Il Cartaio (reboot)

di samuele corsini
(/viewuser.php?uid=764953)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Prima mescolata ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Fate il vostro gioco ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Il piatto piange ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - L'elaborazione della sconfitta ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - La conta dei punti ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Il pollo da spennare ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Manca poco ormai, tutto è pronto. L'ospite è sistemata, gli strumenti puliti e scintillanti. C'è solo da aspettare, e questo lo so fare benissimo. Altroché. Fosse altrimenti, il “piatto”, stasera, piangerebbe. E invece eccoci qui, piatto ricco mi ci ficco. Tiro un sospiro soddisfatto. Che partita interessante sta per aver luogo stasera.

Prendo il mazzo di carte, le mischio, le divido e le dispongo in file, come mi insegnò nonno, pace all'anima sua. Il solitario è una forma speciale di filosofia. Tu da una parte, e il destino, in forma di carte da gioco francesi, dall'altra. Se riesci a insegnare ad un bambino l'arte del solitario, vale a dire l'arte di accettare il fatto che le partite si possono anche perdere, che a volte c'è solo il caso di mezzo e che tu hai dato tutto con le carte che il caso ti ha messo a disposizione, se davvero riesci ad educare fin da piccolo un bambino a questo gioco, da adulto uscirà vincitore anche dalle peggiori sconfitte. E persone così fanno paura. Danno i brividi. La gente, se ti vede perdere, vuole poterti dare del perdente e vederti raggomitolato a piangere in un angolo. La gente ha bisogno dei perdenti. Dà di matto se invece sei impassibile, se accetti la sconfitta e ingaggi un'altra partita con il destino. La gente vuole vederti perdere e rinfacciartelo, così può distrarsi dalle proprie sconfitte.

Giro la prima carta. È un jolly. Non dovrebbe stare nel mazzo, non dovrebbe girare tra le carte di una partita a poker, ma in fondo... perché no? Qui le regole le stabilisco io. È il mio momento, è il mio show, è la mia ora di gloria settimanale. L'ora del Cartaio.

Il Cartaio. Da quale penna da due soldi di quale pessimo scribacchino sarà uscito questo nome? Alle mie spalle, sotto l'orologio da parete, appuntato su una lavagnetta di sughero, ci sono i ritagli di giornale che mi riguardano. Non mi costerebbe nulla sospendere, girarmi e allungare l'occhio sull'autore del trafiletto di trenta righe che ha sancito la mia anagrafica. Il Cartaio... Dico io, avevano il mondo a disposizione! Potevano chiamarmi Il mastro di Carte, Killer Poker, Tris e Bis-turi... Magari Il Croupier, che ha anche una vena elegante nel suono, quella vena di classe che solo l'accento effeminato di un francese può dare alle cose, e invece... Il Cartaio. Manco le producessi davvero io, le carte. Ma dopotutto va bene. In fondo non è che una delle tante carte che il destino ti serve nel corso della vita. Sta a me giocarla, ora, per quanto pessima sia.

Meno di venti minuti all'inizio. Diamine, che eccitazione! Sento le dita sudate sulla superficie delle carte, il loro rumore è l'unica cosa che riesce a tagliare il silenzio di questo angolo di inferno personale. Se la gente sapesse quanto orrore ci può essere in pochi metri quadrati di appartamento, se loro solo sapessero... Ma che importa, in fondo? Anche se solo sospettassero, preferirebbero non sapere. Ma lei no. Lei un giorno dovrà sapere. E quello che conta, ad oggi, è che si sieda, si connetta, accenda la webcam e si inquadri così come le ho insegnato. Con me non si scherza, se ne è resa conto alla nostra prima partita. Se di partita sempre si può parlare. Quando un giocatore abbandona la partita, o non accetta di sedersi, il “piatto” va interamente al rivale. È una cosa che ho sottolineato da subito.

Il solitario non si è incastrato per bene, sono rimaste fuori poche carte. Mugolii nell'altra stanza, l'ospite si sta svegliando. Meglio andare a vedere come sta. Mancano cinque minuti ormai. Il computer è acceso ma in standby, premo un tasto qualsiasi per riattivarlo. Mentre il suo unico occhio si illumina mi affaccio nella stanza dei divertimenti. L'ospite è legata, imbavagliata, illuminata da una lampada operatoria sulla quale ho provveduto a sistemare la seconda webcam. L'ospite prova a dimenarsi, io controllo ancora una volta i ferri del mestiere, puliti, affilati, freddi al tatto, ma ci potrei scommettere quello che volete: loro fremono quanto me.

Quando la consapevolezza del suo destino raggiunge l'ospite, sento i suoi tentativi di urlare. Ci provi pure: ha uno straccio infilato in bocca e tre giri di scotch largo attorno alla testa per tapparle le labbra. Se ci riesce, bene: il destino mi avrà servito la carta dell'ospite ventriloquo. E chi sono io per respingere una carta che il destino mi ha dato?

Dispongo accanto ai ferri il secondo mazzo di carte, quello speciale, poi torno al computer, aggiorno il browser, controllo ancora una volta l'inquadratura della webcam e aspetto. Pochi secondi all'appuntamento. Hanno dieci minuti per farsi vivi, oppure il “piatto” sarà mio.

L'idea un po' mi solletica. Quando ebbi la prima ospite, la mia prima guest star, quasi non sapevo quello che facevo. Alla seconda ci ho preso la mano. Ora, con la terza, quasi spero che perdano. Quasi spero non si prestino al gioco.

Ma no. Non sono qui per saziare una vanità. Non c'è nulla di ludico. Qui ci sono due destini in gioco. Sono qui per ben altro, per più alti scopi.

Sono passati otto minuti. I secondi scorrono via come l'agitazione sottopelle. La mia mente è già nella stanza dei divertimenti, a ghermire le luccicanti lame, il mio corpo resta incollato alla sedia, gli occhi fissi al monitor. Lealtà, mi dico. Mantieni fede ai tuoi patti.

Trenta secondi, ventinove, ventotto...

Poi una finestra di chat riempie lo schermo, al centro il programma di videoconferenza chiede se accetto la videochiamata. Non perdo tempo nel capire se la mia anima ha fatto un bagno nel sollievo o nel disappunto. Sposto il mouse su “Ok”.

Click.

Fate il vostro gioco.

“Buongiorno, ispettore Mari.”

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Prima mescolata ***


Nell'ufficio la sentono arrivare da lontano. Il passo quasi marziale scandito imperiosamente dai tacchi a spillo sul marmo dei gradini preannuncia con qualche secondo d'anticipo l'entrata di Anna Mari nella centrale operativa della Questura. Appare spalancando la porta e rivolgendo ai presenti un generico “buongiorno”, senza curarsi di ricevere o meno risposta. Vive quel saluto come una formalità, come timbrare il cartellino a inizio giornata.

Anna Mari procede verso la sua postazione individuando il percorso più breve da seguire facendo uno slalom tra colleghi in movimento concitato da un terminale all'altro. Li evita con sorprendente anticipo, ora allungando il passo infilandosi tra Terenzi e Gionnaccaro – l'uno di spalle all'altro, uno al telefono e l'altro che attacca bottone con la nuova arrivata – ora rallenta evitando che Berilli tagliandole la strada possa calpestare le scarpe di vernice nera con la punta comprate due settimane fa. Sono la sua passione, le scarpe. Ne compra un paio nuovo ogni mese, come sorta di premio per essere sopravvissuta ad altri trenta giorni di vita. O di lavoro che dirsi voglia. Tanto l'uno o l'altra sono per l'ispettore Mari la stessa identica cosa.

Arrivata al terminale accende il monitor del suo computer e si aggiusta il tailleur Gucci prima di sedersi. Per il tailleur non vale la stessa cosa delle scarpe. Ha scarsi tre vestiti eleganti, indossati strategicamente nei giorni giusti. In effetti quel giorno dovrebbe venire per una ispezione il sottosegretario del Ministero dell'Interno. Visita di routine, certo. Tutti più sull'attenti e più solerti nel loro dovere, certo. Ma gli altri sono gli altri.

Foss'anche per un composto stacco di coscia o per un'innocente capolino di un suo seno, piccolo ma sodo, Anna Mari vuole che la si ricordi. Vuole risultare, risaltare...apparire! Non è solo superbia o arrivismo: la sua è una mania che rasenta il simpatico binomio di “ossessivo-compulsivo”.

“Dovresti andare da un analista, per questa tua mania.” le aveva detto una volta sua sorella, in tono semiserio.

“Gli analisti sono per gli sfigati.” era stata la sua risposta.

Mari raccoglie i capelli dietro la nuca, ne fa una crocchia che poi infilza con un lungo fermacapelli di legno scuro intagliato. Si guarda al volo nel riflesso del vetro della finestra, soddisfatta dell'aria pratica e severa che ha assunto. Nonostante il condizionatore giri su temperature quasi polari, l'ufficio è affollato e la tensione per l'imminente visita ufficiale scalda gli animi. Si toglie la giacca, e ne emerge una camicia bianca che la veste come una seconda pelle, sapientemente sbottonata sul decollettes, quanto basta per sembrare più donna ma non abbastanza da sembrare volgare. È in perfetta forma, nonostante abbia poco più di quarant'anni. È la gioia della sua istruttice, in palestra. In dieci anni di frequenza, oltre agli attrezzi, non si è persa un solo corso alla moda: spinning, pilates, yoga e ora quella disciplina dal nome ridicolo, la zumba. Ridicolo o no, lo fanno tutte, e se lo fanno tutte, Anna vuole esserne parte, ed esserne la migliore. Nome ridicolo o meno.

Finalmente si siede e comincia a controllare i dossier degli ultimi casi. La rapina/omicidio in cui è rimasta coinvolta la settantenne Marina Restucci: dubbi sul nipote, ancora irreperibile, anche se i genitori spergiurano che è ad Amsterdam per un viaggio culturale ( sì, come no! Culturale... ), anche se alla lista di sospetti si sono aggiunte altre due persone. La signora Restucci era una gentile usuraia di quartiere, e non si esclude che qualche cliente con l'acqua alla gola abbia potuto voler caritatevolmente porre fine alla sua insaziabile sete di denaro.

