi cedere e perdonare Mary? >>
Sherlock sospirò e camminò verso l’elicottero a passo svelto << Ci ho provato. Ma avevo anche bisogno di una scusa per attirare Mycroft fuori da Londra e un pranzo in famiglia dopo la mia recente degenza in ospedale era la scusa perfetta >>
John prese un respiro e salì sul velivolo indossando le cuffie di protezione << Dopo che avrò riavuto i documenti di Mary dovrai scegliere, John. Lei non sarà più in pericolo e dovrai scegliere >>
<< L’ho già fatto >> ammise tristemente immaginando le future difficoltà a cui sarebbe andato in contro.
Avrebbe dovuto chiedere il divorzio? E il bambino? Lo avrebbe lasciato nelle mani della donna che sapeva essere stata un’assassina? Sarebbe dovuto tornare a Baker Street?
L’unica sua certezza era che non avrebbe mai più voluto dividere la vita con Mary.
Aveva cercato di trovare in sé tutte le motivazioni possibili per restare, morte quando aveva preso consapevolezza che non voleva realmente trovarne una altrimenti non avrebbe mai letto i file sulla chiavetta. Aveva semplicemente deciso di smettere di amarla.
<< John >> lo chiamò Sherlock << una mossa falsa e violeremmo la sicurezza del Regno Unito e verremmo incarcerati per altro tradimento. Magnussen è l’uomo più pericoloso che abbiamo mai incontrato e le probabilità di successo sono contro di noi >>
<< Perché facciamo tutto questo il giorno di Natale? >>
<< Il piano era questo John. Ne abbiamo discusso a lungo! >>
<< Ma è Natale! >>
<< Mi sento così anche io >> John gli lanciò un’occhiataccia << oh, tu intenti che è davvero Natale. Hai portato la pistola? >>
<< Sì … è nel giubbotto >>
<< Bene >>
Mai avrebbe immaginato che il sorriso che gli rivolse in quel momento sarebbe potuto essere l’ultimo. Mai avrebbe immaginato che potesse accadere una cosa del genere.
 
                                                        ***
 
<< Mi dispiace. Non avrà l’occasione di fare l’eroe questa volta, Signor Holmes >>
<< Oh, si informi. Non sono un eroe! Sono un sociopatico iperattivo! Buon Natale! >> e la pallottola esplose nel cervello di Charles Augustus Magnussen.
Il rumore degli elicotteri e della voce di Mycroft Holmes fecero tornare John Watson alla realtà, una realtà in cui il suo migliore amico gli aveva rubato la pistola dalla tasca del giubbotto per uccidere il loro nemico.
Il cuore gli scoppiò nel petto mentre il panico si faceva strada nel suo corpo con una violenza tale da lasciarlo confuso e tremante.
<< Gesù Cristo, Sherlock! Cosa hai fatto!! >> gli urlò contro disperato senza ascoltare gli ordini di stargli lontano.
Sherlock Holmes era appena diventato un assassino. Per lui, per Mary e per il bambino. Tenne le mani dietro la testa, respirando pesantemente con il vento violento provocato dagli elicotteri che tagliava la sua pelle e feriva i suoi occhi.
<< Sherlock … no! Maledizione no!! >>
<< Porta i miei saluti a Mary, John! Dille che è al sicuro ora >>
<< Non sparate, non sparate! Ripeto non sparate!! >>
<< Perdonala John. Meriti di essere felice >>
<< Oddio Sherlock! >>
<< Promettimi che sarai felice!! >> urlò con tutto il fiato che aveva in gola voltando il capo verso di lui per guardarlo intensamente con fiera determinazione e una punta di disperazione negli occhi lucidi.
Sulle guancie di John caddero due lacrime << Te lo prometto >>
 
 
Gennaio
 
 
 
Mary era presente in quella pista di decollo, muta e dispiaciuta, tesa ad osservare suo marito salutare Sherlock Holmes l’uomo che nonostante tutto, nonostante le sue bugie e l’aggressione subita le aveva salvato la vita distruggendo la propria.
Era un uomo straordinario, un uomo che capì di non meritare nella sua vita. Un uomo che in un modo machiavellico e a dir poco assurdo meritava solo John.
Lo salutò con un cenno del capo e un sorriso di pura gratitudine consapevole che quando e se fosse tornato a Londra lei non sarebbe più stata Mary Watson.
 
John ignorò il cenno del capo di Sherlock e aspettò che Mycroft si allontanasse per dire con imbarazzo evidente << Eccoci qua >> pentendosi  poi di aver osato borbottare  una cosa così stupida.
Sherlock accennò un sorriso amaro.
Sapevano entrambi come sarebbe finita, che le parole scambiate in quella pista d’atterraggio sarebbero potute essere le ultime e quella consapevolezza stava scavando ad entrambi un cratere al centro del petto.
<< William Sherlock Scott Holmes >>
<< Come? >>
<< E’ il mio nome. Nel caso tu e Mary->>
<< Non c’è più nessun io e Mary. E comunque non darei mai a mio figlio il tuo nome >>
<< Peccato. Ne sarei stato onorato >>
John rise e Sherlock lo imitò.
Si guardarono attorno per qualche secondo in silenzio.
<< Non so davvero cosa dire >>
<< Nemmeno io >>
Sherlock guardò ancora Mary troppo lontana da loro perché potesse sentire.
<< Me l’hai promesso John >>
<< Promesso cosa? >>
<< Che saresti stato felice >>
<< Lo sarò. Quando nascerà mio figlio sarò davvero molto felice >>
<< Era implicito con Mary >>
John scosse la testa << Non posso >>
<< Hai perdonato me John e ti ho fatto molto più male >>
<< Come lo sai? >>
<< Lo so >>

Gli occhi cristallini di Sherlock si posarono sui suoi scuri di rabbia e disperazione appena trattenuta.
<< Non cercare scuse per lasciarla. Cerca un motivo per restare invece >> gli suggerì.
<< Perché? >>
<< Perché io non ci sarò più John >>
John sgranò gli occhi e finalmente capì. Capì che Sherlock aveva già intuito molto prima di lui ciò che gli aveva nascosto per il bene del suo matrimonio e della sua sanità mentale. Capì e ne rimase sconvolto.
L’attimo dopo cercò di ignorare quel peso al centro del petto.
Sherlock accennò un altro sorriso.
<< Trova un modo per perdonarla. Fallo per me >>
<< E’ proprio per te che non posso farlo >>
Sherlock alzò gli occhi al cielo.
<< Sentimenti >>
<< Dove andrai adesso? >>
<< Est Europa. Una missione sotto copertura >>
<< Per quanto tempo? >>
<< Sei mesi, secondo mio fratello. Non sbaglia mai >>
John trasalì << E poi? >>
<< Chi lo sa >>
John prese un respiro profondo verso il cielo cercando di calmarsi.
Gli stava dicendo addio. Sherlock Holmes questa volta gli stava dicendo addio per davvero. 
<< John, c’è una cosa che devo dirti >> aggiunse dopo qualche secondo lasciando che trasalisse di nuovo per l’aspettativa che s’inseriva fra quelle parole << e te la voglio dire da sempre e non l’ho mai fatto. Dato che è improbabile che ci rivedremo di nuovo, tanto vale che te la dica >>
John si immobilizzò in attesa sperando e non sperando che dicesse quelle parole che si aspettava dicesse. E poi, cos’ altro avrebbe dovuto dire in quel momento?
<< Sherlock è in realtà un nome femminile >> e rise.
John ridacchiò esasperato e divertito al tempo stesso.
<< Non è vero >>
<< Valeva la pena provarci, fosse femmina >>
<< Non lo so. Mary non è mai andata a fare un controllo >>
<< Dovreste andarci >>
<< Tanto non chiamerò mio figlio come te femmina o maschio che sia >>
Sherlock sorrise e gli tese le mano inguantata.
<< Ai migliori momenti insieme, John >> sussurrò.
John la strinse con forza e l’attimo dopo se lo tirò addosso. Lo abbracciò sotto lo sguardo stupito di Mycroft e dispiaciuto di Mary.
Sherlock lo lasciò fare e per la prima volta nella sua vita ricambiò un abbraccio.
<< Non voglio dirti addio >> sussurrò John con un filo di voce.
<< Mantieni la promessa John >> e lo allontanò da sé. Gli voltò le spalle e salì sull’aereo.
***
 
 
 
L’Inghilterra era già nel panico quando Sherlock Holmes tornò a Baker Street dopo due giorni di intenso lavoro a fianco di Mycroft e del primo ministro che non sapeva di avere la gonorrea presa da una escort di dubbia provenienza qualche settimana prima.
John non aveva avuto il tempo di provare felicità per il ritorno di Sherlock o di far luce sui suoi sentimenti, perché aveva passato gli ultimi due giorni con lui a camminargli accanto, a rintracciare l’origine del video ed analizzarlo per capire se fosse vero.
<< E’ morto davanti a me! >>
<< Ne è sicuro signor Holmes? >>
<< Certo che ne sono sicuro! >>
<< Poteva essere un trucco? >> domandò John.
<< Quale trucco? No, no! C’è qualcun altro dietro tutto questo e scoprirò chi è! >>
Avevano rimesso piede a Baker Street dopo settantacinque ore, spossati, affamati e pensierosi.
John non aveva vestiti lì e il disperato bisogno di farsi una doccia lo costrinse ad alzarsi dalla sua poltrona e rimettersi in marcia verso la periferia.
<< Puoi restare >> gli disse Sherlock con il violino già in mano.
<< Ho bisogno di vestiti. Torno domani mattina. Aspettami e guai a te se osi andare a Scotland Yard da solo >>
John evitò la signora Hudson mentre scendeva le scale  e non vide il sorriso di Sherlock nascere e morire sulle sue labbra.
 
 
 
Varcò la soglia di casa alle undici e quaranta sperando con tutto il suo cuore di trovare Mary addormentata in camera da letto così da non doverla guardare e discuterci.
Non aveva ancora avuto tempo in quei tre – quasi quattro – giorni frenetici di pensare ad una soluzione concreta che facesse uscire il loro rapporto da quell’empasse.
Nei mesi precedenti avevano vissuto come separati in casa, parlandosi solo per necessità urgenti come spesa e oggetti per il bambino mentre lui e Sherlock organizzavano il ricatto a Magnussen.
Aveva promesso a Sherlock di essere felice, ma non di dover esserlo con lei.
Mentre girava per casa alla ricerca dei vestiti puliti, John, si ritrovò a riflettere su quando fosse cambiato Sherlock negli ultimi mesi e quanto la freddezza e l’egocentrismo avessero lasciato spazio a emozioni e sorrisi.
Aveva sacrificato la sua libertà per aiutare sua moglie andando oltre o ignorando i suoi sentimenti. Tutto pur di proteggerlo, nonostante tutto.
Mary non si era meritata un simile trattamento.
Scorse la sua figura in soggiorno. Non era addormentata, solo accucciata sul divano con le mani sul ventre e il viso contorto dalla tristezza. Una manciata di fascicoli giacevano sul tavolino davanti a lei.
John infilò le mani nelle tasche preparandosi a discutere.
<< Sherlock mi ha telefonato >> gli disse con un filo di voce << Mi ha spiegato tutto e mi ha detto che eri al sicuro alla sede dell’IM6 >>
Di nuovo Sherlock che metteva loro prima di sé stesso.
Cosa gli stava accadendo?
<< Bene >> fece per voltarsi e dirigersi in bagno quando Mary lo chiamò.
<< John. Dobbiamo parlare >>
<< No >>
<< Non puoi evitarmi per sempre >>
<< Non voglio parlarne, non ora che Moriarty pare essere vivo e in vena di mandare in rete la sua faccia da schiaffi per spaventarci a morte! >>
<< John >> il tono delle donna fu perentorio e l’uomo cedette voltandosi e sprofondando nel divano davanti al suo con freddezza e rigidità posturale.
Mary lo guardò dritto negli occhi e gli passò i fascicoli che giacevano sul tavolo.
Il medico osservò la sua espressione preoccupata e prese i fogli leggendone il contenuto.
Una piccola fotografia nera era stata appuntata in un angolo della prima pagina.
Gli occhi di John, inaspettatamente, si inumidirono di lacrime ma nella penombra della stanza Mary non lo notò.
Accarezzò l’immagine con il pollice e ne definì i tratti. Si vedeva il naso, la bocca e il profilo di una mano e finalmente la sua futura paternità cominciò ad assumere un significato reale. Si sentì padre di quel piccolo e sbiadito profilo che si intravedeva nella foto.
Spostò gli occhi e lesse il resto.
<< E’ una bambina >> mormorò accennando un sorriso di pura estasi << E sana ed è femmina … è meraviglioso >>
Mary non si mosse né accennò a scomposi davanti a quelle parole << John. Leggi il resto, per favore >> e lo fece. I suoi occhi da velati di lacrime divennero secchi e vitrei, sgranati ed agitati.
Rilesse il responso del medico più di dieci volte prima di osare respirare e guardare sua moglie.
<< Non c’è … non c’è possibilità di errore? >> domandò con un filo di voce. Si accorse di tremare.
Mary scosse la testa << Ne sono sicuri. Dovrò stare a riposo per i prossimi due mesi e tenere sotto controllo pressione e - >>
<< So come funziona >> proruppe mordendosi poi le labbra. Non voleva essere così brusco, non adesso che aveva scoperto la possibilità di non vedere nascere la loro bambina. Non ora che Mary poteva morire.
Serrò gli occhi e una parte di lui si chiese cosa avesse mai fatto nella sua vita di così orribile da meritarsi una simile tragedia.
<< Un bravo medico sarà in grado di evitare emorragie improvvise. Chiamerò Mycroft. Conosce molti dottori validi >> concluse risoluto perché in quel momento pianificare ed aggrapparsi a vane speranze era l’unica cosa che poteva fare per non impazzire.
<< Immagino che dopo tutto io mi sia meritata una simile condanna >> gli disse lei, con il viso contratto da una smorfia di dolore.
Trasalì << Mi dispiace … Mary, mi dispiace. Nonostante tutto non devi dubitare che mi dispiaccia per te. Sei mia moglie e non voglio che ti accada niente >> la rassicurò << Te lo giuro … te lo giuro. Farò il possibile >>
John rabbrividì con il cellulare già in mano ignorando le repliche di Mary. Non sentì cosa aveva da dire, né se ne curò. I sensi di colpa lo tormentarono per tutto il tempo che intercorse a fare una telefonata.
Mycroft rispose dopo due squilli.
 
                                                        ***
 
È femmina.
Congratulazioni. SH
Willelmina potrebbe piacerti. SH
John ignorò l’ultimo messaggio che gli era stato inviato e ne digitò un altro lapidario, conciso e terribile.
Placenta Previa. [1]


Mycroft me l’ha detto. Troverà un bravo chirurgo. Non è così grave. La placenta previa ha un’incidenza del 0,5 e l’1,7% e una mortalità del 4-8%. Mary starà bene. SH
Hai già fatto ricerche? JW
Ne dubitavi? SH.
No, John non  ne dubitava affatto.
                                                        ***
 
 
Lestrade li subissò di domande appena misero piede a Scotland Yard.
Nessuno dei due aveva una valida risposta soprattutto alla prima : com’era possibile che Moriarty fosse vivo.
Sherlock ne dubitava fortemente e cercava in tutti i modi di ragionare e pensare a valide alternative.
John si sentì sommerso di problemi: prima Mary e i suoi segreti, Sherlock e i sentimenti che sembrava aver imparato a manifestare, la possibilità di un parto difficile e di una finale drammatico e per ultimo Moriarty.
<< Mycroft mi ha fatto gentilmente sapere che mi occuperò a tempo pieno di questo caso e una volta risolto non mi esilierà in est Europa >> lo informò il detective una volta tornati alla sede centrale dell’IM6 dove il ministro in persona aveva riservato loro un ufficio in cui lavorare lontano dai corridoi principali per non causar disturbo a Sherlock.
<< Potrebbero volerci mesi a rintracciare la provenienza del video >>
<< Probabile >>
<< E se non riuscissi a risolverlo? >>
<< Io ho sempre risolto tutti i casi >> sbottò apparentemente offeso da quella domanda.
<< Prima di tutto non è vero; secondo: questo caso è diverso >>
<< Ti prometto che non morirò, John >> scherzò e il dottore si incupì di colpo a sentir parlare di morte. In quel momento avrebbe tanto voluto dargli un cazzotto: sua moglie era a casa a riposo e lui non faceva altro che pensare a cosa sarebbe potuto succedere, all’uomo che gli aveva portato via Sherlock che forse era vivo e lui scherzava.
Sbuffò e tirò giù i pugni<< Dovrei stare accanto a Mary >>
<< E allora vai >>
<< E tu? >>
<< Me la caverò. Cercherò di essere il più gentile possibile e di non prendermi la gonorrea >>
<< Sherlock! >>

Il detective tornò serio << Si chiama Kevin Ferguson. E’ uno dei migliori chirurghi ostetrici dell’Inghilterra. Vi aspetta venerdì alle diciotto al Portland Hospital[2]  >>
<< Una clinica privata? Stai scherzando? >> tuonò John sconvolto << Come diavolo faccio a permettermela? >>
<< Non ti preoccupare. Ho già risolto tutto >>
John si passò una mano fra i capelli sorpreso.
<< Grazie. Io non so come … >>
<< Chiamala Willelmina e siamo pari >>
John dopo tanti giorni rise << Ah, maledetto il giorno in cui hai imparato a scherzare, Sherlock! >>
 
                                                          ***
 
 
John strinse involontariamente la mano a Mary quando il dottor Ferguson iniziò a parlare mettendoli al corrente della situazione.
Spiegò loro quali possibilità avevano, quali problemi potevano insorgere e quali metodi usare per non rischiare un parto prematuro.
I rischi che la bambina nascesse morta a causa di un’emorragia erano altissime, non lo negò, così come non negò la gravità di quella patologia per una donna dell’età di Mary e dello stato avanzato della gravidanza, tale da far preoccupare anche lui.
Ferguson era un dottore in gamba, ne aveva sentito parlare quando alcune sue vecchie college di lavoro avevano avuto figli: potevano fidarsi di lui e del suo giudizio. Per questo motivo quando egli suggerì di fare un cesareo
entro la fine della trentaduesima settimana né lui né Mary ebbero niente da ridire.
Aspettare oltre sarebbe stato troppo pericoloso, lo sapevano entrambi.
<< Sono fiducioso >> aveva aggiunto, mentendo palesemente per rassicurarli.
Mary rimase stoica per tutto il tempo.
John fremette per tutto il tempo.
Uscirono dalla clinica svuotati di qualsiasi emozione e John dopo mesi di totale freddezza nei suoi confronti la abbracciò sussurrandole parole rassicuranti all’orecchio.
Mary pianse fra le sue braccia chiedendogli ancora scusa.
John finse di perdonarla e finse di non essere disgustato da sé stesso.
                                                       
 
***
 
 
Chiuso nel suo palazzo mentale Sherlock non udì la porta del 221B aprirsi e chiudersi né i passi che anticipavano l’entrata della persona che stava salendo le scale.
Aveva tre cerotti di nicotina addosso perché quello stava diventando un problema intricato da risolvere e aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile.
 
