Don't keep your distance

di gleebrittanastories
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo - IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


/ Hey,
eccomi all'inizio di un nuovo viaggio. Ho in mente una ff del genere da molto tempo e finalmente sono riuscita a tirare fuori qualcosa. Finora non ho scritto nulla di impegnativo mentre con questa mi ci voglio proprio mettere. Ho scelto un contesto storico abbastanza recente come avrete letto nell'introduzione sul quale mi sono documentata perchè tutto quello che scrivo sia coerente. Naturalmente al centro di tutto c'è la Brittana, comunque non voglio anticiparvi altro. Sarei davvero contenta se decideste di lasciare due parole, ci tengo molto a sapere cosa ne pensate. Segnalatemi eventuali errori/incongruenze, questo vale anche per i prossimi capitoli. Grazie per l'attenzione e (spero) buona lettura! /
 

PREFAZIONE

Qual è il posto più strano in cui vi siate mai svegliati? Il migliore? Il peggiore? Sono ottime domande con cui iniziare una conversazione, o almeno io lo farei. Volete mettere con le solite frasi di circostanza che incanalano le conversazioni in tunnel di seria ordinarietà? Beh, sappiate che se volete fare colpo con me non dovrete mai essere banali. Sono infatti fermamente convinta che la banalità faccia male alla salute. Ma forse io non faccio testo, tutti mi dicono che sono un po' strana. Meglio strana che noiosa, così mi ha sempre detto mia madre accompagnando la frase con una carezza quando i bambini mi prendevano in giro. Comunque se volete posso rispondere prima io.

Il posto più strano in cui io mi sia mai svegliata è senza dubbio il tetto di una casa. Ho avuto altri risvegli non programmati ma quello è stato senz'altro il più assurdo. Ero all'ultimo anno di liceo e non mi sarei persa una di quelle feste per nulla al mondo. Quella in questione era a casa di Blaine, se lo conoscete saprete bene come vanno a finire le cose quando organizza lui. Per me erano finite su uno scomodo tetto quasi completamente nuda. Per fortuna nessuno mi aveva vista in quelle condizioni, quando ero riuscita a scendere erano quasi tutti tornati a casa sorreggendosi a vicenda e i pochi rimasti avrebbero dormito ancora per un bel po'. Certe esperienze non hanno prezzo, credetemi. Il liceo è stato forse il periodo della mia vita dove ho finalmente ho trovato il mio posto nel mondo, o almeno lo credevo fino a che è successo quel che è successo. Ero sempre quella un po' strana ma avevo trovato persone disposte a volermi bene e che mi apprezzavano veramente per quella che ero, ed erano persone fantastiche. Blaine compreso.

Tornando ai risvegli, non ce n'è uno migliore perchè tutti quelli con Santana al mio fianco sono stati i migliori. Santana Lopez, l'amore della mia vita. Prima di farvi filmini mentali sdolcinati su noi due sappiate che non è stato facile. Avete presente nei film, quando il protagonista va a sbattere contro una donna bellissima che puntualmente ha seimila cose in mano che si spargono nei cinque metri circostanti? E, nel mentre raccolgono il tutto, hanno il tempo di parlare e di innamorarsi e tutto sembra così facile e bello e destinato ad essere facile e bello per sempre? Beh, per me e Santana non è stato neanche lontanamente così. Nella nostra storia d'amore non c'è stato tempo per l'amore anche se è quello che ci ha fatto andare avanti. Detto ciò, se siete ancora interessati, vi voglio raccontare tutto e inizierò dal risveglio peggiore, quello che mi ha cambiato la vita per sempre.

 

 

CAPITOLO I

Sono morta? E' stato un sogno? Sto pensando quindi teoricamente dovrei essere viva. Ma in fondo che ne so io di com'è essere morti. Ma i morti non provano dolore e quello che provavo io era decisamente dolore ed era ovunque. Non riuscivo a muovermi, anzi, ad essere precisi non sentivo il mio corpo come se di me fosse rimasta solo la testa. Non sento il mio corpo ma mi fa male tutto, come è possibile? Non ero mai stata così male in tutta la mia vita. Ormai avevo capito di essere viva ma la prospettiva di morire non mi sembrava neanche tanto malvagia. Era faticoso anche solo restare abbastanza cosciente per pensare. Rimasi per un po' immobile a contemplare le mie condizioni fisiche ad occhi chiusi. Arrivai alla conclusione che dovevo avere tutti gli arti mutilati oppure, prospettiva non molto migliore, una paralisi totale. Dovevo essere viva per miracolo perchè stavo cominciando a ricordare gli avvenimenti del giorno precedente e se quello che ricordavo era davvero accaduto non sarei dovuta essere viva. E ora dove sono? La superficie dove ero sdraiata doveva essere un letto, per quanto scomodo. Piano piano cominciavo a percepire le varie parti del mio corpo e il dolore si fece più reale. Dovevo reagire o avrei perso conoscenza, di nuovo. Di muovermi non se ne parlava così decisi di iniziare aprendo gli occhi. Un'operazione così semplice mi costò molta fatica per nulla, ero nel buio più totale. Mossi gli occhi e il collo leggermente a destra e poi a sinistra ma non riuscii a distinguere nulla. Ottimo. Sbuffai e ributtai il collo dolente all'indietro e finamente notai qualcosa. Nel muro dietro la testiera del letto c'era una finestrella, o meglio un'apertura posta abbastanza in alto. Era talmente piccola che dalla mia posizione non vedevo fuori ma solo un flebile bagliore. Ma dove diamine sono? Chi mi ha portato qui? Stavo cercando inutilmente di spremermi il cervello per ricordare qualcosa in più quando sentii dei passi leggeri.

"Ehi!" cercai di attirare l'attenzione di chiunque stesse passando, anche se non mi uscii dalla bocca che un debole sussurro. Fortunatamente la persona in questione doveva avermi sentito, oppure era già intenzionata a venire da me.

"Ti sei svegliata finalmente! Come ti senti?" Era una voce dolce, di una donna probabilmente giovane. La luce però non accennò ad accendersi e non potei vederla in faccia.

"Sono stata meglio, mi fa male tutto" cercai di non dirlo con non troppa autocommiserazione ma la fatica con cui pronunciai quella frase parlò da sè.

"Sei stata molto fortunata, credimi. Sono contenta che tu ti sia svegliata, a dire la verità non ci speravamo molto" Speravamo? Tu e chi altri? Ma prima che le potessi chiedere qualsiasi spiegazione la ragazza riprese a parlare "Non sprecare energie parlando. Non ho antidolorifici da darti perciò è meglio se provi a non pensarci e dormi un po', domani mattina vedremo come stai"

Avevo così tante domande ma capii che aveva ragione e non me lo feci ripetere due volte.

"Io sono Tina comunque" disse per poi allontanarsi con lo stesso passo leggero con cui era arrivata e fui di nuovo sola. Dormire non sarebbe stato facile, la stanchezza c'era ma il mio cervello era iperattivo formulando ipotesi per poi scartarle. Avrei voluto richiamare Tina e supplicarla di spiegarmi dove fossi e come ci fossi arrivata ma mi arresi all'idea che la mia voce non avrebbe chaimato proprio nessuno. Frustrata cercai di chiudere gli occhi e di non pensare a nulla fino a che caddi nel sonno. Subito prima però, negli ultimi attimi di dormiveglia, ebbi un flashback. O meglio rividi un'immagine, per la precisione uno sguardo perforante che mi scrutava preoccupato. Doveva essere lo sguardo del mio salvatore.

 

Il secondo risveglio in quella stanzetta fu lievemente migliore. Finalmente potei vedere l'ambiente circostante. Doveva essere una bella giornata perchè dalla finestrella entrava molta luce, ero quasi di buon umore. Questo finchè non mi ricordai che mi doleva ogni singola parte del mio corpo e che non avevo idea di dove fossi. Presi coraggio e provai a sedermi ma una fitta alla gamba destra seguita da una alla spalla sinistra mi scoraggiarono.

"Forse è meglio se non ti muovi" era una voce maschile, alzai lo sguardo e vidi un ragazzo piu o meno della mia età che mi guardava appoggiato allo stipite della porta.

Io non risposi e ributtai la testa sul letto. Lui allora si avvicinò e mi scrutò, io feci lo stesso e mi meravigliò il fatto che fosse bianco come me.

"Io sono Sam" mi disse sorridendomi, aveva una faccia affidabile. Era molto bello, se non fosse stato per quelle labbra troppo piene. Erano davvero enormi e mi dovetti sforzare per non ridergli in faccia.

"Non sembri esattamente argentino" osservai.

"Infatti non lo sono, la mia famiglia si è trasferita qui molte generazioni fa dagli Stati Uniti. Comunque sia potrei dire lo stesso di te" ma prima che potei dargli spiegazioni o chiedergli qulalcosa aggiunse "Vado a chiamare Tina, credo che ti debba cambiare le bende. Comunque è un piacere averti con noi" e con un ultimo sorriso scomparve. Noi? Perchè nessuno si degna di dirmi dove sono capitata? Nonostante questi interrogativi, decisi di fidarmi di quelle persone. Probabilmente mi avevano salvato la vita e mi stavano curando senza chiedermi nulla in cambio. Poi mi venne in mente che Sam aveva parlato di bende, effettivamente non mi ero ancora guardata. Sollevai il collo e vidi il mio corpo irriconoscibile, quasi completamente ricoperto da macchie più o meno rossastre. In alcuni punti avevo delle bende sporche di sangue e la gamba destra immobilizzata, doveva essere rotta. Anche la spalla sinistra era fasciata e dal dolore che mi provocava doveva essere slogata.

Ero occupata a fare la conta dei danni quando, silenziosa come sempre, arrivò Tina. Ero immersa nei miei pensieri fissando il muro come se mi mostrasse qualcosa. In realtà il muro non lo vedevo, le uniche immagini che il mio cervello mi mostrava in quel momento erano gli ultimi istanti là fuori. Il viso spaventato di Blaine, la breccia nel muro, la corsa disperata in quello che era rimasto di un edificio.

Lo stesso si poteva dire delle orecchie, probabilmente non avrei sentito arrivare Tina neanche se si fosse avvicinata urlando. Anche loro sembravano essere tornate indietro nel tempo, le urla disperate, le sventagliate di proiettili, tutti rumori che comunque avevo percepito attutiti. Funziona così l'angoscia, attutisce, isola. 

Anche il tatto mi stava giocando brutti scherzi, non sentivo il lenzuolo ruvido su cui le mie mani erano appoggiate. Stavo correndo più veloce possibile, l'aria tra i capelli, il peso della borsa sulla spalla che mi rallentava e il terreno sconnesso che aumentava le probabilità di farmi cadere rovinosamente, soprattutto una volta entrata tra quelle rovine dove i calcinacci ostacolavano le mie gambe. Poi un corridoio, una trave sulla sinistra che non avevo fatto in tempo ad evitare e che mi aveva lacerato la carne della gamba. Le lacrime mi erano arrivate immediatamente agli occhi, offuscando il labirinto di corridoi in cui mi ero introdotta, ma l'istinto di sopravvivenza mi aveva obbligato ad avanzare. Era stato in quel momento che mi ero chiesta dove fosse Blaine, da quanto la mia mano avesse smesso di stringere la sua.  

Non feci in tempo a ripercorrere il resto della scena perché in quel momento il volto di Tina irruppe nel mio campo visivo interrompendo il contatto con i ricordi proiettati nel muro. 

"Ehi" esordì la ragazza. 

Io le risposi sorridendo, mentre tornavo al presente. 

"Come va?" 

"Meglio direi" 

"La spalla è slogata, la gamba è rotta ma per fortuna è una frattura composta" 

L'avevo immaginato, assimilai le informazioni riguardanti la mia situazione cercando di non pensare troppo a quanto tempo sarebbe stato necessario per guarire completamente. 

"Dove sono?" non riuscii a trattenere oltre la mia curiosità. 

"Arriverà il momento delle spiegazioni, Brittany. Per ora pensa solo a guarire" rispose la ragazza asiatica mentre era ancora intenta a passare in rassegna il mio corpo. 

"Questo taglio è proprio brutto" borbottò poi tra sé e sé quando arrivò alla gamba sinistra. La trave. 

Rimanemmo in silenzio per il resto del tempo, avrei dovuto fare in modo che il tempo delle spiegazioni arrivasse il prima possibile. 

 

I giorni dopo furono simili. Aprivo gli occhi nel primo mattino quando la luce entrava direttamente dalla finestra sopra di me attraversando l'entrata della camera e colpendo il muro del corridoio. Un muro che una volta doveva essere stato bianco. Ogni mattina rimanevo in contemplazione del soffitto ripensando a tutto quello che mi era successo, soprattutto a cosa mi fosse passato per la mente quando avevo deciso di andare lì. In realtà lo sapevo ma non potevo fare a meno di torturarmi ripetendomi che qualunque cosa fosse successa a Blaine sarebbe stata solo colpa mia. Perché l'ho portato qui? Ogni mattina, dopo un po' si presentava Tina con le bende pulite e un sorriso dolce. Si informava brevemente delle mie condizioni troncando ogni altro accenno di conversazione. Lo stesso faceva Sam quando mi portava da mangiare. Perché tutto questo mistero? Potevano rispondere almeno ad un paio di domande. Forse volevano affrontare l'argomento con calma, forse avevano troppe spiegazioni da darmi, forse non me l'avrebbero mai date. Dopo che Tina mi aveva cambiato le fasciature e Sam mi aveva portato una sorta di colazione-pranzo mi lasciavano di nuovo sola. Il dolore non era passato ma ormai non è che ci avessi fatto l'abitudine ma quasi. Dopo un po' mi riaddormentavo, stremata, senza aver fatto nulla quando la luce ormai non entrava più dalla finestra. 

 

Quel giorno, appena mi svegliai, capii subito che fosse arrivato il momento. Il momento di alzarmi, di esplorare, di chiedere. Era arrivato il momento delle spiegazioni. Avevo aperto gli occhi e per la prima volta da non seppi dire quanto tempo mi sentii relativamente in forma. Le bruciature e le ferite meno profonde avevano lasciato spazio a piccole cicatrici, quelle più profonde erano ben fasciate e non bruciavano quasi più. Dalla finestrella non entrava molta luce, doveva esserci brutto tempo. Mi misi seduta da sola sopportando la piccola fitta alla spalla e aspettai. 

Tina arrivò dopo qualche minuto. Era in condizioni pietose, quasi ridicola. Quel sorriso in contrasto con gli abiti sporchi e distrutti. 

"Oddio, cosa hai fatto?" le chiesi subito, divertita ma preoccupata. 

"Sono appena tornata" rispose tranciando subito l'argomento per poi aggiungere subito dopo "Ti sei seduta da sola! Ti vedo meglio Brittany" 

"Mi voglio alzare" e voglio sapere. 

Tina sembrò sorpresa dalle mie parole, pensai che non mi ritenesse pronta ma poi annuì quasi rassegnata. Forse aveva capito che non mi avrebbe fatto cambiare idea molto facilmente. 

"È quasi ora di pranzo, potresti mangiare con gli altri" mi disse mentre controllava le medicazioni. Io non risposi, ero ovviamente d'accordo. Voglio proprio conoscerli, gli altri. 

"Tu non mangi con noi?" mi resi conto che non si era inclusa nell'azione. 

"Sarà meglio che mi dia una lavata, vi raggiungo dopo" spiegò per poi sparire.  

Non feci in tempo a chiedermi dove diavolo fosse finita che ricomparve con un paio di stampelle probabilmente risalenti alla guerra di secessione. Ma l'importante era che quelle stampelle mi avrebbero ridato un minimo di autonomia. Ne poggiò una al letto e mi passò l'altra dato che solo un braccio era utilizzabile. L'impresa fu più ardua del previsto e fu solo grazie a Tina che mi ritrovai finalmente in piedi. Zoppicai fino all'uscio e uscii nel corridoio rendendomi conto di non sapere dove andare. Tina mi precedette facendomi segno di seguirla e io lo feci, per quanto velocemente mi fosse concesso. Dopo una decina di metri, e varie imprecazioni di dolore nella mia testa, arrivammo a una piccola scaletta che scendeva ripida e Tina la scese lasciandomi lì. Faceva sempre così, scompariva e ricompariva con la soluzione ai miei problemi. E così fece anche quella volta, seguita da Sam. Quest'ultimo prese la stampella e me e ci caricò facilmente trasportandoci fino al piano inferiore. 

"Buon appetito, ci vediamo dopo" sentii dire a Tina da sopra, ormai fuori dalla mia visuale. 

"Ok, ora puoi lasciarmi" dissi gentilmente a Sam che non sembrava per nulla intenzionato a farmi camminare con la mie gambe. Lui acconsentì, dopo aver provato un po' a dissuadermi spiegandomi che non gli costava nulla portarmi, e finalmente mi potei guardare intorno. 

Eravamo in un ampio salone. Anzi, ampio era riduttivo. Forse vasto rende più l'idea. Sulla sinistra c'era un falò, circondato da un paio di persone, con un camino fai da te che proseguiva fino all'angolo del soffitto. Appoggiati alla parete di fronte alcuni mobili, un frigo fatiscente e alcune porte. La luce era interamente artificiale, infatti le uniche fonti erano i neon sul soffitto mentre di finestra non ce n'era neanche una. 

