Since i kissed you continued

di Exentia_dream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ...e oggi è già passato... ***
Capitolo 2: *** Indietro, forse troppo... ***
Capitolo 3: *** Remake ***
Capitolo 4: *** Se si ascoltasse il cuore... ***



Capitolo 1
*** ...e oggi è già passato... ***


…e oggi è già passato…
 
 
C'erano cose di cui non potevano ancora parlare.
Non alla luce del sole, almeno. Preferivano farlo nel loro posto, quando erano soli e quando i loro visi erano illuminati solo dalla luce fioca di una candela.
Hermione aveva imparato a conoscere Draco in ogni sfumatura del suo carattere, aveva imparato a gestirlo e gli stava insegnando a fare lo stesso: il biondo non si conosceva davvero, come invece credeva.
Infatti, credeva di poter contenere la calma. Credeva, ma non sapeva farlo.
E lo stava dimostrando proprio in quel momento: le teneva il muso, non le parlava.
Era la prima volta che litigavano seriamente-anche se lei non lo sapeva- e Draco era seduto di fronte al camino, con le mani a pugno poggiate al mento.
Non riusciva a credere che qualcun altro aveva provato a baciare la bocca di Hermione: era sua.
Sua e di nessun altro.
Si era scoperto geloso e il solo fatto che lei non desse peso a quello che era successo, gli provocava ancora più rabbia.
Da un lato ne era anche contento, perché Hermione non era interessata ad altro; da un lato ne era spaventato perché, col tempo, le cose sarebbero potute cambiare.
La paglia vicino al fuoco si incendia. Così aveva sentito dire.
La stava aspettando nella Stanza delle Necessità da ore: si era rinchiuso volontariamente in anticipo tra quelle mura per poter pensare senza sentire il vociare degli altri alunni: aveva imparato che le voci di corridoio, spesso, aggiungevano all'accaduto particolari inesistenti.
Le aveva inviato un gufo con un biglietto in cui le dava appuntamento alle dieci di sera. Sarebbero dovute passare almeno altre due ore: avrebbe avuto tempo di tranquillizzarsi.
 
 
 
 
 
Ron era seduto in disparte, nonostante non lo volesse: dopo quello che era successo qualche settimana prima, nessuno gli rivolgeva più la parola.
Nessuno, tranne Lisa: avevano costruito un rapporto in cui entrambi erano legati e liberi allo stesso tempo.
Non erano amici, non erano fidanzati: gli amori perduti e le amicizie finite li avevano avvicinati ed entrambi preferivano spogliarsi piuttosto che parlare.
Andava bene così.
Erano entrambi soli e si ritrovavano solo in se stessi.
Ron aveva giurato che non si sarebbe più innamorato e lei aveva fatto lo stesso, ma questo non li privava di scambiarsi qualche bacio e un bel po’ di piacere.
Un rapporto senza nessuna base solida, ma non si ponevano il problema di costruire niente, perché, oltre l’attrazione fisica e il bisogno di non sentirsi totalmente soli, tra loro non c’era altro.
 
 
 
 
 
-Harry, per piacere, smettila di volare a destra e sinistra e scendi un secondo.
-Aspetta, Ginny. Devo solo riuscire a prendere il boccino.
La rossa sbuffò e guardò l’amica. –Credi che smetterà mai di allenarsi così assiduamente?
Hermione sorrise. –Sinceramente?
-Sì.
-No.
-Oh, Herm, credimi, mi fa disperare.
-Lo so.
-Questa partita gli ha dato proprio alla testa. Solo prima di giocare contro i Serpeverde si allena in questo modo.
-Davvero?
-Sì.- Ginny guardò ancora una volta Harry, poi tornò a guardare l’amica. –A proposito, per chi tiferai?
-Per Grifondoro, è ovvio. Ma se Draco prendesse il boccino, non esiterei ad esultare.
-Traditrice.- e sorrisero entrambe.
Era stato facile recuperare il rapporto con Ginny; era stato bello tornare ad essere amica di Harry.
Era stata arrabbiata con lui per tanto tempo ed ora avrebbe solo dovuto ringraziarlo: se non avesse fatto quella stupida scommessa, a quest’ora lei non sarebbe stata così contenta.
Ripensò ai giorni che aveva trascorso con Draco in quel dormitorio, a quello che erano tra quelle mura e a quello che erano diventati dopo quell’esilio.
Ripensò anche ai silenzi, ai giorni in cui erano stati distanti, al dolore che aveva provato quando Ron aveva preso la Polisucco ed aveva preso il posto di Draco e le aveva detto che non ricordava niente.
Poi sorrise: quei giorni erano lontani.
-Sto bene, Ginny.
-Lo so e ne sono felice.
-Sì, anch’io.
-Gli dirai di quello che è successo?
-Sì, anche se per me non ha alcuna importanza: sono innamorata di lui e del resto non m’importa.
-E’ ancora strano sentirti dire che lo ami.
-Sai che non lo abbiamo ancora detto?
-Cosa?
-“Ti amo”.
-No?
-No.- ma non era necessario: a volte le parole erano così superflue.
Dopo tanto tempo, Hermione si sentiva completa e sicura di ciò che aveva: sapeva che la storia con Draco era solida, creata su basi indistruttibili e viveva con questa consapevolezza nel cuore. Si sentiva leggera.
Non erano stati inutili i litigi, gli insulti, i silenzi e le incomprensioni: erano servite a conoscersi meglio e a fondo.
I momenti di gioia erano serviti a vedere anche la felicità del biondo ed era questo che le importava più di tutto: era felice lei e voleva rendere felice anche lui.
Finalmente, aveva capito che l’amore era dare e ricevere allo stesso modo, senza rinfacciare le mancanze.
Aveva imparato che le persone si completavano a vicenda e che non sempre le cose andavano per il verso giusto, ma si doveva far in modo di sistemarle, di farsi capire e di capire.
Era innamorata e ne era consapevole: non c’era sensazione migliore.
Mentre era seduta sugli spalti ad osservare Harry, un gufo le si avvicinò e le lasciò una pergamena.
 
Stanza delle Necessità. Tra due ore.
 
-Ricominciamo con i gufi?
-Così pare.
-Sa sempre dove trovarti, eh?
-Non ha senso che non sappia quello che faccio.
-Sei così trasparente, Herm.- Ginny per un attimo si rabbuiò e pensò che avrebbe voluto che anche tra lei e Harry le cose fossero limpide, che entrambi affrontassero le cose con più maturità.
Avevano dimostrato più di una volta che il loro amore poteva andare oltre ogni cosa, ma, spesso e volentieri, erano proprio loro ad ostacolare il tutto ed impedirgli di andare avanti e crescere.
Tornò a sorridere e strinse la mano della riccia. –Anche tu lo sei, perciò, dimmi cos’è che non va.
-Va tutto bene.
-Tutto?
-Non mi credi?
-Diciamo che credo che abbiamo una concezione diversa di “tutto”.- disse, mimando con le mani le virgolette.
Ginny si chiese come facesse Hermione a cogliere sempre il suo tasto dolente, giustificando la sua domanda con la realtà: la conosceva meglio di chiunque altro.
 
 
 
 
 
Si sentiva un po’ il palladino dell’amore, anche se non era riuscito ancora a trovare qualcuna che volesse restare al suo fianco: persino Pansy –che era tornata- riusciva più a soddisfarlo.
Durante le vacanze del Natale precedente, Blaise aveva ripensato all’unica volta in cui era stato innamorato, a quell’estate che credeva potesse durare per sempre, e, da allora, gli affari col suo cuore erano diventati di nuovo complicati.
Si guardava intorno e vedeva tutti baciarsi e amarsi e, spesso, si deprimeva: tutti quegli amori erano nati grazie ai suoi piani diabolici e, spesso, ci aveva letteralmente rischiato la pelle.
Ma mai nessuno che si preoccupasse per lui. Mai nessuno che gli chiedesse qualcosa.
Il più delle volte era solo, perché gli altri erano impegnati ad amarsi da qualche altra parte.
A parte il ruolo di nuovo Cupido, però, gli restava l’onore di essere stato l’unico Serpeverde a cui Draco aveva detto: “Grazie.”
Ci aveva messo mesi, ma alla fine era riuscito a scovare la vera anima dell’amico e i suoi veri sentimenti e, dopo gli insulti, le minacce di morte e la vendetta di quando lo aveva legato come un salame, Draco aveva abbracciato Blaise e lo aveva ringraziato dicendogli che era tutto merito suo.
Merito non colpa.
Erano cambiate tante cose per gli altri, ma non per lui.
Preso dalla solitudine, decise che si sarebbe dato un’altra possibilità, che non merita di non essere felice né di rimanere da solo per il resto dei suoi giorni: non si sarebbe dato nessun limite di tempo, non si sarebbe imposto nulla.
Era semplicemente pronto a ricominciare.
 
 
 
 
 
Hermione cercò gli occhi di Draco durante tutta la durata della cena, ma non li trovò.
In realtà non trovò neanche lui e cominciò a preoccuparsi del messaggio che lui gli aveva scritto sulla pergamena.
Allora, cercò di incrociare lo sguardo di qualche altro Serpeverde, ma Theo era troppo intento ad amoreggiare con Daphne e Blaise a giocare con la minestra che aveva nel piatto.
Con gli altri alunni non aveva una gran confidenza, perciò decise di abbandonare l’idea di chiedere qualcosa a Pansy.
Si alzò dal posto che occupava, poi salutò i suoi compagni di casata e lascio la Sala Grande.
Per qualche strano motivo, sentiva che Draco era già nel loro posto. Le piaceva dire che la Stanza delle Necessità era il loro posto, perché era lì che tutto era iniziato: in quella stanza, Hermione, lo aveva guardato dormire e, per la prima volta aveva sentito forte la voglia di accarezzarlo; lì si incontravano per parlare delle loro cose importanti.
-Sei…carina, quando non parli.- le aveva detto durante la prima ripetizione.
Sorrise a quel ricordo e, persa tra i sorrisi e i ricordi, si trovò di fronte alla porta dietro cui l’aspettava Draco.
Stupidamente pensò di bussare, poi, semplicemente scostò la porta ed entrò.
 
