Amanda di sapphire (/viewuser.php?uid=67371)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***
Capitolo 3: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Parte I ***
Amanda parte I
Titolo: Amanda
Paring: Johnlock.
Generi: Drammatico,
angst, romantico.
Avvertenze: slash
Rating: giallo
Beta: il mio
cervello
Trama: Ultimo
episodio della terza stagione totalmente stravolto.
John
non riesce a perdonare Mary per avergli mentito su chi è veramente e legge i file
sulla chiavetta USB scoprendo cose che mai avrebbe voluto sapere.
E
mentre Sherlock lo spinge a perdonarla lui non riesce nemmeno a guardarla in
faccia. Ma il bambino c’è , esiste ed è l’unica cosa che lo tiene legato alla
moglie, una moglie che rischia di morire di parto.
Capitoli: 2 + epilogo
Note iniziali: Per chi amasse il personaggio di Mary avviso
“lasciate ogni speranza oh voi c’he entrate”! o fuggite sciocchi, come
preferite! XD Insomma se Mary vi piace e non volete vederla soffrire cambiare
storia!
Ovviamente
il titolo è stato scelto è per rendere onore all’attrice che interpreta Mary
nella serie e che io trovo sia semplicemente perfetta nonostante abbia rovinato
le mie fantasie johnlockiane -.-
L’ho
divisa in tre capitoli perché word mi segnava più di 60 pagine e non ho
il dono della sintesi -.-
Spero
con tutto il cuore di aver reso i personaggi IC anche se ammetto è stato difficile soprattutto con Sherlock.
La
storia inizia a partire dalla 3x03 quando Sherlock ritorna in ospedale per
l’emorragia dovuta alla ferita.
Auguro
buona lettura a tutti i lettori(?)/
lettrici.
Desclimer : Nulla di
tutto ciò è mio ma appartiene a Sir Conan Doyle, alla BBC a ai rispettivi
autori cui rendiamo grazie per averci donato cotanta bellezza. Amen.
La
storia è di mia invenzione scritta senza scopo di lucro.
Amanda
PRIMA PARTE
Maggio
<<
Come faccio? Come diamine faccio ad andare avanti, eh? Come faccio ad alzarmi
ogni mattina e guardarla negli occhi senza vedere te steso a terra esanime?
>>
<<
L'hai scelta, John >> fu la lapidaria risposta di Sherlock.
John
lo guardò intensamente per diversi secondi prima di crollare seduto su una
sfortunata sedia verde in plastica abbandonata accanto al letto.
Sherlock
faceva fatica a respirare in quel momento ed era uno strazio per lui restare
seduto a guardarlo annegando nei sensi di colpa, senza sapere cosa fare per
farlo stare meglio.
<<
Si. Ho scelto lei >> sussurrò emettendo un fremito nel sospirare <<
L'ho scelta e adesso non so nemmeno perchè >> ammise.
<<
No, lo sai >> ribatté chiudendo gli occhi << la ami John e hai
scelto perchè è più simile a te di quanto avessi immaginato >>
Sherlock
emise un sospiro stanco: la morfina stava facendo effetto e il suo corpo
debilitato stava cedendo al sonno. John capì che avrebbe avuto poco tempo:
doveva parlargli subito, prima che le flebo lo stordissero.
<<
Ho letto i file sulla chiavetta usb >>
Sherlock
sgranò gli occhi e indirizzò lo guardo verso di lui, sorpreso << Perché?
>>
<<
Dovevo farlo >>
Sherlock
rimase in attesa sforzandosi di restare lucido e vigile ancora per qualche
minuto
<< ho aperto quei dannati file e aveva ragione. Ho smesso di amarla prima
di arrivare alla fine >>
<<
John... >> sussurrò con un filo di voce << ho accettato il suo caso >>
<<
Tu vuoi arrivare a Magnussen >>
<<
Sì ... anche >> respirò
profondamente ignorando la dolorosa fitta al torace << Mary ha bisogno
del nostro aiuto. I documenti in mano a Magnussen potrebbero- >>
<<
Ti ha sparato, Sherlock! >> gridò soffocato.
<<
Mi ha salvato la vita. Avrebbe potuto uccidermi e non l’ha fatto. Risolverò il
suo caso >>
John
osservò il viso dell'amico distendersi e con un gesto premuroso gli sistemò il
cuscino sotto la testa dandosi tempo per controllare attentamente la nuova
cicatrice che svettava sul suo torace.
<<
Come faccio a perdonarla? >> domandò tornando a sedersi composto sulla
sedia, ignaro di essere ascoltato.
<<
Hai perdonato me >> mormorò
Sherlock prima di addormentarsi.
La
trovò seduta davanti al tavolo della cucina, immobile e silenziosa, avvolta in
una sottile vestaglia rosa.
Teneva
la testa china su una tazza di tè oramai fredda respirando a scatti.
Piangeva.
John
pensò a come sarebbe stato facile, prima che la verità li schiacciasse,
abbandonare le chiavi nell'ingresso e percorre i pochi metri fino alla cucina e
avvolgere le braccia attorno alle sue spalle stringendola a sé dolcemente. Con
lei era sempre stato semplice interpretarne i gesti, gli sguardi e rivolgerle gesti
amorevoli, banali e nello stesso tempo essenziali.
La
osservò ancora, chiedendosi perché si fosse dato la pena di tornare a casa.
Il
bambino. Certo, il bambino, perché per quanto potesse odiare sua moglie in quel
momento, non poteva ignorare l'essere che le cresceva dentro.
Altro
non aveva desiderato che una famiglia dopo la morte di Sherlock e non aveva
desistito nemmeno dopo la sua ricomparsa, nemmeno dopo averlo perdonato. Era
stato tanto egoista da voler vedere il proprio sogno realizzarsi? Perché doveva
essere punito in quel modo così crudele?
Un’intera
vita per meritarsi lei.
Sherlock
aveva spiegato che l’aveva scelta sapendo inconsciamente il pericolo che
rappresentava, assuefatto da uno stile di vita adrenalinico, assuefatto dal
rischio.
Forse
aveva ragione, ma lei non sarebbe dovuta essere così. Sarebbe dovuta essere una
persona normale, felice, sorridente, bella, spensierata e intelligente tale da
contrastare l’aura spericolata di Sherlock. Non aveva chiesto un’assassina
spietata. Non aveva chiesto una donna capace di ferire mortalmente il suo
migliore amico.
Mary
non si mosse di un centimetro aspettando che fosse lui a parlare per primo.
<<
Immagino ti debba ringraziare- esordì tagliando il silenzio glaciale che
regnava in casa- in fin dei conti Sherlock è vivo. Di nuovo in ospedale, ma
vivo >>
<<
John >> lo chiamò con una nota di pura disperazione nel tono di voce.
<<
Non riesco a perdonarti. Non riesco neppure a sopportare la tua presenza al
momento >>
Mary
si riscosse e, voltandosi, incontrò gli occhi del marito, glaciali, scuri di
rabbia. << Ma ti ho scelta. Dio solo sa perché ho scelto di meritare te
come compagna e non ho intenzione di tirarmi indietro >> parlò rude
ignorando le lacrime della donna.
<<
E’ questa la mia punizione? Un marito
che mi odia e una casa gelida? >>
<<
Puoi sempre scegliere di andartene, ma non te lo permetterei. In grembo porti
mio figlio e farei qualsiasi cosa per lui, per tenerlo al sicuro. Lui non
merita il mio rancore >>
<<
John … >>
<<
Hai sparato a Sherlock! >> urlò con il viso infiammato di rabbia al solo
sentire il suo nome pronunciato dalla donna << Sherlock è in ospedale
attaccato ad una flebo perché tu gli hai sparato! >>
<<
Non avevo scelta! >>
<<
Potevi scegliere di non rovinarmi la vita >> Mary tremò di un pianto a stento trattenuto
<< E sai qual è la cosa assurda? Che lui ti difende. Vuole aiutarti,
risolvere il tuo caso >>
Mary
restò in silenzio per qualche secondo esaminando l’espressione furente di John
pronto ad urlare ancora se ne avesse sentito il bisogno. Restò in silenzio
perché sapeva di meritarsi tutta la sua ira, la sua frustrazione e la delusione
di scoprire di non conoscere la propria compagna come si credeva.
<< Hai... Hai letto i file? >> John
rispose con un silenzio greve. Si voltò muovendo due passi verso la camera da
letto degli ospiti.
<<
Grazie a te Sherlock avrà bisogno di aiuto e ho intenzione di assumermi questo
compito prima che ci pensi Mycroft >>
concluse chiudendosi la porta alle spalle.
Secondo
i medici era vivo per miracolo ed erano stati abbastanza benevoli nel dare una
prognosi di trenta giorni. Sherlock non era un paziente facile da trattare con
i suoi continui lamenti a proposito della noia e delle morfina che gli
infermieri avevano improvvisamente fatto sparire dalle flebo sostituendola con
blandi antidolorifici.
John
aveva passato la mattinata a parlare con i dottori e a subire gli attacchi
testuali di Mycroft e Lestrade ed ora non gli restava altro da fare che
ascoltare gli sproloqui del suo migliore amico, sveglio e vigile nonostante il
dolore costante al petto.
Una
macchina, giurò di avere di fronte.
<<
Perché sei qui, John? Non dovresti essere a casa a lavorare sul tuo matrimonio?
>> lo aggredì il detective mentre tentava disperatamente di togliersi gli
elettrodi dal torace.
John
sospirò spazientito e lo fermò prima che potesse azzardare ad alzarsi dal
letto.
Era
sveglio da soli due giorni e già voleva
riaddormentarlo a suon di pugni.
Non
bastava il gelo della sua dimora in periferia e il suo rancore verso Mary che
andava acuendosi sempre più, ora c'era anche Sherlock con il suo infantile modo
di fare il malato e le continue aggressioni verbali .
<<
Sherlock. Non mi rendere la vita più difficile di quello che già è. Hai avuto
un'emorragia interna e benché parli non sei ancora fuori pericolo >>
<<
Hai parlato con Mary? >> esordì il detective incerto sul porre o meno
quella domanda.
John
si rabbuiò tornando a sedersi sulla sedia verde e Sherlock interpretò il suo
silenzio << Devi perdonarla John >>
<<
Mi hai chiesto di fidarmi. Non ti perdonarla
>>
<<
E’ tua moglie. Stai per diventare padre. Hai sempre desiderato una famiglia.
>>
<<
Che non comprendeva una donna traditrice e assassina >>
<<
Smettila di comportati così. Sapevi esattamente che tipo di donna fosse ancora
prima di sposarla >>
<<
Sì e mi odio per questo >> parlò trattenendo a stento un gemito
d’angoscia << odio l’ essere attratto solo da sociopatici e assassini
>>
Sherlock
lo ignorò volgendo il capo verso la sacca della flebo il cui liquido
trasparente scendeva lentamente, goccia dopo goccia in modo ipnotico.
<<
Cosa c'era in quella chiavetta? >>
<< La lista delle sue competenze e degli
ordini ricevuti. E’ nata in Ucraina. Il suo vero nome è Aida >> parlò con un nodo in gola << Aida …
>>
Sherlock
si infossò nel letto ospedaliero, meditando .
<<
Ucraina. Avrei detto Moldavia, ma- >>
<<
Sherlock! >> Il detective si zittì per qualche secondo scrutandolo
profondamente nel modo in cui spesso
metteva in soggezione le persone è che John apprezzava perché sapeva che
quel tipo di sguardo precedeva una domanda o un'affermazione brillante.
<<
Che cosa hai intenzione di fare? >> ed eccola, la domanda chiave, a cui
non poteva dare una risposta.
<<
Non lo so >> disse << aspetta mio figlio Sherlock... mia moglie
aspetta un bambino e io non riesco nemmeno a guardarla in faccia >> John
si passò le mani sul volto, distrutto.
<<
E ti ha sparato. Dopo tutto quello che ho passato quando ti credevo morto, lei
ti ha sparato >>
Sherlock
trattenne il respiro colpito da quelle parole.
<<
Non - non aveva altra scelta >> rispose incerto.
<<
Poteva non mentirmi >>
<<
E l'avresti amata lo stesso se avessi scoperto la verità? >>
<<
No >>
<<
Sbagliato John – ammiccò lievemente cogliendo in fallo l’amico -non sono
pratico di sentimenti, ma so che prima o poi andrai avanti. La perdonerai
>>
<<
Non dopo quello che ho letto >>sussurrò tristemente.
<<
Non avresti dovuto farlo >> lo ammonì duramente << Mary ti ha dato
la possibilità di scegliere e tu hai fatto l’ultima cosa che avresti dovuto
fare. Avresti dovuto lasciare quei file esattamente dov’erano. Nel suo passato
>>
<<
Tu sai sempre tutto, vero? >>
Sherlock
sospirò pesantemente << Solo il suo nome in codice e alcuni dei suoi obbiettivi >>
<<
Amanda >> lo interruppe piegando le labbra in una smorfia di disgusto
<< aveva quattro anni. C'è un intero fascicolo su di lei, un rapporto dei
servizi segreti Russi. Catalogato come incidente. Ora dimmi Sherlock, come
posso perdonare mia moglie dell’omicidio di una bambina di quattro anni figlia
dell'ambasciatore portoghese? >>
Sherlock
cercò di mettersi seduto pensando velocemente ad una risposta. Non la trovò e
per una volta decise di tacere. Qualsiasi cosa sarebbe risultata ridicola da
dire in quel momento.
<<
Non ce la faccio >> John si passò ancora le mani sul viso, stanco e
spossato dalla situazione.
<<
Non c'è niente che io possa fare John. Non rinchiuso qui. Fermerò Magnussen...-
<<
In questo momento, quello stronzo è l'ultimo dei miei problemi >>
Sherlock
aggrottò la fonte, incerto: << Dubito che i file in mano a quell’uomo non
siano rilevanti per te >>
<<
Magnussen potrebbe anche dare quei documenti a Lestrade e starei a guardare
>>
<<
Non essere assurdo >>
<<
Ho bisogno che tu mi dica cosa devo fare perché non ce la faccio >>
ammise e Sherlock contemplò per qualche attimo il viso dell’amico. Non erano
molte le opzioni valide o accettabili e, seppur era vero che aveva fatto
rimettere a posto la poltrona del dottore a Baker Street, non poteva
permettergli di scappare. Aveva giurato di proteggerli e lo avrebbe fatto a
qualsiasi costo nonostante questo gli causasse un dolore acuto al petto che non
aveva ancora trovato il tempo di definire.
John
lo guardò totalmente annientato.
<<
Torna da tua moglie, John >> l'uomo esitò << fallo per tuo figlio
>>
Dicembre
Mary
per la prima volta dopo tanti anni ebbe di nuovo paura; una paura cieca che la
paralizzò contro lo schienale del divano di casa Holmes.
Si
toccò il ventre gonfio e prese un respiro per calmarsi.
John
stava rigirandosi tra le mani la chiavetta Usb davanti ai suoi occhi
guardandola con aria turpe. Mesi e mesi di silenzio e ora il momento era
arrivato. Aveva passato ogni singola notte a pensare ed immaginare una risposta
da parte di John – mi perdonerà, non lo farà, vorrà il divorzio, vorrà vedermi
sparire- il quale preferiva evitarla anziché degnarla di una parola. Ed ora era
lì davanti a lei con il caminetto scoppiettante alle spalle e il suono di una
composizione classica nell’aria.
<<
Dimmi se hai letto i file >>
John
non disse nulla sbattendo la piccola scatolina argentata sul tavolino accanto
al divano.
<<
John. Hai letto i file? >> ripeté con gli occhi carichi di lacrime.
<<
Mesi fa >>
Mary
singhiozzò abbassando lo sguardo << Oh Dio, no … >>
<<
Sei stata tu a consegnarmela >>
<<
Non avrei mai sperato che la aprissi >> si alzò in piedi a fatica
sorreggendo il peso del pancione con una mano asciugandosi le lacrime con il
palmo dell’altra. << Perché ora? >>,
<<
E’ Natale >> rispose John amaramente << era Natale anche quel
giorno, vero? Quando uccidesti Amanda >>
Mary
sgranò gli occhi colpita << Era stato un … errore. Dio, John non passa
giorno che non mi penta di quello che ho fatto. Per questo motivo ho cambiato
vita diventando Mary >>
<<
Aveva quattro anni per l’amor del cielo! Come fai a dormire la notte? >>
Bill
Wiggins si affacciò alla porta, controllando la situazione con circospezione.
Se il suo nuovo amico Sherlock aveva architettato quel pranzo natalizio in
famiglia per far riconciliare i due sposi aveva fallito miseramente. Tornò in
soggiorno continuando a mescolare il punch con un cucchiaio d’argento.
<<
Ma è questo che sei, vero? Un’assassina >>
<<
Non potrai mai perdonarmi, vero? >>
John
sospirò << Forse un giorno potrei perdonare il tuo passato, forse potrei
perdonarti l’avermi mentito, ma non potrò mai perdonarti di aver ferito
Sherlock. No … non posso, non ci riesco e non dirmi che non avevi scelta perché
potevi benissimo scegliere di non prendermi in giro fin dall’inizio >>
Non
replicò leggendo in lui tutta la rabbia e la delusione che perpetrava dai suoi
occhi << Che cosa hai intenzione di fare? >>
<<
Recupererò i documenti che Magnussen ha su di te. L’ultima cosa che voglio è
mandarti in prigione proprio adesso che hai mio figlio in grembo. Non ha
bisogno di una madre dietro alle sbarre colpevole di pluriomicidi o sequestro
di persona. Ma sappi che lo faccio solo per mio figlio. Sono stato chiaro?
>> Mary si morse le labbra a sangue versando calde lacrime di
disperazione << Io e te abbiamo chiuso >>
L’attimo
dopo svenne accasciata contro di lui.
John
la sistemò in modo che non cadesse ed aspettò Sherlock.
Quando
uscirono dalla porta principale l’elicottero era già atterrato sopra la
brughiera.
John
non nascose la sua ansia sfregandosi le mani e tentando di ignorare il laptop
che Sherlock sorreggeva a mezz’aria.
Mesi
e mesi di preparazione per attuare un piano che aveva il sessanta percento di
possibilità di fallire e solo in quel frangente John si chiese perché lo stesse
facendo.
<<
Spero che il tuo piano funzioni >>
<<
Lo spero anche io >>
John
esitò prima di aprire il cancello del cortile << Vuoi che tua moglie sia
al sicuro? >> lo incentivò il detective regalandogli un’occhiata aspra.
<<
Voglio che mio figlio sia al sicuro >> precisò << e davvero credevi
che la perfetta vita matrimoniale dei tuo genitori fosse d’esempio per me? Per
farmi cedere e perdonare Mary? >>
Sherlock
sospirò e camminò verso l’elicottero a passo svelto << Ci ho provato. Ma
avevo anche bisogno di una scusa per attirare Mycroft fuori da Londra e un
pranzo in famiglia dopo la mia recente degenza in ospedale era la scusa
perfetta >>
John
prese un respiro e salì sul velivolo indossando le cuffie di protezione
<< Dopo che avrò riavuto i documenti di Mary dovrai scegliere, John. Lei
non sarà più in pericolo e dovrai scegliere >>
<<
L’ho già fatto >> ammise tristemente immaginando le future difficoltà a
cui sarebbe andato in contro.
Avrebbe
dovuto chiedere il divorzio? E il bambino? Lo avrebbe lasciato nelle mani della
donna che sapeva essere stata un’assassina? Sarebbe dovuto tornare a Baker
Street?
L’unica
sua certezza era che non avrebbe mai più voluto dividere la vita con Mary.
Aveva
cercato di trovare in sé tutte le motivazioni possibili per restare, morte
quando aveva preso consapevolezza che non voleva realmente trovarne una
altrimenti non avrebbe mai letto i file sulla chiavetta. Aveva semplicemente
deciso di smettere di amarla.
<<
John >> lo chiamò Sherlock << una mossa falsa e violeremmo la
sicurezza del Regno Unito e verremmo incarcerati per altro tradimento.
Magnussen è l’uomo più pericoloso che abbiamo mai incontrato e le probabilità
di successo sono contro di noi >>
<<
Perché facciamo tutto questo il giorno di Natale? >>
<<
Il piano era questo John. Ne abbiamo discusso a lungo! >>
<<
Ma è Natale! >>
<<
Mi sento così anche io >> John gli lanciò un’occhiataccia << oh, tu
intenti che è davvero Natale. Hai portato la pistola? >>
<<
Sì … è nel giubbotto >>
<<
Bene >>
Mai
avrebbe immaginato che il sorriso che gli rivolse in quel momento sarebbe
potuto essere l’ultimo. Mai avrebbe immaginato che potesse accadere una cosa
del genere.
***
<<
Mi dispiace. Non avrà l’occasione di fare l’eroe questa volta, Signor Holmes
>>
<<
Oh, si informi. Non sono un eroe! Sono un sociopatico iperattivo! Buon Natale!
>> e la pallottola esplose nel cervello di Charles Augustus Magnussen.
Il
rumore degli elicotteri e della voce di Mycroft Holmes fecero tornare John
Watson alla realtà, una realtà in cui il suo migliore amico gli aveva rubato la
pistola dalla tasca del giubbotto per uccidere il loro nemico.
Il
cuore gli scoppiò nel petto mentre il panico si faceva strada nel suo corpo con
una violenza tale da lasciarlo confuso e tremante.
<<
Gesù Cristo, Sherlock! Cosa hai fatto!! >> gli urlò contro disperato
senza ascoltare gli ordini di stargli lontano.
Sherlock
Holmes era appena diventato un assassino. Per lui, per Mary e per il bambino. Tenne
le mani dietro la testa, respirando pesantemente con il vento violento
provocato dagli elicotteri che tagliava la sua pelle e feriva i suoi occhi.
