Anima di fuoco

di Aon di Kale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le nostre anime ***
Capitolo 2: *** Ricordi in fiamme ***
Capitolo 4: *** Il sangue della fenice ***
Capitolo 4: *** Anima di Fuoco ***



Capitolo 1
*** Le nostre anime ***


“Sono morto?” chiesi debolmente. Non riuscivo più a respirare, ero libero dalla forza di gravità. Il battito frenetico del mio cuore si era fermato all’improvviso, come se avesse deciso di dedicarsi a qualche attività più divertente. Attività a cui io non avrei potuto partecipare.
Non so  a chi avessi rivolto quella domanda e non mi aspettavo una risposta. Il mio era stato solo uno sciocco tentativo di avere una conferma.
“Sì.” La risposta mi bruciava dentro, la rabbia iniziò a montarmi dentro. Aprii gli occhi. Attorno a me era tutto bianco, infinito.
“Chi sei? Perché non ti vedo? Se sono realmente morto, come faccio a parlarti?”
“Una cosa alla volta. Cosa ti ricordi?”
Mi guardai attorno, ma ancora nessuno. Era solo apparso uno specchio. Contemplai la mia immagine con riluttanza. Avevo ustioni su una parte del viso e sul collo. I miei capelli biondo cenere coprivano in parte alcune cicatrici sulla nuca, i miei occhi azzurri erano profondi e malinconici. Sull’addome avevo altre ferite, ma non mi facevano più male.
“Ho bisogno di risposte” urlai, in modo che il mio invisibile interlocutore mi sentisse, ovunque fosse. Era una sorta di ultimo desiderio e non poteva essermi negato.
“Non ancora.” Sussurrò la voce.  “Non sei ancora pronto.”
Strinsi i pugni. Le mie nocche erano sbucciate, le mia dita annerite. Puzzavo di fumo, come se fossi stato il piatto principale di uno di quei barbecue che mi piacevano tanto.
“Non è giusto. Non doveva finire così!” piansi. D’improvviso, qualche ricordo affiorò nella mia mente.
La casa era in fiamme. Ero in  camera mia, quando sentii le urla. Corsi giù dalle scale, le mie gambe si muovevano da sole. Le lingue di fuoco si stavano estendendo sempre di più, partendo dalla ringhiera. Lei era lì, nel cerchio di fuoco.  Respirava a fatica, i suoi occhi nocciola erano circondati da pesanti occhiaie, il suo volto stava diventando pallido come la neve. Non sapevo cosa fosse successo, ma sapevo che l’origine di quell’incendio non era normale: le fiamme erano verdi e viola e diventavano sempre più alte e calde.
“Basta, voglio smetterla di ricordare! Perché mi stai facendo questo?” urlai, tormentato da quelle immagini. Era troppo. Anche se non avevo più un corpo, sentivo un dolore profondo, lancinante.
“Cosa mi sta succedendo?” chiesi.
La voce tacque per qualche istante. Mi sentivo stanco, sfinito. Mi abbandonai sul pavimento fresco. Ero solo, non potevo cambiare quello che era avvenuto.
“Puoi affrontare tutto questo, devi farcela.  La tua volontà è molto forte e lo hai dimostrato. Ora devi solo ricordare fino in fondo.”
Tremai. Sentii qualcosa dentro di me scuotersi profondamente, come un terremoto. Tutto intorno a me girava, si mescolava in un infinito insieme confuso, come   un brutto sogno.
Nei miei occhi era dipinto un atroce orrore, animato da colori freddi e adornato di nature morte.
“Come posso uscire di qui?” chiesi, ostinato.
La voce sospirò, spazientita.
“Quando collaborerai. Stai aggirando le domande, stai rendendo tutto più complicato.”
“Voglio solo uscire da qui!” urlai, in preda all’esasperazione. Non ero completamente padrone dei miei movimenti e non ero libero. Ero chiuso lì, nell’infinito, a parlare a una voce che non voleva soddisfare i miei dubbi. Ero imprigionato nell’eternità e non ne sarei più uscito.
Improvvisamente un pensiero si fece presente nella mia mente, fino a travolgermi l’anima: se non stavo riuscendo a salvare me stesso, come potevo pretendere di salvare lei? Ero  uno sprovveduto: avevo dato la mia vita e la mia ragazza per scontate, l’oblio era la punizione più giusta per un peccatore come me. Non avrei più reagito, né cercato risposte. Avrei lasciato le cose come stavano, non potevo cambiarle.
“Dunque hai deciso di arrenderti così facilmente? Non sei come ti ricordavo. Non ti sei mai arreso, finora. Perché cominciare?”
La voce aveva colto nel segno. Ma come faceva a sapere che avevo sempre combattuto per quello che volevo? Pensavo alla tonalità della voce che sentivo, per cercare di riconoscerla, ma non riuscivo neanche a distinguere se era la voce di un ragazzo o di una ragazza e non avevo nessun altro indizio. Ma aveva tutte le risposte e gliele avrei estorte, in un modo o nell’altro.
Sospirai. Mi sistemai il cappuccio della felpa per coprirmi il volto. Non volevo vedermi, non potevo affrontare la mia morte. Era avvenuta da troppo poco e avrei avuto l’eternità per farci i conti.
Come se mi leggesse il pensiero la voce sospirò di nuovo e dopo qualche minuto di pausa disse soltanto:
“Va bene, l’anima è la tua. Se vuoi consumarla fino in fondo, è una tua scelta. Io però ti ho avvertito.”
Rapito da quelle parole, mi alzai di scatto.
“Si può perdere l’anima? Cosa mi succederà?  Come posso impedirlo?”
Ero molto agitato: la mia anima era l’unica cosa che ancora mi importava, l’unica prova che in qualche modo e per qualche motivo, esistevo ancora.  
 