Moriarty.
Aveva passato due anni a scovare i seguaci di quel demone lontano dalla sua città e dalla sua vita, lontano da John  mentendo, nascondendosi e soffrendo insieme a lui ed ora sembrava che l’incubo fosse ricominciato.
Appariva freddo e imperturbabile davanti agli agenti dell’MI6 e davanti a John sommerso dai problemi e dalle prospettive di un futuro infelice, ma Mycroft aveva capito, gli aveva letto dentro, scrutando la sua ansia. E ciò gli dava immensamente fastidio soprattutto perché manifestava la sua preoccupazione con telefonate e improvvise apparizioni a Baker Street.
Non poteva credere che Moriarty fosse vivo, ma aveva indagato a lungo sull’infinita lista di suoi stretti collaboratori e sapeva bene che qualcuno gli era sfuggito qualcuno a cui non aveva dato importanza, qualcuno che in quel momento si stava divertendo a impaurire Londra, qualcuno che aveva le stesse capacità di Jim e meno mezzi a disposizione.
Aveva voluto lanciare un messaggio, perché?
Mary Watson bussò allo stipite della porta e Sherlock si riscosse aprendo gli occhi di colpo.
Si mise seduto osservando incuriosito la donna che gli stava di fronte con il viso stanco e le occhiaie marcate a dimostrazione delle ore di sonno spese ad immaginare la sua morte.
Sherlock non emise verbo.
Si alzò dal divano e andò in cucina porgendole una sedia comoda su cui far gravare il suo peso per riposarsi.
Al settimo mese e mezzo di gravidanza la pancia era evidente, ma l’uomo non si soffermò ad osservarla per più di due secondi preferendo guardarla negli occhi. Erano tristi, dedusse, stanchi. Non era arrabbiata per ciò che le stava accadendo, solo rassegnata.
<< Gradisci del tè? >>
<< Non posso, grazie lo stesso >>
Sherlock annuì e si sedette sulla poltrona nera pronto ad ascoltare qualsiasi cosa avesse da dire perché, in fin dei conti, era quello il motivo per cui si trovava lì. Doveva comunicargli qualcosa di importante, qualcosa che probabilmente riguardava John, così importante da ignorare i consigli del medico di stare a riposo.
Sapeva che sarebbe stato un discosto difficile quello di Mary e la prova di ciò era l’assenza di John che in quelle settimane non l’aveva mai lasciata, assumendosi di colpo il compito di marito che aveva rifiutato per ripicca nei confronti della moglie che gli aveva mentito.
Aveva capito il suo segreto? Per questo era lì?
<< Ho bisogno di parlarti, Sherlock e ho bisogno che tu non ne faccia parola con John >>
Altre menzogne.
Il detective annuì incrociando le dita fra di loro, in attesa.
<< John non mi ha perdonata e non lo farà mai. E non posso biasimarlo per questo. Mi resta accanto per il bene della bambina e perché si sente in colpa. È un uomo eccezionale, un uomo che ha sofferto così tanto da non riuscire a sopportare altro dolore >>
Sherlock si morse la lingua pur di non parlare ed interromperla anche se avrebbe avuto un’infinità di cose da dire in quel momento.
Mary lo guardò dritto negli occhi.
<< Sono qui per ringraziarti Sherlock. Per quello che hai fatto, per avermi salvato la vita per essere stato il testimone di nozze di John e per averci protetti >>
<< Mary … >>
<< No. Lasciami finire. Ci sono delle cose che ti devo chiedere e ho bisogno di chiedertele ora, prima che sia troppo tardi >>
Il detective sospirò e annuì trattenendo una smorfia di tristezza.
<< Ami John? >>
A quelle parole Sherlock trasalì sgranando gli occhi, mostrandosi a disagio.
Perché ora? Si chiese, se lo hai sempre saputo?
Passarono diversi secondi prima che trovasse la forza di annuire e ammettere la verità davanti a lei.
<< Lo proteggerai, sempre? >>
<< Sì >>
<< Lascerai che torni a vivere qui se lo desidererà? >>
<< Sì >>
Mary deglutì e sorrise agonizzando di felicità e dolore. Sherlock notò quegli ossimori farsi largo nel suo volto e con un gesto istintivo le prese le mani incoraggiandola a proseguire.
<< Proteggerai nostra figlia come fosse anche tua? >>
Non esitò << Sì >>
<< Mi prometti che saranno felici? >> le lacrime di Mary bagnarono le sue mani.
<< Farò tutto ciò che posso per fare in modo che lo siano >>
Mary annuì e si lasciò andare in un sorriso liberatorio.
<< Grazie. Avevo bisogno di saperlo >>
Sherlock le porse un fazzoletto e lei si asciugò gli occhi.
<< John sa che sei qui? >>
La donna scosse la testa.
<< Morirò Sherlock >>
<< Non credo. Il dottor Ferguson è- >>
<< Non c’è niente che il dottor Ferguson possa fare per salvarci entrambe. John ha fatto finta che non sia vero per tutti questi giorni, ma sappiamo entrambi che sarà costretto a fare una scelta.  >> parlò duramente senza lasciar spazio a repliche di alcun genere << non posso far soffrire John ancora. Non posso fargli prendere una decisione simile. Ho lasciato scritto al dottor Ferguson che in caso di complicazioni durante l’operazione salvi mia figlia >> Sherlock strinse i pugni << per questo ho bisogno che tu mi prometta che ti prenderai cura di loro perché io non ci sarò, nemmeno se John mi perdonasse davvero. Ho bisogno di essere sicura che sarai sempre presente per loro >>
<< Io- Io te lo prometto >> rispose senza fiato per dire altro.
<< E ovviamente non devi dire niente a John di tutto questo >>
<< Devo mentirgli? >>
<< No, solamente tenerlo all’oscuro >>
Mary si accarezzò la pancia nel punto esatto in cui la bambina aveva scalciato.
Sherlock ne divenne curioso e allungò una mano sfiorando con le dita il ventre percependo la vita sbocciare dentro quel corpo umano.
Promise ancora e ancora che l’avrebbe protetta per il resto della sua esistenza.
 
                                                        ***
 
 
 
Oggi è il giorno stabilito. JW
Sherlock si distrasse dalle ciance del tecnico informatico dell’IM6 osservando il testo con attenzione.
Erano già passate due settimane?
Tempo un minuto e gli arrivò un altro messaggio.
Come stanno procedendo le indagini? JW
Si sono arenate per colpa di un informatico incapace. SH
Il suddetto tecnico si sforzò di recuperare dei dati da un computer - trovato in un bagno della metropolitana di Londra -inutilmente. L’hard disk era stato cancellato appena acceso il computer.
Qualcuno lo aveva lasciato lì per sbaglio, ma chi avrebbe fatto un simile errore?
A meno che … il computer non fosse altro che un’esca per far sviare le indagini.
Il segnale del videomessaggio con la faccia di Moriarty era partito proprio da lì rimbalzando su server internazionali per settimane prima di riuscirne a identificarne la fonte.
Astuto, ma non abbastanza commentò Sherlock osservando il tecnico scuotere la testa dispiaciuto.
<< Lasci perdere il computer. Non è altro che un modo per sviarci  e speravo lo capisse prima di forzare la scheda madre con un sistema così idiota! >> asserì con tono perentorio e Mycroft annuì totalmente d’accordo.
Il tecnico stava già per ribattere oltraggiato ma lui lo fermò subito << e se non avesse pensato a tutto il tempo alla ballerina russa incontrata ieri sera forse sarebbe anche riuscito a sbloccarlo. Badi bene, ho detto forse! >> e si allontanò dalla stanza raggiungendo il fratello.
Mycroft gli rivolse un sorriso serafico << Ti vedo particolarmente in forma, fratello caro >>
<< Devo andare all’ospedale >>
<< Naturalmente. Una macchina ti sta aspettando al terzo piano interrato >>
Sherlock sospirò << Farò avere a John le tue condoglianze >>
<< Verrò a fargliele di persona appena mi sarà possibile >>
Sherlock prese l’ascensore scortato da un agente in borghese.
Sto arrivando, rispose.
Grazie. JW
 
 
 
 
 
All’interno del reparto di maternità si moriva dal caldo, ma Sherlock non si levò il cappotto di dosso lasciando che svolazzasse sotto il suo incedere veloce e sicuro verso la sala d’aspetto.
John era lì, con le mani affondate nei capelli e i gomiti sulle ginocchia, seduto su una delle sedie bianche.
Erano le quattro del pomeriggio – l’ora delle visite - e l’intera stanza era stata presa di mira dai parenti e amici delle partorienti. Erano tutti così sfacciatamente felici, così sorridenti e allegri che Sherlock dovette resistere da prenderne a pugni un paio solo per scaricare i nervi.
John udì i suoi passi e alzò la testa lasciandosi andare in un sospiro di puro sollievo.
Sherlock gli si sedette accanto in rigoroso silenzio aspettando che fosse John a parlare per primo.
<< Non mi hanno lasciato entrare. Le ho detto che la perdonavo e che saremmo stati una famiglia una volta nata la bambina >>
Sherlock annuì fra sé << Belle parole >>
<< Dovevo rassicurarla >> disse risoluto << andrà tutto bene >>
<< Ferguson è un b- >>
<< Smettila di ripetere che è un bravo dottore. Andrà bene. Punto >>
<< Volevo solo … >>
<< Sì, lo so. Scusami. È colpa mia, sono nervoso >>
<< Ne hai tutte le ragioni, John >>
John prese un respiro profondo per cercare di calmarsi.
<< Hai chiamato Harry? >>
<< Per quale motivo avrei dovuto? >>
<< E’ tua sorella >> gli ricordò il detective.
<< Alcolista che non è nemmeno venuta al matrimonio. No … meglio di no >> sputò fra i denti acido prima di respirare di nuovo e calmarsi.
<< Parlami delle indagini. Avete scoperto … >>
<< Non ora John >> lo interruppe prendendogli una mano e stringendola. Era calda, così calda rispetto alla sua gelida e tremante.
Il medico sussultò a quel gesto e decise di assecondarlo prendendosi ciò di cui aveva bisogno in quel momento. Conforto.
In quel momento Sherlock crollò sotto il peso del segreto che era costretto a mantenere.
 
 
 
Il dottor Ferguson apparve oltre le porte di chirurgia ostetrica esibendo un’espressione dispiaciuta. John non lo notò subito. Aveva gli occhi chiusi e la mente concentrata nell’osservare la premura che Sherlock stava dimostrando avere nei suoi confronti: la mano ancora stretta alla sua, gli aveva persino dato la possibilità di appoggiare la fronte alla spalla pur di rassicurarlo.
E stava amando ogni secondo di più quella parte nascosta di lui, quella parte che nessuno aveva mai avuto il privilegio di conoscere.
Sherlock lo riscosse e John si tirò su di scatto notando il chirurgo venir loro incontro.
Erano le sei di sera.
John capì e finse di non capire. Aspettò che il medico aprisse bocca prima di disperarsi.
<< Dottor Watson >> lo chiamò << La bambina è nata. Ora si trova in terapia intensiva. Sta bene e ha solo bisogno di ricevere ossigeno per qualche ora >>
<< Ma è sana? >>
<< Sana. Due chili di peso. Dieci nella scala Apgar >>
John sospirò. Sherlock rimase immobile accanto a lui.
<< E mia moglie? >>
Il dottor Ferguson scosse la testa.
<< Si trova in terapia intensiva ora e non voglio nasconderle che è molto grave. Ha avuto un’estesa emorragia interna e un danno ai reni non indifferente. Stiamo facendo il possibile, ma temiamo danni multi organo - >> John smise di ascoltarlo.
Crollò sulla sedia e pianse.
 
 
 
Mary Watson morì all’una e ventisette del 23 gennaio.
 
                                                        ***
 
Sherlock Holmes era visibilmente a disagio in quel momento.
Monopolizzato dalla signora Hudson, che lo sommergeva di domande a proposito della bambina, non sapeva cosa fare. Era totalmente estraneo a simili faccende umane.
Cosa avrebbe dovuto dire? Quale aggettivo avrebbe dovuto usare per descriverla?
Mycroft gliene suggerì un paio via messaggio, ma li ignorò perché bellissima e stupenda erano epiteti che poco si addicevano alla figlia di John.
Avrebbe avuto bisogno di coniare un nuovo termine per descriverla.
Lei era molto più che bella e stupenda, più che intelligente e – per l’amor del cielo- dolce.
Lei era tutto. Ed era perfetta.
La signora Hudson trillò allegra guardandola agitarsi nella culla per neonati accanto ad altri ignoti bambini che non risplendevano della sua stessa luce.
<< E John, come sta caro? >>
Sherlock sospirò stancamente.
La notte prima Mary era morta riuscendo a rivolgere a John un ultimo sorriso stanco prima di lasciarsi andare.
John non era uscito dalla sua stanza fino all’alba persuaso infine dagli addetti all’obitorio già pronti a portare il cadavere della donna nella cella mortuaria.
Mycroft si era offerto di organizzare il funerale, ma aveva rifiutato con un no secco perché quello era compito suo e suo soltanto.
Non aveva ancora trovato il coraggio di scendere al piano di sotto per vedere sua figlia, entrare nella nursery e prenderla in braccio.
<< Male. Ma ce la farà >> rispose bilanciando bene il tono di voce.
La donna annuì asciugandosi una lacrima di puro dispiacere osservando con occhi tristi la bambina nella culla 004.
Un bip distrasse il detective dalla contemplazione della piccola Watson.
Sono sicuro che sarai all’altezza del compito, fratello. MH
Sherlock infilò il cellulare in tasca e sospirò.
Dentro la sua testa il Mind Palace stava per essere riorganizzato per fare spazio anche alla bambina: avrebbe buttato via qualche ricordo, magari quelli riguardanti Mycroft da bambino. Sorrise.
Sì, la bambina di John era decisamente più bella di un fratello panciuto.
 
 
Lestrade arrivò alle undici di mattina, trafelato, seguito da e una Molly Hooper con il viso rigato di lacrime e un sorriso mesto in viso .
<< Sherlock >> disse il primo stringendogli la mano.
<< E’ stato Mycroft, vero? >>
L’ispettore annuì rassegnato << Mi dispiace tanto. John come l’ha presa? >>
<< Talmente bene che non è ancora sceso a vederla >> ribatté sarcastico.
<< Ci vorrà del tempo. Non avrei mai pensato che Mary potesse - >>
<< Mary è stata coraggiosa. Ha scelto di salvare lei piuttosto che la sua vita >> spiegò diligentemente.
<< Possiamo vederla? >> domandò Molly e Sherlock le indicò la culla.
<< E’ meravigliosa >> esalò lei << assomiglia a John, ma la bocca è … >>
<< Di Mary. Cerca di non farglielo presente >>
Molly lo guardò con aria curiosa << L’hai presa in braccio? >>
<< Avrei dovuto? >>
<< Beh, sarebbe carino se lo facessi >>
Lestrade trattenne un sorriso.
<< Non vorrei perdermi la scena >>
<< Non la prenderò in braccio. Molly rassegnati, Lestrade piantala di sorridere come un perfetto idiota >>
La signora Hudson cinguettò contenta quando la bambina sbadigliò assopendosi e Molly la seguì a ruota.
Sherlock Holmes sospirò scocciato e capì che quella sarebbe stata una lunga giornata.
 
 
 
 
Due mani si posarono sul vetro in plexiglass che divideva la nursery dal corridoio principale del reparto di maternità.
Osservò la coperta rosa avvolgere una bambina che non riusciva a vedere e si sforzò di restare lì anziché entrare. Non era pronto. Non era pronto a tutto quello.
Un bicchiere ricolmo di caffè nero e caldo apparve sotto il suo naso e John sussultò dalla sorpresa.
Guardò a lungo la figura alta del detective prima di riuscire a coordinare i pensieri e prendere il caffè con un grazie appena sussurrato.
<< Sei sempre stato qui? >>
Sherlock annuì.
<< Sono le dieci di sera >>
<< Non sono stanco >> mentì << lei è nella culla 004 >>
<< La riconoscerei fra mille >> disse trattenendo un gemito di puro amore << è bellissima >>
<< Lo è, non posso darti torto >> ammise << Oggi sono passati Lestrade e Molly >>
<< Capisco. Hanno visto la bambina? >>
<< Sì e sono del medesimo parere >>
John accennò un sorriso stanco. Aveva i capelli sfatti segnati dalla torture delle dita e due ombre violacee sotto gli occhi.
<< Mi sento come se un tir mi fosse passato sopra tre volte. Mi sento in colpa per essere felice che lei esiste e per non essere riuscito a perdonare Mary prima che … >>
<< Ti ama John. Ti amava così tanto da scegliere di salvare la vita della bambina piuttosto che la sua >>
A John sfuggì un singhiozzo. Appoggiò la fronte al vetro e prese un respiro profondo per calmarsi.
<< Non so se ce la posso fare >>
<< Non sei solo >>
Lo guardò stupito e occhi gli si riempirono di un’emozione che Sherlock non riuscì a capire: gratitudine, gioia? Speranza? Troppo difficile.
<< Avanti John. Devi conoscerla >> gli ordinò oltrepassando la porta della nursery.
L’infermiera fece capolino dalla stanza attigua e sorrise al padre in lutto facendosi strada fra le culle.
Non aveva bisogno che parlasse per essere capito e così la donna scoprì la bambina e la prese in braccio porgendogliela con una mossa esperta.
Non emise suono mentre veniva sballottata in aria e lasciata andare fra le braccia di una persona che ancora non conosceva. Emise un unico gemito di frustrazione e tornò a dormire.
John la guardò per un tempo che parve infinito.
La osservò, l’ammirò e ne scoprì i tratti innamorandosene ogni secondo di più.
Era diventato padre di una bellissima bambina nel giorno più triste della sua vita.
Sentimentalmente spaccato a metà la cullò annusando la sua pelle profumata, baciandole la mano stretta a pugno.
<< E’ perfetta >>
<< Concordo >> sussurrò << ma non puoi continuare a chiamarla “bambina” >> lo ammonì il detective indignato << devi trovarle un nome >>
<< Io e … io e Mary non abbiamo mai … sai parlato perché io … ero … oddio >>
L’infermiera gli indicò, in rispettoso silenzio, una sedia a dondolo poco distante e lui vi si sedette, troppo stanco per poter restare in piedi.
<< Hai bisogno di riposo >>
<< Amanda >>
<< Cosa? >>
<< Il suo nome è Amanda >>
John ripeté quel nome due volte per rendersi conto di quanto fosse perfetto.
Lo doveva alla piccola bambina a cui era stata strappata la vita dalla donna che aveva sposato. Glielo doveva.
Una vita per una vita.
<< Amanda >> sillabò Sherlock soddisfatto << deriva dal latino. Significa colei che deve essere amata. Sdolcinato, ma le si addice >>
John sgranò gli occhi << Anche il latino? C’è qualcosa che non sai? >> e si concesse di sorridere. Le guance si tesero dolorosamente.
Sherlock lo imitò.
L’infermiera tese le mani verso John per poter rimettere la piccola a posto nella sua culla.
<< Domani il dottore ha intenzione di dimetterla, dottor Watson. Non si preoccupi. Sta bene. Ha già preso tre grammi di peso nelle ultime ore >>
John annuì e osservò ancora la sua bambina e le piccole palpebre color lavanda chiuse attorno ai suoi occhi di cui ancora non conosceva il colore. Infine guardò Sherlock che se ne stava immobile vicino alla porta, visibilmente a disagio.
<< Aspetti un secondo >> sussurrò << Sherlock. Tu l’hai presa in braccio, vero? >>
L’uomo fece una smorfia apparentemente contrariata << No … >>
John distese le labbra formando una specie di strano sorriso << Prendila >>
<< Perché?! >>
<< Ho detto prendila. Non fare l’isterico >>
<< Non sono isterico, ma io e i neonati proprio non … >> John gliela passò attentamente facendolo smettere di protestare di colpo.

