Taking over me di Rowan936 (/viewuser.php?uid=245278)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You don’t remember me… ***
Capitolo 2: *** ...but I remember you ***
Capitolo 3: *** I believe in you [Epilogo] ***
Capitolo 1 *** You don’t remember me… ***
Angolo autrice
Io
sottoscritta me medesima non ho idea di quale sia l’origine
di questa cosa qua
sotto. O meglio, so che ha qualcosa a che fare con la canzone
“Taking over me” degli
Evanescence (che
trovate nel titolo, nei titoli dei capitoli e anche nelle citazioni a
inizio
capitolo) ma non è ben chiaro quando e come io sia finita a
scriverla. Comunque,
andiamo avanti. Niente da fare, io e l’angst andiamo a
braccetto come Vegeta e
Gohan (?). Siamo inseparabili, anche quando tento di scrivere qualcosa
di
allegro (sì, perché a volte parto con delle buone
intenzioni) finisco nelle
catastrofi/sofferenze-varie. La storia qua sotto non è da
collocare in una
particolare serie, diciamo che la storia tra Vegeta e Gohan
è stata più o meno
quella descritta nel riassunto che trovate QUI,
e se vogliamo forse c’è un accenno a QUESTA
piccola OS, ma di fatto penso sia leggibile da sola. Non credo di avere
altro
da aggiungere, ringrazio chiunque abbia l’ardire di leggere
questa mia ennesima
Vegehan, come sempre chiunque abbia consigli da darmi per aiutarmi a
migliorare
è ben accetto :)
Disclaimer
» Dragon Ball © Akira Toriyama.
______________________________________________
You
don’t
remember me…
I lie awake
and try so hard not to think of you
But who can decide what they dream?
«
Vegeta, so che non dev’essere
facile, lo
capisco. »
No,
lei non capiva proprio niente.
Imprecò
tra i denti, lanciando occhiatacce al telefono da cui proveniva il
messaggio
lasciato da Bulma, quasi la sua rabbia fosse stata sufficiente a farlo
saltare
in aria.
Avrebbe
potuto distruggere l’apparecchio con poco più che
il movimento di un dito, ma
non lo fece, continuando a giacere a terra simile in tutto e per tutto
a un
corpo morto, fatta eccezione per il fatto che stesse respirando e che
il volto
fosse contratto in una smorfia rabbiosa – finta, tutto
ciò che provava era
vuoto.
«
Non ti chiedo di accettare la cosa con
ottimismo, so che non ci riusciresti mai, solo… Siete stati
insieme per tanto
tempo… »
Anni
della sua esistenza buttati all’aria, svaniti in una nube di
fumo per colpa di
un singolo errore di calcolo.
Se
solo non avesse tardato di un istante a colpire il loro avversario, se
solo non
avesse avuto quell’unico momento di esitazione dovuto alla
paura di sbagliare e
colpire la scienziata stretta nella morsa del mostro, questi non
avrebbe potuto
attaccare, non avrebbe potuto colpire Gohan.
Esitare
per una misera terrestre: un errore imperdonabile che aveva pagato caro.
«
Non puoi abbandonarlo proprio ora.
»
E
se gli fosse rimasto accanto, così come Bulma gli stava
dicendo di fare, a chi
avrebbe giovato?
Non
a Gohan, poiché lui non era certo mai stato portato per il
supporto. Non a lui,
poiché convivere con quella sua condizione non avrebbe fatto
altro che
distruggerlo dentro. A che scopo, dunque, avrebbe dovuto tentare?
«
Non si ricorda di te, è vero, non
si
ricorda di nessuno di noi, ma non è sparendo dalla sua vita
che cambierai le
cose. »
Invece
sparendo avrebbe cambiato qualcosa.
Avrebbe
rimediato a un errore che si era protratto troppo a lungo. Avrebbe
permesso al
ragazzo di vivere tranquillamente accanto a qualcuno di diverso e
avrebbe
permesso a se stesso di allontanarsi da tutti quei sentimenti che lo
stavano
rovinando – era colpa di quelle maledette emozioni se aveva
esitato, con fatali
conseguenze.
Tutte
scuse, riconobbe una parte di lui.
Era
semplicemente troppo doloroso convivere con quella situazione,
affrontare la
consapevolezza di essere poco più che un estraneo per lui.
«
Non voglio obbligarti a fare nulla,
vorrei solo che tu ci pensassi… E mi piacerebbe che mi dessi
retta, alla fine.
»
Era
rimasto accanto a Gohan finché non era tornato cosciente,
vegliando il suo
sonno e uscendo dalla finestra ogni volta che qualcuno metteva piede
nella
stanza, premurandosi di mantenere l’aura azzerata e di spiare
all’interno della
camera con discrezione, per poi tornare dentro una volta che fossero
rimasti
solo lui e il ragazzo.
Quando
Gohan aveva finalmente aperto gli occhi, mancava mezz’ora
all’orario di visita
e Vegeta aveva sussultato di sorpresa, non riuscendo poi a trattenere
un mesto
sorriso. Questo, fino a quando non aveva visto il vuoto negli occhi del
ragazzo.
“Dove
sono?” aveva farfugliato questi, con voce roca e impastata.
“Chi sei?”
Non
aveva detto nulla, Vegeta, gli aveva semplicemente voltato le spalle ed
era
uscito – scappato – dalla finestra.
«
Forza, non arrenderti, che fine ha fatto
il Principe dei Saiyan? »
Sorrise
amaramente.
«
Saiyan… » sussurrò, con una mezza
risata fuori posto. « Non sono degno di
questa razza, non più… »
Era
fuggito, alla stregua dei codardi che tanto disprezzava, non era stato
in grado
di sostenere quegli occhi – così vuoti, privi dei
sentimenti che ormai era
abituato a scorgervi – per più di qualche istante.
“Chi
sei?”
«
Chiamami, se ti serve qualcosa.
Ciao…
»
Accolse
il bip che segnava la fine del messaggio come una liberazione: non
voleva
ascoltare nessuno, non voleva pietà o consigli, tutto
ciò di cui aveva bisogno
era togliersi la voce di Gohan dalla testa.
“Chi
sei?”
*
*
*
Lo
fissò con sguardo gelido, non accennando alcun movimento che
potesse far intendere
che avesse alcuna intenzione di farlo entrare.