<<
Sherlock … no! Maledizione no!! >>
<<
Porta i miei saluti a Mary, John! Dille che è al sicuro ora >>
<< Non
sparate, non sparate! Ripeto non sparate!! >>
<<
Perdonala John. Meriti di essere felice >>
<<
Oddio Sherlock! >>
<<
Promettimi che sarai felice!! >> urlò con tutto il fiato che aveva in
gola voltando il capo verso di lui per guardarlo intensamente con fiera
determinazione e una punta di disperazione negli occhi lucidi.
Sulle
guancie di John caddero due lacrime << Te lo prometto >>
Gennaio
Mary
era presente in quella pista di decollo, muta e dispiaciuta, tesa ad osservare
suo marito salutare Sherlock Holmes l’uomo che nonostante tutto, nonostante le
sue bugie e l’aggressione subita le aveva salvato la vita distruggendo la propria.
Era
un uomo straordinario, un uomo che capì di non meritare nella sua vita. Un uomo
che in un modo machiavellico e a dir poco assurdo meritava solo John.
Lo
salutò con un cenno del capo e un sorriso di pura gratitudine consapevole che
quando e se fosse tornato a Londra lei non sarebbe più stata Mary Watson.
John
ignorò il cenno del capo di Sherlock e aspettò che Mycroft si allontanasse per
dire con imbarazzo evidente << Eccoci qua >> pentendosi poi di aver osato borbottare una cosa così stupida.
Sherlock
accennò un sorriso amaro.
Sapevano
entrambi come sarebbe finita, che le parole scambiate in quella pista
d’atterraggio sarebbero potute essere le ultime e quella consapevolezza stava
scavando ad entrambi un cratere al centro del petto.
<< William Sherlock
Scott Holmes >>
<< Come? >>
<<
E’ il mio nome. Nel caso tu e Mary->>
<<
Non c’è più nessun io e Mary. E comunque non darei mai a mio figlio il tuo nome
>>
<<
Peccato. Ne sarei stato onorato >>
John
rise e Sherlock lo imitò.
Si
guardarono attorno per qualche secondo in silenzio.
<<
Non so davvero cosa dire >>
<<
Nemmeno io >>
Sherlock
guardò ancora Mary troppo lontana da loro perché potesse sentire.
<<
Me l’hai promesso John >>
<<
Promesso cosa? >>
<<
Che saresti stato felice >>
<<
Lo sarò. Quando nascerà mio figlio sarò davvero molto felice >>
<<
Era implicito con Mary >>
John
scosse la testa << Non posso >>
<<
Hai perdonato me John e ti ho fatto molto più male >>
<<
Come lo sai? >>
<< Lo so >>
Gli
occhi cristallini di Sherlock si posarono sui suoi scuri di rabbia e disperazione
appena trattenuta.
<<
Non cercare scuse per lasciarla. Cerca un motivo per restare invece >>
gli suggerì.
<<
Perché? >>
<<
Perché io non ci sarò più John >>
John
sgranò gli occhi e finalmente capì. Capì che Sherlock aveva già intuito molto
prima di lui ciò che gli aveva nascosto per il bene del suo matrimonio e della
sua sanità mentale. Capì e ne rimase sconvolto.
L’attimo
dopo cercò di ignorare quel peso al centro del petto.
Sherlock
accennò un altro sorriso.
<<
Trova un modo per perdonarla. Fallo per me >>
<<
E’ proprio per te che non posso farlo >>
Sherlock
alzò gli occhi al cielo.
<<
Sentimenti >>
<<
Dove andrai adesso? >>
<<
Est Europa. Una missione sotto copertura >>
<<
Per quanto tempo? >>
<<
Sei mesi, secondo mio fratello. Non sbaglia mai >>
John
trasalì << E poi? >>
<<
Chi lo sa >>
John
prese un respiro profondo verso il cielo cercando di calmarsi.
Gli
stava dicendo addio. Sherlock Holmes questa volta gli stava dicendo addio per
davvero.
<<
John, c’è una cosa che devo dirti >> aggiunse dopo qualche secondo
lasciando che trasalisse di nuovo per l’aspettativa che s’inseriva fra quelle
parole << e te la voglio dire da sempre e non l’ho mai fatto. Dato che è
improbabile che ci rivedremo di nuovo, tanto vale che te la dica >>
John
si immobilizzò in attesa sperando e non sperando che dicesse quelle parole che
si aspettava dicesse. E poi, cos’ altro avrebbe dovuto dire in quel momento?
<<
Sherlock è in realtà un nome femminile >> e rise.
John
ridacchiò esasperato e divertito al tempo stesso.
<<
Non è vero >>
<<
Valeva la pena provarci, fosse femmina >>
<<
Non lo so. Mary non è mai andata a fare un controllo >>
<<
Dovreste andarci >>
<<
Tanto non chiamerò mio figlio come te femmina o maschio che sia >>
Sherlock
sorrise e gli tese le mano inguantata.
<<
Ai migliori momenti insieme, John >> sussurrò.
John
la strinse con forza e l’attimo dopo se lo tirò addosso. Lo abbracciò sotto lo
sguardo stupito di Mycroft e dispiaciuto di Mary.
Sherlock
lo lasciò fare e per la prima volta nella sua vita ricambiò un abbraccio.
<<
Non voglio dirti addio >> sussurrò John con un filo di voce.
<<
Mantieni la promessa John >> e lo allontanò da sé. Gli voltò le spalle e
salì sull’aereo.
***
L’Inghilterra
era già nel panico quando Sherlock Holmes tornò a Baker Street dopo due giorni
di intenso lavoro a fianco di Mycroft e del primo ministro che non sapeva di
avere la gonorrea presa da una escort di dubbia provenienza qualche settimana
prima.
John
non aveva avuto il tempo di provare felicità per il ritorno di Sherlock o di
far luce sui suoi sentimenti, perché aveva passato gli ultimi due giorni con
lui a camminargli accanto, a rintracciare l’origine del video ed analizzarlo
per capire se fosse vero.
<< E’
morto davanti a me! >>
<< Ne è
sicuro signor Holmes? >>
<< Certo
che ne sono sicuro! >>
<<
Poteva essere un trucco? >> domandò John.
<< Quale
trucco? No, no! C’è qualcun altro dietro tutto questo e scoprirò chi è!
>>
Avevano
rimesso piede a Baker Street dopo settantacinque ore, spossati, affamati e
pensierosi.
John
non aveva vestiti lì e il disperato bisogno di farsi una doccia lo costrinse ad
alzarsi dalla sua poltrona e rimettersi in marcia verso la periferia.
<<
Puoi restare >> gli disse Sherlock con il violino già in mano.
<<
Ho bisogno di vestiti. Torno domani mattina. Aspettami e guai a te se osi
andare a Scotland Yard da solo >>
John
evitò la signora Hudson mentre scendeva le scale e non vide il sorriso di Sherlock nascere e
morire sulle sue labbra.
Varcò
la soglia di casa alle undici e quaranta sperando con tutto il suo cuore di
trovare Mary addormentata in camera da letto così da non doverla guardare e
discuterci.
Non
aveva ancora avuto tempo in quei tre – quasi quattro – giorni frenetici di
pensare ad una soluzione concreta che facesse uscire il loro rapporto da
quell’empasse.
Nei
mesi precedenti avevano vissuto come separati in casa, parlandosi solo per
necessità urgenti come spesa e oggetti per il bambino mentre lui e Sherlock
organizzavano il ricatto a Magnussen.
Aveva
promesso a Sherlock di essere felice, ma non di dover esserlo con lei.
Mentre
girava per casa alla ricerca dei vestiti puliti, John, si ritrovò a riflettere
su quando fosse cambiato Sherlock negli ultimi mesi e quanto la freddezza e
l’egocentrismo avessero lasciato spazio a emozioni e sorrisi.
Aveva
sacrificato la sua libertà per aiutare sua moglie andando oltre o ignorando i
suoi sentimenti. Tutto pur di proteggerlo, nonostante tutto.
Mary
non si era meritata un simile trattamento.
Scorse
la sua figura in soggiorno. Non era addormentata, solo accucciata sul divano
con le mani sul ventre e il viso contorto dalla tristezza. Una manciata di
fascicoli giacevano sul tavolino davanti a lei.
John
infilò le mani nelle tasche preparandosi a discutere.
<<
Sherlock mi ha telefonato >> gli disse con un filo di voce << Mi ha
spiegato tutto e mi ha detto che eri al sicuro alla sede dell’IM6 >>
Di
nuovo Sherlock che metteva loro prima di sé stesso.
Cosa
gli stava accadendo?
<<
Bene >> fece per voltarsi e dirigersi in bagno quando Mary lo chiamò.
<<
John. Dobbiamo parlare >>
<<
No >>
<<
Non puoi evitarmi per sempre >>
<<
Non voglio parlarne, non ora che Moriarty pare essere vivo e in vena di mandare
in rete la sua faccia da schiaffi per spaventarci a morte! >>
<<
John >> il tono delle donna fu perentorio e l’uomo cedette voltandosi e
sprofondando nel divano davanti al suo con freddezza e rigidità posturale.
Mary
lo guardò dritto negli occhi e gli passò i fascicoli che giacevano sul tavolo.
Il
medico osservò la sua espressione preoccupata e prese i fogli leggendone il
contenuto.
Una
piccola fotografia nera era stata appuntata in un angolo della prima pagina.
Gli
occhi di John, inaspettatamente, si inumidirono di lacrime ma nella penombra
della stanza Mary non lo notò.
Accarezzò
l’immagine con il pollice e ne definì i tratti. Si vedeva il naso, la bocca e
il profilo di una mano e finalmente la sua futura paternità cominciò ad
assumere un significato reale. Si sentì padre di quel piccolo e sbiadito
profilo che si intravedeva nella foto.
Spostò
gli occhi e lesse il resto.
<<
E’ una bambina >> mormorò accennando un sorriso di pura estasi << E
sana ed è femmina … è meraviglioso >>
Mary
non si mosse né accennò a scomposi davanti a quelle parole << John. Leggi
il resto, per favore >> e lo fece. I suoi occhi da velati di lacrime
divennero secchi e vitrei, sgranati ed agitati.
Rilesse
il responso del medico più di dieci volte prima di osare respirare e guardare
sua moglie.
<<
Non c’è … non c’è possibilità di errore? >> domandò con un filo di voce.
Si accorse di tremare.
Mary
scosse la testa << Ne sono sicuri. Dovrò stare a riposo per i prossimi
due mesi e tenere sotto controllo pressione e - >>
<<
So come funziona >> proruppe mordendosi poi le labbra. Non voleva essere
così brusco, non adesso che aveva scoperto la possibilità di non vedere nascere
la loro bambina. Non ora che Mary poteva morire.
Serrò
gli occhi e una parte di lui si chiese cosa avesse mai fatto nella sua vita di
così orribile da meritarsi una simile tragedia.
<<
Un bravo medico sarà in grado di evitare emorragie improvvise. Chiamerò
Mycroft. Conosce molti dottori validi >> concluse risoluto perché in quel
momento pianificare ed aggrapparsi a vane speranze era l’unica cosa che poteva
fare per non impazzire.
<<
Immagino che dopo tutto io mi sia meritata una simile condanna >> gli
disse lei, con il viso contratto da una smorfia di dolore.
Trasalì
<< Mi dispiace … Mary, mi dispiace. Nonostante tutto non devi dubitare
che mi dispiaccia per te. Sei mia moglie e non voglio che ti accada niente
>> la rassicurò << Te lo giuro … te lo giuro. Farò il possibile
>>
John
rabbrividì con il cellulare già in mano ignorando le repliche di Mary. Non
sentì cosa aveva da dire, né se ne curò. I sensi di colpa lo tormentarono per
tutto il tempo che intercorse a fare una telefonata.
Mycroft
rispose dopo due squilli.
***
È femmina.
Congratulazioni.
SH
Willelmina
potrebbe piacerti. SH
John
ignorò l’ultimo messaggio che gli era stato inviato e ne digitò un altro
lapidario, conciso e terribile.
Placenta
Previa. [1]
Mycroft me
l’ha detto. Troverà un bravo chirurgo. Non è così grave. La placenta previa ha
un’incidenza del 0,5 e l’1,7% e una mortalità del 4-8%. Mary starà bene. SH
Hai già fatto
ricerche? JW
Ne dubitavi?
SH.
No,
John non ne dubitava affatto.
***
Lestrade
li subissò di domande appena misero piede a Scotland Yard.
Nessuno
dei due aveva una valida risposta soprattutto alla prima : com’era possibile
che Moriarty fosse vivo.
Sherlock
ne dubitava fortemente e cercava in tutti i modi di ragionare e pensare a
valide alternative.
John
si sentì sommerso di problemi: prima Mary e i suoi segreti, Sherlock e i
sentimenti che sembrava aver imparato a manifestare, la possibilità di un parto
difficile e di una finale drammatico e per ultimo Moriarty.
<<
Mycroft mi ha fatto gentilmente sapere che mi occuperò a tempo pieno di questo
caso e una volta risolto non mi esilierà in est Europa >> lo informò il
detective una volta tornati alla sede centrale dell’IM6 dove il ministro in
persona aveva riservato loro un ufficio in cui lavorare lontano dai corridoi
principali per non causar disturbo a Sherlock.
<<
Potrebbero volerci mesi a rintracciare la provenienza del video >>
<<
Probabile >>
<<
E se non riuscissi a risolverlo? >>
<<
Io ho sempre risolto tutti i casi >> sbottò apparentemente offeso da
quella domanda.
<<
Prima di tutto non è vero; secondo: questo caso è diverso >>
<<
Ti prometto che non morirò, John >> scherzò e il dottore si incupì di
colpo a sentir parlare di morte. In quel momento avrebbe tanto voluto dargli un
cazzotto: sua moglie era a casa a riposo e lui non faceva altro che pensare a
cosa sarebbe potuto succedere, all’uomo che gli aveva portato via Sherlock che forse
era vivo e lui scherzava.
Sbuffò
e tirò giù i pugni<< Dovrei stare accanto a Mary >>
<<
E allora vai >>
<<
E tu? >>
<<
Me la caverò. Cercherò di essere il più gentile possibile e di non prendermi la
gonorrea >>
<< Sherlock! >>
Il
detective tornò serio << Si chiama Kevin Ferguson. E’ uno dei migliori
chirurghi ostetrici dell’Inghilterra. Vi aspetta venerdì alle diciotto al
Portland Hospital[2] >>
<<
Una clinica privata? Stai scherzando? >> tuonò John sconvolto <<
Come diavolo faccio a permettermela? >>
<<
Non ti preoccupare. Ho già risolto tutto >>
John
si passò una mano fra i capelli sorpreso.
<<
Grazie. Io non so come … >>
<<
Chiamala Willelmina e siamo pari >>
John
dopo tanti giorni rise << Ah, maledetto il giorno in cui hai imparato a
scherzare, Sherlock! >>
***
John
strinse involontariamente la mano a Mary quando il dottor Ferguson iniziò a
parlare mettendoli al corrente della situazione.
Spiegò
loro quali possibilità avevano, quali problemi potevano insorgere e quali
metodi usare per non rischiare un parto prematuro.
I
rischi che la bambina nascesse morta a causa di un’emorragia erano altissime,
non lo negò, così come non negò la gravità di quella patologia per una donna
dell’età di Mary e dello stato avanzato della gravidanza, tale da far
preoccupare anche lui.
Ferguson
era un dottore in gamba, ne aveva sentito parlare quando alcune sue vecchie
college di lavoro avevano avuto figli: potevano fidarsi di lui e del suo
giudizio. Per questo motivo quando egli suggerì di fare un cesareo
entro
la fine della trentaduesima settimana né lui né Mary ebbero niente da ridire.
Aspettare
oltre sarebbe stato troppo pericoloso, lo sapevano entrambi.
<<
Sono fiducioso >> aveva aggiunto, mentendo palesemente per rassicurarli.
Mary
rimase stoica per tutto il tempo.
John
fremette per tutto il tempo.
Uscirono
dalla clinica svuotati di qualsiasi emozione e John dopo mesi di totale
freddezza nei suoi confronti la abbracciò sussurrandole parole rassicuranti
all’orecchio.
Mary
pianse fra le sue braccia chiedendogli ancora scusa.
John
finse di perdonarla e finse di non essere disgustato da sé stesso.
***
Chiuso
nel suo palazzo mentale Sherlock non udì la porta del 221B aprirsi e chiudersi
né i passi che anticipavano l’entrata della persona che stava salendo le scale.
Aveva
tre cerotti di nicotina addosso perché quello stava diventando un problema intricato
da risolvere e aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile.
Moriarty.
Aveva
passato due anni a scovare i seguaci di quel demone lontano dalla sua città e
dalla sua vita, lontano da John mentendo,
nascondendosi e soffrendo insieme a lui ed ora sembrava che l’incubo fosse
ricominciato.
Appariva
freddo e imperturbabile davanti agli agenti dell’MI6 e davanti a John sommerso
dai problemi e dalle prospettive di un futuro infelice, ma Mycroft aveva
capito, gli aveva letto dentro, scrutando la sua ansia. E ciò gli dava
immensamente fastidio soprattutto perché manifestava la sua preoccupazione con
telefonate e improvvise apparizioni a Baker Street.
Non
poteva credere che Moriarty fosse vivo, ma aveva indagato a lungo sull’infinita
lista di suoi stretti collaboratori e sapeva bene che qualcuno gli era sfuggito
qualcuno a cui non aveva dato importanza, qualcuno che in quel momento si stava
divertendo a impaurire Londra, qualcuno che aveva le stesse capacità di Jim e
meno mezzi a disposizione.
Aveva
voluto lanciare un messaggio, perché?
Mary
Watson bussò allo stipite della porta e Sherlock si riscosse aprendo gli occhi
di colpo.
Si
mise seduto osservando incuriosito la donna che gli stava di fronte con il viso
stanco e le occhiaie marcate a dimostrazione delle ore di sonno spese ad
immaginare la sua morte.
Sherlock
non emise verbo.
Si
alzò dal divano e andò in cucina porgendole una sedia comoda su cui far gravare
il suo peso per riposarsi.
Al
settimo mese e mezzo di gravidanza la pancia era evidente, ma l’uomo non si
soffermò ad osservarla per più di due secondi preferendo guardarla negli occhi.
Erano tristi, dedusse, stanchi. Non era arrabbiata per ciò che le stava
accadendo, solo rassegnata.
<<
Gradisci del tè? >>
<<
Non posso, grazie lo stesso >>
Sherlock
annuì e si sedette sulla poltrona nera pronto ad ascoltare qualsiasi cosa
avesse da dire perché, in fin dei conti, era quello il motivo per cui si
trovava lì. Doveva comunicargli qualcosa di importante, qualcosa che
probabilmente riguardava John, così importante da ignorare i consigli del
medico di stare a riposo.
Sapeva
che sarebbe stato un discosto difficile quello di Mary e la prova di ciò era
l’assenza di John che in quelle settimane non l’aveva mai lasciata, assumendosi
di colpo il compito di marito che aveva rifiutato per ripicca nei confronti
della moglie che gli aveva mentito.
Aveva
capito il suo segreto? Per questo era lì?
<<
Ho bisogno di parlarti, Sherlock e ho bisogno che tu non ne faccia parola con
John >>
Altre
menzogne.
Il
detective annuì incrociando le dita fra di loro, in attesa.
<<
John non mi ha perdonata e non lo farà mai. E non posso biasimarlo per questo.
Mi resta accanto per il bene della bambina e perché si sente in colpa. È un
uomo eccezionale, un uomo che ha sofferto così tanto da non riuscire a
sopportare altro dolore >>
Sherlock
si morse la lingua pur di non parlare ed interromperla anche se avrebbe avuto
un’infinità di cose da dire in quel momento.
Mary
lo guardò dritto negli occhi.
<<
Sono qui per ringraziarti Sherlock. Per quello che hai fatto, per avermi
salvato la vita per essere stato il testimone di nozze di John e per averci
protetti >>
<<
Mary … >>
<<
No. Lasciami finire. Ci sono delle cose che ti devo chiedere e ho bisogno di
chiedertele ora, prima che sia troppo tardi >>
Il
detective sospirò e annuì trattenendo una smorfia di tristezza.
<<
Ami John? >>
A
quelle parole Sherlock trasalì sgranando gli occhi, mostrandosi a disagio.
Perché
ora? Si chiese, se lo hai sempre saputo?
Passarono
diversi secondi prima che trovasse la forza di annuire e ammettere la verità
davanti a lei.
<<
Lo proteggerai, sempre? >>
<<
Sì >>
<<
Lascerai che torni a vivere qui se lo desidererà? >>
<<
Sì >>
Mary
deglutì e sorrise agonizzando di felicità e dolore. Sherlock notò quegli
ossimori farsi largo nel suo volto e con un gesto istintivo le prese le mani
incoraggiandola a proseguire.
<<
Proteggerai nostra figlia come fosse anche tua? >>
Non
esitò << Sì >>
<<
Mi prometti che saranno felici? >> le lacrime di Mary bagnarono le sue
mani.
<<
Farò tutto ciò che posso per fare in modo che lo siano >>
Mary
annuì e si lasciò andare in un sorriso liberatorio.
<<
Grazie. Avevo bisogno di saperlo >>
Sherlock
le porse un fazzoletto e lei si asciugò gli occhi.
<<
John sa che sei qui? >>
La
donna scosse la testa.
<<
Morirò Sherlock >>
<<
Non credo. Il dottor Ferguson è- >>
<<
Non c’è niente che il dottor Ferguson possa fare per salvarci entrambe. John ha
fatto finta che non sia vero per tutti questi giorni, ma sappiamo entrambi che
sarà costretto a fare una scelta.
>> parlò duramente senza lasciar spazio a repliche di alcun genere
<< non posso far soffrire John ancora. Non posso fargli prendere una
decisione simile. Ho lasciato scritto al dottor Ferguson che in caso di
complicazioni durante l’operazione salvi mia figlia >> Sherlock strinse i
pugni << per questo ho bisogno che tu mi prometta che ti prenderai cura
di loro perché io non ci sarò, nemmeno se John mi perdonasse davvero. Ho
bisogno di essere sicura che sarai sempre presente per loro >>
<<
Io- Io te lo prometto >> rispose senza fiato per dire altro.