Quel peso caldo lo zittì subito.
Sherlock divenne una statua, gli occhi fissi sulla neonata addormentata, con il fiato quasi assente. Osò sfiorarle una mano con il pollice e ciò, unito all’espressione incredula dell’uomo, riempì il cuore di John di un’emozione finalmente bella e positiva.
<< Se sapevo che bastava questo per farti tacere … >>
<< Guai a te se lo dici a Mycroft o a Lestrade >>
John sorrise, scosse la testa e tornò a rivolgersi all’infermiera << Scriva Amanda sopra il suo certificato di nascita >> le disse con gentilezza guardando Sherlock destreggiarsi nel sorreggere con evidente impaccio sua figlia << Amanda Willelmina Watson >>
Sherlock sgranò gli occhi e per poco non svenne per la sorpresa.
John lo guardò seriamente, scoprendosi incantato da quella scena.
<< L’ho promesso a Mary >>
                                                                                        ***             
 
 
 
Il funerale fu triste e colorato.
John aveva capito di aver bisogno di aiuto il giorno in cui portò a casa Amanda e si accorse di non avere niente di pronto per accoglierla. Colto da un raptus di rabbia aveva scagliato le poche cianfrusaglie comprate contro la parete della sala da pranzo. Ma non aveva più lacrime da piangere.
Tornare lì, senza Mary, era stato uno strazio. Ogni cosa parlava di lei, dagli abiti lasciati con cura sul letto, alle fotografie, alle chiavi di casa abbandonate nel piattino vicino all’ingresso. Era stato sposato con lei sette mesi ed aveva trascorso gli ultimi quattro odiandola ed evitandola.
John aveva capito troppo tardi che lei sapeva di star morendo. Glielo aveva letto negli occhi l’attimo in cui, entrando nella stanza, gli aveva sorriso facendosi promettere tante cose, l’ultima di mettere Willelmina come secondo nome per onorare l’uomo che le aveva salvate. Poi aveva chiuso gli occhi e un bip straziante aveva riempito il silenzio. Avevano tentato di salvarla in tutti i modi possibili e John si era sentito così impotente e sconfitto da voler urlare, come quel lontano giorno nel deserto afghano quando aveva dovuto abbandonare un commilitone ferito a morte per curarne uno ancora in vita. La sensazione , ora, era diecimila volte più straziante, ma non era più arrabbiato. Non come lo era stato con Sherlock.
Mary non aveva meritato di morire in quel modo, ma chissà perché il destino aveva scelto per lei diversamente, punendola dei crimini di cui si era macchiata in passato.
John si sentì impotente davanti al pianto disperato di sua figlia, si sentì solo troppo esausto e triste per fare qualsiasi cosa perciò  chiamò l’unica persona di cui si poteva fidare.
Sherlock arrivò alle due del pomeriggio osservando con occhio critico lo stato in cui versava la casa e l’espressione distrutta di John, il quale ammise di non riuscire a farcela, esattamente come quel lontano giorno in ospedale davanti al letto di Sherlock. E così il detective aveva preso in mano la situazione chiamando il fratello.
Per questo motivo il funerale fu colorato. Era stato proprio Sherlock a scegliere fiori azzurri, rosa e gialli che inneggiavano alla vita piuttosto che alla morte e le persone presenti ne furono sollevate.
John osservò la bara in silenzio, assorto nei suoi pensieri.
Erano intervenute tutte le persone che avevano conosciuto Mary: da Molly Hooper e Lestrade, a Violet e Siger Holmes che quel mattino si erano offerti di badare alla bambina durante la celebrazione del funerale. C’era Mycroft, vestito con un completo nero ed elegante e persino Janine che in disparte assisteva all’evento. E Bill Wiggins ovviamente che aveva posato tre rose bianche al centro della bara per poi tornare vicino al suo nuovo amico Sherlock.
Nessuno di loro a parte Mycroft, Sherlock e John conoscevano la verità su Mary Morstan il cui nome era stato rubato da un’altra lapide. E così sarebbe dovuto restare per non infangarne la memoria agli occhi di chi le aveva voluto bene.
John non aveva più voluto parlarne e si era chiuso in un mutismo post-traumatico da manuale lasciando Sherlock completamente frustrato. Non aveva voluto commemorarla lasciando agli altri la possibilità di parlare di lei. E subito dopo la cerimonia aveva stretto Amanda fra le braccia dicendole di amarla.
 
 
<< Strana la vita, Sherlock. Meno di un anno fa suonasti al loro matrimonio ed ora organizzi il funerale della signora Watson >> commentò Mycroft passando al fratello una sigaretta fumata a metà.
Sherlock sbuffò fumo dal naso ignorando l’indelicato commento del maggiore << Hai intenzione di parlargli? >>
<< Ora o mai più. Deve lasciare Londra il più presto possibile >>
Mycroft annuì << Mummy sarà contenta >>
<< Hai già predisposto il trasferimento? >>
<< Cosa credi che abbia fatto tutta la mattinata? >>
Sherlock rispose con un gesto di stizza e andò a cercare John.
Lo trovò seduto su una panchina a pochi passi dalla tomba di Mary intento a parlare ad Amanda di qualcosa di assolutamente insignificante per lui.
Tanto non ti capisce, avrebbe voluto dire, ma si trattenne prendendo posto accanto a lui.
<< Grazie. Per tutto >> disse John commosso << è stato tutto davvero molto … colorato >>
<< Dobbiamo parlare >> lo interruppe appoggiandosi con la schiena alla ringhiera guardando un punto fisso oltre gli alberi del cimitero.
<< Di cosa? >>
<< Del tuo trasferimento >>
John si stupì << Quale trasferimento? >>
<< Il tuo John, non puoi restare a Londra. Con Moriarty probabilmente vivo, -come sostiene quell’inetto del ministro degli esteri- è troppo pericoloso restare per te e per Amanda. Devi andartene oggi stesso. Ti prometto che non sarà per molto >>
John alzò gli occhi su di lui << Alt Fermati un secondo! E dove diavolo dovrei andare? Amanda è troppo piccola per viaggiare >>
<< Mycroft ha già organizzato tutto >>
<< E tu? >>
<< Te l’ho detto. Devo continuare ad indagare >>
<< No >> sbottò furente.
<< John >>
<< No, niente John! Stiamo parlando di nuovo di te e dei tuo atti suicidi! Cosa inventerai questa volta eh? Un attacco di cuore, un avvelenamento, un annegamento? >> urlò destando Amanda dal sonno che pianse spaventata.
<< John calmati. Non sarà niente del genere. È solo per precauzione. Tu e Amanda andrete a vivere per qualche settimana nella tenuta dei miei genitori. Ti stanno già aspettando. Potrai avere la mia vecchia stanza. Sarete al sicuro da qualsiasi minaccia possa rappresentare quel messaggio di Moriarty o chi per lui. Alcuni uomini di Mycroft – quelli che io ho ritenuto meno incapaci- si assicureranno che siate al sicuro >>
John reagì a quel fiume di parole con uno sguardo incredulo << Hai – hai preso seriamente la storia del proteggerci >> mormorò quasi imbarazzato << e tu, sarai al sicuro? >>
<< Mycroft è stato piuttosto insistente su questo punto >>
<< Dovrei venire con te >>
<< Hai Amanda di cui occuparti >>
<< Lo so. Ma c’è il tuo nome sul suo certificato di nascita >> disse con un filo di voce calmando finalmente la bambina dal suo pianto isterico.
<< Questo non significa che tu possa venire con me >> concluse lui serafico <<  è una battaglia che devo finire da solo così com’è iniziata >>
John annuì scontento, indeciso, e si alzò seguendo Sherlock verso l’auto scura che li avrebbe portati in campagna.
Violet e Siger erano già dentro ad aspettare.
<< Sei sicuro che non sia un problema per loro? >>
<< Cosa, che tu abbia messo il mio nome al femminile sul certificato oppure il tuo soggiorno a casa loro? >>
John parve pensarci << Entrambe >>
Sherlock sbuffò un sorriso << Sali in auto John >>
<< Tu promettimi che non ti farai ammazzare >>
<< Lo prometto >> sbottò ruotando gli occhi al cielo.
<< E che tornerai >>
Sherlock a quel punto tornò serio e lo guardò a lungo soffermandosi qualche secondo su Amanda che finalmente mostrava i suoi occhi color blu cielo.
John aspettò quella promessa finché non fu pronunciata.
 << Tornerò >>
 
[1] La placenta previa è una condizione medica che causa forti emorragie durante il secondo trimestre di gravidanza dovuta al posizionamento della placenta nella parte bassa dell’utero. Ho trovato qui tutte le informazioni.
[2] Il Portland Hospital, secondo wikipedia, è uno degli ospedali privati di Londra, specializzato in ginecologia e ostetricia. E se lo dice lui io mi fido U_U Ovviamente il dottor Ferguson è un personaggio totalmente inventato. 

Note:
alcuni dialoghi iniziali li ho presi direttamente dalla 3x03, ma ho per esigenze di trama, cambiato qualcosa.
Se siete arrivati vivi fin qui vi meritate un biscotto.
Aggiornerò con la seconda parte domenica prossima =)

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Capitolo 2
*** Parte II ***


Amanda 2 Note: ce l’ho fatta, non ci posso credere. Questo secondo capitolo sancisce l’evoluzione della rinascita di John. Spero vivamente di non essere uscita dallo OC e che vi piaccia leggerlo come a me è piaciuto scriverlo!
Buona lettura
Desclimer: come prima, niente è mio nulla mi appartiene, la storie è di mia invenzione scritta senza scopi di lucro. Peace!
 
Amanda
 
 
SECONDA PARTE
 
 
Aprile
 
Sebastian Moran era stato ammanettato da due eleganti energumeni dell’MI6 e trascinato via, dentro un furgone blindato. I capelli biondi mossi dalla brezza mattutina gli conferivano un aspetto sconvolto e trasandato. Aveva gli abiti sporchi del suo stesso sangue e la bocca, storta in un sorriso folle, tumefatta di lividi. Sì, ci era andato giù pesante, ma sapeva bene che quella bocca non gli sarebbe più servita. Moran non avrebbe mai fatto la spia su nessuno: era un soldato, addestrato a ricevere ordini ed eseguirli in silenzio. Uccideva in silenzio, comunicava in silenzio e guardava il mondo senza empatia. Psicopatico era la parola che forse si avvicinava di più a descrivere la sua personalità e lui aveva impiegato settimane a studiarla.
Sherlock osservò il suo volto emaciato e il ghigno compiaciuto sparire dietro le porte nere.
All’improvviso sentì il suo corpo cedere sotto il peso di quei lunghi mesi spesi a dare la caccia a improbabili fantasmi dormendo e mangiando lo stretto necessario.
John si sarebbe arrabbiamo molto con lui.
<< E’ finita fratello >> sussurrò Mycroft di fianco a lui appoggiato al suo ombrello nero ed elegante.
<< No. Non sarà finita finché non parlerà. Devo sapere se è vivo >>
<< Non credo che lo sia >>
<< Devo saperlo >> ripeté duramente << Non parlerà facilmente. Lo so bene >>
<< Chiamerò a rapporto gli agenti migliori del paese. Parlerà >>
Sherlock annuì.
<< Hai intenzione di restare in mezzo alla strada per tanto, Sherlock? >> si scambiarono un’occhiataccia << un’auto ti sta attendendo >>
<< Prenderò il treno >> tagliò corto << non ho bisogno delle tue balie, Mycroft >>
<< Un grazie sarebbe più che gradito, Sherlock >>
<< Per cosa? >>
<< Per tutto … in fin dei conti Sebastian Moran ti avrebbe ucciso se io non fossi intervenuto … >>
Sherlock scrollò le spalle e si voltò << Porta i miei saluti a John. Vi raggiungerò molto presto >>  aggiunse con un sorriso, osservandolo sparire alla volta della metropolitana.
 
 
 
 
John non ebbe il tempo nemmeno di fare colazione quella mattina perché Amanda si era svegliata prima di lui e pretendeva attenzioni e cibo.
Violet Holmes gli sorrise divertita e gli diede un’affettuosa pacca sulla spalla prima di anticiparlo e dire: << Resta seduto, caro. Vado io … >>
<< Signora Holmes non ha ringrazierò mai abbastanza per quello che sta facendo >> ammise sinceramente.
<< E’ un piacere John. Ora fai colazione e non preoccuparti >>
John annuì e sbadigliò chiudendo gli occhi davanti alla tazza di caffè nero che aveva smesso di svolgere la sua funzione tre settimane prima quando Amanda aveva cominciato a scambiare la notte con il giorno. Non c’era più tè o caffè che riuscisse a svegliarlo di mattina dopo una notti passate insonni con una figlia che invece di dormire rideva e si agitava.
 
Essere accolto dalla famiglia Holmes era stata una benedizione per John, ancora in lutto per la morte di Mary, preoccupato per Sherlock e insonne per la figlia. Sieger e Violet erano gentili, premurosi e trattavano Amanda come una nipote capricciosa e adorabile, regalandole peluche ad ogni occasione, carillon con le musiche più belle, vezzeggiandola ad ogni lamento emesso.
John sorseggiò il suo caffè meditando di mettersi al lavoro per aiutare Sieger Holmes con i cavalli. Nonostante nessuno gli chiedesse mai niente, John non riusciva a stare fermo per più di un minuto e si sentiva in debito verso di loro tanto da svolgere qualsiasi mansione fosse necessaria per la cura di quella tenuta in campagna , dal taglio della legna al cibo per i cavalli o alla spesa della signora Holmes.
Trascorreva così le giornate, fra passeggiate con Amanda e piccoli lavoretti, scacciando di tanto in tanto il pensiero di Sherlock probabilmente in pericolo o annoiato e intossicato dalle sigarette.
Gli mandava, da tre mesi a questa parte, un messaggio al giorno, sempre uguale lapidario e breve per fargli sapere che era vivo e non in pericolo. “Sto bene” scriveva per poi ignorare tutti quelli che John gli spediva e tutte le chiamate che tentava di fare.
Era frustrante avere a che fare con lui in quel periodo e il restare fermo e in disparte non lo stava aiutando a mantenersi lucido.
Tornerò. Si ma quando? Sono già passati tre mesi razza di idiota! Pensi di stare via ancora a lungo? E per qualche diavolo di motivo né tu né quel pomposo di tuo fratello vi degnate di rispondermi?
John emise un sospiro di pura frustrazione e sorseggiò il caffè bollente udendo la trillante risata della signora Holmes al piano di sopra. Dall’altra parte della casa Amanda stava ridendo con lei: John poteva sentirla e immaginarla come l’avesse di fronte, con gli occhi blu brillanti e i corti capelli biondi pinzati da una fascetta rosa. Mary l’avrebbe trovata adorabile.
Abbandonò il caffè con lo stomaco improvvisamente chiuso dal senso di colpa e sistemò la cucina prima di mettersi al lavoro.
Il suo cellulare squillò nella tasca dei suo jeans e John lo tirò fuori leggendone il messaggio con stupore.
“E’ finita” SH.
John rilesse quelle tre parole altre dieci volte prima di riuscire a sospirare sollevato.
                                                        ***
 
 
 