Poi ancora la sparizione di quella ragazza del quartiere bene della città. Ma a diciassette anni si può benissimo sospettare la cosiddetta fuitina con qualche fidanzato. Potrebbe tornare benissimo a casa entro poco, carica come una bomba a orologeria programmata a esplodere entro nove mesi. Anche se non si esclude il peggio. Il fidanzato continua a dire di non sapere nulla, ma se è coinvolto può averla nascosa, nel bene o nel male, solo nella sua casa di campagna. Nel pomeriggio manderà due suoi agenti a controllare.

C'è poi il caso di quella lite domestica. Donna picchiata e finita in ospedale che accusa il marito, arabo, geloso e possessivo. Ad una prima chiacchierata il marito era però sembrato molto più occidentalizzato dell'arabo stereotipato medio. Voci nel condominio hanno raccontato che la lite era in realtà avvenuta tra la signora Akhmahad ( il quale cognome da nubile era Cazzaniga.; ai posteri giudicare se nel cambio ci abbia guadagnato o meno ) e il suo amante, del quale si era invaghita come una scolaretta, pronta a subirne le percosse ed a negare l'evidenza davanti anche al Giudizio Universale, pur di non perderlo. Anna Mari pensa che, anche se inconsapevolmente, certe donne sanno essere più stronze di quanto non lo siano certi altri uomini. Chiude il dossier e lo impila sopra i precedenti due.

Sta per passare alla rapina a mano armata di tre giorni prima, quando sullo schermo appare una notifica di mail ricevuta. L'indirizzo è alquanto strano, per non dire bizzarro: vuoi_giocare@poker.com. Nessun antivirus che scatta, nessuno spam o pishing o quello che sia. È in effetti una mail seria, pulita, ma chi può avere un indirizzo del genere? E soprattutto, come hanno fatto ad avere il suo indirizzo di posta elettronica della polizia? Per quel contatto ci dovrebbe essere una riservatezza maniacale, sono i suoi superiori e pochissimi colleghi la possiedono, né lei si è mai sognata di girarla in giro. Se vuole fornire un contatto, usa un banale indirizzo gmail.

Anna decide che ha perso già troppo tempo a considerare alternative che non portano a nulla. Ci clicca sopra.

La prima cosa che appaiono sono due allegati. Due foto. Nella prima una ragazzina è ripresa in primo piano. L'ispettore ci mette una frazione di secondo per riconoscere Francesca Bernardini, la diciassettenne sparita da alcuni giorni, anche se indugia un momento per far coincidere la foto che aveva visto poco prima nel dossier, che ritraeva una teenager carina, sorridente e nel pieno sbocciare della sua adolescenza, con l'immagine del volto sconvolto che le è appena arrivata. Si drizza sullo schienale e incolla gli occhi allo schermo, divorando ogni dettaglio. La ragazzina ha qualcosa che le ottura la bocca, ma non si riesce a distinguere bene cosa sia perché del nastro adesivo le copre completamente la bocca; gli occhi sono sgranati di terrore e pieni di lacrime che le rigano gli zigoni e le strisciano in fuori. Evidentemente la foto è stata scattata mentre era sdraiata.

La seconda foto rende ragione alla Mari della deduzione di poco prima. Stavolta la ragazzina è ripresa di lungo e per intero. È sdraiata su una sorta di tavolo di metallo luccicante. Sembra, e forse lo è, un tavolo operatorio da veterinario. La ragazzina è stata immortalata in una posa che lascia trasparire la più folle disperazione. In Anna Mari comincia a montare la rabbia. Un tavolo del genere è relativamente poco lungo, e in ragione di ciò sul piano del tavolo la ragazza risulta stesa dalle spalle alle anche. Testa, braccia e gambe rimangono in fuori. Le braccia sono sollevate e i gomiti piegati all'indietro sono allacciati alle gambe del tavolo con delle cinghie. Stessa cosa per le le caviglie, allacciate alle gambe del tavolo con lo stesso genere di cinglie. A rendere più drammatica la cosa, oltre la evidente posizione crudelmente scomoda, si intuisce che la rapita si dimena nel tentativo di liberarsi, perché gomiti e ginocchia sono venuti mossi in foto. Come se non bastasse, la ragazza è in reggiseno e mutandine.

All'ispettore Mari ribolle il sangue nelle vene, forse per la prima volta nella sua vita ha un moto di solidarietà femminile. Quale pazzo pervertito figlio di puttana può aver conciato così quella ragazzina? E per quale assurdo motivo? E perché poi contattare proprio lei?

La mail non era terminata. Scorrendo verso il basso emerge dal foglio elettronico un testo di alcune righe.

L'ispettore Mari lo legge, lo legge ancora, lo rilegge una terza volta. Poi stampa tutto, foto e testo, e schizza via verso l'ufficio del Commissario Puglisi. Stavolta travolge almeno tre colleghi, ma il suo sensore per lo slalom d'ufficio, per quel giorno, sarà totalmente fuori uso.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Fate il vostro gioco ***


Il commissario Puglisi, cinquant'anni e radi capelli inesorabilmente virati in un grigio senile, dovette rileggere più volte il messaggio pervenuto all'ispettore Mari. Neanche mezzo minuto prima l'ispettore si era precipitata nel suo ufficio con tre fogli ancora caldi di stampante e glieli aveva quasi lanciati sulla scrivania, andando a interrompere la lettura degli ultimi rapporti. Ma non aveva potuto ribattere alcunché perché il primo di quei tre fogli era intriso di tanta crudezza da far cadere nel vuoto ogni tentativo di protesta o di richiamo al rispetto dell'etichetta nei rapporti superiore-subordinato.

“Francesca Bernardini. La ragazza scomparsa.”

Senza dire una parola il commissario passa all'immagine successiva, il primo piano della ragazza, imbavagliata e stesa sul tavolo operatorio da veterinario. E poi il terzo foglio, il messaggio del rapitore. Come l'ispettore Mari, il commissario rilegge più volte per esser sicuro di aver capito bene.

 

Ispettore Anna Mari, credo di aver trovato – in modo per nulla accidentale, s'intende – una persona di cui ormai dovrebbe esser stata denunciata la scomparsa. Se avesse avuto qualche difficoltà ad identificarla le do una mano io. Si chiama Bernardini Framcesca. Ora, fossi un cittadino qualsiasi credo l'avrei portata immediatamente dai genitori, o in commissariato. Non lo sono.

La ragazzina è mia ospite, ispettore Mari. E verrà liberata se soddisferete qualche mio piccolo capriccio.

No, non sono tipo da chiedere soldi. Il valore del denaro è sopravvalutato, anche se nessuno sembra accorgersene al giorno d'oggi. Quello che le chiedo è una partita a poker. Niente di più semplice. Mischiare i nostri destini in una partita a carte ed affidarli al caso. Ovviamente la cosa avverrà a distanza, tramite un'apposita chat di cui io le fornirò l'indirizzo.

Dato che sarò io il padrone di casa, dovremo dettare delle regole speciali, giusto per dar più sapore al gioco.

Punto primo: scelga un tavolo, una postazione qualsiasi, che le faccia da tavolo da gioco. Ci si sieda e ponga una webcam in modo che possa inquadrarla per bene dalla testa fino al punto del tavolo più lontano in cui lei può spingere le mani. Non vorrà mica barare tirando fuori qualche carta fortunata strategicamente piazzata fuori dall'inquadratura, vero?

Punto secondo: si procuri un mazzo di carte francesi. La avverto che se mi rendo conto che sono contraffatte il gioco potrebbe finire prima. Troppo prima. Con tristi conseguenze per la nostra Francesca. A proposito, sì, giocheremo a poker, ma non elimini il Jolly. Renderà la partita più divertente.

Punto terzo: il primo che vincerà tre partite, vincerà la ragazza. E per ogni partita che vincerò io, mi prenderò qualcosa dalla mia ospite.

Punto quattro: la partita inizierà alle quattro di oggi pomeriggio. Il link per la chat le verrà trasmesso via mail poco prima del nostro “appuntamento”. Non appena riceverò la notifica di mail letta lei avrà dieci minuti per accedere alla nostra chat room. Se non dovessi avere risposta entro questo termine, lo considererò come abbandono della partita, e mi regolerò di conseguenza.

Per il momento queste sono le cose che deve sapere. Si procuri un tavolo, delle carte e una webcam. Appuntamento alle quattro. Non si faccia desiderare.

 

Fate il vostro gioco

 

“Come le è arrivato tutto questo?”

“Ho ricevuto una mail sulla mia casella postale di servizio.”

“Bisogna accertarsi di chi possiede...”

“Lasci perdere. Non ho dato a nessuno quell'indirizzo.”

“E allora come se lo spiega che qualcuno ne sia a conoscenza?”

“Con tutti i tagli che stiamo subendo non mi stupisco che non ci possiamo permettere un ingegnere informatico o qualsiasi altro smanettone che possa rendere più sicuri i nostri server e tutte le...”

“Ispettore Mari, lei sta correndo! Lei sta dando per vero un messaggio arrivatole non si sa bene come dal suo indirizzo privato di servizio...”

“Ma ha visto la foto? Prenda il file della denuncia, confronti la foto della scomparsa con...”

Il cellulare del commissario trilla, avvisandolo di una notifica ricevuta. Puglisi lo prende tra le mani maledicendo quegli arnesi che ti rendevano rintracciabile anche nei momenti meno indicati. Benedetti i tempi dei telefoni a disco e delle segretarie che ti passavano solo le telefonate importanti e che avvertivano tua moglie che “il commissario era occupato”.

“Anna, chiameremo un tecnico, faremo controllare il tuo indirizzo e rintracceremo l'indirizzo di questo imbecille che...”

