Beyond the wolf di koorime (/viewuser.php?uid=26495)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Titolo: Beyond the wolf
Fandom: Teen Wolf
Pairing/Personaggi: Sterek (♥) , stiles/OMC, Scott McCall,
Sceriffo Stilinski, un po’ tutti
Rating: R
Charapter: 1/8
Beta: Nykyo
Genere: future!fic a partire dalla 3B, circa
Warning: slash stuff, magical stuff, avventura, azione, one side!Derek,
pomiciamento più o meno spinto.
Summary: A un anno dalla
sparizione della Nogistune e della fine definitiva di Kate 2.0, il branco si
ritrova a dover affrontare una nuova emergenza: qualcosa blocca Derek e Malia
nelle loro forme animali e proprio quando gli omicidi rituali ricominciano.
Note: Questa storia è stata scritta
durante la pausa tra la 3B e la 4 stagione e durante la 4 stagione, ma prende una discreta
distanza dagli avvenimenti di quest'ultima.
È, in
pratica, un enorme pov Derek, ed è nata per prendere in giro un'amica e il suo
odio per le tirate chilometriche sugli occhi che ogni tanto si trovano in certe
fic. Quindi, lasciatemela dedicare a Nadia: è stato divertentissimo vedere come
da una sciocchezza sia nata una storia che mi ha accompagnato per mesi, mi ha
fatta dannare e mandare al diavolo la stupidità di Derek ♥
La
storia, inoltre, partecipa alla prima edizione del Teen Wolf Big Bang
Italia e si avvale,
quindi, di gift bellerrimi da parte di due fanciulle adorabili. Lasciatemi
quindi ringraziare dal più profondo del cuore AlexCoffeegirl per questa bellissima art e Phoenix Bellamy per questa bellezza di
fanmix ♥ ♥ ♥ Sono state bravissime e le devo un grazie dal cuore
per aver scelto la mia storia e fattomi emozionare con i loro lavori ♥
And
last but not least, fatemi dare un grosso bacio e dire un enorme grazie a Nykyo per aver betato e seguito questa storia
con amore e attenzione ♥
DISCLAIMER: vorrei
tanto possedere Derek, ma no, né lui né nessun altro mi appartiene .__. Neanche
Stiles, no *sigh*
Capitolo 1
Derek non si era
mai reso conto di una cosa, riguardo a Stiles.
«Niente, il libro
è chiaro: la maledizione viene spezzata solo da un vero atto d’amore.»
Non avrebbe mai
creduto di non rendersi conto di una cosa così semplice e invece era passato
oltre senza un secondo sguardo, nonostante nell’ultimo anno avessero trascorso
insieme molte più ore di quante ne avessero accumulate Stiles e Scott.
«Ma! Ecco,
ovviamente c’è l’inghippo! Ed è... uhm»
«Cosa?» incalzò
Scott, allungandosi per sbirciare oltre la sua spalla.
«C’è tempo fino a
quando l’ultimo petalo non appassirà.»
«Quale petalo?»
«Quello della
rosa che gli ha dato la strega, ovviamente.» Stiles gli indicò col dito
la riga sul vecchio libro impolverato. Scott ammiccò, aggrottò le sopracciglia
e tornò a leggere, spintonandolo poi quando si rese conto di cosa stava
leggendo.
«Amico, questa è La
Bella e La Bestia!»
Stiles aveva gli
occhi castani più belli che Derek avesse mai visto. Era ridicolo come
non se ne fosse mai reso conto, in tutto quel tempo passato a parlare, di
giorno e di notte, spalla contro spalla, ma ora che poteva osservarlo bene, che
poteva permettersi di guardarlo davvero, senza che questo dicesse troppo
di lui, poteva ammettere che erano più belli di quanto non sembrassero a una
prima impressione. Non c’erano paragoni, erano belli, luminosi come stelle,
limpidi e pieni di una vivacità che a lui faceva venir voglia di saltare e scodinzolare.
«Che c’è? È
divertente, dai!» Stiles fece spallucce e ghignò, posando il libro di fiabe sul
letto e accovacciandosi davanti a lui. «Quindi,
sentito, Derek? Dobbiamo aspettare che una qualche popolana si innamori di te.
O una cagnolina» disse e Derek uggiolò. Stiles e Scott si guardarono e
poi il primo tentò un sorriso e gli lasciò una carezza tra le orecchie pelose.
«Ehi, tranquillo, resterai qui per tutto il tempo necessario. Dopotutto non
possiamo certo lasciarti alle cure di Peter, no?»
Derek sbuffò e
poggiò il muso sulle zampe, ma la sua coda spazzò quietamente il pavimento
della camera di Stiles, che sorrise più convinto.
***
Scott se ne andò
due ore dopo, con la promessa che il giorno dopo avrebbe portato altri libri
per proseguire la ricerca. Stiles aveva continuato a leggere e a indagare su
internet, spulciando tutti i siti possibili e in qualcuno anche probabilmente
illegale, la matita che batteva ritmicamente su ogni superficie a portata di
mano.
Derek, doveva
ammetterlo, gli era grato. Aveva sempre saputo
che Stiles era uno stacanovista, che quando c’era da studiare un piano d’azione
o trovare una soluzione al problema lui era il più adatto. Stiles non si
fermava mai, non si arrendeva finché ogni singola strada possibile non era stata
percorsa e poi, se non bastava, semplicemente ne creava di nuove. Vederlo
girare pagina su pagina, circondato di libri e appunti, sfregarsi la testa
stanco e borbottare tra sé quando credeva di essere vicino alla soluzione era
quasi divertente – quasi, se non fosse stato che Derek era bloccato in forma di
lupo, senza alcuna certezza sul se e sul quando sarebbe tornato umano, e per
quella patina di stanchezza sul viso di Stiles. Non avrebbe mai dovuto
stancarsi così tanto, non dopo quello che era successo con la nogitsune. Ormai
era fuori pericolo, ma il suo fisico era ancora debilitato e nonostante la
demenza fosse sparita, a volte a Derek gli era capitato di beccarlo a contarsi
ancora le dita, e Derek... Derek non voleva che qualcosa, qualsiasi cosa, potesse
turbarlo. Ci avevano messo un anno per arrivare al quel punto di quasi
normalità e lui non voleva che una stupida maledizione rovinasse ogni cosa.
Soprattutto se fosse accaduto per causa sua, non se lo sarebbe mai perdonato.
Derek saltò sul
letto e così facendo causò il crollo di una pila di libri in bilico e fece
quindi scappare la matita dalle dita di Stiles.
«Ehi! Ti dispiace
fare attenzione? Qui stiamo lavorando per te» borbottò Stiles, recuperando il
materiale perso. Derek poteva annusare il nervosismo e l’ansia sui suoi vestiti
e sulla sua pelle, il velo di tensione che stava facendo accelerare il battito
del cuore e che lo spingeva ad aprire e chiudere i pugni. Stiles era
preoccupato per lui e per Malia e, se Derek lo conosceva bene – e lo conosceva
più che bene – avrebbe continuato a cercare una soluzione, a costo di
sacrificare il sonno e la salute. Stiles era un cretino e Derek doveva
prendersi cura di lui.
Quindi Derek
ignorò le sue proteste e si acciambellò accanto a lui, poggiandogli il muso
sulle gambe incrociate. Per un attimo, Stiles lo guardò sorpreso, poi arricciò
un angolo della bocca e lo grattò tra gli occhi, facendoglieli socchiudere con
uno sbuffò d’apprezzamento.
«Ammettilo, ormai
sei dipendente dai miei grattini» lo prese in giro Stiles – e aveva ragione, ma
Derek non l’avrebbe mai ammesso, in qualsiasi forma si fosse trovato.
Derek doveva
essersi addormentato perché non ci fu altro che calore e quiete, intervallati
da carezze distratte sul suo pelo, finché lo scricchiolio dei gradini – il
terzo in cima? No, forse il quarto – non lo destò di colpo. Alzò il muso verso
la porta, prima ancora che il pomello girasse. Quando lo fece e la porta si
aprì, lo sceriffo fece capolino, sbattendo le palpebre sorpreso alla sua vista.
«È un lupo?
Perché c’è un lupo in camera tua?»
Stiles
tergiversò, grattandosi il mento – lo faceva da un po’, giocherellando con i
tre peletti che avevano iniziato a spuntare. «Perché è Derek?» rispose. Lo
sceriffo aprì la bocca, la richiuse e aggrottò la fronte.
«Non voglio
sapere, vero?»
«Non vuoi,
decisamente.»
«Okay» lo
sceriffo uscì chiudendo la porta. La riaprì l’istante dopo, prima ancora che la
serratura facesse lo scatto. «Solo... state attenti, okay?»
Derek abbaiò in
assenso.
***
Derek non aveva
nulla contro Lucas, davvero. Era un bravo ragazzo, simpatico e assolutamente
normale. Ci aveva parlato un paio di volte, quando, un mese dopo essersi
trasferito a Beacon Hills, era stato attaccato da quello che, ufficialmente,
era un coyote. Stiles e Lydia, che si erano trovati a passare fortuitamente
da quelle parti, lo avevano fatto salire sulla jeep e avevano denunciato
l’attacco di un animale selvaggio. Scott e Derek erano arrivati pochi
minuti dopo la pattuglia, come assistenti del veterinario il primo e del
cacciatore richiesto dallo sceriffo il secondo. Lo avevano ascoltato raccontare
come, dopo la fine del turno serale di lavoro alla caffetteria, stava tornando
a casa in bicicletta quando questo animale era sbucato dal buio degli alberi,
tagliandogli la strada. Lui era caduto, rotolando sul confine del bosco e lo
aveva visto piantarsi a pochi metri dalla sua bicicletta abbandonata. Aveva
avuto appena il tempo di pensare che sarebbe morto sbranato, da solo, al buio,
a poco più di diciotto anni, che la luce di due fari li aveva investiti e un
clacson suonato con forza aveva spezzato il silenzio attonito e terrorizzato.
L’animale era sparito un istante prima che la jeep si fermasse accanto a lui e
Lydia Martin aprisse la portiera, intimandogli di alzarsi e di salire.
Ciò che era
successo davvero era che qualcosa o qualcuno aveva bloccato Malia nella
sua forma animale, facendole perdere il contatto con la sua parte umana. Era
sparita per giorni nel bosco e, per tutto il tempo, Derek e il resto del gruppo
l’avevano cercata invano. Né Scott né Derek, né tantomeno Peter, erano stati in
grado di trovarla, finendo sempre per perdere le sue tracce di punto in bianco.
Poi Lydia aveva sentito la morte imminente di Lucas e lei e Stiles erano corsi
sul posto, mentre Scott e Derek tentavano di rintracciare Malia con l’aiuto di
Chris Argent e del resto del branco.
Quindi davvero,
Derek non aveva niente contro Lucas, era un bravo ragazzo, intelligente e
potenzialmente simpatico, eppure lui non riusciva a farselo piacere come
avrebbe voluto. Non sapeva perché, non riusciva a sorridere alle sue battute –
oggettivamente divertenti – né a guardarlo in modo meno ostile. Forse era per
la tensione che percepiva in lui?
«Così... ora hai
un lupo?»
«Così sembra.»
Lucas ammiccò
sorpreso, nella cornice della porta, fissando il folto pelo nero del lupo steso
sul copriletto, mentre Stiles impilava i libri con tutta la nonchalance di cui
era in possesso – e non era molta, ad essere sinceri. Derek avrebbe potuto dire
che stava cercando di nascondere qualcosa anche solo a giudicare dal sorriso
assolutamente falso che stava regalando all’altro ragazzo o dal fatto che
avesse rischiato di spezzarsi una gamba due volte in meno di un minuto per
recuperare un paio di libri, quando si era reso conto che a bussare non era
stato suo padre, bensì Lucas. Derek apprezzava lo sforzo di Stiles di voler
tenere nascosto il problema del soprannaturale infestante lì a Beacon Hills ma
sarebbe stato meno sospetto tappezzando la città con il resoconto degli ultimi
due anni circa della loro vita comune.
«E c’è un motivo
particolare?» domandò il ragazzo, teso e nervoso. Era evidente che era incerto
se seguire l’istinto e scappare dal grosso lupo potenzialmente cattivo, o
fidarsi del fatto che il grosso lupo potenzialmente cattivo sembrava più che
avvezzo alla presenza umana e, pur restando grosso, non pareva per nulla
cattivo.
Stiles guardò
Derek, accucciato sulla sponda del letto, e poi Lucas che, incerto, spostava il
proprio peso da un piede all’altro, in un balletto nervoso. Inspirò,
stringendosi nelle spalle, in un tentativo di minimizzare la questione.
«L’hanno trovato
l’altro giorno e Scott non può tenerlo perché… sua madre è allergica al pelo.
E… e Deaton non c’è, quindi… eccolo qui»
«Eccolo qui»
Lucas ammiccò confuso e Derek poteva capirlo, davvero. Era la scusa più stupida
e debole che avesse mai sentito, e Lucas continuò a guardarlo poco convinto.
«Questo non spiega davvero perché c’è un lupo in camera tua. O perché siamo
ancora vivi» continuò. Derek voltò il muso verso Stiles, curioso di vedere come
avrebbe risposto, e ritrovandosi a guardarlo allargare il sorriso – falso come
quando aveva un incubo e cercava di nasconderlo – e scrollò di nuovo le spalle.
«È addomesticato.
Più o meno. Forse era di qualche folle riccone che l’ha perso o è fuggito da
qualche circo, chi lo sa. Papà sta facendo le dovute ricerche, non è che ci
siano molti altri lupi in California. A ben vedere non ce ne sono. Nel
frattempo è un ottimo scaldaletto» disse con un ghigno, e Lucas sorrise,
facendo finalmente un passo in avanti. Sembrava che qualunque cosa Stiles
dicesse andasse bene, per lui, anche quando puzzava di bugia da chilometri di
distanza.
«Ce l’ha un
nome?» domandò allora Lucas, liberandosi gli occhi da una fastidiosa ciocca di
capelli biondo cenere. Sembrò intenzionato a sedersi sul letto, ma scartò
l’idea e recuperò la sedia dalla scrivania. Stiles ammiccò, preso in
contropiede dalla domanda e Derek si chiese perché avrebbe dovuto avere
un nome, era un dannato lupo, non un cane.
«Mr. Fluffy»
disse invece Stiles e Derek abbaiò, facendolo sussultare. Stiles gli tirò un
orecchio e Derek ringhiò piano, scoprendo i denti. Lucas s’irrigidì e si
allontanò scivolando un po’ indietro sulle rotelle, poco convinto.
«Non credo gli
piaccia» mormorò e Stiles batté il muso di Derek con due dita, in ammonimento.
«È solo
permaloso, ma è innocuo, davvero.»
Derek sbuffò
contro le sue dita e voltò il muso, ripromettendosi di mordere Stiles appena si
fosse addormentato. Lucas rise, più rilassato, ma Derek non riaprì gli occhi né
prestò loro altra attenzione. Li sentì chiacchierare di Scott e Lydia e del
ballo d’Inverno ormai prossimo, ma erano un quieto sottofondo, un basso ronzio
fatto di risate e voci familiari. Poi qualcosa cambiò nella voce di Lucas – in
tutta la sua persona – e Derek sentì chiaramente il nervosismo rovesciarsi su
di lui come un secchio di acqua gelida. Le orecchie si rizzarono e il naso
vibrò, annusando l’odore di ansia adolescenziale e di... desiderio.
Derek sapeva cosa
stava per succedere, se lo aspettava da giorni, addirittura da settimane, ma
ritrovarsi ad essere spettatore involontario di quel momento non era
esattamente nei suoi piani, né nei suoi di desideri. Sapeva cosa stava per
succedere perché l’aveva letto negli occhi di Lucas l’ultima volta che si erano
parlati, due settimane prima. Aveva letto nella piega del sorriso di Lucas e
nell’incertezza dei suoi gesti l’interesse timido appena nato, nelle domande
strategiche e nella curiosità di testare il campo prima di provare ad
avventurarsi. Quindi quando lo sentì chiedere a Stiles se aveva già qualcuno
con cui andare al ballo, non si meravigliò più di tanto, davvero.
«Nah» rispose
Stiles, scrollando le spalle. «Credo ci andrò da solo o con Scott, se non si
deciderà a chiederlo a Kira. L’anno scorso era troppo presto, era passato
troppo poco tempo dalla…» Stiles prese un respiro appena un po’ incerto, il suo
cuore salto un battito e poi sorrise. Allison. «Potrei chiederlo a
Lydia, siamo amici ormai, ma credo che continuerebbe a dirmi di no come ha
fatto finora. Due anni fa ha accettato solo perché... non è importante. Tu?»
domandò e allargò il sorriso in una di quelle smorfie inquietanti che Derek non
credeva si rendesse conto di avere. E poi era Derek quello che metteva ansia
alle persone.
«Ahem... no. Non
ancora» disse l’altro e si grattò la testa, prendendo un respiro profondo. Si
torturò le mani per un istante, poi guardò Stiles e Derek percepì che il suo cuore
aveva perso di nuovo un battito «Quindi ti andrebbe di andarci insieme?» si
decise finalmente a sputare fuori Lucas e Derek sentì il pelo rizzarsi appena.
Avvertiva l’istinto di ringhiare che gli pizzicava la gola ma lo trattenne,
imponendosi di non interferire. Lo sapeva che sarebbe arrivato quel giorno e
sarebbe stato solo ipocrita da parte sua intromettersi in quel momento. La sua
scelta l’aveva fatta, mesi prima, e ora poteva solo convivere con le
conseguenze.
Stiles ammiccò
sorpreso e aggrottò la fronte, inclinando un po’ il viso. «Certo?» disse dopo
un attimo di esitazione. «Come amici?»
«Oh sì, certo,
come amici!» si affrettò a mentire Lucas. Subito dopo si morse le labbra e
aggiunse: «Oppure no?»
Stiles aprì la
bocca, gli occhi sgranati e il fiato bloccato nel petto. Derek poteva sentire
chiaramente il suo cuore accelerare la corsa del sangue, spingerlo e pomparlo
nelle vene con forza, neanche stesse correndo a perdifiato. Vide il rossore
risalirgli al viso e accendergli le guance, fino a rendere i suoi occhi lucidi.
Balbettò e guardò più volte Derek, in cerca di aiuto – o solo in imbarazzo
perché... beh, entrambi sapevano perché, non c’era bisogno di
ripensarci. Derek non aveva alcuna intenzione di ripensarci.
«Ah... io...
cosa?»
Lucas si agitò
sul posto, slittando appena con le rotelle. «Ti andrebbe di venire al ballo
d’Inverno con me? Come... uhm, non come amici?»
Stiles continuò a
fissarlo a bocca spalancata, gli occhi che minacciavano di saltar fuori dalle
orbite e rotolare sul copriletto. Derek si ripromise di mangiarli se fosse
successo, solo per punirlo di star facendo venire un infarto all’altro ragazzo.
Stiles avrebbe dovuto sapere cosa significava essere da quel lato della
barricata, non avrebbe mai dovuto comportarsi così.
Lucas distolse lo
sguardo e si schiarì la voce, strofinandosi le mani sudate sui jeans. Derek
ringhiottò e diede un blando morso sulla coscia di Stiles, che sussultò e
rimise a fuoco la stanza e Lucas giusto in tempo per sentirlo dire: «Sai cosa?
Lascia stare, non è... non è importante.»
«Cosa? No! No,
no, non puoi rimangiartelo!» scattò Stiles, alzandosi in piedi quando l’altro
fece per andarsene e battere in ritirata. Lucas tentennò e fece un passo in
avanti, le mani che si aprivano e chiudevano nervosamente.
«Perché?»
domandò, leccandosi le labbra. Il cuore gli batteva all’impazzata nel petto e
sulla nuca i capelli si arricciavano per il sudore che gli imperlava la pelle
pallida. Aveva le guance rosse e le orecchie che sembravano pronte ad
accendersi per combustione spontanea. Odorava di ormoni e di ansia e Derek non
aveva bisogno di essere un lupo – o un licantropo – per capire che tutto ciò
che voleva fare era baciare Stiles lì e subito. A dire la verità non si era
aspettato tutto quel controllo. Stiles, invece, sembrava preda ai suoi soliti
attacchi di iperattività, con le pupille dilatate, lo sguardo che vagava per la
stanza e il respiro che gli ingolfava il petto, neanche fosse in overdose da
caffeina.
«Perché... perché
se te lo rimangi non posso... Cioè, immagino che potrei...» Stiles non terminò
mai la frase, ma Derek non credeva ce ne fosse bisogno. Lucas sorrise
timidamente e fece un altro passo in avanti, sfiorando con le mani quelle
nervose dell’altro. A occhi bassi, fissi sulle lunghe dita di Stiles che si
lasciavano prendere e stringere, Lucas si morse il labbro, un sorriso
impossibile da nascondere stampato sul viso.
«Posso baciarti?»
domandò e il cuore di Stiles minacciò seriamente di fermarsi. Il suo sguardo si
poggiò per un attimo su Derek e poi tornò sul viso di Lucas, mentre Stiles
accennava un sorriso.
«O-okay» gracchiò
e Derek sviò la propria attenzione per lasciar loro un po’ di privacy. Voltò il
muso verso la finestra e pensò a Malia e a Lydia, a Deaton, a Chris Argent e
agli altri intenti a cercare un modo per farli tornare umani. Pensò a chi lo
aveva ridotto in quello stato e si chiese se l’avesse fatto per impartirgli una
lezione o solo perché, come Stiles ripeteva in continuazione, il mondo era
pieno di pazzi annoiati. In ogni caso, stava riuscendo a fargli più male di
quanto probabilmente avesse progettato all’inizio.
Pensò a qualunque
cosa potesse distrarlo da ciò che stava succedendo alle sue spalle, dalle
labbra di Lucas premute contro quelle di Stiles e dall’abbraccio timido della
novità in cui erano stretti.
Non servì a
molto. Sapeva esattamente cosa stavano facendo senza doverli guardare. Sapeva
che Lucas avrebbe stretto Stiles a sé, magari uncinando i passanti dei jeans
con le dita per tirarselo vicino, e che Stiles avrebbe risposto all’abbraccio
in modo goffo e un po’ nervoso, molto imbarazzante, prendendo lunghi respiri
col naso ad occhi chiusi per non smettere di baciarlo.
Era tutto
sbagliato e Derek finse che non fosse importante, che non fosse quello il modo corretto
di baciare Stiles o che lui non conoscesse la differenza.
Derek provò a
ignorare lo scorrere dei minuti, per tutto il tempo in cui Lucas e Stiles
restarono accanto al letto, abbracciati, ad esplorarsi per la prima volta, e
fece anche finta di non notare quanto era grande il buco che si era aperto al
centro del suo petto, istante dopo istante, ad un ritmo scandito dai loro
respiri. E quando Lucas se ne andò, secoli dopo, Derek finse di non esserne
sollevato.
Quando Stiles
tornò in camera, dopo averlo accompagnato alla porta, aveva le guance di un
rosso scarlatto e gli occhi più grandi e lucidi che Derek avesse mai visto. Era
bellissimo in un modo che solo Stiles sapeva essere e che faceva male.
«Non una parola»
gli intimò, puntandogli un dito contro. Derek scese dal letto, si stiracchiò,
puntando le zampe anteriori e inarcando la schiena, e uscì senza degnarlo di
uno sguardo. Finse, ancora una volta, di non avvertire che Stiles lo stava
seguendo con gli occhi mentre attraversava il corridoio, né di sentire l’odore
di Lucas su di lui quando gli passò accanto. Finse indifferenza – quasi noia –
e scese le scale, in cerca d’acqua.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Titolo: Beyond the wolf
Fandom: Teen Wolf
Pairing/Personaggi: Sterek ( ♥ ) , stiles/OMC, Scott McCall,
Sceriffo Stilinski, un po’ tutti
Rating: R
Charapter: 2/8
Beta: Nykyo
Genere: future!fic a partire dalla 3B, circa
Warning: slash stuff, magical stuff, avventura, azione, one side!Derek,
pomiciamento più o meno spinto.