Al centro c'era un enorme tavolo, o meglio, una successione di tavoli affiancati. Erano completamente diversi tra di loro, da quelli eleganti in mogano a quelli pieghevoli da campeggio, e creavano una curiosa accozzaglia. Seduti nei tavoli centrali c'erano alcuni ragazzi giovani, più o meno della mia età. Sam mi aiutò a raggiungere una panca e a sedermici e iniziò le prestazioni. 

"Questa è Brittany" spiegò sorridendo agli altri per poi iniziare una serie di nomi "Puck, Quinn, Kurt, Mercedes" e poi mi disse anche i nomi di un paio di ragazzi argentini che stavano un po' in disparte ma li dimenticai quasi subito. 

Tutti mi salutarono calorosamente ed evidentemente incuriositi. Ma anch'io a curiosità non scherzavo. Aspettammo che fosse servito il pranzo e che anche i cuochi fossero seduti, nel frattempo Puck e Mercedes ripresero la conversazione di politica che dovevo aver interrotto con il mio arrivo. Il cibo mi sembrava più buono che quello dei giorni precedenti, forse solo il fatto di stare a tavola me lo faceva apprezzare di più. Finii il mio piatto in silenzio, ascoltando attentamente il dibattito in atto. Da quello che capivo Mercedes era considerata catastrofista da Puck e Sam, secondo loro infatti il peggio della guerra era passato. Quinn però obbiettò che gli Stati Uniti e la Francia si stessero mobilitando, l'aveva sentito a una radio che era riuscita ad intercettare. L'ambiente era teso, a tavola come fuori, in tutta l'Argentina. 

Quando l'argomento fu esaurito e ognuno ebbe detto la sua, tranne io che mi sentivo ancora un po' fuori luogo, l'attenzione di tutti fu rivolta verso di me. Sam con un cenno del capo mi fece segno di parlare e dopo un momento di esitazione lo feci. 

"Io sono Brittany Pierce, di New York" 

A quella dichiarazione sembrarono tutti piuttosto sorpresi, anche se la maggior parte di loro era chiaramente di origini non argentine come me, capii che volessero conoscere il motivo che mi aveva portata lì. 

"E cosa ci fa qui, Brittany Pierce di New York, nel bel mezzo di una guerra civile a migliaia di chilometri da casa sua?" chiese Kurt per tutti. 

"Sono una reporter. Sono venuta qui insieme al mio collega Blaine perché l'Argentina sta cercando di bloccare le fughe di notizie e al di fuori nessuno sa cosa stia succedendo" spiegai cercando di essere coincisa "A proposito, sapete dov'è Blaine?" chiesi poi speranzosa. 

Tutti scossero la testa dispiaciuti. Non riuscii a trattenere due grosse lacrime che raggiunsero il mento e si unirono. Era tutta colpa mia e ora non potevo fare altro che piangermi addosso e sperare. Mi sentii osservata ma nessuno prese la parola e per alcuni minuti mangiammo in silenzio. 

"Forse ti starai chiedendo dove ti trovi" disse Quinn dopo un po'. Io annuii immediatamente così lei si schiarì la voce e iniziò a raccontare. 

"Tre anni fa circa quelle che erano state sporadiche sparizioni hanno cominciato a diventare sempre più frequenti. La situazione ha cominciato a peggiorare, le persone muoiono o scompaiono senza che nessuno possa farci nulla. Tra i primi desaparecidos politici c'erano i Lopez, in quanto tra i principali esponenti di sinistra. Il dottor Lopez era inoltre il primario dell'ospedale dove ci troviamo ora, o meglio nei sotterranei. I Lopez avevano una figlia molto giovane e determinata che ha dato inizio a tutto questo. Ha cominciato a reclutare giovani disposti a rischiare la propria vita per salvare più persone possibili e ha fatto di questi sotterranei il rifugio dell'organizzazione"  

"Ed eccoci qui" concluse Sam. 

Rimasi un attimo immobile, Quinn raccontava davvero bene e quella storia era davvero interessante. Sentii il bisogno di prendere appunti e l'abitudine mi portò a tastarmi il fianco alla ricerca della borsa. La borsa. 

Il panico mi offuscò la mente, in quella borsa c'era tutto. C'era il materiale di quella settimana e tutti i miei appunti, annotazioni, foto, contatti utili. In quella borsa c'era tutto. 

Gli altri mi stavano guardando confusi dal mio comportamento.  

"Avete mica trovato una borsa? Grande, a tracolla, marrone..." tentai ma tutti scossero la testa dispiaciuti, per la seconda volta quel giorno. 

"Santana aveva una borsa quel giorno! Me lo ricordo perché mi era parso strano, le borse ci rallentano e rallentare ti può costare la vita" provai il desiderio di abbracciare Puck. Quel barlume di speranza mi fece tornare la vecchia Brittany ottimista. 

"È questa Santana che mi ha salvato?" volli sapere e Quinn annuì. 

"Devo ringraziarla e chiederle se ha visto Blaine!" esclamai soddisfatta di avere un obiettivo e una pista da seguire. 

I miei nuovi amici, però, non sembravano dello stesso parere. Si scambiarono occhiate prudenti e preoccupate facendomi chiedere cosa avessi detto di male. 

"Forse è meglio se ci parla Puck" disse Mercedes rivolta a me ricevendo il consenso degli altri.  

Perché? Non conosce la mia lingua? È superiore, non merito di parlare con lei? Non capivo per quale motivo Puck ci potesse parlare mentre io no. 

"Santana è la figlia dei Lopez di cui ti parlavo. È il capo qui e ha molte responsabilità, troppe per una ragazza della nostra età. Tende ad attribuirsi la colpa delle inevitabili perdite che subiamo, in più dopo tutti questi anni non sa ancora che fine abbiano fatto i suoi genitori così si è sempre più chiusa in se stessa" concluse Quinn, esauriente e coincisa come mai ne avevo conosciuti. Era nata per raccontare. 

"Nella migliore delle ipotesi sono morti" aggiunse Puck facendomi inarcare le sopracciglia. Nella migliore? 

"Meglio morti che torturati" si spiegò lui con tono grave, come improvvisamente consapevole della gravità della situazione. 

"Perché tu puoi parlarle?" chiesi all'argentino dopo un po', incapace di trattenere la curiosità e forse un po' di gelosia. 

"Stiamo insieme" rispose lui, serio. Gli altri a quell'affermazione si scambiarono delle eloquenti occhiate e poi scoppiarono a ridere improvvisamente e sonoramente. Sorrisi anch'io, anche se quella battuta non faceva così ridere. Probabilmente loro condividevano un'informazione a me sconosciuta perché anche l'impeccabile Quinn non riusciva a smettere di ridere. 

Quando tutti si furono ripresi e le lacrime asciugate, Puck ancora compiaciuto per la sua battuta si decise a spiegarmi la situazione. 

"Sono come un fratello per lei. Eravamo vicini di casa e quando, una notte, hanno portato via i suoi genitori ho fatto tutto il possibile per aiutarla. Da quel momento quelle poche volte che si apre lo fa con me, anche se sempre più raramente" l'atmosfera era tornata seria. 

"E pensare che una volta eravamo migliori amiche" aggiunse Quinn, più a se stessa che a noi, con uno sguardo triste. 

In quel momento sentii una mano appoggiata dolcemente sulla spalla destra e mi voltai, era Tina. Si era cambiata e aveva un aspetto decisamente migliore. 

"È meglio non esagerare" mi sussurrò per poi chiedere a Sam se mi portava in camera. In effetti ero davvero stanca ma troppo presa dalle novità per accorgermene. 

Salutai tutti e mi avviai alle scale con Sam che con una della sue forti braccia mi aiutava a stare in piedi. Poi mi prese con entrambe e mi portò senza difficoltà. Rimanemmo in silenzio per un po', finché non mi decisi a fargli la domanda che mi tormentava. 

"Dici che non posso proprio parlare con Santana? Mi ha salvato la vita e poi preferirei farle io quelle domande" ammisi a bassa voce. Lui mi sorrise comprensivo mentre svoltava nella stanzetta. 

"Ne parlerò con Puck, di solito Santana non accetta di parlare con estranei ma chissà" disse posandomi delicatamente sul letto. 

Sentii immediatamente la stanchezza avere il sopravvento ma con la lucidità rimasta riuscii a chiamare Sam. Lui si voltò, entrava una luce strana dalla finestra che illuminava il suo volto in attesa che parlassi. 

"Che giorno è oggi?" 

"Il 16 marzo 1979" rispose divertito per poi farmi un cenno e scomparire. 


/ Mi sono dimenticata di dirvi che il titolo è preso dal testo di "Don't Cry For Me, Argentina", che tra parentesi è cantata da Kurt e Rachel in Glee, e letteralmente significa "non mantenere le tue distanze". Love, Gre_At /

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


/ Hey there, eccoci con il secondo. Vi ho fatto aspettare un po' troppo per i miei gusti e mi scuso! Fatemi sapere e grazie ancora a chi ha recensito il primo dandomi la voglia di impegnarmi in questa storia. Anticipo già che ho qualche idea su come continuarla ma nulla è certo perciò accetto volentieri suggerimenti e critiche costruttive. E nulla, vi amo/
 

Quei giorni passarono molto più velocemente dei precedenti, pranzavo sempre con gli altri e restare sveglia mi costava molta meno fatica. Conobbi altri ragazzi che abitavano lì come me, alcuni feriti, ma per lo più parlai con Tina, Sam, Puck, Mercedes, Kurt e Quinn. Erano fantastici e trovavano sempre il modo per farmi ridere e in poco tempo mi sentii parte di quel gruppo di ragazzi coraggiosi. Mi parlarono delle loro imprese, Puck forse un po' esagerando, delle persone che avevano salvato e di come loro stessi erano stati salvati. La storia di Kurt mi colpì particolarmente. Era arrivato circa un anno prima con una missione umanitaria, da Washington. Stava aiutando un gruppo di bambini nella periferia di Buenos Aires con alcuni dei suoi colleghi quando degli uomini armati li avevano visti. Quinn mi spiegò che era preso di mira chiunque aiutasse la popolazione argentina e così era successo a loro, avevano aperto il fuoco colpendoli tutti all'altezza delle gambe e poi li avevano caricati sul cassone di una jeep. Alcuni avevano reagito ed erano stati freddati sul posto. Durante il viaggio un amico di Kurt, un certo Dave, l'aveva buttato giù dal mezzo per salvarlo ed aveva funzionato, aveva strisciato fino in un vicolo dove Mercedes e Tina l'avevano trovato sanguinante. Kurt mi disse che non avrebbe mai dimenticato quel gesto e che l'essere l'unico sopravvissuto l'aveva spronato ad andare avanti e aiutare più persone possibili. Ricordo che lo ammirai molto, prendere con filosofia quello che era successo non doveva essere stato facile. 

Passò un'altra settimana prima che mi fu concesso un colloquio con l'irraggiungibile Santana Lopez. Nel frattempo la spalla si era riassestata quasi del tutto e la maggior parte delle bruciature era praticamente scomparsa anche se nell'insieme non dovevo avere un bell'aspetto. Sam mi aveva detto che ora avevo un aspetto più vissuto e minaccioso, facendomi ridere.

Tina mi aveva procurato dei vestiti comodi, simili a quelli che usavano loro e finalmente quel giorno non mi sentii fuori luogo. La gamba era immobilizzata solo nella parte inferiore permettendomi di camminare quasi normalmente. Quel giorno scesi le scale che portavano nel salone da sola con Sam che preoccupato assisteva alla scena. 

"Dopo pranzo ti porto da Santana" 

Fu Puck a darmi la notizia. Gli sorrisi mentre masticavo della carne non proprio tenera, ma ormai ero abituata al cibo del rifugio. 

Finalmente avrei potuto chiedere notizie sulla mia borsa ma soprattutto su Blaine che era ancora là fuori chissà dove e chissà in che condizioni. Mi costrinsi a pensare positivo. Deve essere vivo, Blaine se la sa cavare. 

Mangiai più velocemente del solito e aspettai con ansia che Puck concludesse la discussione con Tina. Da quanto avevo capito c'era stato l'ennesimo rapimento, questa volta nella zona opposta della città rispetto all'ospedale. Si alzò faticosamente e dopo un paio di rampe mi spiegò perché, si era ferito quella mattina durante una fuga. 

"Spiegami dove devo andare e torna subito da Tina a farti medicare" gli dissi con un tono che non ammetteva repliche. 

"Sì, mamma" rispose lui facendomi ridere. Ero già affezionata a quel ragazzone e sapevo che avrebbe trascurato la ferita. Una volta convinto ad andare subito da Tina mi feci spiegare dove si trovava Santana. Prima di andarsene mi fece moltissime raccomandazioni su come avrei dovuto comportarmi con lei, a quanto pare non doveva essere una persona molto socievole. Per nulla scoraggiata mi avventurai nei corridoi dell'ospedale attenta a non perdermi. 

Naturalmente mi persi. Cosa ti aspettavi? In effetti ero stata troppo spavalda, conoscendomi avrei dovuto accompagnare Puck indietro e trovarmi un'altra guida. Il senso d'orientamento non è mai stato dalla mia parte, chiedete pure a tutti i miei amici. Ormai me ne sono fatta una ragione ma quel giorno, presa da quell'improvvisa indipendendenza, non ci avevo pensato. Non mi era neanche passato per la testa che non avrei avuto speranze. Non riesco ad orientarmi neanche nel quartiere in cui vivo da quando sono nata, cosa mi è passato per la testa? Quando capii che prendermela con me stessa non mi avrebbe aiutato, cercai delle indicazioni. In fondo quello era un ospedale e solitamente negli ospedali ci sono dei cartelli, delle frecce o qualcosa del genere. Beh, evidentemente in Argentina non avevano bisogno di cartelli. Sbuffai arrendendomi all'evidenza, quei corridoi erano tutti uguali e l'unica informazione che appresi, da una scritta sbiadita, fu che mi trovavo al secondo piano. 

Mentre passeggiavo, ormai arresa e abbastanza inquieta, un rumore attirò la mia attenzione. Non capii subito cosa fosse ma si faceva sempre più distinto, finché lo scontro con l'origine del frastuono sembrò imminente. Mi guardai intorno spaventata, poi la vidi. Era Tina che correva spingendo una barella cigolante. Sopra una persona. Non distinsi altro. Appena mi vide sterzò ma non si fermò, mi fece segno di seguirla così cominciai a correre al suo fianco. 

"Ha bisogno di un'operazione, gli hanno sparato all'addome direi tre volte" 

"E lo operi tu? Qui?" le chiesi. In fondo quello era un ospedale abbandonato. Un conto era accogliere e curare il più possibile le persone, un conto è operarle. 

"Sì e gli altri sono usciti, ti dispiace assistermi?"  

A quel punto mi fermai. Non tanto per la proposta, per quanto sconvolgente, ma per una fitta alla gamba rotta. Cazzo. Presa dal momento mi ero completamente dimenticata di avere una gamba rotta ed ero riuscita a stare dietro a Tina, rallentata dalla barella. Il dolore si fece sentire tutto insieme. Mentre ero appoggiata al muro valutai la richiesta di Tina. Io? Io che aiuto ad operare una persona? Impossibile. Poi però pensai a quell'uomo, pensai che forse fosse giunto il mio momento di aiutare io qualcuno. 

Così, con la gamba che ancora urlava per il dolore, raggiunsi Tina che era entrata in una delle tante stanze. 

"Metti i guanti" disse lei subito, già intenta a studiare le ferite.  

Cercai di non pensare a nulla ma non potei non ricordarmi che di certo non fossi la persona giusta, sono sempre stata molto impressionabile. 

"Per fortuna era qui vicino e l'ho portato subito qui, altrimenti non avrebbe avuto nessuna possibilità di sopravvivenza" 

Messi i guanti mi avvicinai, molto titubante. 

"Cosa devo fare?"  

"Ho già estratto due proiettili. Prevedo lesioni interne, dobbiamo aprire e ricucire. E sperare che questo ambiente sia rimasto almeno un po' sterile" mi disse mentre cercava qualcosa in una delle vaschette. 

Si voltò di nuovo dalla mia parte, estrasse il terzo bossolo e mi fece segno di passarle il bisturi che si trovava sulla mia sinistra. Glielo passai sempre più terrorizzata. Ricordo perfettamente quei momenti, penso che l'immagine di Tina che incide la pelle tra gli addominali abbastanza scolpiti come se fosse burro non mi abbandonerà mai. 

In quel momento, come una vera e propria apparizione divina, una ragazza entrò dalla porta e si avvicinò. 