La voce non rispose. Ora quello spazio infinito e candido era anche così tristemente vuoto. Avevo chiuso la porta in faccia all’unica entità che ancora cercava di aiutarmi. Forse mi meritavo tutto questo in fondo, forse le cose erano andate proprio come dovevano e io non avrei dovuto interferire oltre con il mio destino.
“Alessio, Alessio!” Martina. Allora non ero completamente solo. Avevo ancora una speranza e un motivo per cui vivere.  La voce di lei, come un’eco lontana, mi chiamava. “Sono qui!” urlai, per con tutta la voce che avevo dentro.
“Non abbiamo più molto tempo! Se non ricorderai tutto, le nostre anime… bruceranno!”
 
Nota dell’autore: Ciao a tutti! Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, comunque aspetto recensioni, consigli e critiche. I prossimi capitoli usciranno ogni lunedì J

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Capitolo 2
*** Ricordi in fiamme ***


Non potevo crederci: non ero pronto ad arrendermi, non ancora. Non potevo accettare che fosse troppo tardi.
La voce di Martina riempiva tutta la stanza, come se fosse al mio fianco. Non la vedevo, ma in qualche modo sentivo che era lì. Mi osservava, aspettando che prendessi una decisione: o mi sarei costretto a disseppellire i ricordi della mia vita terrena, oppure la mia anima sarebbe scomparsa definitivamente, ingoiata dalle fiamme. 
Non avevo il tempo di pensare, ma non mi sarei fatto paralizzare dalla paura. Non avrei permesso a quelle fiamme di portare via tutto ciò che la vita mi aveva donato. Martina sapeva comprendermi e amarmi per quello che ero: un ragazzo con tanti difetti, ma completamente sincero e spontaneo. Lei aveva preso la mia vita vuota e incolore e la aveva addobbata d’affetto e colorata di passione.
Senza riflettere, mi lanciai. Le fiamme avvolgevano me e Martina con rabbia furibonda, come un branco di lupi che si contende una preda. Urlai, mentre il fuoco mi squarciava i vestiti. Tenevo stretta la mia ragazza fra le mie braccia, potevo sentire il suo spavento e la sua disperazione, nonostante lei non avesse più né il coraggio ne la forza di parlare. Singhiozzava sommessamente, ormai conscia del destino che ci aspettava. I mobili attorno a noi erano ridotti a un mucchio di cenere, il fuoco stava corrodendo le colonne portanti. Ci guardammo per un eterno istante, comunicando silenziosamente quello che non avevamo avuto il coraggio di dirci fino a quel momento, pensando di avere ancora una lunga vita davanti.
Non mi mossi. Il mio sguardo era perso nel suo, mentre il nostro mondo andava a fuoco. Potevo sentire la sua mano nella mia, ma non avevo più la forza di stringerla. Lei mi guardava triste, poi nei suoi occhi si accese una scintilla di determinazione. Così, d’istinto, mi baciò.
Le sue labbra erano dolci e fredde, al sapore di tiramisù. Amava cucinarlo per me nelle grandi occasioni: anniversari, compleanni, ricorrenze. Mi sarebbe mancato quel sapore, quindi aspettai che mi penetrasse l’anima, prima di rinunciare a quell’ultimo dolce gesto per sempre.
Sentii le fiamme scoppiettare allegramente ed un applauso.
Un applauso? Non poteva essere vero: questo significava che qualcuno oltre a noi era in casa, ed ero pronto a scommettere che fosse colui che aveva scatenato l’incendio!
“Cominci a ricordare?” La prima voce, quella a cui non riuscivo a dare un volto, risuonava in tutto lo spazio in cui ero confinato, cercando di farmi riflettere.
“Siamo stati uccisi?”
  