 
 
 
 
 
 
 
-Professor Piton.
-Silente.
-Avevo voglia di camminare per i corridoi e mi son trovato da queste parti.
-Qual buon vento?
-Oh, nessuno in particolare. Si respira un’aria così felice: i ragazzi della scuola ne profumano quasi tutti.
Piton guardò il vecchio Preside con un leggero senso di fastidio: davvero lo rendeva così contento la felicità degli altri? Non si sentiva un po’ morire quando ripensava all’amore che aveva perduto?
Ogni tanto, Severus si perdeva nei ricordi del suo passato e, quando rivedeva gli occhi di Lily, il cuore gli si fermava nel petto.
Era sempre difficile tornare al presente.
-Sì, sono quasi tutti felici.
Albus Silente si crogiolò non poco di quella risposta e continuò a guardarsi in giro sorridente: la sua teoria di vita era che l’amore muovesse il mondo e l’universo intero e voleva che la magia all’interno della sua scuola si muovesse allo stesso modo, grazie alla stessa forza.
Ancora una volta, nonostante gli anni vissuti, nonostante la vita vissuta, era riuscito a meravigliarsi di quanto l’amore potesse migliorare e salvare le persone.
Lo aveva visto durante la Guerra Magica, lo aveva visto dopo grazie ad Harry Potter e Ginny Weasley, ma soprattutto grazie a Draco Malfoy e Hermione Granger: l’odio e il disprezzo che si trasformano in amore puro.
Cosa poteva esserci di più bello di vittorie del genere?
Niente. Niente era più bello dell’amore.
-Arrivederci, Severus.
L’altro non rispose: una parte di lui viveva il presente, mentre l’altra era inevitabilmente inchiodata al passato.
Ah, Lily… se solo mi avessi amato.
Chiuse gli occhi per un secondo, asciugò quell’unica lacrima che gli era scappata, poi tornò ad essere il professore che tutti conoscevano.
 
 
 
 
 
Theo era steso sul letto di Daphne e la aspettava.
Lei, nel frattempo, si era chiusa in bagno: non capiva per quale motivo si sentisse così svogliata, perennemente stanca. Si appoggiò con la schiena alle pareti e toccò il freddo del pavimento.
Theo bussò alla porta e lei rispose con un semplice mugolio: le girava la testa.
-Ehi, stai bene?
-No.
-Vuoi spiegarmi cos’hai? Mi fai entrare?
-Per piacere, Theo.
-Mi sto solo preoccupando per te, scusami se ti dà fastidio.
-Mi sento debole.
-Posso portarti in infermeria, se vuoi…
-Sì.- e si alzò lentamente per aprire la porta del bagno.
Aveva il viso cereo e gli occhi scavati: non l’aveva mai vista così, per questo la prese in braccio e la trascinò di peso lungo i corridoi dei sotterranei.
Era spaventato, gli tremavano le gambe, ma provava a non darlo a vedere a Daphne che lo guardava con gli occhi spalancati e colmi di paura.
-Dà, va tutto bene.
-Lo so, ma ho paura.- ripensò a quella sera in cui, per la prima volta, avevano fatto l’amore insieme.
Era stato meraviglioso: ad entrambi sembrava di conoscersi da anni anche sotto le lenzuola.
Si erano sentiti completi, pieni, finalmente totalmente felici.
Solo dopo aver ricordato, nella mente di Daphne cominciò a farsi strada l’idea di poter aspettare un figlio.
Era sconvolta: si sentiva ancora irresponsabile, ancora troppo bambina. Si sentì mancare.
-Daphne, non chiudere gli occhi, ti prego. Siamo arrivati, eh. MADAMA CHIPS.- Theo spalancò la porta e l’infermiera sobbalzò, girandosi di scatto. –Daphne sta male.
Immediatamente, sistemarono la ragazza mettendola comoda e coprendola.
In infermeria, le finestre erano sempre leggermente aperte, perciò le stanze erano fredde d’inverno e fresche d’estate.
-Cos’hai, Daphne?
La ragazza rivolse all’infermiera uno sguardo vacuo. –Mi gira la testa. Mi sento debole.- poi svenne.
 
 
 
 
 
Non era affatto quello che si aspettava e ne rimase leggermente sconcertata. –Va tutto bene?
-Dimmelo tu.
-Sì. Credo.
-Ecco qual è il tuo problema: vedi sempre tutto rosa intorno.
-E’ successo qualcosa?
-Ah, non lo sai?
-No.
-Strano, perché è successo proprio a te.
-Ah… ti riferisci a…
-Sì, mi riferisco al bacio.
-Non c’è stato nessun bacio.
-Lo so.
-Allora perché ti scaldi tanto?
-Perché in giro non si parla d’altro: Hermione che viene baciata da un altro e Draco il cornuto.
-Non c’è stato nessun bacio.
-Non m’importa se c’è stato o no questo bacio del cazzo. M’importa del fatto che tu non me ne abbia parlato.
-Mi pare che non ci siamo affatto incontrati durante tutta la giornata.
-Mi vieni a cercare ovunque per le tue cretinate e per una cosa del genere non hai trovato un minuto del tuo prezioso tempo per parlarmene. Stai scherzando, vero?
-Sei gelolso?
-Senti, Granger: nel tuo mondo esistono unicorni ed arcobaleni, va bene? Nel mio, invece, esistono giramenti di palle e dubbi.
-Cosa c’entrano gli unicorni?
-Tu pensi agli unicorni?
-Ma ru hai det...
-E a quello che provo io?
-Sì che ci penso, ma hai tirato in ballo gli unicorni… e non è un discorso logico…
-Ah, no?
-No.
-Per colpa tua io ho un corno piazzato qui.- e si indicò il centro della fronte alta. –Tra poco me ne spunteranno altre. Non la faccio la figura del cornuto, Zannuta.- poi se ne andò, sbattendo la porta.
Hermione rimase paralizzata al centro della stanza, con un’espressione confusa: non sapeva se scoppiare a ridere o se disperarsi per ciò che le aveva detto Draco.
Si sedette un secondo per schiarirsi le idee e, sul pavimento, trovò strappata e rovinata una foto che li ritraeva insieme.
Guardò l’orologio appeso alla parete: segnava mezzanotte precisa.
In quel preciso istante scoppiò a piangere.
 
 
 
 
 
Angolo autrice:
 
Eccomi tornata, finalmente con il continuo di una storia che ho amato tantissimo.
Ci sono tante cose da dire su questo capitolo:
-ha uno sbalzo temporale di poche settimane e l’ho preferito per non andare troppo oltre con gli anni: non credo sarebbe stato bello trovarli già adulti e non conoscere un altro po’ le loro storie e i loro caratteri;
-ci sono parti poco chiare e le scoprirete man mano grazie ai flashback che inserirò nei capitoli e, in questo, quasi non ce ne sono (ma non disperate, eh);
-non è un capitolo molto corposo, ma ho preferito dividerlo o sarebbe stato davvero troppo pesante.
 
Finito quello che avevo da dire sul capitolo, voglio dedicarmi un secondo a voi: in tante avete seguito e commentato la storia precedente e spero di trovarvi anche qui: siete voi, con le vostre recensioni e i vostri consigli, a mandare avanti tutto questo e a ridarmi la voglia di scrivere, di farlo per qualcuno- che apprezziate o meno- che mi dedica un po’ del proprio tempo.
Vi ringrazio in anticipo e vi aspetto.
Un bacio…
La vostra Exentia_dream

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Capitolo 2
*** Indietro, forse troppo... ***


Indietro, forse troppo…
 
Aveva accuratamente provato ad evitarla e ci era anche riuscito.
Per un attimo, si era sentito uguale a com’era prima. Prima di innamorarsi di lei.
Ed aveva sentito che quel lui gli mancava.                                                                       
Ora la odiava. La odiava.
Si sentiva ferito nel profondo e non riusciva neanche a capire il perché: in fondo, non era successo niente.
Ma… l’aveva mentito e forse l’aveva sempre fatto. Era questo ad ucciderlo: il dubbio.
Il dubbio sulla sua sincerità, sui suoi sentimenti, sulla sua bocca.
Avrebbe dovuto crederla. Forse. Ma non ci riusciva.
Continuava ad immaginare la scena che gli avevano raccontato, contornata da tanti dettagli che, in effetti, la rendevano inverosimile.
Lui ha provato a baciarla. Lei si è alzata sulle punte. Erano mano nella mano. No, le mani erano sotto la gonna. Hanno fatto sesso, nel corridoio.
Non era possibile. Non poteva essere possibile.
No. Non doveva essere possibile. Quella di cui tutti parlavano, quella con cui tutti volevano parlare per conoscere i dettagli, quella, non era Hermione.
La sua Hermione.
Nemmeno lui l’aveva ancora toccata, non sotto la gonna. Non poteva averlo fatto qualcun altro.
Non doveva averlo fatto qualcun altro.
Sentiva le mani prudergli e la testa pulsargli forte.
Provò a calmarsi, ma gli sembrava inutile.
Inutile, come il fatto di negare la sua gelosia, come il fatto di negare di amarla.
Lo aveva fatto per troppo tempo nei mesi precedenti e si era dovuto ricredere: Blaise aveva avuto ragione dal primo momento.
 
 
-Beh, perché… hai mai conosciuto qualcuno che lo ami per quello che è?
-No.
-Pansy… è brava solo a portarselo a letto; Astoria è obbligata a sposarlo e, forse, lo farà anche, ma questo non significa che lo ami.
-E la Granger cosa c’entra?
-Secondo me, lo completa, perché non gliela dà vinta, gli tiene testa e poi… dai, è imbarazzante parlare di queste cose.
 
Ricordava di aver ascoltato fuori dalla porta il discorso tra Theo e Blaise. L’orecchio teso e il cuore in gola.
-Continua, Zabini.