Il commissario si blocca guardando lo schermo del suo smartphone, riconoscendo l'indirizzo del messaggio di posta elettronica come lo stesso da cui era partita la mail per Mari.

L'ispettore si rende conto che qualcosa non quadrava dal viso improvvisamente sbiancato del suo superiore. Il commissario apre la mail. Nessun messaggio, solo un allegato. Un file video.

Puglisi ci clicca sopra e aspetta che il diabolico marchingegno finisca il download.

“A quanto pare il nostro spiritoso ha intenzione di rendere anche me partecipe della partita. Venga a vedere.”

Anna Mari raggiunge Puglisi dall'altra parte della enorme scrivania proprio quando il download finisce. Il commissario avvia la riproduzione.

Di nuovo, Francesca Bernardini in primo piano, stavolta senza nulla a impedirle di parlare. O di piangere a dirotto.

Fuoricampo, una voce contraffatta, interagisce con lei.

“Ciao bella bambina. Vogliamo ricordare al pubblico a casa, ma soprattutto all'incredulo e integerrimo commissario Puglisi, come ti chiami?”

Francesca, tra singhiozzi e lacrime, non riesce ad articolare alcun suono.

“Cosa c'è, non riesci a parlare? Hai un groppo in gola?” una mano guantata compare nell'inquadratura, stringendo un serramanico chiuso. Quando il pollice spinge il pulsante, la lama scatta fuori con un sibilo sinistro: “Vuoi che te lo sciolga?”

Il terrore fa una brusca impennata nello sguardo di Francesca Bernardini, e la voce, come per miracolo, le si scioglie: “Francesca! Francesca! Mi chiamo Francesca!”

“Brava bambina. Ora vogliamo dare le informazioni di servizio? A che ora è l'appuntamento?”

“Alle quattro! Alle quattro! Ti prego, non...”

“Sh-Sh-Sh... Stai andando bene, fiorellino. Vogliamo anche ribadire cosa succede se non si presentano alla partita?”

La ragazza prova a dire qualcosa, ci riprova ancora. Per qualche secondo le trema il labbro, gli occhi le si riempiono di lacrime. Cede e scoppia in singhiozzi.

Videomessaggio finito, il commissario guarda l'ora. Venti minuti alle dodici. Quattro ore e venti minuti prima della partita.

“Chiamiamo i nostri tecnici, cerchiamo di rintracciare questo stronzo.” sbotta, scosso ma pratico.

“Come ci regoliamo? Dobbiamo assecondarlo?”

“Sulle prime sì, diamogli a bere che ci stiamo. Chiama Gionnaccaro e fallo venire qui. Quello con le carte ci sa fare. Spieghiamogli la situazione.”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Il piatto piange ***


Un minuto prima delle quattro, sul monitor di Anna Mari compare la notifica di mail ricevuta. L'indirizzo del mittente è lo stesso delle mail precedenti. Il messaggio contiene un link e un codice di accesso. Cliccando sul link compare una finestra che chiede l'apposito codice. Una volta inserito si materializza la vera e propria finestra di chat. La videochiamata si avvia automaticamente all'accesso.

Appare nel riquadro della webcam una figura avvolta nell'ombra. Un cono di luce davanti a lui illumina mani vestite di guanti di pelle che fanno frusciare, senza mischiarle, un mazzo di carte. La figura è vestita, per quanto è concesso vedere, da una felpa marrone con la zip chiusa fin sotto al collo, dotata di cappuccio. Sotto al cappuccio l'unico brillio di vita è dato dagli occhi, leggermente fuori fuoco. Il resto del viso nascosto da un passamontagna nero. Il braccetto metallico di un microfono si porta fino all'altezza di dove dovrebbe esserci la bocca, nascosta sotto il tessuto.

“Mi aspettavo di vedere l'ispettore Mari.” esordisce la figura. La voce risulta contraffatta come nel video ricevuto da Puglisi.

“L'ispettore Mari ha lasciato a me l'incarico della partita.” risponde Giannoccaro, dissimulando l'apprensione. Non sapeva a cosa andava incontro accettando questo compito. Sapeva solo che c'era in ballo la vita della ragazzina, questo lo aveva portato ad accettare l'incarico assegnatogli da Puglisi. Ma da quando era comparsa in quella casellina la figura incappucciata ha sentito la sedia scaldarglisi sotto il sedere.

“Ah sì?” il tono è quasi indifferente, ma trapela una vena sarcastica. “Ha davvero detto così? Oppure è il risultato di una decisione del commissario Puglisi?”

Ecco, ora la sedia comincia a scottare davvero.

“Sono un buon giocatore di poker, le prometto una partita soddisfacente... Vedrà che...”

“Senti, coglione...” il tono è sbrigativo e duro, ora. La voce distorta, benché ha un timbro grave, può risultare in qualche modo comica, se non ci fosse tutta quella situazione del cazzo a far da contorno “...non sono qui per perdere tempo con te. Se avessi voluto giocare con te non mi ci voleva nulla a trovare il tuo indirizzo di posta elettronica. Ora ascoltami bene. Hai esattamente un minuto da ora per scollare il culo da lì e piazzarci Anna Mari, oppure quello che proverà la nostra Francesca non sarà così soddisfacente!”

Più che un minuto, pochi secondi. L'uomo incappucciato, dalla sua postazione, vede dileguarsi il poliziotto e comparire l'ispettore Mari. Composta e seria, come sempre. Soddisfatto dell'accaduto, la figura posa le carte sul tavolo e intreccia le dita davanti al mento.

“Sono qui.”

Se per Gionnaccaro la sedia scottava, per la Mari è a dir poco magmatica.

“Che eleganza, signorina Mari. Aveva un appuntamento dopo il lavoro?” una leggera malizia nel tono di voce.

La Mari non raccoglie, si allunga in avanti e prende le carte che erano state messe lì per la partita: “Ecco, come da lei richiesto.”

“Con comodo, non c'è fretta.”

Benché il viso fosse coperto, un movimento sotto il passamontagna lascia intuire un sorriso sardonico nascosto lì sotto. Non mi piace, pensa l'ispettore, non dovrei essere qui. Non è questo il mio posto...

“Voglio solo mettere in chiaro una cosa. Non mi aspetto che non proviate a trovarmi prima che il nostro gioco abbia fine. Immagino bene che attorno a lei ci possano essere tre o quattro smanettoni pronti a setacciare la rete per provare a capire da dove parte questa chiamata, e credo che il suo ufficio, già di solito affollatissimo, sia arricchito da qualche presenza illustre. Dovrebbe esserci il sottosegretario nel ministero degli interni in giro, se non sbaglio, e quindi dovrebbero esserci tanti pezzi grossi lì che si cagano sotto per questa improvvisa grana che gli è capitata tra capo e collo. Non è una sensazione piacevole avere tutti quegli occhi addosso, vero?”

L'uomo vede l'ispettore guardare oltre lo schermo del computer. Al di là della sua scrivania la situazione è identica a quella descritta dalla figura incappucciata. E no, non è una bella sensazione avere tutti quegli sguardi puntati contro. E non è affatto una bella sensazione sapere che la vita di quella ragazza dipende da lei.

“Dicevo, non mi aspetto che non proviate a prendermi. Mi aspetto però che non mi prendiate per il culo. Se invito lei, ispettore, a giocare, non voglio nessun altro. I mezzi non mi mancano per rintracciare gli indirizzi di tutto il commissariato. La prossima vola che succede, banco vince. E il piatto è del banco. Mi sono spiegato?”

Fredda, Anna Mari incassa il colpo. Fa un cenno d'assenso, poi torna a guardare oltre la scrivania. Un tecnico occhialuto, con indosso un dolcevita che copre una vita non esattamente dolce, sta tenendo un foglio di carta con su scritto a lettere grandi: Tienilo quanto più a lungo possibile! Mastica un enorme chewing gum a bocca aperta.

“Detto questo, ispettore, possiamo iniziare. Anche perché credo che la nostra ospite stia diventando un po' insofferente.”

In quel momento sul monitor compare un'altra casella in cui si vede la ragazza, legata al tavolo così come era comparsa nella foto. Un pianto sommesso si aggiunge alla conversazione. Anna Mari sente il respiro venir meno.

“Io... Io non sono molto brava a poker...”

“Stia tranquilla, ispettore Mari. O posso chiamarla Anna? Sa, forse è meglio entrare subito in confidenza. Ci aspetta una relazione lunga e divertente, mia cara.”

“Ispettore Mari andrà più che bene.” è un improvviso moto di repulsione a farla parlare.

“Fredda e distaccata, come sempre. Ah, se potessi trovarlo, ucciderei chiunque le abbia messo quella mazza in culo, da piccola.”

Nessun segno di emozione da parte della poliziotta. Incassa la battuta e attende di sapere cosa fare.

“Come vuole. Prenda le carte e le divida per seme. Io faccio lo stesso.”

Entrambi cominciano l'operazione di divisione per seme, ottenendo quattro mazzi di tredici carte ciascuno. L'ispettore cerca di incrociare lo sguardo del tecnico panciuto, cercando uno sguardo di conforto, ma quello sguardo è perso in Matrix. Spera che cavi qualche ragno dal buco. O, è il caso di dirlo, dalla rete.

“Finito, ispettore?”

“Quasi.” la Mari si affretta nel finire quell'operazione preliminare.

“Bene, ora per velocizzare prendiamo due semi alla volta, e apriamo i mazzi a ventaglio in modo che possiamo vedere che non ci siano doppioni. Prima cuori e quadri, poi fiori e picche. In ultimo i due jolly.”

I due contendenti eseguono, tutto regolare.

“Bene!” esclama soddisfatta la voce contraffatta "Ora mischiamo le carte".

Alla sinistra di Anna Mari, in piedi, braccia conserte, il commissario Puglisi osserva le operazioni, la testa piena di domande perse in una nebbia di tensione.

“Basta mischiare. Carte sul tavolo.” ordina l'uomo nella webcam “Ci tengo a dire che per pura convenzione oggi decido io quando smettere di mischiare. La prossima volta sarà il suo turno.”