Gohan
lo guardava sorridendo sulla soglia di casa sua – loro
– e a qualcun altro
sarebbe parso quello di sempre, ma quegli occhi erano ancora troppo
vuoti
perché Vegeta potesse anche solo illudersi che fosse
così.
Era
passato poco più di un mese dal risveglio del ragazzo, tempo
che il principe
aveva trascorso chiuso nella Gravity Room, ricevendo la visita del
figlio o di
Bulma talvolta. Si era impedito di andare anche solo a controllare come
stesse
Gohan, deciso a dimenticarsi tutto ciò che era accaduto tra
loro.
Poi
se lo ritrovava lì, in procinto di bussare
nell’esatto momento in cui lui stava
per uscire senza preoccuparsi di controllare che non ci fossero aure
altrui
nelle vicinanze.
“Buongiorno,
tu sei Vegeta, vero?” aveva detto il ragazzo, sorridendo
cordialmente.
Non
gli aveva ancora risposto.
«
Ehm… Ehi? » lo richiamò Gohan, con una
punta d’imbarazzo.
Il
principe si riscosse, assunse un cipiglio severo e sibilò, a
denti stretti: «
Che cosa vuoi? »
Il
ragazzo parve spiazzato da quell’ostilità,
dettaglio che contribuì solo a
innervosire ulteriormente Vegeta – mai Gohan si stupiva o
lamentava delle sue
ostilità, semplicemente vi era abituato e aveva capito come
scavalcare quel
muro di rabbia.
«
Io… Mi dispiace se ti ho disturbato, mi hanno raccontato che
noi… Ecco… » Un
lieve rossore colorò le guance del ragazzo, che
ridacchiò nervosamente. «
Pensavo che avresti potuto aiutarmi a ricordare
qualcos’altro… »
Non
gli aveva chiesto come mai non si fosse fatto vedere per tutto quel
tempo, come
mai dal momento che glielo avevano presentato come “il suo
fidanzato” non si
fosse neppure degnato di unirsi a quel gruppo di gente che sicuramente
aveva
già tentato di aiutarlo a ricordare quanto più
possibile.
Non
glielo aveva chiesto, e Vegeta per un istante accarezzò
l’idea di urlargli di
sparire, perché non gl’importava nulla di lui e
non voleva avere a che fare con
tutta quella storia della memoria perduta, tuttavia si
limitò a uno sguardo
gelido – falso, ma il ragazzo probabilmente non se ne sarebbe
accorto, in
quelle condizioni – e a uscire di casa, chiudendosi la porta
alle spalle e
dirigendosi verso la Gravity Room con solo un “Devo
allenarmi” come congedo.
“Chi
sei?”
*
*
*
Era
ormai sera quando si decise a interrompere il proprio allenamento.
Aveva
distrutto quasi tutti i robot a sua disposizione, poiché non
era riuscito a
controllare la propria furia ogni volta che il sorriso allegro di Gohan
aveva
fatto capolino nella sua mente, accompagnato da quegli occhi che una
stupidissima perdita di memoria aveva cambiato tanto.
Spense
il pannello che regolava la gravità, sentendosi stanco ma
non essendo riuscito
a scaricare del tutto i nervi. Forse, avrebbe dovuto mangiare qualcosa
e
allenarsi ancora.
Quando
viveva ancora con Gohan, dopo cena si sedevano sul divano con la
televisione
accesa, anche se spesso il ragazzo dedicava la propria attenzione a un
libro, e
se mai il principe avesse avuto un pensiero del genere, avrebbe dovuto
affrontare un improvvisato e giocoso corpo a corpo con il suo
fidanzato,
finendo per dimenticare completamente l’allenamento.
Ora
non riusciva a stare fermo su quel divano senza provare
l’impulso di mettere la
casa sotto sopra. E allora tornava nella Gravity Room.
Quando
varcò la soglia della sua palestra personale, non si sarebbe
aspettato di
ritrovarsi ancora a faccia a faccia con Gohan e una parte di lui non
poté fare
a meno di rallegrarsi del fatto che, malgrado tutto, la testardaggine
del
ragazzo fosse ancora lì, intatta.
«
Che cosa ci fai ancora qui? » ringhiò,
maleducatamente, constatando che il
moccioso avesse azzerato l’aura, per evitare che si
accorgesse della sua
presenza e rimanesse chiuso nella Gravity Room. Lo aveva raggirato,
maledizione
a lui.
«
Hai detto che dovevi allenarti. » gli rispose Gohan,
semplicemente. « Non mi
hai detto di andare via. »
In
un’altra circostanza, avrebbe ghignato di fronte alla sua
furbizia. Ma in quel
momento, riuscì solo a fulminarlo con lo sguardo.
«
Te lo dico ora: vattene. »
Fece
per superarlo, ma Gohan lo afferrò per un braccio allo scopo
di trattenerlo –
per un istante, parve che tutto fosse tornato come prima,
poiché quel contatto
parlava di confidenza, era il tipico gesto usato quando voleva
impedirgli di
scappare da lui – e il principe gli lanciò uno
sguardo obliquo.
«
Aspetta, non andare. » gli disse il ragazzo «
Voglio solo… Parlare. Voglio
ricordare la mia vita. La nostra, magari. »
Vegeta
provò a mantenere una facciata d’astio,
provò a mandarlo nuovamente via, ma
tutto ciò che riuscì a fare fu scrollarsi il suo
braccio di dosso e dirigersi
verso la casa a passo moderato. Normalmente, Gohan lo avrebbe
correttamente
interpretato come un gesto di resa, un invito a seguirlo, ma il ragazzo
che
aveva davanti non ricordava come leggere la sua mente, dunque rimase a
fissare
la sua schiena che si allontanava, immobile.
E
allora il principe, quasi senza pensarci, nel momento in cui avrebbe
dovuto
chiudersi la porta alle spalle la lasciò socchiusa, in un
invito più esplicito
– non sarebbe stato necessario, solo qualche mese fa.
“Chi
sei?”
*
*
*
«
Non c’era altro in casa. » annunciò
Vegeta, dopo aver preparato del riso e
averlo servito al ragazzo che, guardandosi attorno con avida
curiosità, sedeva
a tavola.