<<
E ovviamente non devi dire niente a John di tutto questo >>
<<
Devo mentirgli? >>
<<
No, solamente tenerlo all’oscuro >>
Mary
si accarezzò la pancia nel punto esatto in cui la bambina aveva scalciato.
Sherlock
ne divenne curioso e allungò una mano sfiorando con le dita il ventre
percependo la vita sbocciare dentro quel corpo umano.
Promise
ancora e ancora che l’avrebbe protetta per il resto della sua esistenza.
***
Oggi è il
giorno stabilito. JW
Sherlock
si distrasse dalle ciance del tecnico informatico dell’IM6 osservando il testo
con attenzione.
Erano
già passate due settimane?
Tempo
un minuto e gli arrivò un altro messaggio.
Come stanno
procedendo le indagini? JW
Si sono
arenate per colpa di un informatico incapace. SH
Il
suddetto tecnico si sforzò di recuperare dei dati da un computer - trovato in
un bagno della metropolitana di Londra -inutilmente. L’hard disk era stato
cancellato appena acceso il computer.
Qualcuno
lo aveva lasciato lì per sbaglio, ma chi avrebbe fatto un simile errore?
A
meno che … il computer non fosse altro che un’esca per far sviare le indagini.
Il
segnale del videomessaggio con la faccia di Moriarty era partito proprio da lì
rimbalzando su server internazionali per settimane prima di riuscirne a
identificarne la fonte.
Astuto,
ma non abbastanza commentò Sherlock osservando il tecnico scuotere la testa
dispiaciuto.
<<
Lasci perdere il computer. Non è altro che un modo per sviarci e speravo lo capisse prima di forzare la
scheda madre con un sistema così idiota! >> asserì con tono perentorio e
Mycroft annuì totalmente d’accordo.
Il
tecnico stava già per ribattere oltraggiato ma lui lo fermò subito << e
se non avesse pensato a tutto il tempo alla ballerina russa incontrata ieri sera
forse sarebbe anche riuscito a sbloccarlo. Badi bene, ho detto forse! >>
e si allontanò dalla stanza raggiungendo il fratello.
Mycroft
gli rivolse un sorriso serafico << Ti vedo particolarmente in forma,
fratello caro >>
<<
Devo andare all’ospedale >>
<<
Naturalmente. Una macchina ti sta aspettando al terzo piano interrato >>
Sherlock
sospirò << Farò avere a John le tue condoglianze >>
<<
Verrò a fargliele di persona appena mi sarà possibile >>
Sherlock
prese l’ascensore scortato da un agente in borghese.
Sto arrivando,
rispose.
Grazie. JW
All’interno
del reparto di maternità si moriva dal caldo, ma Sherlock non si levò il
cappotto di dosso lasciando che svolazzasse sotto il suo incedere veloce e
sicuro verso la sala d’aspetto.
John
era lì, con le mani affondate nei capelli e i gomiti sulle ginocchia, seduto su
una delle sedie bianche.
Erano
le quattro del pomeriggio – l’ora delle visite - e l’intera stanza era stata
presa di mira dai parenti e amici delle partorienti. Erano tutti così
sfacciatamente felici, così sorridenti e allegri che Sherlock dovette resistere
da prenderne a pugni un paio solo per scaricare i nervi.
John
udì i suoi passi e alzò la testa lasciandosi andare in un sospiro di puro
sollievo.
Sherlock
gli si sedette accanto in rigoroso silenzio aspettando che fosse John a parlare
per primo.
<<
Non mi hanno lasciato entrare. Le ho detto che la perdonavo e che saremmo stati
una famiglia una volta nata la bambina >>
Sherlock
annuì fra sé << Belle parole >>
<<
Dovevo rassicurarla >> disse risoluto << andrà tutto bene >>
<<
Ferguson è un b- >>
<<
Smettila di ripetere che è un bravo dottore. Andrà bene. Punto >>
<<
Volevo solo … >>
<<
Sì, lo so. Scusami. È colpa mia, sono nervoso >>
<<
Ne hai tutte le ragioni, John >>
John
prese un respiro profondo per cercare di calmarsi.
<<
Hai chiamato Harry? >>
<<
Per quale motivo avrei dovuto? >>
<<
E’ tua sorella >> gli ricordò il detective.
<<
Alcolista che non è nemmeno venuta al matrimonio. No … meglio di no >>
sputò fra i denti acido prima di respirare di nuovo e calmarsi.
<<
Parlami delle indagini. Avete scoperto … >>
<<
Non ora John >> lo interruppe prendendogli una mano e stringendola. Era
calda, così calda rispetto alla sua gelida e tremante.
Il
medico sussultò a quel gesto e decise di assecondarlo prendendosi ciò di cui
aveva bisogno in quel momento. Conforto.
In
quel momento Sherlock crollò sotto il peso del segreto che era costretto a
mantenere.
Il
dottor Ferguson apparve oltre le porte di chirurgia ostetrica esibendo
un’espressione dispiaciuta. John non lo notò subito. Aveva gli occhi chiusi e
la mente concentrata nell’osservare la premura che Sherlock stava dimostrando
avere nei suoi confronti: la mano ancora stretta alla sua, gli aveva persino
dato la possibilità di appoggiare la fronte alla spalla pur di rassicurarlo.
E
stava amando ogni secondo di più quella parte nascosta di lui, quella parte che
nessuno aveva mai avuto il privilegio di conoscere.
Sherlock
lo riscosse e John si tirò su di scatto notando il chirurgo venir loro incontro.
Erano
le sei di sera.
John
capì e finse di non capire. Aspettò che il medico aprisse bocca prima di
disperarsi.
<<
Dottor Watson >> lo chiamò << La bambina è nata. Ora si trova in
terapia intensiva. Sta bene e ha solo bisogno di ricevere ossigeno per qualche
ora >>
<<
Ma è sana? >>
<<
Sana. Due chili di peso. Dieci nella scala Apgar >>
John
sospirò. Sherlock rimase immobile accanto a lui.
<<
E mia moglie? >>
Il
dottor Ferguson scosse la testa.
<<
Si trova in terapia intensiva ora e non voglio nasconderle che è molto grave.
Ha avuto un’estesa emorragia interna e un danno ai reni non indifferente.
Stiamo facendo il possibile, ma temiamo danni multi organo - >> John
smise di ascoltarlo.
Crollò
sulla sedia e pianse.
Mary
Watson morì all’una e ventisette del 23 gennaio.
***
Sherlock
Holmes era visibilmente a disagio in quel momento.
Monopolizzato
dalla signora Hudson, che lo sommergeva di domande a proposito della bambina,
non sapeva cosa fare. Era totalmente estraneo a simili faccende umane.
Cosa
avrebbe dovuto dire? Quale aggettivo avrebbe dovuto usare per descriverla?
Mycroft
gliene suggerì un paio via messaggio, ma li ignorò perché bellissima e stupenda
erano epiteti che poco si addicevano alla figlia di John.
Avrebbe
avuto bisogno di coniare un nuovo termine per descriverla.
Lei
era molto più che bella e stupenda, più che intelligente e – per l’amor del
cielo- dolce.
Lei
era tutto. Ed era perfetta.
La
signora Hudson trillò allegra guardandola agitarsi nella culla per neonati
accanto ad altri ignoti bambini che non risplendevano della sua stessa luce.
<<
E John, come sta caro? >>
Sherlock
sospirò stancamente.
La
notte prima Mary era morta riuscendo a rivolgere a John un ultimo sorriso
stanco prima di lasciarsi andare.
John
non era uscito dalla sua stanza fino all’alba persuaso infine dagli addetti
all’obitorio già pronti a portare il cadavere della donna nella cella
mortuaria.
Mycroft
si era offerto di organizzare il funerale, ma aveva rifiutato con un no secco
perché quello era compito suo e suo soltanto.
Non
aveva ancora trovato il coraggio di scendere al piano di sotto per vedere sua
figlia, entrare nella nursery e prenderla in braccio.
<<
Male. Ma ce la farà >> rispose bilanciando bene il tono di voce.
La
donna annuì asciugandosi una lacrima di puro dispiacere osservando con occhi
tristi la bambina nella culla 004.
Un
bip distrasse il detective dalla contemplazione della piccola Watson.
Sono sicuro
che sarai all’altezza del compito, fratello. MH
Sherlock
infilò il cellulare in tasca e sospirò.
Dentro
la sua testa il Mind Palace stava per essere riorganizzato per fare spazio
anche alla bambina: avrebbe buttato via qualche ricordo, magari quelli
riguardanti Mycroft da bambino. Sorrise.
Sì,
la bambina di John era decisamente più bella di un fratello panciuto.
Lestrade
arrivò alle undici di mattina, trafelato, seguito da e una Molly Hooper con il
viso rigato di lacrime e un sorriso mesto in viso .
<<
Sherlock >> disse il primo stringendogli la mano.
<<
E’ stato Mycroft, vero? >>
L’ispettore
annuì rassegnato << Mi dispiace tanto. John come l’ha presa? >>
<<
Talmente bene che non è ancora sceso a vederla >> ribatté sarcastico.
<<
Ci vorrà del tempo. Non avrei mai pensato che Mary potesse - >>
<<
Mary è stata coraggiosa. Ha scelto di salvare lei piuttosto che la sua vita
>> spiegò diligentemente.
<<
Possiamo vederla? >> domandò Molly e Sherlock le indicò la culla.
<<
E’ meravigliosa >> esalò lei << assomiglia a John, ma la bocca è …
>>
<<
Di Mary. Cerca di non farglielo presente >>
Molly
lo guardò con aria curiosa << L’hai presa in braccio? >>
<<
Avrei dovuto? >>
<<
Beh, sarebbe carino se lo facessi >>
Lestrade
trattenne un sorriso.
<<
Non vorrei perdermi la scena >>
<<
Non la prenderò in braccio. Molly rassegnati, Lestrade piantala di sorridere come
un perfetto idiota >>
La
signora Hudson cinguettò contenta quando la bambina sbadigliò assopendosi e
Molly la seguì a ruota.
Sherlock
Holmes sospirò scocciato e capì che quella sarebbe stata una lunga giornata.
Due
mani si posarono sul vetro in plexiglass che divideva la nursery dal corridoio
principale del reparto di maternità.
Osservò
la coperta rosa avvolgere una bambina che non riusciva a vedere e si sforzò di
restare lì anziché entrare. Non era pronto. Non era pronto a tutto quello.
Un
bicchiere ricolmo di caffè nero e caldo apparve sotto il suo naso e John
sussultò dalla sorpresa.
Guardò
a lungo la figura alta del detective prima di riuscire a coordinare i pensieri
e prendere il caffè con un grazie appena sussurrato.
<<
Sei sempre stato qui? >>
Sherlock
annuì.
<<
Sono le dieci di sera >>
<<
Non sono stanco >> mentì << lei è nella culla 004 >>
<<
La riconoscerei fra mille >> disse trattenendo un gemito di puro amore
<< è bellissima >>
<<
Lo è, non posso darti torto >> ammise << Oggi sono passati Lestrade
e Molly >>
<<
Capisco. Hanno visto la bambina? >>
<<
Sì e sono del medesimo parere >>
John
accennò un sorriso stanco. Aveva i capelli sfatti segnati dalla torture delle
dita e due ombre violacee sotto gli occhi.
<<
Mi sento come se un tir mi fosse passato sopra tre volte. Mi sento in colpa per
essere felice che lei esiste e per non essere riuscito a perdonare Mary prima
che … >>
<<
Ti ama John. Ti amava così tanto da scegliere di salvare la vita della bambina
piuttosto che la sua >>
A
John sfuggì un singhiozzo. Appoggiò la fronte al vetro e prese un respiro
profondo per calmarsi.
<<
Non so se ce la posso fare >>
<<
Non sei solo >>
Lo
guardò stupito e occhi gli si riempirono di un’emozione che Sherlock non riuscì
a capire: gratitudine, gioia? Speranza? Troppo difficile.
<<
Avanti John. Devi conoscerla >> gli ordinò oltrepassando la porta della
nursery.
L’infermiera
fece capolino dalla stanza attigua e sorrise al padre in lutto facendosi strada
fra le culle.
Non
aveva bisogno che parlasse per essere capito e così la donna scoprì la bambina
e la prese in braccio porgendogliela con una mossa esperta.
Non
emise suono mentre veniva sballottata in aria e lasciata andare fra le braccia
di una persona che ancora non conosceva. Emise un unico gemito di frustrazione
e tornò a dormire.
John
la guardò per un tempo che parve infinito.
La
osservò, l’ammirò e ne scoprì i tratti innamorandosene ogni secondo di più.
Era
diventato padre di una bellissima bambina nel giorno più triste della sua vita.
Sentimentalmente
spaccato a metà la cullò annusando la sua pelle profumata, baciandole la mano
stretta a pugno.
<<
E’ perfetta >>
<<
Concordo >> sussurrò << ma non puoi continuare a chiamarla
“bambina” >> lo ammonì il detective indignato << devi trovarle un
nome >>
<<
Io e … io e Mary non abbiamo mai … sai parlato perché io … ero … oddio >>
L’infermiera
gli indicò, in rispettoso silenzio, una sedia a dondolo poco distante e lui vi
si sedette, troppo stanco per poter restare in piedi.
<<
Hai bisogno di riposo >>
<<
Amanda >>
<<
Cosa? >>
<<
Il suo nome è Amanda >>
John
ripeté quel nome due volte per rendersi conto di quanto fosse perfetto.
Lo
doveva alla piccola bambina a cui era stata strappata la vita dalla donna che
aveva sposato. Glielo doveva.
Una
vita per una vita.
<<
Amanda >> sillabò Sherlock soddisfatto << deriva dal latino.
Significa colei che deve essere amata. Sdolcinato, ma le si addice >>
John
sgranò gli occhi << Anche il latino? C’è qualcosa che non sai? >> e
si concesse di sorridere. Le guance si tesero dolorosamente.
Sherlock
lo imitò.
L’infermiera
tese le mani verso John per poter rimettere la piccola a posto nella sua culla.
<<
Domani il dottore ha intenzione di dimetterla, dottor Watson. Non si preoccupi.
Sta bene. Ha già preso tre grammi di peso nelle ultime ore >>
John
annuì e osservò ancora la sua bambina e le piccole palpebre color lavanda
chiuse attorno ai suoi occhi di cui ancora non conosceva il colore. Infine
guardò Sherlock che se ne stava immobile vicino alla porta, visibilmente a
disagio.
<<
Aspetti un secondo >> sussurrò << Sherlock. Tu l’hai presa in
braccio, vero? >>
L’uomo
fece una smorfia apparentemente contrariata << No … >>
John
distese le labbra formando una specie di strano sorriso << Prendila
>>
<<
Perché?! >>
<<
Ho detto prendila. Non fare l’isterico >>
<< Non sono isterico, ma io e i neonati proprio non … >> John
gliela passò attentamente facendolo smettere di protestare di colpo.
Quel
peso caldo lo zittì subito.
Sherlock
divenne una statua, gli occhi fissi sulla neonata addormentata, con il fiato
quasi assente. Osò sfiorarle una mano con il pollice e ciò, unito
all’espressione incredula dell’uomo, riempì il cuore di John di un’emozione
finalmente bella e positiva.
<<
Se sapevo che bastava questo per farti tacere … >>
<<
Guai a te se lo dici a Mycroft o a Lestrade >>
John
sorrise, scosse la testa e tornò a rivolgersi all’infermiera << Scriva
Amanda sopra il suo certificato di nascita >> le disse con gentilezza
guardando Sherlock destreggiarsi nel sorreggere con evidente impaccio sua figlia
<< Amanda Willelmina Watson >>
Sherlock
sgranò gli occhi e per poco non svenne per la sorpresa.
John
lo guardò seriamente, scoprendosi incantato da quella scena.
<<
L’ho promesso a Mary >>
***
Il
funerale fu triste e colorato.
John
aveva capito di aver bisogno di aiuto il giorno in cui portò a casa Amanda e si
accorse di non avere niente di pronto per accoglierla. Colto da un raptus di
rabbia aveva scagliato le poche cianfrusaglie comprate contro la parete della
sala da pranzo. Ma non aveva più lacrime da piangere.
Tornare
lì, senza Mary, era stato uno strazio. Ogni cosa parlava di lei, dagli abiti
lasciati con cura sul letto, alle fotografie, alle chiavi di casa abbandonate
nel piattino vicino all’ingresso. Era stato sposato con lei sette mesi ed aveva
trascorso gli ultimi quattro odiandola ed evitandola.
John
aveva capito troppo tardi che lei sapeva di star morendo. Glielo aveva letto
negli occhi l’attimo in cui, entrando nella stanza, gli aveva sorriso facendosi
promettere tante cose, l’ultima di mettere Willelmina come secondo nome per
onorare l’uomo che le aveva salvate. Poi aveva chiuso gli occhi e un bip
straziante aveva riempito il silenzio. Avevano tentato di salvarla in tutti i
modi possibili e John si era sentito così impotente e sconfitto da voler
urlare, come quel lontano giorno nel deserto afghano quando aveva dovuto
abbandonare un commilitone ferito a morte per curarne uno ancora in vita. La
sensazione , ora, era diecimila volte più straziante, ma non era più
arrabbiato. Non come lo era stato con Sherlock.
Mary
non aveva meritato di morire in quel modo, ma chissà perché il destino aveva
scelto per lei diversamente, punendola dei crimini di cui si era macchiata in
passato.
John
si sentì impotente davanti al pianto disperato di sua figlia, si sentì solo
troppo esausto e triste per fare qualsiasi cosa perciò chiamò l’unica persona di cui si poteva
fidare.
Sherlock
arrivò alle due del pomeriggio osservando con occhio critico lo stato in cui
versava la casa e l’espressione distrutta di John, il quale ammise di non
riuscire a farcela, esattamente come quel lontano giorno in ospedale davanti al
letto di Sherlock. E così il detective aveva preso in mano la situazione
chiamando il fratello.
Per
questo motivo il funerale fu colorato. Era stato proprio Sherlock a scegliere
fiori azzurri, rosa e gialli che inneggiavano alla vita piuttosto che alla
morte e le persone presenti ne furono sollevate.
John
osservò la bara in silenzio, assorto nei suoi pensieri.
Erano
intervenute tutte le persone che avevano conosciuto Mary: da Molly Hooper e
Lestrade, a Violet e Siger Holmes che quel mattino si erano offerti di badare
alla bambina durante la celebrazione del funerale. C’era Mycroft, vestito con
un completo nero ed elegante e persino Janine che in disparte assisteva
all’evento. E Bill Wiggins ovviamente che aveva posato tre rose bianche al
centro della bara per poi tornare vicino al suo nuovo amico Sherlock.
Nessuno
di loro a parte Mycroft, Sherlock e John conoscevano la verità su Mary Morstan
il cui nome era stato rubato da un’altra lapide. E così sarebbe dovuto restare
per non infangarne la memoria agli occhi di chi le aveva voluto bene.
John
non aveva più voluto parlarne e si era chiuso in un mutismo post-traumatico da
manuale lasciando Sherlock completamente frustrato. Non aveva voluto
commemorarla lasciando agli altri la possibilità di parlare di lei. E subito
dopo la cerimonia aveva stretto Amanda fra le braccia dicendole di amarla.
<<
Strana la vita, Sherlock. Meno di un anno fa suonasti al loro matrimonio ed ora
organizzi il funerale della signora Watson >> commentò Mycroft passando
al fratello una sigaretta fumata a metà.
Sherlock
sbuffò fumo dal naso ignorando l’indelicato commento del maggiore << Hai
intenzione di parlargli? >>
<<
Ora o mai più. Deve lasciare Londra il più presto possibile >>
Mycroft
annuì << Mummy sarà contenta >>
<<
Hai già predisposto il trasferimento? >>
<<
Cosa credi che abbia fatto tutta la mattinata? >>
Sherlock
rispose con un gesto di stizza e andò a cercare John.
Lo
trovò seduto su una panchina a pochi passi dalla tomba di Mary intento a
parlare ad Amanda di qualcosa di assolutamente insignificante per lui.
Tanto
non ti capisce, avrebbe voluto dire, ma si trattenne prendendo posto accanto a
lui.
<<
Grazie. Per tutto >> disse John commosso << è stato tutto davvero
molto … colorato >>
<<
Dobbiamo parlare >> lo interruppe appoggiandosi con la schiena alla
ringhiera guardando un punto fisso oltre gli alberi del cimitero.
<<
Di cosa? >>
<<
Del tuo trasferimento >>
John
si stupì << Quale trasferimento? >>
<<
Il tuo John, non puoi restare a Londra. Con Moriarty probabilmente vivo, -come
sostiene quell’inetto del ministro degli esteri- è troppo pericoloso restare
per te e per Amanda. Devi andartene oggi stesso. Ti prometto che non sarà per
molto >>
John
alzò gli occhi su di lui << Alt Fermati un secondo! E dove diavolo dovrei
andare? Amanda è troppo piccola per viaggiare >>
<<
Mycroft ha già organizzato tutto >>
<<
E tu? >>
<<
Te l’ho detto. Devo continuare ad indagare >>
<<
No >> sbottò furente.
<<
John >>
<<
No, niente John! Stiamo parlando di nuovo di te e dei tuo atti suicidi! Cosa
inventerai questa volta eh? Un attacco di cuore, un avvelenamento, un
annegamento? >> urlò destando Amanda dal sonno che pianse spaventata.