“La prossima volta?”

“La nostra storia non finisce mica qui, mon cherie. Ma occupiamoci della partita odierna, una cosa alla volta. Tagli il mazzo.”

Mari esegue, dividendo il mazzo in due. Percepisce un tremore nella sua mano, ma cerca di non lasciar trapelare emozioni.

“Ora...” ordina la figura “...prenda due carte dalla cima di entrambi i mazzi e le disponga coperte avanti a sé.”

Sul viso dell'ispettore appare un'espressione interrogativa. L'uomo nella webcam intuisce le perplessità. Esegue lui per primo l'ordine. Prende due carte dalla sommità di uno dei mazzi ottenuti dalla divisione di poco prima e altre due dall'altro mazzo, e poi ordina avanti a sé le quattro carte coperte. Dopodiché guarda in camera e con un gesto invita la sua sfidante a fare lo stesso. Mari esegue, perplessa. Ha la bocca secca. I momenti di silenzio tra lei e l'uomo incappucciato hanno come tappeto sonoro i singulti della ragazza rapita.

“Ora, per quanto riguarda la quinta carta...”

“Non la stiamo tirando un po' troppo per le lunghe?” sbotta la poliziotta, visibilmente innervosita.

“Abbiamo quasi finito. Lo so, questa è la parte più noiosa del gioco, ma è per assicurarci che solo il caso influenzi le nostre carte. Del resto, come altrimenti potremmo giocare a poker tramite webcam assicurandoci che nessuno dei due bari? Avrei potuto usare un programma di videopoker o crearne uno io stesso. Ma io sono un avversario leale, ispettore. Un programma si può contraffare, si possono programmare le carte che devono uscire. Questa soluzione non le pare un bel compromesso?”

“E se dovessimo avere carte uguali?”

“Non importa. Vince semplicemente chi ha le carte migliori. Ora, vogliamo tornare alla questione della quinta carta? O ha intenzione di inventare il poker a quattro carte?”

Anna Mari stringe le labbra, da uno sguardo al tecnico. Ancora perso in Matrix, ma il fatto che batte qualcosa sulla sua tastiera le fa ben sperare.

“Dicevo. Per continuare ad assicurarci casualità e gioco pulito, io sceglierò da quale metà del mazzo lei prenderà l'ultima carta. Stessa cosa vale per lei. Le sembra una regola condivisibile?”

Mari non risponde. Apprezza il gioco pulito che sta facendo quel potenziale assassino, ma le si annodano le viscere al sentire quel lamento di sottofondo e al pensiero che loro due stanno giocandosi la vita di una ragazzina ad uno stupido gioco di carte.

“Chi tace acconsente. Bene, procediamo. Visto che oggi è toccato a me decidere quando smettere di mischiare, mi sembra sensato lasciare che lei decida per prima dove io debba prendere l'ultima carta. Mazzo di destra o mazzo di sinistra, ispettore?”

“Tutto questo non ha senso...”

“Avrà un senso alquanto tragico, ispettore, se non si decide presto. È questo che vuole?”

La tensione all'interno dell'ufficio è palpabile. Metà degli sguardi seguono pieni di apprensione le evoluzioni cibernetiche del tecnico occhialuto e dei suoi due collaboratori, che concitatamente si scambiano qualche parola a mezza voce, l'altra metà degli occhi è fisso su di lei.

“Non faccia cazzate, ispettore.” a parlare, alla sua sinistra, è il commissario Puglisi “Lo assecondi. Non tiri troppo la corda. Non sappiamo che aspettarci da questo pazzo.”

“Il suo capo ha ragione... per metà, almeno. Non sono del tutto pazzo, anche se non spetterebbe a me dirlo. Suvvia, sbrighiamoci. Destra o sinistra? Non le ho chiesto mica di scegliere uno schieramento politico!”

“Destra.”

“Bene.” l'uomo preleva una carta e la posiziona accanto alle altre quattro. “Ora guardi. Riunisco le due metà del mazzo mazzo, mettendo in alto la metà da cui ho prelevato l'ultima carta. Mi aspetto che lei faccia lo stesso. Per quanto riguarda me, io dico che la sua ultima carta deve prenderla dal mazzo di sinistra.”

Mari preleva la carta, la dispone coperta sul tavolo e riunisce il mazzo come indicatole.

“Fate il vostro gioco, signori!” annuncia la figura nell'ombra “Si scoprano le carte!” e comincia a girare le carte sul tavolo. Un tre, una donna, un sette, un tre, un altro tre. “Tris di tre per me! Tre al quadrato, oserei dire.” si frega le mani guantate nel cono di luce, soddisfatto. “E lei cos'ha, ispettore?”

Mari deglutisce maledicendo la posizione di evidente vantaggio del suo avversario. Ma in fondo non è ancora detta l'ultima, no? Sono cinque anni che ha smesso di fumare, ma quanto desidera una sigaretta ora... comincia a scoprire le sue carte. Un asso, un dieci, un cinque, un jack, un re. Un cazzo. Non è una giocatrice professionista di poker, ma ne sa abbastanza per capire che non ha un cazzo in mano.

“Poca roba, vedo.” dice, sorniona, la voce contraffatta “Può cambiare fino a quattro carte, mon cherie. Per quanto mi riguarda, ne cambio due, anche se...”

“Piantala di chiamarmi così, figlio di puttana.” sibila la poliziotta. L'ufficio passa da temperature sahariane ad antartiche in una frazione di secondo. Ora tutti i presenti la guardano con occhi sgranati.

“Ispettore, si contenga. Non rovini tutto.” le intima il commissario, posandole una mano sulla spalla.

Anna Mari schiaffeggia la mano del suo superiore e gli pianta addosso due occhi inferociti, umiliati e stizziti: “Ci prende in giro! Non so come ha fatto ma mi ci gioco quello che volete che ci sta imbrogliando! E noi ce ne stiamo qui a tenerlo a bada sperando che quei segaioli riescano a stanarlo dal server in cui s'è rintanato!”

Da temperature antartiche a subantartiche. I tecnici, dalle loro postazioni, lanciano sguardi a punto interrogativo verso il terminale dove proveniva la discussione.

“Non ho imbrogliato nessuno, ispettore.” la voce contraffatta, da gioviale e accondiscendente, è diventata fredda e misurata “Quelle sono le carte che il destino le ha servito. Sta a lei ora decidere se rischiare fino in fondo. In quanto a come la chiamo o come non la chiamo, in questo momento non mi pare proprio che lei sia nella posizione di protestare, mon cherie. Per cui...”

“Per cui vai a cagare tu, il poker e il tuo francese di merda, frocio represso!!!” e con una spinta rovescia la scrivania, facendo precipitare al suolo monitor, cpu e carte. La cpu si apre, il vetro del monitor scoppia, le carte sfarfallano e vanno a morire sul pavimento. Quando al frastuono segue il silenzio, la temperatura ha raggiunto lo zero kelvin.

Passano secondi eterni, prima che Anna Mari si renda conto di quello che ha fatto. Prima che qualcuno trovi la forza di rivolgerle la parola lei afferra la sua giacca e si precipita fuori dell'ufficio. Scendendo i gradini della questura spegne il telefono, non vuole essere rintracciata da nessuno. Uscita sulla piazza antistante il vecchio palazzo della questura incrocia un collega di cui a malapena ricorda il nome. Sta fumando. Gli chiede una sigaretta e se la fa accendere. Il collega, porgendole l'accendino acceso, non può non notare come la sigaretta le tremi tra le labbra. Aspirato il primo fumo Anna Mari scappa via senza neanche ringraziare.

Passeranno delle ore prima che accetti di tornare reperibile per il mondo, ore in cui la coscienza le metterà a ferro e fuoco l'anima. Quando, a notte fonda, finalmente decide di riaccendere il telefono, assieme alle valanghe di messaggi di testo e in segreteria, trova anche un messaggio di posta elettronica. L'indirizzo del mittente le provoca un brivido convulso. Sarà il primo messaggio che leggerà quella sera. Messaggio che le provocherà una notte insonne, tra rimorsi e sensi di colpa:

 

Non hai avuto lo stomaco di vedere come andava a finire. Peccato. Ma non per te, ovvio. Potevi giocartela meglio. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 - L'elaborazione della sconfitta ***


Gionnaccaro bussa alla porta di Anna Mari col fiatone. È un uomo di quarant'anni ben portati e ha un fisico che regge al tempo, ma trova assurdo farsi cinque piani a piedi. Anna Mari aveva scelto di proposito di abitare in quel vecchio palazzo senza ascensore. Pur essendo assidua frequentatrice della palestra metteva in conto che un giorno si sarebbe stancata di andarci, ma nell'eventualità voleva in quel caso “costringersi” a fare almeno le scale a piedi, come allenamento quotidiano.

Giannoccaro alza la mano a pugno per bussare una seconda volta, ma la porta si apre proprio in quel momento. Giusto il necessario perché la padrona di casa potesse vedersi in viso. L'ispettrice sorprende il collega in una sorta di saluto comunista. Legge una sorta di stupore che gli passa negli occhi per un secondo, prima che lui si distolga. Non può dargli torto. Sono giorni che non esce di casa, mangia a stento, neanche si lava. I capelli sono un disastro in simil stoppa. Ha ancora in faccia il residuo archeologico del trucco di venerdì scorso, il venerdì del poker con il mostro. Ed oggi è martedì.

“Anna, sono giorni che non dai tue notizie...” esordisce lui.

Esordisce con una ovvietà, pensa lei, evidentemente in questura hanno dei problemi molto seri.

“Ha saputo le ultime?”

“Fabrizio, sono poco incline alle domande retoriche, quindi vieni al punto. Ti ha mandato Puglisi?”

La voce ha un tono piatto, monocorde, ed è appena udibile, ma è la voce di chi a una risposta sbagliata risponderebbe sbattendoti la porta in faccia senza preoccuparsi se il tuo naso possa avere la peggio. Decide per la sincerità e annuisce.