Era
tutto così giusto e al tempo stesso terribilmente sbagliato:
Gohan era lì, a
mangiare con lui come ormai era abitudine, ma solitamente non solo
sarebbe
stato lui a cucinare, salvo qualche eccezione, ma non si sarebbe seduto
lì, di
fianco al posto di Vegeta, bensì di fronte –
“Perché rendeva più facile
parlare” diceva, il suo moccioso amante delle chiacchiere.
«
Andrà benissimo, non preoccuparti. Grazie. » disse
gentilmente il ragazzo,
accettando il piatto con un sorriso.
Il
principe non gli rispose nemmeno, in parte grato che Gohan non si fosse
seduto
di fronte a lui, poiché non era così obbligato a
guardarlo in viso tutto il
tempo.
«
Non è qui che mi siedo di solito, vero? »
La
domanda spezzò improvvisamente il silenzio e Vegeta non
dovette pensare prima
di rispondere, secco: « No. »
Non
volle domandarsi come lo avesse capito, non volle lasciar posto ad
alcuna
speranza. In fondo, lasciar perdere era stata una sua libera scelta,
no? Lui
voleva chiudere definitivamente quel capitolo della sua vita
– allora perché
tutti gli effetti personali di Gohan erano ancora lì, ad
attenderlo? Perché non
aveva detto a Bulma di portarli via il prima possibile?
«
Sentivo qualcosa di sbagliato. » gli spiegò il
ragazzo, senza che gli fosse
domandato. A Vegeta ricordò il modo in cui dopo il Cell Game
gli aveva
confessato quello che provava, in un flusso di coscienza denso di
lacrime e
assolutamente non richiesto.
«
Non ho ricordi precisi. » continuò Gohan, giocando
distrattamente con il riso
nel suo piatto. Gli parlò di sensazioni che non riusciva a
spiegarsi, di
vampate di affetto di fronte ai volti di familiari e amici, dello
smarrimento
che provava nel ricordare solo mezze verità quando le
ricordava…
Vegeta
non aprì bocca, immerso nella dolcezza di
quell’illusione che richiamava al
loro passato, alla loro intimità fatta di confessioni nelle
sere di dolore, di
lacrime prima e sorrisi poi.
Un’altra
persona, dopo quel lungo discorso, si sarebbe scusata per la troppa
parlantina.
Gohan non lo fece, limitandosi ad attendere una risposta.
«
Sei venuto qui per curiosare per casa, dunque? » gli
domandò invece Vegeta,
senza inflessione particolare nella voce.
«
Detta così non suona bene. » replicò
Gohan, ridacchiando. « Vorrei solo che mi
aiutassi a tentare di ricordare qualcos’altro. Tutto qui.
»
L’unica
risposta che ottenne fu un grugnito simile a un assenso.
*
*
*
Vegeta
non gli stava facendo da guida
turistica.
Semplicemente,
lo stava seguendo per tutta la casa, rispondendo in tono neutro alle
sue
domande.
In
quel momento si trovavano in camera da letto e Gohan, con la
curiosità propria
di un bambino, stava guardando nei cassetti di uno dei comodini di
fianco al
letto.
Il
ragazzo estrasse una serie di fototessere e le mostrò al
principe.
«
Quando le abbiamo scattate? » domandò.
«
L’ultimo Natale. » rispose Vegeta, in fretta, senza
fissare troppo a lungo i
sorrisi nelle fotografie. « Eravamo andati a cercare dei
regali al centro
commerciale. »
Le
labbra di Gohan si curvarono in un sorriso divertito.
«
Tu non volevi venire. » indovinò.
«
Ovviamente. » replicò il principe.
Il
ragazzo volle poi sapere come festeggiassero i compleanni, le vacanze
estive,
se la sera amassero uscire o stare a casa insieme, e il Saiyan bene o
male lo
accontentò.
Quando
poi giunse il momento in cui Gohan sarebbe dovuto tornare a casa dei
genitori,
Vegeta non riuscì a impedirsi di pronunciare parole di cui
certamente di lì a
poco si sarebbe pentito.
«
Posso dormire sul divano. » disse, velocemente. «
È tardi. »
La
mezza spiegazione aggiunta non lo fece sentire meno stupido, dunque
preferì
concentrarsi sulla sorpresa del ragazzo, che probabilmente non si
sarebbe
aspettato un’offerta simile.
«
Io… Non vorrei disturbare… » disse,
forse leggermente a disagio.
Vegeta
si strinse nelle spalle.
«
Fai come ti pare. » borbottò, sentendo la
delusione, suo malgrado,
attanagliargli le viscere.
Gohan
gli sorrise con un’ombra d’istintivo affetto sul
volto, forse intuendo il suo
stato d’animo, forse semplicemente vedendo in
quell’invito un’occasione per
aggiungere ulteriori pezzi al puzzle della sua vita.
«
Ti ringrazio. » accettò infine «
Però dormo io sul divano. »
|
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Capitolo 2 *** ...but I remember you ***
Angolo autrice
Ehilà!
(sì, esatto, non sono in ritardo :O Sono scioccata pure io
ahah) Ecco il
secondo capitolo. Le intenzioni erano di chiuderla qua, inizialmente,
poi però
mi è venuta un’idea per il terzo capitolo e
l’ho buttato giù. Ho paura di aver
fatto una boiata, ma va be’, me lo saprete dire quando
pubblicherò l’epilogo. Cooomunque,
nel caso trovaste errori o i personaggi fossero OOC (ovviamente Gohan
un minimo
lo è, ma visto che è senza memoria penso che sia
giustificato) non esitate
farmelo sapere :) Grazie mille a ka93
e Bulmix_1992 per le recensioni
:D:D
Buona lettura!
Disclaimer » Dragon
Ball © Akira Toriyama.
______________________________________________
…but I remember you.
Have you
forgotten all I know
And all we had?
Vegeta
e l’ospitalità non erano mai andati
particolarmente d’accordo, solitamente era
Gohan a occuparsi di accogliere doverosamente coloro che mettevano
piede in
casa loro, ma in quel caso era il ragazzo stesso a essere ospitato,
dunque il
principe si era ritrovato in una posizione cui non era decisamente
abituato.
La
sua gentilezza si era limitata a dargli da mangiare e a offrirgli il
proprio –
loro – letto, ma quando Gohan aveva insistito per dormire sul
divano non aveva
trovato la voglia di discutere e lo aveva lasciato fare.