Alle undici e mezza di sera la casa era silenziosa, avvolta nel buio.
John cercò di rilassarsi sotto le coperte, ma come al solito prima di riuscire ad addormentarsi il suo cervello cominciava a pensare a tutte quelle cose che di giorno riusciva a sfuggire: ripensò a Mary e al posto dove ora si trovava. Al fatto che da tre mesi stava dormendo nella camera di Sherlock, una camera normale con un letto normale e arredamento normale, con scaffali ricolmi di libri di chimica ordinati per anno nella grande libreria, e vecchi microscopi giocattolo. Pensò ad Amanda che per il momento stava dormendo a due metri di distanza da lui. Pensò al futuro che gli si sarebbe prospettato una volta tornato a Londra, alle decisioni che avrebbe dovuto prendere e poi ancora a Sherlock che dopo quel messaggio criptico non si era più fatto sentire.
Pensò anche a Violet e Sieger che ronfavano in fondo al corridoio e al modo in cui si erano affezionati a sua figlia e agli stratagemmi che avevano ideato per dare a lui modo per riprendersi dallo shock dell’ultimo anno appena trascorso.
Si voltò verso la finestra e chiuse gli occhi infreddolito dalla solitudine.
John emise un gemito di frustrazione quando, dopo appena pochi minuti fra il sonno e la veglia, Amanda singhiozzò nella sua culla bianca sbattendo un sonaglino contro il legno laccato.
Sospirò incredulo e cercò di ignorarla perché sapeva benissimo che quelli non erano altro che capricci e perché doveva insegnarle che non poteva essere sempre presa in braccio ogni qualvolta si lamentava. Doveva essere un buon padre, autorevole e sicuro di sé perché, maledizione, era solo e lo sarebbe sempre stato e Amanda era una sua esclusiva responsabilità.
Dopo essere stata ignorata per dieci minuti John sperò smettesse e lo lasciasse dormire, ma così non fu perché ad un certo punto strillò più forte costringendolo a rassegnarsi.
Stava per alzarsi, pronto per una dose notturna di coccole ,quando all’improvviso cessò di piangere.
John dentro di sé esultò udendo solo dei vaghi fruscii provenire dalla culla.
Era appena accaduto un miracolo.
John si mise seduto e scrutò nel buio la figura alta e longilinea appostata vicino al lettino e il suo cuore sprofondò in una sensazione prima di terrore poi di sorpresa.
Accese di scatto la luce rischiarando la stanza di un tenue arancione, ferendosi gli occhi stanchi.
Sherlock Holmes lo guardò come fosse impazzito.
<< Sher … Sherlock? >> balbettò incredulo con il fiato mozzato dalla gioia e dalla paura. Era davvero lì, vivo?
<< John >> sussurrò lui con voce roca. Solo allora si accorse che Sherlock stava sorreggendo Amanda fra le braccia.
John ne rimase ancora più sorpreso.
<< Non ci … posso credere … >> esalò alzandosi in piedi di scatto, il freddo improvvisamente scomparso da quella stanza.
<< Ti avevo mandato un messaggio >> si giustificò << Ho preso il treno appena mi sono liberato dei leccapiedi di Mycroft >>
John si passò una mano fra i capelli e un sorriso sincero si dipinse sul suo volto.
<< Tu non hai idea di come sono felice di saperti salvo. Hai fatto ammattire tutti negli ultimi tre mesi! >>
<< Shht … i miei genitori non lo sanno ancora >>
John gli scoccò un’occhiataccia << E cosa stai aspettando a dirglielo? >>
<< L’ora di colazione >>
Amanda rise e John osservò la scena totalmente meravigliato.
<< Come hai fatto? >> domandò incredulo << No sul serio Sherlock, come? >>
<< Credo sia tutta una questione di odori. Ci farò uno studio a riguardo >> e sorrise << è cresciuta parecchio >>
<< Ha compiuto tre mesi ieri … sì è cresciuta e non dorme mai, ma credo che tua madre sia abituata a questo, vero? Sono solo io prossimo ad crollo nervoso >> e sospirò guardandolo ancora, incredulo dal rivederlo dopo così tanto tempo.
<< Sei dimagrito >> lo accusò.
<< E tu hai l’aria di uno investito da un tir >> lo schernì.
<< Sono padre di una figlia capricciosa >>
<< Solo annoiata, temo … quelle stupide api che hai appeso alla sua culla John , sono deleterie per il suo sistema nervoso centrale >>
John aggrottò la fronte perplesso << Il suo … cosa? Ha tre mesi Sherlock. Cosa dovevo appendere? Formule chimiche e fotografie di cadaveri? >>
<< Aiuterebbe >>
L’attimo dopo scoppiarono a ridere.
Sherlock con un’attenzione che a John parve assurda – assurda se paragonata all’immagine mentale che aveva del detective- sistemò di nuovo la bambina dentro la culla finalmente addormentata  e silente.
Qualche minuto dopo si ritrovarono uno di fronte all’altro, seri in volto, silenziosi pronti a catturare ogni minimo accenno di cambiamento nel corpo e nello sguardo dell’altro.
<< Sebastian Moran >> esordì Sherlock.
<< Come? >>
<< Il nome del responsabile del video. Sebastian Moran. Ha tentato di prendere  il posto di Moriarty e rifondare l’organizzazione >>
<< Sì, ma perché quel video? >>
<< Per sviare la nostra attenzione. Ha disseminato indizi in modo che credessimo Moriarty vivo mentre progettava un attacco terroristico al ministero degli esteri. Un attacco simbolico, oserei dire. Probabilmente voleva dimostrare le sue capacità. Mycroft lo starà già interrogando … >>
<< E Moriarty? E’ vivo o … >>
Sherlock scollò le spalle infastidito << No. Non lo è.  Ora non c’è più pericolo >>
John annuì fra sé e si stropicciò il viso con le mani.
<< Tre mesi Sherlock … >>
<< Lo so >> mormorò con tono dispiaciuto.
<< E mi hai fatto prendere un colpo! >>
<< So anche questo >>
<< Lo speravi >>
<< Vero >>
John scoppiò a ridere di gusto incredulo di poterlo ancora fare insieme a lui.
Non ammise ad alta voce che gli era mancato come l’aria, che la mano era tornata a tremargli e che aveva pensato più a lui che a Mary in quei lunghi tre mesi.
Non lo ammise perché non era ancora capace di realizzare di aver messo Sherlock al centro dei suoi pensieri quotidiani più di quanto fosse accettabile.
 
 
Alle nove del mattino uno Sherlock visibilmente irritato e a disagio dopo essersi beccato un sonoro schiaffo sulla guancia venne vezzeggiato Violet Holmes per averla fatta preoccupare per mesi: quel gesto spiazzò John più degli abbracci che la donna elargiva al figlio reticente.
Sieger rimase fermo, in mezzo alla cucina, sorridente, aspettando il suo turno con dignitosa calma.
John si sentì di troppo in quel momento: essere partecipe della vita famigliare del proprio migliore amico di ritorno da una battaglia era difficile. Così restò in disparte, a disagio, con Amanda fra le braccia che lo guardava incuriosita mordendosi le dita della mano con veemenza.
Sherlock si accorse del suo imbarazzo e ruotò gli occhi al cielo tentando nel contempo di allontanare sua madre senza essere troppo rude.
 
Quel pomeriggio stesso Mycroft sarebbe arrivato per riportarli a casa, o almeno così aveva recepito Sherlock il giorno prima mentre ignorava ciò che la gente gli stava comunicando, e John all’improvviso si rese conto di non sapere cosa fare una volta tornato a Londra.
La campagna inglese  unita alla compagnia dei coniugi Holmes era stata una manna per il suo spirito e gli avevano concesso di riprendere fiato e riorganizzare i pensieri del suo incasinato cervello, ma a Londra? Cosa sarebbe successo?
Non era mai stato così insicuro, nemmeno dopo l’incidente in Afghanistan prima che fosse riportato in Inghilterra. Allora si  era sentito troppo distrutto e dolorante per poter pensare al futuro, ma ora c’era Amanda e lei aveva bisogno di attenzioni e pianificazioni.
Come avrebbe fatto?
Doveva lavorare, ma questo significava lasciare Amanda in un asilo nido. Poteva farlo? Se la sentiva? O ancor peggio, poteva starle lontano per ore ed ore?
Doveva ancora comprare i mobili e … la casa? La casa era ancora lì dove l’aveva lasciata, ma poteva prendersene cura? Era così lontana dal centro, così lontana da tutto e da Sherlock …
Lo guardò mentre parlottava con suo padre a bassa voce.
Sarebbe ancora stato in grado di seguire i casi con lui? Amanda veniva prima di tutto, si concesse, ma le mani che tremavano erano un sintomo grave del suo bisogno di azione. Poteva essere così egoista da continuare il loro lavoro contro il crimine oppure doveva mollare tutto e sopportare per il resto della sua vita un bisogno che non sarebbe mai scomparso?
Poteva lasciare Sherlock da solo?
Poteva vivere senza la sua continua presenza nella sua vita?
No, fu la lapidaria risposta che la sua mente formulò appena si concesse di pensarla.
Non poteva dire no, di nuovo, ad una vita senza Sherlock, senza casi e adrenalina, senza i suoi maledetti esperimenti e il suo violino suonato alle quattro del mattino perché “John, mi aiuta a pensare”. No, non poteva.
Ma c’era anche Amanda.
John strinse il suo corpicino prendendo un respiro profondo.
Adesso la sua vita era solo un grandissimo punto interrogativo e tornare a Londra quello stesso pomeriggio non lo avrebbe aiutato a decidere.
L’unica idea che gli era venuta in mente era vendere la casa in periferia e trasferirsi il più velocemente possibile in centro con Amanda, vicino a Sherlock e alla vita che voleva.
Sì, era un ottimo punto di partenza.
                                                       
***
 
John si rese conto di quando fosse diventata indispensabile la presenza di Violet Holmes nella sua vita una volta superata la soglia di casa sua, una casa che non lo rispecchiava più e che in un certo senso odiava, carica di ricordi recenti e già lontani.
Mary era ovunque lì eppure non provò più dolore nel ricordarla: erano stati belli i primi momenti insieme e il suo caldo sorriso rimaneva impresso nei suoi pensieri così come la sua risata e il modo strano in cui pronunciava il suo nome: queste erano le cose che voleva ricordarsi. Non voleva più ripensare alle sue menzogne, all’aggressione di Sherlock, alla ferita sanguinante che gli aveva causato, alla gravidanza finita male e alla sua incapacità di perdonarla. Voleva solo ricordare Mary Morstan come una moglie, una madre morta prematuramente e che aveva amato. Era l’unico modo per sopportare il dolore.
 
Sherlock lo accompagnò a casa fermandosi sulla soglia dell’ingresso con le braccia conserte dietro la schiena e uno sguardo turbato. Ruppe il silenzio solo quando Amanda fu riposta nel passeggino, osando muovere un passo verso il salotto. Non conosceva bene quella casa, ma sapeva che non rispecchiava il John che conosceva ed era ricca di ricordi tutt’altro che piacevoli.
<< Mycroft si è volontariamente offerto di mandare qualcuno per le cose di Amanda >>
<< Non ce n’è bisogno … >> rispose John prendendo un profondo respiro << Non ho intenzione di restare qui molto … Dio, odio questa casa >> confessò prendendosi la testa fra le mani << Pesavo … pensavo che dopo tutti questi mesi potessi … andare avanti, ma … >>

<< I vicini sembrano silenziosi >>
John gli scoccò un’occhiata dubbiosa: << Non è per i vicini Sherlock. Per i ricordi. Non posso vivere qui, non ci riesco … Mary è ovunque in questa casa e … >>
<< Ti senti in colpa? >> dedusse Sherlock incerto.
<< Sì … principalmente sì. La verità è che mi manca la donna che credevo di conoscere e mi sento in colpa nei confronti di quella che non sono riuscito a perdonare >>
Sherlock annuì e si guardò attorno analizzando l’ambiente, i colori caldi delle tinte alle pareti e i suppellettili sui mobili: tutto in quella casa urlava “famiglia” quando una famiglia in realtà non esisteva più da tre mesi.
<< Cosa farai ora? >> gli chiese il detective trovando posto accanto ad una credenza.
<< Venderò questa casa. Ho messo un po’ di soldi da parte quando tu … >> si interruppe e respirò << eri morto. Cercherò qualcosa in centro … >>
Sherlock annuì pensieroso << Ti consiglierei una casa prossima a Regent’s Park. Ottime scuole ed è vicino alla clinica >>
John sgranò gli occhi, sorpreso << Sì e poi magari mi prendo un cane e nel tempo libero mi dedico al golf! >> ribatté acido nascondendo col sarcasmo il suo bisogno di sfogarsi e Sherlock gliene stava offrendo l’occasione blaterando di case davanti al parco e scuole, come se fosse quello il motivo del suo incomodo.
Scuole, parchi e cuccioli rappresentavano ora la sua vita? E’ questo che stava insinuando Sherlock? Ma come al solito lui non capì.
<< Pensavo ti piacesse il rugby … >>
John si mise le mani fra i capelli << Sherlock! Ero sarcastico! Okay? Sarcastico! In questo momento non me ne frega un cazzo di scuole, parchi e – oddio- hobby vari! In questo momento voglio solo andare via di qui e ricominciare d’accapo con Amanda >>
<< Sì >> pronunciò << Ho capito >> mentì infine senza comprendere perché stessero litigando e soprattutto su cosa.
Si voltò deducendo che fosse meglio lasciare a John i suoi spazi e tornare a Baker Street, prima che fosse sera, per salutare Mrs Hudson e chiamare Lestrade, ma il dottore lo fermò bruscamente afferrando un lembo del suo cappotto, come se improvvisamente gli fosse stato tolto il dono della parola. Sherlock osservò quella mano stringere convulsamente la stoffa e poi guardò John senza riuscire a riconoscerlo per quello che era stato in passato: quel John aveva gli occhi lucidi di dolore e rimpianto, ma erano anche spaventati e insicuri. E lui questa volta non poteva aiutarlo perché l’unico modo che conosceva per far tornare in sé John era mettere la sua vita in pericolo e ciò non doveva più accadere perché c’era una bambina di appena tre mesi che dormiva in un passeggino a pochi metri da loro. Quando John aveva sposato Mary aveva accettato di dividerlo con quella donna, di restare da solo facendo segretamente tesoro delle brevi avventure che riuscivano a vivere sul filo del pericolo, ne aveva preso atto, ma persino la sua diagnosticata sociopatia si ritraeva davanti al nuovo John Watson. Non poteva mettere il padre di Amanda in pericolo di vita. Non più. E se ne rese dolorosamente conto in quel momento.
Aveva fatto una promessa a Mary e non poteva venir meno a ciò che aveva giurato di fare per il resto della sua vita: prendersi cura di John e Amanda.
Tenerli al sicuro.
Basta casi, basta omicidi, basta pericolo.
Basta John.
<< Sono diventato banale, vero? >>
<< John … >>
<< Patetico? Con una vita piatta? Insignificante ai tuoi occhi, giusto? Le mie mani tremano e ho gli incubi, non riesco a dormire e sono tornato esattamente l’inutile individuo che ero prima di incontrarti! Cristo, non ho potuto nemmeno aiutarti a sbattere in cella quel maledetto figlio di puttana! >>
<< John >> lo chiamò ancora liberandosi dalla sua presa con gentilezza << Hai Amanda ora. Ed io non sono una persona adatta ad una bambina >>
John sgranò gli occhi e storse le labbra in una smorfia disgustata << E’ questo il problema? >>
<< No … Amanda non è un problema. Ma c’è e sei suo padre. Lei ha bisogno di te più di quanto tu abbia bisogno di me >> analizzò freddamente guardando tutto tranne che l’espressione sconvolta di John.
<< Sherlock … >> e sembrò quasi una minaccia il modo in cui lo chiamò << Amanda è mia figlia. È sempre al primo posto, ma tu … >>
<< Hai vissuto due anni senza di me John! >> esclamò incredulo dal dover affrontare proprio con un padre un argomento del genere; perché non ci arrivava da solo? << Come hai fatto? Mh? Mi pare tu sia sopravvissuto. Ti sei fidanzato, ti sei trasferito qui! Nessuno ti ha costretto >>
<< Hai ragione! >> lo interruppe con un viso l’espressione più furente che avesse mai visto, peggiore di quella con cui l’aveva accolto al suo ritorno << hai perfettamente ragione Sherlock. Sono sopravvissuto e mi sono fidanzato con una donna che ha contribuito a farmi resuscitare dopo la tua morte e mi sono trasferito qui e sai perché? >> sibilò con i pugni serrati e frementi di rabbia << perché non c’era un fottuto posto di Londra che non mi ricordasse te! >>
Sherlock immobile, lo guardò a lungo, sconvolto dalle sue parole e dall’intensità con cui le aveva pronunciate. Le analizzò, sillaba per sillaba ricercando un significato recondito che forse intravedeva solo lui.
Cosa stava cercando di dirgli realmente?
<< Sherlock >> disse John ingoiando saliva e saliva prima di poter parlare con fluidità << ti ho perdonato, ma non credo tu abbia capito quando la scelta idiota di fingerti morto mi abbia distrutto. Ho rivisto la tua caduta nella mia testa ogni singola notte della mia vita! Ogni singola notte. Poi sei tornato e credimi quando ti dico che prenderti a pugni non mi è bastato. Ho sposato Mary perché l’amavo, perché volevo una famiglia e volevo un angolo di pace da quella che consideravo la mia vera e magnifica vita accanto ad un eccentrico e sociopatico individuo che per vivere risolve crimini mettendo in pericolo la sua vita senza troppi ripensamenti. Volevo questa vita. Volevo vivere in periferia sapendo di poter tornare a Baker Street per seguirti ovunque decidessi di andare, volevo una vita monotona sapendo di poter trovare il pericolo solamente parlandoti, volevo una vita spezzata in due, mi sarebbe andata bene >> prese fiato e non smise di guardarlo negli occhi per un secondo << Volevo te nella mia vita, nonostante tutto, e la voglio ancora, ma tu non lo capisci e ti metti a blaterare di scuole, parchi e hobby! Non lo voglio un hobby! Non voglio vivere in funzione di scuole e parchi giochi! Non solo almeno! Voglio crescere mia figlia nei migliori dei modi perché è la cosa più bella che mi sia capitata nella mia vita e non hai idea di quanto la ami, ma voglio anche te nella mia vita. Perché sei il mio migliore amico, l’uomo più straordinario che abbia mai incontrato e perché so che senza la tua presenza nella mia vita vado alla deriva >>
E tornò il silenzio, carico di aspettativa e respiri veloci.
John inchiodò gli occhi di Sherlock ai suoi e aspettò, aspettò e aspettò che dicesse qualcosa, qualsiasi cosa. Invece, sorprendendolo chiuse gli occhi, lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e si voltò uscendo in silenzio da quella casa.
John abbandonò il capo contro il muro e si lasciò scivolare a terra con l’animo distrutto e gli occhi carichi di lacrime.
Quella stessa notte, alle tre e cinquanta del mattino gli arrivò un messaggio che a John suscitò più domande di quante non ne avesse già.
Mi dispiace, SH .
Ti dispiace per cosa? Per non aver capito prima? Per aver frainteso, per esserti amico, mi dispiace di essere andato via? Ti dispiace per cosa?
Non importa, gli rispose troppo stanco per continuare a porsi inutili interrogativi. Sherlock rimaneva un mistero così come lo erano le  loro litigate.
Sul serio John, mi dispiace che tu non possa capire SH
A quel punto si svegliò completamente rileggendo cinque volte quella frase: altre domande senza risposta.
Capire cosa?
Non gli rispose più.
 