Summary: A un anno dalla
sparizione della Nogistune e della fine definitiva di Kate 2.0, il branco si
ritrova a dover affrontare una nuova emergenza: qualcosa blocca Derek e Malia
nelle loro forme animali e proprio quando gli omicidi rituali ricominciano.
Note: Questa storia è stata scritta
durante la pausa tra la 3B e la 4 stagione e durante la
4 stagione, ma prende una discreta distanza dagli avvenimenti di quest'ultima.
È, in pratica, un enorme pov Derek, ed è nata
per prendere in giro un'amica e il suo odio per le tirate chilometriche sugli
occhi che ogni tanto si trovano in certe fic. Quindi, lasciatemela dedicare a
Nadia: è stato divertentissimo vedere come da una sciocchezza sia nata una
storia che mi ha accompagnato per mesi, mi ha fatta dannare e mandare al
diavolo la stupidità di Derek ♥
La storia, inoltre, partecipa alla prima
edizione del Teen
Wolf Big Bang Italia e si avvale, quindi, di gift bellerrimi da parte di
due fanciulle adorabili. Lasciatemi quindi ringraziare dal più profondo del
cuore AlexCoffeegirl per questa bellissima art e Phoenix
Bellamy per questa bellezza di fanmix ♥ ♥ ♥ Sono state
bravissime e le devo un grazie dal cuore per aver scelto la mia storia e
fattomi emozionare con i loro lavori ♥
And last but not least, fatemi dare un grosso
bacio e dire un enorme grazie a Nykyo per aver betato e seguito questa storia con amore e
attenzione ♥
DISCLAIMER: vorrei
tanto possedere Derek, ma no, né lui né nessun altro mi appartiene .__. Neanche
Stiles, no *sigh*
La cosa più
sorprendente dell’essere bloccato in quella forma, comunque, era il suo
riuscire ancora a pensare razionalmente. Derek aveva sempre creduto che
abbracciare la sua parte animale, lasciare emergere il lupo, significasse
abbandonare la razionalità del suo essere umano e lasciarsi andare all’istinto.
Aveva sempre pensato che da lupo i suoi pensieri sarebbero stati molto più
semplici, più lineari e basici e all’improvviso gli tornò in mente sua madre e
il suo sorriso, il pelo morbido della sua forma-lupo e la ruvidità della sua
lingua quando lo leccava – a ogni occasione possibile. Gli occhi di sua madre
non erano mai cambiati e lo avevano sempre guardato con lo stesso amore, in
qualunque forma lei fosse.
Talia non gli
aveva mai detto che, a ben vedere, restare se stessi in forma di lupo era molto
più facile di quanto lui non avesse mai immaginato. Ad essere sinceri lui non
le aveva mai chiesto nulla al riguardo, dando per scontate cose che,
evidentemente, non lo erano. Eppure Malia aveva avuto problemi all’inizio,
subito dopo la trasformazione, era stata confusa dal ritrovarsi coyote
all’improvviso, motivo per cui era scappata, incappando in Lucas e quasi
uccidendolo – per legittima difesa, se così si poteva dire.
Lui invece era
rimasto lucido e cosciente per tutto il tempo, fin dai primi istanti in cui il
dolore gli aveva squassato il corpo, trasformandolo. C’erano stati Stiles e
Scott con lui, quella volta, intenti a cercare il motivo che aveva fatto
scattare la trasformazione di Malia, così all’improvviso durante un allenamento
del branco nel bosco.
Derek ricordava perfettamente il ringhio
del lupo che combatteva per venire fuori, per prendere il sopravvento, e come
lui aveva lottato per tenerlo a bada, con i denti e con le unghie, affinché
Scott e Stiles fossero in salvo. Forse era stato quello a mantenerlo umano: la
consapevolezza di voler proteggere qualcuno, di volerlo tenere al sicuro da chiunque,
se stesso compreso, perché Scott era il suo Alpha e non avrebbe avuto
difficoltà a sottometterlo, ma se nel frattempo lui avesse fatto del male a
Stiles? Non l’avrebbe mai permesso, a costo di sopprimere la sua stessa natura.
Era per questo che era lì, in quella camera da letto, a ben vedere, per
proteggerlo da chiunque si stesse divertendo a loro spese, mentre Malia, ora
che era stata ritrovata e si era calmata, si occupava di proteggere Lydia.
Tanto meglio per la loro appena nata alleanza,
lui non aveva alcuna intenzione di muoversi da quel letto o di distogliere
l’attenzione dal suo occupante, anche ora che il sole stava sorgendo e che Stiles
sarebbe dovuto andare a scuola.
Come richiamata dai suoi pensieri, la
sveglia suonò con insistenza e Stiles grugnì nel sonno, allungando una mano in
automatico per spegnerla, senza neanche tirar fuori la testa da sotto il
cuscino. Derek, accucciato ai suoi piedi, alzò il muso e abbaiò piano per
dirgli di alzarsi, ma l’altro non sembrò sentirlo. Derek lo spinse col muso,
tirando le lenzuola con attenzione per non morderlo e Stiles mugolò,
infastidito, agitando una mano in aria e arricciandosi meglio sotto le coperte.
Derek sbuffò – o almeno si produsse nel corrispettivo lupesco di uno sbuffo – e
si alzò, annusandolo prima di decidersi a passare alle maniere forti: afferrò
la manica della maglietta e tirò, trascinandolo verso il bordo. Stiles si
lamentò e cercò di opporre resistenza, ma Derek era grande come lupo, nel pieno
delle sue forze e soprattutto sveglio. Non ci volle molto perché fosse
costretto a scendere dal letto per poter continuare a tirare, tra le proteste
di Stiles.
«Derek!» brontolò Stiles, poggiando una mano
sul pavimento, quando per poco non cadde. «Ho capito, ho capito, mi alzo»
sbadigliò, rotolando sulla schiena e, finalmente, mettendosi a sedere al centro
del caos di lenzuola e coperte. Fece appena in tempo a poggiare i piedi per
terra che la porta si aprì e lo sceriffo li guardò sorpreso.
«Sei sveglio.»
«Sì, qualcuno ha deciso di buttarmi
giù dal letto.»
Lo sceriffo guardò Derek, seduto composto
nell’angolo sotto la finestra, serio e silenzioso, e annuì. «Grazie per
l’aiuto» disse, voltandosi poi verso il figlio. «A scuola, niente digressioni
sovrannaturali»
Stiles brontolò, ma filò in bagno. Derek aspettò di sentire l’acqua scorrere
prima di scendere in cucina in tempo per vedere lo sceriffo versarsi una dose
doppia di caffè nero. «Ne vuoi un po’?» gli chiese con un sorrisino ironico e
Derek abbaiò perché sì che ne voleva. Gli mancava il caffè, dannazione.
Ciò che invece ricevette fu una pacca tra
le orecchie mentre l’odore delle salsicce che sfrigolavano sul fornello gli
stuzzicava il naso e lo stomaco.
Derek sbuffò e fece il giro del tavolo,
puntando le orecchie verso i rumori esterni, le auto che passavano sporadiche, cariche
di bambini e adolescenti diretti verso le scuole, e di adulti annoiati e poco
volenterosi di cominciare quel lunedì mattina pieno di lavoro e impegni. Derek
poteva capirli, anche lui odiava il lunedì. Era strano, ma sembrava che di
lunedì capitassero sempre le cose più assurde e ridicole – e quelle più brutte.
Lui aveva un vago ricordo di aver conosciuto Kate esattamente un quarto d’ora
dopo la mezzanotte del primo lunedì dei suoi quindici anni. Tre anni prima, sempre
di lunedì, si era rotto un braccio cadendo dal letto a castello che divideva
con Cora e aveva imparato a sue spese quale fosse la sensazione di un osso che
si rinsaldava, riposizionandosi correttamente. Non era stato piacevole. E Derek
poteva contare almeno un'altra decina di episodi simili, tutti avvenuti di
lunedì, a qualsiasi ora del giorno o della notte – tra cui l’ultimo ma non meno
importante era ciò che gli stava accadendo ora con la maledizione. Che, okay,
non l’aveva colpito esattamente di lunedì, ma ormai era lunedì,
quindi il punto rimaneva. I lunedì erano orribili giorni che sarebbero dovuto
essere cancellati dal calendario. Per sua sfortuna, ancora nessuno aveva
pensato bene di farlo.
I passi giù per le scale lo richiamarono e
annunciarono l’arrivo di Stiles, prima ancora che il ragazzo entrasse. E quando
in effetti Stiles entrò, seguito dall’odore di sapone e di ormoni
adolescenziali, Derek aveva il muso puntato verso la porta, in attesa.
«Siamo sicuri che non gli facciano male?»
domandò il Stiles, guardando suo padre far scivolare un paio di salsicce ancora
fumanti in una ciotola e posarla davanti alle zampe di Derek. Lo sceriffo gli
rispose con lo stesso sguardo, rimanendo accucciato accanto al lupo.
«Cos’altro vorresti dargli? È un lupo.»
«Non lo so, croccantini per cani?» tentò
Stiles, dubbioso, arretrando d’istinto quando Derek ringhiò. Col cavolo che
avrebbe mangiato croccantini. Che li mangiasse Stiles, se proprio voleva.
Lo sceriffo sorrise a mezza bocca e si
alzò, facendo leva con le mani sulle ginocchia. «Hai avuto la tua risposta,
figliolo» disse, dandogli una pacca di conforto sulla spalla, mentre Stiles
borbottava contro stupidi lupi permalosi. Derek si ripromise ancora una
volta di morderlo.
Poi però il profumo delle salsicce tornò a
invadergli il naso e mandò al diavolo Stiles e le sue stupide idee alimentari
per addentare la prima. Oh sì, adesso ragionavano.
Non ci furono molte altre parole a spezzare
i suoni tipici di una prima colazione: tazze bevute e poggiate sul tavolo e
posate che battevano tra loro e contro i piatti che, morso dopo morso, venivano
svuotati. Poi il rumore di un’auto che parcheggiava davanti la casa attirò la
sua attenzione e Derek puntò il muso verso la porta proprio quando il
campanello suonò. Stiles si alzò e andò ad aprire, precedendo Parrish nel
tornare in cucina.
«Buongiorno, sceriffo» salutò il
vicesceriffo con un cenno della testa e arretrando subito dopo di due passi,
sorpreso, quando notò lui, l’enorme lupo nero steso ai piedi del suo
superiore.
«Ah, Parrish, accomodati. Vuoi del caffè?
Stiles, versagliene una tazza» disse lo sceriffo, seguendo lo sguardo dubbioso
dell’altro con un sorriso divertito. «Cos’è quella faccia, Parrish? Non hai mai
visto un lupo addomesticato?»
«A essere sincero no, signore, no» disse,
scuotendo poi la testa quando vide Stiles recuperare la brocca di caffè. «Oh
no, grazie, no, non... ero solo passato per ricordarle dell’incontro di
stamattina con il Sindaco, sceriffo.» Derek sbadigliò e la mano di Parrish
scivolò discretamente verso la fondina. Lo notarono tutti, ma nessuno disse
nulla.
«Hai notato anche tu che sta cominciando a
dimenticarsi le cose? Che dici, sarà la vecchiaia?» lo distrasse Stiles, la
brocca di caffè ancora tra le mani. Suo padre gli allungò uno scappellotto
dietro la testa e con un cenno gli intimò di riempirgli al tazza vuota.
«Il vecchio qui è quello che riempie il
serbatoio della tua jeep, quindi vedi di trattarlo bene o potrebbe decidere di
ritirarti il privilegio di possederla» disse lo sceriffo, dopo un sorso di
caffè.
Stiles lo guardò indignato e Parrish e lo
sceriffo si scambiarono un sorriso. Derek sbuffò, divertito. Parrish lanciò
un’altra occhiata al lupo, questa volta stringendosi la tesa del cappello tra
le mani. «Devo chiederlo: da dove è sbucato?»
«Aehm...» fu la risposta di Stiles, che
guardò suo padre in cerca di aiuto. «L’abbiamo trovato» disse l’attimo dopo,
nello stesso istante in cui lo sceriffo disse: «È di Derek Hale»
Parrish inarcò un sopracciglio. Se avesse
potuto, Derek avrebbe sollevato gli occhi al cielo. Ora sì che vedeva la
somiglianza tra padre e figlio. L’incapacità a dire bugie doveva essere genetica.
I due – cretini – si guardarono l’un l’altro e presero in respiro in
sincrono. Stiles tentò una risatina e suo padre si grattò la testa. «Derek lo
ha trovato.»
«E ci ha chiesto di tenerlo.»
«Perché è fuori città.»
«Per lavoro.»
Il silenzio si protrasse a lungo e Parrish
continuò a guardarli dubbiosi, ma non parlò; lo sceriffo si alzò, guardando
l’orologio. «Dannazione, è tardi. Tu, a scuola» intimò a suo figlio proprio
mentre il campanello di casa suonava di nuovo.
Questa volta fu Wiggins a entrare,
levandosi il cappello, con un sorriso di cortesia.
«Mi dispiace interrompervi, ma hanno appena
dato l’avviso di un uno-otto-sette e hanno detto che lei avrebbe voluto—cosa...»
disse, puntando la pistola alla vista del lupo.
Wiggins era nuovo, una recluta fresca d’accademia
– beh, fresca di un anno – era molto timido e si portava dietro un costante
odore di nervosismo e di ansia. Questo però, per quanto riguardava Derek, non
lo giustificava dal puntargli una pistola al viso – muso – quindi
rimbrottò offeso.
«Giù la pistola, Wiggins» gli ordinò lo
sceriffo. Wiggins lanciò uno sguardo incerto verso Derek, ma la rinfoderò, sforzandosi
di tornare a guardare il suo superiore quando riprese a parlare.
«Chiamo il Sindaco e vengo con voi» disse.
«Di cosa si tratta?» chiese, portandosi la tazza alle labbra per finire il suo
caffè.
Il giovane scosse la testa. «Mi hanno detto
di dirle: tre volte morto.»
A quelle parole Derek alzò il muso, Stiles
si voltò a guardare a occhi sgranati il poliziotto e lo sceriffo si versò il
caffè addosso.
«Ah… maledizione» borbottò quest’ultimo,
ripulendosi col tovagliolo. «Voi due andate e delimitate l’area. Non fate
avvicinare nessuno, non rilasciate dichiarazioni con i media. Anzi, fate in
modo che non sappiano niente» ordinò, sbottonandosi la camicia e aggirando il
tavolo. I due sottoposti annuirono, scambiandosi uno sguardo nervoso – per loro
nulla di tutto ciò doveva avere senso, dopotutto – e uscirono, richiudendosi la
porta alle spalle, dopo un cenno di saluto.
Appena fu certo di non essere più sentito,
lo sceriffo si strofinò la testa, teso, e guardò Stiles. «Che diavolo
significa? Non era finita con il druido?»
«Darach e non lo so, okay? Non ha
senso.» Derek li seguì su per le scale, Stiles che recuperava la camicia
sporca e lo sceriffo che s’infilava nella camera da letto per indossarne una
pulita. Non ci voleva. Non poteva succedere di nuovo, non con lui in quella
forma per chissà quanto tempo. E se Jennifer era tornata... dio, no, dovevano
trovare il modo di liberarlo da quella stupida maledizione il prima possibile.
«Okay, okay, me ne occupo io. Andrò a
parlare con Deaton appena ne avrò la possibilità» disse lo sceriffo, ritornando
in corridoio appuntandosi la nuova divisa.
Stiles annuì
e guardò Derek, poi stirò le labbra. «Io provo a chiedere a Scott. Solo
chiedere» specificò quando l’espressione di suo padre dichiarò quanto poco
apprezzasse l’aiuto. «Solo raccolta informazioni, promesso.»
Lo sceriffo
tentennò, poi annuì e gli fece una carezza tra i capelli. «Rimanete fuori dai
guai. Entrambi» disse, lasciandoli sui primi gradini delle scale – e
Derek si chiese se parlasse di lui o di Scott.
***
Derek sarebbe dovuto rimanere a casa.
Stiles era stato più che chiaro e lui stesso si rendeva conto che un lupo in
giro per la città non era qualcosa che passava inosservato. Ma dopo quello che
aveva saputo, non poteva restare accucciato in casa in attesa di sviluppi. E
soprattutto non poteva lasciare Stiles senza una difesa, quando Jennifer era lì
fuori in cerca di vendetta – di nuovo. Per questo aspettò che lo sceriffo
uscisse e che Stiles si allontanasse con la sua jeep in direzione della scuola,
prima di raggiungere la porta e aprirla con due zampate sul pomello. Un’auto
passò tra gli schiamazzi di bambini e la voce disperata di un padre in ritardo
per la scuola e per il lavoro. Derek mise il muso fuori dalla porta e scivolò
silenzioso attraverso il giardino e sul limite della strada. Rimase nell’ombra,
discreto, raggiungendo il bosco e da lì il confine, poco distante, con la
scuola e aspettò, puntando tutti i suoi sensi verso l’edificio nella ricerca di
Stiles. Lo trovò nel corridoio, vicino l’armadietto di Scott, mentre lo
aggiornava sulle novità della mattina, con Lydia che tratteneva il respiro. «Ne
parliamo a pranzo» disse lei, e Derek poté quasi visualizzarla mentre prendeva sotto
braccio al volo una Kira appena arrivata e si allontanava dagli altri due con
un ticchettio nervoso di tacchi.
Poi la campanella diede inizio alle lezioni
e Stiles e Scott vennero inglobati da professori, libri e test a sorpresa.
Derek rimase lì, ai limiti della boscaglia, sul tappeto di foglie alle radici
di alberi ormai spogli, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare per accelerare le
cose, per trovare Jennifer e neutralizzarla prima che facesse del male a
qualcun altro – soprattutto a qualcuno a lui caro.
Lo scricchiolio dei rametti dietro di lui
anticipò l’arrivo del coyote al suo fianco. Malia si leccò il muso, degnando
Derek di un rapido sguardo, e si accucciò a pochi passi da lui, vista e olfatto
diretti verso la scuola.
Le ore passarono in assoluto silenzio,
senza che i due si interessassero ad altro che non fossero i loro compagni
chiusi tra le mura scolastiche, di vedetta, a silenziosa protezione del branco
fino a quando il suono della campanella risuonò nell’aria, liberando gli
studenti e i professori per il pranzo e dando a loro due la sensazione che il
tempo ricominciasse a scorrere regolarmente.
Stiles e Scott si ricongiunsero a Lydia e a
Kira e, parlando tra loro, si sedettero al solito tavolo nel cortile. Non
l’avevano mai cambiato da quando, più di un anno prima, era stato
inconsciamente eletto all’unanimità a tavolo del branco.
Era stato il tavolo di Allison e Isaac, lo
stesso tavolo dov’erano seduti la prima volta che Kira si era avvicinata a loro,
sentendoli parlottare del bardo e degli effetti che stava causando e delle
conseguenze che avrebbe portato.
Subito dopo il funerale di Allison, erano
rimasti al cimitero, riuniti attorno alla lapide, a raccontarsi l’un l’altro
aneddoti e ricordi su di lei. Scott aveva pianto, Lydia lo aveva abbracciato e
lo aveva seguito dopo pochi istanti e Stiles aveva finito per farli ridere
ricordando loro una vecchia confusione sul nome proprio del bestiario. Chris li
aveva trovati seduti a gambe incrociate sull’erba fresca attorno alla terra
smossa ancora umida e aveva poggiato una mano sulla spalla di Scott e una su
quella di Isaac; aveva guardato Derek negli occhi e si era seduto tra loro,
accarezzando con struggente dolcezza la lapide di sua figlia. Aveva cominciato
a raccontare delle prime parole di Allison e dei suoi primi passi, delle
domande imbarazzanti che gli aveva posto nell’arco degli anni e della
determinazione con cui gli aveva detto, dopo la morte della madre e a poche ore
dalla partenza per Parigi, che sarebbero tornati in tempo per l’inizio del
nuovo anno scolastico, che non aveva alcuna intenzione di scappare di nuovo,
che non l’avrebbe fatto mai più in vita sua. Derek aveva chinato il capo,
chiuso gli occhi, e lasciato che la pressione della spalla di Stiles contro la
sua aumentasse appena, mentre Chris continuava a parlare della sua bambina e di
come fosse diventata una donna prima che lui se ne rendesse conto, anche se ne
era stato immensamente orgoglioso, nonostante tutto.
Sedersi a quel tavolo era diventato un modo
come un altro per ricordare chi non c’era più, chi, come Allison e Boyd ed
Erica e Aiden, aveva dato la sua vita per il branco, e chi, come Isaac e Cora
ed Ethan, era dovuto andar via per continuare a vivere.
«Quindi è vero?» chiese Lydia. Né Derek né
Malia potevano vederli, ma entrambi sapevano che aveva l’aria spaventata e che
si sentiva come se fosse stata toccata da un’improvvisa corrente gelida. Jennifer
non era un bel ricordo per Lydia tanto quanto non lo era per Derek o Stiles o
Scott.
Stiles sospirò. «Stamattina è stato trovato
un cadavere. Segni di soffocamento, trauma cranico e taglio della carotide»
elencò, «Mio padre mi ha dato gli ultimi aggiornamenti.» Lydia tremò – e Malia,
accanto a Derek, si agitò sul posto, controllando l’istinto di andare da lei
per consolarla.
«Scusate, ma cosa significa?» domandò Kira,
timorosa ma comunque consapevole che metterla al corrente avrebbe riportato allo
scoperto ferite mai guarite. Scott sospirò e tentò un sorriso incoraggiante.
«Significa che ben presto avremo un
problema di morti seriali.»
Il silenzio che seguì fu pesante e cauto,
quasi incerto nel suo calare su un cortile pieno di risate e chiacchiere, di
adolescenti carichi di energia, di scontentezza e di speranza. Nessuno toccò il
proprio pranzo, troppo tesi e concentrati com’erano nel raccontare a Kira chi
era Jennifer Blake, chi era Deucalion e cos’era successo poco tempo prima che
lei si trasferisse a Beacon Hills. Kira li ascoltò con attenzione e a occhi
sgranati.
«Come possiamo trovarla?» chiese Lydia alla
fine, quando il resoconto fu terminato. «Dobbiamo trovarla prima che ricominci.
Non voglio incappare in altri cadaveri. E invece succederà, anche se non vorrò,
se non la fermiamo quindi ditemi che possiamo anticiparla e fermarla prima che
mi ritrovi di nuovo con le ginocchia nel sangue di qualche povero
vergine o giuro che a fare una strage sarò io!»
«E con questa nota di equilibrio mentale
direi di chiudere qui la riunione e di aggiornarci a più tardi» fu il commento
di Stiles, un attimo prima che la campanella suonasse.
Derek e Malia voltarono il muso a una
folata di vento che trasportò fino a loro l’odore di qualcosa di
sovrannaturale, strappandoli dalla loro missione di protettori a distanza. I
ragazzi stavano rientrando nelle classi, di nuovo assorbiti dalle lezioni e
dalla finzione di essere molto meno, e Derek non si sentì in colpa – non
troppo, per lo meno – ad allontanarsi con Malia, nel seguire quella traccia
effimera trasportata attraverso il bosco. Le foglie secche scricchiolavano
sotto i loro passi felpati, rompendo lo spettro dei suoni che pullulavano
attorno a loro, accompagnandoli nella caccia.
Il Nemeton si parò loro davanti dando a
entrambi la sensazione che il suo tronco tagliato fosse ancora lì, con le
fronde rigogliose e il potere che si dipanava da ogni foglia, da ogni ramo e
ogni gemma, come se il tempo non fosse mai passato. Per un attimo, Derek ebbe
l’impressione di avere di nuovo cinque anni ed essere fianco a fianco con sua
madre, che ne accarezzava il tronco robusto con affetto, il potere mistico che
li accarezzava come se ne riconoscesse le essenze, come se sapesse chi erano e
perché erano lì, che il loro compito era proteggere lui e l’intera città
circostante.