-E d’accordo. Stavo parlando della Granger e stavo spiegando a Theo perché credo che sia quella giusta per te.
-Hermione non fa per me.
-Vedi? La chiami per nome.
-Questo non c’entra.
 
Questo non c’entrava, quell’altra cosa non c’entrava.
L’unico ad aver fatto centro era stato proprio Blaise. E lui ricordava quelle parole in ogni particolare.
E quella volta l’aveva chiamata per nome davanti ai suoi amici,
C’entrava, eccome.
Strinse i pugni, poi, per un motivo sconosciuto, ricordò di essere nell’aula di Pozioni.
Si guardò intorno e nessuno stava facendo caso a lui.
Tornò alla pozione che gli era stata assegnata e provò a concentrarsi.
Gli era difficile, davvero.
Ogni tanto- nonostante volesse evitarla, nonostante la odiasse- vagava con lo sguardo per cercarla e la trovava sempre china sul libro a controllare e ricontrollare che tutti i passaggi fossero corretti.
La odiava. Di nuovo.
La odiava con tutto se stesso.
La odiava così come l’amava.
Si concentrò sulla pozione. Questa volta ci riuscì.
 
 
 
 
 
-C’è qualcosa tra di noi…
-Sì, insomma, io ti amo, tu mi…
-Qualcosa che non mi è chiara.
-Co-cosa?
-Harry, io mi sento come se ci fossero troppe cose in sospeso. Noi… noi non siamo trasparenti l’un per l’altra.
-Cosa significa, Ginny? Non ti capisco…
-Cos’eravamo prima di tornare insieme? Cos’abbiamo fatto prima di tornare insieme?
Harry la guardò sconcertato: capiva perfettamente cosa volesse dire Ginny e sapeva cosa risponderle, ma poi? Cosa sarebbe successo?
-Senti, non è il momento di parlarne, ades-
-Sì, invece.- Ginny fece forza sui gomiti e si stese su di lui, senza lasciarsi andare del tutto.
Avevano appena fatto l’amore e si sentiva completa: non avrebbe voluto rovinare quel momento, quello in cui lui le accarezzava la schiena e continuava a baciarla.
Non avrebbe voluto, ma sentì ancora una volta quel peso sul cuore.
Ancora una volta. Per l’ennesima volta.
-Va bene. Cosa vuoi sapere?
-Tutto.- rispose decisa, poi sentì la voce incrinarsi. -Con chi sei stato?
Harry strinse un attimo gli occhi: era il momento della verità.
Era arrivato il momento di dirle che sì, era stato con un’altra, ma aveva lasciato perdere immediatamente. E, piuttosto che una compagnia che non amava, nelle notti lunghe, aveva preferito la compagnia di se stesso e della sua mano.
Era arrivato il momento di dirle che dopo, dopo aver provato a dimenticarla- e ci aveva provato con tutta l’anima- aveva deciso di rinunciarci, perché non ci riusciva.
Aveva capito che sarebbe stato inutile lottare contro il suo cuore e aveva fatto il possibile per tornare ad esserle amico solo per non perderla del tutto.
Solo, come se fosse una cosa da poco.
Le raccontò i giorni senza lei tutti d’un fiato e Ginny lo guardò.
Gli occhi lucidi, le dita intrecciate a quelle di Harry.
Sentì il peso sul cuore alleggerirsi e, senza che lui glielo chiedesse, rispose alla domanda che lei stessa gli aveva fatto poco prima.
Si sentiva in dovere di farlo, di dirgli la verità.
Aveva baciato un altro ragazzo e un altro ancora.
Uno dagli occhi neri, l’altro dagli occhi azzurri, ma lei avrebbe voluto che fossero verdi.
Avrebbe voluto spostar loro i capelli e trovare sulla fronte una cicatrice a forma di saetta.
Avrebbe voluto che quei ragazzi fossero Harry, ma non lo erano.
Sentì le braccia di lui spingerla verso il suo petto e il peso sul cuore sparì del tutto.
Non c’era più nulla di sospeso tra loro. Erano trasparenti.
Ora, lo erano davvero.
 
 
 
 
 
Era china su una pergamena, con la piuma a sfiorarle i capelli.
Nemmeno sentiva il contatto, eppure quel gesto sembrava rilassarla. Aveva deciso di cominciare a scrivere il discorso per i M.A.G.O, così, per distrarsi un po’, ma niente: non riusciva a rilassarsi, non riusciva a scrivere.
In realtà, non riusciva nemmeno ad immaginare cosa dovesse o volesse scrivere.
Aveva la testa piena di parole e, quando provava a scriverle, si accorgeva che no, quelle parole non andavano affatto bene per il discorso che le avevano affidato.
Le parole scritte sulla pergamena, si rese conto, erano quelle che avrebbe voluto dire a Draco.
C’era anche uno scusa.
Scusa di cosa, poi?
Non aveva fatto niente. Niente.
Si sentiva in colpa, nonostante sapesse bene che gliene avrebbe parlato.
Oh, Draco… se solo gliene avesse dato il tempo.
Continuava a ripensare a quello di cui tutti parlavano.
 
-Devo parlarti in privato. E’… una questione importante.
-Sì, ok…- lo aveva invogliato a parlarne, spostandosi dietro una colonna.
-Io… i-io, vedi… è che…
Era stato un attimo. Poi, Dean1 le aveva stretto i gomiti e aveva provato a baciarla.
Non sapeva da dove avesse preso la forza, ma lo aveva respinto.
-Sto con Draco.
-Non è giusto che tu st-
-E’ giusto per me.
Sì, per lei era giusto.
Quello ad essere sbagliato era quel silenzio, quello sguardo.
Lo sguardo che lui le aveva riservato per tanti anni. Quello, quello non era giusto.
Passò una mano tra i capelli, come a voler mandar via quei ricordi che le provocavano un dolore fisico.
Erano trascorse ore in cui aveva pensato solo ai momenti belli che avevano trascorso insieme e le veniva da piangere: l’esilio, obbligo e verità, i baci.
Aveva anche ripensato ai momenti che erano seguiti a quella settimana che li aveva uniti e le lacrime uscirono senza che lei riuscisse a trattenerle.
Prese la foto che Draco aveva lasciato nella Stanza delle Necessità ed avvicinò le due metà: erano così perfette insieme, così vere e straordinarie.
La crepa che le separava, invece, era così decisa, così definitiva… così cattiva.
Sentiva che avrebbe potuto spaccare tutto quello che la circondava, tanto era la rabbia che le era montata in petto.
Sentiva che avrebbe potuto farlo, ma sapeva che se qualcuno avesse teso le braccia verso di lei, sarebbe semplicemente sprofondata in quella stretta.
Pianse più forte.
Non era giusto. Tutto quello non era giusto.
 
-Perché quel premio?
-Volevo qualcosa che lui non potesse avere…
-Quindi mi vuoi?
 
Perché quel premio? Perché l’aveva voluta? E perché non la voleva più?
Buttò la testa in avanti, sulle ginocchia. Doveva smettere di piangere, smettere di stare male.
Doveva smetterla.
Aprì il palmo della mano e fissò le linee disegnate sulla pelle. Nel suo mondo, quello in cui la magia non esisteva, si diceva che una linea fosse quella della vita, l’altra quella dell’amore.
Accarezzò quella più breve nel punto in cui incontrava quella più lunga e pensò che lì, proprio in quel momento della sua vita, aveva incontrato l’amore.
Quello che non sapeva era quale fosse di preciso quel momento. E si chiedeva perché ad un certo punto le due linee si dividessero.
Forse perché era così che andavano le cose: iniziavano e finivano.
E sarebbe dovuta andare così anche per lei. Per lei e Draco. Era in quel preciso istante che l’amore usciva dalla sua vita.
Così? Così in fretta? Così all’improvviso?
Asciugò qualche altra lacrima, ancora convinta di poter fermare il pianto, poi chiuse la mano a pugno.
 
-Hai mai assaggiato la Nutella?
-La cosa?
 
Sorrise per un attimo, ma le lacrime non le diedero il tempo di dedicarsi a quel ricordo: uscirono di nuovo, più veloci.
Erano giorni che la evitava e lei aveva imparato che avrebbe dovuto dargli del tempo prima di chiarire: farlo a caldo, mentre i suoi pensieri erano ancora annebbiati da qualcosa che lo aveva ferito, sarebbe servito solo ad incrinare ulteriormente la situazione.
No, no e no. Draco avrebbe continuato a dire di no ad ogni cosa che lei gli avrebbe detto.
Non è andata come credi. No. Non l’ho baciato. No. Non voglio nessun altro a parte te. No. Mi ami? No.
Avrebbe voluto sapere cosa avrebbe risposto davvero a quella domanda: mi ami?
Non gliel’aveva mai chiesto, non gliel’aveva mai detto. Mai ed aveva sempre creduto che non ce ne fosse stato bisogno.
Forse, se ogni tanto lo avessero detto…
E lei si sentiva piegata da quel tempo che sembrava non passare mai.
Un giorno, due, tre.
Tre giorni. Erano passati soltanto tre giorni.
 