<<
John calmati. Non sarà niente del genere. È solo per precauzione. Tu e Amanda
andrete a vivere per qualche settimana nella tenuta dei miei genitori. Ti
stanno già aspettando. Potrai avere la mia vecchia stanza. Sarete al sicuro da
qualsiasi minaccia possa rappresentare quel messaggio di Moriarty o chi per
lui. Alcuni uomini di Mycroft – quelli che io ho ritenuto meno incapaci- si
assicureranno che siate al sicuro >>
John
reagì a quel fiume di parole con uno sguardo incredulo << Hai – hai preso
seriamente la storia del proteggerci >> mormorò quasi imbarazzato
<< e tu, sarai al sicuro? >>
<<
Mycroft è stato piuttosto insistente su questo punto >>
<<
Dovrei venire con te >>
<<
Hai Amanda di cui occuparti >>
<<
Lo so. Ma c’è il tuo nome sul suo certificato di nascita >> disse con un
filo di voce calmando finalmente la bambina dal suo pianto isterico.
<<
Questo non significa che tu possa venire con me >> concluse lui serafico
<< è una battaglia che devo finire
da solo così com’è iniziata >>
John
annuì scontento, indeciso, e si alzò seguendo Sherlock verso l’auto scura che
li avrebbe portati in campagna.
Violet
e Siger erano già dentro ad aspettare.
<<
Sei sicuro che non sia un problema per loro? >>
<<
Cosa, che tu abbia messo il mio nome al femminile sul certificato oppure il tuo
soggiorno a casa loro? >>
John
parve pensarci << Entrambe >>
Sherlock
sbuffò un sorriso << Sali in auto John >>
<<
Tu promettimi che non ti farai ammazzare >>
<<
Lo prometto >> sbottò ruotando gli occhi al cielo.
<<
E che tornerai >>
Sherlock
a quel punto tornò serio e lo guardò a lungo soffermandosi qualche secondo su
Amanda che finalmente mostrava i suoi occhi color blu cielo.
John
aspettò quella promessa finché non fu pronunciata.
<< Tornerò >>
[1] La placenta previa è una
condizione medica che causa forti emorragie durante il secondo trimestre di
gravidanza dovuta al posizionamento della placenta nella parte bassa
dell’utero. Ho trovato qui tutte le informazioni.
[2] Il
Portland Hospital,
secondo wikipedia, è uno degli ospedali privati di Londra,
specializzato in ginecologia e ostetricia. E se lo dice lui io mi fido
U_U Ovviamente il dottor Ferguson è un personaggio totalmente
inventato.
Note:
alcuni
dialoghi iniziali li ho presi direttamente dalla 3x03, ma ho per esigenze di
trama, cambiato qualcosa.
Se siete arrivati
vivi fin qui vi meritate un biscotto.
Aggiornerò con la
seconda parte domenica prossima =)
|
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Capitolo 2 *** Parte II ***
Amanda 2
Note: ce l’ho fatta, non ci posso
credere. Questo secondo capitolo sancisce l’evoluzione della rinascita di John.
Spero vivamente di non essere uscita dallo OC e che vi piaccia leggerlo come a
me è piaciuto scriverlo!
Buona
lettura
Desclimer: come prima, niente è mio nulla
mi appartiene, la storie è di mia invenzione scritta senza scopi di lucro.
Peace!
Amanda
SECONDA PARTE
Aprile
Sebastian
Moran era stato ammanettato da due eleganti energumeni dell’MI6 e trascinato
via, dentro un furgone blindato. I capelli biondi mossi dalla brezza mattutina
gli conferivano un aspetto sconvolto e trasandato. Aveva gli abiti sporchi del
suo stesso sangue e la bocca, storta in un sorriso folle, tumefatta di lividi.
Sì, ci era andato giù pesante, ma sapeva bene che quella bocca non gli sarebbe
più servita. Moran non avrebbe mai fatto la spia su nessuno: era un soldato,
addestrato a ricevere ordini ed eseguirli in silenzio. Uccideva in silenzio,
comunicava in silenzio e guardava il mondo senza empatia. Psicopatico era la
parola che forse si avvicinava di più a descrivere la sua personalità e lui
aveva impiegato settimane a studiarla.
Sherlock
osservò il suo volto emaciato e il ghigno compiaciuto sparire dietro le porte
nere.
All’improvviso
sentì il suo corpo cedere sotto il peso di quei lunghi mesi spesi a dare la
caccia a improbabili fantasmi dormendo e mangiando lo stretto necessario.
John
si sarebbe arrabbiamo molto con lui.
<<
E’ finita fratello >> sussurrò Mycroft di fianco a lui appoggiato al suo
ombrello nero ed elegante.
<<
No. Non sarà finita finché non parlerà. Devo sapere se è vivo >>
<<
Non credo che lo sia >>
<<
Devo saperlo >> ripeté duramente << Non parlerà facilmente. Lo so
bene >>
<<
Chiamerò a rapporto gli agenti migliori del paese. Parlerà >>
Sherlock
annuì.
<<
Hai intenzione di restare in mezzo alla strada per tanto, Sherlock? >> si
scambiarono un’occhiataccia << un’auto ti sta attendendo >>
<<
Prenderò il treno >> tagliò corto << non ho bisogno delle tue balie,
Mycroft >>
<<
Un grazie sarebbe più che gradito, Sherlock >>
<<
Per cosa? >>
<<
Per tutto … in fin dei conti Sebastian Moran ti avrebbe ucciso se io non fossi
intervenuto … >>
Sherlock
scrollò le spalle e si voltò << Porta i miei saluti a John. Vi
raggiungerò molto presto >>
aggiunse con un sorriso, osservandolo sparire alla volta della
metropolitana.
John
non ebbe il tempo nemmeno di fare colazione quella mattina perché Amanda si era
svegliata prima di lui e pretendeva attenzioni e cibo.
Violet
Holmes gli sorrise divertita e gli diede un’affettuosa pacca sulla spalla prima
di anticiparlo e dire: << Resta seduto, caro. Vado io … >>
<<
Signora Holmes non ha ringrazierò mai abbastanza per quello che sta facendo
>> ammise sinceramente.
<<
E’ un piacere John. Ora fai colazione e non preoccuparti >>
John
annuì e sbadigliò chiudendo gli occhi davanti alla tazza di caffè nero che
aveva smesso di svolgere la sua funzione tre settimane prima quando Amanda
aveva cominciato a scambiare la notte con il giorno. Non c’era più tè o caffè
che riuscisse a svegliarlo di mattina dopo una notti passate insonni con una
figlia che invece di dormire rideva e si agitava.
Essere
accolto dalla famiglia Holmes era stata una benedizione per John, ancora in
lutto per la morte di Mary, preoccupato per Sherlock e insonne per la figlia.
Sieger e Violet erano gentili, premurosi e trattavano Amanda come una nipote
capricciosa e adorabile, regalandole peluche ad ogni occasione, carillon con le
musiche più belle, vezzeggiandola ad ogni lamento emesso.
John
sorseggiò il suo caffè meditando di mettersi al lavoro per aiutare Sieger
Holmes con i cavalli. Nonostante nessuno gli chiedesse mai niente, John non
riusciva a stare fermo per più di un minuto e si sentiva in debito verso di
loro tanto da svolgere qualsiasi mansione fosse necessaria per la cura di
quella tenuta in campagna , dal taglio della legna al cibo per i cavalli o alla
spesa della signora Holmes.
Trascorreva
così le giornate, fra passeggiate con Amanda e piccoli lavoretti, scacciando di
tanto in tanto il pensiero di Sherlock probabilmente in pericolo o annoiato e
intossicato dalle sigarette.
Gli
mandava, da tre mesi a questa parte, un messaggio al giorno, sempre uguale
lapidario e breve per fargli sapere che era vivo e non in pericolo. “Sto bene”
scriveva per poi ignorare tutti quelli che John gli spediva e tutte le chiamate
che tentava di fare.
Era
frustrante avere a che fare con lui in quel periodo e il restare fermo e in
disparte non lo stava aiutando a mantenersi lucido.
Tornerò.
Si ma quando? Sono già passati tre mesi razza di idiota! Pensi di stare via
ancora a lungo? E per qualche diavolo di motivo né tu né quel pomposo di tuo
fratello vi degnate di rispondermi?
John
emise un sospiro di pura frustrazione e sorseggiò il caffè bollente udendo la
trillante risata della signora Holmes al piano di sopra. Dall’altra parte della
casa Amanda stava ridendo con lei: John poteva sentirla e immaginarla come
l’avesse di fronte, con gli occhi blu brillanti e i corti capelli biondi
pinzati da una fascetta rosa. Mary l’avrebbe trovata adorabile.
Abbandonò
il caffè con lo stomaco improvvisamente chiuso dal senso di colpa e sistemò la
cucina prima di mettersi al lavoro.
Il
suo cellulare squillò nella tasca dei suo jeans e John lo tirò fuori leggendone
il messaggio con stupore.
“E’
finita” SH.
John
rilesse quelle tre parole altre dieci volte prima di riuscire a sospirare sollevato.
***
Alle
undici e mezza di sera la casa era silenziosa, avvolta nel buio.
John
cercò di rilassarsi sotto le coperte, ma come al solito prima di riuscire ad
addormentarsi il suo cervello cominciava a pensare a tutte quelle cose che di giorno
riusciva a sfuggire: ripensò a Mary e al posto dove ora si trovava. Al fatto
che da tre mesi stava dormendo nella camera di Sherlock, una camera normale con
un letto normale e arredamento normale, con scaffali ricolmi di libri di
chimica ordinati per anno nella grande libreria, e vecchi microscopi
giocattolo. Pensò ad Amanda che per il momento stava dormendo a due metri di
distanza da lui. Pensò al futuro che gli si sarebbe prospettato una volta
tornato a Londra, alle decisioni che avrebbe dovuto prendere e poi ancora a
Sherlock che dopo quel messaggio criptico non si era più fatto sentire.
Pensò
anche a Violet e Sieger che ronfavano in fondo al corridoio e al modo in cui si
erano affezionati a sua figlia e agli stratagemmi che avevano ideato per dare a
lui modo per riprendersi dallo shock dell’ultimo anno appena trascorso.
Si
voltò verso la finestra e chiuse gli occhi infreddolito dalla solitudine.
John
emise un gemito di frustrazione quando, dopo appena pochi minuti fra il sonno e
la veglia, Amanda singhiozzò nella sua culla bianca sbattendo un sonaglino
contro il legno laccato.
Sospirò
incredulo e cercò di ignorarla perché sapeva benissimo che quelli non erano
altro che capricci e perché doveva insegnarle che non poteva essere sempre
presa in braccio ogni qualvolta si lamentava. Doveva essere un buon padre,
autorevole e sicuro di sé perché, maledizione, era solo e lo sarebbe sempre
stato e Amanda era una sua esclusiva responsabilità.
Dopo
essere stata ignorata per dieci minuti John sperò smettesse e lo lasciasse
dormire, ma così non fu perché ad un certo punto strillò più forte
costringendolo a rassegnarsi.
Stava
per alzarsi, pronto per una dose notturna di coccole ,quando all’improvviso
cessò di piangere.
John
dentro di sé esultò udendo solo dei vaghi fruscii provenire dalla culla.
Era
appena accaduto un miracolo.
John
si mise seduto e scrutò nel buio la figura alta e longilinea appostata vicino
al lettino e il suo cuore sprofondò in una sensazione prima di terrore poi di sorpresa.
Accese
di scatto la luce rischiarando la stanza di un tenue arancione, ferendosi gli
occhi stanchi.
Sherlock
Holmes lo guardò come fosse impazzito.
<<
Sher … Sherlock? >> balbettò incredulo con il fiato mozzato dalla gioia e
dalla paura. Era davvero lì, vivo?
<<
John >> sussurrò lui con voce roca. Solo allora si accorse che Sherlock
stava sorreggendo Amanda fra le braccia.
John
ne rimase ancora più sorpreso.
<<
Non ci … posso credere … >> esalò alzandosi in piedi di scatto, il freddo
improvvisamente scomparso da quella stanza.
<<
Ti avevo mandato un messaggio >> si giustificò << Ho preso il treno
appena mi sono liberato dei leccapiedi di Mycroft >>
John
si passò una mano fra i capelli e un sorriso sincero si dipinse sul suo volto.
<<
Tu non hai idea di come sono felice di saperti salvo. Hai fatto ammattire tutti
negli ultimi tre mesi! >>
<<
Shht … i miei genitori non lo sanno ancora >>
John
gli scoccò un’occhiataccia << E cosa stai aspettando a dirglielo?
>>
<<
L’ora di colazione >>
Amanda
rise e John osservò la scena totalmente meravigliato.
<<
Come hai fatto? >> domandò incredulo << No sul serio Sherlock,
come? >>
<<
Credo sia tutta una questione di odori. Ci farò uno studio a riguardo >>
e sorrise << è cresciuta parecchio >>
<<
Ha compiuto tre mesi ieri … sì è cresciuta e non dorme mai, ma credo che tua
madre sia abituata a questo, vero? Sono solo io prossimo ad crollo nervoso
>> e sospirò guardandolo ancora, incredulo dal rivederlo dopo così tanto
tempo.
<<
Sei dimagrito >> lo accusò.
<<
E tu hai l’aria di uno investito da un tir >> lo schernì.
<<
Sono padre di una figlia capricciosa >>
<<
Solo annoiata, temo … quelle stupide api che hai appeso alla sua culla John ,
sono deleterie per il suo sistema nervoso centrale >>
John
aggrottò la fronte perplesso << Il suo … cosa? Ha tre mesi Sherlock. Cosa
dovevo appendere? Formule chimiche e fotografie di cadaveri? >>
<<
Aiuterebbe >>
L’attimo
dopo scoppiarono a ridere.
Sherlock
con un’attenzione che a John parve assurda – assurda se paragonata all’immagine
mentale che aveva del detective- sistemò di nuovo la bambina dentro la culla
finalmente addormentata e silente.
Qualche
minuto dopo si ritrovarono uno di fronte all’altro, seri in volto, silenziosi
pronti a catturare ogni minimo accenno di cambiamento nel corpo e nello sguardo
dell’altro.
<<
Sebastian Moran >> esordì Sherlock.
<<
Come? >>
<<
Il nome del responsabile del video. Sebastian Moran. Ha tentato di
prendere il posto di Moriarty e
rifondare l’organizzazione >>
<<
Sì, ma perché quel video? >>
<<
Per sviare la nostra attenzione. Ha disseminato indizi in modo che credessimo
Moriarty vivo mentre progettava un attacco terroristico al ministero degli
esteri. Un attacco simbolico, oserei dire. Probabilmente voleva dimostrare le
sue capacità. Mycroft lo starà già interrogando … >>
<<
E Moriarty? E’ vivo o … >>
Sherlock
scollò le spalle infastidito << No. Non lo è. Ora non c’è più pericolo >>
John
annuì fra sé e si stropicciò il viso con le mani.
<<
Tre mesi Sherlock … >>
<<
Lo so >> mormorò con tono dispiaciuto.
<<
E mi hai fatto prendere un colpo! >>
<<
So anche questo >>
<<
Lo speravi >>
<<
Vero >>
John
scoppiò a ridere di gusto incredulo di poterlo ancora fare insieme a lui.
Non
ammise ad alta voce che gli era mancato come l’aria, che la mano era tornata a
tremargli e che aveva pensato più a lui che a Mary in quei lunghi tre mesi.
Non
lo ammise perché non era ancora capace di realizzare di aver messo Sherlock al
centro dei suoi pensieri quotidiani più di quanto fosse accettabile.
Alle
nove del mattino uno Sherlock visibilmente irritato e a disagio dopo essersi
beccato un sonoro schiaffo sulla guancia venne vezzeggiato Violet Holmes per
averla fatta preoccupare per mesi: quel gesto spiazzò John più degli abbracci
che la donna elargiva al figlio reticente.
Sieger
rimase fermo, in mezzo alla cucina, sorridente, aspettando il suo turno con
dignitosa calma.
John
si sentì di troppo in quel momento: essere partecipe della vita famigliare del
proprio migliore amico di ritorno da una battaglia era difficile. Così restò in
disparte, a disagio, con Amanda fra le braccia che lo guardava incuriosita
mordendosi le dita della mano con veemenza.
Sherlock
si accorse del suo imbarazzo e ruotò gli occhi al cielo tentando nel contempo
di allontanare sua madre senza essere troppo rude.
Quel
pomeriggio stesso Mycroft sarebbe arrivato per riportarli a casa, o almeno così
aveva recepito Sherlock il giorno prima mentre ignorava ciò che la gente gli
stava comunicando, e John all’improvviso si rese conto di non sapere cosa fare
una volta tornato a Londra.
La
campagna inglese unita alla compagnia
dei coniugi Holmes era stata una manna per il suo spirito e gli avevano
concesso di riprendere fiato e riorganizzare i pensieri del suo incasinato
cervello, ma a Londra? Cosa sarebbe successo?
Non
era mai stato così insicuro, nemmeno dopo l’incidente in Afghanistan prima che
fosse riportato in Inghilterra. Allora si era sentito troppo distrutto e dolorante per
poter pensare al futuro, ma ora c’era Amanda e lei aveva bisogno di attenzioni
e pianificazioni.
Come
avrebbe fatto?
Doveva
lavorare, ma questo significava lasciare Amanda in un asilo nido. Poteva farlo?
Se la sentiva? O ancor peggio, poteva starle lontano per ore ed ore?
Doveva
ancora comprare i mobili e … la casa? La casa era ancora lì dove l’aveva
lasciata, ma poteva prendersene cura? Era così lontana dal centro, così lontana
da tutto e da Sherlock …
Lo
guardò mentre parlottava con suo padre a bassa voce.
Sarebbe
ancora stato in grado di seguire i casi con lui? Amanda veniva prima di tutto,
si concesse, ma le mani che tremavano erano un sintomo grave del suo bisogno di
azione. Poteva essere così egoista da continuare il loro lavoro contro il
crimine oppure doveva mollare tutto e sopportare per il resto della sua vita un
bisogno che non sarebbe mai scomparso?
Poteva
lasciare Sherlock da solo?
Poteva
vivere senza la sua continua presenza nella sua vita?
No,
fu la lapidaria risposta che la sua mente formulò appena si concesse di
pensarla.
Non
poteva dire no, di nuovo, ad una vita senza Sherlock, senza casi e adrenalina,
senza i suoi maledetti esperimenti e il suo violino suonato alle quattro del
mattino perché “John, mi aiuta a pensare”. No, non poteva.
Ma
c’era anche Amanda.
John
strinse il suo corpicino prendendo un respiro profondo.
Adesso
la sua vita era solo un grandissimo punto interrogativo e tornare a Londra
quello stesso pomeriggio non lo avrebbe aiutato a decidere.
L’unica
idea che gli era venuta in mente era vendere la casa in periferia e trasferirsi
il più velocemente possibile in centro con Amanda, vicino a Sherlock e alla
vita che voleva.
Sì,
era un ottimo punto di partenza.
***
John
si rese conto di quando fosse diventata indispensabile la presenza di Violet
Holmes nella sua vita una volta superata la soglia di casa sua, una casa che
non lo rispecchiava più e che in un certo senso odiava, carica di ricordi
recenti e già lontani.
Mary
era ovunque lì eppure non provò più dolore nel ricordarla: erano stati belli i
primi momenti insieme e il suo caldo sorriso rimaneva impresso nei suoi
pensieri così come la sua risata e il modo strano in cui pronunciava il suo
nome: queste erano le cose che voleva ricordarsi. Non voleva più ripensare alle
sue menzogne, all’aggressione di Sherlock, alla ferita sanguinante che gli
aveva causato, alla gravidanza finita male e alla sua incapacità di perdonarla.
Voleva solo ricordare Mary Morstan come una moglie, una madre morta
prematuramente e che aveva amato. Era l’unico modo per sopportare il dolore.
Sherlock
lo accompagnò a casa fermandosi sulla soglia dell’ingresso con le braccia
conserte dietro la schiena e uno sguardo turbato. Ruppe il silenzio solo quando
Amanda fu riposta nel passeggino, osando muovere un passo verso il salotto. Non
conosceva bene quella casa, ma sapeva che non rispecchiava il John che
conosceva ed era ricca di ricordi tutt’altro che piacevoli.
<<
Mycroft si è volontariamente offerto di mandare qualcuno per le cose di Amanda
>>
<< Non ce n’è bisogno … >> rispose John prendendo un profondo
respiro << Non ho intenzione di restare qui molto … Dio, odio questa casa
>> confessò prendendosi la testa fra le mani << Pesavo … pensavo
che dopo tutti questi mesi potessi … andare avanti, ma … >>
<<
I vicini sembrano silenziosi >>
John
gli scoccò un’occhiata dubbiosa: << Non è per i vicini Sherlock. Per i
ricordi. Non posso vivere qui, non ci riesco … Mary è ovunque in questa casa e
… >>
<<
Ti senti in colpa? >> dedusse Sherlock incerto.
<<
Sì … principalmente sì. La verità è che mi manca la donna che credevo di
conoscere e mi sento in colpa nei confronti di quella che non sono riuscito a
perdonare >>
Sherlock
annuì e si guardò attorno analizzando l’ambiente, i colori caldi delle tinte
alle pareti e i suppellettili sui mobili: tutto in quella casa urlava
“famiglia” quando una famiglia in realtà non esisteva più da tre mesi.
<<
Cosa farai ora? >> gli chiese il detective trovando posto accanto ad una
credenza.
<<
Venderò questa casa. Ho messo un po’ di soldi da parte quando tu … >> si
interruppe e respirò << eri morto. Cercherò qualcosa in centro … >>
Sherlock
annuì pensieroso << Ti consiglierei una casa prossima a Regent’s Park.
Ottime scuole ed è vicino alla clinica >>
John
sgranò gli occhi, sorpreso << Sì e poi magari mi prendo un cane e nel
tempo libero mi dedico al golf! >> ribatté acido nascondendo col sarcasmo
il suo bisogno di sfogarsi e Sherlock gliene stava offrendo l’occasione
blaterando di case davanti al parco e scuole, come se fosse quello il motivo
del suo incomodo.