"Mi hanno detto che eri da sola" 

"Già ma poi ho incontrato Brittany" il dibattito fu interrotto da uno schizzo di sangue che mi investì in pieno. Ovviamente, la solita fortunata. Non resistetti oltre e uscii da lì, chiunque fosse quella ragazza sarebbe stata sicuramente più di aiuto che me e poi stavo decisamente per vomitare. Corsi senza pensare, avevo bisogno di un bagno. Per la prima volta quel giorno la fortuna sembrò essere a mio favore, arrivai alla fine di un corridoio e lessi la scritta "toilette" alla mia sinistra. Davanti a me però vidi una porta a vetri che mi fece esitare. All'improvviso la curiosità e la voglia di uscire all'aria aperta dopo tutto quel tempo mi fecero passare la nausea. Poi però mi ricordai del sangue che avevo addosso ed entrai nel bagno. Mi sciacquai la faccia, tolsi il camice che per fortuna Tina mi aveva fatto indossare e i guanti. Per miracolo non c'era sangue sui vestiti, ad eccezione di qualche goccia sui pantaloni. Mi costrinsi a non pensare a quello a cui avevo appena assistito e uscii nel terrazzo. 

Fu una sensazione bellissima. In un solo istante tutte le preoccupazioni, le immagini che mi tormentavano, il dolore della mia gamba trascurata scomparirono. 

Era quasi aprile ormai e l'aria lo testimoniava. Non era più l'aria pungente di quando ero arrivata in Argentina ma non era neanche l'aria caldo-umida che caratterizza le estati sudamericane. La temperatura era semplicemente perfetta. Dalla posizione del sole intuii che doveva essere pomeriggio inoltrato. Mi appoggiai alla ringhiera arrugginita e lasciai che quella sensazione mi pervadesse. Non saprei bene come spiegarlo, era come uscire da una scatola dopo tanto, troppo tempo. 

Piano piano però tornai alla realtà. Buenos Aires si estendeva davanti a me, relativamente vicina e non potei non pensare che Blaine fosse là fuori. Riuscii a non farmi sovrastare dalle preoccupazioni come succedeva sempre più spesso, mi limitai a godermi il momento e la meravigliosa vista. La città non traspariva il momento critico che l'Argentina stava passando, era tale e quale alle illustrazioni sulla guida che avevo comprato prima di andare lì. E questa era la prova che quella guerra aveva ben poco di militare, e troppo di politico. 

Chiusi gli occhi, alzando il volto verso il sole e svuotai la mente.  

Ripensandoci non saprei dire da quanto tempo lei fosse lì, fatto sta che quando aprii gli occhi non ero più sola. 

Era voltata dalla parte opposta a me e i suoi capelli corvini mossi dal vento coprivano il suo volto. Dato che non accennava a girarsi mi presi la libertà di osservarla meglio. 

Ero quasi sicura che fosse la ragazza entrata durante l'operazione, per quanto poco l'avessi guardata prima di scappare da quella stanza. Aveva anche lei abiti comodi e mani rovinate, tipici degli abitanti del rifugio e mi chiesi perché non l'avessi mai vista. Probabilmente se mi fossi concentrata un attimo avrei potuto intuirlo ma in quel momento ero fin troppo intenta ad osservarla.  

Si voltò all'improvviso, con un lieve sorriso, e interruppe il silenzio. Io spostai lo sguardo colpevole sperando di non essere stata colta in fragrante. 

"Sei portata per la chirurgia mi dicono" disse ridendo appena, come per non volermi offendere troppo ma incapace di trattenersi. 

Continuai a guardare davanti a me e risi anch'io, la mia però era una risata liberatoria. 

"Ti hanno riferito bene, è solo che oggi ho mangiato pesante" replicai seria, per poi voltarmi verso di lei.  

Scoppiammo a ridere entrambe, poi mi venne in mente il motivo per cui ero scappata lì. 

"Come è andata?" 

"Bene, Tina è bravissima. Figurati che riesce ad operare in quelle condizioni"  

Tirai un sospiro di sollievo. 

"Io sono Brittany" le tesi la mano, lei la prese e finalmente ebbi il coraggio di guardarla in faccia. Non saprei come descriverla se non perfetta, assolutamente perfetta. A distanza di anni non ho ancora trovato un aggettivo più adatto. Inoltre non ebbi tempo di fare altre considerazioni perché il suo nome mi scosse notevolmente. 

"Santana Lopez" 

Non riuscii a nascondere lo stupore. Finalmente. Eppure c'era qualcosa che non andava. La Santana Lopez che avevo di fronte mi stava stringendo la mano sorridendomi e da come mi era stata descritta qualcosa non quadrava. 

Ero talmente intenta a fare quelle riflessioni guardando i suoi occhi disarmanti quando mi accorsi che le stavo ancora stringendo la mano. La lasciai di scatto, imbarazzata ai massimi storici facendola ridere, di nuovo. 

"Ti stavo aspettando nell'ufficio di mio padre, Puck mi aveva detto che volevi parlarmi" 

Riflettei un attimo se raccontarle tutto o meno e poi mi decisi. 

"Mi stava accompagnando ma poi ho visto che era ferito alla gamba così l'ho convinto a spiegarmi la strada e ad andare da Tina" a quelle parole fece una smorfia preoccupata e mi sentii in dovere di rassicurarla. 

"Non penso sia nulla di grave e poi l'hai detto tu stessa, Tina è bravissima" e mi presi la libertà di poggiarle una mano sulla spalla. Lei sembrò convinta così continuai a raccontare. 

"Solo che mi sono persa, avrei dovuto aspettarmelo. Mi succede spesso" dissi suscitando in lei una risata "Poi è arrivata Tina che mi ha chiesto di aiutarla e il resto lo sai" 

Rimanemmo un attimo in silenzio, semplicemente a studiarci. 

"Grazie Santana, perché senza di te io non sarei qui" scandii bene le parole fissandola negli occhi per trasmetterle tutta la mia gratitudine. 

Lei sorrise un po' imbarazzata per poi riprendersi. 

"Faccio quello che posso" mi rispose "E no, non ho visto il tuo amico quando ti ho trovata" aggiunse anticipando quella che sarebbe stata la mia prossima domanda. 

La tristezza con cui combattevo da giorni tornò a galla e unita al senso di colpa di cui non riuscivo a liberarmi mi fece venir voglia di piangere. 

"Mi dispiace, Brittany" fu il suo turno di rassicurarmi, appoggiando la sua mano sulla mia spalla. Quel parallelismo mi provocò un sorriso. 

"Però ho una buona notizia, domani a pranzo ti porterò qualcosa che ti appartiene" mi rivolse un ultimo sorriso complice e rientrò nel labirinto. 

Non mi mossi se non per rispondere al suo sorriso, non accennai un saluto, non le feci nessuna delle domande provocate da lei e da tutto quello, non mi voltai neanche a vederla andar via. Mi limitai ad aspettare il rumore della porta che si richiudeva dietro di lei per poi tirare un sospiro di sollievo. E così quella era Santana Lopez. Quelle due versioni mi confondevano: la Santana descritta da Puck e gli altri, la Santana che avevo appena incontrato. Erano come il bianco e il nero, presi seriamente in considerazione l'idea che avesse una doppia personalità. 

Decisi che fosse inutile pensarci, la spiegazione a ciò non sarebbe arrivata da sola. 

Mi costrinsi a non pensare più a lei e ancora una volta mi resi conto di non sapere da che parte andare. Guardai dove prima si trovava Santana e pensai che probabilmente era stata un'allucinazione. Probabilmente oltre ad essermi rotta la gamba avevo anche dato una forte botta in testa. Probabilmente avevo parlato da sola. Gli avvenimenti di quel pomeriggio erano offuscati, dovetti fare mente locale parecchie volte prima di convincermi che non ero pazza. Dovevo parlare con qualcuno però, quella ragazza mi aveva fatto uno strano effetto. Forse mi aveva ipnotizzato con quei occhi profondi. Risi rendendomi conto dell'assurdità di quei pensieri, probabilmente ero solo stanca. 

Tornai alla realtà, il sole stava tramontando e la gamba protestava per tutte quelle ore in piedi. Entrai nell'edificio e percorsi il corridoio. Destra o sinistra? Mentre valutavo le due opzioni notai una porta socchiusa davanti a me e l'aprii curiosa. Era una normalissima stanza d'ospedale, un letto al centro e una poltroncina vicino alla finestra. La stanchezza mi convinse a sedermi sul letto, decisamente più comodo del mio nei sotterranei. Presi il cuscino impolverato, evidentemente inutilizzato da anni, e lo sbattei. Lo rimisi al suo posto e senza rendermene conto mi ci addormentai.

 

 "Brittany" 

"Uuhm" quel letto era così comodo e stavo dormendo così bene. 

"Brittany" ripeté qualcuno. Odio essere svegliata, beh credo che tutti odino essere svegliati. Aprii gli occhi decisa a farla pagare a chiunque avesse osato... 

"Ehy" era Sam e aveva un espressione così dolce. 

"Ehy" risposi semplicemente. Poi realizzai di essermi addormentata lì. 

"È tutta la mattina che ti cerchiamo, non farlo più" mi disse sedendosi sul letto. 

"Non so orientarmi in questo cazzo di posto" borbottai con la voce ancora impastata dal sonno provocando la sua risata. 

"Dai, ormai è quasi ora di pranzo. Andiamo giù"  

Il collegamento fu immediato: pranzo, Santana, borsa. 

"Senti, potrei farmi una doccia? Ne ho davvero bisogno" 

Sembrò sorpreso dalla richiesta, probabilmente l'igiene non era una delle prime preoccupazioni lì. 

"Al massimo ti possiamo offrire un lavandino, c'è un bagno in fondo al corridoio" 

"Va bene, credo anche di saperci arrivare" 

"Aspetta, arrivo subito" e uscì. 

Mi misi seduta, la stanchezza e la confusione del giorno prima erano sparite quasi del tutto. Ormai mi ero arresa al fatto che volevo rivedere quella ragazza, volevo sapere di più rispetto alle parole di Quinn. Ma la mia priorità rimaneva Blaine, trovarlo e magari portarlo al rifugio per poi decidere il da farsi. 

Stavo fantasticando su come sarebbe stato far parte di quei ragazzi con Blaine, aiutare le persone e far finire la guerra insieme quando Sam ricomparve con un asciugamano e un foglietto che posò sul letto. 

"Il sapone ci dovrebbe essere, ci vediamo giù" mi fece l'occhiolino e, prima che potessi fargli notare che mi sarei persa di nuovo, se ne andò di nuovo. 

Sbuffai e presi il foglietto. Un sorriso mi venne spontaneo, quella era una mappa accurata dell'ospedale fatta da Sam. Lo ringraziai mentalmente e andai verso il bagno. 

Mi specchiai, ero in condizioni pietose. Gli ultimi segni delle bruciature non aiutavano ma una bella lavata mi avrebbe sicuramente resa un'altra persona. 

"A noi due" dissi rivolta allo specchio con il sapone in mano. 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


/ Ehy. Innanzitutto volevo dirvi che non mi sono dimenticata di voi ma in questo periodo la scuola è davvero stressante. E non solo lei, comunque non voglio tediarvi con i miei problemi. Sappiate che farò il possibile per aggiornare più frequentemente possile. Ogni recensione è senza dubbio gradita, buona (spero) lettura /
 

"Por algo serà, por algo serà. Non sanno ripetere altro" stava dicendo Kurt mentre giocherellava con l'insalata nel piatto. 

La mia misera ed insignificante conoscenza dello spagnolo era lievemente migliorata stando lì, ma non abbastanza da capire di cosa stesse parlando il ragazzo. Non ero mai stata granché con le lingue. Quinn come al solito decifrò per prima il mio sguardo. 

"Significa: per qualcosa sarà. È la frase con cui gli argentini giustificano le sparizioni, sapendo che non gli conviene intromettersi" mi spiegò con una punta di disprezzo. 

Ero a pranzo nel sotterraneo come al solito, quel giorno con me c'erano Kurt, Quinn, Sam e Mercedes. Dopo che mi ero lavata come meglio avevo potuto nel bagno del secondo piano, ero scesa nel salone guidata dalla mappa di Sam. 

Probabilmente non verrà. Ormai avevo finito di mangiare già da un po' ma di Santana nemmeno l'ombra. 

"Alla fine sei riuscita a parlare con Santana?" sussultai a quella frase, cercando di non dare nell'occhio. Quinn la doveva smettere di leggermi nel pensiero. 

"Sì" risposi semplicemente, testando la sua curiosità. 

"E come è andata?" la anticipò Kurt. 

"Bene direi, abbiamo parlato e..." risposi tentando inutilmente di reprimere un sorriso. 

"E il tuo amico?" 

"Ah sì, Blaine. Non l'ha visto" tornai immediatamente seria. 

"Avete parlato di cosa?"  intervenì Mercedes, chiaramente incuriosita. 

"Beh sai... Cose" in quel momento non ricordavo assolutamente nulla degli argomenti di conversazione mentre le immagini erano impresse benissimo. Mi sembrava quasi di vederla, quei denti perfetti in contrasto con la pelle scura e quei occhi. Brittany riprenditi, stai sbavando. "Nulla in particolare" aggiunsi tentando di non sembrare una completa idiota. Cosa mi sta succedendo? Dovevo avere una faccia da tossica.

"Santana!" esclamò Quinn, guardando un punto dietro di me.  

All'inizio non capii, ancora intenta nell'autopsicoanalizzarmi, poi vedendo la bionda agitare la mano mi voltai. Santana ci stava venendo incontro. Era vestita come il giorno prima ma aveva qualcosa di diverso. Ci misi un po' a capire che aveva i capelli legati mentre il giorno prima svolazzavano incorniciandole il volto. 

"Ehy" salutò lei brevemente, abbastanza imbarazzata. 

"Ciao!" risposi ancora metabolizzando che lei fosse realmente lì. 

Ci fu un momento di imbarazzante silenzio che per fortuna Quinn interruppe, forse con un pizzico di amarezza. 

"Erano secoli che non ti si vedeva da queste parti" 

Quando rispostai lo sguardo sulla latina, l'incertezza era scomparsa. Era tornata la ragazza sicura di se del giorno precedente. 

"Ho portato la borsa a Brittany. Di solito non faccio il fattorino ma questa borsa sembra importante" disse, liberandola dal collo e passandomela. 

"Grazie" le sorrisi davvero riconoscente, quella borsa era importante eccome. Conteneva tutto il mio lavoro fino a quel momento. Mio e di Blaine. Foto, appunti, testimonianze del periodo che avevamo passato in città, passando le notti in posti sempre diversi. 

Provai l'impulso di abbracciarla, dovevo tutto a quella ragazza. Probabilmente era la riconoscenza che mi portava a pensarla sempre. Così decisi di non frenarlo, in un attimo il mio mento fu sulla sua spalla e le mie braccia intorno al suo collo. Esagererei dicendo che rispose all'abbraccio dato che si limitò a cingermi con un braccio ma fui comunque contenta. 

"Finalmente qualcuno che sa di pulito" commentò quando  la lasciai andare, concedendomi un breve sorriso. Sembrò indecisa sul da farsi, poi parlò. 

"Quando la gamba ti sarà guarita andiamo a cercare il tuo amico, ti va?" senza darmi il tempo di rispondere fece un breve cenno agli altri e sparì al piano di sopra. 

Non vedo l'ora. Tornai a sedermi ignorando gli sguardi tra l'attonito e il pettegolo dei miei amici. 

 

"Wow, devi stare davvero simpatica a Santana" riconobbi la voce di Quinn e mi voltai. 

Le sorrisi non sapendo bene cosa dire. Ripensai a quello che mi aveva detto Quinn un po' di tempo prima, che lei e la latina erano migliori amiche prima che si chiudesse in se stessa. 

"All'inizio ero un po' gelosa, lo ammetto. Non riesco a comunicare con lei per anni e poi arrivi tu e mi sembra di rivedere la San del liceo" disse. Si sedette ai piedi del mio letto dove stavo leggendo, senza molto risultato, una rivista in spagnolo. Tina mi aveva detto che volendo mi sarei potute trasferire in una delle stanze dei piani alti, dato che erano più grandi, ma fino a che la gamba non sarebbe guarita del tutto era meglio che rimanessi lì. 

Ero indecisa su cosa dire. A dire la verità Quinn mi metteva un po' in soggezione, era sempre così saggia e da quando avevo scoperto che aveva la mia stessa età non potevo che ammirarla. 

"Dici?" in effetti me l'ero chiesto anch'io il motivo per cui con me si comportasse diversamente da come la descrivevano gli altri. 

"Aspetta, non ho finito. All'inizio ero gelosa, poi ho capito che non posso che essere felice se grazie a te ha trovato un po' di serenità"  

Davvero? Davvero io, Brittany Pierce, ero capace di migliorare la vita di una persona? Da una parte avrei voluto convincermene, dall'altra continuavo a pensare a Blaine che era chissà dove per colpa mia. E mi sentivo in colpa perché se fosse stato davvero come diceva Quinn, io stavo migliorando la vita di una sconosciuta invece che essere là fuori a cercare il mio migliore amico. Era anche vero che Santana mi aveva salvato la vita ma in quel momento, quello che aveva fatto il ragazzo per me in quei anni, mi sembrava più rilevante. Tutto sembrava essersi ridotto a una scelta. Blaine o Santana?  