 
 
Maggio
 
Sherlock, quella mattina, minacciò testualmente Lestrade, mentre saliva i diciassette gradini per tornare nel suo appartamento, scrivendo che se si fosse azzardato a disturbarlo di nuovo con un banale caso da due avrebbe dato il suo nome alla stampa accompagnato a quello di una escort scelta a caso.
Con i nervi a fior di pelle e un bisogno impellente di intossicarsi i polmoni con una sigaretta notò solo una volta arrivato all'ultimo gradino la presenza di un ospite a Baker Street.
Spalancò la porta nascondendo un sorriso di pura gratificazione quando scorse la
figura del suo migliore amico, John Watson, steso sul divano con un braccio a coprire gli occhi e l'altro abbandonato mollemente sullo stomaco. Lo osservò a lungo prima di palesare la sua presenza con un mugugno di disapprovazione.
John si scoprì la faccia mostrandosi in tutta la sua immensa  stanchezza.
<< Ombre attorno agli occhi, respiro accelerato, spalle ricurve e tremore alle gambe. Hai bisogno di dormire >> elencò con velato sarcasmo.
<< Ottima deduzione Sherlock >> esclamò stancamente prendendo un respiro per  poter tornare seduto cercando di ritrovare un minimo di decenza.
<< Amanda crede da un paio di giorni che le due del mattino sia l'ora ideale per ridere e chiacchierare con il carillon >> Sherlock sorrise e lasciò
ricadere il giornale sulla scrivania.
<< Come va la ricerca della casa? >>
<< Non hai bisogno di chiedere, lo sai. Comunque male è la risposta >>
Sherlock si sedette sulla sua poltrona e tornò serio << Amanda? >>
<< Di sotto... la signora Hudson ha avuto pietà di me quando
mi ha visto arrivare >> e si lasciò andare ad una risata isterica.
<< È così buona durante il giorno. Ieri mi ha sorriso! Ha sorriso proprio a me, ci credi? È stato... bellissimo... poi di notte si trasforma peggio di un gramlin! >> Sherlock aggrottò la fronte ignorando cosa fosse un gramlin << Lascia perdere >>
<< Forse dovresti prendere in considerazione l'idea di riportare quelle api carillon da dove le hai prese, John >>
<< Forse >> borbottò stropicciandosi gli occhi con le dita << Al lavoro mi hanno concesso altre due settimane di permesso, ma prima o poi dovrò tornare >>
<< Quel lavoro è noioso >>
<< Credi che non lo sappia? >> sbottò tirandosi in piedi di scatto e vedendo Sherlock aggrottare la fronte per la sorpresa: si scusò abbassando la testa.
Si dispiaceva quando a fare le spese dei suoi problemi era Sherlock, ma era altrettanto facile prendersela con lui. Troppo facile.
<< Mi dispiace. Sono solo stanco e … >>
<< Mycroft potrebbe trovarti una casa in pochi minuti se mi permettessi di chiamarlo >>
John scosse la testa con una smorfia << Non voglio mettere in mezzo tuo fratello. E’ un mio problema, non suo. Ho visto una casa a due minuti da qui, ma l’attuale inquilina è reticente a vendere a gente con figli >>
Sherlock annuì e strinse con forza i braccioli della sua poltrona.
<< Puoi … puoi restare qui >> asserì proseguendo a spiegarsi prima che John fraintendesse << per qualche giorno. La camera di sopra è ancora tua >>
John prese un respiro e ignorò quella voce dentro la sua testa che gli urlava di accettare subito.
<< Sherlock … >>
<< Amanda non occupa molto spazio. Non credo potrebbero sorgere problemi >>

<< Potrebbero sorgere? >> ridacchiò incredulo << Sherlock sopporti a fatica il genere umano che tenta di approcciarsi a te e vorresti in casa una bambina che passa la notte a ridere e piangere? Sii serio >>
Sherlock strinse le labbra, offeso da quelle parole.
Si alzò con grazia dalla poltrona e marciò sicuro verso la cucina senza rivolgere a John un solo sguardo.
<< Amanda non è “il genere umano”. E’ Amanda Watson e piange solamente a causa di quelle stupide api che insisti a far ruotare sopra la sua culla! >> sbottò ritirandosi velocemente nella sua stanza, sbattendo la porta con veemenza.
John sgranò gli occhi stupefatto e lo inseguì prima ancora di rendersi conto di farlo, bussando con le nocche contro il legno una due tre volte prima che potesse udire qualche suono.
Non aveva pensato di poter offendere Sherlock Holmes con una simile – e veritiera- insinuazione.
Sì sentì un immenso idiota ad aver insultato i sentimenti dell’amico, un immenso idiota ed egoista per aver pensato solo a sé stesso, surclassando i pensieri dell’altro. Sì, stava male, la sua vita era un casino, ma non si era mai preoccupato del caos nella vita di Sherlock e della minaccia sfiorata dopo il suo ritorno a Londra. Aveva provato paura in quei tre mesi? Dolore? Era stato male? Si era annoiato o peggio, aveva di nuovo fatto ricorso ai suoi istinti suicidi?
Non se lo era mai chiesto, totalmente coinvolto dalla sua vita e dal suo lento processo di guarigione emotiva. Come amico era pessimo, riconobbe.
Dopo le nocche John incominciò a battere la fronte contro la porta, frustrato e dispiaciuto.
<< Sherlock … >> lo chiamò << Sherlock mi dispiace … la mia vita è un gran casino in questo momento e … Dio esci di lì! Odio parlare con una porta! >>
L’uscio si spalancò all’improvviso rivelando il viso astioso del detective.
<< Hai detto di volermi nella tua vita ebbene io sono nella tua vita, John! >> esclamò arpionando lo stipite con le lunghe dita.
John si morse le labbra ancor più amareggiato << So cosa ho detto Sherlock. Ma non posso pensare di importi anche una bambina di quattro mesi >>
Sherlock alzò gli occhi al cielo e sospirò pesantemente prima di scansarlo e uscire dalla sua stanza con movenze melodrammatiche.
Si fermò in cucina sedendosi davanti al suo microscopio.
<< Tu non mi stai imponendo nulla >> esordì qualche minuto dopo << Amanda non è un’imposizione. E sì, sopporto a fatica il resto dell’umanità, ma pensavo di averti pienamente dimostrato di essere in grado di - >> ma fu interrotto perché un detective ispettore di Scotland Yard visibilmente trafelato fece ingresso nell’appartamento rivolgendo un’occhiata disperata a Sherlock.
<< Che c’è ancora Lestrade? >> sbottò il consulente << pensavo di essere stato sufficientemente chiaro quando ti ho detto di non tediarmi con i tuoi stupidi casi da due! >>
<< Questo è diverso >> spiegò Greg rivolgendo un lieve cenno a John << un caso di rapimento vecchio di quindici anni. Sono sorti nuovi indizi proprio oggi. Una telefonata anonima ci ha indicato una zona fuori Londra e abbiamo trovato il cadavere >>
Sherlock aggrottò la fronte e cominciò a ragionare dimenticandosi della discussione avvenuta pochi minuti prima, ma non John che era rimasto basito davanti a quell’uomo che palesava emozioni e si offendeva se non ritenuto capace di amare.
Dov’era finito il detective algido e totalmente avverso ai sentimenti?
Era stato lui a cambiarlo così o gli avvenimenti degli ultimi anni lo avevano trasformato irrimediabilmente?
<< Accetti il caso? >> incalzò Lestrade.
<< Sì >>
<< Grazie >> sospirò << la scientifica è già sul posto >>
Sherlock si alzò << Mandami l’indirizzo via messaggio >>
John osservò la scena con interesse e una parte di lui stava già per cercare la giacca e seguirlo quando si ricordò, d’improvviso, con un fastidioso colpo allo stomaco, che c’era Amanda al piano di sotto e che lui era un genitore.
<< Puoi restare quanto vuoi John >> gli comunicò il detective infilandosi cappotto e sciarpa.
<< Come? >>
<< Resta >> ripeté.
<< Non vuoi che venga con te? >>
Scrollò le spalle << Lestrade sembra divertirsi a tediarmi con casi da due in questo periodo. Lo sarà anche questo >>
<< No, non è vero o non avresti fatto quella faccia >>
<< Quale faccia? >> si stupì.
<< La tua faccia contenta quando hai tra le mani un caso da otto >>
<< Io non … >>
<< Voglio venire con te. Ho bisogno di venire con te >>
Sherlock parve rifletterci spostando più volte gli occhi da John alle scale << Non vuoi più che ti segua nei casi? >>
<< Pensavo … avessi bisogno di tempo >> azzardò a ipotizzare scandagliando l’espressione del medico.
<< Quello di cui ho bisogno è di sentirmi vivo >>
<< E Amanda? >>
John sospirò e con un sorriso sghembo corse giù dalle scale in cerca della signora Hudson e la trovò in cucina, intenta a giocherellare con la bambina.
<< Signora Hudson? Posso chiederle  un immenso favore? >>
<< Certo caro >> gli rispose allegra fiera di far sorridere in quel modo la piccola fra le sue braccia.
<< Potrei chiederle di tenere Amanda un paio d’ore? Se non le crea disturbo ovviamente … è solo che … >>
La signora Hudson cambiò sorriso e divenne improvvisamente complice del suo bisogno di fuga << Io e Amanda ci divertiremo molto John caro, non devi preoccuparti e poi è un angioletto >> asserì facendola sobbalzare fra le sue braccia.
John trasse un sospiro di sollievo << Non so come ringraziarla >>
<< Oh non dirlo neanche. Divertitevi! >>
Quando andò verso la porta trovò Sherlock serio e preoccupato che lo stava aspettando.
<< Sicuro? >>
<< Sicuro >> e sorrise emozionato.
 
 
 
 
All’una di notte le strade di Londra erano deserte e il traffico scorreva.
Il cadavere che avevano rinvenuto quella mattina apparteneva ad una ragazzina di tredici anni soffocata a causa di una stretta forte attorno al collo. Era morta da almeno quindici anni ed era stata lasciata marcire sotto un cumulo di terra e fango alla periferia di un parco faunistico a due ore dalla città.
Un sequestro finito male, fu la lapidaria sentenza di Sherlock una volta identificata la vittima, ora restava solo sapere chi fosse l’artefice di quel brutale omicidio.
John, in taxi, guardò l’ora sul cellulare sospirando pesantemente, devastato dal senso di colpa: aveva lasciato tutto il giorno sua figlia a Baker Street nelle mani dell’anziana signora Hudson per seguire Sherlock sulla scena del crimine e poi a Scotland Yard.
Ma cosa accidenti gli era preso?
Era l’una, l’una di notte maledizione!
Come aveva potuto dare una simile responsabilità a quella povera donna mentre lui … già, lui cosa? Cosa stava facendo?
Forse Sherlock aveva avuto ragione: doveva trovarsi un hobby e comprare un cane e smettere di sentirsi in colpa.
Sherlock accanto a lui stava navigando senza sosta su internet alla ricerca dei quotidiani che quindici anni prima avevano trattato il caso.
John era sicuro non sapesse nemmeno che ora fosse, ma lui purtroppo ne aveva cognizione.
<< Un caso da sette, lo ammetto >> commentò il detective con un sorriso appena evidente sulla labbra.
<< E’ l’una di notte >>
<< Già >>
<< Ho lasciato Amanda dalla signora Hudson per quattordici ore! >> precisò.

<< Amanda è al sicuro >>
<< Lo so, ma non posso fare a meno di pensare di essere un pessimo padre >>
<< Non lo sei … è al sicuro >> ribadì senza distogliere gli occhi dallo schermo del telefono << perché ora? >> domandò di colpo facendo sorgere dei dubbi al dottore sul cambio improvviso di argomento << perché denunciare ora il luogo del seppellimento. Perché dopo quindici anni? >>
<< Senso di colpa? >> borbottò John scrollando le spalle << posso capirlo >>

<< O qualcosa gli ha impedito di parlare prima, magari un compenso in denaro affinché tacesse >>
John aggrottò la fronte e Sherlock sospirò frustrato nel doversi spiegare: << Il rapimento è stato organizzato da almeno tre persone. Uno distraeva con una scusa banale i genitori, uno aspettava in auto pronto a scappare e un terzo forzava la serratura della finestra per entrare in casa e rapire Jane McGregor.
Qualcosa è andato storto e dopo lo scambio in denaro hanno ucciso la ragazza. Se la loro intenzione era di ucciderla comunque, non le avrebbero coperto gli occhi come dimostra il video che i rapitori mandarono alla famiglia. Ho bisogno di analizzare i vecchi fascicoli >>
 
John entrò in casa quasi di corsa, superando la porta della cucina del piccolo appartamento della signora Hudson, trovandola addormentata sulla sua poltrona preferita con una tazza di tè accanto oramai fredda. Prese un profondo sospiro di sollievo lasciandosi finalmente andare ad un sorriso divertito quando constatò che invece Amanda era più che sveglia e rideva, agitandosi dentro il passeggino.
John la guardò e la prese fra le braccia sentendola emettere un risolino soddisfatto.
<< Hai fatto crollare la povera signora Hudson. Cosa devo fare con te? >>
Amanda si appoggiò al suo petto e chiuse gli occhi e John si intenerì a tal punto da non voler più lasciarla andare. Aveva di nuovo perso un’altra battaglia senza nemmeno provare a combattere.
Lasciò la stanza in silenzio, per non svegliare la donna, salendo le scale in punta di piedi fino al salotto dove Sherlock stava già lavorando al caso con il naso immerso nel computer.
Indeciso, John restò sulla soglia aspettandosi da lui qualsiasi segnale di disagio che invece non arrivò.
L'idea di dormire sul divano con Amanda fra le braccia lo sfiorò più volte mentre aspettava che il detective uscisse dal suo mind palace , perché era troppo strano pensare di utilizzare la vecchia camera da letto al piano di sopra.
Gli sembrava di tornare indietro nel tempo, alle notti prima della caduta, prima di andarsene, prima di Mary.
Era strano e aleggiava una sensazione di malinconia nell'aria e John invece di ignorarla né inalò l'odore: sapeva di polvere, reagenti chimici, shampoo e tè.
Chiuse gli occhi e comprese quanto gli fosse mancato tutto questo negli ultimi mesi ... no negli ultimi tre anni.
Sherlock era ancora seduto davanti al computer. Gli occhi saettavano veloci e John si prese qualche secondo per guardarlo e ricordarsi com'era prima: fastidioso, irritante, coinvolgente, fantastico. Unico.
Gli aveva salvato dal dolore utilizzando metodi non ortodossi, lo aveva costretto a riprendere in mano la sua vita, era andato contro tutto ciò in cui credeva facendogli da testimone e  gli era stato vicino nel momento più difficile della sua vita.
Come poteva ripagarlo per tutto questo?
<< Grazie >>
Di esistere.
<< Per tutto >> disse, ma ovviamente non ottenne risposta.
Si voltò e un buonanotte appena sussurrato lo fece sorridere.
 
Aprì la porta della sua vecchia camera trovandola esattamente come l'aveva lasciata - abiti a parte perché quelli erano ancora stipati nell’armadio della sua attuale  casa in periferia- ed era strano notare come nulla fosse stato toccato o spostato: Sherlock era solito occupare qualsiasi superficie orizzontale per i suoi benedetti esperimenti e John non avrebbe mai pensato di ritrovarla integra e sgombra , come se fosse stata lasciata intonsa per un suo eventuale ritorno.
Da qualche parte nella sua testa un voce gli disse che Sherlock gli era mancata la sua presenza manifestandola nell’unico modo che conosceva.
Smise di pensare e si adagiò sul letto con Amanda addormentata sul suo petto.
John sbuffò un sorriso << Basta poco per farti contenta >> coprì entrambi con una coperta di lana e si rilassò al suono del respiro dolce della figlia.
<< Crescerai viziata... lo so. Ma sai che ti dico? Non importa. Non potrei mai dirti di no... Non ci sono mai riuscito, nemmeno con Sherlock >>
La piccola mano di Amanda si posò sulla sua guancia, involontaria.
<< La mia bambina >> sussurrò chiudendo gli occhi.
 
 
Il sole colpì i suoi occhi ad un'ora imprecisata del mattino e la prima cosa che fece John fu tastare il suo petto alla ricerca del peso caldo di Amanda.
Si alzò di scatto quando si rese conto di non trovarla. Pensò fosse caduta o peggio ma prima ancora di essere soffocato da un'onda di panico udì i borbottii della bambina, uniti al parlare di Sherlock, provenienti dal piano inferiore.
Non si diede il tempo di mettersi le scarpe e corse giù aprendo la porta con premura scoprendo così una scena a dir poco singolare: Sherlock seduto in poltrona con un libro posato sulle ginocchia leggeva ad alta voce la composizione chimica del sangue ad Amanda ascoltava curiosa adagiata contro il suo petto.
John sgranò gli occhi stupefatto e rimase immobile godendosi quel momento senza ricercare stonature in quell’immagine di perfezione. Perché sì, in effetti c’era qualcosa di strano nel trovare Sherlock con in braccio una bambina.
<< John >> si interruppe il detective << gradirei del tè se non ti è di troppo disturbo >>
<< Io … Sherlock che cosa … >>
Il detective alzò gli occhi dal libro incrociando i suoi più che sorpresi << E’ ovvio che stiamo leggendo >>
<< State? >>
<< Io leggo lei ascolta. E’ molto interessata alla chimica >> spiegò senza nascondere  una punta di orgoglio nel tono di voce.
<< Non alla chimica. Alla tua voce >>
<< Ah … credi? >> domandò piegando il viso di lato per guardare Amanda che nel frattempo aveva cominciato a stritolare fra le dita le pagine del libro.
<< Sherlock perché? >>
<< Perché cosa? >>
<< Perché l’hai portata qui? >>
<< Ti dà fastidio? >>
<< Certo che no! >> esclamò << Sono solo … sorpreso, ecco >>
Sherlock sospirò e lasciò cadere il libro a terra con sonoro disappunto di Amanda che intanto aveva preso a giocherellare con la stoffa della vestaglia del detective << Era l’alba e tu dormivi. Amanda stava per svegliarti. E’ una bambina molto rumorosa, John, te lo concedo. L’ho portata qui e si è dimostrata molto interessata ai miei libri così le ho letto un volume base di chimica molecolare, suppongo però che non sappia ancora quale sia la funzione di un vetrino perché li ha lasciati cadere a terra prima che tu arrivassi >> spiegò placidamente inchiodandolo con uno sguardo profondo e conturbante << Ora, tè se non ti dispiace >>
<< Sì. Va bene. E … grazie Sherlock >>
<< Mi hai già ringraziato ieri sera >>

<< No … cioè, sì. Grazie per avermi lasciato dormire … ne avevo bisogno >>
Il detective scollò le spalle e tornò ad osservare Amanda e John tornò indietro.
<< Grazie di avermi lasciato venire con te ieri, grazie di aver lasciato che restassimo, grazie per tutto >> aggiunse.
<< John >>
<< No, sul serio. Non credo di averti mai ringraziato per ciò che hai fatto nell’ultimo anno … sono stato così preso dalla mia vita, da Amanda e ho dimenticato di dirtelo … perciò grazie >>
Sherlock annuì senza ribadire e John sentì di aver abbandonato un peso opprimente al cuore in quel salotto. Andò in cucina e preparò il tè in silenzio perdendosi nei ricordi.
Forse avrebbe dovuto ringraziarlo meglio, ma i discorsi non erano mai stati il suo forte.
Tornò in salotto porgendo la tazza a Sherlock.
<< Quindi, il caso? >> esordì sedendosi sulla sua vecchia poltrona sgangherata.
<< Stiamo aspettando che Lestrade ci porti i fascicoli da oramai due ore. Non riesco proprio a capire cosa ci sia di così difficile nel prendere uno scatolone e portarlo qui >>
<< State aspettando? Tu e chi? >>
<< Io e Amanda ovvio >> sottolineò soffiando aria sul bordo della tazzina.
<< Amanda? >> si stupì guardandola mentre gorgogliava sorrisi e commenti.
<< Sì. Pensa che Lestrade sia un’idiota a farmi aspettare così tanto per un paio di documenti >>
John trattenne  una risata << E come te l’ha detto esattamente, sono curioso >>
Sherlock alzò gli occhi dal tè e lo fissò annoiato. Posò la tazzina sul vassoio e sistemò Amanda sulle sue gambe << guardala John. Non ha l’aria di una bambina profondamente annoiata dall’inettitudine degli agenti di Scotland Yard? >>
Amanda si guardò attorno poi decise di provare a mettersi in bocca un piede fallendo nel tentativo tornando ad agitarsi poco soddisfatta.
John rischiò di strozzarsi nel trattenere un’altra risata << Oh sì, molto annoiata >>
<< Lestrade ci avrà sulla coscienza >>
<< Povero Greg >>
<< Greg? Gli ho mandato un messaggio tre ore fa, John! Tre! >> Si alzò di scatto depositando la bambina fra le braccia del padre << Amanda, spiegagli quanto io sia disgustato da questo nuovo esempio di inefficienza dimostrato da Lestrade >>
Amanda guardò John scoccandogli un sorriso empio e sdentato poi si infilò il piccolo pugno in bocca e dichiarò chiuso il dibattito.
Perfetto, si disse, non bastavano gli strani comportamenti recenti, ora Sherlock si metteva a chiacchierare con una bambina di crimini e molecole del sangue.
Cosa gli era successo?
John si alzò e osservò l’entrata in scena di un affaticato Lestrade che trasportando due scatoloni ricolmi di documenti si dovette sorbire anche la predica del detective.
<< John. E’ davvero confortante rivederti >> sdrammatizzò l’amico posando le scatole a terra << ieri non ho avuto tempo di chiederti come stai >>
<< Bene … meglio >> rispose.
<< Ne sono felice. Amanda è davvero bella … è cresciuta molto >>
<< Sì ed è molto reticente nel dormire la notte >> spiegò con un sorriso << Saluta Greg, Amanda >> aggiunse muovendo una mano della bambina affinché sembrasse salutare l’ispettore.
<< Ciao Amanda. Come sei diventata grande … >>
<< Sì, sì, sì! E’ cresciuta, è bella ed è tutto meraviglioso! Ora puoi anche andare, la tua presenza mi distrae >> sbottò acido.
<< Sherlock! >>
<< No, è tutto a posto. Ci sono abituato, John. E vedi di tenermi informato Sherlock perché non ho intenzione di chiamarti sei volte al giorno per avere notizie sul caso >>
Sherlock non rispose già intento a spulciare documenti all’interno della prima scatola.
<< Ti accompagno >> disse seguendo Greg giù dalle scale. Solo quando arrivarono alla porta d’ingresso John tornò a parlare << Credi che Sherlock si stia comportando in modo strano? >>
<< Lui è strano >> precisò l’ispettore.
<< Intendo più strano del solito. E’ come se … fosse – non so- cambiato. Come se avesse smussato gli angoli del suo carattere impossibile diventando più … umano >>
Greg aggrottò la fronte perplesso << Beh … sì è cambiato da quando sei nella sua vita. Non si può negare >>
<< No. Questo lo so, intendo negli ultimi mesi. Io credo che si stia affezionando ad Amanda in un modo che non credevo possibile >>
L’ispettore annuì serio << Sì, lo penso anche  io. Quando è nata ha passato due interi giorni davanti alla nursery a controllarla e guardarla da dietro un vetro. Ha aspettato finché non arrivasti a prendertene cura >>
 John respirò un singulto << Già … me lo ricordo >>