Scuole,
parchi e cuccioli rappresentavano ora la sua vita? E’ questo che stava
insinuando Sherlock? Ma come al solito lui non capì.
<<
Pensavo ti piacesse il rugby … >>
John
si mise le mani fra i capelli << Sherlock! Ero sarcastico! Okay?
Sarcastico! In questo momento non me ne frega un cazzo di scuole, parchi e –
oddio- hobby vari! In questo momento voglio solo andare via di qui e
ricominciare d’accapo con Amanda >>
<<
Sì >> pronunciò << Ho capito >> mentì infine senza
comprendere perché stessero litigando e soprattutto su cosa.
Si
voltò deducendo che fosse meglio lasciare a John i suoi spazi e tornare a Baker
Street, prima che fosse sera, per salutare Mrs Hudson e chiamare Lestrade, ma
il dottore lo fermò bruscamente afferrando un lembo del suo cappotto, come se
improvvisamente gli fosse stato tolto il dono della parola. Sherlock osservò
quella mano stringere convulsamente la stoffa e poi guardò John senza riuscire
a riconoscerlo per quello che era stato in passato: quel John aveva gli occhi
lucidi di dolore e rimpianto, ma erano anche spaventati e insicuri. E lui
questa volta non poteva aiutarlo perché l’unico modo che conosceva per far
tornare in sé John era mettere la sua vita in pericolo e ciò non doveva più
accadere perché c’era una bambina di appena tre mesi che dormiva in un
passeggino a pochi metri da loro. Quando John aveva sposato Mary aveva
accettato di dividerlo con quella donna, di restare da solo facendo
segretamente tesoro delle brevi avventure che riuscivano a vivere sul filo del
pericolo, ne aveva preso atto, ma persino la sua diagnosticata sociopatia si
ritraeva davanti al nuovo John Watson. Non poteva mettere il padre di Amanda in
pericolo di vita. Non più. E se ne rese dolorosamente conto in quel momento.
Aveva
fatto una promessa a Mary e non poteva venir meno a ciò che aveva giurato di
fare per il resto della sua vita: prendersi cura di John e Amanda.
Tenerli
al sicuro.
Basta
casi, basta omicidi, basta pericolo.
Basta
John.
<<
Sono diventato banale, vero? >>
<<
John … >>
<<
Patetico? Con una vita piatta? Insignificante ai tuoi occhi, giusto? Le mie
mani tremano e ho gli incubi, non riesco a dormire e sono tornato esattamente
l’inutile individuo che ero prima di incontrarti! Cristo, non ho potuto nemmeno
aiutarti a sbattere in cella quel maledetto figlio di puttana! >>
<<
John >> lo chiamò ancora liberandosi dalla sua presa con gentilezza
<< Hai Amanda ora. Ed io non sono una persona adatta ad una bambina
>>
John
sgranò gli occhi e storse le labbra in una smorfia disgustata << E’
questo il problema? >>
<<
No … Amanda non è un problema. Ma c’è e sei suo padre. Lei ha bisogno di te più
di quanto tu abbia bisogno di me >> analizzò freddamente guardando tutto
tranne che l’espressione sconvolta di John.
<<
Sherlock … >> e sembrò quasi una minaccia il modo in cui lo chiamò
<< Amanda è mia figlia. È sempre al primo posto, ma tu … >>
<<
Hai vissuto due anni senza di me John! >> esclamò incredulo dal dover
affrontare proprio con un padre un argomento del genere; perché non ci arrivava
da solo? << Come hai fatto? Mh? Mi pare tu sia sopravvissuto. Ti sei
fidanzato, ti sei trasferito qui! Nessuno ti ha costretto >>
<<
Hai ragione! >> lo interruppe con un viso l’espressione più furente che
avesse mai visto, peggiore di quella con cui l’aveva accolto al suo ritorno
<< hai perfettamente ragione Sherlock. Sono sopravvissuto e mi sono
fidanzato con una donna che ha contribuito a farmi resuscitare dopo la tua
morte e mi sono trasferito qui e sai perché? >> sibilò con i pugni
serrati e frementi di rabbia << perché non c’era un fottuto posto di
Londra che non mi ricordasse te! >>
Sherlock
immobile, lo guardò a lungo, sconvolto dalle sue parole e dall’intensità con
cui le aveva pronunciate. Le analizzò, sillaba per sillaba ricercando un
significato recondito che forse intravedeva solo lui.
Cosa
stava cercando di dirgli realmente?
<<
Sherlock >> disse John ingoiando saliva e saliva prima di poter parlare
con fluidità << ti ho perdonato, ma non credo tu abbia capito quando la
scelta idiota di fingerti morto mi abbia distrutto. Ho rivisto la tua caduta
nella mia testa ogni singola notte della mia vita! Ogni singola notte. Poi sei
tornato e credimi quando ti dico che prenderti a pugni non mi è bastato. Ho
sposato Mary perché l’amavo, perché volevo una famiglia e volevo un angolo di
pace da quella che consideravo la mia vera e magnifica vita accanto ad un eccentrico
e sociopatico individuo che per vivere risolve crimini mettendo in pericolo la
sua vita senza troppi ripensamenti. Volevo questa vita. Volevo vivere in
periferia sapendo di poter tornare a Baker Street per seguirti ovunque
decidessi di andare, volevo una vita monotona sapendo di poter trovare il
pericolo solamente parlandoti, volevo una vita spezzata in due, mi sarebbe
andata bene >> prese fiato e non smise di guardarlo negli occhi per un
secondo << Volevo te nella mia vita, nonostante tutto, e la voglio
ancora, ma tu non lo capisci e ti metti a blaterare di scuole, parchi e hobby!
Non lo voglio un hobby! Non voglio vivere in funzione di scuole e parchi
giochi! Non solo almeno! Voglio crescere mia figlia nei migliori dei modi
perché è la cosa più bella che mi sia capitata nella mia vita e non hai idea di
quanto la ami, ma voglio anche te nella mia vita. Perché sei il mio migliore
amico, l’uomo più straordinario che abbia mai incontrato e perché so che senza
la tua presenza nella mia vita vado alla deriva >>
E
tornò il silenzio, carico di aspettativa e respiri veloci.
John
inchiodò gli occhi di Sherlock ai suoi e aspettò, aspettò e aspettò che dicesse
qualcosa, qualsiasi cosa. Invece, sorprendendolo chiuse gli occhi, lasciò
cadere le braccia lungo i fianchi e si voltò uscendo in silenzio da quella
casa.
John
abbandonò il capo contro il muro e si lasciò scivolare a terra con l’animo
distrutto e gli occhi carichi di lacrime.
Quella
stessa notte, alle tre e cinquanta del mattino gli arrivò un messaggio che a
John suscitò più domande di quante non ne avesse già.
Mi dispiace,
SH
.
Ti
dispiace per cosa? Per non aver capito prima? Per aver frainteso, per esserti
amico, mi dispiace di essere andato via? Ti dispiace per cosa?
Non importa, gli rispose
troppo stanco per continuare a porsi inutili interrogativi. Sherlock rimaneva
un mistero così come lo erano le loro
litigate.
Sul serio
John, mi dispiace che tu non possa capire SH
A
quel punto si svegliò completamente rileggendo cinque volte quella frase: altre
domande senza risposta.
Capire cosa?
Non
gli rispose più.
Maggio
Sherlock,
quella mattina, minacciò testualmente Lestrade, mentre saliva i diciassette
gradini per tornare nel suo appartamento, scrivendo che se si fosse azzardato a
disturbarlo di nuovo con un banale caso da due avrebbe dato il suo nome alla
stampa accompagnato a quello di una escort scelta a caso.
Con
i nervi a fior di pelle e un bisogno impellente di intossicarsi i polmoni con
una sigaretta notò solo una volta arrivato all'ultimo gradino la presenza di un
ospite a Baker Street.
Spalancò
la porta nascondendo un sorriso di pura gratificazione quando scorse la
figura
del suo migliore amico, John Watson, steso sul divano con un braccio a coprire
gli occhi e l'altro abbandonato mollemente sullo stomaco. Lo osservò a lungo
prima di palesare la sua presenza con un mugugno di disapprovazione.
John
si scoprì la faccia mostrandosi in tutta la sua immensa stanchezza.
<<
Ombre attorno agli occhi, respiro accelerato, spalle ricurve e tremore alle
gambe. Hai bisogno di dormire >> elencò con velato sarcasmo.
<<
Ottima deduzione Sherlock >> esclamò stancamente prendendo un respiro
per poter tornare seduto cercando di
ritrovare un minimo di decenza.
<<
Amanda crede da un paio di giorni che le due del mattino sia l'ora ideale per
ridere e chiacchierare con il carillon >> Sherlock sorrise e lasciò
ricadere
il giornale sulla scrivania.
<<
Come va la ricerca della casa? >>
<<
Non hai bisogno di chiedere, lo sai. Comunque male è la risposta >>
Sherlock
si sedette sulla sua poltrona e tornò serio << Amanda? >>
<<
Di sotto... la signora Hudson ha avuto pietà di me quando
mi
ha visto arrivare >> e si lasciò andare ad una risata isterica.
<<
È così buona durante il giorno. Ieri mi ha sorriso! Ha sorriso proprio a me, ci
credi? È stato... bellissimo... poi di notte si trasforma peggio di un gramlin!
>> Sherlock aggrottò la fronte ignorando cosa fosse un gramlin <<
Lascia perdere >>
<<
Forse dovresti prendere in considerazione l'idea di riportare quelle api
carillon da dove le hai prese, John >>
<<
Forse >> borbottò stropicciandosi gli occhi con le dita << Al
lavoro mi hanno concesso altre due settimane di permesso, ma prima o poi dovrò
tornare >>
<<
Quel lavoro è noioso >>
<<
Credi che non lo sappia? >> sbottò tirandosi in piedi di scatto e vedendo
Sherlock aggrottare la fronte per la sorpresa: si scusò abbassando la testa.
Si
dispiaceva quando a fare le spese dei suoi problemi era Sherlock, ma era
altrettanto facile prendersela con lui. Troppo facile.
<<
Mi dispiace. Sono solo stanco e … >>
<<
Mycroft potrebbe trovarti una casa in pochi minuti se mi permettessi di
chiamarlo >>
John
scosse la testa con una smorfia << Non voglio mettere in mezzo tuo
fratello. E’ un mio problema, non suo. Ho visto una casa a due minuti da qui,
ma l’attuale inquilina è reticente a vendere a gente con figli >>
Sherlock
annuì e strinse con forza i braccioli della sua poltrona.
<<
Puoi … puoi restare qui >> asserì proseguendo a spiegarsi prima che John
fraintendesse << per qualche giorno. La camera di sopra è ancora tua
>>
John
prese un respiro e ignorò quella voce dentro la sua testa che gli urlava di
accettare subito.
<<
Sherlock … >>
<< Amanda non occupa molto spazio. Non credo potrebbero sorgere problemi
>>
<<
Potrebbero sorgere? >> ridacchiò incredulo << Sherlock sopporti a
fatica il genere umano che tenta di approcciarsi a te e vorresti in casa una
bambina che passa la notte a ridere e piangere? Sii serio >>
Sherlock
strinse le labbra, offeso da quelle parole.
Si
alzò con grazia dalla poltrona e marciò sicuro verso la cucina senza rivolgere
a John un solo sguardo.
<<
Amanda non è “il genere umano”. E’ Amanda Watson e piange solamente a causa di
quelle stupide api che insisti a far ruotare sopra la sua culla! >>
sbottò ritirandosi velocemente nella sua stanza, sbattendo la porta con
veemenza.
John
sgranò gli occhi stupefatto e lo inseguì prima ancora di rendersi conto di
farlo, bussando con le nocche contro il legno una due tre volte prima che
potesse udire qualche suono.
Non
aveva pensato di poter offendere Sherlock Holmes con una simile – e veritiera-
insinuazione.
Sì
sentì un immenso idiota ad aver insultato i sentimenti dell’amico, un immenso
idiota ed egoista per aver pensato solo a sé stesso, surclassando i pensieri
dell’altro. Sì, stava male, la sua vita era un casino, ma non si era mai
preoccupato del caos nella vita di Sherlock e della minaccia sfiorata dopo il
suo ritorno a Londra. Aveva provato paura in quei tre mesi? Dolore? Era stato
male? Si era annoiato o peggio, aveva di nuovo fatto ricorso ai suoi istinti
suicidi?
Non
se lo era mai chiesto, totalmente coinvolto dalla sua vita e dal suo lento
processo di guarigione emotiva. Come amico era pessimo, riconobbe.
Dopo
le nocche John incominciò a battere la fronte contro la porta, frustrato e
dispiaciuto.
<<
Sherlock … >> lo chiamò << Sherlock mi dispiace … la mia vita è un
gran casino in questo momento e … Dio esci di lì! Odio parlare con una porta!
>>
L’uscio
si spalancò all’improvviso rivelando il viso astioso del detective.
<<
Hai detto di volermi nella tua vita ebbene io sono nella tua vita, John!
>> esclamò arpionando lo stipite con le lunghe dita.
John
si morse le labbra ancor più amareggiato << So cosa ho detto Sherlock. Ma
non posso pensare di importi anche una bambina di quattro mesi >>
Sherlock
alzò gli occhi al cielo e sospirò pesantemente prima di scansarlo e uscire
dalla sua stanza con movenze melodrammatiche.
Si
fermò in cucina sedendosi davanti al suo microscopio.
<<
Tu non mi stai imponendo nulla >> esordì qualche minuto dopo <<
Amanda non è un’imposizione. E sì, sopporto a fatica il resto dell’umanità, ma
pensavo di averti pienamente dimostrato di essere in grado di - >> ma fu
interrotto perché un detective ispettore di Scotland Yard visibilmente trafelato
fece ingresso nell’appartamento rivolgendo un’occhiata disperata a Sherlock.
<<
Che c’è ancora Lestrade? >> sbottò il consulente << pensavo di
essere stato sufficientemente chiaro quando ti ho detto di non tediarmi con i
tuoi stupidi casi da due! >>
<<
Questo è diverso >> spiegò Greg rivolgendo un lieve cenno a John <<
un caso di rapimento vecchio di quindici anni. Sono sorti nuovi indizi proprio
oggi. Una telefonata anonima ci ha indicato una zona fuori Londra e abbiamo
trovato il cadavere >>
Sherlock
aggrottò la fronte e cominciò a ragionare dimenticandosi della discussione
avvenuta pochi minuti prima, ma non John che era rimasto basito davanti a
quell’uomo che palesava emozioni e si offendeva se non ritenuto capace di
amare.
Dov’era
finito il detective algido e totalmente avverso ai sentimenti?
Era
stato lui a cambiarlo così o gli avvenimenti degli ultimi anni lo avevano
trasformato irrimediabilmente?
<<
Accetti il caso? >> incalzò Lestrade.
<<
Sì >>
<<
Grazie >> sospirò << la scientifica è già sul posto >>
Sherlock
si alzò << Mandami l’indirizzo via messaggio >>
John
osservò la scena con interesse e una parte di lui stava già per cercare la
giacca e seguirlo quando si ricordò, d’improvviso, con un fastidioso colpo allo
stomaco, che c’era Amanda al piano di sotto e che lui era un genitore.
<<
Puoi restare quanto vuoi John >> gli comunicò il detective infilandosi
cappotto e sciarpa.
<<
Come? >>
<<
Resta >> ripeté.
<<
Non vuoi che venga con te? >>
Scrollò
le spalle << Lestrade sembra divertirsi a tediarmi con casi da due in
questo periodo. Lo sarà anche questo >>
<<
No, non è vero o non avresti fatto quella faccia >>
<<
Quale faccia? >> si stupì.
<<
La tua faccia contenta quando hai tra le mani un caso da otto >>
<<
Io non … >>
<<
Voglio venire con te. Ho bisogno di venire con te >>
Sherlock
parve rifletterci spostando più volte gli occhi da John alle scale << Non
vuoi più che ti segua nei casi? >>
<<
Pensavo … avessi bisogno di tempo >> azzardò a ipotizzare scandagliando
l’espressione del medico.
<<
Quello di cui ho bisogno è di sentirmi vivo >>
<<
E Amanda? >>
John
sospirò e con un sorriso sghembo corse giù dalle scale in cerca della signora
Hudson e la trovò in cucina, intenta a giocherellare con la bambina.
<<
Signora Hudson? Posso chiederle un
immenso favore? >>
<<
Certo caro >> gli rispose allegra fiera di far sorridere in quel modo la
piccola fra le sue braccia.
<<
Potrei chiederle di tenere Amanda un paio d’ore? Se non le crea disturbo
ovviamente … è solo che … >>
La
signora Hudson cambiò sorriso e divenne improvvisamente complice del suo
bisogno di fuga << Io e Amanda ci divertiremo molto John caro, non devi
preoccuparti e poi è un angioletto >> asserì facendola sobbalzare fra le
sue braccia.
John
trasse un sospiro di sollievo << Non so come ringraziarla >>
<<
Oh non dirlo neanche. Divertitevi! >>
Quando
andò verso la porta trovò Sherlock serio e preoccupato che lo stava aspettando.
<<
Sicuro? >>
<<
Sicuro >> e sorrise emozionato.
All’una
di notte le strade di Londra erano deserte e il traffico scorreva.
Il
cadavere che avevano rinvenuto quella mattina apparteneva ad una ragazzina di
tredici anni soffocata a causa di una stretta forte attorno al collo. Era morta
da almeno quindici anni ed era stata lasciata marcire sotto un cumulo di terra
e fango alla periferia di un parco faunistico a due ore dalla città.
Un
sequestro finito male, fu la lapidaria sentenza di Sherlock una volta
identificata la vittima, ora restava solo sapere chi fosse l’artefice di quel
brutale omicidio.
John,
in taxi, guardò l’ora sul cellulare sospirando pesantemente, devastato dal
senso di colpa: aveva lasciato tutto il giorno sua figlia a Baker Street nelle
mani dell’anziana signora Hudson per seguire Sherlock sulla scena del crimine e
poi a Scotland Yard.
Ma
cosa accidenti gli era preso?
Era
l’una, l’una di notte maledizione!
Come
aveva potuto dare una simile responsabilità a quella povera donna mentre lui …
già, lui cosa? Cosa stava facendo?
Forse
Sherlock aveva avuto ragione: doveva trovarsi un hobby e comprare un cane e smettere
di sentirsi in colpa.
Sherlock
accanto a lui stava navigando senza sosta su internet alla ricerca dei
quotidiani che quindici anni prima avevano trattato il caso.
John
era sicuro non sapesse nemmeno che ora fosse, ma lui purtroppo ne aveva cognizione.
<<
Un caso da sette, lo ammetto >> commentò il detective con un sorriso appena
evidente sulla labbra.
<<
E’ l’una di notte >>
<<
Già >>
<< Ho lasciato Amanda dalla signora Hudson per quattordici ore! >>
precisò.
<<
Amanda è al sicuro >>
<<
Lo so, ma non posso fare a meno di pensare di essere un pessimo padre >>
<<
Non lo sei … è al sicuro >> ribadì senza distogliere gli occhi dallo
schermo del telefono << perché ora? >> domandò di colpo facendo
sorgere dei dubbi al dottore sul cambio improvviso di argomento << perché
denunciare ora il luogo del seppellimento. Perché dopo quindici anni? >>
<< Senso di colpa? >> borbottò John scrollando le spalle <<
posso capirlo >>
<<
O qualcosa gli ha impedito di parlare prima, magari un compenso in denaro
affinché tacesse >>
John
aggrottò la fronte e Sherlock sospirò frustrato nel doversi spiegare: <<
Il rapimento è stato organizzato da almeno tre persone. Uno distraeva con una
scusa banale i genitori, uno aspettava in auto pronto a scappare e un terzo
forzava la serratura della finestra per entrare in casa e rapire Jane McGregor.
Qualcosa
è andato storto e dopo lo scambio in denaro hanno ucciso la ragazza. Se la loro
intenzione era di ucciderla comunque, non le avrebbero coperto gli occhi come
dimostra il video che i rapitori mandarono alla famiglia. Ho bisogno di
analizzare i vecchi fascicoli >>
John
entrò in casa quasi di corsa, superando la porta della cucina del piccolo
appartamento della signora Hudson, trovandola addormentata sulla sua poltrona
preferita con una tazza di tè accanto oramai fredda. Prese un profondo sospiro
di sollievo lasciandosi finalmente andare ad un sorriso divertito quando
constatò che invece Amanda era più che sveglia e rideva, agitandosi dentro il
passeggino.
John
la guardò e la prese fra le braccia sentendola emettere un risolino
soddisfatto.
<<
Hai fatto crollare la povera signora Hudson. Cosa devo fare con te? >>
Amanda
si appoggiò al suo petto e chiuse gli occhi e John si intenerì a tal punto da
non voler più lasciarla andare. Aveva di nuovo perso un’altra battaglia senza
nemmeno provare a combattere.
Lasciò
la stanza in silenzio, per non svegliare la donna, salendo le scale in punta di
piedi fino al salotto dove Sherlock stava già lavorando al caso con il naso
immerso nel computer.
Indeciso,
John restò sulla soglia aspettandosi da lui qualsiasi segnale di disagio che
invece non arrivò.
L'idea
di dormire sul divano con Amanda fra le braccia lo sfiorò più volte mentre
aspettava che il detective uscisse dal suo mind palace , perché era troppo
strano pensare di utilizzare la vecchia camera da letto al piano di sopra.
Gli
sembrava di tornare indietro nel tempo, alle notti prima della caduta, prima di
andarsene, prima di Mary.
Era
strano e aleggiava una sensazione di malinconia nell'aria e John invece di
ignorarla né inalò l'odore: sapeva di polvere, reagenti chimici, shampoo e tè.
Chiuse
gli occhi e comprese quanto gli fosse mancato tutto questo negli ultimi mesi
... no negli ultimi tre anni.
Sherlock
era ancora seduto davanti al computer. Gli occhi saettavano veloci e John si
prese qualche secondo per guardarlo e ricordarsi com'era prima: fastidioso,
irritante, coinvolgente, fantastico. Unico.