Non
riuscì quasi a chiudere occhio, quella notte, disturbato
dalla consapevolezza
che il ragazzo fosse al piano di sotto. Non faceva altro che
concentrarsi sulla
sua aura, sentendola così vicina da permettergli
d’illudersi che fosse tutto a
posto.
Si
trattava però di puro masochismo, poiché
nell’esatto istante in cui tornava
alla realtà la dolorosa consapevolezza che Gohan fosse molto
più lontano di
quanto potesse apparire lo colpiva con maggiore forza.
Quando,
il mattino seguente, si svegliò dopo quelle che erano state
nemmeno due ore di
sonno complessive, Vegeta si sentiva più stanco di prima,
come se anziché
giacere sul letto si fosse allenato a gravità elevata per
tutta la notte.
Scese
le scale e giunse nel salotto, che era un tutt’uno con
l’entrata.
Lo
sguardo cadde sul divano e, poiché era decisamente presto,
si aspettò di
trovare Gohan addormentato sul divano. Invece, esso era vuoto.
Il
primo pensiero di Vegeta fu che il ragazzo se ne fosse andato prima del
suo
risveglio. Poi, però, constatò che effettivamente
il mezzosangue, a giudicare
dall’aura, si trovasse in cucina, con tutta
probabilità a preparare la
colazione.
Venne
colto da un involontario sollievo, mentre lo raggiungeva.
«
Oh, buongiorno. » lo salutò Gohan, cordiale.
« Stavo preparando la colazione,
spero non ti dispiaccia, ma avevo fame. Vuoi del caffè anche
tu? »
Vegeta
emise un mezzo grugnito affermativo, poi gli fece notare: «
È presto. »
Solitamente,
il ragazzo era molto puntuale nello svegliarsi, ma solo quando aveva
qualche
impegno. Durante i giorni festivi, fosse stato per lui avrebbe dormito
fino alle
due del pomeriggio, anche se non vi riusciva mai perché
Vegeta andava a
reclamare il pranzo prima. Oppure, quando si rendeva conto che la
volontà di
dormire fosse dettata dalla troppa stanchezza, o da una qualche
malattia
terrestre a volte, il principe tra sbuffi e imprecazioni gli portava da
mangiare a letto.
«
Oh, non ho molta voglia di dormire. » gli spiegò
Gohan, accennando un sorriso
amaro. « Ho riposato a sufficienza in
quell’ospedale, credo. »
Vegeta
si sforzò di ricacciare immediatamente indietro il ricordo
delle poche ma
infinite settimane trascorse al suo capezzale. Concentrandosi poco meno
di un
istante, riusciva ancora a sentire l’insopportabile odore di
disinfettante che
sembrava impregnare le pareti di quel posto e a udire lo snervante
suono
ritmico del macchinario che monitorava la frequenza cardiaca.
Non
rispose, accettando poi il caffè che Gohan gli stava
servendo. Si beò della
sicurezza che quel gesto appartenente alla loro vecchia routine gli
trasmetteva, solo per vedere la propria tranquillità andare
in pezzi quando il
ragazzo fece per aggiungere lo zucchero.
«
Niente zucchero per me. » lo fermò, in tono che
trasudava gelo.
Non
avrebbe dovuto avere bisogno di dirglielo.
«
Oh, scusami. » disse Gohan, ritirando la mano. «
Non lo sapevo. »
Vegeta
bevve il proprio caffè senza replicare, per paura di farsi
fuggire qualcosa che
avrebbe voluto e dovuto tenere per sé.
“Chi sei?”
* * *
«
Ti ringrazio per l’ospitalità. »
La
cordialità nella voce di Gohan era gelida, la sola
educazione guidava il suo
sorriso e i suoi gesti, e Vegeta non aveva potuto fare a meno di
notarlo,
impegnato com’era a osservare qualsiasi cosa non fossero gli
occhi del ragazzo.
«
È anche casa tua. » replicò il
principe, con una punta d’involontario astio.
«
Già… » sospirò Gohan, a
disagio. « Forse… Posso prendere la mia roba, se
ti dà
fastidio. »
“No”
avrebbe voluto rispondere Vegeta “Neanche per idea, tu non
prendi proprio
niente, anzi, torni qui all’istante.”
Ovviamente
non lo fece.
Non
era forse il suo intento iniziale? Una separazione netta per il bene di
entrambi? Una resa di fronte a quella che forse era una prova troppo
difficile?
«
Come ti pare. » si obbligò a sibilare.
Neppure
lui sapeva cosa volesse. Avere a che fare con quel ragazzo che era e al
tempo
stesso non era Gohan era stata un’autentica, anche se breve,
agonia, un
continuo soffrire le differenze che parevano lampanti ai suoi occhi.
Eppure,
certamente peggiore era stata la solitudine cui si era costretto
nell’ultimo
periodo. Certamente più pesante era stata la sua assenza,
rispetto a quella
presenza piena di difetti.
«
Io… Allora passerò a prendere tutto…
» rispose il ragazzo e forse la punta di
delusione che per un istante intravvide sul suo viso fu solo uno
scherzo della
sua mente.
«
Bene. »
«
Ci vediamo, quindi… »
«
Ci vediamo. »
Una
porta che si chiudeva, una schiena che si allontanava.
Vegeta
scagliò un pugno al muro, creando un vistoso foro.
“Chi sei?”
* * *
«
Vegeta, apri immediatamente questa porta! »
Ringhiò
di frustrazione, decidendosi finalmente a ridurre la gravità
fino al livello
consono al pianeta Terra, mentre i colpi alla porta continuavano.
Com’era
possibile che Bulma non si fosse ancora spaccata la mano?
«
Che vuoi? » domandò, aprendo.
Notò
che le mani della donna fossero rivestite con degli oggetti simili a
guanti di
metallo e che se li stesse sfilando con aria soddisfatta.
«
Era ora. » esclamò, in tono di rimprovero.
« Sono le due passate del pomeriggio
e qualcosa mi dice che non hai toccato cibo, sbaglio? »
«
Fatti gli affari tuoi. » sbuffò Vegeta, in
un’implicita quanto involontaria
ammissione di colpevolezza.
Bulma
portò la mano sinistra sul fianco, alzando invece la destra
per puntargli
contro l’indice con fare autoritario.
«
Bene, adesso tu vieni dentro e mangi il pranzo che ti ho preparato con
le mie
manine sante. Forza. »
Vegeta
si era ormai da tempo arreso di fronte all’evidenza: quando
quella gallina
isterica voleva una cosa, avrebbe continuato a stressarlo fino a
ottenerla.