 
 
 
 
-Domani sera non possiamo vederci.
-Va bene.
-Sei così… distante.
-Sì, non m’importa.
-Ah, ok.
Ron guardava Lisa così come avrebbe guardato un qualsiasi insetto fastidioso.
Lei, d’altro canto, non si scomponeva più di tanto: avevano chiarito dal primo momento che tra loro non ci sarebbe stato nessun tipo di impegno ed andava bene così.
-Dov’è che vai?- la sua voce era dolce, ma non troppo: era invitante: sapeva che Lisa non aveva bisogno di troppe moine per dirgli di sì. Le strinse i fianchi e cominciò a baciarle la spalla, risalendo lungo il collo e le orecchie.
Lisa sorrise e piegò la testa in modo da lasciare maggiore spazio alla bocca di Ron e, allungando una mano all’indietro, cominciò ad accarezzargli i capelli.
Era quello che voleva. Era quello che volevano entrambi: essere indispensabile, sì, ma fino ad un certo punto.
Senza legami, senza catene. Senza amore.
Sì, era quello che volevano entrambi: un rapporto senza amore.
Si stese sul pavimento, sfilandosi lentamente la gonna e la lanciò verso Ron. Lui la raccolse, ne aspirò il profumo.
Erano gesti semplici, eppure, erano proprio questi che lo avevano conquistato: gli piaceva quando Lisa si mordeva il labbro inferiore, quando si passava una mano tra i capelli e li spostava dietro l’orecchio.
Erano gesti che gli portavano una sorta di calore all’altezza dell’inguine e lui sentiva lo stomaco stringersi dallo spasmo, dalla voglia di spogliarsi.
Dopo, si appoggiò su di lei.
Era bello stare con lei. Era soddisfacente.
Lisa era una di quelle ragazze che non facevano domande, non provavano gelosia, non parlavano troppo: era perfetta per lui.
E lui era perfetto per lei, lo sentiva. Così come sentiva i gemiti e il piacere e le unghie conficcate nella pelle quando a lei piaceva un bacio o un morso.
Ron chiuse un attimo gli occhi e apparve nitido il viso di Hermione. Si fermò.
-Ron…- Lisa lo chiamò.
-Sì?
-Non fermarti, ti prego.- e lui ricominciò più forte. Più forte, ancora più forte.
La stanza si riempì dei loro affanni e, stesi l’uno affianco all’altra, mano nella mano, sorrisero stanchi.
 
 
 
 
 
Si parlava in giro di una festa riservata esclusivamente agli alunni.
Alla festa dei M.A.G.O sarebbero stati presenti professori e preside, quindi sarebbe stato vietata- anzi, assolutamente proibita- la presenza di alcolici.
Ma cosa sarebbe stata una festa senza alcolici? A detta di molti, gli alunni avevano un disperato bisogno di rilassarsi: le interrogazioni, i compiti erano triplicati e, in effetti, il ritmo serrato che avevano acquisito i programmi scolastici stava dando alla testa.
-Non è possibile, Silente: un affronto del genere. Abbiamo concesso loro di organizzare una festa e loro ne fanno un’altra, totalmente diversa da quella che gli avevamo permesso.
-Sono ragazzi, Minerva.
-E allora?
-Devono imparare a sbagliare e a rimediare.
-Quante altre volte gli permetterai di farlo?
-Per molto tempo ancora.
-Quanto durerebbe questo tempo?
-Sempre.
-E’…è assurdo.
-Ogni cosa lo è in questa scuola. Anche Nick-Quasi-Senza-Testa lo è. Mirtilla Malcontenta lo è. Vuoi che elenchi tutto ciò che è assurdo a Hogwarts?
La professoressa McGranitt scosse con vigore la testa. -Li tratti come se fossero adulti.
-Io credo in loro.
Quando rimase solo, il vecchio preside si appoggiò alla sedia e la girò verso la finestra. Guardò a lungo il panorama: c’era tensione nei corridoi della sua scuola e non gli piaceva affatto.
C’erano voluti anni affinché la pace regnasse fuori da quelle mura e lui voleva la pace anche all’interno.
Vedeva la scuola come un bel corpo curato all’esterno, ma ancora troppo malato negli organi. Non andava bene.
Aveva come una specie di sesto senso che gli suggeriva che quella festa, quella senza professori e preside, avrebbe sistemato le cose: non sarebbe stato facile, lo sapeva.
Ma sentiva che poi, alla fine, l’amore avrebbe vinto.
Gli altri professori non lo vedevano: erano ciechi. Non si rendevano conto che quando i cuori dei loro alunni erano in subbuglio, erano allo stesso modo anche le loro menti e, di conseguenza,  il loro rendimento scolastico era scarso.
Ci sarebbe voluto del tempo e non per forza le cose sarebbero andate immediatamente al loro posto, ma Silente sapeva che, alla fine, avrebbe avuto ragione.
Di nuovo.
 
 
 
 
 
Era ora di pranzo e lui aveva guardato per tutto il tempo verso il tavolo di Grifondoro: aveva visto Harry e Ginny allontanarsi subito dopo aver mangiato e aveva una vaga idea di cosa andassero a fare.
Ron Weasley aveva, come sempre, mangiato a sbafo ed anche lui si era allontanato. Da solo.
Non gli importava granché di quello che facesse quella specie di essere umano: ancora gli si contorceva lo stomaco quando ripensava a quello che aveva combinato a lui e a Hermione, al tempo che li aveva fatti stare lontani.
Ed ora quella lontananza l’aveva decisa lui. E l’aveva decisa lei con i suoi silenzi.
Non l’aveva vista neanche a pranzo. Erano tre giorni che non la vedeva a pranzo.
Si incontravano nelle ore di lezione in comune, ma lei sembrava essersi chiusa a riccio.
Non gli dispiaceva, niente affatto.
La odiava. E non voleva parlarle.
Però, non riusciva a spiegarsi perché continuasse a cercarla, perché sperasse che anche lei lo cercasse. Anche solo con lo sguardo.
Ma lei non lo faceva mai.
Non sapeva che lei lo cercava quando lui aveva gli occhi bassi. Non sapeva che ogni volta che gli dava le spalle, lei allungava una mano, come se volesse toccarlo. Non sapeva nemmeno quante volte, in realtà, Hermione avrebbe voluto fermarlo e parlagli, fargli delle domande e avere delle risposte.
L’unica cosa che sapeva- che vedeva soprattutto- era la sua indifferenza.
All’altezza del costato, più o meno al centro, avvertiva un male insopportabile: era talmente forte che sembrava toccargli anche la colonna vertebrale e il resto delle ossa.
 
-Qual è il prezzo da pagare, in tutta questa storia?
-Non lo so ancora, ma io ci ho rimesso un po’ di cuore.
 
E di cuore, lui che credeva fermamente di non averne uno, ne aveva rimesso un bel po’: era stato mesi, forse anni, a chiedersi quali fossero i suoi veri sentimenti verso Hermione e li aveva capiti forse troppo tardi, ma lei gli aveva dato modo di recuperare i giorni persi: sembrava esserne felice e Draco se ne accorgeva ogni volta che la guardava sorridere, ogni volta che lei si addormentava tra le sue braccia.
Da troppo poco tempo la loro storia era diventata ufficiale, ma gli sembrava di stare con lei da sempre. Respirò pesantemente, come se farlo lo privasse di ogni energia.
Sentiva il bisogno di fumare, perciò uscì fuori dalla Sala Grande e si appoggiò ad una delle colonne che affacciava sugli enormi prati.
Sfilò una sigaretta e l’accese con la bacchetta: il fumo non gli migliorava la giornata, ma per un attimo sembrava portar via con sé i pensieri più tristi. Era come se un po’ del suo dolore sfumasse.
Poi, tornava, certo. Più forte di prima, era vero. Ma per un attimo spariva.
-Ehi, Malfoy. Proprio lì si sono baciati.
Strinse la sigaretta tra le mani con talmente tanta rabbia che riuscì a piegarla- procurandosi una scottatura accanto al pollice- e sentì una specie di pugno al centro del petto.
Non si voltò: rimase immobile a guardare i prati di un verde smorto e il cielo nero con le sue nuvole pronte ad esplodere.
Ecco. Si sentiva come quel cielo, come quelle nuvole.
Ma, mentre loro cominciarono a sfogare la loro rabbia, lui rimase fermo e in silenzio.
E’ finita. Finita.
Percorse il corridoio a passi lenti: non avrebbe seguito nessuna lezione, non avrebbe sentito più nessuna voce.
Finita. Camminava, ma non si sentiva.
La sua testa era totalmente muta, come se in essa non ci fossero pensieri; il battito del cuore era debole, come se fosse sul punto di cedere e smettere di battere.
 
-Siamo nel 2002.
-Cosa?
-Sì… e ci stiamo incontrando per la prima volta. Voglio rifare tutto dall’inizio.
 
Sì, era tutto come molti anni prima e lui la odiava.
Draco Malfoy decise che sarebbe diventato di nuovo quello che era stato. Quello che sarebbe dovuto sempre essere.
E’ finita.
 
 
 
Angolo Autrice:
 
Eccomi qui… probabilmente parlo a poche di voi (e mi dispiace di aver perso tante lettrici), ma quelle che sono rimaste meritano parecchio del mio tempo <3
In questo capitolo ci sono un po’ di cose da spiegare, tra cui Dean.
Ribadisco di non aver mai letto/guardato film/libri di Harry Potter, ma, in ogni caso, mi pare che Dean sia morto (?)
Beh, qui non lo è: è un personaggio abbastanza marginale, nel senso che non sarà molto presente nella storia, anche se ciò che ha fatto ha creato non pochi danni.
Alcuni flashback sono presi dalla storia principale, Since I kissed you (per chi non l’abbia letta: la trova facilmente nella mia paginetta).
Come avete potuto notare, questo capitolo è leggermente più corposo del precedente e credo che anche i prossimi abbiano più o meno questa lunghezza: non vorrei risultassero troppo pesanti.
Per quanto riguarda gli aggiornamenti… beh, c’è da dire che parto sempre col buon proposito di aggiornare una volta a settimana ( per questa storia, si suppone che io posti di sabato o domenica) e mi impegnerò con tutta me stessa per farlo.
Nel caso il mio impegno non sia costantemente costante, vi prego di non abbandonarmi del tutto.
 