"Quando la gamba ti sarà guarita andiamo a cercare il tuo amico, ti va?" aveva detto! Lei era stata più lungimirante di me. In quel momento che senso aveva scegliere tra loro due? Quando finalmente uscii da quel delirio Quinn non c'era più. Avevo un piano o meglio, una parvenza di certezza.  Dovevo migliorare la vita di Santana e una volta in forma andare con lei a cercare Blaine per poi farmi perdonare e non lasciarlo mai più.  

 

"Ok, ora prova ad alzarti" mi disse Tina. 

Feci forza sulle braccia e provai a muovere qualche passo. Sorrisi alla ragazza per farle capire che era tutto apposto, la gamba perfettamente guarita. Finalmente mi ero completamente ripresa ed ero decisamente di buon umore. Tina mi abbracciò brevemente quasi commossa e si congedò. Mi piegai testando la gamba e poi mi ributtai sul letto. Non sapevo cosa fare. 

Era passata una settimana da quando Santana si era offerta di accompagnarmi a cercare Blaine ma poi non si era più vista. In quei giorni avevo pensato più volte di andarla a cercare ma non volevo essere invadente, così mi ero limitata a chiedere sue notizie agli altri. Ma neanche loro sapevano nulla, in realtà non l'avevano proprio più vista. Però ora la mia gamba era guarita e la latina mi mancava. 

Rimisi tutte le mie carte nella borsa, stavo aggiornando il mio taccuino con quello che i miei amici mi raccontavano. Finalmente anch'io sarei uscita a procurarmi il materiale da sola, con o senza Santana. Decisi di non portarmi tutto dietro e presi solo un piccolo taccuino a spirale e due penne e misi tutto in una delle larghe tasche dei pantaloni. Infilai gli anfibi e presi una felpa blu girocollo. La infilai e mi feci una coda alta. 

Improvvisamente l'idea mi sembrò molto stupida, non avevo la minima idea di dove sarei andata e perdersi a Buenos Aires in quel periodo non era esattamente auspicabile. Avvertire qualcuno sarebbe stato inutile dato che non sarei stata in grado di dire dove ero diretta, l'unica era andare con qualcuno. Così mi convinsi a cercare Santana. Forse fino a quel momento non l'avevo fatto perché speravo mi cercasse lei, forse Quinn mi aveva dato false speranze. Uscii dalla mia stanzetta e mi diressi al terzo piano dove si trovava quello che una volta era l'uffico del padre di Santana. Naturalmente presi la mappa di Sam dato che avevo ancora qualche problema a orientarmi.

Feci le prime due rampe di scale quasi di corsa, poi mi ricordai che forse non era il caso di sforazare già la gamba e rallentai. Ero stranamente agitata se ripensavoa a quello che stavo per fare anche se il motivo non mi era ben chiaro. Naturalmente incontrai Quinn, la cosa non mi sorprese per nulla. Quella ragazza me la ritrovavo ovunque.

"Sai dov'è Santana?" le chiesi prima che lei potesse dire qualsiasi cosa.

"No, prova al terzo piano" rispose lei cortese ma con un sorrisino che non mi fermai a decifrare.

Arrivai al piano con il fiatone, era quasi un mese che il mio massimo sforzo era arrivare nel salone. Mi resi conto che non sapevo quale fosse la porta e in quel punto la mappa di Sam si faceva un po' confusa. Percorsi il corridoio, identico a quelli sottostanti, in cerca di una scritta o qualcosa. Lo sconforto arrivò quando ormai il corridoio era quasi terminato e fu proprio allora che vidi la magica scritta "Dr. Lopez". Speranzosa bussai brevemente ma con decisione. L'agitazione mi irrigidì, trattenni il respiro per qualche istante e poi mi arresi all'evidenza. Sbuffai delusa e mi guardai intorno. Dovevo immaginarmelo.

Tornai sui miei passi e all'improvviso mi venne un'illuminazione. Il terrazzo.

Qualcosa mi diceva che lei era lì, in più non mi vennero molte altre idee. Scesi le due rampe di scale e feci il corridoio sforzandomi di non correre. Aprii la porta a vetri di slancio e ancora una volta rimasi delusa. Lei non era nemmeno lì. Forse avrei fatto prima a trovarmi un altro accompagnatore ma se Santana l'avesse saputo... Lo vedevo un po' come un tradimento e non volevo che lei si sentisse tradita. D'altra parte non potevo tenere conto di quelle stronzate data la situazione. Mi godetti il vento e la vista per qualche istante poi mi voltai ed ebbi un sussulto.

"Scusa, non volevo spaventarti" probabilmente la mia faccia doveva essere abbastanza sconvolta. Mi sforzai di sorridere e di riprendermi, non ero pronta a trovarmela davanti così. Senza preavviso.

"Mi hanno detto che mi cercavi" Quinn, naturalmente.

"Sì, come vedi la mia gamba sembra reggere e mi chiedevo se il tuo invito fosse ancora valido" dissi tutto d'un fiato.

"Certo, sarei venuta a cercarti oggi" a quelle parole sorrisi più del dovuto, significava che non si fosse dimenticata. Mi persi ancora una volta in quei occhi, bellissimi. Per non parlare del resto del viso, dei capelli, del...

"Allora andiamo" interruppe la mia ammirazione. Dovevo decisamente darmi una calmata. Annuii convinta.

Allora lo fai apposta. Stavo lottando per non pensare troppo al fatto che Santana Lopez fosse lì con me e lei cosa fa? Mi prende per mano! Cazzo, c'è un limite a tutto.

Sentii un calore indesiderato sulle guance e sperai che non si voltasse. Mi stava guidando verso delle scalette al margine del terrazzo che non avevo mai notato, aprì un cancelletto e mi lasciò una mano. Da una parte tirai un sospiro di sollievo, dall'altra sentii come un vuoto.

La seguii tenendomi alla ringhiera fatiscente, finalmente fuori.

Ci ritrovammo in un piazzale evidentemente abbandonato, quella doveva essere l'uscita secondaria. Intorno la vegetazione tipica dell'America settentrionale stava avendo il sopravvento. Ci infilammo in un sentiero e, sempre in silenzio, arrivammo in una piazzetta.

"Passeremo per delle vie poco frequentate, io sono ricercata e tu attiri troppo l'attenzione" decretò mentre mi giudava in uno dei tantissimi vicoli della periferia della città. Ovunque stessimo andando ero in completa balia di Santana, già dopo un paio di svolte non sarei stata in grado di tornare indietro.

Il clima non era propriamente quello che ci si aspetta nel bel mezzo di una guerra. Forse perché la gente, come avevano detto Quinn e Kurt a pranzo, faceva finta di nulla e speravano solo che non succedesse qualcosa a loro. Quei pochi argentini che incontrammo, infatti, avevano un'aria più che altro indagatoria. Santana proseguiva velocemente, voltandosi ogni tanto per vedere se qualcuno ci stesse seguendo. Io, dal canto mio, non sapevo se provare a fare conversazione fosse una buona idea. La latina sembrava così concentrata che non avrei voluto distrarla in nessun modo così mi limitai a seguirla. Capii che non stavamo cercando Blaine, non lì per lo meno. Santana aveva una meta e mi chiesi quale fosse. È solo questione di tempo, Brittany, non essere impaziente. Mi sembrò di sentire le parole di mia madre quando la sommergevo di domande.

Non so dire esattamente quanto tempo passò ma dovevamo esserci avvicinate al luogo designato dal modo in cui Santana si fece più prudente. Ad un tratto si fermò di colpo bloccandomi con un braccio. Cercai di capire cosa stesse succedendo mentre lei mi faceva nascondere il più possibile in un portone. Vidi due uomini vestiti uguali e feci due più due. Sentii distintamente il cuore della latina battere fortissimo, ero letteralmente spiaccicata su di lei. I due proseguirono nella strada perpendicolare a quella in cui ci trovavamo noi fino a scomparire dalla nostra vista. Santana liberò un sospiro che aveva trattenuto per tutto il tempo e mi lasciò andare. Non feci neanche in tempo a formulare la domanda che lei mi annuì grave. Quegli uomini erano quelli che la cercavano, gli stessi che avevano preso i suoi genitori e tutto gli amici di Kurt e altre centinaia e centinaia di persone innocenti. La vidi riprendersi e riacquistare decisione per poi sorridermi e riprendere il cammino. Probabilmente la prontezza di Santana aveva salvato la vita a entrambe. Percorremmo la via nel verso opposto ai due uomini e svoltammo a sinistra, in una ancora più piccola. Persi di vista Santana per un attimo, poi vidi i suoi capelli spuntare da terra. Aveva sceso delle scalette e mi aspettava davanti a una massiccia porta in legno, che un tempo doveva essere stata verniciata di blu. Bussò forte due volte, ritrasse la mano e bussò altre quattro. Pensai che la combinazione fosse terminata ma mi sbagliai, bussò una volta e poi altre due. Finalmente udimmo il rumore di un chiavistello che si apriva, mentre la latina continuava a guardarsi intorno circospetta.

Sbarrai gli occhi vedendo che era proprio Kurt ad aver aperto che con l'altra mano teneva qualcuno fino a quel momento dietro di lui. Si spostò e immediatamente i miei occhi si aprirono ancora di più dalla sorpresa, era Blaine. Ebbi un tuffo al cuore. Ancora incapace di qualsiasi reazione spostai prima lo sguardo su un ragazzo orientale a me sconosciuto e poi su Santana che guardava un punto oltre la mia testa.

"Dopo i convenevoli o è la volta che ci beccano" disse spingendomi dentro per poi rivolgermi un bellissimo sorriso soddisfatto.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Avete presente quando hai la netta sensazione che stia per accadere qualcosa di brutto e puntualmente accade, ed è anche più brutto di quanto temessi? Benissimo, io avevo quella sensazione. Ma ripartiamo da dove eravamo rimasti.

Avevo ritrovato Blaine e anche abbastanza intero, con qualche cicatrice nuova ma non era rimasto coinvolto come me. Mi scusai con lui talmente tante volte da dimenticare il motivo per cui mi scusavo. Lui naturalmente cercò di rassicurarmi e ricambiò sorridente tutti i miei abbracci. Smisi di piangere solo dopo parecchi minuti, soprattutto perché mi ricordai della persone che ci stavano guardando. Eravamo in una sorta di salotto in quella che era una specie di succursale dell'associazione di Santana. Era un appartamento con le finestre al livello della strada e, per forza di cose, oscurate. Mi feci raccontare tutta la storia, di come il mio migliore amico fosse finito lì.

"Quando mi sono accorto di averti persa stavo per tornare indietro ma in quel momento ho sentito la granata, o quello che era, esplodere. Per fortuna una colonna portante mi ha fatto da scudo. Ho aspettato a vedere se succedeva ancora qualcosa ma la situazione sembrava essere tornata tranquilla e sono tornato indietro a cercarti"

"Non l'avresti mai trovata. Dopo tutti questi anni ho un certo colpo d'occhio ma Brittany era talmente coperta di macerie che probabilmente ci saresti passato accanto senza vederla" intervenne Santana, seduta accanto a me su un divanetto che aveva visto giorni migliori.

Non lo disse per darsi delle arie, quella era la pura verità. Pensai a quanto fossi stata fortunata. Ad essere stata salvata da lei, e ad averla conosciuta.

Feci segno a Blaine di proseguire.

"Ho vagato un po' e poi ho trovato l'uscita. Non mi rimaneva altro che sperare che tu fossi viva, se fossi rimasto lì  probabilmente mi avrebbero preso e non avrei avuto più speranze di ritrovarti. Tutti i negozi e i portoni erano chiusi e non c'era anima viva in giro. In quella zona sapevo abbastanza orientarmi, dato che avevamo fatto un sopralluogo in quella parte di città il giorno prima, ma non sapevo dove andare. Trovai una specie di locale con la saracinesca mezza aperta e decisi di rischiare, bussai" bevve un sorso d'acqua dal bicchiere. Approfittai di quella pausa per appoggiare la testa sulla spalla della latina che non sembrò avere nulla in contrario. Sorrisi vedendo Kurt che guardò Mike, così si chiamava il ragazzo orientale, come a dire "te l'avevo detto". Probabilmente quest'ultimo non gli aveva creduto riguardo al cambiamento di Santana di cui mi aveva parlato Quinn.

O forse avevo frainteso tutto.

"Per fortuna sbucò Will da lì sotto, un uomo gentilissimo a cui decisi di raccontare la mia storia. Lui mi disse di non conoscere i propri genitori e di essere stato adottato da una coppia argentina. Abbiamo fatto una passeggiata fino a quando un uomo l'ha visto e ha cominciato ad urlare. Ci ha inseguiti e dopo un po' ha aperto il fuoco su Will colpendolo alla schiena per poi scappare. Non so perché l'abbia fatto, Will prima di perdere conoscenza ha fatto solo in tempo a dirmi di portarlo all'ospedale abbandonato. Non capii come portarlo in un ospedale abbandonato avrebbe migliorato la situazione ma obbedii"

"Non mi stupirei se quell'uomo avesse sparato senza motivo, o per una sciocchezza. Ormai è questa la routine" commentò amara Santana, la quale mi aveva passato nel frattempo un braccio intorno alle spalle. Blaine annuì e riprese a raccontare. Dovevo ammettere che tra lui e Quinn se la giocavano come narratori.

"Arrivato non seppi bene cosa fare. Optai per lasciare Will in vista e provare a chiedere aiuto urlando da dietro un muretto. Arrivò una ragazza asiatica che portò subito il mio amico dentro. Sperai di averlo lasciato in buone mani e stavo per andarmene quando Mike, che stava uscendo in quel momento, mi vide. Aveva una faccia affidabile e non scappai. Gli dissi come erano andate le cose e lui mi offrì un posto sicuro dove stare" mentre concluse allargò le braccia come ad indicare l'appartamento.

"Qualche giorno dopo Mike mi avvertì che un certo Blaine era nostro ospite e dato che non è un nome molto frequente a Buenos Aires, ho fatto due più due" aggiunse la latina.

"E Will è quell'uomo che sarebbe morto dissanguato se fosse stato per te, Tina mi ha raccontato della tua propensione per la chirurgia" disse Kurt, facendomi l'occhiolino. Sorrisi, un po' in imbarazzo.

"Per fortuna che c'è Santana Lopez" disse la ragazza facendomi ridere.

"Metà di questa città ti deve la vita San" le risposi e senza guardarla seppi che stava sorridendo un po' imbarazzata. Incredibile quanto si possa conoscere una persona in così poco tempo.

"Sarà quasi buio, è il momento di tornare alla base" ruppe il momento di silenzio lei, alzandosi. Uff. Provai una sensazione di vuoto, sarei potuta stare seduta tra le sua braccia per tutta la vita. Ok, Brittany, stai esagerando. Mi riscossi dai miei dialoghi interiori e mi venne in mente che avrei dovuto separarmi un'altra volta da Blaine.

"Posso rimanere qui, oppure Blaine vieni con noi" proposi.

"No Britt, è meglio se tu tieni d'occhio Santana e io ormai sono sistemato qui" mi fece sorridere il mio migliore amico, guardai Santana. Anche lei se la ridacchiava.

"Se la situazione domani è tranquilla magari veniamo lì per pranzo, altrimenti il prima possibile senza rischiare" parlò Mike, forse per la prima volta.

Annuii e saltai al collo di Blaine, se lo doveva aspettare perché mi prese al volo. Lui e Mike ci accompagnarono alla porta.

Uscii affiancata da Santana e mi voltai in tempo per vedere Kurt che lasciava un piccolo bacio a Blaine prima di seguirci, la porta si richiuse dietro di lui.

"Mi sa che manca una parte della storia" commentai, ridendo con Santana. Nonostante la penombra, vidi le guance di Kurt diventare rossissime.

 

Non c'era stato bisogno di parole. Non parlo di Kurt che, borbottando qualcosa in modo buffo, si era congedato appena arrivati a quella che in quel periodo consideravo casa. Mi riferisco al fatto che né io né Santana avevamo sonno, così capii che non dovevo fare altro che seguirla. Non che non sapessi quale fosse la meta, che infatti indovinai. O quasi.

Infatti mi aspettavo che mi portasse nel terrazzo del secondo piano, ormai il nostro rifugio, ma non ci fermammo lì. Quell'incosciente di una latina mi fece arrampicare nel buio quasi completo su una scaletta appoggiata al muro, vicino alla porta a vetri. Inutile dire che ne valse la pena.

"Qui vengo sempre nelle notti serene" spiegò brevemente, non mi sfuggì il luccichio del suo sorriso nella penombra.

Ci trovavamo sul tetto dell'ala più bassa dell'ospedale. Santana prese quello che identificai come materasso da sotto un telone, probabilmente lo teneva lì affinché non si bagnasse, e lo ribaltò per terra.

"Usalo tu, io mi metto in terra"

Mi avvicinai per vedere quanto fosse grosso, in effetti era singolo ma non ci pensavo proprio a lasciarla sdraiare sul cemento.

"Ma no, ci stiamo benissimo" mi sdraiai e battei la mano sul materasso invitandola ad imitarmi.