Dunque, si decise a seguirla sin da subito, senza ovviamente
risparmiarsi
sbuffi e imprecazioni, consolandosi al pensiero che per lo meno non
avrebbe
dovuto muovere un dito per cucinare.
Bulma
gli concesse esattamente tre minuti e mezzo per mangiare in santa pace,
prima
di pronunciare la prima domanda.
«
Allora… » cominciò e il principe ebbe
subito voglia di alzarsi e tornare ad allenarsi,
presagendo l’interrogatorio che lo aspettava. «
È venuto Gohan, no? »
«
Mmh. » fu la neutra replica. Vegeta non voleva darle corda.
«
E ha dormito qui. »
«
Mpf. »
«
Avete discusso della situazione? »
«
Mmh. »
Bulma
sbuffò sonoramente.
«
Sarebbe carino se mi concedessi risposte più lunghe di un
monosillabo sotto
forma di grugnito, sai? »
«
Sarebbe carino se ti tappassi la bocca, sai? »
replicò Vegeta, con stizza.
La
donna sospirò, passandosi una mano sul volto.
«
Dai, sono seria. » lo incoraggiò «
Sfogarti non può che farti bene, sarà la
milionesima volta che te lo dico. »
«
Passerà a prendere la sua roba, fine. »
La
risposta di Vegeta fu un ringhio sputato con rabbia, velocemente,
mentre si
alzava da tavola con tutte le intenzioni di uscire da quella stanza.
Non aveva
nessuna voglia di parlarne, neppure con lei.
«
Come sarebbe? » gli domandò tuttavia Bulma,
seguendolo. « Pensavo sarebbe
tornato a vivere qui! »
«
Perché dovrebbe voler vivere con un estraneo? »
domandò Vegeta, forse più a se
stesso che a lei, senza guardarla in volto e senza fermarsi.
“Chi sei?”
«
Tu non sei un estraneo… E fermati un attimo, per
l’amor del cielo! » sbottò la
donna, afferrandogli un braccio. Vegeta si fermò, ma
scacciò subito la sua
mano, come scottato.
«
Che cosa vuoi? » le ringhiò contro, scrutandola
con sguardo fiammeggiante d’ira
– dolore.
Bulma
lo sostenne, fiera com’era sempre stata di fronte a lui.
«
Tu gli hai chiesto di restare? » gli domandò, con
spietata chiarezza.
Vegeta
non rispose.
No.
«
No, scommetto che non lo hai fatto. Avresti dovuto. Devi.
Metti da parte l’orgoglio, Vegeta. So che è
difficile, ma
devi farlo. A meno che tu non preferisca perderlo. »
«
L’ho già perso. » replicò
freddamente il Saiyan, senza particolare inflessione
nella voce, dirigendosi poi nuovamente verso la Gravity Room.
“Chi sei?”
* * *
Era
arrivato, il giorno seguente.
Era
venuto a prendere la sua roba come d’accordo.
Vegeta
lo aveva accolto con freddezza, rispondendo al suo allegro
“Buongiorno” con un
“Ciao” biascicato tra le parole che si era
costretto a ingoiare – suppliche per
tentare di farlo rimanere, scuse per la sua codardia, “Ti
amo” che troppo poco
spesso aveva pronunciato.
Il
principe non ebbe bisogno di guidarlo fino a camera sua –
loro – e si limitò a
seguirlo, lo sguardo fisso sulla valigia vuota che egli teneva in mano.
Gohan
prese a svuotare i cassetti con lentezza, piegando i capi
d’abbigliamento con
precisione quasi maniacale e tutto a Vegeta parve un crudele espediente
per
allungare la sua agonia.
Vattene,
sparisci da qui. Se devi andartene, fallo subito.
«
Questo è mio? » domandò Gohan,
sollevando un maglione posato su una sedia.
Il
Saiyan annuì.
«
Muoviti. » non riuscì a trattenersi dal dire.
Il
ragazzo parve spaesato per qualche istante, poi arrossì
leggermente e annuì.
«
Sìsì, hai ragione, scusami…
» disse, cominciando a piegare gli abiti più
velocemente. « Ti sto portando via davvero troppo tempo.
»
No,
voleva solo che quelle fitte allo stomaco cessassero. Ma non glielo
avrebbe
detto, nemmeno se fosse stato il suo
Gohan quello che aveva davanti.
Gli
sembrò che prima che il ragazzo cominciasse a chiudere la
cerniera fosse
passata un’eternità, eppure quando lo vide
sollevare la valigia ormai piena si
rese conto di non essere pronto. Forse, non lo sarebbe mai stato.
Lo
seguì giù per le scale a passi misurati,
mascherando abilmente il lieve tremore
delle gambe e delle mani.
«
Ti ringrazio ancora per quello che mi hai raccontato. » disse
Gohan, sulla
soglia. Gentilezza, fredda cortesia. Vegeta avrebbe voluto prenderlo a
pugni
fino a cancellare quel sorriso di porcellana e a fare in modo che le
palpebre
nascondessero quegli occhi vuoti.
“Chi sei?”
«
E scusa il disturbo. » concluse il ragazzo.
«
Niente. » borbottò Vegeta.
Non andare via.
«
Quindi… Ciao… »
“Chi sei?”
«
Ciao. »
Non andare.
Vegeta
lo osservò voltargli le spalle, flettere le ginocchia per
spiccare il volo.
Voleva
seguirlo, stringerlo, chiedergli di rimanere accanto a lui, ma al tempo
stesso
si rendeva conto di non volere quel
Gohan, ma il ragazzo che lo amava e il cui sguardo brillava quando si
posava su
di lui.
Sono la stessa
persona, idiota.
Il
corpo fu più veloce del cervello, lo spinse a spiccare il
volo solo un istante
dopo Gohan, lo spinse a raggiungerlo e ad afferrarlo per un braccio, a
incontrare i suoi occhi confusi senza avere la più pallida
idea di cosa dire.
«
Non mi davano fastidio. » fu tutto quello che
riuscì a pronunciare, il petto in
procinto di esplodere e la mano che, se ne rendeva conto, stava
stringendo il
braccio del ragazzo con più forza del necessario.
«
Cosa? » domandò Gohan, senza comprendere. In
effetti la frase era poco chiara.