Perfetto, credo di aver finito.
Ah, sì… grazie a tutte: a chi ha letto, a chi è rimasto in silenzio, a chi ha recensito e a chi ha inserito questa storia da qualche parte.
A presto,
 
la vostra Exentia_dream

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Capitolo 3
*** Remake ***


 
Remake
 
 
 
-Daphne?
-Mh?- stava bevendo il suo succo di zucca e fissava il ragazzo con occhi incerti. –Dimmi.
-Posso restare qui?- Theo le aveva portato la colazione nella sua stanza.
MadamaChips le aveva detto di stare a riposo: era solo stress accumulato e le era calata la pressione, ma era sana come un pesce.
A quelle parole, Theo, avevo perso un po’ della speranza che lo aveva animato qualche giorno prima, durante la corsa in infermeria: non aveva fretta di avere una famiglia e costruirsi un futuro stabile, ma voleva che fosse con Daphne.
Che quel futuro fosse immediato o meno, lui lo voleva con lei.
Daphne sorrise. –Devi restare qui.
-Ho bisogno di starti vicino.
Si sistemò sotto le coperte accanto a lei, le baciò la fronte e poi le fece poggiare la testa sul suo cuore: batteva forte.
-Posso chiederti una cosa?
-Sì.
-Mi ami?
Sorrise di un sorriso dolce. –Sì.
-D-da quanto?
-Da sempre.- ricordò la meraviglia che aveva provato quando l’aveva vista per la prima volta: era bella e sorrideva.
Aveva i capelli sciolti che, per via del vento, ogni tanto gli accarezzavano il viso.
Ricordò che era una di quelle feste a cui odiava partecipare: gli adulti erano ingessati e truccati come se avessero dovuto fare una gara di ballo e loro, ancora bambini, erano costretti in quegli smoking più scomodi che belli.
Daphne aveva un vestito rosa pallido con le bretelle incrociate dietro le spalle.
Sembrava una bambola di porcellana e quel sorriso gli bloccò il battito cardiaco.
Non l’aveva più rivista, se non quando avevano cominciato a frequentare Hogwarts: era cresciuta un po’ ed aveva i capelli più lunghi.
Lei era cambiata, ma quello che gli trasmetteva no: Daphne aveva sorriso e Theo aveva perso qualche battito.
Theo ricordava tutto.
-Da sempre.- ripeté lei, distogliendolo dai ricordi.
-Sì.
-E’ bello?
-Cosa?
-Amarmi da sempre.
-No. E’ bello amarti adesso. Per sempre.
Lei rimase per qualche secondo in silenzio, poi cominciò ad accarezzargli il lobo dell’orecchio destro. –Per-perché non hai voluto baciarmi, quella volta, sulle scale?
Aveva torto: Theo avrebbe voluto baciarla e non lasciarle più le labbra.
Avrebbe voluto stringerla e forte e dirle che lui non aveva aspettato altro in tutti quegli anni; che essergli amico gli costava tanto, ma era comunque un modo per averla accanto e poterla abbracciare.
Avrebbe voluto dirle che non l’aveva baciata per paura: probabilmente quando lui avrebbe cominciato a crederci, lei si sarebbe tirata indietro.
Non voleva perderla per nessun motivo al mondo. Per questo non l’aveva baciata.
Per questo aveva passato i giorni consecutivi a darsi del coglione ogni volta che ripensava a quella scena.
Avrebbe voluto dirle tante cose. Troppe cose. –Credevo fossi arrabbiata.
-E perché avrei provato a baciarti?
-Per non sentirti inutile. Non sapevo cosa sarebbe successo dopo.
-Se l’avessi saputo?
Sentiva che tutto intorno stava diventando troppo pesante e no, non voleva sentire alcun peso quando era con lei. –Beh...Avrei fatto questo. - disse, solleticandole i fianchi.
La risata di Daphne riempì il dormitorio e lui si sentì felice.
Finalmente felice.
Quando si trovò a pochi centimetri dalle sue labbra, si permise di guardarla negli occhi.
-Davvero?- chiese lei.
-No. Avrei fatto questo.- le poggiò le mani dietro la nuca e cominciò a baciarla. Lentamente.
Sì, l’avrebbe baciata lentamente: Daphne era una bambola di porcellana, la sua bambola di porcellana, e l’avrebbe trattata delicatamente per non farla rompere. Non più.
Lentamente.
Poi sorrisero e lei capì che no, non voleva nessun altro nella sua vita.
Theo.
 
-Ciao, sono Theodore Nott.
-Daphne Greengrass.
 
 
 
 
 
Non aveva smesso un attimo di pensare a quello che le aveva detto Draco.
Nella sua testa riviveva quel momento e quelle parole come un replay infinito e con una lentezza assurda.
 
-Senti, Granger: nel tuo mondo esistono unicorni ed arcobaleni, va bene? Nel mio, invece, esistono giramenti di palle e dubbi.
-Cosa c’entrano gli unicorni?
-Tu pensi agli unicorni?
-Ma tu hai det...
-E a quello che provo io?
 
Sì, sì che ci pensava e provava costantemente ad entrare nei suoi pensieri e a provare a capire tutte le espressioni che lei ancora non conosceva.
Sì che ci pensava a quanto era difficile per lui accettare quello che erano diventati e comportarsi come una persona qualsiasi.
Draco non era una persona qualsiasi e lei lo sapeva: conosceva poco della sua vita, ma quel po’ era stata difficile e troppo pesante per un ragazzino che iniziava a vivere.
Strinse ancora una volta quella foto tagliata a metà e sentì le lacrime premere per uscire.
No. Non ora.
Si alzò dalla sedia e si guardò intorno: era in biblioteca.
Gli scaffali colmi di libri, l’odore di pergamena antica e la luce che entrava dalla finestra rendevano quel luogo meraviglioso.
L’unico posto in cui lei si sentiva libera; quello in cui si rifugiava quando stava male e tutto spariva.
Ora no, non spariva nulla: non il dolore, non la paura, non la sensazione di essere sbagliata.
Anzi, la sensazione di essere nel posto sbagliato.
Avrebbe voluto trascorrere quella domenica nella Stanza delle Necessità, insieme a lui.
E le mancava trascorrere quelle giornate che, nonostante fossero sempre uguali, non smettevano di stupirla.
Era lui che non smetteva di stupirla: quando credeva di conoscerlo, quando credeva che lui fosse un libro aperto, Draco cambiava. In meglio: un sorriso, una parola dolce, una carezza, una risata.
Quella risata che una volta aveva sentito in Sala Grande ed aveva creduto non sarebbe mai potuta essere per lei.
Lo era: era solo per lei.
Una volta, Draco le aveva raccontato che da bambino non rideva quasi mai: erano tutti seri e nessuno diceva qualcosa per farlo ridere.
Hermione aveva fatto una faccia buffa e aveva detto qualcosa con una voce ancor più buffa e lui era scoppiato a ridere.
 
-A vivere.
-Cosa?
-Io con te scoppio a vivere.
 
Quella volta l’aveva baciato forte ed erano quasi arrivati a spogliarsi. Poi qualcosa li aveva interrotti. 
I corridoi della biblioteca sembravano stringersi su di lei e i suoi polmoni chiedevano aria.
Come se fosse possibile, Hermione sentiva che l’aria che le mancava dentro potesse schiacciarla: ne sentiva il peso e ne immaginava la consistenza
Il pensiero che lei e Draco non avrebbero dovuto amarsi era dentro di lei da quando aveva cominciato ad amarlo, ma più ne parlavano e più lei lo amava.
Più avevano provato ad evitarsi, più era chiaro che si volevano.
Ma ora... quel silenzio.
Continuava a ripetersi che non era giusto: lei non aveva sbagliato, perché lui la mandava via?
Perché non la guardava più?
Non poteva essere finito tutto da un momento all’altro, questo no.
Allora perché?
Non riusciva a spiegarselo.
Poggiò la mano sulla maniglia della porta. Voleva andar via da lì.
Qualcuno ebbe la sua stessa idea e Hermione si trovò a massaggiarsi la fronte: le faceva male soprattutto lo spazio tra le sopracciglia.
Alzò lo sguardo e si trovò a guardare gli occhi di Draco.
Il tempo parve fermarsi o correre troppo velocemente, ma non aveva importanza: lui era lì, di fronte a lei.
Avrebbe potuto dirgli finalmente quello che la notte la teneva sveglia, avrebbe potuto fargli tutte le domande che le riempivano la mente, avrebbe potuto…
-Stronza.
Fissò i suoi occhi in quelli di Draco.
 
-Sei… carina, quando non parli. Così Hermione abbassò lo sguardo e se ne andò.
 
 
 
 
 
-Pansy?
-Mh?
-Ce l’hai ancora con me?
-Sì.
-Non volevo ferirti.
-Ah, no?
-No.
-Perché l’hai fatto?
-Era la cosa giusta da fare.
-La cosa giusta era farlo innamorare di me, non di… Hermione Granger.
-Non è come credi.
-E com’è?
-E’ quella giusta.
-Credi che m’importi?
-No.- Blaise tacque un attimo: aveva deciso di darsi un’altra possibilità, ma anche di cambiare atteggiamento. –Senti, che cazzo vuoi? Fai sesso con me quasi tutte le sere, poi vieni a dirmi che sei innamorata di Draco?
-Sei geloso?
-Non me ne frega un cazzo di te. Ma ecco qual è il punto. Ecco perché Draco non è innamorato di te.
Con la bocca spalancata e le mani strette a pugno, Pansy sentì la rabbia scorrerle nelle vene e assestò uno schiaffo in pieno viso all’amico. –Fottiti.
Blaise rimase col sorriso sulle labbra: sì, aveva fatto di nuovo la cosa giusta.
Non sapeva cosa fosse cambiato in lui, ma da un po’ di tempo si sentiva coraggioso- più Grifondoro che Serpeverde- e in dovere di fare sempre la cosa giusta.
Sapeva che il tempo gli avrebbe dato ragione su tutto: su Draco, su Hermione, su lui, su lei.
Perché quell’estate, Blaise non l’aveva cancellata dal cuore: aveva ben impresso nella mente il ricordo di quegli occhi e di quelle labbra e di quella notte che era diventato amore e lui aveva preferito lasciarla libera: non poteva raccontarle della sua vita, né i suoi segreti, né spiegarle cosa significasse il tatuaggio che aveva sul braccio.
 
-Questo tatuaggio è brutto.
-Lo so.
-Perché un teschio con un serpente?
-L’ho fatto perché ho perso una scommessa. Non ha nessun significato.
 