Eppure, in quel momento, con i sensi
affinati dalla sua forma lupo, Derek si rese conto che c’era qualcosa di
diverso dai suoi ricordi, che in quel luogo, il Nemeton non era l’unica fonte
di potere che poteva percepire. C’era qualcosa che ne distorceva la percezione,
ma lui non riusciva a capire cosa fosse. Malia passeggiò incuriosita attorno al
tronco, annusandone una radice enorme che spuntava dal terreno in una curva sinuosa
prima di rituffarsi nel suolo, anche lei consapevole che c’era qualcosa di
troppo.
Il crack di un ramo calpestato
spezzò il silenzio e riecheggiò nel vuoto dell’inverno ormai alle porte, e i
sensi di Derek si risvegliarono nel percepire un odore peculiare, ormai più che
noto. Ebbe appena in tempo di voltarsi che Lucas sbucò da dietro un paio
d’alberi, incespicando nei suoi stessi passi. Malia saltò nei cespugli appena
in tempo e Derek si ritrovò faccia a faccia – beh, muso a faccia – con
il ragazzo, che ammiccò sorpreso. Lucas arretrò, battendo le palpebre, con il
cuore che gli schizzava nel petto per la sorpresa. Si stava chiedendo perché
lui era lì, e Derek avrebbe potuto fargli la stessa domanda.
«Mr... Mr Fluffy?» chiamò,
incerto. Derek abbassò le orecchie e scodinzolò, facendo qualche passo
verso di lui, come per incoraggiarlo. Lucas accennò un sorriso ed ebbe uno
spasmo nervoso alla mano quando Derek ci strusciò il muso contro per
rassicurarlo che era lui e che non l’avrebbe divorato. «Cosa ci fai qui? Stiles
lo sa?» gli chiese, accucciandosi davanti a lui. Derek poteva ancora sentire il
nervosismo irradiarsi dal ragazzo. Il suo cuore batteva più forte del normale e
notò le pupille che si dilatavano appena. Le mani infilate nel suo pelo erano sudate,
nervose e tiravano più del dovuto, ma Derek lo lasciò fare, annusandolo con
discrezione, e fu allora che si rese conto di una cosa: la sensazione di sbagliato
che sentiva attorno al Nemeton si espandeva e inglobava anche Lucas. Era lì,
sulla sua pelle, tra i suoi capelli, nel battito alterato del suo cuore e
risuonava senza possibilità di errore nelle sue vene.
Derek ebbe un fremito che gli fece rizzare
il pelo sul dorso.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Titolo: Beyond the wolf
Fandom: Teen Wolf
Pairing/Personaggi: Sterek ( ♥ ) , stiles/OMC, Scott McCall,
Sceriffo Stilinski, un po’ tutti
Rating: R
Charapter: 3/8
Beta: Nykyo
Genere: future!fic a partire dalla 3B, circa
Warning: slash stuff, magical stuff, avventura, azione, one side!Derek,
pomiciamento più o meno spinto.
Summary: A un anno dalla
sparizione della Nogistune e della fine definitiva di Kate 2.0, il branco si
ritrova a dover affrontare una nuova emergenza: qualcosa blocca Derek e Malia
nelle loro forme animali e proprio quando gli omicidi rituali ricominciano.
Note: Questa storia è stata scritta
durante la pausa tra la 3B e la 4 stagione e durante la
4 stagione, ma prende una discreta distanza dagli avvenimenti di quest'ultima.
È, in pratica, un enorme pov Derek, ed è nata
per prendere in giro un'amica e il suo odio per le tirate chilometriche sugli
occhi che ogni tanto si trovano in certe fic. Quindi, lasciatemela dedicare a
Nadia: è stato divertentissimo vedere come da una sciocchezza sia nata una
storia che mi ha accompagnato per mesi, mi ha fatta dannare e mandare al
diavolo la stupidità di Derek ♥
La storia, inoltre, partecipa alla prima
edizione del Teen
Wolf Big Bang Italia e si avvale, quindi, di gift bellerrimi da parte di
due fanciulle adorabili. Lasciatemi quindi ringraziare dal più profondo del
cuore AlexCoffeegirl per questa bellissima art e Phoenix
Bellamy per questa bellezza di fanmix ♥ ♥ ♥ Sono state
bravissime e le devo un grazie dal cuore per aver scelto la mia storia e
fattomi emozionare con i loro lavori ♥
And last but not least, fatemi dare un grosso
bacio e dire un enorme grazie a Nykyo per aver betato e seguito questa storia con amore e
attenzione ♥
DISCLAIMER: vorrei
tanto possedere Derek, ma no, né lui né nessun altro mi appartiene .__. Neanche
Stiles, no *sigh*
La spiacevole sensazione datagli da Lucas
non sparì, ma anzi lo accompagnò per giorni, acuendosi di più a ogni incontro.
Derek era irrequieto e non sapeva come spiegare a Stiles – o a Scott o a
chiunque altro – cosa ci fosse che non andava. Si limitava a gironzolare
nervoso per la casa a ogni uscita di Stiles con Lucas o a fissare il ragazzo
intensamente quando era questi a passare di lì per un saluto. Stiles rispondeva
al tutto guardandolo con le sopracciglia inarcate e borbottando tra sé frasi
incomprensibili.
«Sai, è ridicolo quanto tu sia ancora tu
anche in questa forma» disse Stiles, una settimana dopo l’inizio di quella
follia. Erano nella jeep, intenti ad andare alla clinica veterinaria per un
meeting del branco e per raccogliere informazioni da Deaton. Derek guardò fuori
dal finestrino, seduto sul sedile del passeggero, la lingua che spuntava appena
dal muso. Se lo leccò e tornò subito a farla penzolare in accordo col suo
respiro regolare.
Stiles svoltò a un incrocio e gli lanciò
un’occhiata rapida, stirando le labbra in un sorrisino vittorioso. «Parlo
esattamente di questo tuo atteggiamento, amico, già» aggiunse, rallentando per
far passare una scolaresca corredata di cappellini da baseball rosso fuoco.
Derek li sentì schiamazzare entusiasti della gita all’acquario e sentì le loro
maestre dirsi che avrebbero preferito restare a casa a riposare piuttosto che
vedere quei pesci e sentire quelle spiegazioni per l’ennesimo anno di fila.
Passò oltre come la jeep li ebbe superati, lasciandoli appena approdati sul
marciapiede dall’altro alto della strada, e si voltò a guardare Stiles,
incuriosito, almeno in parte, da quello che il ragazzo stava dicendo.
«Dico sul serio, è inquietante. Sei un lupo
derekizato e posso garantirti che non è una bella cosa» Se avesse potuto
Derek avrebbe chiesto di che diavolo stesse parlando – non è vero,
probabilmente anche in quel caso si sarebbe limitato a fissarlo lungamente
finché Stiles non avesse sbottato con le sue assurde spiegazioni non richieste
– ma in quella forma il massimo che poteva fare era ritirare la lingua e
chiudere le mascelle, fissandolo con l’espressione più seria possibile. Stiles
si voltò a guardarlo due volte, mentre accostava. «Vedi? È esattamente
di questo che parlo! Non puoi fissare la gente così, è inquietante! Hai
l’espressione di uno che sarebbe felice di banchettare con le mie viscere. Le
onde d’energia che ricevo non sono per nulla positive!» sbottò, agitando le
mani nella sua direzione alla menzione delle onde. Derek si limitò a
fissarlo ancora. «Oh mio Dio!» Stiles aprì lo sportello e saltò giù
dalla jeep, puntando un dito contro il lupo quando questi tentò di fare
altrettanto. «Scordatelo» gli intimò, spingendolo di nuovo al suo posto. «Tu
aspetti qui, non ho alcuna intenzione di vedere la gente impazzire per colpa di
un lupo sociopatico con tendenze omicide. Ci metterò un paio di minuti e poi
potremo andare da Scott e gli altri. Fino a quel momento: resta»
Derek non ebbe il tempo di poter fare
niente, che la portiera venne richiusa e Stiles attraversò la strada,
infilandosi nella caffetteria di fronte. Solo in quel momento Derek si rese
conto di dove effettivamente fossero e del perché fossero lì: Lucas. Quella era
la caffetteria dove Lucas lavorava dopo la scuola. Le orecchie da lupo
captarono la voce allegra di Stiles quando lo salutò, quella nota un po’
vibrante di Lucas quando disse il nome dell’altro, la sorpresa e la gioia per
un gesto così semplice ma così pregno di significato. Il suo udito da lupo
captò le risate e le parole scambiate, e come i toni si abbassarono un po’
quando passarono dalla richiesta di un caffè da portar via a una conferma del
fatto che si sarebbero visti quella sera stessa. Derek avrebbe voluto isolarsi.
Concentrarsi su altro, su qualunque altro suono, in modo da non dover sentire
l’evidente emozione non detta, a malapena contenuta. Invece subì
silenziosamente quella tortura, cogliendo i sorrisi compiaciuti vibrare tra le
parole sussurrate.
Cinque minuti dopo, Stiles tornò con un
caffè macchiato al caramello e un sorriso che gli tagliava il viso in due.
Derek finse di non esserne ferito e uggiolò solo per lo sbadiglio.
«Esagerato, sono stato velocissimo» disse
Stiles senza perdere un grammo d’allegria. Sembrava aver fatto il pieno per il
solo aver visto Lucas. Derek poteva giurare di non averlo mai visto così felice
dopo essere stato nella stessa stanza con lui. A ben vedere, dopo un po’ di ore
insieme, nessuno dei due sembrava più felice. Nonostante le cose tra loro
fossero migliorate molto nell’ultimo anno, restavano capaci di infastidirsi con
una sola frase. L’unica differenza era che ora erano consapevoli dell’affetto
incondizionato che nutrivano l’uno per l’altro, nonostante i continui
battibecchi e l’incompatibilità caratteriale.
Stiles non parlò più per tutto il viaggio,
continuando però a sorridere e mordicchiarsi le labbra. Il cellulare cinguettò
due volte e quando Stiles lo controllò a un semaforo, ridacchiò, scrivendo
qualcosa e ripartendo al verde. E quando arrivarono alla clinica veterinaria,
Derek poté quasi sentirlo canticchiare – cosa che lo fece solo sentire più in
colpa per quella sensazione di sbagliato che aveva percepito su Lucas giorni
prima.
Cosa avrebbe dovuto fare? Voleva proteggere
Stiles, proteggere il branco, ma aveva la spiacevole sensazione di essere
guidato dai suoi sentimenti personali piuttosto che da un istinto oggettivo di
protezione. Era geloso di Lucas, del fatto che potesse baciare impunemente
Stiles, del fatto che avesse avuto il coraggio di fare la sua mossa e fosse
stato premiato nel migliore del modi. In cuor suo voleva che Lucas fosse
cattivo, che fosse il darach che stavano cercando e voleva spazzarlo via e
allontanarlo da Stiles il prima possibile. Ma questo avrebbe comportato che
Stiles avrebbe sofferto, che si sarebbe sentito stupido e ingenuo, usato per
far del male al branco solo a causa della sua debolezza di voler amare e essere
amato.
Derek conosceva quella sensazione meglio di
chiunque altro – essere sfruttati da qualcuno che si ama era una sua
prerogativa, dopotutto – e non voleva che Stiles scoprisse cosa significava
essere presi in giro da chi, fino a un istante prima, aveva ripetuto di amarti,
di volerti con sé. Era una delle ferite peggiori che potessero essere inflitte,
di quelle che ti lasciano vuoto e avvilito, distrutto nell’animo prima che nel
corpo, e Derek sperava di non dover mai vedere Stiles in quelle condizioni.
«Nessuna novità?» Stiles e Derek
raggiunsero Lydia e Malia, che stava scendendo dall’auto con un balzo
aggraziato. Malia annusò l’aria e puntò i suoi occhi gialli su Stiles per un
istante, prima di guardare Derek. Quest’ultimo poteva praticamente sentire la
domanda inespressa nelle sue iridi: Non glielo hai detto?
No, certo che no. Come avrebbe potuto? E se
anche avesse potuto, come poteva fargli questo? Come poteva dire a
Stiles che il ragazzo che gli aveva fatto una silenziosa corte per più di un
mese, che aveva preso coraggio a quattro mani e gli aveva chiesto di
accompagnarlo al ballo era, probabilmente, il nemico che stavano cercando?
Derek le diede le spalle e si avviò senza
di loro verso la porta della clinica. Stiles, pochi passi dietro di lui,
borbottò su quanto quella forma tirasse fuori il peggio di lui, e lo seguì con
le altre due, spingendo la porta secondaria per farli passare.
Dentro, nella sala operatoria, Scott e
Deaton erano intenti a parlare tra loro, un gattino tremolante tra le mani del
primo e una siringa in quelle del secondo. Al loro ingresso, il gattino
s’irrigidì e soffiò, nervoso, e Scott lo accarezzò tra le orecchie, facendolo
calmare con un sussurro e un baluginio di occhi rossi.
«Vedi? Persino una palla di pelo come
questa ti trova inquietante» lo accusò Stiles e Derek si limitò a fissarlo,
seduto ai suoi piedi, la coda che però, di sua iniziativa, spazzava debolmente
il pavimento – la traditrice.
Lydia roteò gli occhi, Scott ridacchiò e
Deaton nascose un sorriso, gettando via la siringa.
«Direi che è il momento di controllare i
nostri amici» disse il veterinario, mentre Scott si allontanava con il gattino
per rimetterlo nella sua gabbietta con un’ultima carezza.
Malia, nel frattempo, avanzò con passo
felpato, saltando con un balzo sul tavolo da lavoro e accucciandosi davanti a
Scott. Lui le posò una carezza tra le orecchie e lei lo fissò stoica e
inespressiva – per quanto, di contro, potesse essere espressivo un coyote.
La visita non durò a lungo per nessuno dei
due. Entrambi erano in ottima salute e nulla dava a pensare che ci fosse
qualche pericolo per loro nel restare in quella forma a lungo. Dopotutto Malia
aveva passato nove anni da coyote senza alcun tipo di controindicazione
psicologica o fisica.
«Ma è reversibile, vero?» domandò Stiles,
rivolgendo a lui uno sguardo teso. Derek non sapeva se per l’idea di non
vederlo mai più umano o di doversi prendere cura di un lupo per molto altro
tempo. Come se poi Derek fosse disposto a lasciarglielo fare.
«Per la mia esperienza tutto è reversibile,
tranne la morte» fu la risposta di Deaton, che allargò il sorriso. «E per
qualcuno neanche quella»
***
Le parole di
Deaton non lo avevano risollevato.
Essere in forma
di lupo non era un pericolo, questo era vero, ma non era neanche la forma che
Derek più preferiva. Strano a dirsi, sentiva la mancanza dell’uso della parola
– e se l’avesse detto a Stiles, lui non ci avrebbe mai creduto o l’avrebbe
preso in giro per anni. Probabilmente entrambe le cose.
Sentiva la
mancanza, soprattutto, del tatto umano, del fatto che, se avesse voluto,
avrebbe potuto toccare Stiles con una scusa, anche solo per sentire la trama di
cotone delle sue magliette sotto le dita.
Non era una cosa che
si permetteva di fare troppo spesso – solo lo stretto necessario per non
sentire il lupo struggersi di nostalgia, per godersi la sensazione dei muscoli
sotto le mani, per illudersi di poterlo toccare in un modo diverso, in un modo
a cui cercava di pensare il meno possibile – e cercava di convivere con ciò che
poteva avere. Essere amico di Stiles, far parte dello stesso branco, poteva
bastargli. In questo modo poteva essergli accanto, proteggerlo ed essere sicuro
che nulla lo minacciasse. Non di nuovo.
Era soprattutto
per questo che Derek era tornato al Nemeton, dopo il tramonto.
Quella spiacevole
sensazione continuava a infastidirlo e sperava che, tornando lì riuscisse a
fiutare qualcosa, una qualche traccia che gli permettesse di capire cosa stesse
succedendo e cosa c’entrasse Lucas, se fosse davvero lui il darach che stavano
cercando.
La radura lo
accolse, come sempre, con placida calma, echeggiante di vita e di forza
mistica. Derek riuscì però a mettere solo una zampa sull’erba prima di doversi
ritirare nella boscaglia.
Lucas era lì,
alle radici del Nemeton, pensieroso.
Derek sentì un
formicolio nel petto e non fu sicuro se fosse di dispiacere o gioia.
Il ragazzo
camminava attorno al perimetro del moncone dell’albero, pensieroso,
osservandolo in silenzio. Si avvicinò di qualche altro passo, posò un ginocchio
sul legno e allungò le dita verso il centro degli anelli.
«Ehi!» urlò poi
qualcuno, e Derek e Lucas si voltarono contemporaneamente – il primo
maledicendo il vento a sfavore per non avergli fatto fiutare il nuovo arrivato.
Wiggins entrò
nella radura, illuminando Lucas con la propria torcia. «Che ci fai qui,
ragazzino?»
«Io... niente,
signore, ero solo... non stavo facendo niente» si giustificò l’altro. Wiggins
lo squadrò da capo a piedi, poco convinto.
«Questa è
proprietà privata, non lo sapevi?» disse e Derek, se avesse potuto, avrebbe
riso, perché una volta era stata privata, era vero, ma da quando la casa
dei suoi genitori era stata bruciata, la contea aveva preso possesso di tutto
il terreno degli Hale, sfrattandolo della sua stessa proprietà.
Lucas scosse la
testa perché, no, non lo sapeva. Era arrivato a Beacon Hills meno di tre mesi
prima e degli orrori di quella città non sapeva nulla. «Non lo sapevo, mi
dispiace» mormorò. L’altro poliziotto sospirò e gli fece cenno di
precederlo.
«Inoltre, non puoi mai sapere chi
incontrerai nel bosco dopo il tramonto» riprese, camminando a pochi passi
dall’altro. «Non immagineresti mai quello che mi hanno raccontato…»
«Wiggins?» la voce di Parrish lo interruppe
e il giovane agente agitò la torcia.
«Da questa parte» urlò. Parrish comparve
pochi istanti dopo, sguardo serio e cono di luce ai suoi piedi. «Ne ho trovato
un altro» disse. «Non capisco cosa diavolo abbia questa radura di tanto
interessante per voi ragazzi, davvero» continuò.
«Wiggins» sospirò il vice. E per quanto
fosse buio, Derek riuscì comunque a vedere lo sguardo di disapprovazione che
rivolse al collega.
«Dico davvero. Prima quella Martin e
l’orientale, poi il figlio dello sceriffo e ora questo qui»
Lucas si voltò di scatto, facendo
incespicare i due uomini dietro di lui. «Il fig… Stiles? Stiles è stato qui?»
domandò, con il battito cardiaco che accelerava, innervosito. Parrish guardò
male Wiggins e fece cenno a Lucas di riprendere a camminare. Derek si fece
vicino di qualche altro passo, evitando senza alcuna difficoltà rametti
spezzati e foglie crepitanti.
«Qualche giorno fa» ammise comunque Parrish
«Siete... amici, voi due, vero?» domandò poi, studiando Lucas con la coda
dell’occhio. Perché entrare a far parte della polizia di Beacon Hills
significava, tra le altre cose, conoscere Stiles e, in un modo o nell’altro,
imparare a volergli bene. Non c’era agente nella contea che, volente o nolente,
non tenesse un occhio sul figlio dello sceriffo.
«Ci frequentiamo» fu la risposta decisa che
diede Lucas e un angolo della bocca di Parrish si arricciò all’insù.
«Allora ti dico una cosa: scoprirai ben
presto che Stiles si ritrova invischiato in situazioni assurde più di quanto
sia possibile» disse, facendo ridere Wiggins e sorridere Lucas. I tre uscirono
dal limitare del bosco e, finalmente, misero piede sull’asfalto. Parrish aprì
lo sportello e fece accomodare Lucas, mentre l’altro si sedeva al posto del
passeggero. La mano tardò alcuni istanti sul metallo, e gli occhi si fissarono
sul riflesso della luna quasi piena nel finestrino. «Spero solo che la sua
buona stella continui a proteggerlo» mormorò, prima di aggirare l’automobile e
salire al posto di guida.
***
«Oh mio dio, io
odio questo tizio.» Derek entrò nella stanza nell’esatto istante in cui Stiles
cominciò a borbottare contro lo schermo del pc. «E che diavolo dovrebbe
significare questa firma? Fuck you, you fucking fucker? Davvero? E
questo dovrebbe essere l’assistente di Deu--» Stiles si voltò finalmente verso
la porta, notando Derek. «Che diavolo... amico, lo sai che sei sporco di fango
come se ti ci fossi rotolato dentro?» Lo guardò incerto, aggrottò la fronte, si
mordicchiò l’interno di una guancia e poi continuò: «Ti sei rotolato nel
fango, vero?»
Derek si leccò il
muso e avanzò nella stanza, ignorandolo. Stiles lo seguì con lo sguardo,
girando sulla poltroncina, e inarcò un sopracciglio alla vista della serie di
impronte di fango che deturpavano il pavimento. «Papà ti ucciderà» disse,
alzandosi con un sospiro.
Derek lo vide
avvicinarsi a braccia incrociate e inclinò la testa quando quello inarcò le
sopracciglia e lo fissò, in attesa. «Andiamo?» Derek inclinò la testa
dall’altro lato e sbadigliò, accucciandosi con il muso tra le zampe. Le
sopracciglia di Stiles si sollevarono ancora di più, ma il lupo continuò a
ignorarlo e si mise a dormire.
L’istante dopo Derek
venne preso in braccio con uno sbuffo e un grugnito di fatica e dovette
aggrapparsi alle spalle di Stiles per non cadere. Uggiolò e ringhiottò, offeso,
ma non si mosse, mentre veniva trasportato con difficoltà attraverso la stanza e
poi lungo il corridoio, fino a raggiungere il bagno. Stiles lo portò fino alla
vasca e, una volta lì, cercò di depositarvelo dentro il più delicatamente
possibile, sospirando di sollievo quando Derek si diede una spinta e saltò giù,
atterrando sulla ceramica.
«Dio mio, se sei
pesante» ansimò Stiles, recuperando il soffione della doccia e aprendo l’acqua.
Derek arretrò nella vasca, guardando con diffidenza l’oggetto. Non gli piaceva
venir bagnato mentre era in quella forma. Il pelo gli restava umidiccio per
ore, dandogli una sgradevole sensazione. Stiles, però, non parve notare la sua
reticenza e regolò il getto dell’acqua e la temperatura, puntando poi verso di
lui. «Cosa?» chiese, vedendolo scivolare con gli artigli sulla ceramica nel
tentativo di non bagnarsi le zampe. Guardò il soffione e poi lui, inarcando un
sopracciglio. «Oh andiamo!» sbottò. «Hai paura dell’acqua? Davvero?»
Derek avrebbe voluto ringhiargli che no, non aveva paura, era più un
fastidio che provava quando era tutto bagnato. Invece, quello che fece fu
sbuffare e puntarsi con le zampe anteriori sul bordo della vasca, pronto al
salto.
«Oh no, non vai
da nessuna parte, tu!» sbottò Stiles, provando a intercettarlo ma fallendo per
un soffio. Il risultato fu che il tentativo di ritrascinare Derek nella vasca
sfumò. Il lupo ringhiò offeso e Stiles finì con la
faccia premuta contro la ceramica fredda del fondo. Derek sfruttò la
schiena di Stiles come trampolino e sgusciò via, lasciandolo per metà affondato
nella vasca a borbottare contro stupidi lupi idrofobi. Derek avrebbe voluto
fargli presente che un animale idrofobo era, con tutta probabilità, rabbioso e
che quindi sarebbe stato più saggio, per lui, non far arrabbiare suddetto lupo
idrofobo. Invece la porta alle loro spalle si aprì, rivelando lo sceriffo e
Scott. Entrambi perplessi.
Stiles si tirò su
di scatto, passandosi le mani sul viso e tra i capelli per liberarsi gli occhi
dall’acqua e dalle ciocche bagnate. Nella vasca il soffione spruzzava il getto per
aria, formando una fontanella e continuando a schizzare la maglietta di Stiles,
già bagnata per più della metà.
«Papà. Sei...
tornato presto»
Lo sceriffo
inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto. «Voglio saperlo?»
domandò, incerto. Stiles strizzò la maglietta, guardò la pozza d’acqua ai suoi
piedi e poi il lupo accucciato a distanza di sicurezza.