Aspettai la risposta per qualche minuto, ma non speravo di riceverla. Ormai non mi aspettavo più niente. Non c’era modo di tornare indietro, di riprendere quello che avevo perso. Mi resi conto di quanto il silenzio spesso è la conferma delle nostre paure più grandi.
In preda alla più cieca frustrazione e alla più profonda collera presi a pugni le pareti e, con mia grande sorpresa, le vidi crollare e ricostruirsi nel giro di qualche secondo.
“Ora ho ricordato! Ma sono ancora bloccato qui!” urlai, sperando che qualcuno mi ascoltasse. Ero imprigionato nell’eternità, non c’era via d’uscita.
“Hai rimembrato abbastanza.” La voce sembrava soddisfatta almeno quanto lo ero io. Davanti a me, apparve una figura incappucciata. Allungò una mano verso di me, per poggiarla sulla mia spalla.
“Ciao, Alessio.”
Non sapevo cosa stesse succedendo: morivo dalla  voglia di scoprire chi ci fosse sotto quel cappuccio, ma nel frattempo il fatto di allontanarmi mi permetteva di farmi mantenere il beneficio del dubbio.
“Non hai niente da dirmi?”
Cercai di stringere i pugni, ma ormai il mio corpo non rispondeva più ai miei comandi: da lì a poco sarei definitivamente finito nell’oblio.
Non risposi. Non riuscivo a fidarmi ancora completamente.
“Va bene” sentenziò la voce. “Parleremo in un altro momento. E visto che hai liberato la tua mente dalle catene dei ricordi, ti è concessa una seconda possibilità.”
Non potevo credere alle mie orecchie. Cosa intendeva dire?
“In che senso?” domandai, pensando che tutto quello che stavo vivendo fosse frutto della mia immaginazione. Un frutto talmente succoso all’esterno, ma con un cuore acerbo. Perché se quello che stavo intuendo era giusto, ci doveva essere una fregatura.
Ancora una volta, ebbi l’impressione che la voce mi leggesse nella mente.
“Hai capito benissimo. Tornerai sulla Terra e scoprirai chi ti ha ucciso, forse così riuscirai a salvare la tua anima.”
“E Martina?” Chiesi, preoccupato.
La voce tacque un istante.
“Non preoccuparti per lei. Sarà al sicuro.”
“La voglio al mio fianco!” esclamai, deciso.
“E così sarà. Ora basta domande, non c’è più tempo. Ah, mi raccomando, non sarà facile per te abituarti al cambiamento.”
Dalle maniche del mantello che avvolgeva il mio interlocutore si modellò un portale: era ovale e dentro era animato da mille colori.
Non feci in tempo a chiedere ulteriori spiegazioni che la figura incappucciata mi spinse dentro il portale. L’ultima cosa che sentii fu la sua voce che urlava:
“Muori da uomo, rinasci fenice!” poi persi i sensi.