E, invece, il Marchio Oscuro, di significato ne aveva fin troppo e troppo triste.
Non poteva tenerle nascosto ciò che era, ma avrebbe potuto proteggerla.
Aria. Così si chiamava. Aria.
 
 
 
 
 
Bussava alla sua porta con insistenza, come se lo stessero seguendo e lui volesse salvarsi.
Ed era così: lo schifo che provava verso se stesso lo seguiva da quando l’aveva incontrata in biblioteca.
Non si era fermato ad offenderla come aveva fatto per tanti in anni in precedenza, eppure, con una sola parola, aveva visto il dolore prendere posto nei suoi occhi. 
 
-Non mi ferisci, Malfoy. E invece l’aveva fatto. Non di proposito, ma quasi… perché, intanto lui, continuava a sentirsi ferito e tradito.
Poco importava che non fosse successo niente, poco importava che lui le credeva.
Ma c’era qualcosa che gli impediva di ascoltarla, di guardarla mentre lei lo guardava.
E, in più, come se non bastasse tutto quello che aveva dentro, sentiva un vuoto pressante nel petto: col tempo aveva imparato a conoscere il battito del suo cuore e gli era piaciuto scoprire di essere vivo davvero.
Ora, però, quella compagnia non c’era più e lui non si sentiva più vivo. Non davvero.
Quando il vecchio Preside aprì la porta, si trovò di fronte due occhi grigi che, nonostante volessero apparire freddi, sapevano di supplica. –I-io… vorrei… ehm… il pensatoio, sì, guardarci dentro.
Silente lo osservò a lungo e in silenzio: Draco era impacciato, confuso. Inerme.
Si scostò dalla porta, facendogli segno con la mano di entrare e di accomodarsi. –Cosa c’è che non va?
-Io volevo… volevo soltanto…
-L’orgoglio ci rende forti, è vero, ma non felici.
-Non è questione di orgoglio.
-Allora cos’è?
-E’… è che…- il preside vide gli occhi di Draco scurirsi. -…è che, per Salasar, io sono un Serpeverde… non posso essere così… debole. Vede questo tatuaggio?- arrotolò la camicia fino al gomito mostrando il Marchio Nero.
-Lo conosco bene.
-Non è per sempre: non può essere cancellato, ma non sono più io.
-No, non lo è.
-Allora perché?
-Draco, ascoltami bene: siamo vincolati dalle nostre scelte, ma valiamo più dei nostri errori.- tacque per qualche istante, osservando ogni minimo movimento del ragazzo.
-Sì?
-Sì. Ora, vuoi ancora guardare nel pensatoio?
-Sì.
Silente puntò la bacchetta alla tempia di Draco, ne prese i ricordi e li chiuse in una boccetta.
-Sei sicuro di volerlo fare?
Draco guardò il vecchio Preside: sentiva le gambe tremare e la certezza di voler ricordare vacillava sempre di più dalla parte del non farlo.
In fondo, ricordava tutto perfettamente, perché avrebbe dovuto guardare nel Pensatoio? E se poi si fosse accorto di aver dimenticato qualcosa, anche un piccolo piccolissimo particolare, come si sarebbe sentito?
E se ricordando avrebbe provato di nuovo il dolore della distanza, dei silenzi forzati, della paura di ammettere che l’amava?
Scosse la testa. –No.
-Va bene. Va bene così. Anzi, è meglio così.
Ancora una volta, Draco si sentì il Serpeverde che era stato negli anni precedenti: infimo, calcolatore, viscido. Codardo.
Non gli piaceva, eppure lui era proprio così.
Per un po’ si era illuso di poter essere migliore, ma no: non avrebbe potuto migliorare se stesso.
Abbassò gli occhi sul Marchio disegnato sul suo avambraccio e ricordò quanto bruciasse, quanto facesse male quando il Signore Oscuro era deluso o arrabbiato.
In una parte del suo corpo provava lo stesso bruciore e lo stesso dolore.
Quando decise di tornare al suo Dormitorio si sentì quasi bloccato: le gambe sembravano essere pietrificate.
Si sforzò di camminare, provando soprattutto a liberare la mente: non c’erano domande, non c’erano risposte. Niente.
Non c’era niente. Solo il suo sguardo, quello che gli aveva rivolto in biblioteca.
Solo il suo sguardo e un immenso dolore.
 
-Non mi ferisci, Malfoy. Non l’hai mai fatto e mai lo farai.
 
 
 
 
 
Angolo Autrice:

Salve a tutte… mi dispiace per il ritardo, ma questo capitolo proprio non voleva venir giù: troppe idee che mi frullano in testa e, a volte, i pensieri sono molto più veloci delle dita.
Comunque, il capitolo è qui e spero che lo commentiate, perché per me è davvero importante.
Non per fare numero, che sia ben chiaro, ma per sapere se la storia vi sta piacendo e se vale la pena continuare a scrivere.
Non è facile farlo, soprattutto quando si hanno mille impegni: io amo scrivere e lo faccio di notte, perché durante la giornata non mi fermo un attimo.
Scrivo per me, ma scrivo anche per voi.
 
Detto questo, passiamo al capitolo: come avete potuto notare, ci sono un bel po’ di flashback.
Poche parole, gettate un po’ qui e un po’ lì, ma questo capitolo è davvero importante.
Sembra sia di stallo, un semplice capitolo di riempimento. Non è così, ma questo lo vedrete un po’ più in la.
Sembra anche che Silente si comporti in modo strano con Draco, vero? Troppo accondiscendente, vero?
Beh, Silente sa tutto, perciò conosce anche le risposte alle domande di Draco.
Spero davvero di potervi ringraziare.
 
A presto,
 
La vostra Exentia_dream

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Capitolo 4
*** Se si ascoltasse il cuore... ***


Se si ascoltasse il cuore…
 
 
 
–Credo che dovremmo parlarne.
-Di cosa?
-Di questi silenzi che ci stanno allontanando. Sta accadendo qualcosa e non ce ne stiamo rendendo conto.
-Non è nulla, Ginny.
 
Ginny la osservava: le ginocchia tirate al petto, lo sguardo vacuo e gli angoli della bocca tirati in giù.
Non li vedeva, certo, ma era sicura che fossero così.
Hermione non riusciva a piangere: certe cicatrici erano troppo profonde per essere riempite con le lacrime e lei lo sapeva.
Alzò il cuscino e tirò fuori una fotografia.
Era tagliata a metà. No, non tagliata. Era stata strappata.
Hermione la guardava con gli occhi lucidi e nessuna lacrima: avrebbe potuto riattaccarla con la magia e nessuno avrebbe mai notato quella rottura, ma lei sapeva perfettamente che c’era.
Avrebbe potuto riattaccarla con lo scotch- se fosse stata nel suo mondo, a casa sua, con i suoi genitori.
Anzi, nel suo modo non ci sarebbe stata nessuna foto da riparare perché non ci sarebbe mai stata nessuna immagine che li avrebbe ritratti insieme.
Nel suo mondo, a casa sua e con i suoi genitori, non ci sarebbe stato Draco.
 
-Cos’è Herm?
-Cosa?
-Tutto questo: gli occhi lucidi, il corpo che trema.
-Sarà un po’ di influenza.
-Speri che ci creda, vero?
-Anche tu hai gli occhi lucidi, gonfi e stai tremando.
-La mia è influenza.
-Certo, una febbre d’amore per Harry Potter.
-E la tua per chi è?
-Ho paura di scoprirlo.
-Non ci sarebbe niente di male.

-Non sono innamorata di lui, Ginny.
-Sei stata in silenzio per tanto tempo, sai?
-Davvero?
-Sì, davvero.
 
Ginny ricordava perfettamente i momenti di tristezza di Hermione, quelli che erano seguiti al suo esilio con Draco, ma quella che aveva di fronte non era la sua amica triste.
Era di più: triste e innamorata.
Ora Ginny ed anche Hermione avevano la consapevolezza di quello che mesi prima era solo un’incertezza: Hermione amava Draco.
E lo amava molto più di quanto lei stessa avesse potuto credere.
Con la foto ancora stretta tra le mani, la riccia si avvicinò alla finestra e puntò gli occhi in quelli dell’amica. -Non l’ho baciato. Non ho mai voluto farlo.
-Lo so.
-Lui no. Non so… non lo sa e non mi crede e non mi lascia il tempo di parlargli.
-Troppi “non” in questa frase.
-Sì.
-Herm, si sistemerà tutto. Fidati di me.
-Non ce la faccio.
-A fidarti di me?
-A stare così.- non era piacevole e faceva male: vivere nel dubbio era una cosa, ma vivere con la consapevolezza di amarsi tanto e non sapersi tenere era davvero doloroso. Ed inutile.
Sembrava anche inutile sprecare tanto amore, riversarlo sulle pareti di una stanza o nel letto di qualcun’altra.
Al solo pensiero, Hermione sentì lo stomaco stringersi fino allo spasmo.
Appoggiò la testa sulle ginocchia di Ginny e pianse tutte le lacrime che aveva trattenuto in quei giorni e in quelle notti.
-Shh. Andrà tutto bene. Tutto.
 
 
 
 
 
Harry Potter continuava ad allenarsi senza sosta.
Avanti e indietro e poi a destra e sinistra: il boccino continuava a sfuggirli dalle mani e i capelli gli si incollavano alla fronte.
Faceva freddo, ma l’allenamento lo faceva sudare. La schiena, la fronte, le mani.
Soprattutto le mani.
Quella, per lui, era una partita importante. Era sempre stata una partita importante, perché in quei minuti di gioco e di corse interminabili, si rivelava sempre la verità della vita: vinceva il coraggio o la codardia?
Beh, c’erano state anche partite vinte dai Serpeverde, ma questa volta i Grifondoro e il loro coraggio avrebbero vinto.
Allungò la mano quando gli sembrò che il boccino si stesse arrendendo.
Lo perse di nuovo e allora si arrese lui.
Scese sul terreno bagnato e diede un pugno poco distante dai suoi piedi, in una piccola pozzanghera piena d’acqua e il fango gli sporcò il viso e gli occhiali.
Maledetta pioggia.
 