«Beh--» cominciò,
ma il padre scosse la testa e voltò le spalle.
«No, non voglio»
decretò, abbandonando la stanza.
Stiles si grattò
la fronte, perplesso, e si scambiò uno sguardo con Scott, che continuava a osservarlo
divertito.
«Stavi davvero cercando
di fargli il bagno?»
«È sporco!»
Scott rise al
gemito di frustrazione di Stiles e gli offrì una mano per tirarsi in piedi.
Derek li aspettò in corridoio, li precedette nella camera da letto, lasciando
una nuova scia di impronte infangate e tornò nel suo angolino sotto la
finestra. Scott si sedette sul letto ed entrambi guardarono Stiles sfilarsi la
t-shirt fradicia ed andare in cerca di una sostituta asciutta e pulita.
«A proposito, sei
rimasto in contatto con Deucalion?» domandò il ragazzo con finta noncuranza, la
testa infilata tra le ante dell’armadio. Scott aggrottò la fronte.
«No, perché?»
«Perché, data la
situazione in cui siamo» riprese Stiles, lanciando un’occhiata verso Derek
mentre arrotolava una maglietta tra le mani e se la infilava dalla testa.
«Credo sia necessario l’aiuto di qualcuno con un po’ più di esperienza del
sovrannaturale»
«E vuoi chiedere
a Deucalion?»
«Chi altri,
sennò? Non è che conosciamo molte altre persone che possano capirci qualcosa o
non vogliano ucciderci. Soprattutto me»
Derek ringhiottò
perché era vero che Deucalion non aveva mai tentato di uccidere Stiles, ma era
anche vero che non ci aveva mai avuto a che fare, cosa che rendeva tutto più
semplice. Scott ingoiò un sorriso divertito, mentre lo fissava, ma Derek sapeva
perfettamente che stava ridendo di lui. Dannato.
«Okay, quindi
qual è il piano? Perché non ho la più pallida idea di come contattarlo. O
scoprire dov’è»
Stiles ghignò e
tornò a sedersi davanti al pc. «Per vostra fortuna» disse, indicando Derek e Scott.
«Io sono un genio. E ho abbastanza faccia tosta da chiamare Breaden»
Scott inarcò un
sopracciglio e Derek, che aveva guardato tutta la scena accucciato con il muso
tra le zampe, si alzò a sedere, le orecchie tese verso l’altro. «Hai... chiesto
a Breaden di trovare Deucalion? E con cosa la pagherai?» chiese Scott,
perplesso. I problemi economici di casa Stilinski erano rientrati, ma certo lo
sceriffo non guadagnava più dell’anno precedente né Stiles aveva uno stipendio
da cui attingere. E Breaden non era di sicuro la mercenaria-barra-informatrice
meno dispendiosa sul mercato. Stiles, però, scosse la testa e aprì la sua mail,
visualizzando l’ultima mail arrivata.
«Niente del
genere. Le ho spiegato la situazione e ci ha fatto uno sconto per Derek, tipo
uno sconto ex, immagino. Ha detto che tu le devi un favore» disse,
indicando Scott. «E poi mi ha dato questo: professor Moss, università di
Chicago» spiegò. Scott inarcò un sopracciglio e si avvicinò all’altro, una mano
sullo schienale della poltroncina e gli occhi fissi sullo schermo.
«Professore?»
domandò con un sorriso divertito sulle labbra.
«Yep, di
filosofia» annuì Stiles. «E a quanto pare ha un assistente. Uno fastidioso e
molto geloso» borbottò, scorrendo con il mouse la mail. Derek si avvicinò e
alzò il muso, tentando di leggere. «Non ho mai visto così tante parolacce in un
testo scritto» continuò Stiles e Derek dovette dargli ragione. Scott sospirò,
nonostante tutto divertito, e si grattò la testa.
«Quindi? Qual è
il piano B?» chiese e Stiles scrollò le spalle.
«Andare a
Chicago?»
***
«No»
«Ma...»
«No» Lo sceriffo
puntò il dito contro Stiles, voltandosi poi verso Derek. «Lo dico anche a te: no.
Niente Chicago, niente Deucalion, niente di niente. Provate a uscire dalla
contea – no, che dico, da Beacon Hills, e vi sbatto in cella, tutti quanti»
«Ma...»
«Stiles!»
«Okay!»
urlò Stiles, allargando le braccia esasperato. Lo sceriffo continuò a fissarlo
per nulla convinto e suo figlio inarcò le sopracciglia. «Cosa, ho detto okay,
va bene, resterò qui» Guardò suo padre e poi Derek, si morse l’interno di una
guancia e sollevò gli occhi al cielo. «Resteremo qui. Tutti» promise. Solo a
quel punto, il padre fece un cenno di assenso e sciolse le braccia allacciate
al petto, rilassandosi.
Lo sceriffo fece
qualche passo verso il piano cucina e accese il fuoco sotto la pentola
dell’acqua. «Siete preoccupati per Derek e Malia, lo capisco» disse, voltandosi
e incrociando lo sguardo del lupo. C’era preoccupazione nei suoi occhi, del
tipo che solo un padre poteva provare e la cosa diede a Derek una fitta di
dolore e di piacere. «Lo sono anche io, davvero, ma non posso lasciarvi finire
nei guai. Sono ancora l’adulto, il genitore e lo sceriffo, qui.»
Stiles sviò lo
sguardo, ma non contestò. Per un breve istante guardò Derek, poi si morse il
labbro inferiore e tornò a guardare il muro bianco davanti a sé. «Tra quanto è
pronto?»
«Dieci minuti»
rispose il padre e Stiles annuì, facendo dietro front e uscendo dalla cucina
con rapidità. Derek lo seguì su per le scale e si fermò pochi passi dalla
porta, guardandolo sedersi sul bordo del letto e prendersi la testa tra le
mani.
A Derek mancò un
battito. Stiles sembrava distrutto, stanco, vuoto.
Derek fece un
passo nella stanza e poi un altro e un altro ancora, fino a che non fu
abbastanza vicino da potergli strusciare il muso contro l’avambraccio. Stiles
sussultò e lo rimise a fuoco, regalandogli un sorriso pallido.
«Ehi» mormorò,
accarezzandogli il pelo morbido. «Riuscirò a mettermi in contatto con Deucalion
e capiremo cosa ti sta succedendo, tranquillo» continuò, usando le unghie contro
la sua cute dietro l’orecchio. Gli occhi di Derek si socchiusero di loro
spontanea volontà e dalla sua gola scaturì un basso ronzio soffuso carico di
soddisfazione.
Sapeva di potersi
fidare di Stiles, sapeva che non avrebbe mollato né per lui né per Malia, ma
sapeva anche che sarebbe stato capace di farsi del male pur di aiutarli e questo,
lui, non poteva permetterlo.
Spinse ancora una
volta il muso contro la sua mano, fece forza sulle zampe posteriori e si issò,
puntandogli quelle anteriori sulle ginocchia. Stiles si raddrizzò per fargli
spazio e quando Derek si allungò ancora, premendogli sulle spalle, lui poggiò
prima le mani e poi gli avambracci sul materasso dietro di sé, ritrovandosi semidisteso
e con un enorme lupo sdraiato addosso fino a coprirlo quasi completamente. Eppure
non fu attraversato nemmeno da un’ombra di paura.
Derek poteva
sentire il battito del suo cuore, calmo e regolare, battere a un soffio del suo
pelo. Gli occhi di Stiles erano ancora preoccupati – per lui, non di
lui – e Derek ebbe l’istinto di ringhiare per scacciare quello stato d’animo,
come se fosse un predatore che voleva impossessarsi di Stiles, anche se ora era
al sicuro, sotto di lui. Invece continuò a guardarlo, in silenzio, senza
trovare null’altro da fare per aiutarlo. Se fosse stato umano avrebbero
litigato, si sarebbero urlati contro fino all’esasperazione. O forse lui
l’avrebbe baciato, Derek non poteva essere certo di come sarebbe andata a
finire. In entrambi i casi sarebbe stato molto diverso e molto peggio.
Poi una
vibrazione dalla scrivania interruppe il momento, e Derek voltò il muso con le
orecchie ritte in ascolto prima ancora che la suoneria cominciasse a trillare.
Stiles gli posò una mano nel pelo e Derek si spostò, saltando giù con rapidità
e permettendogli di raggiungere il cellulare – il suo cellulare – in
mezzo passo.
Derek sapeva chi
era, non aveva bisogno di guardare il display, quindi non fu sorpreso quando
Stiles rispose con un tono incerto. Derek si avvicinò, sedendosi davanti a lui,
in ascolto.
«Cora? Ciao, è
una vita che--»
«Stiles?
Perché rispondi al suo... dov’è Derek?» ci fu un attimo di pausa, poi il
tono di sua sorella cambiò, punteggiandosi di preoccupazione. «Cos’è
successo? Sta bene?»
«Sta bene, è
tutto intero, non devi preoccuparti» la rassicurò Stiles, sedendosi nella
poltroncina e riservando a lui un mezzo sorriso e una carezza tra le orecchie.
«Solo impossibilitato a risponderti in questo momento»
«Stiles...»
Stiles sospirò e
si mordicchiò il labbro inferiore, cercando il modo migliore per spiegarle
cos’era successo, probabilmente. «Okay, è tipo... bloccato. In forma di lupo»
ammise – e Derek se avesse potuto l’avrebbe ucciso, perché, davvero, Stiles era
anche più incapace di lui in certe cose. Cora ringhiò e Stiles si raddrizzò in
automatico nella poltroncina, guardando verso di lui con nervosismo. «Non è
stata colpa mia, chiariamolo! È più o meno successo e basta. Eravamo nel bosco
e...»
«Tu e Derek?»
«Io, Derek e Scott.
Cercavamo di capire cosa avesse bloccato Malia e a un certo punto Derek ci ha
spinto via e si è accasciato e si è trasformato.» Ci fu un lungo
silenzio dalla parte della telefonata e non fu questa grande sorpresa quando
Cora finalmente disse:
«Vengo lì. Non
fate niente di stupido.» Subito dopo riagganciò, lasciando loro due a
fissarsi.
«Quindi… Cora
torna a casa, eh?»
Derek uggiolò e
la sua coda si mosse da sola, come segno involontario della piccola felicità
che rivedere Cora gli procurava. Lui e sua sorella si telefonavano ogni volta
che potevano, cercando di tenersi aggiornati sulle loro vite il più possibile,
ma purtroppo non sempre avevano modo di vedersi con regolarità. Dall’ultima
volta erano ormai passati mesi e Derek sentiva la nostalgia che gli mordeva lo
stomaco.
«Lo so, amico,
manca un po’ anche a me» disse Stiles, regalandogli un sorriso appena
accennato, che si trasformò però subito dopo in una smorfia di dolore. «Spero
solo che le sue maniere siano migliorate un minimo e che non mi reputi la causa
di tutto questo» borbottò, agitandogli un dito davanti al muso per inglobare
Derek e il suo essere un lupo in quel tutto questo.
Derek abbaiò un
paio di volte, perché sì, certo che Cora gli avrebbe addossato la colpa, ma
sapeva anche che sua sorella avrebbe finito solo per urlargli contro, senza
fargli poi troppo male. Dopotutto, Cora aveva un debole per Stiles.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Titolo: Beyond the wolf
Fandom: Teen Wolf
Pairing/Personaggi: Sterek ( ♥ ) , stiles/OMC, Scott McCall,
Sceriffo Stilinski, un po’ tutti
Rating: R
Charapter: 4/8
Beta: Nykyo
Genere: future!fic a partire dalla 3B, circa
Warning: slash stuff, magical stuff, avventura, azione, one side!Derek,
pomiciamento più o meno spinto.
Summary: A un anno dalla
sparizione della Nogistune e della fine definitiva di Kate 2.0, il branco si
ritrova a dover affrontare una nuova emergenza: qualcosa blocca Derek e Malia
nelle loro forme animali e proprio quando gli omicidi rituali ricominciano.
Note: Questa storia è stata scritta
durante la pausa tra la 3B e la 4 stagione e durante la
4 stagione, ma prende una discreta distanza dagli avvenimenti di quest'ultima.
È, in pratica, un enorme pov Derek, ed è nata
per prendere in giro un'amica e il suo odio per le tirate chilometriche sugli
occhi che ogni tanto si trovano in certe fic. Quindi, lasciatemela dedicare a
Nadia: è stato divertentissimo vedere come da una sciocchezza sia nata una
storia che mi ha accompagnato per mesi, mi ha fatta dannare e mandare al
diavolo la stupidità di Derek ♥
La storia, inoltre, partecipa alla prima
edizione del Teen
Wolf Big Bang Italia e si avvale, quindi, di gift bellerrimi da parte di
due fanciulle adorabili. Lasciatemi quindi ringraziare dal più profondo del
cuore AlexCoffeegirl per questa bellissima art e Phoenix
Bellamy per questa bellezza di fanmix ♥ ♥ ♥ Sono state
bravissime e le devo un grazie dal cuore per aver scelto la mia storia e
fattomi emozionare con i loro lavori ♥
And last but not least, fatemi dare un grosso
bacio e dire un enorme grazie a Nykyo per aver betato e seguito questa storia con amore e
attenzione ♥
DISCLAIMER: vorrei
tanto possedere Derek, ma no, né lui né nessun altro mi appartiene .__. Neanche
Stiles, no *sigh*
Quando si era
reso conto che le cose erano cambiate, era ormai troppo tardi. Era da tempo che
Derek riteneva Stiles qualcosa in più di un amico, parte integrante del branco,
la cosa più vicina alla famiglia che potesse avere, insieme a Scott, Isaac e
Cora. Era per questo che era sempre stato restio a eliminare la nogitsune
uccidendo lui. Stiles era un bravo ragazzo, un innocente e l’aveva salvato più
volte di quante preferisse contare – in più modi di quanto fosse naturale.
Stiles non meritava la morte, come non meritava la sofferenza e la devastazione
che la nogitsune aveva fatto della sua mente e del suo corpo.
Derek aveva
accolto la sua nuova àncora quasi con gratitudine. Avere un branco, sapere di
far parte di qualcosa di così forte e profondo, era stato quasi liberatorio una
volta beta. Si era riscoperto più forte, più equilibrato, più sereno – una
bella novità, dopo gli anni di solitudine e di rabbia repressa. Sentiva ancora
la necessità di doversi addossare le responsabilità del branco e della difesa
di Beacon Hills, ma aveva imparato che esistevano altre vie per fare ciò che
desiderava e che aiutare Scott a sfruttare il suo potenziale era l’opzione
migliore per tutti. Erano un branco strano, una sorta di amalgama di umani e
lupi, con perfino una spruzzatina di banshee a condire il tutto, ma erano forti
e stabili, come lo era stata la sua famiglia quando sua madre era stata Alpha. E
tutto, strano a dirsi, era cominciato con Stiles.
Perché nonostante
fosse Scott l’Alpha, nonostante fosse Scott quello che faceva la differenza,
era stato Stiles a dimostrare a Derek che essere umani non significava, per
forza, essere deboli e indifesi, che, anzi, spesso, essere umani era la più
grande forza che si potesse possedere.
Stiles non si era
mai lamentato, non davvero, neanche quando era in fin di vita, neanche quando
il dolore nel suo corpo era diventato insopportabile e la nogitsune lo aveva
spaccato in due. Aveva stretto i denti ed era andato avanti, lottando per
salvare Lydia e poi chiunque altro, fedele e leale come ogni volta.
Derek, quella
volta, era stato poco utile e poco presente, entrambe cose che lo avevano
spinto, nei mesi successivi la sconfitta della nogitsune, a tenere un occhio su
Stiles e sulla sua ripresa.
Era stato così
che aveva scoperto dell’insonnia quasi cronica e degli incubi che lo assalivano
quando la stanchezza vinceva e Stiles crollava in coma più che addormentarsi.
Era stato così che aveva notato come Stiles evitasse di parlarne, come se non
fosse un problema, come se non ci fossero state conseguenze.
Derek gli aveva
dato dell’idiota, tra sé e sé, e aveva cominciato a seguirlo più da vicino – e
continuava a farlo, a distanza di un anno. Anche in quel caso, con sua sorella
seduta sul bordo del letto di Stiles e Stiles che tentava di mantenere il
sorriso più innocente del suo repertorio – fallendo miseramente. Cora era
arrivata a Beacon Hills quel pomeriggio, dopo aver preso il primo aereo per la
California appena conclusa la fallimentare telefonata con Stiles.
«Racconta. O ti
obbligherò io a farlo e non ti piacerà» Cora incrociò le braccia sotto il seno
e fissò Stiles, che la guardò di rimando. Derek, accucciato tra loro, li osservò
dal basso, col muso poggiato sulle zampe.
«Sai già tutto.»
«Non è possibile.»
«Ti dico di sì!»
sbottò Stiles, allargando le braccia. Dietro di lui, sulla scrivania, il suo
cellulare squillò. Stiles lo ignorò e cominciò a passeggiare avanti e indietro
per la stanza, sotto gli occhi attenti degli altri due, passandosi le mani tra
i capelli. «Eravamo nel bosco ed è successo. Prima a Malia e poi a Derek, e non
ne sappiamo il motivo. Magari c’è qualche incantesimo o wodoo o non lo so,
okay? Ci stiamo lavorando» disse d’un fiato, e si morse il labbro inferiore, con
nervosismo. Cora lo guardò in silenzio per un lungo momento, quasi
soppesandolo, cercando l’agitazione nel battito del suo cuore e
nell’irrequietezza delle sue mani.
Derek borbottò un
rimprovero a sua sorella e lei gli lanciò un’occhiata di rimando, più che
consapevole di ciò che lui voleva dirgli. Cora alzò gli occhi al cielo, ma non
rispose, tornando a concentrarsi su Stiles, che aveva fermato il suo
andirivieni ansioso e li fissava, incuriosito dal silenzioso dialogo che stava
avvenendo tra loro.
«Tu lo capisci?»
domandò, con una punta più che evidente di infantile divertimento. Per quanto
fosse maturato, Stiles restava ancora più che facile alle battute sui cani. Soprattutto
se riguardavano Derek. Una volta, a casa di Lydia, aveva fissato Derek con
grande aspettativa per sapere cosa stesse borbottando Prada nel sonno. Derek
gli aveva dato uno scappellotto sulla nuca che, per quanto soddisfacente, non
lo aveva fatto desistere dallo stuzzicarlo ancora un altro paio di volte prima
che si separassero.
«Vuoi un pugno?»
fu la risposta – diplomatica – di Cora che fece arretrare Stiles
istintivamente.
«Sei proprio sua
sorella» borbottò il ragazzo, e si lasciò ricadere sulla poltroncina. Slittò
appena all’indietro e si arrestò contro il bordo della scrivania. «Quindi,
resti?» le chiese, battendo ritmicamente con le dita sulle cosce. Il cellulare
squillò di nuovo, per avvisare dell’arrivo di un nuovo messaggio, ma anche
questo fu ignorato.
«Ovviamente»
rispose Cora, inarcando un sopracciglio. «Non andrò da nessuna parte finché non
sarò sicura che Derek stia bene» mormorò e Derek si sentì invadere dall’affetto
di sua sorella. La raggiunse e si accucciò ai suoi piedi, alzando il viso verso
di lei e vedendosi regalare un sorriso quasi impossibile da notare, ma che non
fece altro che aumentare la sensazione di calore nel suo stomaco. Era bello
averla lì di nuovo.
Ci fu un nuovo
squillo del cellulare e Cora inarcò un sopracciglio, voltandosi verso Stiles,
che aveva l’aria innocente di chi non sapeva cosa stesse succedendo.
«Non controlli?»
«Non controllo
cosa?»
«Il tuo cellulare.»
«No, non è vero.»
Neanche volesse smentirlo, il cellulare trillò di nuovo e il sopracciglio di
Cora si inarcò ancora di più. Stiles vagò per un lungo istante con gli occhi,
quasi non sapesse cosa fare, e ignorò ancora il suo telefono.
Non aveva bisogno
di guardare per sapere chi fosse. E lo stesso valeva per Derek. C’era solo una
persona che gli scriveva così frequentemente nell’ultimo periodo, ma il perché il
quel momento Stiles lo stesse ignorando per Derek era un mistero.
«Puzzi di
menzogne» ribatté Cora e Stiles arrossì appena, ma scosse la testa, negando
spudoratamente l’evidenza.
«Non so di cosa
tu stia...» La frase rimase a metà, interrotta da un sommesso bussare alla
porta. Derek scattò col muso verso quest’ultima, annusando l’aria e drizzando
le orecchie, consapevole di chi fosse prima ancora che si facesse vedere.
Lucas fece un
mezzo passo incerto nella stanza con un sorriso di scuse e Stiles scattò in piedi
come una molla.
«Ehi! Ehi… ciao»
balbettò, passando lo sguardo dall’ultimo arrivato a Cora, pieno di nervosismo.
«Ciao… disturbo?
Eri in ritardo e non rispondevi e… non sarei dovuto venire, vero?» chiese Lucas
con un’espressione di scuse. Stiles batté le palpebre, confuso, e aggrottò la
fronte, cercando, evidentemente, di fare mente locale.
«Dovevamo vederci
per...?»
«Il film... The
Maze Runner?» gli ricordò Lucas e Derek sentì più che vedere il ricordo che
riaffiorava nella mente di Stiles.
«Il film» ripeté
Stiles, contrito. Si passò nervosamente una mano tra i capelli e guardò l’altro
dispiaciuto. «Scusa. Ho avuto un contrattempo e… e me ne sono completamente dimenticato.»
Si sgonfiò come un palloncino per la mortificazione, ma tutto ciò che ricevette
da Lucas fu un sorriso di divertimento, quasi di rassegnazione. Poi Cora si
sporse e attirò lo sguardo di Lucas su di lei – e su Derek, ai suoi piedi.
«Il contrattempo,
immagino» le chiese, offrendole la mano in segno di saluto.
«Così possiamo
dire» rispose lei, rispondendo alla stretta di mano.
«Lucas.»
«Cora.»
Lucas si tirò
indietro e guardò Stiles prima di tornare su di lei. «Cora Hale? La sorella di
Derek?» le domandò e sia Cora che Derek s’irrigidirono d’istinto. «Sei qui per
Mr Fluffy?»
«Mr...»
«Guarda che ora
è, Cora. Non avevi quella cosa da fare?» s’intromise Stiles. La prese
per le spalle e la spinse di peso fuori la camera, tra le proteste vivide di
lei.
Derek sentì sua
sorella ringhiottare contro Stiles, che la indirizzava verso le scale e la
pregava di non parlare e che poi le avrebbe spiegato tutto ma che
ora doveva davvero andare e che si sarebbe preso cura di lui, di Derek e che
non doveva preoccuparsi. Cora ringhiò ancora, ma non parlò, quindi Derek la
prese come un consenso a stare a quelle stupide regole e prima che se ne
rendesse conto, Cora era fuori da casa Stilinski, Stiles era risalito in camera
e Derek era chiuso nella stanza con una coppia di adolescenti innamorati.
«Ti ha aperto mio
padre?» chiese Stiles, gesticolando verso la porta.
«Non esattamente.
Stava uscendo e mi ha lasciato entrare. Ha detto che faceva un salto al market
e che potevo salire» Lucas si fece nervoso e incerto. «Non dovevo?»
«Cosa? No! No,
sono felice che sia venuto, davvero.» Stiles sorrise e fece un passo verso di
lui, con quella timidezza che sembrava coglierlo ogni volta che Lucas era
troppo vicino o che le loro mani si toccavano. Derek distolse lo sguardo, ma
non poté impedirsi di sentire i loro cuori accelerare e l’emozione
invadere l’aria attorno a loro.
«Quindi... tuo
padre non c’è?»
«Così sembra.»