«
I vestiti. » chiarì Vegeta.
«
Oh. » replicò il ragazzo, senza, a quanto
sembrava, comprendere dove volesse
andare a parare.
Ci
volle qualche istante di agguerrita lotta interiore prima che il Saiyan
riuscisse a mormorare, esitante: « Nemmeno tu… Mi
daresti fastidio. »
Lo
sguardo di Gohan s’illuminò di comprensione,
mentre la bocca si socchiudeva e
un mezzo gemito di sorpresa abbandonava le labbra.
«
Ah… » mormorò «
Io… Vegeta… »
Esitava,
cercava le giuste parole, non era un buon segno. Il Saiyan si
odiò per aver
ceduto a quella debolezza, per essersi messo in ridicolo senza poi
riuscire ad
ottenere nulla. Se avesse riavuto Gohan, o ciò che di lui
restava, con sé, ne
sarebbe almeno valsa la pena.
«
Io… Grazie… Ma… Sono confuso, in
questo momento. » cercò di spiegargli il
ragazzo. Vegeta sciolse la presa sul suo braccio senza neppure
accorgersene. «
Ho bisogno… Di capire che cosa voglio… »
Il
principe fece tutto quanto in suo potere per mantenere salda una
maschera
d’impassibilità. Si era già umiliato
troppo, non avrebbe ceduto altro terreno a
quel ragazzo che indossava il volto di Gohan.
“Chi sei?”
«
Mi dispiace… Io… Sento qualcosa per
te… Ma non riesco a capire se sia mio
veramente o… O solo una conseguenza di quanto mi
è stato raccontato. »
La
spiegazione non stava migliorando la situazione, entrambi se ne resero
conto.
Eppure il ragazzo continuò: « Io…
Forse… Magari tornerò… Quando
avrò capito
quello che voglio… »
«
Hai finito? »
Il
tono di Vegeta era freddo e indifferente, più consono a
qualcuno che sente
l’altro pregarlo di tornare insieme piuttosto che a una
persona che è appena
stata rifiutata.
Gohan
parve sorpreso, ma si ricompose quasi subito. Annuì.
«
S-sì… Sì, ho finito. »
«
Bene. Vai. »
«
D’accordo… Vegeta, mi dispia– »
Il
tentativo di rinnovare le proprie scuse, quanto sincere e quanto invece
dettate
da educazione o senso di dovere Vegeta non lo sapeva, fu immediatamente
troncato: « Vattene. »
Gohan
annuì ancora una volta.
Salutò,
ma non ottenne risposta, poiché quel
“Ciao” non giunse alle orecchie del
principe, troppo concentrato a fissare gli occhi del ragazzo, vuoti
quanto la
casa alle loro spalle. Forse, non si sarebbe mai abituato a vederli
così, se
anche Gohan fosse rimasto. Forse, invece, sarebbero riusciti a
riempirli di
nuovo, insieme.
Quel
volto che a tratti pareva quello di un estraneo, a tratti quello del
vero
Gohan, rimase impresso nella mente di Vegeta, mentre lo vedeva
allontanarsi
senza voltarsi indietro.
“Chi sei?”
|
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Capitolo 3 *** I believe in you [Epilogo] ***
Angolo autrice
Eccomi,
un pochino in ritardo, ma eccomi. Mmh. Questo capitolo non mi piace, ma
sarebbe
quello conclusivo di questa mini-long. Ringrazio infinitamente tutti
coloro che
hanno letto questa storia e in particolare ka93
e Bulmix_1992 per aver recensito :D
Spero
che questo epilogo non sia troppo mal riuscito ^^”
Disclaimer
» Dragon Ball © Akira Toriyama.
______________________________________________
I
believe in you
[Epilogo]
You saw me
mourning my love for you
And touched my hand
I knew you loved me then
Pensava
che senza gli effetti personali di Gohan la sua assenza sarebbe pesata
meno.
Pensava che non vedere i suoi vestiti o i suoi libri sparsi per la casa
lo
avrebbe aiutato a non pensare a ciò che mancava in quella
stupida abitazione,
ma di fatto non vi era stato alcun cambiamento.
Passava
quasi l’intera giornata chiuso nella Gravity Room e quando
invece si trovava
all’interno della casa gli spazi vuoti rimarcavano
l’assenza di Gohan più di
quanto non facessero gli oggetti.
Bulma
lo aveva più volte rimproverato per gli allenamenti cui si
sottoponeva: in
appena due settimane aveva rischiato tre volte di far saltare in aria
la
Gravity Room e la quarta vi era riuscito. Ne era uscito praticamente
illeso, poiché
era riuscito a scappare prima dell’esplosione, ma ora si
trovava senza stanza
degli allenamenti e la scienziata aveva detto di aver troppi progetti
da
portare avanti per potersene occupare nell’immediato.
Non
sapeva, dunque, come occupare le proprie giornate e finiva per passarle
sdraiato sul divano o sul letto, nel primo caso a fissare la
televisione senza
reale interesse, nel secondo con lo sguardo ancorato al soffitto.
Gli
ricordava il periodo dopo la morte di Kakaroth, quando aveva deciso di
non
combattere mai più.
Ogni
tanto usciva in giardino per allenarsi comunque, ma con quella
gravità leggera
e nessun robot a minacciarlo, l’allenamento pareva inutile,
non richiedendo
alcuno sforzo.
Una
parte di lui avrebbe voluto allenarsi con Trunks, l’altra
anelava solitudine.
Capitava che il figlio venisse a fargli visita, ma in quel periodo la
scuola lo
teneva fin troppo impegnato e comunque ogni volta che veniva il
principe pareva
interessato solo all’allenamento, non alla sua compagnia.
Capitava,
quando i suoi muscoli anelavano movimento e gli rendevano impossibile
rimanere
sdraiato sul divano, che spiccasse il volo e iniziasse a girare a
vuoto,
passando anche sopra a città terrestri senza preoccuparsi
delle possibili
conseguenze – gli umani in ogni caso erano sempre troppo
presi dagli affari
loro per soffermarsi a guardare il cielo.
Più
volte gli era capitato, volando senza fissare una meta precisa, di
ritrovarsi a
sorvolare quel posto che aveva più volte condiviso con
Gohan, dopo il Cell
Game, e in ognuno di quei casi aveva semplicemente digrignato i denti
per poi
andarsene – scappare – il più lontano
possibile da lì.