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Capitolo 4
*** Il sangue della fenice ***


Sbattei al suolo con violenza ma, con mia grande sorpresa, non sentii alcun dolore. Tutt’altro: mi sentivo leggero, libero. Tastai il pavimento, ma la mia mano attraversò le mattonelle bianche e fredde senza trovare resistenza. Ero completamente privo del senso del tatto.
Mi alzai, confuso e frastornato. Davanti a me avevo infinite possibilità, ma non sapevo come fare per ricominciare la mia vita. Non avevo un’occupazione, né dei passatempi. Ma una cosa mi spaventava più di tutte: il mio cuore non aveva ricominciato a battere.
Ero di nuovo solo e ancora morto. Non sapevo che giorno era, né come iniziare a indagare sulla mia misteriosa dipartita. In più, lei non era insieme a me.
Mi agitai, il mio respiro si faceva sempre più affannoso. Ma come facevo a respirare, se non avevo né un cuore pulsante, né coscienza di me?
C’erano troppi interrogativi, troppi misteri da svelare. Iniziai a pensare che forse era davvero arrivato il mio momento e avrei dovuto lasciare le cose come stavano.
Mi fermai un attimo a osservare l’ambiente intorno a me: ero in una stanza molto spaziosa, piena di cd e di libri. Davanti a me c’era la scrivania dove passavo le ore a scrivere e a pochi passi il mio letto. Mi ci tuffai, come ero solito fare quando avevo bisogno di rilassarmi in passato, ma sprofondai in mezzo al materasso, per finire nel polveroso cassetto sotto al mio letto. Senza che avessi neanche il tempo di rendermene conto, vidi la stanza girarmi attorno. Ero avvolto da un buio innaturale, spettrale. Poi, di colpo  mi ritrovai ancora in piedi nella stanza, come se non fosse successo niente.
Cercai di radunare le idee: avevo una forma, ma senza contenitore. Ero un ospite indesiderato in un mondo che aveva liberato il posto che mi era stato concesso.
Il trillo del campanello mi svuotò la mente dai pensieri. Corsi giù dalle scale, o meglio, levitai. I miei piedi non toccavano terra ed ero insolitamente veloce.
Ero emozionato. Sapevo chi era, poteva essere solo una persona. D’altronde, chi si introdurrebbe in una casa vuota, disabitata?
Cercai di prendere le chiavi, dimenticandomi ancora una volta che non avevo più il senso del tatto. Finalmente capii: non ero vivo, semplicemente non avevo smesso di esistere. Pensai a quanto alcuni gesti che di solito sono banali, ripetitivi o addirittura quasi automatici come prendere un mazzo di chiavi, inserirlo nella serratura e girarlo o semplicemente stendersi in un letto, mi stavano risultando difficili.
Non preoccuparti, entro da sola.”
La voce di Martina risuonava dentro di me, come se fossimo collegati da un filo invisibile. La porta si spalancò e lei fece la sua entrata.
Era alta quasi quanto me, teneva i lunghi capelli corvini abbandonati lungo la schiena, i suoi occhi nocciola mi sorridevano allegramente. Come me, si muoveva leggiadra, senza toccare terra. Non mi stupiva: d’altronde, avevamo subito lo stesso destino.
Solo il fatto di averla al mio fianco, mi rincuorava profondamente. Ero lì, nella casa che avevamo condiviso a lungo insieme, con la persona che amavo. Eppure, qualcosa dentro di me mi impediva di essere completamente felice.
Martina, come se riuscisse a leggermi nel pensiero, mi accarezzò il volto. Poi, avvicinando il le sue labbra al mio orecchio mi sussurrò: “Non preoccuparti, lo scopriremo insieme.”
Non riuscivo a crederle del tutto. Non avevamo un punto di partenza, niente di niente. Sapevamo solo di non essere più in possesso di un corpo, ma non avevamo alcuna idea di come trovare chi aveva appiccato l’incendio.
D’improvviso, mi sentii avvampare, come se fossi arso vivo. I miei occhi azzurri divennero bianchi, il mondo attorno a me girava. Sentivo che Martina mi stava tenendo una mano come a rassicurarmi, ma mi stavo perdendo in un flusso di pensieri e di ricordi.
Eppure, non la sentivo urlare. Lei stava al mio fianco in silenzio, ripetendo più volte che andava tutto bene, che non era niente.
Senza rendermene conto urlavo. Urlavo di dolore e mi contorcevo. Dentro di me sentivo ribollire fuoco e fiamme al posto del sangue e intorno a me non vedevo altro che un infinito buio.
Poi iniziai a sentire dei passi. Risuonavano nella mia testa come una sentenza di morte e mi sentivo circondato.
“Molto bene, il sangue della fenice si è risvegliato in te. Ora le cose si fanno veramente interessanti.”
Una figura incappucciata emerse da quelle tenebre che mi imprigionavano. Era lo stesso che aveva appiccato l’incendio, ne ero certo.
“Chi sei?” chiesi, rabbioso.
La figura si concesse un ghigno.
“Non sei ancora pronto per scoprirlo. Sei troppo debole e tormentato da mille paure. Non sei in grado di affrontare gli eventi.”
La figura scomparve. La sua voce calda e ferma mi aveva scosso profondamente. Mi ricordava
qualcosa, o forse qualcuno, ma non sapevo chi.
Di colpo ritornai presente a me stesso. L’ingresso di casa era molto illuminato, al punto che dovetti chiudere gli occhi, stordito dal contrasto con le tenebre di poco prima.
Quando li riaprii, vidi il volto di Martina che mi sorrideva.
Le sorrisi di rimando, poi  mi abbandonai sul suo petto e svenni. 