Risero entrambi, intrecciando le dita. Derek fissò la sua attenzione sulla
porta, sul bianco del suo legno, sul riflesso artificiale della maniglia e
cercò di chiudere fuori qualunque altra cosa. Come sempre, quando si trattava
di Stiles, non servì a molto. «Tornerà presto, è dannatamente abile a tornare
nei momenti meno opportuni. Posso raccontarti mille volte in cui ha aspettato
l’attimo perfetto per...» Le parole morirono nella gola di Stiles quando Lucas
lo spinse sul letto e lo baciò. Derek guardò la finestra e poi la porta. Per un
attimo pensò di tentare un salto verso l’albero poco distante dal davanzale, ma
lo scartò subito quando notò che, per una volta tanto, la finestra era
perfettamente chiusa, con tanto di gancio inserito.
Fece un passo
indietro e tornò a concentrarsi sulla porta, chiusa ma possibile da aprire
anche in quella forma, ignorando qualunque altra cosa. Stiles, Lucas, non
esistevano – bugia, erano più che presenti per i suoi sensi, ma Derek era
sempre stato bravo a negare a se stesso la verità, a fingere di non soffrire
per qualcosa che invece lo dilaniava dall’interno. L’aveva fatto con Kate e
l’incendio, con Jennifer e prima ancora con Paige. Lo faceva ogni volta che si
guardava allo specchio e i suoi occhi baluginavano d’azzurro. Poteva negare che
il suo passato lo tormentava ancora così come poteva negare che restare lì, in
quella stanza, era la tortura peggiore a cui fosse stato sottoposto.
Derek grattò la
porta e riuscì a ruotare la maniglia. Uscì dalla stanza quando i sospiri
divennero ansiti. Non era così masochista da restare, non quando poteva sentire
il morso di gelosia combattere per fargli scoprire i denti e ringhiare. Uscì dalla
camera e dalla casa senza pensarci due volte. Essere un lupo – umano o animale
che fosse – implicava avere un udito fine e un olfatto fin troppo sviluppato e
questo, in determinate situazioni, non giocava a suo vantaggio. Soprattutto se
riguardava Stiles.
Per sua fortuna
non dovette fermarsi né aspettare, solo scivolare tra le gambe dello sceriffo
quando questi entrò dalla porta d’ingresso.
«Ehi, Derek!» lo
chiamò, ma lui non si fermò e prese invece a correre lungo la strada, tagliando
per scorciatoie adatte alla sua forma. Corse finché non fu certo di non essere
seguito – se mai lo fosse stato – e continuò a correre quando seppe di essere
ormai vicino alla sua meta. Il loft non aveva mai avuto una serratura che
potesse essere chiamata tale, lui non aveva mai creduto di averne necessità –
se qualcuno avesse voluto entrare per fargli del male non sarebbe stata certo
una serratura a fermalo – ma in quella forma anche così non avrebbe potuto
aprirla.
Derek si alzò
sulle zampe posteriori e grattò con quelle anteriori contro il metallo pesante,
più volte, le orecchie in allerta verso i suoni all’interno, per seguire Cora
dal divano alla porta, che tirò di lato, lasciandolo entrare. Lei non disse
nulla, lo guardò solamente entrare e annusare l’aria. Derek saltò sul divano e
si accucciò, continuando ad ignorare gli occhi di sua sorella su di lui e tutte
le domande inespresse che si portavano dietro. Non ne aveva mai parlato con
lei, ma Cora sapeva perché era riuscita a leggerglielo nella voce giorno
dopo giorno durante le loro telefonate, perché quando erano piccoli e Kate
Argent doveva ancora entrare nella sua vita e distruggerla, lei era quella capace
di capire cosa fosse successo studiando solo la piega delle sue labbra o la
luce nei suoi occhi. Non aveva mai avuto bisogno di altro e neanche i nove anni
che li avevano tenuti divisi le avevano strappato via quel potere. A volte
Derek lo odiava, altre volte, come in quel caso, lo adorava, perché significava
che Cora non avrebbe fatto domande, non finché lui non fosse stato pronto.
Cora si sedette
accanto a lui, raccogliendo le gambe al petto, le braccia sulle ginocchia e il
mento su di esse.
«Sei un idiota»
lo ammonì, allungandogli una grattatina con l’indice sul muso, poco sopra il
naso.
Derek sbuffò e,
di tutta risposta, le spinse una zampa sulle cosce finché lei non le abbassò
entrambe, permettendogli così di appoggiare la testa. Cora arricciò un angolo
della bocca e gli accarezzò il pelo morbido sotto l’orecchio, sistemandosi
meglio e tirandosi lui più addosso. Derek chiuse gli occhi poco alla volta
sotto le sue dita, steso su un fianco, completamente rilassato con le zampe
abbandonate di lato.
Il loft era
silenzioso e pacifico, e il battito ritmico del cuore di Cora lo cullò,
cancellando, almeno in parte, l’angoscia che sentiva.
«Assomigli alla
mamma» la sentì mormorare, nel dormiveglia.
***
Derek tornò alla
coscienza con il fragore della porta spalancata, l’odore di Stiles nelle narici
e la sua voce nelle orecchie. La sua voce arrabbiata.
«Sei un idiota!»
Stiles avanzò a passo di marcia nel loft, verso Derek. Cora, ancora accoccolata
sotto di lui, abbassò il libro. «Che diavolo ti è saltato in mente, mh? C’è un
darach fuori, Derek. C’è Jennifer lì fuori da qualche parte e tu cosa
fai?» Stiles si piantò a pochi passi da lui e gli puntò un dito contro il muso.
Derek arretrò appena con la testa, alzando gli occhi per guardarlo in faccia.
«Scappa di nuovo e giuro che ti uccido.»
Cora inarcò un
sopracciglio, evidentemente perplessa dalla logica dietro quella frase. Derek,
invece, sentì una stretta allo stomaco – piacevole, calda, piena della
preoccupazione di Stiles. Se fosse stato umano avrebbe dovuto sopprimere un
principio di sorriso, perché non avrebbe potuto mostrare all’altro come la sua
preoccupazione lo rendesse felice. Ma, probabilmente, se fosse stato umano,
Stiles non si sarebbe preoccupato per lui. A ben vedere, se fosse stato umano
non sarebbe stato in camera di Stiles mentre lui e Lucas – il suo ragazzo
– pomiciavano, non avrebbe sentito l’istinto di ululare premergli nel petto e
non sarebbe dovuto scappare.
Solo in quel momento
gli tornò in mente Lucas e Derek si chiese dove fosse e perché,
effettivamente, Stiles fosse lì al loft.
«Dove hai
lasciato il tuo bello?» domandò di punto in bianco Cora, evidentemente
arrivando alle sue stesse conclusioni. L’espressione decisa di Stiles vacillò e
svanì in una fiammata di rossore che gli incendiò le guance. Abbassò la mano e
scrollò le spalle, fingendo di non essere in imbarazzo come se non fosse nella
stessa stanza con due licantropi – beh, un licantropo e un lupo.
«Gli ho detto che
sarei tornato subito» mugugnò, sviando lo sguardo.
«Quindi... cosa,
c’è un adolescente eccitato che ti aspetta in camera?» Cora ghignò, godendosi
il suo rossore che, a ogni istante che passava, prendeva possesso anche di
fronte e orecchie.
«No, idiota, se
n’è tornato a casa!» sbottò e quando sia lei che Derek lo guardarono sorpresi, rifuggì
di nuovo il loro sguardo «È normale, no? Non è che può stare ai miei desideri
ogni volta. Non vive mica in mia funzione» borbottò. Si mordicchiò il labbro e
Derek inclinò la testa di lato, confuso. Che diavolo passava per la testa di
quel benedetto ragazzo? Possibile che non si rendesse conto che Lucas era cotto
di lui? Possibile che, ancora una volta, non credesse di essere all’altezza
dell’altra persona?
Possibile che
fosse colpa di Derek?
Il lupo ebbe l’istinto
di ululare per lui, di attirare la sua attenzione e di scacciare la tristezza
che leggeva sul suo viso facendo qualcosa – qualunque cosa. In quella forma era
quasi naturare per lui volersi fare carico della mestizia, soprattutto se
riguardava Stiles.
«Tu...» Cora gli
mostrò il pugno, minacciosa. «Sei così stupido che mi fai venir voglia di
picchiarti!» sbottò e Stiles arretrò di nuovo, a metà tra l’offeso e lo
spaventato. Poi si lasciò cadere sul divano, accanto a Derek, che si arricciò maggiormente
per lasciargli spazio. Stiles vagò con le dita nel suo pelo folto, lasciandosi
andare a un sospiro mesto e Derek non riuscì a trattenere un uggiolio di
colpevolezza, perché era a causa sua se Stiles era triste. Era colpa della sua
fuga, colpa della sua gelosia se Stiles lo aveva seguito e se Lucas di
conseguenza se n’era andato.
«Guarda che non
c’entri tu, eh» mormorò Stiles, regalandogli un sorriso morbido. «Sono io che
ho dimenticato l’appuntamento e poi l’ho mollato lì da solo per fare altro.»
Se avesse potuto,
se solo non fosse stato bloccato in quella forma inutile e limitativa, Derek
gli avrebbe detto che non era vero, che lui non aveva colpe, che Lucas avrebbe
dovuto aspettarlo, perché è così che si fa quando si è innamorati, si aspetta,
anche a discapito dell’amor proprio – non era vero, se fosse stato umano Derek
non avrebbe detto nulla del genere. Sarebbe rimasto in silenzio, combattuto tra
la voglia di abbracciare Stiles e il desiderio di allontanarlo da sé e di ricacciarlo
tra le braccia di un altro uomo, pur di saperlo sano e salvo.
Cora scattò in
piedi come una molla, ringhiando. Le dita di Stiles si fermarono a metà di una
carezza e il suo sguardo seguì il passo furioso di Cora fino alle scale.
«Che diavolo ti
prende, ora? Dove vai?»
«Lontano da qui, prima
di prendervi a pugni» sbottò Cora.
Derek incassò il
muso tra le zampe e finse di non capire il senso del borbottio di sua sorella
su quanto lui e Stiles si meritassero a vicenda.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Titolo: Beyond the wolf
Fandom: Teen Wolf
Pairing/Personaggi: Sterek ( ♥ ) , stiles/OMC, Scott McCall,
Sceriffo Stilinski, un po’ tutti
Rating: R
Charapter: 5/8
Beta: Nykyo
Genere: future!fic a partire dalla 3B, circa
Warning: slash stuff, magical stuff, avventura, azione, one side!Derek,
pomiciamento più o meno spinto.
Summary: A un anno dalla
sparizione della Nogistune e della fine definitiva di Kate 2.0, il branco si
ritrova a dover affrontare una nuova emergenza: qualcosa blocca Derek e Malia
nelle loro forme animali e proprio quando gli omicidi rituali ricominciano.
Note: Questa storia è stata scritta
durante la pausa tra la 3B e la 4 stagione e durante la
4 stagione, ma prende una discreta distanza dagli avvenimenti di quest'ultima.
È, in pratica, un enorme pov Derek, ed è nata
per prendere in giro un'amica e il suo odio per le tirate chilometriche sugli
occhi che ogni tanto si trovano in certe fic. Quindi, lasciatemela dedicare a
Nadia: è stato divertentissimo vedere come da una sciocchezza sia nata una
storia che mi ha accompagnato per mesi, mi ha fatta dannare e mandare al
diavolo la stupidità di Derek ♥
La storia, inoltre, partecipa alla prima
edizione del Teen
Wolf Big Bang Italia e si avvale, quindi, di gift bellerrimi da parte di
due fanciulle adorabili. Lasciatemi quindi ringraziare dal più profondo del
cuore AlexCoffeegirl per questa bellissima art e Phoenix
Bellamy per questa bellezza di fanmix ♥ ♥ ♥ Sono state
bravissime e le devo un grazie dal cuore per aver scelto la mia storia e
fattomi emozionare con i loro lavori ♥
And last but not least, fatemi dare un grosso
bacio e dire un enorme grazie a Nykyo per aver betato e seguito questa storia con amore e
attenzione ♥
DISCLAIMER: vorrei
tanto possedere Derek, ma no, né lui né nessun altro mi appartiene .__. Neanche
Stiles, no *sigh*
Alla fine il
ballo d’Inverno arrivò. Stiles ebbe due crisi di panico, una da prestazione e
una sul numero esorbitante di difficoltà nell’indossare il vestito. Quattro in
tutto, e tutte molto rumorose.
Dopo il litigio
avuto a causa della fuga di Derek – anche se Stiles continuava a sostenere che
non si era trattato di un litigio e che non era stato colpa di Derek – Stiles
aveva sviluppato una insana ossessione per il Ballo d’Inverno, come se dalla
riuscita di quest’ultimo dipendesse la buona sorte del rapporto con Lucas. Come
se bastasse una serata magica per cancellare ogni parola sbagliata o frase non
detta, come se il segreto per far andare bene un rapporto fosse nascosto in un
abito carino e un lento ballato abbracciati.
Un pensiero
tremendamente adolescenziale, che stonava col cinismo di fondo che, ormai,
caratterizzava Stiles.
Derek lo guardò
andare avanti e indietro per la stanza come se fosse un tornando strafatto di
caffè – e forse un po’ lo era – gettando abiti e oggetti alla rinfusa in cerca
di chissà cosa e, quando decise di essere pronto, per poco Stiles non ruzzolò giù
per le scale, rompendosi l’osso del collo. Lui e Lucas avevano deciso di non
indossare nessuna spilla o bracciale floreale, ma solo un fazzoletto rosso nel
taschino per simboleggiare il fatto che sarebbero andati al ballo come coppia,
però Stiles doveva passare a prenderlo, così da poter andare insieme dopo
essersi incontrati con gli altri. Quindi con un cenno allo sceriffo, Stiles
recuperò le chiavi della jeep.
«Allora ci
vediamo. Non aspettatemi in piedi» disse, con un sorriso nervoso. Lo sceriffo
lo fissò inarcando un sopracciglio e il sorriso di Stiles cedette appena.
«Okay, non faccio tardi, promesso.»
«Mi raccomando,
siate responsabili e, ti prego, tieniti fuori dai guai» lo redarguì lo
sceriffo.
«Come sempre!» Il
tentativo di Stiles di sembrare sicuro e innocente si schiantò contro il
muro di scetticismo dello sceriffo. Derek si domandò che immagine dovevano dare
lui e lo sceriffo, entrambi intenti a fissare in silenzio Stiles, per nulla convinti
dalla sua faccia da bravo ragazzo. Stiles sbuffò e alzò gli occhi al cielo,
girando su se stesso e uscendo di casa senza più una parola, mentre suo padre,
con un sospiro, si diresse in cucina.
Derek rimase
davanti la porta d’ingresso ormai chiusa, seduto sulle zampe, e attese.
Lo sceriffo
recuperò una tazza di caffè e si sedette al tavolo con alcuni rapporti e
fascicoli dell’ultimo caso – la sparizione di un bambino di otto anni, che
speravano non fosse correlato ai sacrifici del darach – e Derek continuò ad
attendere.
E poi aspettò,
ancora e ancora, la coda arrotolata attorno alle zampe e le orecchie ritte, in attesa
di sentire qualcosa, qualsiasi cosa. Non successe nulla né in quel momento né
la mezzora successiva e Derek cominciò ad innervosirsi. C’era qualcosa che non
andava e Derek non capiva cosa. Era in ansia, sentiva la costante necessità di
controllare la porta, verificare se Stiles stava tornando o, almeno, di uscire
e andare a sincerarsi delle sue condizioni.
Stiles non sarebbe
rientrato a casa se non ore dopo e questo Derek lo sapeva. Eppure il lupo
urlava che sarebbe dovuto rincasare subito, che, anzi, non sarebbe
proprio dovuto uscire. Imputò l’ansia crescente al darach e alla totale assenza
di indizi che avevano racimolato in quelle settimane. Non avevano idea di dove
fosse o di chi fosse – nonostante sospettassero che fosse Jennifer, non
potevano esserne certi, e da quando aveva beccato Lucas al Nemeton, Derek aveva
ancora più dubbi – né quando avrebbe attaccato di nuovo o come, ancora,
potevano fare per riportare lui e Malia alla forma umana.
«Ehi» lo sceriffo
comparì accanto a Derek, posandogli una mano tra orecchie. «Che ne dici di
farmi compagnia, mh?» disse e lo sospinse con gentilezza a seguirlo in cucina.
Derek si lasciò guidare con reticenza, controllando ossessivamente la porta di
casa, ma alla fine si costrinse a sedersi accanto al tavolo. Guardò lo sceriffo
fare avanti e indietro tra il frigorifero e i fornelli per prepararsi una cena
veloce, e accettò con gratitudine l’hamburger che gli venne posato davanti al
muso. Nonostante l’ansia crescente, lo divorò in due morsi e leccò il piatto,
ripulendolo dai residui.
Lo sceriffo
sorrise nel vederlo e gli fece cenno di seguirlo quando, carico di hamburger e
birra, si diresse verso il salotto. Derek gli andò dietro e lo guardò sedersi
sul divano e accendere la televisione, sistemandosi il piatto sulle ginocchia
con un sorriso goloso sul viso.
Derek lo fissò,
seduto a pochi passi da lui, spostando lo sguardo dall’uomo alla porta di casa più
e più volte, con la voglia di fare qualcosa che scalpitava nel suo animo
e gli faceva prudere le zampe. Perché nessuno sembrava provare la sua stessa
urgenza?
«Non guardarmi così, non posso certo
impedirgli di uscire» disse infine lo sceriffo, stremato dall’essere l’oggetto
di quello sguardo fisso. Fu in quel momento, mentre lo sceriffo si rigirava il
panino tra le mani che Derek si rese conto di cosa componeva la cena:
carne rossa, bacon e formaggio. Se Stiles l’avesse scoperto avrebbe dato di
matto. Poteva già sentirlo sbraitare sul colesterolo e le arterie intasate e su
quanto Derek fosse un cattivo lupo per non aver impedito a suo padre di
uccidersi con le sue stesse mani. Derek ringhiottò, avanzando, e le
sopracciglia dello sceriffo si inarcarono allo sguardo giudicante del lupo.
L’uomo decise di ignorarlo e tornò al suo hamburger e Derek continuò a
fissarlo. Questa volta lui tentennò sul primo morso e si voltò a guardarlo di
nuovo, pensieroso, sfilando poi una striscia di bacon dall’interno del panino e
facendogliela penzolare davanti al muso. «Tu non hai visto niente» disse e
Derek si leccò il muso e saltò sul divano, accettando il pagamento del proprio
silenzio. Dopotutto lo sceriffo stava bene, lui poteva percepirlo senza
difficoltà, e se Stiles non l’avesse saputo non ne avrebbe sofferto.
Dopodiché lo sceriffo si concentrò sulla
televisione e la partita dei Mets. Una replica, Derek ne era certo, perché
ricordava di averla guardata con suo padre e Laura prima ancora che Cora
nascesse – o forse era nata da poco? I ricordi cominciavano a diventare fumosi,
purtroppo.
Nonostante tutto – la quiete e la
familiarità di stare sul divano a guardare una vecchia partita di baseball con
lo sceriffo – Derek continuava a voltare il muso verso la porta. Con l’udito
continuava a tenere sotto controllo il vicinato, in attesa di sentire un
rumore, una parola che gli dessero il permesso di correre via, in cerca di
Stiles.
«Ehi» lo sceriffo aveva riposto il piatto
ormai vuoto nel lavello ed era tornato accanto a Derek con una birra.
Rigorosamente analcolica, sotto ordine perentorio di Stiles. «Lo sapevi che
prima di Lydia Martin Stiles non era mai andato a un ballo scolastico con
qualcuno?» Si sedette tra i cuscini, guardando il soffitto con l’espressione di
chi stesse facendo mente locale su un particolare. «Credo che prima di oggi non
sia mai neanche uscito con qualcuno. In senso romantico, intendo. Non
credo abbia mai avuto un vero appuntamento neanche con Malia. La maggior parte
del tempo la passavano a fare i compiti insieme. Quel ragazzo, invece, Lucas,
si è esposto per lui» Lo sceriffo sorrise e Derek voltò il muso, imbarazzato da
ciò che le parole sottintendevano, malgrado il fatto di non poter arrossire
mentre era in quella forma.
«Non è giusto che
spenda la sua giovinezza dietro qualcuno che non vuole ricambiarlo per paura di
chissà cosa» Derek tornò di scatto a guardarlo e lo sceriffo stirò le labbra,
probabilmente pentendosi dei termini usati, ma ormai era troppo tardi per
rimangiarsi la frase. «Hai avuto un anno, Derek. Stiles ha passato un anno
intero ad aspettarti e tu non hai fatto altro che nasconderti, fingere di non
sapere, di non vedere, quando era evidente a chiunque quello che stava
succedendo. Hai avuto la tua occasione con Stiles e l’hai sprecata, quindi
ora... ora lascialo andare, okay?» Derek non rispose – né l’avrebbe fatto se
avesse potuto – e si accucciò sul divano, il muso che sfiorava appena la coscia
dello sceriffo. Questi sorrise e gli fece una carezza.
«Grazie» mormorò
e tornò a guardare la tv. Derek finse di addormentarsi poco dopo.
***
Lo sceriffo,
neanche a dirlo, aveva ragione.
Dopo la
nogitsune, dopo i giorni passati a cercare di ritornare alla normalità, dopo la
terapia, le crisi di panico, l’incertezza sempre più crescente negli occhi di
Stiles, era nato qualcosa. Non se n’erano accorti subito, non era così facile
riconoscere certi segnali quando non li si percepiva da molto tempo – Jennifer
era stata diversa e, a volte, Derek si chiedeva se non fosse stata anche aiutata
dai suoi poteri, e Breaden era stata qualcosa di molto più simile a una sfida
che altro. Una riprova che lui poteva ancora costruire qualcosa di buono.
Dopotutto ciò che
era successo, Stiles era fragile, più del solito, più del naturale. Saltava ad
ogni rumore forte e aveva continui tremori quando, involontariamente, qualcuno
gli sfiorava lo stomaco. Un paio di volte aveva avuto delle crisi di
claustrofobia a causa dei troppi studenti nel corridoio durante il cambio dell’ora
e un’altra volta era quasi crollato in pezzi, seduto nella sua jeep, le mani
strette sul volante e gli occhi fissi sulla strada.
«Non riesco a
muovermi» aveva detto a Scott con un sorriso così mesto che Derek non aveva
resistito oltre. Era uscito dalla sua ombra di osservazione e lo aveva
accompagnato a casa, seguito da Scott.
Stiles non
dormiva.
Qualsiasi cosa la
nogitsune gli avesse fatto, qualunque inganno gli avesse giocato sfruttando la
malattia della madre, Stiles sembrava aver sviluppato una fobia quasi isterica
per il letto e per ogni forma di riposo. Era arrivato perfino a pensare che la
nogitsune non era altro che l’ennesimo stadio della demenza, un’allucinazione
assolutamente realistica, per nulla facile da smascherare, ma pur sempre
un’allucinazione dovuta alla progressione della malattia. Quando aveva
cominciato a mettere in dubbio anche i licantropi e gli ultimi anni delle loro
vite, Derek aveva perso la pazienza.
Non era stato né
carino né gentile. Aveva sbattuto Stiles contro la porta della sua camera – in
un breve deja vü della prima volta che era stato lì – e gli aveva ringhiato a
un centimetro dal naso: «E io? Anche io non sono reale? Anche io sono
un’allucinazione? Sono arrivato con la licantropia di Scott, no? Quindi questo cosa
fa di me, un’illusione?»
Stiles lo aveva
guardato con gli occhi spalancati, lucidi di lacrime e pietosi, come quelli di
un bambino che vede lo strascico dei suoi incubi anche una volta sveglio e non
riesce neanche a urlare. Aveva deglutito una volta e una volta ancora,
mordendosi il labbro, mentre combatteva il tremore delle mani – dell’intero
corpo. Aveva scosso piano la testa, abbassando lo sguardo e strizzando gli
occhi, e si era lasciato andare contro la porta, esausto.
«Non ce la
faccio» aveva mormorato, svuotato d’ogni energia. Derek, a quel punto, lo aveva
allontanato dal sostegno della porta e lo aveva guidato verso il letto. Stiles
lo aveva guardato con aria supplice, ma Derek aveva smorzato ogni sua protesta
sedendosi accanto a lui. Aveva scalciato le scarpe e si era poggiato contro la
testiera del letto, sistemandosi meglio il cuscino dietro la schiena, e aveva
ignorato il modo in cui Stiles, semidisteso accanto a lui, lo fissava con un
misto di incertezza e di speranza.