Lei sembrò un po' titubante ma poi si sedette vicino a me e si sdraiò incastrando le nostre curve alla perfezione. Buenos Aires all'epoca non era ancora luminosa come ora e le stelle da lì erano uno spettacolo. Quasi mi dimenticai di avere Santana al mio fianco, quasi appunto. Decisi di dover agire perché ormai da un bel po' di tempo la mia vita era stata sconvolta dalla sua presenza. Nessuno mi aveva mai fatto sentire così solo standomi accanto, uomo o donna. Alzai il braccio sinistro e iniziai ad accarezzarle i capelli. Ero talmente concentrata in quell'azione che dopo un po' mi resi conto che non stavo respirando e dovetti prendere l'aria tutta insieme rumorosamente. O almeno così sembrò a me, sperai che lei non si fosse accorta di nulla. Ecco, vedete? Quello è l'effetto che mi fa Santana ancora adesso, mi toglie il fiato. Comunque, tornando a noi, lei non sembrò infastidita così continuai. Inutile dire che i suoi capelli erano decisamente i più morbidi che io avessi mai toccato. Una volta che mi fui tranquillizzata e che i miei polmoni sembrarono obbedire, tornai alla contemplazione del cielo. Dovevano essere passati pochi minuti, che a me erano sembrati un'eternità.

"Raccontami qualcosa di casa tua, Britt" mi chiese senza preavviso. Concentrati, Brittany, casa tua.

"Ehm, non saprei. Blaine è il mio coinquilino,abbiamo un appartamento vicino alla redazione"

"Vi volete molto bene" sorrisi pensando a quanto fosse vero.

"Sì ci siamo conosciuti al liceo, quando io ero un po' emarginata e lui gay dichiarato in una scuola non troppo aperta di periferia"

"Tu, emarginata? Ma se saranno stati tutti in coda per uscire con te"

L'ha detto davvero o l'ho solo immaginato? Sperai fosse la prima.

"Decisamente no. Tutti mi consideravano strana" risposi mentre le mie guance non accennavano a tornare della temperatura normale.

"Allora non capivano nulla"

"Tocca a te raccontare ora" le dissi, ancora un po' lusingata dalla sua affermazione.

"Quinn e Puck non ti hanno raccontato nulla?" tipico di lei, eludere le domande personali.

"Qualcosa, ma preferirei sentirlo da te"

"Scusa se non ti ho detto subito di Blaine" cambiò argomento per l'ennesima volta. Perché non si apriva con me non lo riuscivo a capire. Da una parte capivo che solo essere sdraiata accanto a lei fosse un onore, qualcosa che non avrebbe concesso a molti. Forse a nessuno, chiusa a riccio com'era. La conoscevo da poco ma più mi avvicinavo a lei, più mi rendevo conto dell'enormità dei suoi complessi. Probabilmente il muro, o meglio, i muri non si sarebbero mai abbattuti. Non potevo permettermi di pensarla così, se davvero fossi stata la prescelta come diceva Quinn dovevo riuscire in quella missione.

"Tranquilla, sei ufficialmente la mia eroina" sdrammatizzai, magari così avrei sciolto la tensione.

Lei ridacchiò ma non rispose.

"Voglio aiutarvi, San. Voglio fare qualcosa di utile per l'organizzazione, per la città"

"Di solito non faccio coppia con nessuno. Appostamenti e salvataggi li faccio sempre da sola, però se vuoi qualche volta puoi accompagnarmi. Naturalmente quando non è una situazione rischiosa" sorrisi, la sua preoccupazione era qualcosa di tenerissimo.

"In ogni caso, sarai più produttiva se ti lascio andare a dormire" aggiunse poi, mi sembrò più disinvolta rispetto a prima. Forse perché non avevo più insistito per tirarle fuori qualcosa su di lei.

"Ma si sta così bene qui, San" ed era vero, non solo l'aria era appena appena fresca ma pensai di non volermi mai più muovere da lì. Senza vederla mi accorsi che sorrise a quel capriccio.

Poi, con un movimento fluido, si alzò e mi porse la mano per tirarmi su. Senza preavviso mi trovai faccia a faccia con la latina, a una manciata di centimetri dal suo viso. Sentii il suo respiro sulla mia pelle e i suoi occhi sbarrarsi quasi nella penombra.

Sentii il mio cuore accelerare a tal punto che doveva per forza sentirlo anche lei. Nessuna delle due si mosse. Non saprei ben definire quello che successe in quel momento, quello che provai. Forse consapevolezza, forse in quel preciso istante tutte le riflessioni sconclusionate fatte in quelle settimane da quando avevo conosciuto Santana avevano trovato una logica.

E, sempre forse, fu quell'improvvisa conspevolezza che mi spinse a fare quel gesto. Baciai quelle labbra immobili, soffici, piene e calde con una dolcezza che pensavo di non possedere. Sentii un brivido che scese fino a farmi tremare le gambe. Vidi i suoi occhi aprirsi, se possibile, ancora di più. Tutto ciò avvenne in un paio di secondi ma ricordo ancora tutto, a distanza di anni. E non mi sono mai pentita di averlo fatto. Quello di cui mi sono pentita, e mi pentirò per sempre, è quello che ho fatto dopo.

Infatti, subito dopo averla guardata negli occhi, scappai. Letteralmente. Mi volta nel panico, la consapevolezza improvvisamente svanita. Scesi le scalette miracolosamente in piedi, spalancai la porta e corsi.

 

Certo, era stato uno sbaglio. E io ero stata una cogliona. Le avevo passato la palla metaforica del nostro rapporto senza darle neanche il tempo di giocarla. Ma non fu quella la catastrofe di cui vi parlavo prima. Quella notte rientra ancora nella quiete prima della tempesta. Forse parlandovi quasi costantemente di Santana vi ho distolto dalla situazione generale, dal fatto che ci trovavamo in una città in guerra. O meglio, in una nazione in guerra.

La mattina dopo mi ero svegliata, cioè mi ero alzata dato che non avevo praticamente chiuso occhio, e avevo capito di dover parlare con lei. Sicuramente dovevo scusarmi per quella cazzata, per essere scappata soprattutto. Ero scesa nel salone praticamente a tentoni, stranamente affamata. Sam mi diede qualcosa in un piatto ma ero troppo scoinvolta per capire cosa fosse, così lo ingurgitai senza molte cerimonie. Doveva essere qualcosa di particolare perché quando gli diedi in dietro il piatto ringraziandolo senza entusiasmo sembrò offeso. Ma, a dirla tutta, non me ne poteva importare di meno di lui in quel momento. Io volevo vedere Santana. Decisi di tornare di sopra, non avevo voglia di parlare con nessun'altro, ma naturalmente incontrai Quinn. Chiaro. Ogni, ma dico ogni, volta che succedeva qualcosa di cui non volevo parlare con nessuno, Quinn era lì.

Le sorrisi poco convinta e continuai per la mia strada.

"Ma cosa avete tutte oggi? Ho visto prima Santana che usciva ed era messa peggio di te. A cosa giocate, a chi ha più occhiaie?"

La sua allegria mi infastidì, non vedeva che ero disperata?

"Non ho dormito molto bene in effetti" le dissi con un tono piatto mentre svoltavo nella mia camera.

Lei mi seguì e si appoggiò allo stipide, osservandomi con quegli occhi indagatori tipici di lei.

"E va bene, siediti che è una storia lunghetta" sbuffai arresa. Avevo seriamente bisogno di parlare con qualcuno, perché non la saggia Quinn? Le dissi tutto, non tralasciai neanche le sensazioni che provavo. Lei non sembrò particolarmente stupita, mi lasciò finire e fece un'espressione quasi felice.

"Non so se dovrei dirtelo ma… Hai presente il primo giorno che sei scesa nel salone? Puck si era presentato come il fidanzato di Santana e tutti noi avevamo riso, il motivo non è solo che non lo è mai stato ma che non lo sarà mai. Diciamo che nessun ragazzo lo sarà mai" disse con tono eloquente. Naturalmente io non capii, non mi erano mai piaciuti i giri di parole.

"Santana è lesbica"

"Oh" dissi solo.

"Questo non cambia granchè ma vedi… Se tu per caso le piacessi come lei piace a te forse potrebbe finalmente trovare un motivo per cambiare, per uscire dal guscio e riprovare ad essere felice"

"Devo trovarla" dissi più a me stessa che a lei.

In quel momento arrivò Sam che fece segno a Quinn di andare con lui, lo sentii bisbiglarle qualcosa nel corridoio e poi andarsene.

Quinn tornò da me con uno sguardo strano, si sedette sul letto vicino a me e mi abbracciò.

"L'hanno presa" disse soltanto, cominciando a singhiozzare. Fu quello il momento in cui mi cadde il mondo addosso.



/ Ehy c:
Lo so, sono in ritardo, il capitolo non è particolarmente lungo ed è finito pure male. Il fatto è che un po' manca il tempo e un po' l'ispirazione. L'ultimo capitolo non ha ricevuto recensioni e la cosa mi ha reso un po' triste. Grazie comunque a tutti quelli che seguono la storia, a cui dedico tutto l'impegno possibile. Alla prossima /

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Non ebbi tempo di elaborare la notizia, e così tutti gli altri. Nessuno di noi pensò anche solo per un secondo di piangersi addosso ed arrendersi ai fatti. Dovevamo liberare la latina ad ogni costo. Personalmente non riuscivo a pensare ad altro. Mai nella mia vita avevo incontrato qualcuno come lei, qualcuno di così introverso e affascinante. Santana era un mistero e il mio scopo era diventato svelarlo, giorno per giorno. E ora lei era là, nel commissariato di Buenos Aires, insieme ad altri innocenti. Ma io non potevo perderla, l'avevo appena trovata.

"È troppo rischioso, finirà che ci prenderanno tutti. E allora sì che sarebbe la fine" disse Kurt, ragionevole.

Nessuno dei piani fino a quel momento ideati aveva speranza di riuscire.

Erano circa tredici ore che discutevamo tutti intorno a un tavolo nel salone sotterraneo, da quando la notizia era arrivata. I visi dei miei amici erano molto provati, quella non doveva essere la prima perdita ma tutti tenevano a Santana più di quanto lei credesse.

Ero esausta, fisicamente ma anche psicologicamente. Presi una tazza, che adesso chiamerei vintage, e mi versai del caffè nero. Avevo bisogno di ragionare, elaborare in solitudine. Inoltre non avrei potuto aiutare gli altri più di come avevo fatto in quel momento, così li informai che avrei preso una pausa e salii al secondo piano. Certo, andarci da sola non faceva lo stesso effetto ma il nostro terrazzo era il luogo ideale in quel momento.

Il sole era tramontato già da un po', rimaneva solo un lieve bagliore all'orizzonte. La città era poco illuminata, per niente in alcune zone. Mi sentivo come svuotata e sentii il bisogno di sedermi, così decisi di andare sul materasso di San. Lo ritrovai sotto il telo, probabilmente lo aveva sistemato dopo la mia fuga. Mi ci sedetti appoggiando la schiena al muro e mi concentrai su quella meravigliosa bevanda calda che riportava un po' di ordine nella mia testa. Chissà cosa le stanno facendo. Una parte di me mi faceva pensare al peggio, l'altra cercava disperatamente di aggrapparsi ad una speranza invisibile. Perché loro avevano preso la mia San e io non sapevo cosa fare.

Neanche mi accorsi del suo arrivo. In momenti come quello di solito mi sarei aspettata di vedere Quinn sbucare da un momento all'altro ma quella volta non fu così.

"Eccoti bellezza"

"Ehy"

Si sedette accanto a me e per un po' rimanemmo in silenzio, io bevendo il caffè e lui fumando.

"Qualcuno si è preso una bella cotta eh"

Mi girai tentando di apparire perplessa, in realtà sapevo benissimo a casa si riferisse.

"Dai Britt, conosco Santana e ormai conosco anche te"

"Io non le piaccio" con la coda dell'occhio vidi che sorrise.

"Cos'hai da ridere?"

"Voi lesbiche siete strane"

"Io non sono lesbica" ribattei indignata, facendolo solo più ridere.

"Sarà, in ogni caso sei strana. Credevo che Quinn ti avesse aperto gli occhi"

"Tu e Quinn stavate tipo complottando alle nostre spalle" dissi fintamente offesa.

Scoppiammo entrambi a ridere e mi persi di nuovo a scrutare il panorama finché il ragazzo ruppe il silenzio.

"Vuoi una sigaretta? Forse ti chiarirà le idee"

Accettai un po' titubante, gli ultimi tentativi di fumare risalivano al liceo. Questo mi fece tornare in mente che non avevo più parlato con Blaine, non c'era stato un momento tranquillo per stare tra migliori amici.

"In ogni caso lei non c'è più" affermai facendo il primo tiro, non ricordavo fosse così soddisfacente ma comunque non attutì quella consapevolezza.

"Ehy dolcezza, guardami" soffiò lui insieme al fumo prendendomi il mento con una mano e costringendomi a guardarlo negli occhi.

"Santana è lì fuori e non aspetta altro che essere salvata" detto ciò si alzò ma prima di tornare dentro mi fece un sorrisino.

"Magari da te"

Era incredibile come Puck riuscisse sempre a farmi tornare ottimista e sorridente, in effetti lei mi aveva salvato. Ora tocca a me, San.

 

La caserma era come una fortezza inespugnabile. Ogni accesso sembrava protetto anche più del necessario.

Certo, era pur sempre accessibile al pubblico ma per forza di cose nessuno si avventurava all'interno.

L'idea fu di Quinn, e un po' mia a dire il vero. Il punto era che da soli non ce l'avremmo fatta, avevamo bisogno di aiuto. E chi meglio dei terroristi?

L'unico problema era come convincerli che attaccare la caserma di polizia avrebbe giovato ai loro interessi. Spiegargli la nostra storia non avrebbe aiutato, l'associazione di Santana non era dalla loro parte ma voleva solo la pace. In più quelle persone erano molto pericolose.

Dovevamo fare leva sul loro orgoglio e la situazione in quel momento era favorevole. Infatti molti criticavano i ribelli dicendo che in realtà fossero dalla parte dei dittatori, che facessero solo finta di opporsi e che pensassero solo ai propri interessi. Ormai quella teoria si stava diffondendo molto nelle radio, ormai anche in quelle neutrali.

Così mi venne l'idea, dovevamo diffondere tramite una delle radio un messaggio rivolto ai gruppi armati. Dopo molte discussioni decidemmo per: "Se davvero siete contro la dittatura, la destra, le persone scomparse, torturate e uccise senza motivo dimostratelo. Nelle celle della caserma della capitale ci sono molti dei vostri compagni che hanno combattuto al vostro fianco e che avete abbandonato al loro destino, insieme a persone che non c'entrano nulla. Altrimenti non sarà che una conferma delle ultime voci".

Speravamo che fosse convincente e che i gruppi armati volessero ristabilire la propria fama. Se avessero assaltato la caserma Santana e altri innocenti sarebbero stati in pericolo ma fummo tutti d'accordo che quella fosse l'ultima soluzione e che non avevamo tempo da perdere.

 

Completammo il piano il giorno dopo il rapimento di Santana, al tramonto. Non rimaneva che far trasmettere il messaggio e aspettare. Si offrì Sam che conosceva la sede segreta di una delle radio, nessuno mi spiegò perché.

L'atmosfera alla base era pesante, soprattutto tra gli amici di Santana ovvero quelli con cui avevo legato di più. Non c'era nessun piano b, doveva funzionare.

Mangiammo in silenzio come mai era successo. Dopo cena sintonizzammo una radio nella mia camera, dato che nel salone sotterraneo non avrebbe ricevuto segnale. Si susseguirono alcuni messaggi dettati frettolosamente in spagnolo, a me incomprensibili. Non ebbi il coraggio di rompere il religioso silenzio per chiederne a qualcuno il significato. Mi limitai a guardare il pavimento come tutti gli altri. Io, Quinn, Tina e la radio eravamo sul letto. Mercedes, Kurt, Blaine e Puck sul pavimento.

Il messaggio fu trasmesso ben due volte, una a mezzanotte e una alle tre. Sam era tornato e ci aveva detto che non potevamo fare più nulla, se non aspettare la prossima mossa dei terroristi. Ognuno era tornato nella propria stanza rivolgendomi alcuni un cenno, alcuni accennando ad un "Buonanotte". Quinn e Tina mi avevano abbracciato affettuose, forse bisognose loro stesse di un po' di calore umano.

Rimasta sola i pensieri mi avevano sommerso. Io, Brittany Pierce, in mezzo a tutto quello. Fino ad un mese prima ero una normalissima tirocinante di un normalissimo giornale di New York. Ed eccomi lì, ad istigare attacchi terroristici in Sud America nel tentativo di liberare una ragazza della mia età. E in quel momento, rendendomi davvero conto di quanto fosse reale tutto quello, sprofondai in una specie di sconforto. Avete presente la sensazione? Mi salvò Blaine che, una volta che tutti se ne furono andati con la radio, si intrufolò nel mio letto e mi strinse finché non mi addormentai. Poco prima di cadere nel sonno sorrisi, salvarmi dai momenti bui era una sua specialità.