<< Quindi sì penso stia cambiando e, credimi, non aspettavo altro. Te l’avevo detto che, se fossimo stati fortunati, oltre che fantastico sarebbe diventato anche un brav’uomo >>
John rimuginò sopra quelle parole e dovette dar ragione all’amico.
<< Magari quel giorno è arrivato. Insomma … sarà sempre l’acido e insopportabile bastardo so tutto io che conosciamo, ma con qualche altro pregio in mezzo >>
John sorrise incredulo << Ciao Amanda, è stato un piacere rivederti. Posso sperare, John, di rivederti al pub qualche sera? >>
<< Se trovassi una baby-sitter, forse >>
<< Ne hai una al piano di sopra che spulcia documenti >> e rise di gusto uscendo in strada.
John richiuse la porta ridendo come un matto.
In quel momento credette di essere di nuovo felice. Per almeno cinque minuti.
 
***
 
 
Era davvero difficile medicare la ferita di Sherlock al solo chiarore di qualche lampione mentre i lampeggianti della polizia rossi e blu non facevano altro che distrarlo. Inoltre le sue mani stavano tremando a causa del nervoso.
<< E’ solo una ferita superficiale. Non avrai bisogno di punti. Sei stato molto fortunato >> asserì John chiudendo con una fascia l’avambraccio del detective.
Poco distante, due uomini dall’aria turpe, venivano trascinati fuori dall’edificio dagli agenti di Scotland Yard per essere interrogati. Ma gli indizi che Sherlock aveva trovato contro di loro non avrebbero necessitato di una confessione ai fini del processo. Thomas e Neil Adams, fratelli con vari precedenti alle spalle, erano colpevoli dell’omicidio della tredicenne Jane e del suo sequestro a fine di riscatto, complici della cameriera di casa McGregor.
Una settimana di indagini per arrivare ad arrestarli e Sherlock, per non vanificare gli sforzi fatti, si era introdotto in quella casa senza aspettare nessuno ricevendo in cambio una crivellata di colpi che per fortuna evitò finendo in ambulanza con un solo graffio al braccio sinistro. Un vero colpo di fortuna.
John lo guardò adirato mentre lo aiutava a rinfilarsi la camicia e il cappotto e Lestrade ci pensò ben due volte prima di osare avvicinarsi a loro.
<< Ti rendi conto del rischio che hai corso? >> gli urlò addosso l’ispettore prendendosi la testa fra le mani << per la miseria Sherlock! >>
<< John è stato sufficientemente chiaro qualche secondo fa. Come mi hai definito? Un folle idiota individuo dal cervello pieno solo di ego e istinti suicidi. Mi complimento per la fantasia >>
Lo scappellotto gli arrivò, doloroso e rapido sulla sua nuca.
<< Cretino! >> sibilò il dottore << sei un cretino! Potevi farti ammazzare! >>
Sherlock sospirò annoiato << I rischi del mestiere! >>
<< Sei un consulente Sherlock! Fare irruzione è un compito della polizia, lo vuoi capire? Cristo, ma perché perdo tempo ancora a sgolarmi inutilmente? >>
Greg sgranò gli occhi insieme a Sherlock, molto sorpreso da quel nuovo attacco d’ira e si ammutolì aspettando che si calmasse.
<< Okay >> titubò Greg indietreggiando << Io vado ad arrestare la cameriera di casa McGregor. Tu vai a casa e riposati. Ti chiamo domani mattina così parliamo di ciò che hai fatto >> e detto ciò tornò verso la sua auto lasciando i due litiganti a continuare con le loro beghe.
 
 
John sbatté la porta di casa così forte quando tornarono a Baker Street che svegliò la bambina che a sua volta allarmò la signor Hudson la quale si sporse dalla cucina trafelata prima di richiudersi dentro, notando l’espressione furiosa di John.
Il dottore sbatté anche la porta del salotto solo per ribadire quanto fosse arrabbiato e Sherlock lo lasciò fare prendendo posto sulla sua poltrona.
<< Tu sei incredibile! Davvero! Hai rischiato di farti ammazzare! Di nuovo! Come puoi farmi questo? >> a quel punto il detective alzò gli occhi verso John << Come puoi buttarti a capofitto in un covo di criminali dopo tutto quello che ti è successo? Eh? >>
<< John … >>
<< No, John un cazzo! Tu ora mi spieghi perché! >>
Sherlock sospirò stancamente << Ho dovuto farlo >>
<< Tu devi sempre fare qualcosa, vero? John non puoi capire. John ho dovuto fingermi morto, John ho dovuto prendermi una pallottola, John ho dovuto uccidere Magnussen, John ho dovuto rischiare di farmi ammazzare! Hai sempre una scusa per i tuoi atti suicidi, vero? >>
Sherlock si immobilizzò, sicuro che se avesse avuto un coltello in mano lo avrebbe pugnalato.
Lo strillo acuto di Amanda lo distrasse in tempo prima che potesse urlare di nuovo.
Uscì dalla stanza tornando al piano inferiore lasciando il detective solo a pensare alle ultime ore appena passate.
Tornò in salotto dopo quasi un’ora con Amanda addormentata fra le braccia e un’espressione stanca in viso.
Sherlock non si era mosso di un millimetro chiuso nel suo mind palace, teso a riorganizzare alcuni ricordi,  ridestandosi solo quando sentì i suoi passi dalle scale.
<< Mi hai fatto spaventare a morte >> gli comunicò con tono di voce più basso e calmo.
<< John … siediti >> e John lo fece accomodandosi sulla sua poltrona, spostando Amanda sulla sua spalla per non farla svegliare.
<< Stai cercando di scusarti? >>
<< Non sono pentito di quello che ho fatto. E’ il mio lavoro e tu lo sai, ne sei stato partecipe per due anni prima che me ne andassi e dopo, quando sono tornato.

Sai che corro pericoli e sai che non mi importa di farlo. Non mi sono mai preoccupato per me, ma questo era prima … di te, prima di Mary e prima di Amanda. >> disse guardando altrove con una nota di fastidio nel tono di voce <<
Ho fatto una promessa John >>
Il dottore annuì aspettando che si spiegasse.
Sherlock spostò lo sguardo verso il camino prima di parlare e sembrò costargli molto formulare quelle frasi: << Ho promesso a Mary che vi avrei protetti. Le ho promesso che sareste stati al sicuro e che non vi sarebbe mai accaduto niente. Le ho promesso di prendermi cura di Amanda come meglio sarei riuscito. La mia vita, il mio lavoro contraddicono tutte le promesse che le ho fatto. Quindi capisci perché non voglio più che tu mi segua? >>
John trattenne il fiato, sconvolto.
<< Qu-qundo le hai … >>
<< Venne da me un mattino, sicura di morire. Voleva salvare Amanda a dispetto della sua vita >> confessò.
<< Perché non - >>
<< Mi ha fatto promettere di non dirti niente >> lo interruppe ancora, imperscrutabile.
John prese un respiro profondo e un fremito sfuggì al suo controllo.
<< Lei ti ha chiesto di … proteggermi? >> ripeté incredulo accarezzando inconsciamente la schiena calda della bambina.
<< Lo capisci ora, John? >>
<< Ti sei messo in pericolo solo per dimostrarmi che la vecchia vita non fa più per me ? >>
<< Anche. I fratelli Adams dovevano essere fermati prima che fuggissero nelle fogne e raggiungessero il fiume >> spiegò altero e orgoglioso.
John socchiuse gli occhi immaginando Mary in quella stessa stanza, decisa e consapevole nel parlare del futuro all’unica persona di cui potesse fidarsi. E nello stesso tempo faticò a credere che avesse messo la cosa più preziosa nelle mani di Sherlock << Non posso pensare che ti abbia chiesto  una cosa del genere >>
<< Voleva assicurarsi che fossi al sicuro >>
<< Sherlock … >> sussurrò << Non dovresti farlo … >>
<< Voglio farlo >> chiarì spostando di nuovo lo sguardo verso il caminetto spento.
<< Non è compito tuo >> continuò John titubante << Amanda è … non devi farlo se non vuoi. Lo capisco. Non devi prenderti una simile responsabilità solo perché … >>
<< Lo avrei fatto comunque, John >> lo interruppe bruscamente diventando improvvisamente algido e cupo.
<< Tu tieni ad Amanda >>
<< Certo che sì. E’ tua figlia >>
John percepì un brivido corrergli lungo la spina dorsale e si concesse qualche minuto per pensare alla portata di quella confessione.
Lo osservò con attenzione e ripensò a ciò che aveva detto Greg, all’evidente cambiamento emotivo che il detective aveva subito, al compito che si era assunto volontariamente, al modo in cui guardava Amanda.
Tutto era cambiato in lui rimanendo lo stesso Sherlock di sempre, intelligente, folle, algido e velenoso con il resto del mondo nascondendo la sua altra magnifica personalità, mostrandosi solo a lui.
<< Mi hai salvato molteplici volte, hai reso la mia vita un’avventura e mi hai permesso di tornare l’uomo che ero un tempo. E ora questo … questa promessa.
Sherlock, chi sei tu veramente? >>
L’uomo piegò il viso di lato << Un consulente investigativo >>

John sorrise e si sporse verso di lui << Non posso credere che tu sia così. Sei un uomo straordinario Sherlock e fingi di non esserlo >>
<< John, smettila subito! >>
John scosse la testa con un altro sorriso << Non ci penso proprio. Hai appena dimostrato di essere un uomo ricco di sentimenti nascosti e non un robot senz’anima >>

Sherlock gli scoccò un’occhiataccia << Mi rimangio tutto >>
<< Non puoi. È troppo tardi >>
<< Posso farlo >>
<< No invece. Ho memorizzato ogni singola parola >>
Sherlock sbuffò pentito dall’aver parlato e si arrese rannicchiandosi sulla poltrona, portandosi le gambe al petto, mostrandosi imbronciato.
John gli sorrise divertito finché non gli si aprì una voragine al centro del petto.
Ogni cosa che aveva fatto Sherlock negli ultimi mesi le aveva fatte per lui e per Amanda, ogni singola cosa, panificando e sorprendendolo come nel rimettere a posto la sua poltrona o fargli trovare il suo tè preferito in credenza.
Percepì sua figlia muoversi sopra la sua spalla e lasciarsi andare ad un piccolo mugolio sommesso e pensò a quanto fosse importante avere un angelo custode come Sherlock nella sua vita e la immaginò ad imparare a parlare e dire parole assurde grazie a lui, a leggere formule chimiche prima di andare alle elementari, a dedurre la vita delle persone e giocare al piccolo chimico sotto i sui occhi preoccupati.
All’improvviso John respirò di sollievo a quelle immagini sentendo un grande peso dissolversi al centro del suo petto.
Amanda era così fortunata che quasi la invidiò, ma poi capì quanto lo fosse anche lui ad avere Sherlock Holmes nella sua vita e benedì il giorno in cui Mike gli disse “sei la seconda persona che me lo dice, oggi” suscitando in lui una scintilla di curiosità.
<< Mi sento meglio ora >> esordì allora dopo molto silenzio << Sapere che se mi succedesse qualcosa, qualsiasi cosa, Amanda avrebbe qualcuno su cui contare, no lasciami finire, qualcuno a cui voler bene, qualcuno che le voglia bene. Ho una famiglia disastrata e Harry non sarebbe un buon esempio genitoriale, ma tu … sei straordinario. Quindi sì, grazie e rassegnati, non smetterò mai di ripetertelo >>
<< Grazie di cosa? >> mugugnò fra le ginocchia.
<< Di essere tu >>
Sherlock alzò gli occhi verso di lui e lo osservò mentre si alzava sporgendosi per abbracciarlo con un solo arto e Amanda in mezzo a loro che dormiva. Sgranò gli occhi e perse il fiato finché John non si rialzò con un sorriso sereno in volto.
 
                  
                                                        ***
 
Successe senza che John potesse accorgersene.
Amanda cominciò a mettere i denti e John smise involontariamente di cercare una casa.
I vestiti che aveva erano stati lentamente – due capi alla volta- riportati nell’armadio al piano di sopra e piccoli oggetti di John erano tornati ad occupare alcune superfici della casa, come un mazzo di chiavi, un paio di occhiali, dei guanti, una tazza colorata e alcuni libri.
Amanda aveva portato con sé alcuni sonaglini e due bambole di pezza, un peluche a forma di scimmia e le tutine colorate, regalo di Molly.
La casa in periferia non venne più menzionata una volta venduta e nessuno si preoccupò di sgombrarla dai mobili: John portò via solo tre scatoloni con dentro i suoi restanti oggetti personali e le fotografie, chiudendo i ricordi lì dentro.
Sherlock non accennò più l’argomento casa né sembrò volerlo allontanare da Baker Street.
Amanda era diventata gradualmente più silenziosa grazie a Sherlock il quale suonava ogni sera per lei una composizione armoniosa e ipnotica rendendo tranquillo il suo sonno.
Il salotto si era animato di nuovo dalle loro discussioni sui casi. John era stato irremovibile su questo punto: nei limiti del possibile lo avrebbe seguito e non c’era nulla che Sherlock potesse escogitare per fermarlo. Si doveva semplicemente rassegnare ritrattare quella parte della promessa.
Amanda riempiva gli attimi vuoti della loro vita, quelli prima noiosi e tranquilli, e rideva, rideva sempre attratta da tutto ciò che si muoveva e qualunque cliente disperato usciva da lì con il sorriso alla vista di una bambina, adagiata su una trapunta, che gorgheggiava rivolta  al soffitto.
La signora Hudson le aveva ricamato una coperta lilla e quella stessa ora era stata piegata all’interno di un lettino bianco che qualcuno aveva portato in camera sua la sera prima.
Stava tornando a vivere a Baker Street senza rendersene  conto.
E’ una situazione temporanea, si giustificò, un giorno Amanda avrà bisogno di una stanza sua; non può dormire con me per sempre. Troverò una casa qui vicino.
La verità è che non poteva nemmeno pensare di andarsene senza piombare di nuovo in quello stato di apatia in cui era caduto, di vivere senza il violino di Sherlock suonato alle tre del mattino per addormentare Amanda o per pensare e al microscopio lasciato sempre al centro del tavolo della cucina.
Sherlock, Sherlock era il centro dei suoi pensieri.
Come aveva fatto prima?
Come aveva fatto a non sentirne la mancanza quando viveva con Mary, come aveva potuto ritenerlo fastidioso?
<< John! Un caso da sette! Prendi la giacca! >> gli urlò dalle scale e un sorriso spontaneo apparve sul suo volto.
 