«Andrà tutto
bene» disse solo, poi recuperò un libro a caso dalla pila sul comodino e lo
aprì.
Stiles lo aveva guardato
per un lungo istante, poi aveva abbracciato incerto il cuscino e aveva chiuso
gli occhi. Si era addormentato tre respiri dopo e Derek era rimasto per tutta
la notte, vegliando sui suoi sogni.
Non ci era voluto
molto perché diventasse un’abitudine, prima tutta loro e poi del branco.
Perché, chissà come, quando Derek non poteva, ecco che puntualmente a fare le
sue veci comparivano Scott o Malia.
A ben vedere e
per quel che Derek ne sapeva, la frequentazione tra quella che, a detta di
Lydia, era sua cugina, Malia, e Stiles era cominciata così. Era stato strano il
modo in cui lei si era avvicinata al branco, con rabbia e con recriminazione
per essere stata strappata a una vita a cui ormai era abituata e per essere
obbligata ad affrontare il suo senso di colpa ogni giorno. Non era stato facile
per Malia, all’inizio, né lo era stato per Scott o per Stiles ritrovarsi a
dover fare i conti con i suoi sentimenti. Ma poi era stato proprio quest’ultimo
a farla cambiare. Derek non sapeva come, né perché, solo che una notte, dopo
essere stato bloccato da una telefonata improvvisa di Chris riguardo a delle
voci su un branco pronto ad espandere il proprio territorio, si era arrampicato
per la finestra ed era entrato in camera di Stiles, fermandosi subito dopo,
quando si era reso conto dell’odore in più.
Malia era lì, stesa
con il petto contro la schiena di Stiles, a coprirlo come poteva, un
braccio che gli circondava la vita. Lei aveva guardato Derek prima incerta, poi
con una punta di coraggio e aveva stretto la presa.
Derek aveva guardato
Stiles mugolare piano e raggomitolarsi, profondamente addormentato, e aveva
annuito. Grazie, voleva dire, perché non era stato capace neanche di
mantenere la promessa fatta a Stiles poche settimane prima – quella di esserci
sempre, per lui.
Malia aveva
chiuso gli occhi, ma si era visibilmente rilassata, e Derek era tornato sui
suoi passi, lasciandoli soli.
Per un po’ aveva
creduto che lei fosse la risposta a ciò che stava succedendo tra lui e Stiles.
Perché per quanto Derek fingesse che non stesse succedendo nulla, era stato
evidente per entrambi che qualcosa era cambiato. Le ore trascorse assieme,
spalla contro spalla, nel tentativo di esorcizzare ognuno i propri demoni, li
avevano avvicinati più di tutte le battaglie combattute fino a quel momento. Da
protettore dei sogni, Derek si era ben presto riscoperto bizzarro copilota in
una lotta ai sensi di colpa.
Ed era stato così
che, volta dopo volta, settimana dopo settimana, Stiles e Derek si erano
ritrovati a condividere molto più che il silenzio. Avevano finito per
chiacchierare per ore, di mattina, di pomeriggio, in qualunque momento fosse
loro possibile. Avevano parlato di cose passate e non, di ricordi e di incubi
ricorrenti.
Era stato in una
notte particolarmente fredda che Derek gli aveva raccontato di Kate e del
giorno dell’incendio, di Laura e di come lo sceriffo avesse fatto di tutto per
non lasciarli soli nei giorni seguenti. Stiles, per una volta, non aveva
parlato. Era rimasto in silenzio, steso accanto a lui, a fissare il soffitto
della sua camera da letto con solo la luce della luna piena a illuminare la
stanza. Non aveva commentato né aveva detto una parola per tutto il racconto,
né tantomeno si era voltato a guardarlo, anche se Derek aveva percepito
distintamente la sua sorpresa. Poi, dopo quella che a Derek era sembrata
un’eternità, Stiles aveva aperto la bocca e aveva detto: «La prima volta che
mia madre ha avuto un incubo avevo sette anni» Ed era stato il turno di Derek
osservare il soffitto in silenzio, sospendendo ogni giudizio.
Tre
pomeriggi dopo gli Derek aveva parlato di Mr Fluffy, Whyath e Grey Wind e di
come, anni dopo, Laura avesse prima ridacchiato e poi pianto ritrovando quel
buffo nome in un libro fantasy. Stiles quella volta aveva riso per ore
immaginando un Derek di tre anni che decretava tutto serio che il suo nuovo
lupo di peluche si chiamava Mr Fluffy. E a nulla erano valse le proteste di
Derek sul fatto che, secondo i racconti di altri – Derek era stato troppo
piccolo per ricordare – lui all’epoca fosse stato appena sveglio e, intontito
dal pisolino pomeridiano, avesse semplicemente afferrato il regalo del padre e,
affondando la faccia nel finto pelo, avesse dichiarato che era morbido come la
sua mamma. Quindi no, non era stato serio e pomposo come credeva Stiles, quanto
più un semplice bambino che, nell’intontimento da risveglio aveva scelto il
nome secondo lui più logico.
Stiles, però, non aveva voluto sentire ragioni e
aveva continuato per ore a fare un'ipotetica imitazione di lui bambino.
E nonostante
tutto, nonostante la noia di vedersi prendere in giro nei momenti più
disparati, a Derek piaceva il calore che la presenza di Stiles gli trasmetteva.
Parlare con lui era diventato ogni giorno più facile, ogni giorno più istintivo
e naturale, come se gli fosse necessario, ormai, condividere una piccola parte
di sé con Stiles per essere meglio se stesso. Per essere un se stesso migliore.
Era stato
terapeutico per Stiles quanto per Derek, lui doveva ammetterlo, perché se Stiles
aveva esorcizzato la nogitsune tramite le parole, lui l’aveva fatto con Kate e
con quello che aveva subito per due mesi tra le mani di lei in Messico – perché
per quanto non volesse ammetterlo, Kate lo aveva spezzato ripetutamente,
rubandogli parti di sé che credeva fossero andate bruciate con l’incendio. E
Stiles lo aveva aiutato a ritrovarle e ricostruirle, scheggia dopo scheggia.
Era stato doloroso, ma dopo un anno, Derek poteva dirsi grato, perché Stiles
non aveva mai mollato con lui, così come Derek non l’aveva fatto con Stiles.
Ed era per questo
che, in quel momento, Derek non poteva restare chiuso in casa sapendo Stiles
alla mercé del darach – e okay, tecnicamente, non era in pericolo, ma l’idea
che potesse succedergli qualcosa mentre lui era acciambellato sul divano gli
dava uno spiacevole morso alla bocca dello stomaco.
Aveva aspettato
che lo sceriffo si fosse appisolato sul divano ed era scivolato via silenzioso,
approfittando della finestra della cucina semiaperta per uscire con un balzo e
dirigersi verso la scuola. Ma a metà strada era dovuto tornare indietro, perché
aveva percepito nell’aria una traccia familiare. Era la jeep di Stiles, l’odore
inconfondibile di vecchiume e di adolescente e di curly fries. L’aveva
ritrovata sul ciglio della strada a poca distanza dal punto in cui Lucas era
stato attaccato da Malia. Il posto di guida era pregno dell’odore di Lucas e
Derek ringhiò, affondando il naso nell’erba e rincorrendo la traccia tra le
foglie secche e i rametti della sterpaglia.
Quando si rese
conto di dove lo stava guidando, Derek accelerò il passo in un trotto,
terrorizzato all’idea di essere arrivato troppo tardi.
Poi le voci lo
investirono e lui si arrestò ai limiti della radura, nascosto dal nero del
bosco.
«Sì ma perché
qui?»
«Perché no?»
Lucas allargò le braccia, un sorriso delicato sul viso. Erano seduti su una
coperta stesa sul tronco del Nemeton, tra loro una bottiglia di champagne e due
cupcake. Stiles accarezzava distrattamente il legno sotto le sue dita.
«Questo posto ha
un grande valore per molti di noi» mormorò e qualcosa nel suo viso fece
spegnere appena il sorriso di Lucas. Durò appena un istante e poi lui riprese a
sorridere.
«Io l’ho scoperto
pochi giorni dopo essermi trasferito e me ne sono innamorato perdutamente. Mi è
sembrato solo normale condividerlo con la persona che amo.» Lo disse con una
semplicità disarmante che spiazzò Stiles – e lo stesso Derek – e gli fece
ingoiare il respiro, facendogli guadagnare uno sguardo sorpreso, quasi
scioccato. Il bacio che seguì non era inaspettato, ma non per questo a Derek fece
meno male esserne spettatore.
Stiles spinse
Lucas a stendersi come meglio poté sul tronco, mentre lui ridacchiava e ne
approfittava per allentargli la cravatta e slacciargli i primi due bottoni
della camicia.
Derek tentò di
distogliere lo sguardo, di concedere loro un po’ di privacy – e di evitarsi un
dolore gratuito – ma non fu abbastanza forte e rimase a guardare. Ascoltò i
loro respiri farsi sempre più rapidi mentre le loro bocche diventavano più
affamate. Sentì Stiles ansimare piano mentre Lucas lo mordeva sul collo e poi
succhiava.
Poi,
all’improvviso, tutto divenne silenzioso. O per meglio dire, lo divenne Stiles.
«Stiles?» Lucas
cercò il suo viso nella luce del plenilunio e lo trovò distratto, intento a
fissare qualcosa per terra. «Ehi, tutto okay?»
Stiles sbatté le
palpebre e scivolò via da lui, accucciandosi tra le radici del Nemeton, il
labbro inferiore che sporgeva in un broncio pensieroso.
«È che questa
rosa...»
Lucas rotolò sulla
pancia e si sporse oltre il bordo del tronco, osservando il fiore. Scrollò le
spalle, e si puntellò sui gomiti. «Cosa, non avete rose selvatiche a Beacon
Hills?» chiese, ma l’altro non rispose, intento ad accarezzarne i petali
dischiusi. Sembrava nel pieno della fioritura, ma ora che Stiles glielo faceva
notare, c’era qualcosa in essa che faceva pizzicare l’istinto di Derek. C’era
qualcosa – forse quella magia strana che continuava a percepire attorno al
Nemeton o forse qualcos’altro, non riusciva ancora a capire.
Stiles non
rispose, la testa inclinata e lo sguardo concentrato a studiare la rosa.
«Stiles?» Lucas
lo guardò a metà tra il divertito e l’esasperato, ma l’altro rimase concentrato,
come se non l’avesse sentito. «Sto cominciando a offendermi. Io organizzo tutto
questo per te e tu mi ignori per una rosa?»
«Già» mormorò Stiles, accucciato davanti al
fiore. «Una rosa che è esattamente la stessa da un mese» Si alzò di scatto e
prese Lucas per un polso, tirando in piedi.
«Stiles!»
«Dobbiamo andarcene via subito.»
«Cosa?»
«Subito, okay? Tipo, ora, in questo preciso
istante» riprese Stiles, trascinandolo tra continue proteste e radici che
sembravano pronte ad attorcigliarsi alle sue caviglie a ogni passo.
Il rumore secco di un ramo che si spezzava
li fece congelare sul posto e Derek rizzò le orecchie, maledicendosi per
essersi concentrato solo su Stiles e sulla la sua mano stretta attorno al polso
di Lucas, lasciandoli in balia di qualunque pericolo – del darach.
Derek si guardò attorno, cercando di
riconoscere la sorgente del rumore, ma il bosco era tornato silenzioso e
addormentato.
«Andiamo via» ripeté Stiles, stringendo le
dita che si erano appena intrecciate alle sue. Lucas lanciò un ultimo sguardo
dispiaciuto al picnic improvvisato e lo seguì fuori dalla radura.
Derek fu la loro ombra, deciso a non
perderli mai più di vista fino ad avere la certezza che fossero entrambi a
casa, al sicuro. Ignorò ogni altro stimolo esterno e anche quando la percezione
di una ventata di potere lo investì e lui ebbe l’istinto di seguirne le tracce
per trovarne la fonte, strinse i denti e tirò dritto per la sua strada, la
schiena di Stiles fissa davanti ai suoi occhi.
Non c’era nulla di più importante, neanche
il darach.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Titolo: Beyond the wolf
Fandom: Teen Wolf
Pairing/Personaggi: Sterek (♥) , stiles/OMC, Scott McCall,
Sceriffo Stilinski, un po’ tutti
Rating: R
Charapter: 6/8
Beta: Nykyo
Genere: future!fic a partire dalla 3B, circa
Warning: slash stuff, magical stuff, avventura, azione, one side!Derek,
pomiciamento più o meno spinto.
Summary: A un anno dalla
sparizione della Nogistune e della fine definitiva di Kate 2.0, il branco si
ritrova a dover affrontare una nuova emergenza: qualcosa blocca Derek e Malia
nelle loro forme animali e proprio quando gli omicidi rituali ricominciano.
Note: Questa storia è stata scritta
durante la pausa tra la 3B e la 4 stagione e durante la
4 stagione, ma prende una discreta distanza dagli avvenimenti di quest'ultima.
È, in pratica, un enorme pov Derek, ed è nata
per prendere in giro un'amica e il suo odio per le tirate chilometriche sugli
occhi che ogni tanto si trovano in certe fic. Quindi, lasciatemela dedicare a
Nadia: è stato divertentissimo vedere come da una sciocchezza sia nata una
storia che mi ha accompagnato per mesi, mi ha fatta dannare e mandare al
diavolo la stupidità di Derek ♥
La storia, inoltre, partecipa alla prima
edizione del Teen
Wolf Big Bang Italia e si avvale, quindi, di gift bellerrimi da parte di
due fanciulle adorabili. Lasciatemi quindi ringraziare dal più profondo del
cuore AlexCoffeegirl per questa bellissima art e Phoenix
Bellamy per questa bellezza di fanmix ♥ ♥ ♥ Sono state
bravissime e le devo un grazie dal cuore per aver scelto la mia storia e
fattomi emozionare con i loro lavori ♥
And last but not least, fatemi dare un grosso
bacio e dire un enorme grazie a Nykyo per aver betato e seguito questa storia con amore e
attenzione ♥
DISCLAIMER: vorrei
tanto possedere Derek, ma no, né lui né nessun altro mi appartiene .__. Neanche
Stiles, no *sigh*
«Ti dico che è la rosa» disse Stiles,
precedendoli nella boscaglia. Scott guardò Derek e avanzò il passo,
raggiungendo l’amico. Era poco dopo l’alba e Stiles aveva tirato giù dal letto
Scott trascinandolo nel bosco per raccontargli di quello che aveva scoperto la
sera prima. Era arrossito appena, evitando di incrociare gli occhi di Derek, e
aveva sorvolato sui dettagli intimi. Derek gliene era stato grato, nonostante
sapesse fin troppo bene cos’avevano fatto lui e Lucas sul tronco tagliato del
Nemeton.
«Una rosa, davvero?»
«No, non una rosa. La rosa,
Scott! Quella che c’era un mese fa vicino al Nemeton quando Derek si è
trasformato!»
«C’era una rosa?»
«Non l’avevi notata?»
Scott scosse la testa con un sorriso di
scuse e Stiles sbuffò, in parte divertito, in parte esasperato.
«Davvero, come hai fatto a sopravvivere
senza di me?» disse e Scott lo spintonò blandamente, riprendendo la marcia
verso la radura ormai in vista davanti a loro. Derek, doveva ammetterlo, se
l’era chiesto più volte – così come si era chiesto come avesse fatto Stiles a
sopravvivere fino ai diciassette, in generale – ma in quel caso non riuscì a
dare torto a Scott, perché, dopotutto, neanche lui aveva notato il fiore.
Stiles era l’osservatore del branco, era quello che faceva caso agli indizi più
sciocchi e che sembravano meno importanti, per poi riscoprirli la chiave
dell’enigma. «Eccola!» esclamò Stiles, raggiungendola in poche falcate e
accucciandosi davanti ad essa. Sul tronco c’erano ancora la coperta e lo
champagne, mentre i cupcake erano ormai diventati cibo per gli insetti. Scott
notò il picnic e guardò Derek con un sorriso mesto, ma lui finse di non
accorgersene e annusò la rosa, arricciando il naso.
Ancora una volta, Derek ebbe la sensazione
spiacevole che ci fosse una forza esterna al Nemeton che minacciava tutti.
Sentirla avvolgere Scott e Stiles non gli piaceva per nulla, soprattutto
perché, nonostante la notte passata, percepiva ancora l’odore di Lucas lì
attorno – e addosso a Stiles. Probabilmente lo sentiva anche Scott, ma, da buon
amico, non ne faceva menzione, non davanti a lui.
«Credi davvero che c’entri qualcosa?
Ricordi, vero che La Bella e la Bestia è solo una storia?»
Stiles guardò male il suo migliore amico,
dandogli un blando pugno sulla spalla. «Dimmi allora perché una semplice rosa
selvatica duri più di un mese, perché, davvero, non esiste altra spiegazione
plausibile.»
Scott fece spallucce, guardandosi attorno.
«È praticamente attaccata al Nemeton, magari è lui a darle la longevità.»
Stiles lo guardò per un lungo istante, poi
chiese: «È la nuova parola del giorno?» Scott sorrise, ma non rispose e si chinò
davanti alla rosa, fissandola. Allungò una mano verso di lei, ma si fermò
appena un attimo prima, voltandosi con Derek quando a entrambi arrivò
l’inconfondibile odore di Lucas.
Di nuovo lì.
«Oh.» Lucas li guardò sorpreso, battendo le
palpebre ripetutamente. «Ciao. Che ci fate qui?»
«Caso fortuito» rispose istintivamente
Stiles, allargando un sorriso finto quanto la sua sicurezza. «Tu?»
Lucas dondolò sul posto, nervoso. «Volevo
solo… ripulire» disse. Scott tornò a guardare la rosa e Derek sapeva che
avrebbe dovuto fare altrettanto, smettere di guardarli, ma ci mise un attimo di
troppo e vide Stiles avvicinarsi all’altro e prendergli la mano. Le loro dita
si intrecciarono e Stiles guidò Lucas in disparte, abbassando la voce a un
sussurro.
«Mi dispiace per ieri sera» mormorò,
consapevole che quella conversazione non era davvero privata, non con due
licantropi nelle vicinanze. Lucas scrollò le spalle, giocando con le dita
strette alle sue.
«Quindi non siete qui per... Ridere di me?»
Per la prima volta da quel primo bacio, Lucas sembrò terrorizzato e Stiles si
rese conto che la sua vulnerabilità era maggiore di quella che Lucas dimostrava.
Derek ebbe un moto di compassione per lui e Scott non fece attendere una
carezza consolatoria nel suo pelo.
Scott era un buon amico, a differenza di
Derek con i suoi stupidi desideri egoistici.
«Ehi» Stiles si fece più vicino a Lucas,
cercando i suoi occhi con i propri. Derek tentò di abbassare i suoi, di non
guardare, di risparmiarsi un nuovo dolore, ma gli pareva uno sforzo sovrumano
da compiere, qualcosa che con la sola forza di volontà non riusciva a fare.
Stiles spostò un ricciolo dalla forte del suo ragazzo e Lucas sorrise, timido.
«Ieri sera... È stata la notte più bella che abbia passato da... Tanto tempo.
Non potrei mai riderci su.» Lucas s'illuminò e posò un bacio sulle labbra di
Stiles, che lo accolse con la naturalezza di qualcosa di amato. Derek cercò di
spostare lo sguardo, quando, all’improvviso, un dolore lancinante – reale –
gli attanagliò il petto e lo fece uggiolare.
«Derek?» Scott si piegò su di lui,
preoccupato. Il mondo attorno a Derek sfumò in una nebbiolina tremolante, ma i
suoi sensi non riuscirono a staccarsi da Stiles e Lucas. Stiles promise a Lucas
che si sarebbero visti quel pomeriggio e che ci avrebbe pensato lui a ripulire
dai resti del picnic. Lucas lo baciò ancora una volta e lo lasciò andare,
sparendo nel bosco come era arrivato, diretto verso la caffetteria. Derek vide
Stiles voltarsi verso lui, accucciato e tremante, e Scott con il sorriso che
gli spariva dal viso.
«Derek?» mormorò, correndo verso di loro.
«Scott, cos’ha?» le mani di Stiles scivolarono nel pelo, mentre gli sollevava
il muso per incontrare i suoi occhi. Il gesto gli causò il dolore più atroce
che Derek avesse mai sentito. Gli sembrò che qualcuno gli stesse strappando l’intestino
con un forcone rovente. Perfino guardare negli occhi di Stiles gli causava
sofferenza, la sola vista del suo viso faceva male e costringeva Derek a
uggiolare senza possibilità di trattenersi. Era come se, a ogni carezza, il suo
intero corpo fosse squassato dall’interno da mani che strappavano, tiravano,
graffiavano e bruciavano come tizzoni ardenti.
Stiles fece un passo indietro, lasciò la
presa e il sollievo scese leggero su Derek. Faceva ancora male, ma almeno respirare
sembrava più facile. Derek alzò il viso e vide Stiles corrucciato, confuso,
intento a guardarsi le mani.
«Il dolore è diminuito» mormorò Scott,
sorpreso quanto Stiles. Si guardarono e poi Stiles tentò di nuovo di toccarlo e
una nuova fitta costrinse Derek a serrare gli occhi. Stiles arretrò e Scott lo
prese in braccio e fece qualche passo indietro, così da allontanarlo ancora un
po’. «Sei tu? Com’è possibile che sia tu?» chiese Scott, ma Stiles non rispose,
abbassando lo sguardo. Si accoccolò sui talloni e strinse una mano attorno alla
rosa, strattonandola nel tentativo di estirparla. «Stiles?»
Derek aprì gli occhi e lo guardò puntare i
piedi contro le radici del Nemeton per fare leva, urlare per lo sforzo e venire
ripetutamente battuto dal fiore. Lo stelo rimase piantato nel terreno,
imperturbabile, ignorando le fatiche di Stiles, la caparbietà che lui stava
mettendo nel tentativo di strapparlo, come se lui non avesse più forza di un
alito di vento.
L’odore del sangue colpì Derek in pieno
muso e i suoi occhi colsero una goccia rossa che scivolava sul palmo di Stiles
e cadeva sul terreno. Stiles urlò e tirò ancora, lo sforzo che gli faceva
ingrossare le vene del collo.
«Stiles!» esclamò Scott e Derek abbaiò nel
dolore – era colpa sua, solo sua e non poteva permetterlo. Saltò giù dalle
braccia di Scott e ignorando la sofferenza che gli stava accendendo il corpo,
si avventò sulla rosa.
Sentì il muso che si lacerava, la lingua
che si apriva lì dove i petali la stavano toccando, e il sangue che iniziava a
invadergli la bocca, ma non demorse e continuò a stringere. Tirò con forza,
tirò più che poté, scacciando le mani di Stiles, scuotendo e strattonando
finché non sentì finalmente la rosa cedere.
«Derek» lo chiamò Stiles. Il dolore si acuì
con il ritorno delle sue mani su di lui, e Stiles cercò di tirarlo via, di
fargli lasciare la presa. «Derek, smettila!» lo implorò, ma Derek continuò,
scivolando con le zampe nel terreno, ignorando il sangue che cominciava a
gocciolargli dal muso e il richiamo di Scott – del suo alpha – di
fermarsi. Continuò imperterrito finché le radici non cedettero e lui non
ruzzolò all’indietro, sugli altri due ragazzi, lo stelo ormai spezzato tra le
fauci. Il dolore cessò immediatamente, ma durò meno di un istante, poi tornò
raddoppiato, facendolo ululare impotente.
Derek rotolò e si arricciò, piangendo alla
sensazione dei muscoli che sembravano volersi strappare. Sentì le ossa
piegarsi, plasmarsi e il suo intero corpo allungarsi. Le zampe si ingrandirono
e si allargarono, prendendo sempre di più la forma di mani – e prima che lui
potesse rendersene conto, prima che chiunque potesse rendersene conto, Derek
era ansimante e nudo, nel bel mezzo della radura.