 

Il giorno dopo fu silenzioso come il precedente e l'umore all'ospedale abbandonato non era migliorato. Ognuno se ne stava per conto suo, o almeno io incontrai poche persone.

Scesi a colazione abbastanza presto, tenuto conto che mi ero addormentata grazie a Blaine ad un'ora imprecisata dopo le tre, quando era stato trasmesso il messaggio esca. Il mio corpo non doveva essersi ancora reso conto di aver saltato entrambi i pasti del giorno precedente. Infatti mi dovetti costringere a mandare giù un paio di gallette insieme all'indispensabile caffè. Dopo fui tentata di chiedere a Puck di procurarmi delle sigarette, data la situazione non mi sembrava una cosa troppo scandalosa ma poi desistei pensando che stavo già prendendo il vizio del caffè. Così tornai in camera. A proposito, avevo deciso di rimanere nella stanzetta sopra il salone, ormai c'ero affezionata. Mi decisi a lavorare un po', in fondo era per quello che mi trovavo in Argentina e non a casa a festeggiare la pasqua con la mia famiglia. In realtà non sapevo quando sarebbe stata pasqua quell'anno. In realtà non sapevo molto neanche che giorno fosse ma facendo due calcoli doveva essere aprile. In ogni caso presi la mia borsa, regalatami da mio padre per il diploma, e capii di dover trovare un posto tranquillo. Cercai inutilmente la mappa che mi aveva fatto Sam un po' di tempo prima, dovevo averla persa. Così optai per il terrazzo, ormai era una routine.

Sperai di fare due parole con qualcuno ma non incontrai nessuno, persino Blaine era sparito prima che mi svegliassi.

Mi piazzai sul solito materasso, c'era un po' di vento ma mi face quasi piacere. Ormai le giornate non erano calde, ma quasi. Presi tutti i miei fogli e rilessi gli appunti presi fino a quel momento, prevalentemente prima di andare a dormire. Nei più recenti c'erano soprattutto cenni alle vite dei miei nuovi amici a cui avevo chiesto un po' la propria storia. Quasi nulla nella pagina di Santana. Per ora. Presi alcune annotazioni sugli ultimi avvenimenti e il tempo volò, come sempre quando lavoro. Adoro il mio lavoro. Riscrissi, evidenziai e aggiunsi annotazioni per tutta la mattina. Ma per quanto il mio lavoro mi distraesse non riuscivo a pensare ad altro che a Santana, alla caserma e ai terroristi che non agivano. Pensai che fosse sensato, che anche se avessero deciso di attaccare non l'avrebbero fatto dopo così poco tempo. Sapevo anche che il piano aveva buona probilità di riuscita dato che la loro reputazione era scesa notevolmente.

Senza rendermene conto avevo smesso di scrivere e avevo cominciato a fare degli schizzi. Mi avevano sempre detto che con pochi tratti riuscivo a rendere quello che volevo e fui abbastanza soddisfatta di quel ritratto della latina.


/Scritto in tre momenti diversi, mi sono dovuta obbligare a finirlo oggi dato che parto per una settimana. Odio la scuola che mi toglie tempo per scrivere ahah, uff. Spero abbiate passato e passiate delle belle vacanze. Grazie a tutti quelli che seguono la storia, siete fantastici. Alla prossima /

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


/ Ehy, eccomi. D'ora in poi spero di aggiornare con più frequenza, mi scuso per l'attesa. Detto ciò spero che il capitolo vi piaccia, fatemelo sapere e buona lettura /

Dopo due giorni ero davvero combattuta tra l'ansia e la disperazione. La prima perché aspettavo ancora che succedesse qualcosa in caserma, la seconda perché l'idea che non avrei più rivisto Santana si stava facendo spazio dentro di me. Vagavo per i corridoi, cercavo di sfogarmi scrivendo. Magari sul terrazzo, sempre più spesso con una sigaretta in mano. Ero circondata da persone ma non mi ero mai sentita così sola. E doveva essere così anche per gli altri. Potrei paragonare quell'angoscia a quella provata per Blaine poco tempo prima.

Poi, la notizia. Mercedes era l'incaricata ad ascoltare la radio quella sera e si precipitò nel salone, dove stavamo cenando, talmente veloce che rischiò di cadere un paio di volte sulle strette scale.

"Lo stanno assaltando in questo momento" gridò con il poco fiato rimasto. Tutti capimmo. Capimmo che il piano aveva funzionato ma anche che Santana era esposta ad un grave pericolo, e con lei molte altre persone.

"Vado io, in troppi daremmo nell'occhio. La cerco e nel casino la porto via" disse Puck, risoluto.

"Non ci pensare neanche, vengo anch'io" ribatté subito la bionda al suo fianco.

"È troppo pericoloso, Quinn" i loro sguardi in quel momento mi fecero pensare a qualcosa di diverso di un'amicizia ma non era il momento di pensare a quella cose.

"Sentite, tutti vorremmo andare ma sarebbe inutile. Inoltre dobbiamo agire subito, quindi Puck in quanto vice decidi le due persone che verranno con te perché non puoi andare da solo" la diplomazia di Kurt riportò un minimo di tranquillità.

Puck sembrò arrendersi. Mi guardò e io cercai di ricordargli con lo sguardo la nostra ultima conversazione sul fatto che io dovessi ricambiare il favore alla latina.

"Sam e Brittany" disse, aveva capito. Vidi tutti guardarsi in modo un po' sospettoso. Probabilmente non sapevano se io fossi la persona giusta, in realtà non lo sapevo neanch'io ma ormai avevo preso quella decisione. Nessuno comunque ribatté e io e Sam seguimmo Puck su per le scale.

Corremmo per il corridoio, poi salimmo e uscimmo dalla porta secondaria. Nel mentre Puck passò una pistola a Sam, il che mi fece capire che in quei giorni era sempre stato pronto. Io non provai neanche a chiedere, non avrei saputo cosa farmene di un'arma.

Ormai era quasi buio ma il motivo per il quale non c'era nessuno per strada era un altro, tutti cercavano riparo da quello che stava succedendo a casa propria. Corremmo a perdifiato per parecchi minuti, tanti da mettere a dura prova la mia resistenza. Ormai allo stremo rallentammo. Sam guardò dietro l'angolo e ci fece segno di proseguire. In quel momento una forte esplosione ci riempì le orecchie. Eravamo molto vicini e da lì in poi procedemmo molto più cautamente fino alla meta. Lo spettacolo che avevamo davanti non presagiva nulla di buono. Al posto dell'entrata e dell'atrio c'era un enorme breccia. Puck mi spiegò che l'attacco, ovvero la prima fase, era terminato. Ora sarebbero andati a recuperare i compagni nelle celle e ci sarebbe stato il corpo a corpo. Capii che non era ancora il nostro momento di agire. Osservammo la scena da un paio di incroci prima, nascosti tra i tavolini di un bar chiuso. Fu in assoluto la cosa più violenta a cui io abbia mai assistito. Inoltre le divise dei poliziotti mi confondevano. Infatti, per quanto dentro di me sapevo che fossero corrotti, vedere quegli uomini in divisa cadere a terra esanimi mi fece un brutto effetto e il ripetermi nella mia testa che quelli non fossero i poliziotti di New York non mi aiutò molto. Fin da piccola ho avuto molto rispetto delle autorità, soprattutto dopo quella volta in cui un poliziotto aveva salvato mio padre rischiando la propria vita. Ma questa è un'altra storia.

Non era ben chiaro chi stesse avendo la meglio ma gli assalitori sembravano essere riusciti ad entrare. Da una parte il terrore e la vista di tutto quel sangue umano mi dicevano di voltarmi, dall'altra volevo tenere duro per dimostrare a Puck di non aver commesso un errore scegliendomi. Guardai sia lui che Sam e notai che per quanto cercassero di nasconderlo, entrambi erano scossi.

Passarono i minuti, niente più esplosioni e sempre meno spari. Non seppi decidere se fosse un buono o un cattivo segno e nessuno osava parlare. Non ne potevo più di stare in quella posizione, accucciata in bilico tra le sedie di plastica.

Finalmente, dopo non saprei dire quanto, cominciarono ad uscire. E insieme a loro c'erano anche quelli che da lontano individuai come detenuti grazie alle divise. Non ci movemmo, non avevo ancora ben chiaro come avremmo agito ma pensai che fosse meglio limitarmi a fare quello che mi veniva detto. Alcuni dei prigionieri liberati camminavano con le proprie gambe, altri venivano portati in braccio. Nella penombra della sera mi sembrò di vedere dei capelli scuri lunghi ma non ne ero sicura, in più mi sembrava strano che ci fosse una donna tra loro. Continuai ad osservarla, un uomo la portava in braccio verso i veicoli che avevano lasciato a metà strada tra noi e la caserma. Poteva anche essere un ragazzo minuto ma quei capelli... Ebbi un sussulto, poteva essere lei? Cercai di pensare razionalmente ma il battito del mio cuore mi tradì.

"Quella è Santana?" sentì Sam chiedere alla mia sinistra.

Rimasi ad osservarla ancora un po', poi mi voltai verso di lui e annuii emozionata. Per quanto ci dividessero molti metri non avevo più nessun dubbio. Quella era la mia San e la stavano caricando su di un furgone. Scartai mentalmente molti scenari, ogni azione che potevo compiere appariva avventata ma era tutto questione di secondi.

"Non posso guardarli portarla via" disse Puck, esprimendo i miei stessi pensieri.

Detto ciò si alzò e si mise a correre. Io guardai Sam e ci scambiammo uno sguardo d'intesa prima di seguirlo.

I terroristi si accorsero di noi dopo pochi secondi e dalle loro facce vidi che non capivano cosa stessimo facendo. Nel dubbio ci puntarono i mitra contro, minacciosi. D'istinto tutti e tre alzammo le braccia ma non ci fermammo finché non fummo ad un paio di metri da noi.

E lei era lì, priva di sensi, sdraiata nel retro del furgone. Notai le pessime condizioni in cui si trovava ma poi mi sforzai di tornare a guardare gli uomini armati che mi stavano davanti.

Fu Puck a parlare, in spagnolo, e non capii praticamente nulla. La situazione era critica e noi tutti eravamo troppo scoperti. Quello che doveva essere uno dei capi si fece avanti e cominciò a discutere con il mio amico argentino. Il non capire cosa stessero dicendo mi faceva sentire totalmente impotente. Continuarono per un po', Sam intervenne una volta e così fecero anche alcuni dei loro. Poi vidi il volto di Puck distendersi un poco e udii un "Gracias", in pratica l'unica parola in spagnolo che conoscessi. Lo osservai avvicinarsi e prendere la latina mentre tutti gli altri lo osservavano senza abbassare le armi. Il ragazzo ringraziò ancora una paio di volte più si voltò verso di noi e cominciò a correre.

 

Non posso crederci. Eppure lei era lì. Priva di sensi, sporca, in una divisa sgualcita, piena di lividi e ferite ma era lì.

Mi sembrò così fragile che non mi avvicinai neanche, la osservai dal divano di fronte.

Eravamo nella succursale, l'appartamento dove abitavano Kurt e Mike. Ma Kurt e Mike non c'erano, così anche tutti gli altri. Durante l'assalto c'erano stati molti feriti e dopo aver portato lì Santana e avermela affidata erano andati a darsi da fare.

Così c'eravamo io su un divanetto e lei sull'altro. Dopo un po' non resistetti più, mi alzai e la guardai dall'alto. Mi persi come sempre ad osservarla. Anche in quelle condizioni era comunque bellissima, con quei capelli neri sparsi intorno alla faccia e quell'espressione un po' spaventata che aveva assunto in quel sonno agitato.

Le toccai la fronte con le labbra ed effettivamente era un po' calda così andai in cucina a cercare un panno da inumidire.

"Brittany" mi parve di sentire mentre l'acqua scorreva ma non ne fui sicura, tanto era stato fievole.

"Brit" questa volta più forte. Presi lo straccetto e quasi corsi in salotto.

"San" dissi vedendola con gli occhi aperti.

Dovevo avere un sorriso a trentadue denti  mentre mi sedetti vicino a lei senza smettere di guardarla.

"Tieni,  credo tu abbia un po' di febbre" le dissi mentre le posizionavo il panno.

"Come hai fatto a sapere che fossi io in cucina?"

"Le tue scarpe" rispose in indicandole con un cenno della testa.

"Giusto" ridacchiai "Posso fare qualcosa per te?"

"Oltre a salvarmi la vita ed essere così bella?" disse con un sorriso, ma senza guardarmi.

"Potrei dire lo stesso di te, sai?" ribattei con una sicurezza che stupì pure me stessa.

La vidi sorridere stancamente, lottare per tenere gli occhi aperti ma poi ricadere in un sonno profondo.

 

I giorni successivi furono monotoni e belli allo stesso tempo ma soprattutto stancanti. Infatti dovetti rimanere costantemente sveglia per assicurarmi che stesse bene. Quando si svegliava le davo da mangiare, da bere e parlavamo un po'. Qualche volta insistette per mettersi seduta per quanto vedessi che le costava fatica. Non le chiesi nulla, aspettai che fosse lei a raccontare e nel frattempo le dissi come erano andate le cose all'ospedale durante la sua assenza. Ma conoscendola non si sarebbe aperta così facilmente, soprattutto con ricordi che dovevano essere dolorosi.

"Vorrei fare una doccia" esordì circa una settimana dopo l'arrivo lì. Eravamo da sole in casa come al solito, anche se in quei giorni sia Blaine che Sam erano passati a farci visita.

Esitai un po' a rispondere dato che non aveva ancora provato ad alzarmi. Mi ricordava me i primi giorni alla base, con Tina che si occupava di me.

"Prima vediamo se riesci ad alzarti"

Così mi avvicinai e le presi le mani e lei con uno slancio e una smorfia di dolore mi fu di fronte.

"Mi sembra di vivere un déjà-vu" disse lei, divertita e per niente imbarazzata.

Io invece imbarazzata lo ero eccome.

"Mi dispiace di averti baciata l'altra volta" dissi guardando in basso.

"Senti Brittany" esordì lei, sempre a pochi centimetri da me, facendomi sudare freddo.

"Prima che tu arrivassi la mia vita era interamente consacrata alla missione, allo salvare vite e a capire come salvare la mia città e la mia nazione. Ignoravo i tentativi dei miei amici di farmi svagare un po' perché ormai ero caduta in un baratro da cui non vedevo la luce. Poi ti ho vista, su quel terrazzo, e da quel momento non riuscivo a pensare ad altro che al tuo sorriso e alle tue bizzarre idee. Perciò non scusarti di avermi baciata perché è stato tremendamente giusto ma scusati per essere scappata, per non avermi dato la possibilità di contraccambiare perché sarebbe stato il mio rimpianto più grande se non fossi sopravvissuta"

Alzai lo sguardo ormai appannato, mi osservava seria ma dolce.

Così decisi che quella volta l'avrei baciata ma non sarei scappata per nulla al mondo e così feci. Chiusi gli occhi e appoggiai le mie labbra sulle sue, lasciandole un leggero bacio. Quando la sentii rispondermi credetti che le mie gambe avrebbero ceduto per tutte quelle emozioni. Per non parlare di quando il bacio diventò molto più intimo e bagnato.

Dopo un po' mi accorsi che avrei dovuto respirare o sarei svenuta davvero così mi staccai malvolentieri ma felice come non mai. Aprii gli occhi e sorrisi, li aprì anche lei e sorrise. Fu davvero qualcosa senza paragoni, la sensazione fu quella di quando tutto è perfettamente al suo posto. Dopo qualche secondo fu lei ad avvicinarmi e quel secondo bacio non aveva nulla da invidiare al primo, io le circondai il collo e lei i fianchi. Stare in piedi doveva costarle molta fatica infatti tornò a sedersi sul divano e io la seguii. Tra un bacio e l'altro ci ritrovammo sdraiate e abbracciate a scambiarci enormi sorrisi.

"Era da tanto che non mi succedeva qualcosa di così bello" sussurrò tra i miei capelli e io le sorrisi sul collo.

"Niente doccia?" le chiesi.

"Nah, non mi alzerei per nulla al mondo"

Mi stavo quasi per addormentare felice tra le sue braccia quando qualcuno bussò la porta.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


/ Hope you enjoy c: /

"Chi cazzo è?" sbottò la latina mentre io riaprivo gli occhi controvoglia e tornavo alla realtà.

"Vado io" dissi alzandomi.

"Chiunque sia, è meglio che abbia una buona ragione per interrompere questo momento" disse lei mentre andavo verso la porta.

"Oh ciao Quinn!" la abbracciai, era da molto tempo che non la vedevo.

"Disturbo?" chiese mentre la facevo entrare.

"Parecchio" rispose acida la ragazza sul divano.

"San! Non essere scortese" la ammonii sorridendole. È vero, neanch'io avrei voluto interferenze, ma nulla avrebbe potuto scalfire la mia felicità in quel momento.

"Incredibile, ora lei può anche sgridarti?" le chiese divertita Quinn, vedendo che la latina si limitò a sbuffare.