 
 
 
 
La sua mente continuava a pensare a lei, a quello che si diceva in giro: non poteva evitare di farlo, non riusciva a non sentire le parole degli altri studenti che gli rimbombavano nelle orecchie e gli colpivano il cuore.
Era quasi il tramonto e le ore che si rincorrevano erano diventate un peso quasi insostenibile: le parole erano sempre le stesse, le espressioni sul viso degli altri erano sempre uguali, i suoi pensieri e tutto il resto non cambiavano mai.
Hermione, Hermione. Hermione e Dean. L’immagine di quei due che si baciavano attaccata agli occhi.
Forse stava impazzendo.
Lo sapeva. Lo sapeva dal primo momento che lei lo avrebbe condotto in qualche brutto posto, uno di quelli bui, che fanno paura… ed ora ci era dentro con tutte le scarpe.
La pazzia, il voler essere masochista e camminare comunque tra i corridoi e cercare di catturare qualsiasi strascico di conversazione che riguardasse Hermione, erano diventate sue abitudini.
Ogni giorno, ogni volta che ne aveva la possibilità.
Era pazzo. Nessun dubbio.
 
–Non lo so… io mi sento come se il tempo fosse finito.
-Magari, Mezzosangue.
-…come se fossi l’ultimo granello di sabbia in una clessidra…
 
E il tempo era finito. Il tempo dell’esilio, dei baci dati di nascosto, delle mani strette davanti a tutta la scuola, degli sguardi stupiti.
Ora, l’esilio e i baci e le mani strette erano solo un ricordo.
Quello che rimaneva erano gli sguardi: pietosi, beffardi, cattivi.
Qualcuno sembrava aver scritto negli occhi: “Sapevo che sarebbe andata a finire così.”.
Sì, era finita così e lui era impazzito.
E, se solo avesse avuto un piccolo dubbio sulla sua pazzia, aveva trovato la certezza quando aveva cominciato a scrivere un biglietto e lo aveva riposto nella tasca della divisa.
Avrebbe aspettato l’alba.
Forse, avrebbe dovuto sfogare la rabbia, accontentarsi di un’illusione piuttosto che chiedere amore come aveva supplicato la pietà di Lord Voldemort.
Sentiva gli occhi pungere, eppure non riusciva a piangere: non sapeva se per orgoglio o perché non avrebbe saputo farlo.
Passò una mano sul viso per mandare via quella sensazione di debolezza, poi uscì dalla sua camera da Prefetto.
Aveva la ronda quella notte, si sarebbe tenuto occupato rompendo i coglioni a qualche studente che non voleva rispettare le regole.
Fanculo, fottuto castoro.
E nella mente ancora lei.
Strinse più forte la pergamena su cui aveva scritto qualche minuto prima. Più la stringeva, più sentiva quelle briciole di coraggio diventare più piccole.
Draco non era un Grifondoro. Era un Serpeverde e le serpi erano codarde: non poteva rinnegare la sua natura, non poteva far finta di non aver paura.
Una fottuta paura che gli attanagliava tutti i nervi: spesso non si sentiva in grado di farcela.
Ma ce l’avrebbe fatta, lo sapeva. Ce l’avrebbe fatta come sempre.
 
-Non te ne andare.
 
L’amava. Lo aveva capito dalla prima volta che lei si era allontanata, quella sera che era scappata dalla Stanza delle Necessità.
Intanto, il tempo era passato ed era sera. Era cominciato il suo turno di ronda.
I dubbi continuavano a corrodergli le pareti del cervello.
Si sentiva quasi avvilito da quello sconforto, da quella volubilità.
Si sentiva stanco: a cosa sarebbe servito crogiolarsi tanto? Rimandare a data da stabilire quella fine che sarebbe arrivata comunque, per un motivo o per un altro?
Aveva capito, nei giorni in cui era stato lontano da lei, che il destino non poteva essere cambiato: il suo era stato deciso da quando era un bambino o, forse, già da prima che nascesse.
Quindi, che senso aveva lottare per una cosa non era nel suo destino?
Affrettò il passo e si diresse verso la Guferia. Le mani strette sulla pergamena, su quelle parole scritte.
E su quelle che aveva in testa e che presto, molto presto, gli sarebbero uscite dalla bocca.
E’ finita.
Non voleva perderla, eppure aveva deciso che lo avrebbe fatto: per paura o per altro.
Lei non era per lui. O forse era lui a non essere per lei.
Cos’era, poi, lui per lei?
E cos’erano l’uno per l’altra? Come avevano potuto credere di essere più forti di tutto? Lei che combatteva senza sosta, lui che non faceva altro che tirarsi indietro.
Non lo sapeva, forse non avrebbe voluto saperlo… O sì.
Legò la pergamena alla zampa del gufo e lo spedì.
L’appuntamento sarebbe stato per l’alba: il giorno sarebbe cominciato e la loro storia sarebbe finita.
 
-Buonanotte, Draco.
-Buonanotte, Hermione.
 
 
 
Ron giocherellava con una matita, picchiettandola sul suo ginocchio: quella sera sarebbe rimasto da solo.
Non aveva detto a Lisa il perché di quel suo isolamento. Aveva inventato una scusa: non poteva dirle che, per quanto sembrassero sempre uguali, le cose tra di loro stavano cambiando.
Lui si ritrovava a pensarla più spesso durante la giornata, a fare di tutto per incontrarla e fingere che fosse un caso, infilarsi in una delle aule vuote e fare l’amore.
Fare l’amore. Non fare sesso.
Ecco cos’era cambiato: si erano promessi una storia senza impegno, senza sentimenti… invece lui stava cominciando a provarli.
Hermione era quasi uscita totalmente dalla sua mente e dal suo cuore. Certo, esultava ancora al pensiero che tra lei e Malfoy fosse finito tutto per una cosa da niente: quella storia non avrebbe dovuto nemmeno cominciare e, anzi, a parer suo, era anche durata troppo.
Durante le vacanze di Natale alla Tana, Ron aveva ripensato ai momenti che aveva condiviso con Harry e Hermione.
Con un po’ di malinconia, ma anche con la rassegnazione che quel tempo non sarebbe tornato.
E, proprio nella sua vecchia camera, aveva deciso di andare avanti con la sua vita, di lasciar perdere il passato e tenerlo da parte.
Si sentiva un po’ più adulto e responsabile, anche se non rimpiangeva quello che aveva fatto e lo avrebbe rifatto ugualmente. Almeno, però, ora non aveva più voglia di essere qualcun altro.
Lui era Ron ed era fatto in quel modo e gli andava bene.
Andava bene anche a Lisa che non faceva domande, non faceva problemi, non si intrufolava nei suoi silenzi.
Gli riempiva le serate di sospiri e di piccole smancerie che a lui piacevano e non poco.
Con lei sarebbe stato tutto facile.
La matita che picchiettava sul ginocchio, il sorriso sulle labbra, la consapevolezza nelle vene.
Stava bene. Stava finalmente bene.
E poco importava se aveva perso le amicizie di sempre: ne aveva una nuova che riusciva a completarlo, che si plasmava a lui.
Ron era felice di non dover più cambiare per gli altri, di non essere più lo stupido in una coppia di intelligenti, di non stare più dietro quando i corridoi erano stretti.
Insomma, viveva per essere se stesso e si sentiva forte, tanto da sentire pulsare nel cuore il coraggio di parlare con Lisa. Di dirle che aveva infranto la loro promessa, che per quanto avrebbe voluto continuare ad evitarlo, alla fine, si stava innamorando di lei.
Forse, a frenarlo ancora, era la paura della reazione di Lisa: e se lo avesse respinto?
Come si sarebbe sentito se per lei non fosse stato lo stesso?
Non voleva pensarci ancora: voleva solo godersi quella sensazione di benessere che non gli faceva visita da un bel po’.
Nei mesi precedenti si era sentito come se il marciume gli avesse invaso ogni cellula del corpo, ogni soffio d’aria nei polmoni, ogni pensiero nella mente. Ed era stato difficile uscire da quello stato fino a quando non aveva chiuso il passato in una scatola e Lisa non aveva aperto le gambe per accogliere quello di cui, ora, lo rendeva più fiero di tutto: se stesso.
 
 
-Ron…
-Sì?
-Non fermarti, ti prego.
 
 
 
 
 
Quello era davvero troppo: per quanto gli volesse bene, Blaise non aveva mai sopportato l’arroganza di Draco.
Come poteva solo pensare che- di domenica, tra l’altro- si sarebbe svegliato alle sei per parlare con lui? Avrebbero potuto parlare durante la ronda o la mattina, magari verso ora di pranzo, se non dopo.
Eppure, sulla pergamena c’era scritto che era una questione di vita o di morte.
Blaise guardò l’orologio che aveva al polso e contò mentalmente che sarebbero mancate quattro ore all’appuntamento con l’amico, perciò si rigirò nel letto e provò a dormire.
Chiuse gli occhi e si concentrò sul battito del suo cuore.
Tum tum.
Era così lento e presente allo stesso tempo.
Ripensò a quante volte sul suo petto si era poggiata Pansy o qualche altra con cui aveva fatto sesso e mai nessuna si era mai accorta del battito del suo cuore.
E ripensò a quella volta in cui lei lo aveva fatto, aveva ascoltato quel tum tum e aveva sorriso.
Aria sorrideva sempre e per questo Blaise l’aveva amata: osservava, ascoltava e sorrideva.
Gli mancava come l’acqua nel deserto, ma le miglia che li dividevano e il fatto che lei non sapesse chi davvero avesse accanto erano difficoltà insormontabili: mentire a chi si ama non era un gioco e lui non voleva farlo, perciò l’aveva lasciata andare via.
Quell’unica notte e poi addio. Per amore, non per altro.
Al quel pensiero si sostituirono le parole che Draco aveva scritto sulla pergamena e l’agitazione prese il posto della volontà di dormire, continuava a rigirarsi nel letto.
Sapeva che Draco non era in un bel momento e avrebbe voluto aiutarlo, ma lui non faceva altro che respingerlo e mandarlo a farsi fottere.
Non ci riusciva: era troppo curioso e doveva sapere- ad ogni costo e il prima possibile- di cosa doveva parlargli Draco.
Si rivestì, poggiando il pigiama sul letto e mise il mantello sulle spalle: di notte, i corridoi della scuola erano gelidi.
Uscì senza fare rumore e si diresse verso la Guferia. Probabilmente, Draco era ancora lì: il gufo gli era arrivato poco prima, bussando alla finestra con il becco. Lo aveva spaventato.
No, qui non c’è.
Allora tornò indietro. Non sapeva dove cercarlo: Hogwarts era immensa e non sarebbero bastate quattro ore per visitarla tutta.
Draco gli aveva detto che lo avrebbe aspettato nella Stanza delle Necessità e Blaise decise che sarebbe andato lì.
Si avviò verso il settimo piano. Guardava i quadri, le torce, le scale.
Cos’avrebbe pensato Aria di tutto questo? Del suo mondo? Di quello che lui era in realtà?
 