Gli
aveva salvato dal dolore utilizzando metodi non ortodossi, lo aveva costretto a
riprendere in mano la sua vita, era andato contro tutto ciò in cui credeva
facendogli da testimone e gli era stato
vicino nel momento più difficile della sua vita.
Come
poteva ripagarlo per tutto questo?
<<
Grazie >>
Di
esistere.
<<
Per tutto >> disse, ma ovviamente non ottenne risposta.
Si
voltò e un buonanotte appena sussurrato lo fece sorridere.
Aprì
la porta della sua vecchia camera trovandola esattamente come l'aveva lasciata
- abiti a parte perché quelli erano ancora stipati nell’armadio della sua
attuale casa in periferia- ed era strano
notare come nulla fosse stato toccato o spostato: Sherlock era solito occupare
qualsiasi superficie orizzontale per i suoi benedetti esperimenti e John non
avrebbe mai pensato di ritrovarla integra e sgombra , come se fosse stata
lasciata intonsa per un suo eventuale ritorno.
Da
qualche parte nella sua testa un voce gli disse che Sherlock gli era mancata la
sua presenza manifestandola nell’unico modo che conosceva.
Smise
di pensare e si adagiò sul letto con Amanda addormentata sul suo petto.
John
sbuffò un sorriso << Basta poco per farti contenta >> coprì
entrambi con una coperta di lana e si rilassò al suono del respiro dolce della
figlia.
<<
Crescerai viziata... lo so. Ma sai che ti dico? Non importa. Non potrei mai
dirti di no... Non ci sono mai riuscito, nemmeno con Sherlock >>
La
piccola mano di Amanda si posò sulla sua guancia, involontaria.
<<
La mia bambina >> sussurrò chiudendo gli occhi.
Il
sole colpì i suoi occhi ad un'ora imprecisata del mattino e la prima cosa che
fece John fu tastare il suo petto alla ricerca del peso caldo di Amanda.
Si
alzò di scatto quando si rese conto di non trovarla. Pensò fosse caduta o
peggio ma prima ancora di essere soffocato da un'onda di panico udì i borbottii
della bambina, uniti al parlare di Sherlock, provenienti dal piano inferiore.
Non
si diede il tempo di mettersi le scarpe e corse giù aprendo la porta con
premura scoprendo così una scena a dir poco singolare: Sherlock seduto in
poltrona con un libro posato sulle ginocchia leggeva ad alta voce la
composizione chimica del sangue ad Amanda ascoltava curiosa adagiata contro il
suo petto.
John
sgranò gli occhi stupefatto e rimase immobile godendosi quel momento senza
ricercare stonature in quell’immagine di perfezione. Perché sì, in effetti
c’era qualcosa di strano nel trovare Sherlock con in braccio una bambina.
<<
John >> si interruppe il detective << gradirei del tè se non ti è
di troppo disturbo >>
<<
Io … Sherlock che cosa … >>
Il
detective alzò gli occhi dal libro incrociando i suoi più che sorpresi <<
E’ ovvio che stiamo leggendo >>
<<
State? >>
<<
Io leggo lei ascolta. E’ molto interessata alla chimica >> spiegò senza
nascondere una punta di orgoglio nel
tono di voce.
<<
Non alla chimica. Alla tua voce >>
<<
Ah … credi? >> domandò piegando il viso di lato per guardare Amanda che
nel frattempo aveva cominciato a stritolare fra le dita le pagine del libro.
<<
Sherlock perché? >>
<<
Perché cosa? >>
<<
Perché l’hai portata qui? >>
<<
Ti dà fastidio? >>
<<
Certo che no! >> esclamò << Sono solo … sorpreso, ecco >>
Sherlock
sospirò e lasciò cadere il libro a terra con sonoro disappunto di Amanda che
intanto aveva preso a giocherellare con la stoffa della vestaglia del detective
<< Era l’alba e tu dormivi. Amanda stava per svegliarti. E’ una bambina
molto rumorosa, John, te lo concedo. L’ho portata qui e si è dimostrata molto
interessata ai miei libri così le ho letto un volume base di chimica
molecolare, suppongo però che non sappia ancora quale sia la funzione di un
vetrino perché li ha lasciati cadere a terra prima che tu arrivassi >>
spiegò placidamente inchiodandolo con uno sguardo profondo e conturbante
<< Ora, tè se non ti dispiace >>
<<
Sì. Va bene. E … grazie Sherlock >>
<< Mi hai già ringraziato ieri sera >>
<<
No … cioè, sì. Grazie per avermi lasciato dormire … ne avevo bisogno >>
Il
detective scollò le spalle e tornò ad osservare Amanda e John tornò indietro.
<<
Grazie di avermi lasciato venire con te ieri, grazie di aver lasciato che
restassimo, grazie per tutto >> aggiunse.
<<
John >>
<<
No, sul serio. Non credo di averti mai ringraziato per ciò che hai fatto
nell’ultimo anno … sono stato così preso dalla mia vita, da Amanda e ho
dimenticato di dirtelo … perciò grazie >>
Sherlock
annuì senza ribadire e John sentì di aver abbandonato un peso opprimente al
cuore in quel salotto. Andò in cucina e preparò il tè in silenzio perdendosi
nei ricordi.
Forse
avrebbe dovuto ringraziarlo meglio, ma i discorsi non erano mai stati il suo
forte.
Tornò
in salotto porgendo la tazza a Sherlock.
<<
Quindi, il caso? >> esordì sedendosi sulla sua vecchia poltrona
sgangherata.
<<
Stiamo aspettando che Lestrade ci porti i fascicoli da oramai due ore. Non
riesco proprio a capire cosa ci sia di così difficile nel prendere uno
scatolone e portarlo qui >>
<<
State aspettando? Tu e chi? >>
<<
Io e Amanda ovvio >> sottolineò soffiando aria sul bordo della tazzina.
<<
Amanda? >> si stupì guardandola mentre gorgogliava sorrisi e commenti.
<<
Sì. Pensa che Lestrade sia un’idiota a farmi aspettare così tanto per un paio
di documenti >>
John
trattenne una risata << E come te
l’ha detto esattamente, sono curioso >>
Sherlock
alzò gli occhi dal tè e lo fissò annoiato. Posò la tazzina sul vassoio e
sistemò Amanda sulle sue gambe << guardala John. Non ha l’aria di una bambina
profondamente annoiata dall’inettitudine degli agenti di Scotland Yard?
>>
Amanda
si guardò attorno poi decise di provare a mettersi in bocca un piede fallendo
nel tentativo tornando ad agitarsi poco soddisfatta.
John
rischiò di strozzarsi nel trattenere un’altra risata << Oh sì, molto
annoiata >>
<<
Lestrade ci avrà sulla coscienza >>
<<
Povero Greg >>
<<
Greg? Gli ho mandato un messaggio tre ore fa, John! Tre! >> Si alzò di
scatto depositando la bambina fra le braccia del padre << Amanda,
spiegagli quanto io sia disgustato da questo nuovo esempio di inefficienza
dimostrato da Lestrade >>
Amanda
guardò John scoccandogli un sorriso empio e sdentato poi si infilò il piccolo
pugno in bocca e dichiarò chiuso il dibattito.
Perfetto,
si disse, non bastavano gli strani comportamenti recenti, ora Sherlock si
metteva a chiacchierare con una bambina di crimini e molecole del sangue.
Cosa
gli era successo?
John
si alzò e osservò l’entrata in scena di un affaticato Lestrade che trasportando
due scatoloni ricolmi di documenti si dovette sorbire anche la predica del
detective.
<<
John. E’ davvero confortante rivederti >> sdrammatizzò l’amico posando le
scatole a terra << ieri non ho avuto tempo di chiederti come stai
>>
<<
Bene … meglio >> rispose.
<<
Ne sono felice. Amanda è davvero bella … è cresciuta molto >>
<<
Sì ed è molto reticente nel dormire la notte >> spiegò con un sorriso
<< Saluta Greg, Amanda >> aggiunse muovendo una mano della bambina
affinché sembrasse salutare l’ispettore.
<<
Ciao Amanda. Come sei diventata grande … >>
<<
Sì, sì, sì! E’ cresciuta, è bella ed è tutto meraviglioso! Ora puoi anche
andare, la tua presenza mi distrae >> sbottò acido.
<<
Sherlock! >>
<<
No, è tutto a posto. Ci sono abituato, John. E vedi di tenermi informato
Sherlock perché non ho intenzione di chiamarti sei volte al giorno per avere
notizie sul caso >>
Sherlock
non rispose già intento a spulciare documenti all’interno della prima scatola.
<<
Ti accompagno >> disse seguendo Greg giù dalle scale. Solo quando
arrivarono alla porta d’ingresso John tornò a parlare << Credi che
Sherlock si stia comportando in modo strano? >>
<<
Lui è strano >> precisò l’ispettore.
<<
Intendo più strano del solito. E’ come se … fosse – non so- cambiato. Come se
avesse smussato gli angoli del suo carattere impossibile diventando più … umano
>>
Greg
aggrottò la fronte perplesso << Beh … sì è cambiato da quando sei nella
sua vita. Non si può negare >>
<<
No. Questo lo so, intendo negli ultimi mesi. Io credo che si stia affezionando
ad Amanda in un modo che non credevo possibile >>
L’ispettore
annuì serio << Sì, lo penso anche
io. Quando è nata ha passato due interi giorni davanti alla nursery a
controllarla e guardarla da dietro un vetro. Ha aspettato finché non arrivasti
a prendertene cura >>
John respirò un singulto << Già …
me lo ricordo >>
<<
Quindi sì penso stia cambiando e, credimi, non aspettavo altro. Te l’avevo
detto che, se fossimo stati fortunati, oltre che fantastico sarebbe diventato
anche un brav’uomo >>
John
rimuginò sopra quelle parole e dovette dar ragione all’amico.
<<
Magari quel giorno è arrivato. Insomma … sarà sempre l’acido e insopportabile
bastardo so tutto io che conosciamo, ma con qualche altro pregio in mezzo
>>
John
sorrise incredulo << Ciao Amanda, è stato un piacere rivederti. Posso
sperare, John, di rivederti al pub qualche sera? >>
<<
Se trovassi una baby-sitter, forse >>
<<
Ne hai una al piano di sopra che spulcia documenti >> e rise di gusto
uscendo in strada.
John
richiuse la porta ridendo come un matto.
In
quel momento credette di essere di nuovo felice. Per almeno cinque minuti.
***
Era
davvero difficile medicare la ferita di Sherlock al solo chiarore di qualche
lampione mentre i lampeggianti della polizia rossi e blu non facevano altro che
distrarlo. Inoltre le sue mani stavano tremando a causa del nervoso.
<<
E’ solo una ferita superficiale. Non avrai bisogno di punti. Sei stato molto
fortunato >> asserì John chiudendo con una fascia l’avambraccio del
detective.
Poco
distante, due uomini dall’aria turpe, venivano trascinati fuori dall’edificio
dagli agenti di Scotland Yard per essere interrogati. Ma gli indizi che
Sherlock aveva trovato contro di loro non avrebbero necessitato di una
confessione ai fini del processo. Thomas e Neil Adams, fratelli con vari precedenti
alle spalle, erano colpevoli dell’omicidio della tredicenne Jane e del suo
sequestro a fine di riscatto, complici della cameriera di casa McGregor.
Una
settimana di indagini per arrivare ad arrestarli e Sherlock, per non vanificare
gli sforzi fatti, si era introdotto in quella casa senza aspettare nessuno
ricevendo in cambio una crivellata di colpi che per fortuna evitò finendo in
ambulanza con un solo graffio al braccio sinistro. Un vero colpo di fortuna.
John
lo guardò adirato mentre lo aiutava a rinfilarsi la camicia e il cappotto e
Lestrade ci pensò ben due volte prima di osare avvicinarsi a loro.
<<
Ti rendi conto del rischio che hai corso? >> gli urlò addosso l’ispettore
prendendosi la testa fra le mani << per la miseria Sherlock! >>
<<
John è stato sufficientemente chiaro qualche secondo fa. Come mi hai definito?
Un folle idiota individuo dal cervello pieno solo di ego e istinti suicidi. Mi
complimento per la fantasia >>
Lo
scappellotto gli arrivò, doloroso e rapido sulla sua nuca.
<<
Cretino! >> sibilò il dottore << sei un cretino! Potevi farti
ammazzare! >>
Sherlock
sospirò annoiato << I rischi del mestiere! >>
<<
Sei un consulente Sherlock! Fare irruzione è un compito della polizia, lo vuoi
capire? Cristo, ma perché perdo tempo ancora a sgolarmi inutilmente? >>
Greg
sgranò gli occhi insieme a Sherlock, molto sorpreso da quel nuovo attacco d’ira
e si ammutolì aspettando che si calmasse.
<<
Okay >> titubò Greg indietreggiando << Io vado ad arrestare la
cameriera di casa McGregor. Tu vai a casa e riposati. Ti chiamo domani mattina
così parliamo di ciò che hai fatto >> e detto ciò tornò verso la sua auto
lasciando i due litiganti a continuare con le loro beghe.
John
sbatté la porta di casa così forte quando tornarono a Baker Street che svegliò
la bambina che a sua volta allarmò la signor Hudson la quale si sporse dalla
cucina trafelata prima di richiudersi dentro, notando l’espressione furiosa di
John.
Il
dottore sbatté anche la porta del salotto solo per ribadire quanto fosse
arrabbiato e Sherlock lo lasciò fare prendendo posto sulla sua poltrona.
<<
Tu sei incredibile! Davvero! Hai rischiato di farti ammazzare! Di nuovo! Come
puoi farmi questo? >> a quel punto il detective alzò gli occhi verso John
<< Come puoi buttarti a capofitto in un covo di criminali dopo tutto
quello che ti è successo? Eh? >>
<<
John … >>
<<
No, John un cazzo! Tu ora mi spieghi perché! >>
Sherlock
sospirò stancamente << Ho dovuto farlo >>
<<
Tu devi sempre fare qualcosa, vero? John non puoi capire. John ho dovuto
fingermi morto, John ho dovuto prendermi una pallottola, John ho dovuto
uccidere Magnussen, John ho dovuto rischiare di farmi ammazzare! Hai sempre una
scusa per i tuoi atti suicidi, vero? >>
Sherlock
si immobilizzò, sicuro che se avesse avuto un coltello in mano lo avrebbe
pugnalato.
Lo
strillo acuto di Amanda lo distrasse in tempo prima che potesse urlare di
nuovo.
Uscì
dalla stanza tornando al piano inferiore lasciando il detective solo a pensare
alle ultime ore appena passate.
Tornò
in salotto dopo quasi un’ora con Amanda addormentata fra le braccia e
un’espressione stanca in viso.
Sherlock
non si era mosso di un millimetro chiuso nel suo mind palace, teso a
riorganizzare alcuni ricordi, ridestandosi solo quando sentì i suoi passi
dalle scale.
<<
Mi hai fatto spaventare a morte >> gli comunicò con tono di voce più
basso e calmo.
<<
John … siediti >> e John lo fece accomodandosi sulla sua poltrona,
spostando Amanda sulla sua spalla per non farla svegliare.
<<
Stai cercando di scusarti? >>
<< Non sono pentito di quello che ho fatto. E’ il mio lavoro e tu lo sai,
ne sei stato partecipe per due anni prima che me ne andassi e dopo, quando sono
tornato.
Sai
che corro pericoli e sai che non mi importa di farlo. Non mi sono mai
preoccupato per me, ma questo era prima … di te, prima di Mary e prima di
Amanda. >> disse guardando altrove con una nota di fastidio nel tono di
voce <<
Ho
fatto una promessa John >>
Il
dottore annuì aspettando che si spiegasse.
Sherlock
spostò lo sguardo verso il camino prima di parlare e sembrò costargli molto
formulare quelle frasi: << Ho promesso a Mary che vi avrei protetti. Le
ho promesso che sareste stati al sicuro e che non vi sarebbe mai accaduto
niente. Le ho promesso di prendermi cura di Amanda come meglio sarei riuscito.
La mia vita, il mio lavoro contraddicono tutte le promesse che le ho fatto.
Quindi capisci perché non voglio più che tu mi segua? >>
John
trattenne il fiato, sconvolto.
<<
Qu-qundo le hai … >>
<<
Venne da me un mattino, sicura di morire. Voleva salvare Amanda a dispetto
della sua vita >> confessò.
<<
Perché non - >>
<<
Mi ha fatto promettere di non dirti niente >> lo interruppe ancora,
imperscrutabile.
John
prese un respiro profondo e un fremito sfuggì al suo controllo.
<<
Lei ti ha chiesto di … proteggermi? >> ripeté incredulo accarezzando
inconsciamente la schiena calda della bambina.
<<
Lo capisci ora, John? >>
<<
Ti sei messo in pericolo solo per dimostrarmi che la vecchia vita non fa più
per me ? >>
<<
Anche. I fratelli Adams dovevano essere fermati prima che fuggissero nelle
fogne e raggiungessero il fiume >> spiegò altero e orgoglioso.
John
socchiuse gli occhi immaginando Mary in quella stessa stanza, decisa e
consapevole nel parlare del futuro all’unica persona di cui potesse fidarsi. E
nello stesso tempo faticò a credere che avesse messo la cosa più preziosa nelle
mani di Sherlock << Non posso pensare che ti abbia chiesto una cosa del genere >>
<<
Voleva assicurarsi che fossi al sicuro >>
<<
Sherlock … >> sussurrò << Non dovresti farlo … >>
<<
Voglio farlo >> chiarì spostando di nuovo lo sguardo verso il caminetto
spento.
<<
Non è compito tuo >> continuò John titubante << Amanda è … non devi
farlo se non vuoi. Lo capisco. Non devi prenderti una simile responsabilità
solo perché … >>
<<
Lo avrei fatto comunque, John >> lo interruppe bruscamente diventando
improvvisamente algido e cupo.
<<
Tu tieni ad Amanda >>
<<
Certo che sì. E’ tua figlia >>
John
percepì un brivido corrergli lungo la spina dorsale e si concesse qualche
minuto per pensare alla portata di quella confessione.
Lo
osservò con attenzione e ripensò a ciò che aveva detto Greg, all’evidente
cambiamento emotivo che il detective aveva subito, al compito che si era
assunto volontariamente, al modo in cui guardava Amanda.
Tutto
era cambiato in lui rimanendo lo stesso Sherlock di sempre, intelligente,
folle, algido e velenoso con il resto del mondo nascondendo la sua altra
magnifica personalità, mostrandosi solo a lui.
<<
Mi hai salvato molteplici volte, hai reso la mia vita un’avventura e mi hai
permesso di tornare l’uomo che ero un tempo. E ora questo … questa promessa.
Sherlock,
chi sei tu veramente? >>
L’uomo piegò il viso di lato << Un consulente investigativo >>
John
sorrise e si sporse verso di lui << Non posso credere che tu sia così.
Sei un uomo straordinario Sherlock e fingi di non esserlo >>
<<
John, smettila subito! >>
John scosse la testa con un altro sorriso << Non ci penso proprio. Hai
appena dimostrato di essere un uomo ricco di sentimenti nascosti e non un robot
senz’anima >>
Sherlock
gli scoccò un’occhiataccia << Mi rimangio tutto >>
<<
Non puoi. È troppo tardi >>
<<
Posso farlo >>
<<
No invece. Ho memorizzato ogni singola parola >>
Sherlock
sbuffò pentito dall’aver parlato e si arrese rannicchiandosi sulla poltrona,
portandosi le gambe al petto, mostrandosi imbronciato.
John
gli sorrise divertito finché non gli si aprì una voragine al centro del petto.
Ogni
cosa che aveva fatto Sherlock negli ultimi mesi le aveva fatte per lui e per
Amanda, ogni singola cosa, panificando e sorprendendolo come nel rimettere a
posto la sua poltrona o fargli trovare il suo tè preferito in credenza.
Percepì
sua figlia muoversi sopra la sua spalla e lasciarsi andare ad un piccolo
mugolio sommesso e pensò a quanto fosse importante avere un angelo custode come
Sherlock nella sua vita e la immaginò ad imparare a parlare e dire parole
assurde grazie a lui, a leggere formule chimiche prima di andare alle
elementari, a dedurre la vita delle persone e giocare al piccolo chimico sotto
i sui occhi preoccupati.
All’improvviso
John respirò di sollievo a quelle immagini sentendo un grande peso dissolversi
al centro del suo petto.
Amanda
era così fortunata che quasi la invidiò, ma poi capì quanto lo fosse anche lui
ad avere Sherlock Holmes nella sua vita e benedì il giorno in cui Mike gli
disse “sei la seconda persona che me lo dice, oggi” suscitando in lui una
scintilla di curiosità.
<<
Mi sento meglio ora >> esordì allora dopo molto silenzio << Sapere
che se mi succedesse qualcosa, qualsiasi cosa, Amanda avrebbe qualcuno su cui
contare, no lasciami finire, qualcuno a cui voler bene, qualcuno che le voglia
bene. Ho una famiglia disastrata e Harry non sarebbe un buon esempio
genitoriale, ma tu … sei straordinario. Quindi sì, grazie e rassegnati, non
smetterò mai di ripetertelo >>
<<
Grazie di cosa? >> mugugnò fra le ginocchia.
<<
Di essere tu >>
Sherlock
alzò gli occhi verso di lui e lo osservò mentre si alzava sporgendosi per
abbracciarlo con un solo arto e Amanda in mezzo a loro che dormiva. Sgranò gli
occhi e perse il fiato finché John non si rialzò con un sorriso sereno in
volto.
***
Successe
senza che John potesse accorgersene.
Amanda
cominciò a mettere i denti e John smise involontariamente di cercare una casa.
I
vestiti che aveva erano stati lentamente – due capi alla volta- riportati
nell’armadio al piano di sopra e piccoli oggetti di John erano tornati ad
occupare alcune superfici della casa, come un mazzo di chiavi, un paio di
occhiali, dei guanti, una tazza colorata e alcuni libri.