"Vuoi un po' di the?" le chiesi, Sam ce ne aveva portato una bella scorta, anche se non avevo idea di come se se lo fosse procurato.

"Perché no? Grazie" mi sorrise andandosi a sedere di fronte a Santana mentre io andai in cucina.

"Senti Q io..."

"Era da un bel po' che non mi chiamavi così" sentii le loro voci mentre mi allontanavo.

"Non interrompermi, non è facile per me quello che ti sto per dire" mi incuriosii così misi in fretta l'acqua a bollire e mi appostai vicino alla porta. Cosa stai facendo? Non era per niente bello origliare ma qualcosa mi proibì di muovermi. Sapevo che non avrei dovuto farlo, lo sapevo. Eppure lo feci.

"...quindi in sintesi mi dispiace di come mi sono comportata questi anni. In fondo tu mi sei sempre stata vicina mentre io ti ho evitato" sentii dire alla latina.

"San non sono abituata a sentirti chiedere scusa, così mi farai piangere" rispose la bionda a metà tra il divertito e l'emozionato.

"Mi sei mancata" le sentii aggiungere e dal suono attutito intuii che l'avesse abbracciata.

"Ok ok, può bastare. Quindi mi perdoni?"

"Certo, a patto che tu ricominci da subito a trattarmi come una migliore amica"

"Non credo di ricordarmi come si faccia"

"Ti do un indizio, raccontami cosa sta succedendo con Brittany" sentii ridacchiare Quinn.

All'improvviso mi accorsi che non avrei potuto giustificare oltre la mia assenza così tornai in salotto con lo sguardo più innocente che seppi sfoderare.

Santana e Quinn erano sedute vicine.

"Mi aiuti a portare le tazze Quinn?"

"Certo" e poi rivolta alla latina "Non finisce qui" e le fece l'occhiolino.

 

In quei giorni sentivo che avrei potuto vivere solo di aria ma con aria intendo Santana.

Piano piano, giorno dopo giorno si riprese. I lividi assunsero vari colori fino al viola opaco, per poi scomparire. La stessa fine fecero le abrasioni, tranne un paio davvero brutte che la mia immaginazione non si riuscì a spiegare.

L'unica cosa che davvero non guarì fu proprio lei, anzi. La notte faceva sempre più incubi, la mattina aveva occhiaie sempre più livide.

È strana la mente umana. Un attimo prima ti sembra che tutto stia andando per il verso giusto, l'attimo dopo ti rendi conto che la situazione sta precipitando irrimediabilmente.

E cosa più frustrante, Santana comunicava ancora meno di prima.

Solitamente, dopo che si è appurato che l'interesse verso una persona sia reciproco, ci dovrebbe essere uno stadio di scoperta l'uno dell'altro. Forse il momento più bello di un rapporto. Ma non fu così.

"San, per l'ennesima volta, cosa c'è?"

"Sono stanca, possiamo rimandare a domani?"

"Non capisci quanto sia frustrante per me? Io vorrei aiutarti ma tu devi permettermelo"

"Non era mia intenzione coinvolgerti"

Che frase del cazzo. Calmati. Calmati.

"Io pensavo che avessi capito che con me puoi parlare di tutto"

La vidi pensierosa, per un attimo sperai che stesse cedendo.

"Sei una giornalista, non una psicologa. O sbaglio? In più tu non mi conosci, perciò non tentare di capire quello che non puoi neanche immaginare e non psicoanalizzarmi"

"Non ci vuole uno psicologo per capire che qualcosa non va" sentii le lacrime prima appannarmi la vista, poi prendere forma "E io non merito di essere trattata così da te" e infine scivolare fino alla gola mentre aggiungevo quelle parole.

Vidi la sua sicurezza incrinarsi, ma fu nulla in confronto a quello che stava succedendo dentro di me. Perché avevo vissuto in un'illusione in tutti i sensi.

"Perché non ti lasci andare? Perché non ti sfoghi? Devi fare qualcosa o ti consumerai"

"Appena potrò, tornerò all'ospedale e riprenderò la mia vita di prima"

"Non devi aiutare gli altri, San, ma te stessa. E ci stavi riuscendo! Prima ti sei un po' aperta con me, poi ci siamo baciate e poi ti sei riavvicinata a Quinn. Perché stai tornando al punto di partenza? Avevi detto che da quando mi conosci hai smesso di pensare solo alla missione e ora rieccoti pronta per accantonare la tua vita per rischiarla senza pensarci due volte"

"Ora sono io stanca, buonanotte. E cerca di non urlare troppo quando ti svegli da uno dei tuoi incubi" aggiunsi, un po' dura, prima di andare nella piccola camera.

 

La mattina dopo nessuna traccia di Santana. Uscii dalla camera e non la vidi sul divano. Feci il giro di tutte le camere prima di vedere il foglietto sulla porta.

Sono in ospedale, San c'era semplicemente scritto. Sbuffai contrariata e mi lasciai cadere sul divano.

Avevo decisamente bisogno di un po' di ordine mentale. Ero passata da 'ho una vita perfettamente normale e lavoro per un quotidiano' a 'sono a migliaia di chilometri da casa, nel bel mezzo di una guerra civile, per scrivere un articolo. Io e il mio migliore amico abbiamo rischiato la vita e ora facciamo parte di un'associazione segreta. Ah dimenticavo, mi piace una ragazza che tra parentesi è il capo attivista e la persona più complessata che abbia mai conosciuto'.

Un bel passo, direi. Rimasi seduta a fissare nulla in particolare. Tutti i ricordi che precedevano la mia partenza per Buenos Aires mi sembravano così lontani, quasi non mi appartenessero.

Cazzo cazzo cazzo. Ero bloccata lì. Avrei voluto andare anch'io alla base ed aggiornarmi sugli ultimi avvenimenti ma il mio pessimo senso d'orientamento non me lo permetteva. Così ero relegata il quell'appartamento, illuminato solo da luce artificiale, con troppi pensieri e una bella scorta di the.

 

"Ehy Britt" sentii mentre qualcuno mi scrollava la spalla.

"Mmh" emisi infastidita.

Mi sfregai gli occhi e li aprii lentamente.

"Santana" decretai, con un tono poco amichevole.

Il bacio arrivò inaspettato, e dolce.

"Buongiorno" mi disse.

Nonostante tutto sorrisi, con gli occhi ancora mezzo chiusi.

Allungai le braccia e lei non si fece attendere, si sdraiò accanto a me abbracciandomi per non cadere. Mi dovevo essere riaddormentata sul divano.

"Mi sembri di buon umore" le feci notare.

"Non ti sfugge niente" mi rispose ridacchiando e strofinando il suo naso sulla mia mandibola e poi sul collo.

"Il fatto è che ora tutto mi è chiaro, ha ragione Quinn. Non è un caso che io ti abbia conosciuto, io avevo bisogno di te"

Non so se fu il sonno o colpa sua, ma non capii cosa intendesse.

"La felicità che mi provochi compensa la profonda tristezza che provo continuamente, dovuta a un sacco di motivi che conto di spiegarti prima o poi" sentii il suo tono incupirsi.

"In più, forse forse, la dittatura sta per finire. Fonti abbastanza affidabili" disse poi seria guardandomi negli occhi e io non potei che sorriderle speranzosa.

 

"La città è tranquilla da sei giorni di fila"

"Si stanno riprendendo dallo smacco alla caserma"

"Ci pensate? Se sta finendo veramente?"

"Non montiamoci la testa"

"Ha ragione Kurt, non dobbiamo abbassare la guardia"

Tutti erano euforici all'ospedale, la svolta sembrava vicina e soprattutto possibile.

Eravamo al solito tavolo al piano sotterraneo, io e San eravamo andate lì per pranzare con tutti gli altri.

Certo, se davvero le voci fossero state vere sarebbe stato fantastico ma chissà quanti anni ancora sarebbero stati necessari perché le cose in Argentina tornassero come prima.

In ogni caso eravamo tutti più tranquilli in quei giorni. Nessun ferito da curare, nessun nuovo nome nell'elenco degli desaparecidos. Ognuno aveva più tempo da dedicare a se stesso e la situazione sembrava quasi normale. Io, i miei amici e Santana a pranzo insieme a ridere e scherzare e a fare progetti. Guardandomi intorno notai l'affetto che legava quei ragazzi e sorrisi. Ascoltai le diverse opinioni di tutti, vidi la speranza nei loro volti di chi ha visto troppa sofferenza.

Finito il pranzo mi alzai e feci segno a Santana di seguirmi. Volevo stare un po' da sola con lei, e non in un posto qualsiasi.

"Al terrazzo" urlò lei sulle scale, atteggiandosi come il capitano di un veliero, indicando una meta immaginaria con l'indice e facendomi ridere.

 

"Hai già pensato a quello che verrà dopo?"

Mi guardò interrogativa ma ebbi il dubbio che avesse capito la mia domanda.

"Se ora tutto finisse davvero intendo, come vedi la tua vita senza lo scopo che hai avuto in questi anni?"

Mi sembrò di vedere cosa stesse succedendo dentro di lei, mi sembrò di vedere il suo sforzo per essere sincera.

"Non lo so" rispose semplicemente. Capii che non lo sapeva davvero, in effetti non doveva essere facile per lei.

"Non ci hai mai pensato?"

"Certo, l'ipotesi più plausibile è sempre stata quella di tornare ad abitare nella casa della mia famiglia" vidi chiaramente il dolore nei suoi occhi, anche se guardava da un'altra parte.

Mi appoggiai con la schiena alla ringhiera, sentendo i miei vestiti comodi incastrarsi alle schegge di ruggine e tenendomi i capelli con la mano destra dato che il vento insisteva a sbattermeli in faccia.

La guardai e lei guardava me. In quel momento mi apparve la Santana fragile, mi sembrò che una parte di lei mi chiedesse di salvarla. Ma non salvarla come avevo già fatto, insieme a Puck e Sam. Dovevo salvarla da tutto quello, dall'orrore che l'aveva accompagnata fin da piccola a partire da quella notte dopo la quale non aveva più rivisto i suoi genitori. Mi chiedeva di trovare una soluzione diversa da quella che era sempre stata la più plausibile e indirettamente mi chiedeva di includermi nella sua sorte. Sentii una specie di eccitazione nel ricevere quel carico che non avrei mai rifiutato, un'euforia. Guardai quella creatura bellissima e promisi a me stessa che avrei fatto di tutto per renderla felice.

E provai a trasmetterle questo, senza parlare, come aveva fatto lei.

Poi fu necessario sigillare quella conversazione muta.

Le presi la mano destra con la sinistra e poggiai l'altra sulla sua guancia. Lei allora, con la mano libera, mi sistemò i capelli dietro l'orecchio senza smettere di guardarmi.

Vidi il suo viso rischiararsi un po', la sua espressione rilassarsi e fui felice, di quella felicità tiepida che si forma al centro del petto. Così l'avvicinai a me tirandole piano la mano fino a far combaciare i nostri corpi. Riportai lo sguardo sul suo e mi tremarono le gambe perché quella volta, senza preavviso, mi ritrovai davanti la versione latina sexy di Santana.

Contemporaneamente avvicinammo le nostre labbra fino a farle combaciare ancora e ancora. Poi fu la volta delle nostre lingue e ringraziai mentalmente la ringhiera senza la quale sarei probabilmente svenuta per tutte quelle emozioni.

"Ragazze, siete q" sentii dire in lontananza, troppo presa per capire. Poi spalancai gli occhi e mi voltai vedendo Sam molto in difficoltà. Anche Santana lo guardò, infastidita.

"Ma possibile che tutte le volte arrivi qualche babbeo? Devo appendergli dei campanacci al collo" sussurrò come pensando ad alta voce e risi continuando a guardare Sam che con un "Ehm scusate, ci sono buone notizie io... vi aspetto giù" scomparve.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


/ Fatemi sapere c: /

"Lo sapevo già"

"Ma come? E poi dicono che sei ingenua!"

Ridemmo entrambe, io soddisfatta e lei stupita. Mi aveva appena raccontato che Quinn e Puck avevano una relazione semi-segreta ma io me ne ero già accorta. Avevo visto i loro sguardi, inizialmente soprattutto di lui e poi da entrambe le parti.

"Torniamo a casa?"

"Va bene, mi è piaciuto il giro di oggi" le risposi.

Era passato un po' di tempo, non saprei dire quanto. Sono una frana in queste cose.

Comunque io e la latina ci eravamo stabilite nell'appartamento. In realtà per un certo periodo mi aveva convinta a tornare all'ospedale, temetti che avesse paura delle voci che sarebbero circolate su di noi.

Per qualche settimana io ero tornata nella mia originaria stanzetta e lei al terzo piano come ai vecchi tempi. Giorno dopo giorno però iniziai a sentire la mancanza di averla intorno. Non che nella succursale dormissimo insieme o chissà cosa ma ormai mi ero abituata alle sue dolcezze o i suoi racconti inaspettati. Infatti, poco dopo il bacio interrotto da Sam, ogni sera di tacito accordo ognuna delle due raccontava qualcosa all'altra.

Così, quando le dissi quello che mi passava per la testa, anche lei lo ammise.

Ormai non pensavo ad altri che lei. Ancora non riuscivo a capacitarmi della sua bellezza, della sua intelligenza e in generale di tutte quelle piccole cose che piano piano mi entrarono dentro. Sentivo quasi fisicamente i miei sentimenti diventare sempre più profondi.

Così, coperte da Quinn, ci rappropriammo del nostro regno. Lei era la sola a sapere, oltre a Sam, che io non ero solo l'unica persona con cui Santana avesse fatto amicizia negli ultimi dieci anni. Immagino che comunque le voci girassero, anche perché tutto il gruppo sapeva delle preferenze della latina in quel campo. In ogni caso nessuno mi chiese mai niente e a me non interessava, se fosse stato per me l'avrei detto a chiunque. Non avevo ancora ben capito cosa lei provasse per me ma in fin dei conti neanch'io avevo ben assimilato il tutto.

Quel giorno mi aveva portato a vedere la parte alta della città, al margine con la periferia. Finalmente eravamo a casa, ero davvero stanchissima.

"Non è strano che questa ormai per noi sia casa?" le chiesi sovrappensiero mentre andavo in cucina a preparare qualcosa mentre lei leggeva un libro. Non saprei dirvi che libro fosse, ormai avrete capito che lo spagnolo non fa per me.

"In effetti sì, è un po' come se convivessimo" mi rispose lei divertita dall'altra stanza.

"Se le metti così, allora non so se sono pronta per questo passo" le dissi facendola ridere.

La sentii alzare e avvicinarsi dietro le mie spalle ma continuai ad affettare le carote. Senza preavviso sentii le sue mani sui miei fianchi e poi unite sulla mia pancia mentre il suo corpo diventava tutt'uno con il mio. Sentii una serie di brividi ovunque.

"Non sarebbe così male, non credi?" sussurrò roca.

Era incredibile, nessuno mi aveva mai fatto sentire tutte quelle sensazioni solo abbracciandomi.

"Uhm, potrei farci l'abitudine" ostentai una sicurezza che non avevo e la voce tradì un po' l'emozione.

Lasciai il coltello e mi voltai. Pessima mossa. Piedi scalzi, gambe scoperte per la calura estiva, mini pantaloncini neri, canotta nera molto molto scollata e capelli raccolti in una coda alta. Pessima mossa Brittany, ora come pensi di poter affrontare una conversazione?

Mi morsi il labbro e forzai il mio sguardo ad alzarsi. Lei mi guardava sensuale, mi divorava. Aspettai che fosse lei ad agire.

E lei non si fece attendere. Sempre cingendomi con le braccia, si avvicinò al mio collo. Ringraziai la differenza di altezza che le permise di baciarlo senza problemi.

Ero come immobilizzata. "San" sussurrai quando sentii anche l'umido della saliva sul mio collo.

"Fa un po' caldo qui non credi?" mi disse nell'orecchio mentre con le mani vagava sempre più su, sotto la mia canottiera.

In quel momento ebbi una presa di coscienza. Le intenzioni di Santana erano chiare ma io lo volevo? Sì.

 

 

La tranquillità durò ancora un po'.

Dalla nostra prima volta le giornate erano così tenere.

Non l'avevo mai fatto prima con una ragazza. Certo, al liceo a qualche festa mi era capitato di baciarne alcune ma solitamente ero troppo ubriaca da ricordarmene il giorno dopo.

Non glielo dissi ma immaginai l'avesse capito da sola poiché mi guidò dolcemente. Iniziò lasciandomi in intimo, mi fece sedere sul divano e mi osservò soddisfatta poi si sedette su di me e mi baciò come mai prima. Se fino a quel momento mi ero chiesta se mi fossi eccitata con lei come mi succedeva con i ragazzi, da lì in poi capii che tutto quello non aveva nulla a che fare con i ragazzi. Era tutto molto di più, lei era molto di più.

Già dopo quei baci infatti cominciai a sentire una certa urgenza ma vidi che lei non aveva fretta così cercai di mantenere la calma.

Missione impossibile se hai Santana Lopez che si toglie la canotta a cavalcioni su di te. E poi i pantaloncini.