“Entra, ma non aspettarti Buckingam Palace...” apre del tutto la porta e volta le spalle al collega percorrendo il breve corridoio che porta in cucina. Niente cerimonie, non ne ha voglia. Se ne frega di tutto, in quel momento. In testa, da giorni, ha solo quel breve messaggio. Non hai avuto lo stomaco di vedere come andava a finire...

Giannoccaro entra e si richiude alle spalle la porta, osservando quella donna in pigiama di pile e vestaglia a righe che ciabatta strascicando i piedi verso la cucina. Senza tacchi, spalle curve, risulta meno imponente di come appare in ufficio. Ha scorto nel viso un'ombra di smagrimento. Entrando in quella casa ha avuto come l'impressione di essere entrato in una dimensione parallela e di aver conosciuto la versione gattara della sua collega. La segue in cucina e la trova a trafficare con la macchinetta del caffè, ma ci vorrà una grande forza di volontà per berne. L'aria è satura di odore di spazzatura in fermentazione, sul tavolo ci sono le bucce e i torsoli di qualche mela dimenticate da una o due sere. Una nube di moscerini vi volteggia sopra come avvoltoi sopra un animale in fin di vita. Mensole e ripiani sono coperti di polvere. Giannoccaro corre alla finestra e la spalanca, per far prendere aria all'ambiente.

“Ma come ti sei ridotta?”

Girata di spalle, intenta a riempire la macchinetta di caffè, la Mari risponde: “Niente commenti, convenevoli, empatie o altre robe retoriche. Veniamo ai fatti. Nudi e crudi.”

Non hai avuto lo stomaco di vedere come andava a finire...

“Hai seguito i notiziari?”

“Neanche uno.” da una stretta alla macchinetta ed accende il fuoco. Fiamma lenta, come non faceva da anni. Si ricorda di un qualcosa a riguardo del fatto che l'attesa è sempre meglio dell'avere subito o qualcosa del genere. Il fatto è che quando si preparava il caffè al mattino per andare in ufficio accendeva il fuoco all'ultimo minuto, e sempre a fiamma alta. Il caffè era per lei una formalità necessaria da sbrigare in fretta prima di iniziare la giornata. Stavolta, però, Anna Mari non ha alcuna fretta.

Giannoccaro temporeggia, pensa a quale notizia dare per prima. Da venerdì sono successe diverse cose che...

“D'accordo, rispondimi e basta.” fa Mari, spazientita “L'hanno trovata?”

“Chi?” il poliziotto è ridestato dai questioni più istituzionali, e alla domanda si trova disorientato.

La Mari lo trafigge con uno sguardo che sminuirebbe persino un plurilaureato miliardario filantropo: “Tua sorella. Sto parlando della Bernardini.”

“Ah... Due giorni fa.”

La poliziotta deglutisce e domanda in un fiato: “Morta?”

Giannoccaro annuisce.

“Dove l'hanno trovata?”

“A Trecasali, in periferia. Era su una riva del fiume. Ma non è stata annegata. È...”

“Non voglio saperlo.” lo interrompe lei, con voce ferma. Da sotto la patina di gattara comincia a riapparire il fantasma della Anna Mari autoritaria che conoscevano in questura.

Non vuole saperlo, non ancora. Vuole vederlo con i suoi occhi. Se c'è un pensiero lucido che ha avuto in quei giorni in cui il tempo le era sembrato immobile, era che se quello psicopatico avesse davvero agito, se avesse per davvero ucciso quella ragazza, allora Francesca Bernardini non sarebbe stata l'unica. Dunque, andava fermato. Ma per fermarlo occorreva scendere al suo livello, giocare con le sue regole. Aver lo stomaco di vedere...

“L'avete preso?”

“Purtroppo no. I tecnici dicono che si è appoggiato ad una chat di incontri ucraina, i cui server sono ultraprotetti. Occorrerà un permesso speciale, ci siamo già messi in moto.”

“Eri sovrappensiero quando ti ho chiesto della ragazza. Ci sono problemi in ufficio?”

“Beh, del trambusto c'è. Un pazzo mette in gioco una ragazzina rapita in una partita a poker...”

“Cosa mi aspetta, in ufficio?”

Giannoccaro ci riflette per un momento. “In effetti non lo so. Puglisi sulle prime era incazzato nero, ma adesso a un'altra gatta da pelare.”

“Vale a dire?”

“Il sottosegretario del Ministero, ricordi? Hai presente che è di una fazione opposta rispetto al nostro presidente della regione? Bene, e sai che il mese prossimo ci saranno le elezioni regionali, no?”

Le vene della Mari, per la prima volta da giorni, cavalcando un moto di rabbia, ripresero a pompar sangue. Sangue livido di indignazione: “Mi stai dicendo che quella mezza cartuccia di un portaborse istituzionale era venuto qui per farsi un'idea di come stiamo messi per cercare punti deboli su cui basare la campagna elettorale?”

“Esatto.”

Visita istituzionale un paio di palle! Erano venuti per capire quali balle dire nei comizi per arraffarsi qualche voto.

“Proprio ieri il capo dell'opposizione ha annunciato una rivoluzione nelle questure in caso di vittoria. Trovava una vera vergogna che la polizia non sapesse tenere a bada un assassino mentecatto con un mazzo di carte. È stata fatta un'interrogazione parlamentare, Puglisi deve risponderne direttamente al ministero.” aveva proseguito Giannoccaro.

Anna Mari soppesa ogni parola, il collega la osserva mentre rotea gli occhi in basso, a destra e a sinistra, come a seguire una mosca. Poi lei si alza: “Controllami la caffettiera. Spegni soltanto il fuoco. Se vuoi, serviti da solo, ma lasciami del caffè nella caffettiera. Io torno subito.”

Giannoccaro la vede uscire dalla cucina. Un minuto dopo sente l'acqua della doccia scorrere.

Quando Anna Mari riappare, non è ancora la Anna Mari da ufficio che lui è abituato a vedere. È il modello casual, probabilmente. Veste pantaloni comodi, scarpe da ginnastica e una maglietta a mezze maniche aderente abbastanza da poter vedere le cuciture del reggiseno sottostante. Ma è una Anna Mari che è diretta parente di quella che fa quotidianamente l'equilibrista su tacchi alti in ufficio. Lo capisce da come cammina spedita, dalla postura e da come si guarda intorno.

La poliziotta individua la caffettiera fumante, pesca dalla credenza una tazzina e ci versa dentro due cucchiai di zucchero, poi si versa il caffè ancora caldo riempiendo la tazzina quasi fino all'orlo. Mentre gira il liquido nero con un cucchiaino, con l'altra mano compone un numero col cellulare. Fabrizio Giannoccaro la sente parlare al telefono con la ragazza che la aiuta a pulire casa. Due frasi di convenevoli, un'allegria ben simulata, poi domanda se e quando può venire a darle una mano, perché ha lasciato la casa per qualche giorno in mano a sua sorella, la quale l'ha ridotta un porcile. No, non è un problema se può venire solo il pomeriggio, ha tutto il tempo che vuole. Se ci vorrà più del previsto le pagherà un extra.

Quando la poliziotta riattacca Gionnaccaro la guarda sornione: “Tua sorella?”

“Sì. È una gran disordinata. Mi chiedo da chi possa aver preso.” da un primo sorso al caffè, giusto per saggiarne la temperatura. Appurato che non scotta lo trangugia come fosse un cicchetto di vodka.

“Andiamocene.” dice lei.

“Dove?”

“All'istituto di Medicina Legale.” ha un tono neutro quando lo dice. Ne farebbe a meno, ma sa che c'è una cosa da fare.

Non hai avuto lo stomaco di vedere come andava a finire...

“Ho bisogno di... vedere. Devo rendermi conto di cosa è successo di persona. La vittima è ancora lì?”

La vittima. Mai più Francesca Bernardini, bensì la vittima. La spersonalizzazione dell'oggetto del delitto è il primo passo verso il giusto modo di affrontare il caso. Gionnaccaro sta vedendo riemergere la vera sua collega, in tutta la sua freddezza.

“Sì, almeno fino a stasera. Poi i parenti la prenderanno per le esequie.”

“Chi è il medico legale che ha fatto l'autopsia?”

“Ennio Marini, mi pare.”

Marini... o “Pavarotti”, come lo chiamano i colleghi dell'Istituto. Anna ha un brivido di repulsione, ma lo tiene a freno. “Credi che lo troveremo lì?”

“Ma tu non eri quella che non voleva domande retoriche? Certo che lo troveremo lì! Lui ama stare in mezzo ai morti.”

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 - La conta dei punti ***


 “Che cosa posso fare per te, mia cara?”

Ennio Gaio Marini molto probabilmente raggiunge il metro e cinquanta molto più facilmente di circonferenza che in altezza. Aveva ereditato il suo secondo nome, Gaio, dal nonno materno, professore di latino e storia dell'età classica, anni prima che potesse essere associato ad un altro termine anglofono potesse far alludere una qualche tendenza omosessuale. A dispetto di qualsiasi allusione, il medico era molto più Gaio che omossessuale. Anzi, sembrava quasi asessuato, dato che non indulgeva a commenti e apprezzamenti sul gentil sesso. Sarà stata per l'influenza del secondo nome, ma Marini è un uomo il cui spirito si è fermato poco prima dei venti anni, mentre il suo corpo era andato altri quaranta avanti, gioviale ai limiti del ridicolo, ma, come gli anni di servizio presso l'Istituto di Medicina Legale hanno dimostrato, molto professionale e scrupoloso. Certo, i suoi atteggiamenti sul posto di lavoro erano molto al di fuori dei comuni canoni della professionalità. Tanto che il professor Marini era l'unico dell'Istituto a non avere un assistente fisso. Entro un mese, ognuno trovava una scusa per cambiare svignarsela, pur di non stare ancora in una sala autoptica con lui.