 
 
Luglio
 
 
 
Corse a perdifiato lungo il vicolo buio.
Vide la sagoma della sua preda a pochi metri di distanza che scavalcava un muretto con estrema goffaggine e accelerò sicuro di prenderlo: nessun omicida di centoventi chili poteva competere con John Watson, soldato ferito in guerra e tornato dall’inferno più di una volta.
L’uomo rovinò a terra e si rialzò perdendo due metri di vantaggio.
John poteva sentirlo rantolare mentre arrancava sempre più claudicante fra le mura delle case e si pregustò il momento in cui gli avrebbe messo le mani addosso per farlo pentire di aver ucciso due quindicenni. Oh, l’avrebbe pagata cara.
Si sentì vivo, energico e felice nonostante la situazione. Felice di essere vivo. Felice di essere di nuovo felice.
Scattò in avanti e con un ghigno di vittoria lo raggiunse afferrandolo per un lembo del maglione. L’uomo cadde a terra, stordito e sorpreso e ciò non gli permise di reagire quando comprese di aver appena guadagnato un biglietto di sola andata per il carcere a vita. 
John lo tenne fermo, furente, ignorando le vane lamentele di quell’abominevole  individuo.
<< John? John?! Lo hai preso? >>
<< Sì! È a terra! >> urlò il dottore in risposta osservando la sagoma di Sherlock avvicinarsi. Aveva il fiato corto e un sorriso soddisfatto in volto, le mani già strette attorno al cellulare.
<< Lestrade, vicolo sulla destra. John lo ha preso >> comunicò con una rapida chiamata, la voce incrinata di orgoglio. Lo guardò a lungo accorgendosi che quel sorriso era tutto per lui.
Si rialzò solo quando Sally Donovan assicurò l’omicida alle manette consegnandolo a due agenti in divisa mentre Lestrade, con le mani sui fianchi, osservava la scena compiaciuto.
<< Come hai fatto ad arrivare a lui? >> domandò quest’ultimo rivolto al detective.
Sherlock morì ancora più d’orgoglio << Un’unghia >> disse.
<< Cioè? >>
<< La vittima numero due aveva un’ pezzo di unghia spezzata fra i denti. L’ho analizzata: conteneva relative tracce di trucco resistente all’acqua. Era troppo spessa per appartenere ad una donna, ingiallita dal fumo. Quale uomo porta trucco resistente all’acqua? >>

John fulminò con un’occhiataccia chiunque stesse osando fare battute << l’impronta quarantacinque vicino alla vittima numero due e le scene del crimine disordinate  mi ha portato a dedurre le caratteristiche di un uomo alto, grasso con problemi di fumo e alcol, basso QI e un impiego nel circo itinerante che casualmente è situato a due minuti di distanza dalle scene del crimine. Un clown quindi. Gli era relativamente facile attirare giovani ragazze senza essere notato. E’ bastato poi infiltrasti nel- >>
<< Okay! Basta, abbiamo capito, Sherlock. Grazie >> lo interruppe Lestrade troppo stanco per sopportare gli infiniti sproloqui del detective << Una cattura davvero formidabile John >> continuò rivolto all’amico.
John respirò ansante << Eh! Era lento >>
Lestrade sorrise << Bentornato >> e detto ciò diede a tutti la buonanotte salendo sulla sua auto di servizio.
Bentornato. Che suono meraviglioso aveva quella parola nella sua mente.
Sherlock ruppe il silenzio << Fame? >>
<< Muoio di fame in verità >> asserì << e credo che la signora Hudson non ne possa più di badare ad Amanda. Sono le undici di sera >>
<< C’è sempre il take-away >> e detto ciò raggiunsero insieme la strada principale fermando un taxi in corsa e sempre in silenzio vi salirono ancora adrenalinici per l’assurda giornata appena trascorsa: prima le deduzioni di Sherlock, poi il circo con quegli inquietanti pagliacci ed infine la corsa a perdifiato lungo mezza Londra all’inseguimento di un ometto tarchiato ma che scattava come una lepre fra i vicoli.
John sospirò contento lasciandosi andare ad un sorriso soddisfatto.
Erano anni che non si sentiva così vitale.
<< Ricordami di impedire ad Amanda di andare a vedere in futuro uno di quegli spettacoli >>
<< Abominevoli oserei dire >> finì per lui Sherlock << non mi sono mai piaciuti di clown >>
<< Nemmeno a me. Ma c’è davvero qualcuno a cui piacciono? >>
<< Suppongo di sì >> mormorò per poi guardare la strada bagnata da un’improvvisa pioggerellina estiva << Sei stato … bravo >> John aggrottò la fronte << avrebbe potuto sfuggirci nonostante la mole. Sei stato davvero bravo >>
<< Grazie >> rispose lievemente commosso.
Sherlock sorrise << Sarei perso senza il mio blogger >> recitò ricordandogli di quel lontano giorno in cui lo aveva coinvolto nel caso che aveva cambiato la loro vita.
<< Sarei perso senza di te >> sussurrò John con un filo di voce, il naso contro il finestrino e le guancie rosse dall’imbarazzo per quella confessione.
Il taxi si fermò davanti al 221B e scesero dopo aver pagato la corsa ignorandosi a vicenda, ignorando le loro ultime parole, come accadeva oramai da qualche settimana. John cominciava a sentirsi vagamente frustrato.
Si sussurravano confessioni criptiche e impalpabili da un angolo all’altro della casa poi fingevano che nessuno avesse parlato. E tutto ricominciava d’accapo.
 
 
Sherlock lo amava.
Non era  un genio della deduzione, ma lo aveva capito con estrema facilità una volta levata dagli occhi quella benda nera dietro cui si era trincerato al mondo per mesi.
Sherlock lo amava e lui lo sapeva e da quando lo aveva capito non c’era stato un solo momento in cui avesse reputato la cosa sbagliata, strana o disgustosa.
E quel sorriso orgoglioso e luminoso in quel vicolo buio ne era stata l’ennesima prova.
Nonostante l’ultimo disastroso anno John si sentì un uomo fortunato perché un essere straordinario come Sherlock lo aveva scelto e fatto entrare nella sua vita, una vita meravigliosa, e si stava lasciando finalmente andare, aspettandolo paziente affinché facesse qualcosa, qualsiasi cosa.
Sherlock si era gettato da un palazzo per lui, aveva sopportato il suo rancore, finto di non provare nulla, si era occupato del suo matrimonio -e John non voleva davvero pensare a quanto dolore questo gli avesse procurato e quanto cieco fosse stato lui nel non capire- gli aveva chiesto di essere il suo testimone inconsapevole del suo silente sentimento e gli aveva detto sì, lo aveva spinto a perdonare Mary solo per vederlo di nuovo felice, lo aveva sorretto il giorno della sua morte riservando nella sua vita un posto speciale per Amanda e lo aveva protetto contro Moran ed ora era ancora lì a spronarlo con metodi bizzarri a tornare alla vita, alla sua vita.
Come poteva meritarsi tutto quello?
Mary era un fantasma rinchiuso in un cassetto che qualche notte John apriva per poterla rivedere e scusarsi ancora, ma aveva smesso di dirle che l’amava, che le mancava.
Il dolore per quella perdita era ancora palpabile, ma sempre più labile. Era diventata un ricordo, un ricordo che s’imponeva di associare a momenti felici e sereni dimenticando, quando riusciva, le bugie che lo avevano fatto smette di amarla e desiderarla.
Sherlock invece era una presenza costante, un cassetto sempre aperto che la notte lo faceva sobbalzare dalla sorpresa, ricolmo di sensazioni sopite, ignorate e fraintese anni e anni prima. E si rese conto che l’atroce dolore provato al funerale di Mary non era stato nulla rispetto a quello subito dopo la perdita di Sherlock, nulla. E quando ogni cosa nella sua vita si era trasformata in “senza Sherlock” – la spesa senza Sherlock, discorsi senza Sherlock, stanze senza Sherlock, silenzi senza Sherlock – tutto era diventato ancor più doloroso e buio.
Rabbia, paura, angoscia, solitudine, emozioni che aveva rivissuto in ospedale mentre aspettava che i medici gli dicessero che era ancora vivo, che l’emorragia non lo aveva ucciso.
Aveva sposato Mary perché la amava, perché era stata una donna meravigliosa, capace di fargli dimenticare in parte il suo dolore, ma Sherlock … Sherlock era tutt’altro tipo di amore, un amore assoluto e indissolubile, deleterio e galvanizzante al tempo stesso. Un amore unico nel suo genere.
 
 
Sherlock una volta in casa, si fiondò al computer e John invece nella sua camera da letto dove Amanda dormiva controllata da un baby monitor installato al piano di sotto.
Si sporse e osservò la figlia respirare profondamente e agitare lentamente i piedi al ritmo di un sogno. Le sfiorò una guancia con il dorso della mano meravigliandosi di quanto fosse bella.
Le augurò di fare sogni belli e colorati e le baciò una manina paffuta abbandonata lungo il cuscino, poi si rialzò e chiuse di nuovo il cassetto Mary dentro la sua testa sapendo che avrebbe capito; era stata lei a chiedere a Sherlock di proteggerli. Lei sapeva tutto prima ancora che ci fosse arrivato lui stesso. Sapeva che la sua vita sarebbe ricominciata solo grazie a Sherlock. Lo sapeva e lo avrebbe perdonato per ciò che stava per fare.
 
 
Uscì silenziosamente dalla stanza e socchiuse la porta scendendo gli scalini due alla volta.
Lo trovò chino sul suo computer, vicino alla scrivania, gli occhi che saettavano da parola in parola con entusiasmo. Ma si fermò nell’esatto momento in cui John attraversò il salotto.
 Aspettò in silenzio e finalmente trovò il coraggio per parlare.
Rimandava quel discorso da settimane e Dio, era così difficile affrontarlo ed affrontare anche sé stessi.
<< Da quanto? >> gli chiese con un sussurro.
Sherlock si raddrizzò e spostò gli occhi di ghiaccio incontrando i suoi scuri e determinati. Esitò più volte, trattenendo il respiro, rilasciandolo di colpo, trattenendolo ancora.
<< Da quanto, Sherlock? >>
<< Da sempre >> mormorò a voce così bassa da risultare inudibile. Solo i muri parvero sentirlo.
John chiuse gli occhi e prese un respiro profondo.
<< Vieni qui >> ordinò con un altro sussurro e Sherlock gli obbedì. Si alzò in piedi e due passi dopo era davanti a lui in attesa di qualsiasi cosa sarebbe successa, gli occhi fissi sui suoi, le braccia tese e una vena scura rigida lungo il collo, esposta.
John ingoiò il groppo che gli chiudeva la gola e osò guardarlo in viso sperando di non arrossire, di non svenire e non perdersi nei suoi occhi profondi ed elettrici.
Sherlock aspettava, emblema della paura e dell’incertezza.
<< Quando ti ho conosciuto ho pensato fossi un egoista bastardo che si divertiva a giocare con le vite e i sentimenti degli altri. Forse lo eri davvero o forse nascondevi il tuo vero Io dietro un muro di ghiaccio, ma Dio se mi ero sbagliato >>
<< John >>
<< Zitto. Ogni cosa che hai fatto negli ultimi mesi – che dico, anni- l’hai fatta per me, per Amanda, per vederci felici. Ogni singola cosa >>
<< Mary mi ha chies- >>
<< Balle >> lo interruppe << Un uomo non farebbe mai così tante pazzie senza essere matto o follemente innamorato >> e a quel punto Sherlock sgranò gli occhi, terrorizzato e stupito nello stesso tempo << Forse sei entrambe le cose >>
<< John io non- >>
<< Mi dispiace Sherlock >> aggiunse senza smettere di guardarlo << mi dispiace di aver sposato Mary, mi dispiace di averti chiesto di essere il mio testimone, mi dispiace di aver sempre ignorato i segnali. Mi dispiace di non essermi fidato di te, mi dispiace di averti odiato e di aver provato a dimenticarti >>
<< Perché ti stai scusando? >> gli chiese con l’animo confuso.
<< Perché credo che in quest’ultimo anno tu abbia sofferto tanto quanto soffrii io mentre ti fingevi morto >>
Sherlock abbassò lo sguardo, ma John gli impedì di allontanarsi, sfiorando il suo mento con due dita.
<< Ho bisogno di tempo e sarà difficile all’inizio, lo so. La mia vita è un gran casino al momento, ma non ho intenzione di perderti di nuovo >>
<< Non è necessario che tu mi prometta  niente John. Io posso - >>
<< Aspettarmi? Io no. Sherlock, posso vivere senza una moglie per la quale mi sento ancora in colpa di non aver perdonato, posso vivere senza amici e crimini, posso vivere senza case con giardini e parchi gioco, ma non posso vivere senza di te, lo capisci? E mi dispiace, mi dispiace di non averlo capito prima >> ammise con un unico fiato stringendo fra le dita i risvolti della giacca del detective.
Sherlock boccheggiò e posò le mani su quelle di John.
<< Non osare mai più allontanarmi da te >> sbottò infine carezzando una guancia pallida e rigida di paura.
Tutto quello era troppo, troppo in un colpo solo e John lo capì lasciandolo andare.
<< Non osare mai più nascondermi niente, niente capito? Che sia un suicidio programmato o un omicidio oppure un sentimento di qualsiasi genere >>
Sherlock annuì e i suoi occhi tornarono vividi e presenti.
Scacciò dalla sua mente il ricordo di Mary e osservò le sue labbra morbide e perfette socchiuse dallo stupore e si chiese da quando tempo gli piacesse guardarle.
Non si odiò per aver sempre detto di non essere gay: non lo era, ma Sherlock era diverso da qualsiasi altro essere umano, unico nel suo genere e quelle labbra erano perfette da baciare.
Ma non lo fece, per quello ci sarebbe stato tempo e in quel momento entrambi erano sul filo di una crisi isterica: lui troppo provato  e Sherlock troppo sconvolto per fare qualsiasi cosa.
Accettò quelle parole e le sue carezze e qualche secondo dopo erano entrambi sul divano, John con le braccia a circondare il corpo di Sherlock e lui stretto, rannicchiato addosso con il viso affondato nel suo maglioncino estivo.
<< Mai più >> promise il detective con un mormorio e John sorrise.
Mai più segreti, mai più dolore, mai più addii.
Mai più soli.
 

Note:
Credete sia finita? Ebbene, no! Ci sarà l’epilogo in cui sbroglierò definitivamente la matassa sentimentale dei nostri due amatissimi John e Sherlock.
Voglio ringraziare tutte le persone che mi hanno lasciato una recensione, le vostre parole sono state bellissime, grazie di cuore e sono contenta che questo parto letterario vi piaccia! Appena avrò tempo risponderò singolarmente.
Una grazie va anche a chi ha letto la ff  e a JJ la mia caaara amica di mail che sopporta le mie crisi isteriche e sa come risolverle.
Mi auguro di non aver commesso errori madornali di grammatica ma purtroppo è auto corretta quindi non ho idea di quali strafalcioni potrei aver commesso. Se così fosse fatemelo sapere e li correggerò =)
Mi auguro di postare prima di Domenica ma ahime sono una studentessa universitaria e i libri di diritto non si studiano da soli … purtroppo =(
Ah già dimenticavo.
Biscotti per tutti!!
 
 
 

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Capitolo 3
*** Epilogo ***


fatto Note: epilogo betato da xaki.
Desclimer: come prima prima, niente è mio nulla mi appartiene, la storie è di mia invenzione scritta senza scopi di lucro. Peace! 
  

 
Amanda
 
EPILOGO
 
Agosto
 
La dottoressa Montgomery scribacchiò qualcosa sul suo taccuino dopo un lento e zoppicante monologo di John sulla sua vita.
La terapista che aveva scelto per farsi aiutare in quella nuova e delicata fase della sua vita era molto paziente con lui, gentile e lo aiutava a focalizzare i pensieri sui veri problemi da affrontare: superare il senso di colpa verso Mary e Sherlock e soprattutto venire a patti con la sua nuova sessualità. Ma parlare non era sempre  sufficiente, alle volte era  necessario semplicemente stare in silenzio a pensare.
<< E Amanda? Ti lascia dormire? Come va con lei? >>
John sorrise.
<< Ieri siamo andati allo zoo. Ha sorriso tutto il tempo. Sherlock crede che gli piacciano i leoni io invece credo preferisca i pinguini. Abbiamo passato la serata a discutere su questo >> e ridacchiò al ricordo del detective che gli illustrava le mirabolanti attrattive del leone rispetto a quelle modeste del povero pinguino imperatore.
<< E dormo, molto. Amanda si sveglia solo una volta, verso l’una  >>
<< Notevole >>
<< Già … >>
<< E con i casi? Segui ancora Sherlock? >>
<< Sempre >> rispose immediato << abbiamo anche una babysitter, una cugina della signora Hudson che viene volentieri a guardare la bambina quando facciamo tardi e telefono spesso ai genitori di Sherlock anche se lui mi odia quando lo faccio >>
La dottoressa annuì sorridendo << E con lui come va? >>
John sospirò e si rilassò contro lo schienale della poltrona << E’ una persona particolare >>
<< Ma il vostro rapporto è evoluto? Gli hai detto ciò che provi? >>
<< Lo sa. Non ha bisogno che io glielo dica >>
<< Ne sei sicuro? >> John si interruppe, pensieroso. In effetti non gli aveva mai detto nulla, lasciava solamente che le cose accadessero da sole così come era sempre successo.

Il primo bacio, da perdere il fiato al solo ricordo, era capitato qualche giorno prima, così dal nulla, dopo un caso e un tuffo nel Tamigi. Avevano riso come matti e poi avevano smesso all’improvviso guardandosi persi ognuno nei propri pensieri; Sherlock, tornando serio lo aveva fermato, sbattuto contro un muro e baciato con una passione incontrollabile e lui si era aggrappato alla sua giacca come fosse stato l’ultimo appiglio prima di una caduta.
Sherlock sapeva di menta e sigarette fumate di nascosto, sapeva di buono ed aveva delle labbra stupende: John non credeva possibile poter desiderar mordere così ardentemente qualcosa.
Quella stessa notte, con Amanda a pochi metri che dormiva, John si era ritrovato a condividere il letto con lui, abbracciato a lui con il cuore gonfio di un amore che non riusciva ad esprimere.
<< Dormo nella sua stanza >> aggiunse << a volte lui si infila nel mio letto e non riesco mai a dirgli quanto sia diventato difficile prendere sonno senza il suo corpo addosso al mio >> ammise con il viso rosso di vergogna.
La dottoressa gli sorrise per incoraggiarlo e all’improvviso si sentì stupido a raccontare cose così intime e private ad un’estranea, ma quale scelta aveva realmente? Sentiva la necessità di parlare con qualcuno, ma nessuno poteva davvero capirlo, forse nemmeno lei però almeno restava in silenzio senza commentare.
<< Perché non gli esprimi i tuoi sentimenti? >> gli domandò allora << sono settimane che parli con me di come ti senti con lui, dei tuoi sentimenti verso tua figlia e del rapporto che voi tre state costruendo, ma non hai mai preso in considerazione l’opzione di rivolgerti al diretto interessato >>
<< I sentimenti non sono il suo forte >> si giustificò << è davvero bravo a dimostrarli, ma non a parlarne >>
<< E tu? >>
<< Io sono pessimo a parlare di queste cose >> ammise.
<< Forse dovresti farlo, John. Dire cosa provi ad alta voce >>
<< Non posso … non ancora >> e s’irrigidì << Ho perso mia moglie meno di un anno fa … non posso. Sì posso, ma non voglio >> tentennò e la dottoressa gli venne incontro annuendo risoluta << Va bene >> disse << va tutto bene >>
No, affatto, avrebbe voluto dire, ma non lo fece e rimase in silenzio a pensare a Sherlock e all’amore che si meritava di ricevere nonostante tutto, allo stronzo insensibile individuo che dimostrava di essere fuori, ma che nel privato spariva per essere semplicemente sé stesso, quello vero: affettuoso o, alle volte, insofferente.
<< Sherlock merita molto più di quello che gli sto dando al momento >> spiegò meditabondo << molto di più. Mi ha salvato la vita, ha raccolto i miei pezzi, li ha rimessi insieme, mi ha accettato nonostante tutto … mi ha voluto lo stesso. Ama Amanda incondizionatamente, qualsiasi cosa faccia, a qualsiasi ora si svegli o qualsiasi oggetto lanci per la stanza. E’ un uomo straordinario >>
La dottoressa rimase in ascolto, aspettando che continuasse, ma John non ebbe più nulla da dire. Non a lei almeno.
Uscì dallo studio dubbioso sull’utilità di quella terapia, ma Greg aveva insistito facendogli capire che forse poteva beneficiarne come un tempo, mentre Sherlock gli aveva fatto presente che era solo una perdita di tempo e denaro. Magari aveva ragione, ma voleva fare un tentativo per trovare pace con sé stesso: c’era chi si rifugiava in chiesa,  chi nell’alcool, lui andava in terapia. In fin dei conti non era una pessima idea.
 