Quella
sera, senza una particolare motivazione, forse per semplice masochismo,
si era
invece fermato a mezz’aria, gli occhi fissi su quello
spuntone di roccia su cui
fin troppe volte si erano seduti. Era atterrato lentamente, combattuto
tra la
volontà di restare e andarsene – fuggire
– come tutte le altre volte che era
incappato in quel luogo negli ultimi tempi.
Alla
fine, si sedette, le gambe a penzolare nel vuoto e un peso
insopportabile nel
petto.
«
Maledetto. » borbottò, tra i denti.
In
fondo, quel posto era sempre stato suo, suo soltanto, finché
quel ragazzino
dagli occhi grandi e il sorriso spento non vi aveva messo piede per poi
tornarci così tante volte che Vegeta aveva perduto il conto.
Se
Gohan non fosse mai venuto lì, ora avrebbe potuto godere di
quel silenzio e di
quella pace senza essere disturbato da un insopportabile senso di vuoto.
“Sono
confuso, in questo momento. Ho bisogno…
Di capire che cosa voglio.”
Non
riusciva a ripensare a come lo avesse rifiutato, con dispiacere e pietà nella voce, a ricordare
quegli
occhi che lo guardavano ma non lo riconoscevano, senza provare il
desiderio di
urlare e distruggere con le sue mani quel miserabile pianeta che lo
aveva
rovinato.
“Mi
dispiace…”
Emise
un ringhio di frustrazione, si alzò in piedi e
frantumò un masso con un calcio,
poi semplicemente spiccò il volo per tornare alla sua casa
colma di fantasmi di
un passato perduto.
“Chi
sei?”
*
*
*
Forse
stava uscendo di senno.
Forse
la sua sanità mentale era già svanita nel momento
in cui aveva deciso di non
abbandonare Bulma e Trunks, provando a crescere quel figlio che sarebbe
comunque divenuto un grande guerriero senza di lui.
Forse
non c’era un vero e proprio fondo, era possibile cadere
sempre più in basso,
all’infinito, senza che l’umiliazione fosse mai
ultimata.
Altrimenti
non sarebbe riuscito a spiegarsi come mai, da un paio di giorni a
quella parte,
avesse cominciato ad andare lì ogni sera, sedendosi a terra
e lanciando
occhiate oblique allo spazio vuoto accanto a sé, quasi in
attesa di un ritorno
che non sarebbe mai avvenuto.
“Io
sento
qualcosa per te…”
«
Sarai, contento, immagino. » borbottò, rivolto al
nulla. « Dicevi sempre che
cominciavo a somigliare a un umano, no? Penso di essere
sufficientemente
patetico da poter essere scambiato per un terrestre, ora…
»
“Ma
non riesco a capire se sia mio veramente
o solo una conseguenza di quanto mi è stato raccontato.”
La
dita si serrarono attorno all’erba – desiderava
lacerare, affondare le unghie
nella pelle di un qualunque patetico essere, osservare il dolore altrui
allo
scopo di attenuare il proprio – e la strapparono con
brutalità, scagliandone
poi in avanti i residui, alcuni dei quali si depositarono sulle sue
gambe.
«
Non posso credere di essermi umiliato a quella maniera. »
borbottò.
Eppure
in fondo sapeva che, con anche solo la più piccola speranza
di poter riavere
Gohan, lo avrebbe rifatto.
*
* *
La
pioggia non lo aveva mai infastidito.
Era
un po’ come il getto d’acqua della doccia: lo
aiutava a pensare e trovava
inutile che i terrestri cercassero i mezzi più fantasiosi
per ripararsi. Qual
era il problema, se dopo potevano comunque asciugarsi?
L’erba
bagnata a contatto con la pelle, invece, dava una spiacevole sensazione
di
viscido. Chiuse le mani a pugno, alzando lo sguardo verso il cielo
scuro dove
di tanto in tanto un lampo illuminava le nubi, seguito da un tuono che
pareva
far tremare l’aria stessa.
Gohan
aveva sempre detto di aver paura dei tuoni.
Ogni
volta che quei rumori assordanti turbavano la quiete, il ragazzo si
accoccolava
contro di lui, in barba le proteste che Vegeta borbottava prima di
accontentarlo. Si cedeva lontano un miglio che fosse tutta finzione, ma
il
principe aveva sempre preferito ignorare questo insignificante
dettaglio.
Emise
un mezzo ringhio frustrato, rimproverandosi per quei pensieri che non
facevano
altro che peggiorare la situazione.
*
*
*
Si
sentiva ogni giorno più patetico.
A
cosa serviva recarsi lì e fissare con rammarico il vuoto
accanto a sé?
Immaginare che Gohan fosse seduto accanto a lui glielo avrebbe forse
riportato?
Avrebbe come per magia riempito la mente del ragazzo dei ricordi
perduti,
spingendolo a tornare sui suoi passi?
Se
anche così fosse stato, lo avrebbe mandato via,
pensò, sull’onta
dell’umiliazione e del dolore che quel rifiuto gli aveva
marchiato a fuoco
sulla pelle.
Idiota. S’insultò
poi,
sapendo di mentire.
Certo
che non lo avrebbe mandato via, come avrebbe potuto?
Anche
se non sapeva cosa avrebbe fatto con esattezza, certo non lo avrebbe
cacciato
per tornare allo stato miserevole in cui versava in quel momento.
Forse
avrebbe messo da parte l’orgoglio, come aveva già
fatto per lui in passato, e
lo avrebbe stretto a sé, fino a convincersi che fosse
tornato davvero. Forse
avrebbe fatto il sostenuto, dandogli le spalle fino a che le sue scuse
non gli
fossero parse sufficienti.
O
forse avrebbe semplicemente annuito, simulando indifferenza e
dignità – sempre
che ne fosse stato capace, dal momento che pareva proprio
l’avesse persa per
strada – ?
Non
lo sapeva, e forse mai lo avrebbe saputo.
“Magari
tornerò…”
Non
aveva alcuna voglia d’illudersi – eppure, una parte
di lui sperava comunque.
*
*
*
Uno.
Lanciò
il primo sasso, osservandolo cadere tra gli alberi a un paio di metri
di
distanza da lui, approssimativamente.
Due.
Quattro
metri.