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Capitolo 4
*** Anima di Fuoco ***


Aprii gli occhi lentamente. La luce mi investì completamente. Mi sentivo completamente nudo, come se al posto dei fasci di luce fossi stato trafitto da mille lame così, in preda al panico, mi liberai dal freddo abbraccio di Martina e corsi in bagno: era molto piccolo, c’era solo un lavandino, una mensola dove erano riposti tutti gli accessori per il mantenimento dell’igiene personale, uno stretto box doccia e uno specchio.
Mi toccai il viso, mentre osservavo il mio riflesso. Al tatto sembrava tutto normale, le mie guance erano sempre piene e coperte da una barba curata, con tonalità che passavano dal biondo cenere al rossiccio, ma il riflesso mostrava qualcosa di completamente diverso.
Lo specchio riproponeva parte del mio volto ustionato e all’altezza del mio petto strati di pelle erano neri, come se fossero stati inceneriti. Contemplai quell’immagine di me con riluttanza, incredulo. Io non  ero così, non potevo esserlo.
Cosa stava succedendo? Chi c’era nel mio corpo? Stavo vivendo la vita di un altro? C’era solo un modo per scoprirlo: parlare con lei. Lei mi aveva ridotto così, quindi doveva avere tutte le risposte. Uscii di corsa dal bagno, sbattendo la porta. Da quando ero stato trascinato di nuovo nel mondo dalla figura incappucciata mi sentivo male, vedevo tutto con una prospettiva diversa, più profonda. Era come se tutta la pace che avevo finalmente raggiunto fosse svanita, costringendomi ad affrontare nuovi misteri, a pormi domande che vanno oltre alla comprensione umana. Prima di tutto, cos’ero? Cosa intendeva la figura misteriosa quando parlava di “sangue della fenice”? 
Ritornai in sala. Mi guardai intorno, ma non vedevo più Martina. Sentii una parte di me ruggire e poi un terremoto di emozioni scuotermi completamente. In un attimo, senza sapere spiegare quello che stava succedendo, mi ritrovai a testa in giù, con i piedi attaccati al soffitto. Stavo volando?
Chiusi gli occhi e venni avvolto da un calore sovrannaturale. Eppure, non ero infastidito: quel tepore e quelle fiamme mi avvolgevano come un’armatura.  
Mi sentivo libero e pieno di energia. Ero molto concentrato, talmente tanto che non mi accorsi che le lingue di fuoco da cui ero circondato stavano corrodendo il filo che teneva il lampadario di cristallo appeso al soffitto. Prima che potessi fare qualunque cosa, il lampadario cadde proprio sul lungo tavolo di legno che tenevamo in sala, nel caso avessimo qualche ospite. Un atroce dubbio mi invadeva. E più questo si faceva strada dentro di me, più la scia infuocata diventava potente.
Martina, cosa sta succedendo? Dove ti nascondi?” pensai.
Era tutto troppo strano: dentro di me era come se ci fosse qualcun altro, ed ero pronto a scommettere che quella ragazza non era Martina. Il nostro aspetto era quello di un tempo, ma dentro eravamo completamente diversi. Eravamo anime estranee in contenitori usurati.
Sentii un alito di vento gelido venire dalla cantina. Ormai incurante del fatto che stavo infrangendo qualsiasi legge della fisica planai verso quell’aria gelata, ma qualcosa mi stringeva le caviglie, facendomi cadere a terra. 
“Fenice, ti sto aspettando…” La voce nella mia testa diventava sempre più invadente, accompagnata da un forte senso di preoccupazione e smarrimento.
Non  ero disposto a vivere così. Mi piaceva la mia vita normale, tranquilla. Non pretendevo molto, mi bastava stare al fianco di Martina, vivendo del nostro amore e della frenetica danza in cui le nostre anime si intrecciavano continuamente, diventando una sola.