Anna Mari incrocia le braccia e prende fiato. Fino ad ora non si era mai spinta nel suo regno personale. La sala a lui assegnata è poco illuminata, e la morte, lì, ha anche un odore, un odore sterile, freddo e dolciastro.

“Lei ha fatto l'autopsia a Francesca Bernardini. Vero, professore?”

Marini è un tipo parecchio teatrale, e la poliziotta ne ha conferma ogni volta che, per motivi di lavoro, lo incrocia sulla sua strada. Alla sua domanda rotea gli occhi verso l'alto e si liscia il mento, un gesto quasi comico: “Bernardini... vediamo: diciassette anni, bionda, occhi verdi...” e poi, tornando con lo sguardo sulla Mari “...sana dentro e bella fuori. Sarebbe diventata una donna stupenda, per la gioia dei suoi coetanei. Mi pare di aver sentito che è stata uccisa da uno squilibrato in videoconferenza. Possibile?”

Al commento su come sarebbe potuta diventare la ragazza, Mari sente rivoltarsi le viscere, tuttavia risponde mantenendo il controllo sulle sue emozioni: “Gli ha fatto un favore definendolo solo squilibrato, professor Marini. Credo che sia il primo termine gentile che riceva da giorni.”

“Ho finito il mio lavoro ieri sera e ho inviato il mio rapporto in questura. Anche in formato digitale.” si gira di lato, come rivolto a un pubblico in sala “Ah, la tecnologia...” e poi con una piroetta ritorna a rivolgersi alla Mari “Cos'altro vuole sapere?”

“Diciamo che ho bigiato le ultime lezioni, professore. Avrei bisogno di recuperare le informazioni principali.”

“E c'era bisogno di venire fin quaggiù?” chiede il medico legale, con tono sornione, inclinando la testa di lato.

Anna Mari per un momento si assenta...

Non hai avuto lo stomaco di vedere come andava a finire...

...poi ritorna in sé: “La cosa le crea disturbo, professore?”

“Assolutamente, mia cara!” esclama Marini, allargando le braccia “Sa, non sono più abituato alle visite. Comunque...” e prende due guanti in lattice monouso da una confezione su un tavolino accanto al tavolo autoptico “...la paziente è già stata ricomposta per essere restituita ai suoi famigliari. Se vuole andarla a trovare, dovremmo fare una gitarella verso le celle frigo. Vuole seguirmi, mia cara?” e si avvia in corridoio senza aspettare la risposta.

È ora di pranzo, e tutto il personale dell'Istituto è in mensa a mangiare. Il professore, d'abitudine, mangia da solo, portandosi il pranzo da casa. Il corridoio è solitario e silenzioso. Anna Mari lo percorre rigida e trattenendo il fiato. Non le piace quello a cui sta andando incontro...

Non hai avuto lo stomaco di vedere come andava a finire...

...non le piace la vicinanza di quello strano individuo, piccolo, tarchiato, con un'aureola di riccioli brizzolati che incornicia la fronte e la sommità del cranio completamente calvi e non le piace di addentrarsi fino alle celle frigo con lui. Ciononostante, nei giorni precedenti, aveva realizzato che, se quella ragazza non aveva avuto possibilità di salvezza, era stato per colpa sua. Aveva perso il controllo e Francesca Bernardini ci era andata di mezzo. Ora, come minimo, doveva capire cosa era successo per colpa sua. Un freddo rapporto autoptico non le sarebbe bastato. Doveva capire. Vedere! Non era una questione morbosa. Semplicemente, glielo doveva, a quella ragazza. Doveva infilare il muso nella merda che aveva cagato sul tappeto buono. Perché non succedesse più. Perchè, poco ma sicuro, quel figlio di puttana non si sarebbe fermato a Francesca.

Se Anna Mari, camminando, è rigida come marmo, il dottor Marini invece percorre il corridoio quasi a passo di danza, canticchiando allegro un qualche motivetto di cui la poliziotta non ricorda il nome.

Quando giungono alla porta, il medico la apre e con un mezzo inchino e un gesto della mano invita Anna Mari ad accomodarsi prima di lui. La poliziotta tira un sospiro e si immerge in quell'angolo di inferno dove il freddo la faceva da padrone. È una stanza enorme, illuminata dai neon, a sinistra qualche sedia e un tavolo con qualche scartoffia e penne. Davanti a sé, una parete percorsa da due file di cassettoni d'alluminio. Un cassetto per ogni corpo. Avverte un brivido sottopelle a pensarci, poi sobbalza. Lo scatto della porta che si chiude alle sue spalle. Tira un sospiro. Deve stare calma, è tutto sotto controllo.

Ma non riesce a finire di formulare questo pensiero che...

“Laaaaargo al factootum della città, laaaargoooo....!!!”

Con un salto si gira e strabuzza gli occhi per la sorpresa. Il professore Ennio Gaio Marini sta rendendo giustizia al suo soprannome: Pavarotti. Ha assunto una posa declamatoria e con voce da tenore, stava cantando il Barbiere di Siviglia.

“Scusami tanto, mia cara, ma adoro l'acustica di questo posto.” poi con un dito indica i cassettoni “Lo faccio anche per loro. Staranno un'eternità nel silenzio più totale, almeno portano con loro un po' di musica...” e ridacchia portandosi una mano alla bocca, come se avesse fatto una monelleria.

Anna crolla sulle ginocchia, portandosi una mano al petto. In un colpo solo ha scaricato buona dose dell'adrenalina accumulata nel corridoio, ma a rischio di farle venire un colpo. Non sa se dargli del coglione perché le ha fatto quasi venire un infarto, perché ha violato il silenzio che meritano i morti, a maggior ragione se assassinati, o perché ha cantato in tonalità da tenore un'aria che è notoriamente da baritono. Alla fine sceglie il silenzio.

Il medico, sempre con passo di danza, raggiunge un cassettone, improvvisa un tiptap aggrazziato nonostante la sua mole, poi afferra la maniglia, la tira nel mentre piroetta su sé stesso e il cassettone si apre con un rumore sinistro.

“Et voilà! Mademoiselle Francescà Bernardinì è pronta per risceverlà.” annuncia il medico con un accento francese molto caricaturato, indicando il cassettone con fare cerimonioso.

Dal suo posto sul pavimento, inginocchiata e con le mani al petto, l'ispettore Mari non riesce a vedere il corpo.

Ecco, ci siamo, dice a se stessa, ora devo vedere.

Sulle prime le ginocchia si rifiutano di rispondere. Stringe i denti.

Coraggio!

Non hai avuto lo stomaco di vedere come andava a finire...

Avanti!

Finalmente le gambe obbediscono. Ma gli occhi si spostano verso la parete, a destra del cassettone. Mentre si alza concentra lo sguardo lì, poi prende posto accanto alla cella di Francesca Bernardini, dal lato opposto a quello occupato dal medico legale.

Tira un profondo respiro, chiude gli occhi, si gira verso il fondo del cassettone dove giace il corpo...

Non hai avuto lo stomaco di vedere come andava a finire...

...apre gli occhi, e finalmente vede.

La pelle nuda e pallida è percorsa dal classico taglio a ypsilon che parte dalle clavicole e giunge all'ombelico. Il taglio è stato ricucito. La seconda cosa che nota è il deperimento del corpo. No, non deperimento...

Nel percorrerlo con lo sguardo, dal torace all'addome fino al pube peloso, nota nell'interno coscia destro un taglio netto. I labbri della ferita sono sporchi di sangue.

Non deperita, è...

Il medico legale rompe il silenzio.

“La morte è avvenuta per dissanguamento. Le è stata recisa l'arteria femorale. È spirata rapidamente.”

Ok, brutto figlio di puttana. Ora vedo! Cosa mi vuoi dire? Qual è il tuo gioco? Non certo una partita di poker...

“Quindi non ha sofferto, dottore?” domanda la Mari, percorrendo il corpo con lo sguardo dalla punta dei piedi a salire.

“Soffrire? Beh, per soffrire ha sofferto un sacco, invece, poverina.”

“Che vuole dire? Non mi ha appena detto che...”

Concluderebbe volentieri la domanda, ma alzando gli occhi il suo campo visivo si riempie di un'immagine al limite del delirio. Il medico legale, con un'aria dolce e intenerita, accarezza la fronte e i capelli del corpo senza vita della Bernardini. Le quali palpebre semichiuse sono infossate, livide e sporche di sangue.

Non hai avuto lo stomaco di VEDERE come andava a finire...

Anna Mari avverte come un cazzotto alla bocca dello stomaco. Ha resistito all'odore della decomposizione fino ad allora, ma sommarlo a quella vista le provoca una sensazione di malessere che non riesce a celare.

Il medico si accorge che qualcosa cambia nell'espressione della poliziotta, che si porta una mano al viso “Oh, mi scusi, ho dimenticato di offrirle il Vicks.” e si mette una mano guantata in tasca, tirandone fuori un barattolo. Lo apre e gliene offre: “Prego, ne metta un po' sotto il naso.”

Anna Mari vorrebbe dire che non è quello il problema, ma si tiene tutto dentro. Con un gesto meccanico allunga una mano verso il barattolo aperto, intinge indice e medio nell'unguento all'eucaliptolo e se lo distende alla meglio sotto il naso, a formare due baffi untuosi e profumati. Va un po' meglio, ma non troppo.

“Se non le migliora l'olfatto, almeno se ne va di qua decongestionata.” ridacchia il medico, rimettendo il barattolo a posto.

Anna Mari non recepisce neanche la battuta. Fissa le orbite svuotate, con le palpebre semichiuse che lasciano intravedere del materiale organico rosso annerito. Comincia a capire qualcosa del senso di quel messaggio di posta ricevuto giorni prima. Non ha parlato a caso...