-Mi piace il battito del tuo cuore.
-E’ un battito normale.
-No, è un battito dolce.
 
In una di quelle notti in cui aveva sentito la sua mancanza, Blaise aveva lasciato la Sala Grande ed era uscito a guardare la luna e l’immagine di lei avvolta nelle lenzuola gli si era disegnata vivida davanti agli occhi.
Non poteva dimenticarla, non ci riusciva e, forse, non voleva farlo: lei era stata quanto di più giusto e buono avesse mai vissuto e no, non voleva dimenticarla.
Forse, se si fossero rincontrati, le avrebbe detto la verità. Le avrebbe spiegato che lui era un mago- non uno di quelli che tirano conigli dai cilindri o che trasformano dei fazzoletti in mazzi di fiori.
Le avrebbe raccontato del Marchio Nero, della Guerra Magica, di Hogwarts, del Quidditch e della Foresta Proibita.
Forse. Se si fossero rincontrati.
Camminò avanti e indietro per tre volte, poi comparve la porta della Stanza delle Necessità: sembrava la Sala Comune di Serpeverde.
Blaise non aveva molto fantasia e, in ogni caso, si era prefissato di pensare a qualcosa di familiare: non avrebbe voluto vedere l’espressione di Draco nel caso si fosse trovato di fronte un letto matrimoniale con le lenzuola di seta e un bel balcone fiorito. No, proprio no.
Aveva fatto bene a mettere da parte i ricordi e pensare ad altro.
Si sedette sul divano, vicino al camino acceso, e si mise ad aspettare: mancava solo mezz’ora alle sei del mattino.
Gli occhi verso la finestra, intenti a guardare il cielo, le mani poggiate sulla pancia, la mente affollata da mille ricordi, domande e ipotesi.
E, in parte, si stava preparando alla conversazione con Draco: non sapeva mai come cominciava né come andava a finire e questo un po’ lo spaventava: per quanto Serpeverde, Blaise odiava dare ragione a chi aveva torto e odiava il fatto che, spesso, quella ragione veniva pretesa. E Draco, sì, sarebbe stato capace di farlo.
Sentì la porta aprirsi e si girò a guardare l’amico che poggiava il mantello sul divano.
-Ti pare l’ora di chiedere un appuntamento?
-Non è un appuntamento.
-Questo lo so, vostra grazia.
-Ho bisogno del tuo aiuto.
-Di co-cosa?
-Hai capito bene.
-E per quale motivo?
-E’ colpa tua se è iniziata la storia con Hermione.
-Colpa? Un mese fa hai detto che era stato merito mio.
-Merito o colpa, non importa. Devi fare qualcosa.
-Non c’è nulla che posso fare.
-Oh sì, invece.- Blaise guardò Draco con l’espressione di chi sta per sentire cose che non vorrebbe. –Mi hai rinchiuso in quel dormitorio con lei e lì ho capito che mi piaceva la Mezzosangue…
-Non dovresti chiamarla così.
-La chiamo come mi pare, Zabini.
-D’accordo… e allora?
-Fallo di nuovo. Con un’altra.
-Ma sei impazzito?
-Non la voglio più nella mia vita: deve uscire dalla mia testa.
-Parli sul serio?
-Hai intenzione di fare altre domande? Ti ho detto cosa devi fare, quindi fallo ed in silenzio.
-Non pensarci proprio. Tu… tu non puoi credere a quello che si dice. Hermione e Dean non si sono baciati e lui non l’ha toccata. Ci ha provato, è vero. Lei non te ne ha parlato subito, è vero anche questo… ma se la ami non puoi mandare a puttane quello che avete costruito finora.- Blaise sapeva che la cosa giusta da fare era sempre quella di ascoltare il cuore: ci si poteva far male, si poteva cadere, ma i panorami che si guardavano da quella prospettiva erano sempre i migliori.
E non importava quanta fatica costasse, non importava quanto coraggio servisse per avventurarsi tanto oltre: ne valeva sempre la pena.
Continuava a guardare Draco- gli occhi sul fuoco acceso nel camino, la sigaretta stretta tra le mani- e aspettava.
Aspettava una risposta, aspettava che lui gli desse ragione. Aspettava e riceveva in cambio solo silenzio.
Dieci lunghi minuti di silenzio in cui Blaise non smise mai di guardarlo.
-Non ho mai detto di amarla.
-No. Ma non servono le parole per capirlo.
-Stammi a sentire: ora tu rifai l’incantesimo che hai fatto quando mi hai rinchiuso lì dentro con Hermione, poi sparisci.
-No. Io non ti faccio un bel niente.
-Rifai l’incantesimo.
-No.
-Te lo ripeto per l’ultima volta: rifai l’incantesimo.
-Puoi ripeterlo quante volte vuoi, Draco. Io non rifaccio un bel niente: hai un problema con Dean? O con Hermione? Risolvilo.
-Ho un problema con te e non ho paura di schiantarti.
-Non ne ho paura nemmeno io.- Non era vero: ci teneva alla sua pelle e il suo spirito di sopravvivenza non era di certo andato in viaggio, ma non voleva vedere l’amico che veniva divorato dai dubbi a causa di quello che dicevano gli altri alunni.
Blaise li aveva visti: aveva visto che Hermione non aveva baciato Dean, che gli aveva dato uno schiaffo.
E aveva sentito. Sto con Draco. Non è giusto che tu st… E’ giusto per me.
No, non avrebbe fatto quello che gli chiedeva Draco.
-Zabini, sbrig…
-NO. Ma ti rendi conto di quello che dici? Cosa credi di poter fare stando chiuso in una stanza con un’altra? Credi che t’innamorerai? Credi che dimenticherai Hermione? Beh, ti do una notizia: non succederà. Non dimenticherai niente e l’amerai comunque. Qualsiasi altra persona, anche più bella, non sarà mai lei: non avrà i suoi occhi, la sua bocca, le sue mani e tu continuerai a cercare tutto quello che ti ricorda lei e ti mancherà da fare schifo.
-MI MANCA GIA’ DA FARE SCHIFO. Tu non sai un cazzo dell’amore: non sai cosa significa girarsi nel letto e non trovarla, non sai cos’è quel vuoto allo stomaco quando ti accorgi che lei non c’è e, poi, quella leggerezza quando la vedi, anche solo per caso.
-E tu che ne sai? Che ne sai di quello che so io dell’amore? Te lo ripeto: non farò nulla di quello che mi hai chiesto. Non voglio vederti toccare il fondo.
Si guardavano negli occhi: Blaise con il respiro corto e Draco con lo sguardo gelido e impassibile.
Sentirono entrambi l’incrinarsi di un qualcosa che era da sempre stato fragile, come un calice di vetro, quello da cui bevevano il vino durante le loro cene in famiglia.
E un po’ se l’aspettavano: la loro, era sempre stata un’amicizia in bilico sul filo del rasoio: una parola in più o una in meno avrebbe potuto mandare all’aria tutto.
Blaise cercò di ammorbidire lo sguardo, ma Draco continuava a presentargli il freddo dei suoi occhi -L’ho già toccato il fondo.
 
 
 
 
Angolo Autrice:
 
Eccomi qui, dopo mesi.
Perdonatemi l’immenso ritardo: non vi dirò che ho avuto problemi con il pc o con la connessione…
Ho semplicemente passato un momento di merda che sembrava essere infinito e- per quanto ci provassi- il capitolo proprio non voleva venir giù: ho scritto, cancellato, riscritto e ricancellato.
Non ho riletto quello che ho scritto ora, per non trovarmi di nuovo con il foglio bianco.
Scrivere è l’unica cosa che mi faccia sentire bene e, quando non riesco a farlo, penso sempre di dover chiudere i battenti e lasciarvi in pace.
Detto questo… mi rendo conto che non è un capitolo corposo, ma vorrei comunque spendere qualche parolina a riguardo:
-Hermione e Ginny si sostengono, si aiutano, provano a parlarne con toni calmi; Draco e Blaise, invece, per la prima volta si danno contro, si confrontano: questo è uno dei momenti bui della loro amicizia… 
-La situazione tra Hermione e Draco continuerà ad essere complicata ancora per un po’: diciamo che è la storia che lo richiede: non può mica essere rose e fiori tra questi due?
-Ron è uno dei personaggi che più ho odiato nella storia precedente e- per quanto io ami illimitatamente Draco- credo di dover un po’ di buono anche a Ron: ha un cuore anche lui e ha fatto tanti errori perché credeva di essere innamorato. O forse lo era davvero. Su questo punto restiamo un po’ tutti in dubbio, ma, in ogni caso, ora si sta innamorando di Lisa.
E si sta innamorando di lei per tutte le persone che amano questo personaggio (parlo sempre di Ron) e non è giusto che io lo renda tanto odioso.
 
Ora, spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero di non avervi annoiato troppo con le mie chiacchiere.
 
A presto, stavolta davvero.
 
La vostra Exentia_dream

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