Eravamo io e lei, senza maschere né paranoie, due anelli della stessa catena. Ci conoscevamo da quando eravamo bambini, avevamo frequentato le stesse scuole e le stesse località balneari. Non so dire quando sia iniziato tutto: l’amore è un fiore nell’immenso prato della vita, siamo noi che decidiamo se nutrirlo giorno dopo giorno o lasciarlo appassire. Per quanto riguardava noi, ci eravamo dedicati l’uno all’altra senza sosta e avremmo continuato anche ora, in quel limbo in cui ci trovavamo. Aprii la porta.
La stanza era buia, le finestre avevano le serrande spalancate e fuori nevicava. Le mura della cantina erano crepate, grosse ragnatele coprivano gli angoli delle pareti. Al centro della stanza, notai il tavolo dove tenevo tutti gli attrezzi che usavo in casa. La cassetta era aperta e sul tavolo giacevano un cacciavite, diverse viti, una pinza e un trapano elettrico. Dietro il tavolo, lei.
Martina fluttuava in aria e mi guardava con silenzioso sgomento. Sentivo il suo sguardo guardare oltre. Oltre quei miei occhi tanto profondi quanto malinconici, altro quel contenitore che teneva ogni mia parte del corpo legata all’altra, permettendomi il movimento. Volevo muovermi e dire qualcosa, ma mi sentivo imbavagliato e attorno a me comparvero pesanti catene.
Mi dimenai a lungo, senza riuscire a liberarmi da quella morsa opprimente. Volevo spiegazioni, volevo andarmene, ma non ne avevo più la forza. Forse era davvero arrivato il momento di arrendersi.
Fu in quel momento che sentii il fuoco divampare in me, scorrendo dalle tempie fino alla punta dell’alluce, passando attraverso gli arti e avvolgendo il mio cuore. Sentii la mia anima urlare chiaramente, protetta dal fuoco della volontà. Volontà di lottare fino all’ultimo, volontà di capire, volontà di esistere. Senza pensarci due volte mi avventai su colei che aveva le sembianze di Martina, sicuro che non potesse essere veramente lei.
Non mi accorsi del martello che mi stava puntando alla testa e che aveva lanciato con una velocità che andava ben oltre le mie possibilità. Poi, tutto cambiò: dalla finestra della cantina irruppero i più caldi raggi di sole che avessi mai sentito, investendomi completamente.
Sentii attorno a me il calore delle fiamme. Erano verdi e viola, molto calde e circondavano Martina, proprio come quelle del misterioso incendio che aveva distrutto la nostra casa, privandoci delle nostre vite. Dunque, le cose stavano così.
Martina si coprì gli occhi con l’avambraccio e mi sussurrò: “Perdonami, Anima di Fuoco. Mi ha usata, voleva incontrarti.”
 Non avevo capito cosa stesse succedendo, almeno fino a quel momento. Ma ora, tutto era chiaro.
Cercai di stringere le mani della ragazza, ma questa si dissolse troppo velocemente, come troppo in fretta si era spento il nostro sentimento.
Dunque, ero diventato questo: Anima di Fuoco. Ma, chi voleva incontrarmi? Senza che me ne rendessi conto, tutto attorno a me era sparito: la cantina, gli attrezzi, Martina. Sentivo che anche il mio corpo poco a poco stava perdendo i suoi legami terreni, privato ancora una volta del mio legame terreno.
“Ciao, Alessio.”
Non fui sorpreso di trovarmi ancora una volta davanti la figura incappucciata, ma questa volta c’era qualcosa di diverso: riuscivo a distinguerne perfettamente la voce. Era una voce che riempiva le mie lunghe giornate e popolava i miei incubi. L’unica in grado di proferire parole tanto severe quanto incredibilmente potenti, al punto tale da riuscire a convincermi. Per questo non fui sorpreso quando la figura decise di rivelare il suo volto, togliendosi il cappuccio. Capii subito che avremo avuto molto di cui parlare, Io ed Io. 

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