Era
patetico che per distrarre la sua mente dal pensiero di Gohan dovesse
trovare
passatempi tanto idioti. Trovava meno patetica l’abitudine di
Kakaroth di
andare a pesca: per lo meno serviva a procurare del cibo.
Tre.
Otto
metri.
Non
avrebbe mai creduto che uno come lui potesse soffrire il dolore di una
perdita.
O meglio, ne aveva avuto un assaggio alla morte del ragazzo del futuro,
o
quando aveva creduto che Gohan fosse stato ucciso da Majin-Bu, ma
lì era stata
questione di un istante prima che la sofferenza divenisse rabbia e in
seguito
si era rifiutato di soffermarsi sulle sensazioni provate in quei
tremendi
istanti.
Quattro.
Sedici
metri.
Ora,
invece, non aveva modo di non pensare al senso di vuoto che lo
opprimeva ogni
volta che rientrando a casa non trovava il ragazzo ad accoglierlo, ogni
volta
che lo sguardo cadeva sulla metà del letto vuota e la sua
masochista voglia di
farsi del male lo spingeva a cercare l’aura di Gohan, come a
ricordargli che
era vivo, che sarebbe potuto tornare da lui ma semplicemente non voleva.
Cinque.
Trentadue
metri.
Eppure
se lo sarebbe dovuto aspettare.
Non
aveva mai capito come mai quel ragazzo che avrebbe voluto con tutto se
stesso
vivere una vita normale si fosse legato tanto profondamente proprio a
lui,
perché avesse voluto perdere tempo dietro al suo animo
corrotto e alle sue
cicatrici.
Non
aveva sempre avuto timore che potesse stancarsi e andarsene? Alla fine
era
accaduto. E, come se non fosse stato sufficientemente doloroso, parte
della
colpa era anche sua.
Sei.
Ringhiò
di rabbia, scagliò il sasso con tutta la forza in suo
possesso e l’oggetto
svanì presto alla vista, troppi metri più avanti.
Non
era neppure in grado di portare avanti uno stupido passatempo senza
mandare
tutto all’aria, maledizione.
I
muscoli ebbero uno scatto derivante dalla tensione e Vegeta ebbe la
sgradevole
sensazione di agitarsi come uno stupido animale in gabbia.
Lo
sguardo cadde per la millesima volta accanto a lui, e mentre gli occhi
bruciavano nonostante le urla disperate del suo orgoglio, ebbe la
conferma di
essere impazzito, poiché vide sedersi accanto a lui il
ragazzino che Gohan era
stato.
Lo
vide sorridere calorosamente, con le labbra e con quegli occhi
meravigliosamente pieni.
Distolse
lo sguardo, piantandolo sul terreno mentre la mano convulsamente
stretta a
pugno colpiva il terreno, forse nella speranza che
quell’immagine – bellissima
e dolorosa – svanisse.
Sentì
un tocco leggero sul braccio.
Lo
ignorò, imprecando tra i denti e trattenendo a stento le
lacrime – non avrebbe
sopportato l’ennesima umiliazione, anche se nessuno vi
avrebbe assistito.
Delle
mani avvolsero la sua, stringendola e bloccandola, nella crudele
illusione che
non fosse più solo.
Eppure
quel contatto era troppo reale per essere solo frutto della sua sadica
immaginazione.
Alzò
lo sguardo e, dove prima c’era un ragazzino, si trovava il
Gohan ragazzo che lo
aveva rifiutato non ricordava quanto tempo prima. Lo fissò a
occhi sgranati,
cercando poi di darsi un contegno, le labbra strette e lo sguardo fisso
nel
suo.
Ritirò
la mano con uno scatto rabbioso, ringhiando: « Cosa vuoi?
»
Gohan
abbassò gli occhi qualche istante, poi li rialzò
con determinazione.
«
Volevo parlarti. »
«
Non abbiamo già parlato abbastanza? »
La
replica ostile di Vegeta nascondeva una punta di amarezza, la
diffidenza era
uno scudo eretto per proteggerlo da un’altra probabile
delusione.
«
Volevo scusarmi– » ricominciò Gohan,
venendo però immediatamente interrotto.
«
Lo hai già fatto e non me ne faccio nulla della tua
cortesia. Se volevi avere
la coscienza a posto, bene, hai fatto il tuo dovere e ti sei scusato.
Ora lasciami
in pace. » disse il principe, gelido, senza sapere come
stesse riuscendo a
mantenere stabile la voce.
«
Puoi farmi finire di parlare? » sbuffò il ragazzo,
ruotando gli occhi e senza
attendere risposta. « Volevo scusarmi per averti fatto star
male. Ma ero
sincero: non sapevo quello che volevo. Adesso penso di averlo capito.
»
Vegeta
tacque, sforzandosi di mantenere il contatto visivo e obbligandosi a
non
sperare neppure per un istante, di non idealizzare quale sarebbe stata
la
conclusione di quel discorso – eppure una parte di lui
cominciava già a gioire.
«
Non ricordo molto. » continuò Gohan. «
Ma non sto bene, a casa dei miei
genitori. È come se mancasse qualcosa. E più cose
mi tornano alla mente, più mi
rendo conto che quel qualcosa sei tu. »
Era
normale che in testa rimbombassero i battiti impazziti del suo cuore?
Temeva
che anche il ragazzo potesse sentirli, tanto erano forti.
«
Quindi, mi dispiace non esserne stato certo sin da subito. Scusami.
Posso…
Posso tornare a casa? »
Aveva
la gola secca, se anche fosse riuscito a formulare un pensiero coerente
con
tutta probabilità non sarebbe stato in grado di darvi voce.
Passarono
diversi istanti prima che Vegeta riuscisse a dire: « Ho
voglia di prenderti a
pugni. »
Prima
che Gohan potesse captare quanto detto, però, il principe lo
aveva afferrato
per le spalle, attirandolo a sé senza troppi complimenti. Il
ragazzo non si
oppose minimamente e Vegeta si ritrovò a saggiare le sue
labbra con la stessa
foga che un affamato sfoggia di fronte a un pranzo abbondante.
«
Fai ancora una volta una cosa del genere e ti prendo a schiaffi.
» soffiò dopo
qualche istante.
Gohan
ridacchiò.
«
Mai più, promesso. »
Vegeta
non soffocò il lieve sorriso che
gl’incurvò le labbra quando negli occhi del
ragazzo scorse una singola, piccola, scintilla.
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