Amanda
aveva portato con sé alcuni sonaglini e due bambole di pezza, un peluche a
forma di scimmia e le tutine colorate, regalo di Molly.
La
casa in periferia non venne più menzionata una volta venduta e nessuno si
preoccupò di sgombrarla dai mobili: John portò via solo tre scatoloni con dentro
i suoi restanti oggetti personali e le fotografie, chiudendo i ricordi lì
dentro.
Sherlock
non accennò più l’argomento casa né sembrò
volerlo allontanare da Baker Street.
Amanda
era diventata gradualmente più silenziosa grazie a Sherlock il quale suonava
ogni sera per lei una composizione armoniosa e ipnotica rendendo tranquillo il
suo sonno.
Il
salotto si era animato di nuovo dalle loro discussioni sui casi. John era stato
irremovibile su questo punto: nei limiti del possibile lo avrebbe seguito e non
c’era nulla che Sherlock potesse escogitare per fermarlo. Si doveva
semplicemente rassegnare ritrattare quella parte della promessa.
Amanda
riempiva gli attimi vuoti della loro vita, quelli prima noiosi e tranquilli, e
rideva, rideva sempre attratta da tutto ciò che si muoveva e qualunque cliente
disperato usciva da lì con il sorriso alla vista di una bambina, adagiata su
una trapunta, che gorgheggiava rivolta
al soffitto.
La
signora Hudson le aveva ricamato una coperta lilla e quella stessa ora era stata
piegata all’interno di un lettino bianco che qualcuno aveva portato in camera
sua la sera prima.
Stava
tornando a vivere a Baker Street senza rendersene conto.
E’
una situazione temporanea, si giustificò, un giorno Amanda avrà bisogno di una
stanza sua; non può dormire con me per sempre. Troverò una casa qui vicino.
La
verità è che non poteva nemmeno pensare di andarsene senza piombare di nuovo in
quello stato di apatia in cui era caduto, di vivere senza il violino di
Sherlock suonato alle tre del mattino per addormentare Amanda o per pensare e
al microscopio lasciato sempre al centro del tavolo della cucina.
Sherlock,
Sherlock era il centro dei suoi pensieri.
Come
aveva fatto prima?
Come
aveva fatto a non sentirne la mancanza quando viveva con Mary, come aveva
potuto ritenerlo fastidioso?
<<
John! Un caso da sette! Prendi la giacca! >> gli urlò dalle scale e un
sorriso spontaneo apparve sul suo volto.
Luglio
Corse
a perdifiato lungo il vicolo buio.
Vide
la sagoma della sua preda a pochi metri di distanza che scavalcava un muretto
con estrema goffaggine e accelerò sicuro di prenderlo: nessun omicida di centoventi
chili poteva competere con John Watson, soldato ferito in guerra e tornato
dall’inferno più di una volta.
L’uomo
rovinò a terra e si rialzò perdendo due metri di vantaggio.
John
poteva sentirlo rantolare mentre arrancava sempre più claudicante fra le mura
delle case e si pregustò il momento in cui gli avrebbe messo le mani addosso
per farlo pentire di aver ucciso due quindicenni. Oh, l’avrebbe pagata cara.
Si
sentì vivo, energico e felice nonostante la situazione. Felice di essere vivo.
Felice di essere di nuovo felice.
Scattò
in avanti e con un ghigno di vittoria lo raggiunse afferrandolo per un lembo
del maglione. L’uomo cadde a terra, stordito e sorpreso e ciò non gli permise
di reagire quando comprese di aver appena guadagnato un biglietto di sola
andata per il carcere a vita.
John
lo tenne fermo, furente, ignorando le vane lamentele di quell’abominevole individuo.
<<
John? John?! Lo hai preso? >>
<<
Sì! È a terra! >> urlò il dottore in risposta osservando la sagoma di
Sherlock avvicinarsi. Aveva il fiato corto e un sorriso soddisfatto in volto,
le mani già strette attorno al cellulare.
<<
Lestrade, vicolo sulla destra. John lo ha preso >> comunicò con una
rapida chiamata, la voce incrinata di orgoglio. Lo guardò a lungo accorgendosi
che quel sorriso era tutto per lui.
Si
rialzò solo quando Sally Donovan assicurò l’omicida alle manette consegnandolo
a due agenti in divisa mentre Lestrade, con le mani sui fianchi, osservava la
scena compiaciuto.
<<
Come hai fatto ad arrivare a lui? >> domandò quest’ultimo rivolto al
detective.
Sherlock
morì ancora più d’orgoglio << Un’unghia >> disse.
<<
Cioè? >>
<< La vittima numero due aveva un’ pezzo di unghia spezzata fra i denti.
L’ho analizzata: conteneva relative tracce di trucco resistente all’acqua. Era
troppo spessa per appartenere ad una donna, ingiallita dal fumo. Quale uomo
porta trucco resistente all’acqua? >>
John
fulminò con un’occhiataccia chiunque stesse osando fare battute <<
l’impronta quarantacinque vicino alla vittima numero due e le scene del crimine
disordinate mi ha portato a dedurre le
caratteristiche di un uomo alto, grasso con problemi di fumo e alcol, basso QI
e un impiego nel circo itinerante che casualmente è situato a due minuti di
distanza dalle scene del crimine. Un clown quindi. Gli era relativamente facile
attirare giovani ragazze senza essere notato. E’ bastato poi infiltrasti nel-
>>
<<
Okay! Basta, abbiamo capito, Sherlock. Grazie >> lo interruppe Lestrade
troppo stanco per sopportare gli infiniti sproloqui del detective << Una
cattura davvero formidabile John >> continuò rivolto all’amico.
John
respirò ansante << Eh! Era lento >>
Lestrade
sorrise << Bentornato >> e detto ciò diede a tutti la buonanotte
salendo sulla sua auto di servizio.
Bentornato.
Che suono meraviglioso aveva quella parola nella sua mente.
Sherlock
ruppe il silenzio << Fame? >>
<<
Muoio di fame in verità >> asserì << e credo che la signora Hudson
non ne possa più di badare ad Amanda. Sono le undici di sera >>
<<
C’è sempre il take-away >> e detto ciò raggiunsero insieme la strada
principale fermando un taxi in corsa e sempre in silenzio vi salirono ancora
adrenalinici per l’assurda giornata appena trascorsa: prima le deduzioni di
Sherlock, poi il circo con quegli inquietanti pagliacci ed infine la corsa a
perdifiato lungo mezza Londra all’inseguimento di un ometto tarchiato ma che
scattava come una lepre fra i vicoli.
John
sospirò contento lasciandosi andare ad un sorriso soddisfatto.
Erano
anni che non si sentiva così vitale.
<<
Ricordami di impedire ad Amanda di andare a vedere in futuro uno di quegli
spettacoli >>
<<
Abominevoli oserei dire >> finì per lui Sherlock << non mi sono mai
piaciuti di clown >>
<<
Nemmeno a me. Ma c’è davvero qualcuno a cui piacciono? >>
<<
Suppongo di sì >> mormorò per poi guardare la strada bagnata da
un’improvvisa pioggerellina estiva << Sei stato … bravo >> John
aggrottò la fronte << avrebbe potuto sfuggirci nonostante la mole. Sei
stato davvero bravo >>
<<
Grazie >> rispose lievemente commosso.
Sherlock
sorrise << Sarei perso senza il mio blogger >> recitò ricordandogli
di quel lontano giorno in cui lo aveva coinvolto nel caso che aveva cambiato la
loro vita.
<<
Sarei perso senza di te >> sussurrò John con un filo di voce, il naso
contro il finestrino e le guancie rosse dall’imbarazzo per quella confessione.
Il
taxi si fermò davanti al 221B e scesero dopo aver pagato la corsa ignorandosi a
vicenda, ignorando le loro ultime parole, come accadeva oramai da qualche
settimana. John cominciava a sentirsi vagamente frustrato.
Si
sussurravano confessioni criptiche e impalpabili da un angolo all’altro della
casa poi fingevano che nessuno avesse parlato. E tutto ricominciava d’accapo.
Sherlock
lo amava.
Non
era un genio della deduzione, ma lo
aveva capito con estrema facilità una volta levata dagli occhi quella benda
nera dietro cui si era trincerato al mondo per mesi.
Sherlock
lo amava e lui lo sapeva e da quando lo aveva capito non c’era stato un solo
momento in cui avesse reputato la cosa sbagliata, strana o disgustosa.
E
quel sorriso orgoglioso e luminoso in quel vicolo buio ne era stata l’ennesima
prova.
Nonostante
l’ultimo disastroso anno John si sentì un uomo fortunato perché un essere
straordinario come Sherlock lo aveva scelto e fatto entrare nella sua vita, una
vita meravigliosa, e si stava lasciando finalmente andare, aspettandolo
paziente affinché facesse qualcosa, qualsiasi cosa.
Sherlock
si era gettato da un palazzo per lui, aveva sopportato il suo rancore, finto di
non provare nulla, si era occupato del suo matrimonio -e John non voleva
davvero pensare a quanto dolore questo gli avesse procurato e quanto cieco
fosse stato lui nel non capire- gli aveva chiesto di essere il suo testimone
inconsapevole del suo silente sentimento e gli aveva detto sì, lo aveva spinto
a perdonare Mary solo per vederlo di nuovo felice, lo aveva sorretto il giorno
della sua morte riservando nella sua vita un posto speciale per Amanda e lo
aveva protetto contro Moran ed ora era ancora lì a spronarlo con metodi
bizzarri a tornare alla vita, alla sua vita.
Come
poteva meritarsi tutto quello?
Mary
era un fantasma rinchiuso in un cassetto che qualche notte John apriva per
poterla rivedere e scusarsi ancora, ma aveva smesso di dirle che l’amava, che
le mancava.
Il
dolore per quella perdita era ancora palpabile, ma sempre più labile. Era
diventata un ricordo, un ricordo che s’imponeva di associare a momenti felici e
sereni dimenticando, quando riusciva, le bugie che lo avevano fatto smette di
amarla e desiderarla.
Sherlock
invece era una presenza costante, un cassetto sempre aperto che la notte lo
faceva sobbalzare dalla sorpresa, ricolmo di sensazioni sopite, ignorate e
fraintese anni e anni prima. E si rese conto che l’atroce dolore provato al
funerale di Mary non era stato nulla rispetto a quello subito dopo la perdita
di Sherlock, nulla. E quando ogni cosa nella sua vita si era trasformata in
“senza Sherlock” – la spesa senza Sherlock, discorsi senza Sherlock, stanze
senza Sherlock, silenzi senza Sherlock – tutto era diventato ancor più doloroso
e buio.
Rabbia,
paura, angoscia, solitudine, emozioni che aveva rivissuto in ospedale mentre
aspettava che i medici gli dicessero che era ancora vivo, che l’emorragia non
lo aveva ucciso.
Aveva
sposato Mary perché la amava, perché era stata una donna meravigliosa, capace
di fargli dimenticare in parte il suo dolore, ma Sherlock … Sherlock era
tutt’altro tipo di amore, un amore assoluto e indissolubile, deleterio e
galvanizzante al tempo stesso. Un amore unico nel suo genere.
Sherlock
una volta in casa, si fiondò al computer e John invece nella sua camera da
letto dove Amanda dormiva controllata da un baby monitor installato al piano di
sotto.
Si
sporse e osservò la figlia respirare profondamente e agitare lentamente i piedi
al ritmo di un sogno. Le sfiorò una guancia con il dorso della mano
meravigliandosi di quanto fosse bella.
Le
augurò di fare sogni belli e colorati e le baciò una manina paffuta abbandonata
lungo il cuscino, poi si rialzò e chiuse di nuovo il cassetto Mary dentro la
sua testa sapendo che avrebbe capito; era stata lei a chiedere a Sherlock di
proteggerli. Lei sapeva tutto prima ancora che ci fosse arrivato lui stesso.
Sapeva che la sua vita sarebbe ricominciata solo grazie a Sherlock. Lo sapeva e
lo avrebbe perdonato per ciò che stava per fare.
Uscì
silenziosamente dalla stanza e socchiuse la porta scendendo gli scalini due
alla volta.
Lo
trovò chino sul suo computer, vicino alla scrivania, gli occhi che saettavano
da parola in parola con entusiasmo. Ma si fermò nell’esatto momento in cui John
attraversò il salotto.
Aspettò in silenzio e finalmente trovò il
coraggio per parlare.
Rimandava
quel discorso da settimane e Dio, era così difficile affrontarlo ed affrontare anche
sé stessi.
<<
Da quanto? >> gli chiese con un sussurro.
Sherlock
si raddrizzò e spostò gli occhi di ghiaccio incontrando i suoi scuri e
determinati. Esitò più volte, trattenendo il respiro, rilasciandolo di colpo,
trattenendolo ancora.
<<
Da quanto, Sherlock? >>
<<
Da sempre >> mormorò a voce così bassa da risultare inudibile. Solo i
muri parvero sentirlo.
John
chiuse gli occhi e prese un respiro profondo.
<<
Vieni qui >> ordinò con un altro sussurro e Sherlock gli obbedì. Si alzò
in piedi e due passi dopo era davanti a lui in attesa di qualsiasi cosa sarebbe
successa, gli occhi fissi sui suoi, le braccia tese e una vena scura rigida
lungo il collo, esposta.
John
ingoiò il groppo che gli chiudeva la gola e osò guardarlo in viso sperando di
non arrossire, di non svenire e non perdersi nei suoi occhi profondi ed
elettrici.
Sherlock
aspettava, emblema della paura e dell’incertezza.
<<
Quando ti ho conosciuto ho pensato fossi un egoista bastardo che si divertiva a
giocare con le vite e i sentimenti degli altri. Forse lo eri davvero o forse
nascondevi il tuo vero Io dietro un muro di ghiaccio, ma Dio se mi ero
sbagliato >>
<<
John >>
<<
Zitto. Ogni cosa che hai fatto negli ultimi mesi – che dico, anni- l’hai fatta
per me, per Amanda, per vederci felici. Ogni singola cosa >>
<<
Mary mi ha chies- >>
<<
Balle >> lo interruppe << Un uomo non farebbe mai così tante pazzie
senza essere matto o follemente innamorato >> e a quel punto Sherlock
sgranò gli occhi, terrorizzato e stupito nello stesso tempo << Forse sei
entrambe le cose >>
<<
John io non- >>
<<
Mi dispiace Sherlock >> aggiunse senza smettere di guardarlo << mi
dispiace di aver sposato Mary, mi dispiace di averti chiesto di essere il mio
testimone, mi dispiace di aver sempre ignorato i segnali. Mi dispiace di non
essermi fidato di te, mi dispiace di averti odiato e di aver provato a
dimenticarti >>
<<
Perché ti stai scusando? >> gli chiese con l’animo confuso.
<<
Perché credo che in quest’ultimo anno tu abbia sofferto tanto quanto soffrii io
mentre ti fingevi morto >>
Sherlock
abbassò lo sguardo, ma John gli impedì di allontanarsi, sfiorando il suo mento
con due dita.
<<
Ho bisogno di tempo e sarà difficile all’inizio, lo so. La mia vita è un gran
casino al momento, ma non ho intenzione di perderti di nuovo >>
<<
Non è necessario che tu mi prometta
niente John. Io posso - >>
<<
Aspettarmi? Io no. Sherlock, posso vivere senza una moglie per la quale mi
sento ancora in colpa di non aver perdonato, posso vivere senza amici e
crimini, posso vivere senza case con giardini e parchi gioco, ma non posso
vivere senza di te, lo capisci? E mi dispiace, mi dispiace di non averlo capito
prima >> ammise con un unico fiato stringendo fra le dita i risvolti
della giacca del detective.
Sherlock
boccheggiò e posò le mani su quelle di John.
<<
Non osare mai più allontanarmi da te >> sbottò infine carezzando una
guancia pallida e rigida di paura.
Tutto
quello era troppo, troppo in un colpo solo e John lo capì lasciandolo andare.
<<
Non osare mai più nascondermi niente, niente capito? Che sia un suicidio
programmato o un omicidio oppure un sentimento di qualsiasi genere >>
Sherlock
annuì e i suoi occhi tornarono vividi e presenti.
Scacciò
dalla sua mente il ricordo di Mary e osservò le sue labbra morbide e perfette
socchiuse dallo stupore e si chiese da quando tempo gli piacesse guardarle.
Non
si odiò per aver sempre detto di non essere gay: non lo era, ma Sherlock era
diverso da qualsiasi altro essere umano, unico nel suo genere e quelle labbra
erano perfette da baciare.
Ma
non lo fece, per quello ci sarebbe stato tempo e in quel momento entrambi erano
sul filo di una crisi isterica: lui troppo provato e Sherlock troppo sconvolto per fare
qualsiasi cosa.
Accettò
quelle parole e le sue carezze e qualche secondo dopo erano entrambi sul
divano, John con le braccia a circondare il corpo di Sherlock e lui stretto,
rannicchiato addosso con il viso affondato nel suo maglioncino estivo.
<<
Mai più >> promise il detective con un mormorio e John sorrise.
Mai
più segreti, mai più dolore, mai più addii.
Mai più soli.
Note: Credete sia finita? Ebbene,
no! Ci sarà l’epilogo in cui sbroglierò definitivamente la matassa sentimentale
dei nostri due amatissimi John e Sherlock.
Voglio
ringraziare tutte le persone che mi hanno lasciato una recensione, le vostre
parole sono state bellissime, grazie di cuore e sono contenta che questo parto
letterario vi piaccia! Appena avrò tempo risponderò singolarmente.
Una
grazie va anche a chi ha letto la ff e a JJ la mia caaara amica di mail che sopporta
le mie crisi isteriche e sa come risolverle.
Mi auguro
di non aver commesso errori madornali di grammatica ma purtroppo è auto
corretta quindi non ho idea di quali strafalcioni potrei aver commesso. Se così fosse
fatemelo sapere e li correggerò =)
Mi
auguro di postare prima di Domenica ma ahime sono una studentessa universitaria
e i libri di diritto non si studiano da soli … purtroppo =(
Ah
già dimenticavo.
Biscotti
per tutti!!
|
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Capitolo 3 *** Epilogo ***
fatto
Note: epilogo
betato da xaki.
Desclimer: come prima prima, niente è mio nulla mi appartiene, la storie
è di mia invenzione scritta senza scopi di lucro. Peace!
Amanda
EPILOGO
Agosto
La
dottoressa Montgomery scribacchiò qualcosa sul suo taccuino dopo un lento e
zoppicante monologo di John sulla sua vita.
La
terapista che aveva scelto per farsi aiutare in quella nuova e delicata fase
della sua vita era molto paziente con lui, gentile e lo aiutava a focalizzare i
pensieri sui veri problemi da affrontare: superare il senso di colpa verso Mary
e Sherlock e soprattutto venire a patti con la sua nuova sessualità. Ma parlare
non era sempre sufficiente, alle volte
era necessario semplicemente stare in
silenzio a pensare.
<<
E Amanda? Ti lascia dormire? Come va con lei? >>
John
sorrise.
<<
Ieri siamo andati allo zoo. Ha sorriso tutto il tempo. Sherlock crede che gli
piacciano i leoni io invece credo preferisca i pinguini. Abbiamo passato la
serata a discutere su questo >> e ridacchiò al ricordo del detective che
gli illustrava le mirabolanti attrattive del leone rispetto a quelle modeste
del povero pinguino imperatore.
<<
E dormo, molto. Amanda si sveglia solo una volta, verso l’una >>
<<
Notevole >>
<<
Già … >>
<<
E con i casi? Segui ancora Sherlock? >>
<<
Sempre >> rispose immediato << abbiamo anche una babysitter, una
cugina della signora Hudson che viene volentieri a guardare la bambina quando
facciamo tardi e telefono spesso ai genitori di Sherlock anche se lui mi odia
quando lo faccio >>
La
dottoressa annuì sorridendo << E con lui come va? >>
John
sospirò e si rilassò contro lo schienale della poltrona << E’ una persona
particolare >>
<<
Ma il vostro rapporto è evoluto? Gli hai detto ciò che provi? >>
<<
Lo sa. Non ha bisogno che io glielo dica >>
<< Ne sei sicuro? >> John si interruppe, pensieroso. In effetti non
gli aveva mai detto nulla, lasciava solamente che le cose accadessero da sole
così come era sempre successo.
Il
primo bacio, da perdere il fiato al solo ricordo, era capitato qualche giorno prima,
così dal nulla, dopo un caso e un tuffo nel Tamigi. Avevano riso come matti e
poi avevano smesso all’improvviso guardandosi persi ognuno nei propri pensieri;
Sherlock, tornando serio lo aveva fermato, sbattuto contro un muro e baciato
con una passione incontrollabile e lui si era aggrappato alla sua giacca come
fosse stato l’ultimo appiglio prima di una caduta.
Sherlock
sapeva di menta e sigarette fumate di nascosto, sapeva di buono ed aveva delle labbra
stupende: John non credeva possibile poter desiderar mordere così ardentemente
qualcosa.
Quella
stessa notte, con Amanda a pochi metri che dormiva, John si era ritrovato a
condividere il letto con lui, abbracciato a lui con il cuore gonfio di un amore
che non riusciva ad esprimere.
<<
Dormo nella sua stanza >> aggiunse << a volte lui si infila nel mio
letto e non riesco mai a dirgli quanto sia diventato difficile prendere sonno
senza il suo corpo addosso al mio >> ammise con il viso rosso di
vergogna.
La
dottoressa gli sorrise per incoraggiarlo e all’improvviso si sentì stupido a
raccontare cose così intime e private ad un’estranea, ma quale scelta aveva
realmente? Sentiva la necessità di parlare con qualcuno, ma nessuno poteva
davvero capirlo, forse nemmeno lei però almeno restava in silenzio senza
commentare.