 
Non tornò subito a casa.
Anziché prendere la metro per andare in centro deviò a piedi verso la strada principale. Mandò un rapido messaggio a Sherlock e non smise di camminare finché non attraversò il cancello del cimitero, lo stesso che aveva visitato tante volte quando andava in cerca di un po’ di conforto per la mancanza di Sherlock.
Nulla risultava confortante lì- quale cimitero lo era davvero-  ma Mary era morta da otto mesi e nessuno era mai andato a trovarla.
Trovò strano parlare di nuovo ad una lapide, grigia questa volta, realmente occupata, ma scoprì lo stesso dentro di sé il coraggio di azzardare un ciao e un mezzo sorriso rivolto al vuoto.
<< Forse sarei potuto venire prima, ma … spero tu capisca che è stato difficile >> gli sembrò di essere un perfetto idiota a parlare al nulla, ma qualcosa dentro di sé gli ordinò di continuare << La verità è che mi sento in colpa ed è un sentimento più difficile da superare che il dolore di una perdita. Non avrei mai immaginato finisse così, ma … non sono mai riuscito a perdonarti e nemmeno adesso ci riesco. E mi dispiace per questo, tanto … ma un giorno, anche se probabilmente non servirà a nulla, lo farò. Ciò che non mi perdono è l’essere stato così cieco, così ottuso nel non accorgermi cosa Sherlock stesse facendo o stesse provando per me. Ma tu … lo sapevi e ti andava bene così, chissà perché. Per questo avevi detto che ti piaceva? Per questo gli hai chiesto di amarmi? Di amare Amanda come fosse sua? Mi ha raccontato tutto settimane fa >> gli occhi di John divennero lucidi, ma non pianse. Aspettò che la crisi passasse e respirò profondamente prima di rivolgersi di nuovo al fantasma << Sto andando avanti. Lentamente ma lo sto facendo. E non me ne vergogno. Mi hai portato via molto Mary con le tue bugie e i tuoi inganni. Capisco il motivo, ma … >> una vecchietta passò lì accanto con un mazzo di rose rosse più grande di lei fra le braccia e John abbassò lo sguardo e il tono di voce << ti ringrazio lo stesso perché hai avuto la forza di donarmi una figlia stupenda. Amanda è bellissima, intelligente e ama i pinguini – anche se Sherlock dice leoni- ha messo i primi denti e morde. L’altro giorno ha mordicchiato Molly. E’ stato esilarante.
Ti assomiglia … ha le tue labbra e credo che Sherlock la stia influenzando molto. Ogni tanto sbuffa, sai? E’ incredibile … >>
La vecchietta passò di nuovo e John capì quanto fosse tardi.
<< Devo andare. Mi stanno aspettando e credo che Sherlock mi abbia mandato venti messaggi … parlerò di te ad Amanda. Voglio che sappia, ma mentirò su alcuni particolari, voglio che conosca la donna che ho sposato, non quella che ho odiato >> chinò lievemente la testa per salutarla simbolicamente e andò via proprio mentre in cielo imperversava un temporale.
 
 
 
 
Rientrò in casa zuppo di pioggia fin dentro alle ossa e la signora Hudson gli lanciò un’occhiataccia quando attraversò l’ingresso conciato in quel modo.
<< Avevo scordato l’ombrello >> si scusò e la donna alzò gli occhi al cielo, ma non disse nulla tornando in cucina.
Salì i gradini sapendo bene che con Sherlock non sarebbero servite parole: sapeva dov’era stato. Lo avrebbe dedotto probabilmente dal terriccio umido rimasto incollato alle scarpe o da qualche foglia incastrata fra i lacci.
Sorrise quando lo trovò in soggiorno, davanti al suo computer intento  a scrivere dio solo sa cosa con una rapidità incredibile.
Alzò gli occhi dallo schermo e lo squadrò perplesso notando i suoi abiti fradici.
<< Sei in ritardo. Ma li leggi i miei messaggi? >>
<< Ho corso sotto la pioggia. Hanno fermato la metro e non si trovavano taxi. Amanda? >>
<< In camera sua. Dorme a meno che non si stia divertendo a prendermi in giro >>
John si morse le labbra << Quella è diventata camera sua quindi? >>
<< E’ un problema per te? >> rispose subito, stizzito, come punto sul vivo.
John scosse la testa e si levò il cappotto abbandonandolo sulla poltrona vicino al camino acceso per asciugarlo << mi piace dormire con te >> ammise.
<< Bene >> disse con un mezzo sorriso tornando a scrivere << la signora Hudson ha portato la cena un’ora fa … se vuoi possiamo ->>
<< Ti amo >>
Sherlock si immobilizzò, le dita a mezz’aria e lo sguardo perso nel vuoto.
Rimase statico per così tanto tempo che a John parve di aver solo immaginato tutto, che niente di ciò che lui provava era reale e che era stata solo la sua fantasia a giocargli quel brutto scherzo. Ma poi lo vide storcere le labbra in un sorriso.
<< Ed è stata la dottoressa o una lapide a darti il permesso di dirmelo? >> gli chiese con ironia infischiandosene della sua espressione shoccata.
<< Fottiti >> gli rispose divertito << volevo solo che lo sapessi. So che è un periodo difficile per tutti ed io sono stato così … >>
<< John. Basta, smettila di scusarti >> sbottò alzandosi dalla sua postazione per fronteggiarlo << perdoniamoci a vicenda e chiudiamo qui la questione. Non ne posso più di sentirti blaterare scuse quindi, fai un favore ad entrambi e taci  >>
Era un buon inizio.
John annuì convinto e sorrise.
<< Spogliati >> gli venne ordinato e ciò lo fece arrossire di colpo e ovviamente la sua banale mente fraintese il motivo di tale richiesta tanto che Sherlock se ne accorse rivolgendogli uno sbuffo infastidito << hai i vestiti bagnati e … ah mentre non c’eri ho portato le tue cose nella mia stanza. Non ti dispiace vero? >>
<< Che tu sia un dittatore? No, certo che no! >> e rise della sua stessa battuta e soprattutto dell’aria offesa di Sherlock il quale probabilmente si aspettava un grazie.
<< Non credi sia presto? >>
<< No … affatto. Condividiamo una camera da giorni e hai vestiti sparsi ovunque. Ti ho solo reso la vita più semplice >>
John sorrise incredulo e allungò un braccio verso di lui affinché si avvicinasse a le smettesse di aver paura di toccarlo, stargli vicino, come se potesse andarsene da un momento all’altro se solo avesse osato di più. Come se fosse sbagliato farlo.
Lo trattava come fosse una bomba pronta ad esplodere e cominciava a non poterne più.
Sherlock prese la sua mano incerto e si avvicinò a lui tanto da percepire il respiro addosso.
John chiuse gli occhi e le dita dietro la sua nuca sentendo i suoi riccioli morbidi sulla pelle; lo avvicinò a sé e si sporse facendo incontrare le loro fronti.
I loro respiri si mischiarono e percepì il suo calore irradiarsi lungo il suo corpo, ed era bellissimo.
<< Ti amo >> sussurrò.
<< Lo so >>
<< Qualsiasi cosa succeda non dubitarne mai, me lo prometti? >> 
<< Te lo prometto >> e i loro nasi si sfiorarono.
Non c’era l’urgenza provata sulle sponde del Tamigi, non c’era quel bisogno bruciante di mangiarsi a vicenda; c’era solo silenzio e bisogno fisico di un contatto, di conoscersi, di esplorarsi lentamente. Avrebbero avuto tempo per strapparsi i vestiti di dosso.
Se lo promise e lo baciò delicatamente e un attimo dopo si ritrovò a boccheggiare con Sherlock addosso che gli accarezzava la lingua con la sua e mordeva, suggeva e pretendeva il suo fiato con una tale dovizia da lasciarlo sconvolto. Non aveva previsto tutto quello, non con il suo cuore già in subbuglio dal pomeriggio.
Affondò le dita nella stoffa dei suoi vestiti e sorrise nel bacio leccando il suo sapore unico, facendolo suo.
Sherlock si allontanò solo per respirargli sul collo, per provocarlo.
<< Come secondo bacio è stato … wow >> ansimò John totalmente sconvolto.
<< Stai zitto >> sbuffò divertito.
<< No sul serio … hai imparato su internet? >>
<< Shht >> gli intimò << Smetti di parlare >>
<< Senti da che pulpito >> ridacchiò, ma capì di essere nervoso. Credeva di averne tutte le ragioni perché era la prima volta in assoluto che provava qualcosa di così sconvolgente per qualcuno, soprattutto per un uomo.
Le sue mani erano sudate, ma non sembrò importare a nessuno mentre le strofinava delicatamente sotto la maglietta di cotone, saggiando la sua pelle liscia e morbida. Studiò i suoi lineamenti con dovizia, i suoi muscoli accennati risalendo fino alle scapole. Aveva un corpo perfetto.
Sherlock emise un unico gemito di sorpresa quando si sentì premere di nuovo il corpo stesso contro il suo e sembrava piacergli lasciargli addosso segni con le unghie.
Schiuse le labbra e ne approfittò per baciarlo ancora e ancora e qualcosa all’improvviso cambiò: l’emozione provata sul Tamigi tornò in auge, con prepotenza, facendo scoppiare i loro cuori di incredulità e desiderio e solo un piccolo barlume di lucidità impedì a John di stracciargli i vestiti di dosso e farlo suo in un modo per lui ancora sconosciuto.
Dio se lo voleva e non ce la faceva più a resistere, a stare fermo, immobile per non spaventarlo per non soggiogarlo con le sue carezze.
Sherlock non se ne preoccupò, non mostrò incertezze.
I baci goffi divennero più lenti e profondi e John si ritrovò presto con il corpo di Sherlock addosso e la sua erezione premuta contro la sua coscia.
John mugolò qualcosa di insensato quando capì che era messo peggio, molto peggio di lui.
Chiuse gli occhi e il restò venne da sé: ci furono mani sotto la camicia e dentro i pantaloni, baci ovunque fosse possibile darne in quella posizione, respiri ansanti e profondi contro la pelle e un caldo quasi insopportabile che lo costrinse a pregare di essere già nudo.
Ma finì troppo presto e in modo drammatico: entrambi si gelarono sul posto quando un pianto disperato si propagò nell’aria.
Amanda strillò. John si riscosse e guardò distrattamente l’ora, senza fiato: le nove di sera.
Sua figlia piangeva alle nove di sera mettendo in subbuglio tutto il quartiere mentre lui stava per- … si voltò e l’attimo dopo era contro il muro, con le labbra di Sherlock premute di nuovo sulle sue.
Sua figlia stava piangendo e Sherlock lo stava baciando. E lui stava ricambiando ogni morso, ogni umido contatto, ogni carezza ed aveva stretto il colletto della camicia attorno alla dita.
Si sentì un pessimo padre, ma desiderava quelle labbra da così tanto tempo che respingerlo era impossibile solo da pensare.
All’improvviso Sherlock si staccò da lui scrutando attentamente la sua reazione prima di posargli  un bacio languido sul collo.
<< Vai a consolarla. Torna entro dieci minuti e avrai il resto >>
John sgranò gli occhi e lo osservò indietreggiare fino a trovare posto sulla sua poltrona.
<< Dieci minuti? >>
<< Io ce ne metto sette per addormentarla, ma tu non sei me quindi avrai tre minuti in più di vantaggio >>
<< Ma io … >>
<< John, nove minuti >>
Annuì e ancora spossato si precipitò su per le scale e quasi per coincidenza – o per perfidia- Amanda scelse proprio quel momento per smettere di piangere.
John la scrutò con apprensione, poi la prese fra le braccia cullandola amorevolmente e lei, ovviamente, sorrise soddisfatta del risultato ottenuto.
<< Sei … incredibile, lo sai? Tutto questo casino per un po’ di coccole >> borbottò intenerito. Strofinò il naso contro il suo piccolino << So che stai mettendo i denti, ma non è stata una cosa carina quella che hai fatto >>
Amanda sbadigliò e gli mostrò i due piccoli puntini bianchi spuntati da qualche mese nella sua bocca.
<< Monella … >> la rimproverò, ma la sua voce trasudava amore ad ogni sillaba.
<< Ti amo tanto, lo sai? Sei perfetta … una principessa per me. Un principessa capricciosa … e sei fortunata perché anche Sherlock ti ama. Ti adora qualunque cosa tu faccia o di chiunque tu sia figlia. Non lo credevo possibile, ma sono fortunato anche  io … non poteva esistere persona più perfetta per noi , vero? >> le sussurrò, ma anziché calmarla la sua voce la incuriosì, come tentasse di capire cosa gli stesse dicendo. Amanda sgranò gli occhi blu e strinse forte la stoffa della camicia a scacchi << Ma qualsiasi cosa io dica tu non dormirai, vero? >> domandò con tetro sarcasmo vedendo i suoi programmi per la serata sfumare. Ma come accidenti faceva Sherlock ad addormentarla in dieci minuti?
<< Sei totalmente incapace per essere un dottore, John >> gli comunicò la baritonale voce di Sherlock dalla soglia della stanza.
John ruotò gli occhi al soffitto sospirando pesantemente.
<< E’ sveglia come un grillo e non ho una specialistica in pediatria okay? Curavo soldati feriti in battaglia e Amanda non collabora >> protestò fulminandolo con un’occhiataccia e quasi gli venne un colpo nel constatare che addosso aveva i segni dei suoi morsi, soprattutto sul collo.
<< Se le parli attiri la sua attenzione e lei è molto recettiva >> gli spiegò lentamente, prendendo in giro la sua incompetenza << Sei bravo in tante cose John, tante, ma questo non è decisamente il tuo campo >> e sottolineò quel tante con un’inflessione languida.
John deglutì << Cosa esattamente non è il mio campo? >>
<< Annoiare un bambino affinché dorma >>
<< E’ questo che fai con lei? >> si stupì << la annoi? >>
Sherlock scosse le spalle << Più o meno >>
<< Mostrami come fai, sono curioso >> lo sfidò e Amanda si sentì presa in mezzo tanto che ridacchiò entusiasta all’idea di partecipare a quella competizione.
Sherlock sorrise sghembo e prese Amanda fra le lunghe braccia lasciando che si sistemasse all’incavo naturale che si era formato. Non disse una parola, la guardò solamente e lei ricambiò con intensità. Due dita si muovevano lentamente in circolo sulla sua tempia e John rimase estasiato da quell’immagine .
Se qualcuno, appena quattro anni prima, gli avesse detto che in futuro si sarebbe ritrovato nella stessa stanza con Sherlock Holmes che cullava una bambina – la sua bambina- avrebbe riso sguaiatamente. Ma quell’immagine era reale, palpabile e Sherlock stava davvero cullando la sua bambina che in pochi minuti chiuse gli occhi lasciandosi andare ad un sospiro beato.
Non emise fiato mentre lui la rimetteva nella culla sorridendo soddisfatto di sé.
A John il cuore scoppiò nel petto: orgoglio, amore, incredulità, felicità , tenerezza  erano solo alcune delle emozioni che lo stavano soggiogando in quel momento e Sherlock sembrò captarle tutte sul suo volto.
<< Sei minuti e ventidue secondi >> gli fece presente con un bisbiglio.
<< Ti odio >> lo apostrofò << sei … odioso quando fai così. C’è qualcosa che non sai fare? Mh? Dimmi la verità, hai fatto qualche ricerca su internet: come ipnotizzare un bambino affinché dorma? >>
Sherlock alzò gli occhi al cielo << Sei infantile >>
<< E tu borioso >>
<< Infantile >>
<< Borioso >>
<< La stai svegliando >>
Scoppiarono a ridere sommessamente nello stesso momento e si calmarono solo dopo qualche secondo cercando davvero di non disturbare Amanda dal suo sonno.
<< Sei davvero incredibile >> ammise John con un sorriso ampio.
<< E’ solo una tecnica di … >>
<< Dovrebbe essere tua >> lo interruppe lasciando uscire inconsapevolmente quelle parole dalla bocca.
<< Fisicamente impossibile >> gli rispose incerto e sì, imbarazzato.
John incastrò i loro occhi in uno scambio muto di informazioni << dovrebbe essere tua >> ripeté << perché lo è … lo è nel modo in cui la guardi e la osservi. Lo è perché le hai salvato la vita ancora prima che nascesse. Lo è perché la ami e lei ama te >>
<< John … >>
<< Dovrebbe essere tua >> ripeté ancora ad alta voce vedendo i suoi occhi sgranarsi all’impatto emotivo di quella confessione.
<< Non sono suo padre >>
<< Lo sei in un modo che nemmeno riesci ad immaginare >>
<< Ma non è giusto >>
<< Perché? >>
Sherlock esitò << Mary … tu … >>
<< Non sarei geloso. Dio come potrei esserlo? E Mary resterà per sempre la madre di Amanda, e vorrò che sappia di lei quando sarà grande, ma tu … io e te siamo il suo presente >>
<< John, quello che mi stai chiedendo è … >> vide il panico deformargli il viso.
<< Non ti sto chiedendo nulla >> lo corresse con affetto << ho detto solo che vorrei … che sarebbe perfetto >>

<< Ci penserò >> dichiarò risoluto << Ho bisogno di tempo >>
John annuì e gli sorrise ancora porgendogli la mano.
Sherlock gliela afferrò con  decisione ricambiando il sorriso.
<< Torniamo di sotto? Se non ricordo male avevamo una conversazione in sospeso >>
<< Avevo detto dieci minuti John, ne sono passati venti  >>
<< Perdonami >> disse fingendosi contrito << Non lo farò mai più >>
Sherlock alzò gli occhi al cielo e con un agile movimento molto teatrale lo costrinse a seguirlo a piano di sotto e John lo spinse contro un muro a caso troppo impaziente di scoprire il suo sapore e il suono che avrebbe fatto mentre godeva, impaziente persino per spogliarlo.
Amanda non si svegliò per tutta la notte e loro due non arrivarono mai alla camera da letto.
 
 
Note: il dialogo che John ha con la dottoressa Montgomery è stato volutamente reso informale per una questione pratica: molti terapeuti preferiscono un approccio diretto e più confidenziale con i loro pazienti per aiutarli ad aprirsi. Ho studiato psicologia al liceo =)
 
 
Ed eccoci alla fine!
Non ci posso credere! Mesi di stesura ed è tutto finito.
Dovrei essere felice o triste? Mah… tutte e due?
Vi ringrazio tantissimo per aver seguito la mia storia e per averla apprezzata! Sono felicissima che vi sia piaciuta e spero abbiate apprezzato anche l’epilogo lievemente fluff!! Non volevo ricadere in una parentlock, ma desideravo dare un finale più dolce a tutti quanti =)
Ringrazio inoltre la mia nuovissima e velocissima e fantasticissima ( che ho scritto? O.o?) beta xaki che ha corretto quest’ultimo capitolo e mi ha soccorsa prima che la grammatica italiana mi facesse esplodere il cervello aiutandomi a trovare gli errori! Grazie grazie!
A lei un totem alto sei metri!
Ah e biscotti per tutti! Alla Nutella questa volta!!
A presto!
 
 
 
 
 
 

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