“Le hanno strappato a forza gli occhi dalle orbite mentre era cosciente. In modo abbastanza rudimentale, direi. Avrà usato un cucchiaio o qualcosa di molto simile. I nervi ottici sono quasi completamente divelti. Non tagliati, bada, proprio strappati. Chiunque l'abbia fatto cova dentro di se una gran bella rabbia, tesoro mio.” spiega il medico legale, riprendendo a carezzare i capelli della Bernardini.

Una domanda fulmina la Mari. Poco dopo si sarebbe pentita di aver parlato troppo.

“Dottore, come fa a dire che la Bernardini avesse gli occhi verdi?”

Il medico prima assume un'espressione interdetta, poi guarda il corpo, allarga verso l'esterno un braccio del cadavere, poi l'altro, controllando sotto le ascelle, poi si gira verso i piedi, si illumina in volto, come rassicurato, e preleva una busta di cellophane rimasta nel profondo buio del cassettone. Nell'aprirlo con quella ridicola piroetta non aveva tirato in fuori tutto il cassetto e il cadavere risultava esposto alla luce solo dalle caviglie in su.

La busta contiene due masse vagamente simili ai globi oculari. Se lo sono, ne hanno passate di brutte.

“Eccoli qua! Vede...” e comincia a palparli attraverso la busta, provocando un leggero giramento di testa nella poliziotta “...sono ancora visibili dei pezzettini di iride, sfuggiti alla digestione.”

“Digestione?!” ora la Mari ha il fiato corto.

“Sì, glieli ho trovati nello stomaco. L'ho dovuto aprire per prassi, immagini poi la mia sorpresa. Ho notato dei segni che fanno presumere uno stiramento dei muscoli della mascella, durante i miei esami. Credo glieli abbia ficcati a forza giù in gola.” e poi, con tono caritatevole “Eh no, non è stato affatto un bel fine settimana per questa povera piccola...”

La Mari ha un mancamento...

Non hai avuto lo STOMACO di VEDERE come andava a finire...

...e deve aggrapparsi al bordo del cassettone per non precipitare sul pavimento. La faccia le è sbiancata.

Il medico capisce che forse ha esagerato un po', abbandona la busta sul corpo del cadavere e corre a prendere una delle sedie nell'angolo della stanza: “Su su, niente panico. Pensi che è tutto finito. Però per oggi basta, eh? Si sieda qui...” e offre la sedia alla Mari, che più che sedercisi sopra vi precipita, aggrappandosi allo schienale per non cadere.

“Riprenda fiato, mia cara. Io intanto rimetto a posto.”

Il medico tornò alla cella, spingendo il cassettone fin quasi a chiuderlo. Poco prima di chiuderlo del tutto si arresta, guarda il volto della giovane vittima e con un sorriso dolce dolce le sussurra. “Non temere, mia stellina. Tra poche ore i tuoi ti verranno a prendere. Abbi solo un po' di pazienza. A più tardi. Sogni d'oro.” e finalmente richiude la cella.

Anna Mari sta riprendendo fiato. Nella sua testa lampeggia a caratteri rossi l'ultimo messaggio dell'assassino.

Non hai avuto lo STOMACO di VEDERE come andava a finire...

Francesca Bernardini è stata punita per causa sua... Lei avrebbe dovuto aiutarla e invece ha lasciato che una ragazza di diciassette anni... diciassette, dio santo!!!... subisse quell'incubo!

“Vuole una caramella, mia cara?”

“Voglio andarmene, dottor Marini.” quello che riesce a dire è un sussurro, ma ha il sapore di un sibilo di serpente. Si sente sola, indifesa, ferita, minacciata. E la cosa non le piace per nulla.

“Senza fretta, tesoro. Riprenda colore. Poco ci mancava che finisse lunga a terra. Mi ha visto bene? Crede che ce l'avrei fatta a prenderla in braccio e portarla fuori, all'aperto? Naaa... saremmo stati la coppia più chiacchierata dell'Istituto per mesi...”

Il dottor Marini cominciava a straparlare, ma più straparlava più innervosiva la polizziotta e più il sangue le tornava alle guance. E più aumentavano le sue energie e la voglia di scappare da quel freddo angolo di inferno, scappare dalle sue colpe, da quel medico rincoglionito, da quel corpo prosciugato dalla vita e martoriato mentre Francesca era cosciente... Strapparle gli occhi, ficcarglieli in gola, dissanguarla... Si augurava che durante la sua assenza si fosse fatto qualche passo in avanti, perché quel pazzo andava fermato, e subito!

Passi nel corridoio. No, non passi, qualcuno sta correndo. Si avvicinano, rallentano. Qualcuno bussa ed entra senza aspettare che gli sia permesso di entrare.

Giannoccaro si affaccia nella sala mortuaria, butta uno sguardo verso i due, individua la collega: “Anna, ne ha presa un'altra. È arrivato un altro messaggio.”

Un'altra. Un altro incubo per un'altra donna, o ragazza. Anna Mari si rialza con fatica e raggiunge la porta.

“Anna, il tuo autografo!” Il medico l'ha raggiunta sulla soglia, gioviale e rubizzo, porgendole penna e una cartellina con un modulo precompilato per i visitatori.

La poliziotta deglutisce, afferra la penna e scarabocchia una firma distrattamente mentre il medico le regge la cartellina. Restituisce la penna e imbocca la porta senza salutare. Ma prima che la porta alle sue spalle possa chiudersi, le arriva la voce di Marini: “È stato un piacere, mia cara!” e subito dopo, sempre con voce potente, da tenore, parte il canto, che rimbomba nella stanza vuota. “Un graaaande spettacolo a ventitrè oreeeeee prepara il vostr'umile e buon servitooooreeee...”

Dal Barbiere di Siviglia di Rossini ai Pagliacci di Leoncavallo.

“Va tutto bene, Anna?” le chiede Gionnaccaro, apprensivo.

“Andiamo via subito!”

Non è una richiesta. È un ordine che non ammette obiezioni.

 

 

 

*nota dell'autore: FELICE HALLOWEEN! ;-)

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Il pollo da spennare ***


 

Martedì

 

“Oh, Anna Mari, Ispettore capo... quale onore!”

“...”

“Non la vediamo da venerdì scorso... ci stavamo preoccupando? Vuole un caffè? Una brioche? Un cuscino per la sedia?”

“...”

“Non è che vorrebbe per caso tornarsene a casa? La vedo provata, vuole prendersi qualche altro giorno? Una settimana? Un mese di ferie? Tutto spesato, ovviamente...”

“Commissario, intende usare altro sarcasmo? Perché non credo che questo ci aiuti a venire a capo di qualcosa.”

“Non si azzardi a parlarmi con quel tono, ispettore!!! Lei non ha idea di che situazione abbia lasciato qui! Non solo ha creato un casino dando di matto, ma ha piantato in asso il suo reparto, la nostra unità investigativa, i suoi colleghi! Ma che cazzo ha nella testa? Cosa le ha preso? Crede che la cosa riguardi solo lei?”

“...”

“L'ha presa sul personale, ha perso le staffe, condannando a morte quella ragazza e poi ha lasciato noi a sguazzare in un mare di merda! Quella ragazza è morta per un suo scatto di nervi, se ne rende conto?”

“...”

“Poi tutti questi giorni di silenzio, mi vuole dire che cos'ha fatto? Si metta nei miei panni. Un mio sottoposto manda a monte un'operazione che, per quanto inusuale nei modi, poteva salvare la vita ad una persona sequestrata. Dopo non solo si prende il week end libero, ma anche il lunedì e tutta la mattinata del martedì. Non sa i casini che ci son piovuti addosso, per via della visita del sottosegretario. Non sa come mi son dovuto sperticare con i miei superiori perché non solo non prendessero provvedimenti disciplinari, ma perché restasse assegnata a questo dipartimento e a questa indagine.”

“...”

“Del suo silenzio non me ne faccio nulla, ispettore. Vada in ufficio, quello è il suo posto. Ci troverà una copia di tutti i rapporti e tutti i rilevamenti effettuati in questi giorni. Ha da recuperare un bel po' di compiti in arretrato, ispettore. E mi aspetto che lei ci dia una mano, perché se non si è capito, quel pazzo ce l'ha con lei. Vuole o non vuole, è in partita!”

“...”

 

Anna Mari si ripassata a memoria ogni battuta del suo superiore, ogni sfumatura del suo tono di voce, ogni virgola, mentre legge le copie dei rapporti lasciati sulla sua scrivania. Ha quasi finito, sono quasi le due di notte, il commissariato è semivuoto. Nell'ufficio l'unica luce accesa è quella sulla sua scrivania, gli altri sono tutti via. Qualche passo nel corridoio di tanto in tanto le fa alzare lo sguardo dai fogli e distoglie i suoi pensieri. Ci rimuggina su, Anna Mari. Erano anni e anni che non riceveva una lavata di testa. Poco ma sicuro vuole fargli rimangiare tutto, al suo commissario. Dal sarcasmo alla cazziata, ogni pausa, ogni respiro, ogni parola, tutto!

Le sembra di esser tornata quasi ai tempi dell'esame di stato. Schiena china su fogli di quaderno su cui annota i concetti principali, faldoni da fare, ridotti a poche decine di fogli, a destra, faldoni già visionati, spessore circa quattro dita, a sinistra. Non se ne fa nulla dei tecnicismi, però si è rifiutata di fare un giro di telefonate tra colleghi per farsi dare i dettagli importanti ed evitarsi quella nottataccia.

Ma... C'è una questione. Lei non ha avuto lo stomaco di vedere come andava a finire. E com'è andata a finire, ora, chiedetelo a Francesca Bernardini. Non era mai successo che per colpa sua qualcuno ci rimettesse la vita. Aveva una nomea da ricostruire, l'ispettore Mari. Nonché una vergogna, a ben vedere giustificata. E anche un presentimento... Ma questo lo avrebbe verificatonei giorni seguenti.