Ebbe appena il tempo di incontrare lo
sguardo confuso di Stiles e poi svenne.
***
Derek riaprì gli occhi su un soffitto
bianco. I polmoni minacciavano di andargli in fiamme ad ogni respiro e la
lingua sembrava riempirgli la bocca in modo anomalo. Era gonfia, calda e
dolorante, come metà della faccia.
«Ehi» Scott entrò nel suo campo visivo con
un sorriso felice, seguito all’istante da Stiles e Deaton.
«Ti consiglio di prenderti qualche minuto,
la trasformazione ti ha lasciato qualche residuo» disse il veterinario,
posandogli delicatamente una mano sulla spalla, quasi a scongiurare ogni suo
tentativo di alzarsi. «Inoltre, l’idea di prendere a morsi quella cosa
non ha migliorato la situazione» aggiunse, con un sorriso quasi di scuse,
neanche fosse stata colpa sua.
In quel momento a Derek tornarono in mente
il sangue e il dolore che gli avevano invaso la bocca quando aveva attaccato la
rosa e si chiese cosa effettivamente fosse stata e perché avesse attaccato
proprio lui.
Poi, però, il viso di Stiles, la sua
espressione, catturarono la sua attenzione e qualunque altra domanda abbandonò
la sua mente.
Stiles era arrabbiato. Anzi, a ben vedere,
era furioso.
«Credo sia meglio che tu riposi ancora un
po’. Scott, potresti darmi una mano con Mr Twinkly?” disse Deaton, ma Derek registrò
solo la porta che si chiudeva e il silenzio che invadeva la stanza.
Tentò di mettersi a sedere, ma Stiles lo
fulminò con un perentorio «Sta’ giù» e lui, nonostante tutto, dovette ubbidire.
I suoi muscoli dolevano come perforati da tizzoni ardenti a ogni movimento e il
freddo del tavolo operatorio era un sollievo per il fuoco che sembrava
bruciarlo.
Derek voltò la testa, cercando lo sguardo
di Stiles quando fu chiaro che lui non voleva avvicinarsi. I suoi occhi
continuavano a essere colmi di rabbia e a stento lo guardavano. Derek avrebbe
voluto parlare, chiedergli cosa fosse successo, perché ce l’avesse così tanto
con lui, ma la lingua era pesante e ingombrante. Ironia della sorte, anche ora
che era tornato umano non poteva dire a Stiles ciò che voleva davvero.
Stiles però sembrò leggerglielo in faccia,
perché alzò un sopracciglio. «Non ci arrivi, vero?» domandò retoricamente.
Sbuffò, scuotendo la testa e avanzò verso di lui, i pugni stretti ai lati del
corpo. Erano fasciati e Derek sentì i sensi di colpa tornare in un’ondata. «Provaci
di nuovo, stupido idiota, prova ancora a...» si interruppe, inspirando nel
tentativo, era evidente, di controllare la voce. Derek sentiva il cuore di
Stiles battere troppo forte, troppo veloce, pieno di una rabbia a malapena
contenuta nelle parole. «Provaci di nuovo e ti uccido, okay?» Stiles lo disse
con calma, come una certezza, come se non ci fossero dubbi che l’avrebbe fatto
davvero se Derek gliene avesse data occasione.
Derek annuì piano, ma Stiles non sembrò
soddisfatto. Non addolcì lo sguardo né gli sorrise, però la sua postura si
rilassò appena. Derek allungò una mano con un grande sforzo e sfiorò le sue
dita, ma Stiles scosse la testa e si allontanò.
Andò via in silenzio, senza guardarlo,
chiudendosi quietamente la porta alle spalle.
Derek chiuse gli occhi e si impose di non
cedere al dolore.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Titolo: Beyond the wolf
Fandom: Teen Wolf
Pairing/Personaggi: Sterek (♥) , stiles/OMC, Scott McCall,
Sceriffo Stilinski, un po’ tutti
Rating: R
Charapter: 7/8
Beta: Nykyo
Genere: future!fic a partire dalla 3B, circa
Warning: slash stuff, magical stuff, avventura, azione, one side!Derek,
pomiciamento più o meno spinto.
Summary: A un anno dalla
sparizione della Nogistune e della fine definitiva di Kate 2.0, il branco si
ritrova a dover affrontare una nuova emergenza: qualcosa blocca Derek e Malia
nelle loro forme animali e proprio quando gli omicidi rituali ricominciano.
Note: Questa storia è stata scritta
durante la pausa tra la 3B e la 4 stagione e durante la
4 stagione, ma prende una discreta distanza dagli avvenimenti di quest'ultima.
È, in pratica, un enorme pov Derek, ed è nata
per prendere in giro un'amica e il suo odio per le tirate chilometriche sugli
occhi che ogni tanto si trovano in certe fic. Quindi, lasciatemela dedicare a
Nadia: è stato divertentissimo vedere come da una sciocchezza sia nata una
storia che mi ha accompagnato per mesi, mi ha fatta dannare e mandare al
diavolo la stupidità di Derek ♥
La storia, inoltre, partecipa alla prima
edizione del Teen
Wolf Big Bang Italia e si avvale, quindi, di gift bellerrimi da parte di
due fanciulle adorabili. Lasciatemi quindi ringraziare dal più profondo del
cuore AlexCoffeegirl per questa bellissima art e Phoenix
Bellamy per questa bellezza di fanmix ♥ ♥ ♥ Sono state
bravissime e le devo un grazie dal cuore per aver scelto la mia storia e
fattomi emozionare con i loro lavori ♥
And last but not least, fatemi dare un grosso
bacio e dire un enorme grazie a Nykyo per aver betato e seguito questa storia con amore e
attenzione ♥
DISCLAIMER: vorrei
tanto possedere Derek, ma no, né lui né nessun altro mi appartiene .__. Neanche
Stiles, no *sigh*
Ci volle un’intera settimana perché Derek
tornasse al massimo della sua forma. Nel frattempo, Malia era ancora un coyote
e nessuno aveva la più pallida idea del perché. Inoltre gli omicidi rituali
continuavano a scadenza di tre settimane e quando il terzo vergine fu ritrovato
poco distante dal Nemeton, Scott richiese una riunione del branco.
La fecero a casa di Stiles, con il bene
placido e la supervisione dello sceriffo. Si parlò del darach e di come
intercettarlo prima che colpisse di nuovo.
Erano tutti spaventati, terrorizzati dal
dover affrontare di nuovo quell’incubo, ma decisi più che mai a fare di tutto
per impedirlo, convinti di poter giocare d’anticipo.
«Dovremmo tenere sotto controllo tutte le
possibili vittime» disse Scott, guardando i suoi amici uno ad uno.
«Auguri, allora» intervenne Stiles,
guardando le proprie mani incrociate sul tavolo. «Hai idea di a quanto ammonta
la popolazione di Beacon Hills? E quanta rientri nello schema dei riti?
Potrebbe essere chiunque.»
«Ha ragione e io, purtroppo, posso muovermi
solo entro certi limiti.» Lo sceriffo sospirò, passandosi una mano sulla
guancia, come faceva tutte le volte che non aveva avuto il tempo di radersi e che
la pelle gli pizzicava per la ricrescita.
«Allora vedremo di fare il più possibile
con quello che abbiamo» disse Derek, rivolgendosi poi allo sceriffo: «Puoi
rilasciare un bollettino per la prevenzione? C’è un intero mondo sovrannaturale
che possiamo sfruttare per tenere più persone sotto controllo.» Lo sceriffo
annuì e Scott gli sorrise.
«Deaton ha già detto che spargerà la voce
meglio che potrà e... Lydia?» Scott si voltò verso di lei, che si stava
torturando i palmi con le unghie. Annuì, già consapevole di cosa l’altro
volesse chiederle.
«Cercherò di prevedere le morti o, quanto
meno, i possibili nomi» mormorò. Era terrorizzata e nessuno riusciva a
fargliene una colpa. Kira le accarezzò la mano e Malia, accucciata ai suoi
piedi, le poggiò il muso sulle gambe, con un uggiolio di sostegno. Lydia
sorrise a entrambe e accarezzò il pelo del coyote, che scodinzolò quietamente.
L’incontro si concluse poco dopo, con la
promessa di tenersi in contatto in caso di problemi e di aggiornarsi entro
pochi giorni.
Derek cercò gli occhi di Stiles, incerto se
restare o meno – Lydia avrebbe passato la serata con Kira e Malia e Stiles
restava, ancora una volta, l’unico scoperto. Per un’intera settimana Derek non
aveva potuto fare nient’altro che affidarsi a Scott, mentre ora, finalmente,
poteva riprendere il suo posto accanto a Stiles.
La Breaden nella sua testa rise e gli diede
del melenso, ma lui la ignorò e aspettò che tutti andassero via, salutandoli
sul vialetto della casa. Stiles era rimasto dentro, richiudendo con uno
sbrigativo cenno della mano e Derek aveva lasciato correre.
Da quando era tornato umano, non si erano
parlati, né Stiles lo aveva cercato – o guardato. Probabilmente era ancora
arrabbiato e Derek voleva solo chiarire la cosa e tornare alla normalità.
Sapeva che sarebbe bastato chiedergli scusa, ma preferiva spiegargli perché aveva
agito così e che l’avrebbe rifatto ancora, se fosse stato necessario.
Quando fu finalmente solo, Derek si voltò e
tornò sui suoi passi.
Lo sceriffo era andato in centrale per un
cambio di turno e Stiles era solo in casa. Non l’avrebbe mai lasciato in balia
del darach.
Saltò sull’albero fuori la finestra della
camera di Stiles e da lì sul davanzale. Avrebbe potuto suonare il campanello
come una persona normale, ma Stiles era in camera sua e quello era quindi il
modo più pratico per entrambi.
La finestra era aperta e Derek entrò senza
aspettare che Stiles lo notasse.
Stiles era sul letto, il cuscino sulla
faccia e le mani raccolte sullo stomaco. Le fasciature erano sparite,
sostituite da cerotti più o meno grandi, ma c’era qualcosa di rosso tra le sue
dita e Derek riconobbe quasi subito il fazzoletto che avevano usato lui e Lucas
la sera del ballo come simbolo di coppia.
Derek poggiò i piedi per terra e un’asse
scricchiolò sotto il suo peso. Stiles scattò quasi subito, scacciando il
cuscino e sbattendo le palpebre. La mano corse in automatico alla mazza da
baseball accanto al letto, ma si fermò appena prima di toccarla e i suoi occhi
si chiusero con un sospiro.
«Cosa ci fai ancora qui?» chiese, senza
guardarlo. Si tirò su a sedere, lo sguardo fisso sul copriletto e le dita che
ancora strofinavano contro il fazzoletto.
«Scott ha da fare, stasera. Una cena con
suo padre» rispose lui, scrollando appena le spalle. Stiles però non lo vide,
preso com’era dal fissare tutto tranne che lui. Non era una cosa che a Derek
piaceva, sinceramente.
«Questo spiega perché lui non è qui, non
perché ci sei tu.» La voce di Stiles non nascondeva l’astio e il fastidio che stava
provando. Derek fece un passo nella stanza, cercando di apparire il più sicuro
possibile.
«Se non l’avessi notato, c’è un darach che
ce l’ha con il nostro branco, Stiles e tu…»
«E io cosa, mh? Io sono l’umano debole che
deve essere protetto? Grazie tante, ma no» sbottò Stiles, alzandosi dal
letto. Vibrava di rabbia ed era tutta rivolta contro di lui, tutta riversata su
Derek. Lui tacque e lo osservò, chiedendosi cosa gli stesse nascondendo – perché
doveva esserci molto di più in ballo che non il solo incidente con la rosa non
poteva essere solo quello, non con Stiles.
«Sei arrabbiato con me per qualche motivo
in particolare?» si decise infine a chiedere Derek, visto che di norma Stiles
non era uno che nascondeva le cose. Tutt’altro, era il tipo di persona che se
ce l’aveva con qualcuno glielo diceva apertamente, esponendogli la questione in
pratici punti. E il fatto che ora non lo stesse facendo, soprattutto con lui,
la diceva lunga. Stiles sbuffò, ma deviò di nuovo lo sguardo, stringendo i
pugni.
«No» mormorò secco. L’attimo dopo sembrò
sgonfiarsi e si lasciò andare sul bordo del letto, gli avambracci poggiati
sulle cosce e le spalle ricurve, sotto il peso del capo chino. A Derek venne
l’istinto di colmare quella breve distanza e di abbracciarlo, di fare qualcosa per
far sì che smettesse di assomigliare allo spettro a cui si era ridotto l’anno
prima.
«Lucas mi ha
lasciato a causa tua» Fu solo un sussurro, ma Derek lo sentì distintamente e
s’irrigidì. Stiles sospirò e arrotolò la stoffa rossa attorno all’indice
sinistro più e più volte, giocandoci come con un antistress. «Dice che non ha
senso combattere per qualcuno innamorato di qualcun altro.»
A quelle parole,
a Derek mancò un battito e il fiato gli s’impigliò nel petto. «Stiles…»
«Va’ via, Derek» disse Stiles,
alzandosi dal letto e riponendo il fazzoletto stropicciato nel cassetto della
scrivania. Derek lasciò andare il fiato che fino a quel momento aveva trattenuto
e chiuse gli occhi per un istante. Quello dopo si alzò a sua volta e raggiunse
la finestra, saltando sul davanzale. Se ne andò senza nessun’altra parola.
***
Il problema di Stiles era sempre
stato che non era mai riuscito a innamorarsi della persona giusta. Lo sapeva Derek,
lo sapeva Stiles e lo sapeva chiunque conoscesse almeno un po’ la storia dei
suoi amori.
Si era sempre fissato con persone
non adatte a lui, che non lo meritavano o che non gli davano ciò di cui aveva
bisogno.
Poi era arrivato Lucas e per quanto
Derek lo odiasse, doveva ammettere che con lui, Stiles era stato felice. A dir
la verità, era stato più felice in quel mese con lui che in tutto il resto del
tempo. Quando c’era Lucas, Stiles s’illuminava, s’addolciva, diventava una
persona diversa, più tranquilla, più controllata.
Derek voleva credere che Lucas fosse
la risposta ai problemi di Stiles perché, magari, avrebbe significato un
allontanamento di Stiles dal sovrannaturale e questo non avrebbe potuto fargli
che bene. Meno si fosse interessato a licantropi, darach e cacciatori, minori
sarebbero state le possibilità che gli potesse succedere qualcosa di male.
Purtroppo, però, rimaneva un enorme quesito
appeso sulla testa di Lucas e Derek era deciso a trovare una risposta prima che
fosse troppo tardi.
Neanche l’avesse fatto di proposito,
Lucas si materializzò davanti a lui, nel bel mezzo della corsia dei surgelati.
Entrambi sbatterono le palpebre sorpresi, inciampando nei propri piedi. Il
supermercato attorno a loro continuò a mormorare quietamente, pieno di persone,
di chiacchiere e di bambini annoiati e capricciosi, che volevano tornare a casa
o che richiedevano a gran voce il dolcetto che amavano tanto.
Derek cercò di chiuderli fuori e
concentrarsi solo sul ragazzo davanti a lui. Vista la possibilità che gli veniva
offerta, perché non approfittarne?
«Lucas, vero?» sorrise, amabile. La
voce di Stiles nella sua testa gli disse che era la cosa più terrorizzante che
avesse mai visto, ma lui la ignorò e gettò uno sguardo nel cestino dell’altro.
C’erano un tubetto di dentifricio, qualche fettina di carne e una confezione di
patatine surgelate. Almeno, a giudicare dalla sua spesa, non poteva essere un
malvagio darach.
Lucas annuì, stropicciando un
sorriso poco convinto. «Derek Hale» disse, guardandosi poi attorno, per nulla a
suo agio. Aveva il battito del cuore leggermente alterato, ma nulla che non
potesse essere catalogato come semplice nervosismo, e l’odore era assolutamente
normale, come altre mille volte Derek l’aveva percepito. Non c’era traccia
della scia magia che aveva sentito su di lui vicino al Nemeton – e che lui
sapesse non esistevano cose del genere. Una persona non cambiava odore a
seconda di dove si trovava. La rosa, l’origine di quella strana sensazione,
aveva reagito alla sua presenza, ma questo non significava nulla. Lucas poteva
solo essere incline alla magia senza saperlo. Capitava, di tanto in tanto, tra
gli esseri umani, che ne nascesse qualcuno così, con una capacità innata di
rapportarsi alla magia. Erano i potenziali druidi. Alcuni scoprivano le proprie
doti, altri vivevano nella beata ignoranza senza sentire la mancanza di nulla.
Derek sperò con tutto se stesso che
Lucas fosse uno di questi ultimi. Prese un respiro profondo e fece un mezzo
passo verso l’altro, catturando la sua attenzione.
«Ho... ho saputo cos’è successo tra
te e Stiles» cominciò, vedendolo irrigidirsi. Alzò le mani, in segno di pace.
«So che non sono affari miei...»
«Hai ragione» lo interruppe Lucas. «Non
lo sono. Ora, se vuoi scusarmi, ho da fare» aggiunse, cercando di superarlo.
Derek lo afferrò per un braccio, impedendogli di scappare e Lucas cercò di
liberarsi con uno strattone.
«Ascoltami. Non so cosa sia successo
di preciso e neanche mi interessa, ma quello di cui sono certo è che Stiles ci
tiene a te, okay? Non so cosa tu creda di sapere, ma tra me e lui non c’è
niente. Non sono io quello di cui è innamorato» concluse, in un sussurro. Cercò
di dirlo con tutta la sicurezza che aveva a disposizione, impedendo alla sua
voce di tremolare o alla sua gola di chiudersi. Lo stava facendo per Stiles,
perché fosse di nuovo felice. Lucas lo guardò per un lungo istante, poi
strattonò di nuovo il braccio e questa volta Derek lo lasciò andare, consapevole
che non sarebbe scappato.
«Evidentemente Stiles non ti ha
detto tutto» commentò Lucas, sprezzante. Si avvicinò a lui, guardandolo dritto
negli occhi, sfidandolo chissà a fare cosa. «Gli ho detto che per me non ha
senso combattere per qualcuno che non ricambia, è vero, ma gli ho anche detto
che sarebbe bastata una sua parola per farmi continuare. Gli sarebbe bastato
dirmi che non voleva perdermi e avrei combattuto contro di te e contro chiunque
altro per lui.» Fece un passo indietro, allargando il sorriso in una smorfia
triste. «Ma non l’ha fatto. Quindi, no, Derek, non sono io quello che Stiles
vuole. Probabilmente non lo sono mai stato» mormorò.
Derek non riuscì a dire niente e
chinò lo sguardo, colpevole.
***
Quando Stiles lo aveva baciato,
ormai quasi un anno prima, Derek aveva fatto quello che credeva più giusto fare
e l’aveva mandato via.
«Va’ a casa, Stiles» gli aveva detto
e aveva chiuso la porta, cercando di rimanere il più neutrale possibile. E Stiles
aveva finto che non fosse successo niente o che non fosse stato importante e si
era comportato come al solito. Nessuno sapeva che un mercoledì pomeriggio,
cinque mesi dopo la morte della nogitsune e tre dalla vendetta di Kate, Stiles
si era presentato al loft con una confessione sulle labbra e con un bacio. A
ben vedere il bacio era stata la confessione vera e propria.
Derek aveva lasciato che Stiles si
prendesse ciò che voleva e poi l’aveva allontanato con decisione, facendosi
forza per non passarsi la lingua sulle labbra, per non ricercare il suo sapore
su se stesso. Non era un ragazzino e Stiles non era uno sprovveduto. Se ne
sarebbe accorto e avrebbe usato quel dettaglio contro di lui.
Quindi Derek aveva finto che la cosa
non l’avesse colpito e l’aveva cacciato. Perché Stiles non era capace di
innamorarsi delle persone adatte a lui e Derek non era altro che l’ennesima
persona che non lo meritava, che l’avrebbe messo in pericolo e che gli avrebbe
rovinato la vita. Stiles meritava molto più di un persona rotta e bruciata come
lui.
Era per questo che una parte di lui
avrebbe preferito vederlo con Lucas. Perché Stiles si meritava una persona
sana, equilibrata, che lo rendesse sicuro prima ancora che felice.
«Derek?»
Derek si voltò, sorpreso di non
essersi accorto prima di Scott. Strinse la spesa con un braccio e prese le
chiavi della macchina.
«Scott. Anche tu col frigo vuoto?»
Tentò un sorriso e aprì la portiera dell’auto, adagiando il sacchetto sul
sedile. Non c’era granché, giusto un pacco di biscotti e uno di patatine. Nulla
che andasse a male senza un frigorifero – né che dovesse essere cucinato.
Stiles si divertiva costantemente a prenderlo in giro per l’assenza degli
elettrodomestici di base, ma a Derek stava bene così.
«Dov’è Stiles?» chiese invece
Scott, corrucciato. Un fremito di nervosismo s’inerpicò lungo la schiena di
Derek, ma lui cercò di tenerlo a bada, consapevole però di come Scott riuscisse
a leggerlo perfettamente.
«Derek» incalzò Scott, facendo un
passo avanti. «Dimmi che hai visto Stiles» quasi lo supplicò, ma Derek dovette
scuotere la testa in un diniego e Scott prese il cellulare freneticamente.
«Scott?»
«Eravamo appena usciti da scuola,
stavamo parlando di Malia e del perché fosse ancora bloccata e… ed è scappato
urlando qualcosa su di te e sul fatto che doveva avvisarti.» Scott abbassò
il telefonino, guardando lui preoccupato. «Non ho sue notizie da più di un’ora,
ormai.»
Derek strinse i pugni e inspirò. «Chiama lo sceriffo e gli
altri, io vado a cercarlo» disse, salendo al posto di guida. Non aspettò una
risposta – che Scott non perse tempo a dargli – e partì, andando verso casa
sua.
Il tragitto dalla scuola al loft non era lungo e quello era il
posto perfetto per cercare una traccia olfattiva. Ciò che Derek trovò, invece,
fu la jeep, abbandonata poco distante dalla scuola, le chiavi ancora inserite
nel quadro.
Derek sentì che il lupo si agitava e annusava l’aria in cerca
di Stiles, il cuore che batteva a mille e il terrore di arrivare troppo tardi
che gli annichiliva ogni pensiero. Poi l’odore inconfondibile di Stiles lo
schiaffeggiò, ridandogli nuova forza, e Derek ringhiò, partendo
all’inseguimento.
Non montò in macchina, non ci pensò neanche. Le sue gambe si
mossero da sole prima ancora che potesse formulare il pensiero e corse. Corse più
veloce che poté, senza preoccuparsi di essere visto, senza chiedersi quale
fosse la scelta migliore per passare inosservato. Non gli importava nulla di
tutto ciò. L’unica cosa che voleva era trovare Stiles e trovarlo in tempo.
Si fermò davanti all’edificio abbandonato dove lui e Jennifer
si erano scontrarti con Scott e Deucalion. Non poteva essere una coincidenza,
no? Doveva essere Jennifer. Nessun altro era a conoscenza di ciò che era
successo lì, dopotutto.
Strinse i pugni, controllando il lupo prima che potesse
prendere il sopravvento. Gli artigli gli punsero la pelle, ma si ritirarono e i
suoi occhi baluginarono per un istante d’azzurro, prima di tornare verdi e
calmi. Non poteva perdere la testa, non prima di essersi accertato che Stiles
fosse al sicuro.
Entrò e si arrestò, dandosi dell’idiota.
Stuart Wiggins sorrise in segno di benvenuto, premendo la
pistola contro la tempia di Stiles, che si trovava in ginocchio.
«Tu devi essere Derek.»
«Va’ via» urlò Stiles. Tremava come una foglia e i suoi occhi
erano spalancati e lucidi, terrorizzati. Ma la sua voce era sicura, il suo
ordine perentorio. Derek si lasciò andare a un basso ringhio rabbioso.
«Lascialo andare» disse, con tutta la calma di cui disponeva.