<<
Perché non gli esprimi i tuoi sentimenti? >> gli domandò allora <<
sono settimane che parli con me di come ti senti con lui, dei tuoi sentimenti
verso tua figlia e del rapporto che voi tre state costruendo, ma non hai mai
preso in considerazione l’opzione di rivolgerti al diretto interessato >>
<<
I sentimenti non sono il suo forte >> si giustificò << è davvero
bravo a dimostrarli, ma non a parlarne >>
<<
E tu? >>
<<
Io sono pessimo a parlare di queste cose >> ammise.
<<
Forse dovresti farlo, John. Dire cosa provi ad alta voce >>
<<
Non posso … non ancora >> e s’irrigidì << Ho perso mia moglie meno
di un anno fa … non posso. Sì posso, ma non voglio >> tentennò e la
dottoressa gli venne incontro annuendo risoluta << Va bene >> disse
<< va tutto bene >>
No,
affatto, avrebbe voluto dire, ma non lo fece e rimase in silenzio a pensare a
Sherlock e all’amore che si meritava di ricevere nonostante tutto, allo stronzo
insensibile individuo che dimostrava di essere fuori, ma che nel privato
spariva per essere semplicemente sé stesso, quello vero: affettuoso o, alle
volte, insofferente.
<<
Sherlock merita molto più di quello che gli sto dando al momento >>
spiegò meditabondo << molto di più. Mi ha salvato la vita, ha raccolto i
miei pezzi, li ha rimessi insieme, mi ha accettato nonostante tutto … mi ha
voluto lo stesso. Ama Amanda incondizionatamente, qualsiasi cosa faccia, a
qualsiasi ora si svegli o qualsiasi oggetto lanci per la stanza. E’ un uomo
straordinario >>
La
dottoressa rimase in ascolto, aspettando che continuasse, ma John non ebbe più
nulla da dire. Non a lei almeno.
Uscì
dallo studio dubbioso sull’utilità di quella terapia, ma Greg aveva insistito
facendogli capire che forse poteva beneficiarne come un tempo, mentre Sherlock
gli aveva fatto presente che era solo una perdita di tempo e denaro. Magari
aveva ragione, ma voleva fare un tentativo per trovare pace con sé stesso:
c’era chi si rifugiava in chiesa, chi
nell’alcool, lui andava in terapia. In fin dei conti non era una pessima idea.
Non
tornò subito a casa.
Anziché
prendere la metro per andare in centro deviò a piedi verso la strada
principale. Mandò un rapido messaggio a Sherlock e non smise di camminare
finché non attraversò il cancello del cimitero, lo stesso che aveva visitato
tante volte quando andava in cerca di un po’ di conforto per la mancanza di
Sherlock.
Nulla
risultava confortante lì- quale cimitero lo era davvero- ma Mary era morta da otto mesi e nessuno era
mai andato a trovarla.
Trovò
strano parlare di nuovo ad una lapide, grigia questa volta, realmente occupata,
ma scoprì lo stesso dentro di sé il coraggio di azzardare un ciao e un mezzo
sorriso rivolto al vuoto.
<<
Forse sarei potuto venire prima, ma … spero tu capisca che è stato difficile
>> gli sembrò di essere un perfetto idiota a parlare al nulla, ma
qualcosa dentro di sé gli ordinò di continuare << La verità è che mi
sento in colpa ed è un sentimento più difficile da superare che il dolore di
una perdita. Non avrei mai immaginato finisse così, ma … non sono mai riuscito
a perdonarti e nemmeno adesso ci riesco. E mi dispiace per questo, tanto … ma
un giorno, anche se probabilmente non servirà a nulla, lo farò. Ciò che non mi
perdono è l’essere stato così cieco, così ottuso nel non accorgermi cosa
Sherlock stesse facendo o stesse provando per me. Ma tu … lo sapevi e ti andava
bene così, chissà perché. Per questo avevi detto che ti piaceva? Per questo gli
hai chiesto di amarmi? Di amare Amanda come fosse sua? Mi ha raccontato tutto settimane
fa >> gli occhi di John divennero lucidi, ma non pianse. Aspettò che la
crisi passasse e respirò profondamente prima di rivolgersi di nuovo al fantasma
<< Sto andando avanti. Lentamente ma lo sto facendo. E non me ne
vergogno. Mi hai portato via molto Mary con le tue bugie e i tuoi inganni.
Capisco il motivo, ma … >> una vecchietta passò lì accanto con un mazzo
di rose rosse più grande di lei fra le braccia e John abbassò lo sguardo e il
tono di voce << ti ringrazio lo stesso perché hai avuto la forza di
donarmi una figlia stupenda. Amanda è bellissima, intelligente e ama i pinguini
– anche se Sherlock dice leoni- ha messo i primi denti e morde. L’altro giorno
ha mordicchiato Molly. E’ stato esilarante.
Ti
assomiglia … ha le tue labbra e credo che Sherlock la stia influenzando molto.
Ogni tanto sbuffa, sai? E’ incredibile … >>
La
vecchietta passò di nuovo e John capì quanto fosse tardi.
<<
Devo andare. Mi stanno aspettando e credo che Sherlock mi abbia mandato venti
messaggi … parlerò di te ad Amanda. Voglio che sappia, ma mentirò su alcuni
particolari, voglio che conosca la donna che ho sposato, non quella che ho
odiato >> chinò lievemente la testa per salutarla simbolicamente e andò
via proprio mentre in cielo imperversava un temporale.
Rientrò
in casa zuppo di pioggia fin dentro alle ossa e la signora Hudson gli lanciò
un’occhiataccia quando attraversò l’ingresso conciato in quel modo.
<<
Avevo scordato l’ombrello >> si scusò e la donna alzò gli occhi al cielo,
ma non disse nulla tornando in cucina.
Salì
i gradini sapendo bene che con Sherlock non sarebbero servite parole: sapeva
dov’era stato. Lo avrebbe dedotto probabilmente dal terriccio umido rimasto
incollato alle scarpe o da qualche foglia incastrata fra i lacci.
Sorrise
quando lo trovò in soggiorno, davanti al suo computer intento a scrivere dio solo sa cosa con una rapidità
incredibile.
Alzò
gli occhi dallo schermo e lo squadrò perplesso notando i suoi abiti fradici.
<<
Sei in ritardo. Ma li leggi i miei messaggi? >>
<<
Ho corso sotto la pioggia. Hanno fermato la metro e non si trovavano taxi.
Amanda? >>
<<
In camera sua. Dorme a meno che non si stia divertendo a prendermi in giro
>>
John
si morse le labbra << Quella è diventata camera sua quindi? >>
<<
E’ un problema per te? >> rispose subito, stizzito, come punto sul vivo.
John
scosse la testa e si levò il cappotto abbandonandolo sulla poltrona vicino al
camino acceso per asciugarlo << mi piace dormire con te >> ammise.
<<
Bene >> disse con un mezzo sorriso tornando a scrivere << la
signora Hudson ha portato la cena un’ora fa … se vuoi possiamo ->>
<<
Ti amo >>
Sherlock
si immobilizzò, le dita a mezz’aria e lo sguardo perso nel vuoto.
Rimase
statico per così tanto tempo che a John parve di aver solo immaginato tutto, che
niente di ciò che lui provava era reale e che era stata solo la sua fantasia a
giocargli quel brutto scherzo. Ma poi lo vide storcere le labbra in un sorriso.
<<
Ed è stata la dottoressa o una lapide a darti il permesso di dirmelo? >>
gli chiese con ironia infischiandosene della sua espressione shoccata.
<<
Fottiti >> gli rispose divertito << volevo solo che lo sapessi. So
che è un periodo difficile per tutti ed io sono stato così … >>
<<
John. Basta, smettila di scusarti >> sbottò alzandosi dalla sua postazione
per fronteggiarlo << perdoniamoci a vicenda e chiudiamo qui la questione.
Non ne posso più di sentirti blaterare scuse quindi, fai un favore ad entrambi
e taci >>
Era
un buon inizio.
John
annuì convinto e sorrise.
<<
Spogliati >> gli venne ordinato e ciò lo fece arrossire di colpo e
ovviamente la sua banale mente fraintese il motivo di tale richiesta tanto che
Sherlock se ne accorse rivolgendogli uno sbuffo infastidito << hai i
vestiti bagnati e … ah mentre non c’eri ho portato le tue cose nella mia
stanza. Non ti dispiace vero? >>
<<
Che tu sia un dittatore? No, certo che no! >> e rise della sua stessa
battuta e soprattutto dell’aria offesa di Sherlock il quale probabilmente si
aspettava un grazie.
<<
Non credi sia presto? >>
<<
No … affatto. Condividiamo una camera da giorni e hai vestiti sparsi ovunque.
Ti ho solo reso la vita più semplice >>
John
sorrise incredulo e allungò un braccio verso di lui affinché si avvicinasse a
le smettesse di aver paura di toccarlo, stargli vicino, come se potesse andarsene
da un momento all’altro se solo avesse osato di più. Come se fosse sbagliato
farlo.
Lo
trattava come fosse una bomba pronta ad esplodere e cominciava a non poterne
più.
Sherlock
prese la sua mano incerto e si avvicinò a lui tanto da percepire il respiro
addosso.
John
chiuse gli occhi e le dita dietro la sua nuca sentendo i suoi riccioli morbidi
sulla pelle; lo avvicinò a sé e si sporse facendo incontrare le loro fronti.
I
loro respiri si mischiarono e percepì il suo calore irradiarsi lungo il suo corpo,
ed era bellissimo.
<<
Ti amo >> sussurrò.
<<
Lo so >>
<<
Qualsiasi cosa succeda non dubitarne mai, me lo prometti? >>
<<
Te lo prometto >> e i loro nasi si sfiorarono.
Non
c’era l’urgenza provata sulle sponde del Tamigi, non c’era quel bisogno bruciante
di mangiarsi a vicenda; c’era solo silenzio e bisogno fisico di un contatto, di
conoscersi, di esplorarsi lentamente. Avrebbero avuto tempo per strapparsi i
vestiti di dosso.
Se
lo promise e lo baciò delicatamente e un attimo dopo si ritrovò a boccheggiare
con Sherlock addosso che gli accarezzava la lingua con la sua e mordeva,
suggeva e pretendeva il suo fiato con una tale dovizia da lasciarlo sconvolto.
Non aveva previsto tutto quello, non con il suo cuore già in subbuglio dal
pomeriggio.
Affondò
le dita nella stoffa dei suoi vestiti e sorrise nel bacio leccando il suo
sapore unico, facendolo suo.
Sherlock
si allontanò solo per respirargli sul collo, per provocarlo.
<<
Come secondo bacio è stato … wow >> ansimò John totalmente sconvolto.
<<
Stai zitto >> sbuffò divertito.
<<
No sul serio … hai imparato su internet? >>
<<
Shht >> gli intimò << Smetti di parlare >>
<<
Senti da che pulpito >> ridacchiò, ma capì di essere nervoso. Credeva di
averne tutte le ragioni perché era la prima volta in assoluto che provava
qualcosa di così sconvolgente per qualcuno, soprattutto per un uomo.
Le
sue mani erano sudate, ma non sembrò importare a nessuno mentre le strofinava
delicatamente sotto la maglietta di cotone, saggiando la sua pelle liscia e
morbida. Studiò i suoi lineamenti con dovizia, i suoi muscoli accennati
risalendo fino alle scapole. Aveva un corpo perfetto.
Sherlock
emise un unico gemito di sorpresa quando si sentì premere di nuovo il corpo
stesso contro il suo e sembrava piacergli lasciargli addosso segni con le
unghie.
Schiuse
le labbra e ne approfittò per baciarlo ancora e ancora e qualcosa
all’improvviso cambiò: l’emozione provata sul Tamigi tornò in auge, con
prepotenza, facendo scoppiare i loro cuori di incredulità e desiderio e solo un
piccolo barlume di lucidità impedì a John di stracciargli i vestiti di dosso e
farlo suo in un modo per lui ancora sconosciuto.
Dio
se lo voleva e non ce la faceva più a resistere, a stare fermo, immobile per
non spaventarlo per non soggiogarlo con le sue carezze.
Sherlock
non se ne preoccupò, non mostrò incertezze.
I
baci goffi divennero più lenti e profondi e John si ritrovò presto con il corpo
di Sherlock addosso e la sua erezione premuta contro la sua coscia.
John
mugolò qualcosa di insensato quando capì che era messo peggio, molto peggio di
lui.
Chiuse
gli occhi e il restò venne da sé: ci furono mani sotto la camicia e dentro i
pantaloni, baci ovunque fosse possibile darne in quella posizione, respiri
ansanti e profondi contro la pelle e un caldo quasi insopportabile che lo
costrinse a pregare di essere già nudo.
Ma
finì troppo presto e in modo drammatico: entrambi si gelarono sul posto quando
un pianto disperato si propagò nell’aria.
Amanda
strillò. John si riscosse e guardò distrattamente l’ora, senza fiato: le nove
di sera.
Sua
figlia piangeva alle nove di sera mettendo in subbuglio tutto il quartiere
mentre lui stava per- … si voltò e l’attimo dopo era contro il muro, con le
labbra di Sherlock premute di nuovo sulle sue.
Sua
figlia stava piangendo e Sherlock lo stava baciando. E lui stava ricambiando
ogni morso, ogni umido contatto, ogni carezza ed aveva stretto il colletto
della camicia attorno alla dita.
Si
sentì un pessimo padre, ma desiderava quelle labbra da così tanto tempo che
respingerlo era impossibile solo da pensare.
All’improvviso
Sherlock si staccò da lui scrutando attentamente la sua reazione prima di
posargli un bacio languido sul collo.
<<
Vai a consolarla. Torna entro dieci minuti e avrai il resto >>
John
sgranò gli occhi e lo osservò indietreggiare fino a trovare posto sulla sua
poltrona.
<<
Dieci minuti? >>
<<
Io ce ne metto sette per addormentarla, ma tu non sei me quindi avrai tre
minuti in più di vantaggio >>
<<
Ma io … >>
<<
John, nove minuti >>
Annuì
e ancora spossato si precipitò su per le scale e quasi per coincidenza – o per
perfidia- Amanda scelse proprio quel momento per smettere di piangere.
John
la scrutò con apprensione, poi la prese fra le braccia cullandola amorevolmente
e lei, ovviamente, sorrise soddisfatta del risultato ottenuto.
<<
Sei … incredibile, lo sai? Tutto questo casino per un po’ di coccole >>
borbottò intenerito. Strofinò il naso contro il suo piccolino << So che
stai mettendo i denti, ma non è stata una cosa carina quella che hai fatto
>>
Amanda
sbadigliò e gli mostrò i due piccoli puntini bianchi spuntati da qualche mese
nella sua bocca.
<<
Monella … >> la rimproverò, ma la sua voce trasudava amore ad ogni
sillaba.
<<
Ti amo tanto, lo sai? Sei perfetta … una principessa per me. Un principessa
capricciosa … e sei fortunata perché anche Sherlock ti ama. Ti adora qualunque
cosa tu faccia o di chiunque tu sia figlia. Non lo credevo possibile, ma sono
fortunato anche io … non poteva esistere
persona più perfetta per noi , vero? >> le sussurrò, ma anziché calmarla
la sua voce la incuriosì, come tentasse di capire cosa gli stesse dicendo.
Amanda sgranò gli occhi blu e strinse forte la stoffa della camicia a scacchi
<< Ma qualsiasi cosa io dica tu non dormirai, vero? >> domandò con
tetro sarcasmo vedendo i suoi programmi per la serata sfumare. Ma come
accidenti faceva Sherlock ad addormentarla in dieci minuti?
<<
Sei totalmente incapace per essere un dottore, John >> gli comunicò la
baritonale voce di Sherlock dalla soglia della stanza.
John
ruotò gli occhi al soffitto sospirando pesantemente.
<<
E’ sveglia come un grillo e non ho una specialistica in pediatria okay? Curavo
soldati feriti in battaglia e Amanda non collabora >> protestò
fulminandolo con un’occhiataccia e quasi gli venne un colpo nel constatare che
addosso aveva i segni dei suoi morsi, soprattutto sul collo.
<<
Se le parli attiri la sua attenzione e lei è molto recettiva >> gli
spiegò lentamente, prendendo in giro la sua incompetenza << Sei bravo in
tante cose John, tante, ma questo non
è decisamente il tuo campo >> e sottolineò quel tante con un’inflessione
languida.
John
deglutì << Cosa esattamente non è il mio campo? >>
<<
Annoiare un bambino affinché dorma >>
<<
E’ questo che fai con lei? >> si stupì << la annoi? >>
Sherlock
scosse le spalle << Più o meno >>
<<
Mostrami come fai, sono curioso >> lo sfidò e Amanda si sentì presa in
mezzo tanto che ridacchiò entusiasta all’idea di partecipare a quella
competizione.
Sherlock
sorrise sghembo e prese Amanda fra le lunghe braccia lasciando che si
sistemasse all’incavo naturale che si era formato. Non disse una parola, la
guardò solamente e lei ricambiò con intensità. Due dita si muovevano lentamente
in circolo sulla sua tempia e John rimase estasiato da quell’immagine .
Se
qualcuno, appena quattro anni prima, gli avesse detto che in futuro si sarebbe
ritrovato nella stessa stanza con Sherlock Holmes che cullava una bambina – la
sua bambina- avrebbe riso sguaiatamente. Ma quell’immagine era reale, palpabile
e Sherlock stava davvero cullando la sua bambina che in pochi minuti chiuse gli
occhi lasciandosi andare ad un sospiro beato.
Non
emise fiato mentre lui la rimetteva nella culla sorridendo soddisfatto di sé.
A
John il cuore scoppiò nel petto: orgoglio, amore, incredulità, felicità ,
tenerezza erano solo alcune delle
emozioni che lo stavano soggiogando in quel momento e Sherlock sembrò captarle
tutte sul suo volto.
<<
Sei minuti e ventidue secondi >> gli fece presente con un bisbiglio.
<<
Ti odio >> lo apostrofò << sei … odioso quando fai così. C’è
qualcosa che non sai fare? Mh? Dimmi la verità, hai fatto qualche ricerca su
internet: come ipnotizzare un bambino affinché dorma? >>
Sherlock
alzò gli occhi al cielo << Sei infantile >>
<<
E tu borioso >>
<<
Infantile >>
<<
Borioso >>
<<
La stai svegliando >>
Scoppiarono
a ridere sommessamente nello stesso momento e si calmarono solo dopo qualche
secondo cercando davvero di non disturbare Amanda dal suo sonno.
<<
Sei davvero incredibile >> ammise John con un sorriso ampio.
<<
E’ solo una tecnica di … >>
<<
Dovrebbe essere tua >> lo interruppe lasciando uscire inconsapevolmente
quelle parole dalla bocca.
<<
Fisicamente impossibile >> gli rispose incerto e sì, imbarazzato.
John
incastrò i loro occhi in uno scambio muto di informazioni << dovrebbe
essere tua >> ripeté << perché lo è … lo è nel modo in cui la
guardi e la osservi. Lo è perché le hai salvato la vita ancora prima che
nascesse. Lo è perché la ami e lei ama te >>
<<
John … >>
<<
Dovrebbe essere tua >> ripeté ancora ad alta voce vedendo i suoi occhi
sgranarsi all’impatto emotivo di quella confessione.
<<
Non sono suo padre >>
<<
Lo sei in un modo che nemmeno riesci ad immaginare >>
<<
Ma non è giusto >>
<<
Perché? >>
Sherlock
esitò << Mary … tu … >>
<< Non sarei geloso. Dio come potrei esserlo? E Mary resterà per sempre
la madre di Amanda, e vorrò che sappia di lei quando sarà grande, ma tu … io e
te siamo il suo presente >>
<< John, quello che mi stai chiedendo è … >> vide il panico
deformargli il viso.
<< Non ti sto chiedendo nulla >> lo corresse con affetto <<
ho detto solo che vorrei … che sarebbe perfetto >>
<<
Ci penserò >> dichiarò risoluto << Ho bisogno di tempo >>
John
annuì e gli sorrise ancora porgendogli la mano.
Sherlock
gliela afferrò con decisione ricambiando
il sorriso.
<<
Torniamo di sotto? Se non ricordo male avevamo una conversazione in sospeso
>>
<<
Avevo detto dieci minuti John, ne sono passati venti >>
<<
Perdonami >> disse fingendosi contrito << Non lo farò mai più
>>
Sherlock
alzò gli occhi al cielo e con un agile movimento molto teatrale lo costrinse a
seguirlo a piano di sotto e John lo spinse contro un muro a caso troppo
impaziente di scoprire il suo sapore e il suono che avrebbe fatto mentre
godeva, impaziente persino per spogliarlo.
Amanda
non si svegliò per tutta la notte e loro due non arrivarono mai alla camera da
letto.
Note: il
dialogo che John ha con la dottoressa Montgomery è stato volutamente reso
informale per una questione pratica: molti terapeuti preferiscono un approccio
diretto e più confidenziale con i loro pazienti per aiutarli ad aprirsi. Ho
studiato psicologia al liceo =)
Ed eccoci alla fine!
Non ci posso credere! Mesi
di stesura ed è tutto finito.
Dovrei essere felice o
triste? Mah… tutte e due?
Vi ringrazio tantissimo per aver seguito la mia storia e per averla apprezzata! Sono felicissima che
vi sia piaciuta e spero abbiate apprezzato anche l’epilogo lievemente fluff!!
Non volevo ricadere in una parentlock, ma desideravo dare un finale più dolce a
tutti quanti =)
Ringrazio inoltre la mia
nuovissima e velocissima e fantasticissima ( che ho scritto? O.o?) beta xaki che ha corretto quest’ultimo
capitolo e mi ha soccorsa prima che la grammatica italiana mi facesse esplodere
il cervello aiutandomi a trovare gli errori! Grazie grazie!
A lei un totem alto sei
metri!
Ah e biscotti per tutti!
Alla Nutella questa volta!!
A presto!
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