 

Mercoledì

 

Tre ore di sonno. Solo tre. Anna Mari era tornata a casa che erano le quattro e si era buttata a letto vestita. La sveglia era suonata, spietata, alle sette in punto come ogni mattina dal lunedì al venerdì. Il giorno precedente e quello prima ancora aveva dovuto suonare poco, perché la Mari in quei giorni aveva completamente destabilizzato i suoi ritmi sonno-veglia, e quando aveva suonato l'aveva trovata gia sveglia, seduta a gambe incrociate sul materasso e schiena appoggiata contro la testiera del letto; aveva solo dovuto allungare la mano e cercare a tentoni il tasto per spegnerla, senza neanche scomodarsi a girare la testa di lato.

Stavolta no, stavolta la sveglia aveva faticato a trascinarla fuori da un sonno profondo, benché agitato. Si era alzata e aveva raggiunto il bagno strascicando i piedi. La piena coscienza era sopraggiunta solo al momento di uscire di casa, quando aveva svolto ogni funzione preliminare in modalità pilota automatico. Un veloce sguardo allo specchio dietro la porta, più per abitudine che per verificare che fosse presentabile, e poi giu per le scale. Aveva lasciato la macchina al parcheggio e aveva preso l'autobus per raggiungere la questura. Non aveva voglia di guidare, e soprattutto voleva godersi un po' la città, cosa che la guida non sempre le concedeva. Arrivata in anticipo, si era concessa un caffè doppio al bar di fronte alla questura. Aveva bisogno di tenere la mente lucida e sveglia.

Ora, seduta alla sua scrivania, appunti alla mano, si è fatta un quadro abbastanza chiaro di quanto i suoi colleghi avessero fatto nei giorni della sua assenza.

Anzitutto, l'assassino: non era possibile determinarne con accuratezza i dati antropometrici, dato che le registrazioni ( miracolosamente salve nonostante lei avesse sfasciato il computer attraverso il quale interagiva con il figlio di puttana ) non avevano fatto emergere molto. Paragonando la grandezza delle sue mani a quelle del mazzo di carte se ne poteva desumere che era alto tra il metro e settanta e il metro e ottanta, fisico normale. Era in corso la ricerca di un qualche profilo già schedato cui potesse corrispondere l'impronta vocale, ma se il bastardo era incensurato c'era da aspettarsi un buco nell'acqua.

Poi ancora, intercettazione: il segnale di trasmissione era stato fatto rimbalzare da un server all'altro per poi giungere a una videochat di incontri slovacca, chat cui si accedeva in modo anonimo e senza necessità di iscrizione. Per avere la possibilità di beccarlo un'altra volta dovevano prenderlo in diretta, ma dovevano anche avere un'autorizzazione internazionale che permettesse loro di violare la privacy di quel sito. Ai piani alti si erano già attivati con il Ministro degli Esteri per provvedere in tal senso.

Altra questione, le e-mail: tutte provenienti dallo stesso indirizzo. Sarebbe stato possibile rintracciare il terminale presso il quale era stato creato l'indirizzo, e guardacaso l'indirizzo corrispondeva ad un internet point. Si sarebbe potuto risalire al computer interessato, confrontare i registri e giungere ad un nome. Già, si sarebbe potuto... Il problema stava nel fatto che l'indirizzo era stato creato tre anni prima presso appunto l'internet point “Interporto” di via Giulio Cesare, e che non solo il proprietario era solito buttare i registri mensili dopo un anno, ma il suddetto “Interporto” aveva chiuso da due anni per colpa della crisi. Il proprietario aveva buttato tutto tranne ricevute fiscali e quant'altro concernesse alla sfera amministrativa del mestiere. Di quello il proprietario aveva conservato tutto, perché “equitalia faceva paura”. A questo punto si sarebbe potuto almeno seguire la scia di mollichine di pane cibernautiche che un messaggio di posta elettronica lascia dietro di se al momento dell'invio. Niente da fare. La sorgente era protetta. E anche su questa pista, niente informazioni utili.

Inoltre, l'ultima mail:

Ispettore Mari, spero che abbia sbollito tutto il suo rancore. Sono seriamente risentito del suo atteggiamento. La prego di controllare i suoi scatti d'ira. Anche perché io ho già un'altra 'ospite'. Vuole che la sua vita sia salva? Sì? Bene, le regole e i modi li conosce, ormai. Appuntamento a venerdì prossimo, ore 16. Aspetterò fino alle 16:10 che lei risponda all'invito che le manderò sempre via mail. Dopodiché... spero si sia fatta un'idea di cosa potrebbe succedere. L'aspetto, e spero che lei risponda al mio invito con le migliori intenzioni possibili.”

Poi ancora, l'indirizzo: vuoi_la_rivincita@carte.com. Un altro indirizzo. Sempre creato tre anni prima all' “Interporto”. Il bastardo era stato oltremodo scrupoloso.

Del rapporto sull'autopsia c'era poco da dire. Aveva visto. Ora aveva avuto lo stomaco di vedere, poco ma sicuro, questo punto era superato.

Ma avrebbe avuto lo stomaco di vedere, la prossima volta?

 

Giovedì

 

Il sospetto era stato confermato dai fatti. La diffidenza che Anna Mari riceveva da due giorni era un dato di fatto, non solo una suggestione. Se prima si sentiva parte di quel corpo di polizia, ora era un elemento estraneo, che generava imbarazzo, alle cui domande si risponde a monosillabi. E bastava vederlo dalla sua entrata. Dallo slalom d'ufficio era passata al rettilineo. Gli altri si facevano da parte al suo passaggio, come il mar Rosso che si apre al passaggio di Mosè, e il volume dei discorsi si abbassava.

Un'appestata. Una reietta. Una complice di un omicidio, questo era. Ma non lo vedevano, quegli stronzi? Non era una complice, in quella partita: era solo il pollo da spennare!

Anna Mari si siede, tira un respiro profondo e poi espira lentamente, lasciando distendere muscoli e nervi. Calma, ci voleva calma. Avrebbero trovato il modo, qualcosa sarebbe saltata fuori. Nessun piano è perfetto, o perlomeno, l'occhio attento può notare le più piccole imperfezioni, no?

L'ispettore Mari guarda i nuovi faldoni lasciati sulla scrivania. Sono i risultati della ricerca circa l'impronta vocale. Come ci si aspettava, un buco nell'acqua.

Inoltre ha sul tavolo le fotocopie e le fotografie di quattro persone scomparse durante gli ultimi giorni, vale a dire nell'arco di tempo che intercorre tra venerdì e martedì mattina. Li legge. La prima è una persona anziana, tale Romolo Pisacane, 73 anni, con problemi di Alzheimer. È il meno probabile, l'assassino ha parlato di una lei. Anna Mari lo mette da parte.

Antonio Nuti, 23 anni, studente di biologia. Vedi sopra. E poi è probabile che abbia deciso di emigrare su due piedi dopo l'ennesima lite familiare. Eliminiamolo dal gruppo.

Maria Fulci, 18 anni, studentessa di liceo magistrale, uscita con le amiche domenica sera e non più tornata a casa. Una delle amiche, quella più grande e che portava la macchina, ha raccontato che si erano salutate fuori la sua strada, dopo essere uscite per locali, dopodiché loro avevano proseguito per il corso principale e lei si è addentrata nella sua via. Lei avrebbe dovuto percorrere tre-quattrocento metri a piedi per arrivare al suo palazzo. Ma in quei tre-quattrocento metri avrebbe potuto incontrare qualcuno nascosto nell'ombra.

“Che ti costava accompagnarla fin sotto casa, stronzetta? Forse non sai fare manovra, dopo, per uscire?”

L'ispettore deve tirare un altro respiro, trattenerlo e rilasciarlo, per cancellare quel pensiero cattivo.

“Calma, Anna. Sono ragazze, sono giovani. Non potevano immaginare. E poi magari, data la giovane erà, sono pure neopatentate.”

Poi, in uno scrupolo di coscienza, controlla l'età della più grande del gruppetto: 25 anni.

“Macché neopatentata, è una stronza e basta!”

Ultimo fascicolo, Teresa Ferretti, 14 anni. La più giovane dei quattro “candidati al rapimento” è sparita durante una visita al Museo Nazionale. Le telecamere del circuito di sorveglianza non hanno filmato nulla di anomalo, quindi il rapimento, se di rapimento si tratta, deve essere avvenuto al ritorno, al di fuori del museo.

Il problema era capire come l'assassino scegliesse le sue vittime. Cioè, c'era una logica o i sequestri avvengono in modo casuale?

Nel primo caso, confrontando le probabili rapite con la prima vittima, si potevano trovare somiglianze aleatorie. Teresa Ferretti è bionda, così come lo era la Bernardini, mentre Maria Fulci è vicina per età alla prima vittima.

L'ispettore poggia i gomiti sul tavolo, congiunge le mani a pugno e ci poggia il mento sopra, pensierosa. In definitiva, tra la Fulci e la Ferretti, forse è proprio la Ferretti la più probabile prossima vittima. Al di là dei capelli biondi che la Fulci non ha, quest'ultima non solo è più bruttina, oggettivamente, della prima, ma sebbene avesse l'età quasi in comune con la prima vittima, l'avere 18 anni faceva di lei una ragazza maggiorenne. Stavamo parlando forse di una sorta di sadico pedofilo? Oddio, la Bernardini in fondo aveva 17 anni, il confine con la pedofilia va sparendo, verso quella età. O no? Ma poi, che pedofilia? La Bernardini non era stata violentata affatto!

Si passa le mani sulla faccia, si rende conto che sta andando in confusione e sta perdendo di vista un concetto non di poca importanza.

“Vuole te, Anna. Si mette in contatto solo con te, quindi non è un megalomane che sfida la polizia. Questo stronzo, per un motivo o per un altro te l'ha giurata e la sua mente malata gli ha suggerito che questa potesse essere una brillante. E domani...”

Il flusso dei suoi pensieri si interrompe di colpo. Domani. Domani alle 16. Un'altra partita e un'altra vita in ballo. Solo che stavolta sarebbe stato imperdonabile gettare la spugna. E, qualsiasi cosa, avrebbe dovuto guardare...

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2864556