Non era molta, e la sua voce tremò appena. «O ti strappo la testa con i miei
denti.»
Wiggins rise piano, scuotendo il capo. «Non prima che io abbia
fatto saltare la sua di testa» disse, premendo di nuovo la canna contro la
pelle di Stiles. Il ragazzo ebbe un nuovo spasmo, più forte, e strinse i pugni.
Non era legato e non aveva segni di percosse, ma l’essere
sotto tiro faceva sì che non cercasse di fare l’eroe. Lo sceriffo lo aveva
addestrato bene. Tutto ciò che Derek doveva fare, ora, era frapporsi fra lui e
la pistola. Camminò, tenendoli sotto controllo.
«Perché?» chiese, avanzando di lato. Wiggins sorrise, facendo
spallucce.
«Per Julia» rispose. «Era la mia migliore amica e tu… tu l’hai
uccisa.»
«Jennifer è scappata, io non ho fatto nulla» rispose lui, ma
l’altro non aspettò che finisse di parlare e urlò:
«Julia è morta!» La sua faccia si contorse in una
smorfia orribile, carica di odio e di rabbia. «Il suo corpo era ai piedi del
Nemeton, con la gola squarciata» raccontò, la voce che vibrava d’emozione. «La mia
bellissima Julia è morta e la colpa è soltanto tua!» Afferrò i capelli
di Stiles e tirò, facendogli esporre il collo. Gli puntò la pistola alla gola,
sorridendo folle. «Lei ti amava, e tu… tu…» Urlò, spingendo Stiles a terra,
fuori di sé, vinto dalla collera e dalla voglia di vendetta. Derek cercò di
raggiungere Stiles, di mettersi tra loro, ma Stuart agitò la pistola,
spostandola dall’uno all’altro. Fece qualche passo indietro, allontanandosi da
Derek, ma sempre tenendo sotto tiro Stiles.
Derek alzò le mani, cercando di avvicinarsi. Tutto ciò che
voleva era mettere al sicuro Stiles.
«Mi dispiace per quello che è successo. Jen… Julia è scappata,
non so chi o cosa l’abbia uccisa. Non era così che volevo che finisse.»
Wiggins scosse la testa, lamentandosi sottovoce. «È colpa tua»
mormorò, rivolgendosi un paio d’occhi sconvolti, ricolmi di dolore. «Io non
l’avrei mai permesso» continuò e a Derek fece quasi pena. Perché Stuart l’amava
ed era così chiaro ed evidente, ora, che Derek non poté che sentirsi davvero in
colpa. Se ciò che Wiggins raccontava era vero, se Jennifer era davvero morta,
allora sì, la colpa era sua. Non avrebbe dovuto farla scappare. «Hai idea di
cosa significhi amare qualcuno che neanche ti vede? Che ti guarda e ti adora,
ma non ti reputa abbastanza per lei? E poi…» Stuart rise, scuotendo la testa.
La mano armata si abbassò appena e Stiles ne approfittò per scivolare appena
più in là, mettendosi fuori tiro. Derek si fece avanti ancora, portandosi a un
passo in meno da Stiles. «Ho passato anni con lei, conoscevo ogni suo segreto,
ero l’unico a sapere chi era davvero. E poi sei arrivato tu e l’hai uccisa.»
Alzò la pistola, puntandogliela contro e Derek arretrò di mezzo passo, mentre
Stiles scattava su un ginocchio, spostando gli occhi dall’uno all’altro. Derek
gli fece cenno con la mano di non muoversi, dopotutto lui non sarebbe morto di certo
per un colpo di pistola.
Wiggins sorrise gentilmente, e una lacrima gli rigò il viso.
«So a cosa state pensando. E sì, è una pistola normalissima. Niente acconito,
niente sorbo. Una normale pistola d’ordinanza, ma abbastanza perché compia il
suo dovere» mormorò. Inclinò la testa verso Stiles, sempre con quel sorriso
morbido sulle labbra e si asciugò le guance con la mano libera. «Niente di personale, davvero. Mi sei simpatico e non
vorrei ma Derek ti ama, quindi...» si strinse nelle spalle e lasciò la frase in
sospeso. Derek guardò con orrore l’indice piegarsi sul grilletto. Non ci pensò,
non ebbe bisogno di chiedersi se sarebbe stato abbastanza veloce. Corse e
spinse Stiles a terra, coprendolo come poteva, le braccia a proteggergli il
capo, mentre due spari rimbombavano nell’aria, sopra la sua testa – e il loro
corpi tremarono come a far loro eco.
Quando il momento fu trascorso senza
che nessun dolore lo avesse trapassato, Derek si concentrò sul battito furioso
del cuore di Stiles contro il suo petto, sul calore della pelle contro la sua,
e si arrischiò a voltarsi in cerca di Wiggins. Lo trovò a terra, singhiozzante,
con un foro all’altezza della spalla e una macchia di sangue che si allargava
sulla divisa.
«Tutto bene, ragazzi?» domandò la
voce scura dello sceriffo, avvicinandosi. Derek lo guardò con sollievo e lasciò
andare Stiles quando questi scivolò via dalla sua presa per stringere suo padre
in un abbraccio spezza ossa. Lo sceriffo chiuse gli occhi e strinse, la mano
libera dalla pistola tra i capelli di suo figlio e la fronte premuta contro la
sua mandibola, grato di essere arrivato in tempo. Derek provava esattamente la
stessa emozione. Parrish passò loro accanto e si inginocchiò accanto a Stuart,
richiedendo un’ambulanza via radio mentre metteva in sicurezza la pistola
abbandonata sul terreno.
Malia e Cora arrivarono in
quell’istante, saltando giù dall’auto di Lydia insieme a Kira, seguite a poca
distanza dalla moto di Scott. Doveva averle avvisate proprio Scott, che guardò
Derek per un lungo istante, prima di fargli un cenno, le labbra pressate tra
loro: Grazie, diceva. Derek distolse lo sguardo. Non era merito suo,
tutt’altro. A ben vedere, se le parole di Stuart erano state vere, era tutta
colpa sua. Di nuovo.
Derek fece un passo indietro. E poi
un altro e un altro ancora, approfittando del momento per andare via, senza mai
voltarsi.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Titolo: Beyond the wolf
Fandom: Teen Wolf
Pairing/Personaggi: Sterek (♥) , stiles/OMC, Scott McCall,
Sceriffo Stilinski, un po’ tutti
Rating: R
Charapter: 8/8
Beta: Nykyo
Genere: future!fic a partire dalla 3B, circa
Warning: slash stuff, magical stuff, avventura, azione, one side!Derek,
pomiciamento più o meno spinto.
Summary: A un anno dalla
sparizione della Nogistune e della fine definitiva di Kate 2.0, il branco si
ritrova a dover affrontare una nuova emergenza: qualcosa blocca Derek e Malia
nelle loro forme animali e proprio quando gli omicidi rituali ricominciano.
Note: Questa storia è stata scritta
durante la pausa tra la 3B e la 4 stagione e durante la
4 stagione, ma prende una discreta distanza dagli avvenimenti di quest'ultima.
È, in pratica, un enorme pov Derek, ed è nata
per prendere in giro un'amica e il suo odio per le tirate chilometriche sugli
occhi che ogni tanto si trovano in certe fic. Quindi, lasciatemela dedicare a
Nadia: è stato divertentissimo vedere come da una sciocchezza sia nata una
storia che mi ha accompagnato per mesi, mi ha fatta dannare e mandare al
diavolo la stupidità di Derek ♥
La storia, inoltre, partecipa alla prima
edizione del Teen
Wolf Big Bang Italia e si avvale, quindi, di gift bellerrimi da parte di
due fanciulle adorabili. Lasciatemi quindi ringraziare dal più profondo del
cuore AlexCoffeegirl per questa bellissima art e Phoenix
Bellamy per questa bellezza di fanmix ♥ ♥ ♥ Sono state
bravissime e le devo un grazie dal cuore per aver scelto la mia storia e
fattomi emozionare con i loro lavori ♥
And last but not least, fatemi dare un grosso
bacio e dire un enorme grazie a Nykyo per aver betato e seguito questa storia con amore e
attenzione ♥
DISCLAIMER: vorrei
tanto possedere Derek, ma no, né lui né nessun altro mi appartiene .__. Neanche
Stiles, no *sigh*
Quando Derek era tornato a Beacon
Hills, dopo Kate e le torture, dopo gli incubi di Stiles e le ore passate
insieme a parlare o a restare in silenzio, era successo qualcosa. Era nata
un’abitudine tra loro, una quieta, domestica abitudine di cui lui non si era
reso conto finché non si era ritrovato Stiles sulla porta del loft con in mano
un sacchetto contenente hamburger e patatine.
«Papà ha da fare e visto che non
venivi, ho pensato di passare io, per una volta» aveva detto, entrando senza
aspettare risposta. Derek non aveva detto nulla – a dire il vero non aveva idea
di cosa dire – e lo aveva solo guardato sistemarsi sul divano e posare il cibo
sul tavolino, tirando poi fuori dalla giacca una chiavetta usb e guardandosi
attorno in cerca del pc portatile. Non avevano parlato, non c’erano state
spiegazioni. Derek aveva realizzato che ormai avevano una loro routine e non
aveva commentato. Solo in quel momento si era reso conto che erano più le sere in
cui cenava con lo sceriffo e suo figlio di quelle che passava da solo e che, a
ben vedere, erano serate ben precise, scandite dai ritmi di lavoro di uno o gli
impegni mondani dell’altro. Anzi, certe volte era capitato che lui e lo
sceriffo si fossero fatti compagnia a vicenda con una bistecca e una birra
davanti a una partita di baseball.
Il passaggio era stato così naturale
per lui che non aveva sortito alcun effetto a breve termine, se non un brivido
caldo quando finalmente Derek se n’era reso conto.
E dopo la dichiarazione di Stiles,
dopo il bacio e il suo rifiuto, Derek aveva creduto di perdere tutto, ma era
stato sicuro di farlo per una giusta causa. Quando, quindi, il giovedì sera si
era trovato uno Stiles arcigno sulla porta, era rimasto perplesso. Ma l’altro
aveva pensato bene di trascinarlo giù per le scale con un semplice «Sbrigati o
papà arriverà con la pizza prima di noi.» Derek non aveva parlato neanche
quella volta. Non aveva chiesto, né commentato. Si era seduto al suo posto
nella jeep e aveva lasciato che Stiles gli raccontasse del lacrosse e del nuovo
arrivato – un ragazzino di nome Liam che sembrava essere una miniatura di
Jackson in tutto e per tutto.
Stiles era fatto così, era il tipo
di persona che si gettava tutto alle spalle e continuava per la sua strada, che
ignorava i problemi e sorrideva, che scrollava le spalle e ti offriva una mano
per rialzarti. Stiles era il tipo di persona che non l’aveva lasciato solo con
i suoi demoni anche dopo che lui l’aveva umiliato.
Per questo Derek non si meravigliò
quando lo vide entrare dalla porta.
«Ehi» lo salutò Stiles, infilandosi
le mani nelle tasche della felpa. Derek non parlò, ma posò il libro e si mise a
sedere sul divano. Stiles ciondolò per qualche passo, guardandosi attorno.
«Cora è rimasta con gli altri, ha detto che tornerà più tardi e di non
preoccuparti.»
Derek annuì perché ovviamente
Cora aveva detto una cosa del genere. Sua sorella era malvagia, ma lo conosceva
fin troppo bene. Stiles riprese a camminare, sprigionando nervosismo e ansia ad
ogni passo. Derek sapeva quale era il problema, conosceva già la domanda che
l’altro stava tentando di porgli, ma non voleva ascoltarla. Avrebbe preferito
affrontare qualunque cosa piuttosto che rispondere a quella domanda.
«Come sta Wiggins?» domandò quindi,
e Stiles sussultò, allontanato a forza dai suoi pensieri.
«Bene. Bene, sta bene» balbettò. Diede
un calcetto al nulla e puntò il tallone, spostando il peso del corpo da quello
all’altro piede, dondolando lentamente. «Ci ha raccontato cosa è successo. La
rosa… è nata nel punto esatto in cui ha trovato il corpo di Jennifer un anno
fa. È assurdo come nessuno si fosse reso conto che c’era una rosa praticamente
immortale lì da un anno.» Stiles ridacchiò e scosse la testa, nervoso.
«Comunque, a quanto pare aveva chiesto il trasferimento qui a Beacon Hills
proprio per lei e quando è arrivato e l’ha trovata morta…» scrollò le spalle.
«Ha cercato di scoprire cosa le fosse successo e in qualche modo è arrivato a
te. A quanto pare, la tua sordida relazione con la professoressa di
letteratura inglese del liceo non era un segreto.» Derek ripensò a Jennifer e
ai loro incontri e al fatto che l’unica cosa di cui si era preoccupato era
stato di non essere seguito dal branco di Alpha. Il resto di Beacon Hills per
lui non era esistito, non mentre era stato con lei.
«Quando ha avuto la certezza di chi
fossi ha fatto un incantesimo di sangue per maledirti.» Stiles lo guardò dritto
negli occhi e Derek seppe che il momento era arrivato. «Ha detto una cosa, in
particolare, che mi ha fatto pensare»
«Stiles…»
«Ha detto che l’incantesimo si
sarebbe attivato solo nel caso in cui tu fossi stato innamorato, solo nel
momento in cui avessi amato qualcuno come lui amava Jennifer.»
Derek deviò lo sguardo con un
sospiro e si alzò, spostandosi verso la vetrata, allontanandosi da lui. Non
voleva rispondere, non voleva assolutamente avere quella conversazione.
«Smettila, va’…»
«No! Non me ne vado a casa e
non la smetto!» Stiles avanzò, deciso e sicuro, cercando i suoi occhi con i
propri. «Ascolta, se… se non ti interessassi mi andrebbe bene, okay? Ho
ricevuto così tanti no nella mia vita che uno in più non fa poi chissà che
differenza, ma se…» Tentennò, poi fece un nuovo passo, invadendo un poco
lo spazio personale di Derek, e costringendo lui a guardarlo negli occhi. «Ma
se quello che Wiggins ha detto è vero e mi hai rifiutato solo per un’assurda
idea da eroe tragico che ti sei messo in testa, allora non lo accetto.» Lo
disse con calma, quasi in un sussurro, con l’espressione supplice di chi è
pronto a perdere ogni cosa.
«Non posso permettertelo» mormorò
Derek, e sentì che gli si stava chiudendo la gola. Stiles rise, a testa china,
scuotendola piano.
«Sei un idiota» disse.
«Se ti dicessi di sì e poi…»
«Smettila!» lo interruppe Stiles,
allargando le braccia. Derek si morse le labbra per la voglia che aveva di
cancellargli quell’espressione infelice sul viso. «Non sono Kate e non sono Jennifer,
non farò come loro non…» Stiles si fermò, ansante, e lo fissò con occhi
rabbiosi. La sua espressione furiosa si tinse di un’emozione che Derek sperava
di non vedere mai per colpa sua, mai rivolta verso di lui. «Tu pensi che io sia
come lei» disse Stiles, ferito. Niente urla, niente rabbia, solo la
completa accettazione del fatto che Derek lo credesse debole e fragile. Non era
così, ma lui non aveva mai saputo spiegarglielo.
«Non posso essere la causa di altro
dolore, non di nuovo e se ti succedesse qualcosa…» ammise Derek, perché era
vero e perché poteva confessarlo senza troppe difficoltà. Per anni si era
ripromesso di non permettere più a niente e a nessuno di ferire chi gli era
caro, aveva giurato di vivere in costante solitudine pur di mantenere quella
promessa.
«Ma io non sono Paige!»
«Se ti resto vicino finirò per
bruciarti! Sarai costantemente in pericolo e io…»
«E tu sarai lì!» Stiles si avvicinò
di un passo, gli occhi fissi nei suoi e un’espressione fiera sul viso. «Sono
stato posseduto da una nogitsune. Ha tentato di spezzarmi e, credimi, ci ha provato
davvero tanto. Ma sono ancora qui, no? Tu eri lì. Tu e Scott e gli altri.»
Un altro passo e Derek poteva già sentirne la presenza che invadeva il suo
spazio personale, il suo odore che lo avvolgeva in quel modo che lo calmava
sempre, che gli faceva credere che tutto fosse possibile e che lo fosse in modo
semplice. Niente drammi, niente dolore. «E so che ci sarete quando sarò di
nuovo in pericolo, perché sì, Derek, succederà di nuovo. E quando sarai tu a
essere nei guai io sarò lì con Scott per aiutarti, perché è questo che
fa un branco e noi siamo il tuo branco. Io lo sono.»
Derek chiuse gli occhi e sospirò,
sconfitto; l’attimo dopo sentì le braccia che lo cingevano e se lo tiravano
contro.
«Non
ti lascio andare.» Derek lo ascoltò mormorare contro la sua spalla. «Non mi
importa cosa credi di meritare – o meglio, di non meritare. Non sei un
giudice imparziale per te stesso.» Stiles si mosse piano contro di lui. Derek
rimase fermo, a testa china, con la voce della coscienza che gli urlava di
allontanarsi, di scappare da lì il più velocemente possibile e di salvare
almeno Stiles. Lui non l’ascoltò e si odiò per il suo egoismo per la sua
incapacità di fare la cosa giusta. Lo avrebbe rovinato e Stiles lo avrebbe
odiato – o peggio, sarebbe morto e sarebbe stata tutta colpa sua, solo sua.
«Smettila» fu l’ordine perentorio che gli arrivò da Stiles. I suoi occhi erano
vicinissimi, luminosi e pieni di pagliuzze ambrate che li rendevano la cosa più
bella che Derek avesse mai visto da tanto tempo. «Non sono debole, non mi
romperò se stringerai più forte» continuò Stiles e Derek sentì il suo respiro
accarezzargli le labbra – e, dio, sarebbe stato così facile baciarlo e
dichiararsi sconfitto. Ma non poteva fargli questo, non era abbastanza coraggioso
da scommettere la vita di Stiles per la sua felicità. Stiles gli prese in viso
tra le mani e si avvicinò ancora, in modo quasi insopportabile. Sembrava che
l’intero mondo si fosse ridotto alla sua forma e i sensi di Derek non
riuscivano a percepire nient’altro che non fosse il suo odore e il battito del
suo cuore – rapido ed emozionato – e la decisione del suo tocco e il calore del
suo corpo. «Puoi allontanarmi quanto ti pare, io continuerò a stare qui.»
Le
labbra di Stiles sulle sue furono una sorpresa per Derek, per quanto
preannunciata. Ogni sua difesa vacillò e crollò sotto la loro pressione
gentile, e Derek si sentì vinto.
Venne
disfatto da ogni lato, ad ogni respiro, con le mani di Stiles che gli
accarezzavano la schiena e risalivano lungo il suo collo, tra i suoi capelli. Derek
si aggrappò a lui con la stessa disperazione con cui si era aggrappato a Laura
dopo l’incendio, terrorizzato all’idea di perdere, ancora una volta, per un
capriccio egoistico tutto ciò che gli era caro.
«Ehi,
basta pensare, okay?» mormorò Stiles, e si allontanò da lui il necessario per
parlare. «So che non sembra ma dovresti aver capito anche tu, ormai, che ho dei
fenomenali poteri e che sento quello che pensi, quindi piantala, okay? O
dovrò prendere provvedimenti» lo minacciò, ma lo fece sorridendogli e con le
dita che continuavano a massaggiargli la nuca – in una riproduzione abbastanza
fedele delle grattatine in cui si era prodigato quando Derek era stato lupo.
«Sono
ancora convinto che sia una pessima idea» confessò Derek e Stiles ciondolò con
la testa, pensieroso.
«Allora
c’è solo un modo per farti cambiare idea» disse. Ghignò e sciolse l’abbraccio,
afferrandolo per la mano e trascinandolo verso la porta del loft. Derek lo vide
recuperare il cellulare dalla tasca dei jeans e digitare frettolosamente un
messaggio.
«Cosa…
perché hai mandato un messaggio a tuo padre?»
«Per
dirgli di non fare tardi. Stasera ci sono le lasagne» Stiles lo disse come se
parlasse di passare una serata in uno strip club e Derek inarcò un
sopracciglio.
«E
questo dovrebbe convincermi?» domandò dubbioso. Stiles si fermò, sovrastandolo
di due scalini, e sorrise.
«Ovviamente.
E sai perché, razza di idiota? Perché siamo già legati. Perché a
discapito del sesso che, credimi, voglio fare e rifare e rifare
ancora... Chiunque ci guarda vede una famiglia. Tu fai parte della mia
famiglia, come Scott, e questo non cambierà mai. Quindi se credi che mi
metterai in pericolo, prego» si spostò, indicandogli la porta. «Emigra in
Messico o dove diavolo ti pare. Ma sappi che non mi arrenderò e ti seguirò
dovunque.» Sorrise e il sorriso si trasformò in ghigno. «A costo di vincerti
per sfinimento» concluse.
Derek
lo guardò per un lungo istante. Poi chiuse gli occhi e sospirò, ma senza mai
lasciar andare la sua mano.
***
Stare
con Stiles non era poi così diverso dal solito, su questo Derek doveva dargli
ragione.
Litigavano
comunque, dandosi addosso per le ragioni più disparate, e continuavano ad avere
le loro serate con lo sceriffo, con la differenza che ora, ogni tanto, Derek si
fermava a dormire da loro o Stiles seguiva lui nel loft. E anche in quel caso,
non era nulla che non avessero già fatto.
A
parte il sesso.
Quello,
Derek doveva ammetterlo, era una piacevole novità. Un’aggiunta che aveva
accolto con gioia, più che felice di poter finalmente toccare Stiles come
voleva, dopo quasi un anno a sognare il sapore della sua pelle. Ma svegliarsi e
trovarlo arrotolato nelle coperte era la cosa che più preferiva. E se qualche mattina
lo trovava in posizioni strane e ridicole, non poteva che esserne ancora più
felice. E fargli una foto.
Derek
andava molto orgoglioso della sua piccola collezione.
«Let it go?»
«Sì.»
«Let it go?»
«Sì! Let it go. Frozen. La
canzone della Disney, sì!» sbottò Stiles, allargando le braccia. Il
resto del branco lo guardò perplesso e lui sbuffò. «Ehi, siete voi che avete
chiesto quale fosse la canzone preferita di Malia, io ho solo risposto»
borbottò. Malia, accucciata ai piedi di Lydia, abbaiò, scodinzolando. Erano in
camera di Lydia, dopo che Deaton aveva suggerito loro che forse quello di Malia
era un semplice caso di ritorno alla forma confortevole. Probabilmente
l’allenamento l’aveva stancata troppo o mandata in confusione o spaventata e
lei, istintivamente, si era difesa in quel modo. Tutto ciò che dovevano fare,
quindi, era farla rilassare e aiutarla a trovare un modo per mutare con
dolcezza – perché il richiamo dell’Alpha in quel caso, avrebbe potuto creare
più danno che altro.
«Immagino
si riveda in Elsa» pensò Scott, facendo spallucce.
«Beh,
se è quello che le serve per rilassarsi» commentò Kira con un sorriso
d’incoraggiamento. Lydia guardò il coyote e poi lo schermo del laptop, prima di
digitare il titolo della canzone nella barra di ricerca.
Quando
le note del piano dilagarono dagli altoparlanti, l’intero branco guardò Malia,
in attesa. Il coyote, però, rimase seduto e tranquillo, ma con le orecchie ben
puntate in ascolto e la coda che spazzava quieta il pavimento. Era felice.
«Non
ci posso credere» mormorò Cora, massaggiandosi la radice del naso proprio
mentre Elsa cantava «Well, now they know!» Malia abbaiò e saltò,
atterrandola. Stiles urlò e si lanciò in avanti, ma Derek lo fermò per la
spalla, per nulla preoccupato per sua sorella.
«Ho
detto zitta!» ringhiò Malia, nuda e spettinata, a cavalcioni di Cora.
Stiles
boccheggiò, mentre gli altri ridacchiavano e Lydia recuperava una vestaglia
dall’armadio.
Malia
si guardò attorno, imbronciata.
«Seriamente,
volete stare zitti?»
Fine.
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