L'avevo guardata con desiderio e lei mi aveva risposto silenziosamente allo stesso modo.

Durante la seconda serie di baci furono i reggiseni a scomparire, permettendo un contatto completo dei nostri petti.

A quel punto io davvero non ce la facevo più e glielo feci capire. Così lei, senza allontanare i nostri volti, mi portò a una felicità senza pari. Dio, se ci penso. Se penso a quella dolcezza, alla perfezione di quel momento.

Tornando a noi, la situazione rimase così fino ad un giorno ben preciso.

Mentre l'Argentina stava vivendo un periodo relativamente tranquillo, anche se la dittatura resisteva, successe qualcosa a molti chilometri da me che cambiò tutto.

Fu una semplice lettera, una lettera di mio padre. In quei mesi non avevo potuto comunicare in nessun modo con casa ma l'avevo messo in conto prima di partire, e così i miei genitori che mi avevano appoggiato.

Ma quel giorno Blaine aveva con se una lettera, arrivata per posta aerea e indirizzata a me. Credo che mio padre avesse smosso qualche contatto per recapitarmela.

Ero con Santana, ad ascoltare la radio facendoci un po' di coccole sul letto quando sentimmo bussare.

Mi alzai mal volentieri, interrompendo un paradisiaco massaggio che la mora mi stava facendo.

"Ehy Puck" ci abbracciammo.

"Ehy bionda" mi rispose rimettendomi per terra.

"Cosa succede qui?" sentii Santana alle mie spalle. Quanto la adoro quando è gelosa.

"Stai tranquilla Snix" le disse l'argentino, facendole l'occhiolino.

Alle sue spalle comparì il mio migliore amico che mi abbracciò a sua volta mentre Puck stringeva Santana. Mi è sempre piaciuta la loro amicizia, rudi ma indispensabili l'un l'altro.

Poi tutta la mia attenzione era stata attirata dalla lettera.

"È di tuo padre" disse soltanto, porgendomela.

Non sapevo bene come interpretarla. Non sapevo se essere felice, perché non lo sentivo da mesi, o preoccupata, perché probabilmente non mi avrebbe scritto senza un motivo.

La presi e mi sedetti sul divano, con gli altri che mi guardavano in piedi. Poi Santana venne a sedersi vicino a me, poggiandomi una mano sulla gamba per tranquillizzarmi e un po' funzionò. I due ragazzi si sedettero di fronte.

Con le mani che un po' mi tremavano la aprii scompostamente e la lessi tutta d'un fiato.

 

"Non puoi chiedermi questo Britt, è ingiusto che tu me lo chieda" vidi la rabbia, la tristezza e molto altro.

"Ma San io non ti capisco e te lo chiedo perché non penso di poter affrontare tutto questo senza di te"

"Non dirmi così, sai che non posso e non fai altro che farmi soffrire di più"

"Pensavo di essere più importante di questo, del rimanere a combattere una guerra non tua"

"Pensavi male e mi dispiace" avevo cercato di non piangere ma a quel punto le lacrime vinsero ogni mio tentativo.

Poi però un sorriso mi venne spontaneo, amaro, nel pianto, e lei mi guardò confusa.

"Stavo solo pensando che mi sono innamorata di te in un rifugio per la guerra, con la sabbia nei vestiti e le braccia piene di graffi. Chissà come saresti indossando un abito elegante, truccata ma non troppo, a passeggiare per le vie di New York. Poi però ho pensato che non cambierebbe nulla" rivelai guardando per terra, con il cuore in mano. L'avevo detto, avevo ammesso a Santana e a me stessa di essermi innamorata di lei.

Lei rimase per un attimo in silenzio, fissando il vuoto. Ebbene sì, io mi ero innamorata di lei e ormai era inutile nasconderlo. Tanto più in quel momento.

Sapevo di chiederle molto, sapevo che per lei sarebbe stato difficile lasciare il suo paese in un momento così delicato come quello. Ma dentro di me avevo sperato che l'avrebbe fatto.

In più non riuscivo a pensare ad altro che a mia madre, stesa su un lettino di ospedale a New York, in fin di vita. Papà aveva cercato di non farmi preoccupare più di tanto nella lettera, me ne ero accorta e avevo pensato con dolcezza a tutte quelle volte nella mia vita in cui la sua delicatezza mi aveva aiutato ad affrontare le situazioni più difficili. Ma i fatti erano quelli e c'era poco da fare se non raggiungere mia madre il prima possibile.

E proprio in quel momento avevo bisogno di tutto l'appoggio di Santana. Certo, Blaine si era già offerto di accompagnarmi ma... per farla breve avevo bisogno di lei.

"Non importa" le dissi, ma non era vero. E lei lo capì.

"Sì invece, importa eccome. Hai appena detto di amarmi giusto? Incredibile, tu mi ami" sentii una punta di amarezza ma anche felicità. Possibile?

"Per chiunque altro non ci avrei neanche pensato, di andare a New York. Ma poi ho visto quanto sia importante per te che io ci sia" si sedette, sempre senza guardarmi "E non mi è mai successo, mi spiego, di essere così importante per qualcuno. E tu stai piangendo, e vederti piangere mi fa uno strano effetto. Non so bene come spiegarlo, non so se ti amo sarò sincera. Ma non me lo sono mai chiesta prima e credo che questo sia un passo avanti"

Assorbii quel fiume di parole sconnesse trattenendo il respiro. Conoscendola capii lo sforzo che faceva a pronunciarle.

"Quindi?"

"Quindi chiedo a Puck se il suo amico pilota è ancora vivo"

La abbracciai fortissimo e lei rispose, sentii una piacevole sensazione di calore e la baciai. Molte volte.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo - IX ***


/ Imperdonabile lo so, questa lunga attesa. Ora però la tecnologia che ho in casa sembra aver ripreso a funzionare e aggiornerò regolarmente. Vi chiedo scusa e spero che continuate a leggere e magari gradire la storia. Grazie a tutti quelli che leggono, seguono, preferiscono e soprattutto recensiscono. Alla prossima c: /

 

"Quando il gatto non c'è, i topi ballano" disse Puck un po' brillo, alzando il bicchiere e brindando con Sam. Si stavano abbracciando da un'oretta buona rivangando il passato istigati dall'alcol facendo ridere tutti gli altri, me compresa.

Mi voltai verso Santana, ero felice. I nostri amici avevano organizzato quella serata per salutarci.

"Non posso credere che la nostra Santana abbandoni tutto"

"Cedes, il mio compito qui è terminato" disse lei grave "Ora servo altrove"

"La mia eroina" le sussurrai all'orecchio facendola ridere. Rise anche Quinn, doveva aver letto il labbiale. Oppure era un po' brilla pure lei.

Al termine della bevuta in nostro onore, io, Santana, Puck e Quinn andammo sul terrazzo per stare un po' tra noi. Erano quelli a cui mi ero più affezionata, non contando Blaine e Sam che sarebbero venuti con me a New York. Il biondo infatti aveva preso il posto di Puck, dopo che quest'ultimo aveva scoperto della gravidanza di Quinn. In più Sam avrebbe colto l'occasione per andare a trovare sua zia, una certa Holly.

"Quinn, non dovresti bere" la ammonii, seduta accanto a San sul solito materasso. La bionda era seduta di fronte a noi mentre Puck era in piedi.

Il ragazzo le rivolse uno sguardo severo, non l'avevo mai visto così attento.

"State calmi, ho bevuto pochissimo" disse gesticolando in modo teatrale, provocandoci dei sorrisi.

Finalmente potevo trattare la latina come avrei voluto, le passai il braccio intorno ai fianchi e le lasciai un tenero bacio sulla tempia.

Puck si appoggiò in ginocchio anche lui sul materasso, prese un pacchetto di sigarette dalla tasta e me ne porse una. Scrollai le spalle e accettai, lui prontamente me l'accese.

"Cattiva ragazza" si girò verso di me Santana, con uno sguardo di finto rimprovero e sorrisi mentre buttavo fuori il fumo.

"Pensavo fosse impossibile che diventassi più sexy ma ci stai riuscendo" mi sussurrò poi. Sorrisi un po' imbarazzata,  vedendo gli sguardi di Quinn e Puck su di noi.

"Le voci girano" disse la bionda, indicandoci con un cenno della testa.

"Beh, è difficile non accorgersene" le rispose Puck, alzando le spalle.

"Vogliamo parlare di Quinn, che è passata da mangiare come un passerotto a rubare la cena agli altri?" ribatté la mora al mio fianco. Risi, e così fecero i diretti interessati.

"Siete pronte a partire?" ci chiese l'argentino dopo un po'.

Nessuna delle due rispose, nel frattempo Santana aveva cominciato a giocare con i miei capelli.

"Prendete voi l'appartamento" esordì dopo un po'.

"Ottima idea" annuii verso i due.

Quinn sorrise e annuì a sua volta mentre Puck fece l'occhiolino a San mentre spegneva il mozzicone.

 

Quella mattina mi sentivo particolarmente meditativa. La luce del sole mi svegliò alle otto, esattamente a quell'ora passava per una fessura colpendomi il volto ogni mattina. Ciò lasciava del tutto indifferente Santana che per nulla infastidita continuava a dormire. Aveva qualcosa di magico in quei momenti, illumitata dal sole e apparentemente in pace con il mondo.

L'appuntamento era alle dieci in una via fuori dal centro. Poco distante si trovava la piccola pista per gli aerei privati. Mi immaginavo già il catorcio su cui avremmo volato e cominciai a fantasticare su un possibile incidente.

Scossi la testa e mi costrinsi a non pensarci. Non ero per nulla soddisfatta dal sonno di quella notte così optai per una bella dose di caffeina.

Mentre preparavo il caffè ripensai a tutte le lacrime versate quella notte, e quelle precedenti. La notizia che mia madre stava davvero male mi aveva distrutto, anche se non l'avevo dato molto a vedere.

Ma poi, nel silenzio e nel buio che precedono il sonno, tutto tornava e faceva male. Ripensavo soprattutto alla mia partenza, che i miei genitori non avevano minimamente ostacolato. Mi dicevano sempre che se volevo diventare una giornalista allora dovevo darmi da fare. Poi però mi scaldava il cuore pensare alla tenerezza di Santana, che mi teneva stretta finché le crisi non passavano, paziente. In quei giorni era lei ad aiutare me ad andare avanti. La nostra era una specie di simbiosi. Quando avevo usato quel termine le era piaciuto, il fatto di essere in simbiosi con me.

Quindi, per quanto non avesse ancora detto di ricambiare i miei sentimenti, la sua presenza rendeva tutto più bello.

Provavo una sorta di frenesia, pensando a quello che sarebbe successo. Avevo convinto Santana a venire con me e per quanto non avrei potuto fare diversamente, speravo non fosse stata una cattiva decisione. Me l'avrebbe rinfacciato?

Il rumore e l'odore del caffè mi riscossero. Guardai l'ora, sarebbe stato meglio svegliarla. Mi sentivo un po' in colpa a negarle il sonno che aveva perso per tranquillizzarmi quella notte ma non potevamo essere in ritardo.

Divisi la bevanda in due tazze aggiungendo latte e cereali. Ultimamente, migliorata la situazione, nei negozi si ricominciava a trovare di tutto.

 

Il viaggio era andato bene. Avevo passato la prima mezzoretta a stringere i braccioli con gli occhi chiusi mentre Santana cercava di tranquillizzarmi. Come faceva ad essere sempre così all'altezza della situazione? Poi piano piano la sua sicurezza si era insinuata anche dentro di me finché, aperti gli occhi, avrei voluto che quel volo durasse per sempre. Nel viaggio di andata, per raggiungere Buenos Aires, avevo dormito tutto il tempo. Quella volta invece non riuscivo a staccare gli occhi dalle nuvole e dal paesaggio sottostante. La latina non si era mai spostata dalla sua città, figuriamoci prendere l'aereo. Per cui, per quanto cercasse di non darlo a vedere, era molto affascinata. Blaine e Sam parlarono tutto il tempo, eccetto quando il secondo aveva attacchi di nausea.

Quando il pilota ci avvertì che eravamo quasi a New York iniziai a rendermi conto di quello che stava per succedere.

Dopo mesi avrei rivisto i miei genitori, i miei parenti, i miei vicini, i miei amici del quartiere. Sarei entrata nella mia camere, avrei guidato la macchina di mio padre, sarei andata in redazione per aggiornare il mio capo. Troppe cose a cui non mi ero preparata. Confessai a Santana le mie paure, forse mi avrebbe aiutato a calmarmi.

"Stai tranquilla Britt, io sono qui apposta" disse semplicemente, e tanto mi bastò. "E poi ci sono Blaine e Sam, non sono me ma sono abbastanza affidabili" aggiunse poi ridacchiando.

 

Successero molte cose al nostro arrivo. E come sempre, quando succedono molte cose, vado in confusione. Ancora una volta ringraziai di avere lei al mio fianco.

Salutammo il pilota, ringraziandolo molte volte. Aveva rifiutato qualsiasi compenso, continuava a dire che per Santana e Puck avrebbe fatto qualsiasi cosa.

Prendemmo un taxi. Sam si sarebbe sistemato a casa di Blaine, San ovviamente a casa mia. La casa del mio migliore amico si trovava in cima alla via per cui i due ragazzi scesero prima. Ci demmo appuntamento il giorno dopo alla fermata dell'autobus che si trovava lì di fronte.

Spiegai al tassista di dover continuare ancora circa un centinaio di metri, fin quando non vidi il mio giardino. Ebbi letteralmente un tuffo al cuore.

Santana mi dovette scuotere leggermente la spalla per farmi tornare alla realtà. Senza rendermene bene conto mi trovai all'imbocco della stradina di cui conoscevo ogni singola pietra, con il piccolo bagaglio in mano.

Il taxi era partito, doveva aver pagato Santana. Mi annotai mentalmente che le dovevo restituire i soldi.

"Vieni" le dissi prendendola per mano.

Mi ero parzialmente ripresa dal luogo in cui mi trovavo. È difficile spiegare la sensazione di quando succedono così tante cose e improvvisamente sembra che non siano successe ma devi arrenderti all'evidenza che non sarà mai più come prima e la mano di Santana nella mia ne era la prova.

Suonai timidamente al campanello, al mio campanello. Per un po' non si sentì alcun suono, l'avevo messo in conto dato che non avevo avuto modo di avvertire mio padre del mio arrivo.

Poi però, proprio mentre mi stavo per arrendere, sentii dei passi lenti sempre più udibili finché un "Chi è?" seguito dal rumore dello spioncino mi fece sorridere.

"Sono io, papà" proprio come quand'ero piccola e non avevo ancora le chiavi di casa.

Appena la porta si aprì mi buttai addosso a quell'uomo stringendolo fortissimo.

Dopo un po' mi staccai e vidi che l'attenzione di mio padre era attirata dalla ragazza al mio fianco.

"Papà lei è Santana" dissi soltanto, non trovando nessun modo per meglio definirla. In quel momento mi resi conto di quanto lui era cambiato, o almeno mi sembrò così. Nella mia mente avevo un ricordo, un'immagine di lui diversa. Me lo ricordavo più alto, più robusto, invincibile quasi. Ma in quei mesi gran parte delle sue caratteristiche erano andate perse. Sentii una tristezza che però rimandai.

"Piacere signor Pierce" disse Santana per prima. Per nulla intimidita come sempre ma con un tono particolarmente gentile.

"Piacere mio Santana" le rispose stringendole la mano. Sembrava sereno ma avevo dato per scontato che le dicesse di dargli del tu.

"Sarete stanche, vi lascio riposare" ci disse sulla soglia di camera mia dopo averci aiutato a portare i pochi bagagli ed essersi assicurato che non avessimo bisogno di niente. Inoltre gli avevamo detto che avremmo ordinato la pizza. Mi colpì quando mio padre si complimentò con Santana per il suo inglese. Non avevo mai pensato al fatti che non fosse la sua lingua, doveva essere stata davvero brava a scuola.

"Domani avremo tempo di parlare, comunque per qualsiasi cosa sono di sotto" aggiunse rivolgendomi un ultimo sorriso complice e amorevole al quale risposi immediatamente.

 

Fu con la pioggia che mi svegliai, una scrosciante pioggia. Dovevo averla sentita nel subconscio perché anche nel sogno che avevo fatto pioveva. Avevo sognato un ospedale, ma non era mia madre ricoverata bensì Santana. Non ricordavo esattamente i particolari ma era stato uno di quei sogni impegnati, che ti fanno svegliare stanco e un po' depresso. Per fortuna la mia San era lì, sentivo il suo braccio sul mio fianco e il suo respiro regolare. Mi piaceva la pioggia, mi piace ancora adesso e mi è sempre piaciuta. All'università e nei primi anni da aspirante giornalista le mie giornate preferite erano quelle piovose, in cui battevo veloci i tasti della macchina da scrivere e bevevo caffè. Non fraintendetemi, mi piacevano anche le serate con gli amici, ma mi era sempre piaciuta la solitudine. Soprattutto dopo qualche giorno di uscite e baldoria mi piaceva rimanere da sola con me stessa, quasi ne avevo bisogno. Il mio ascendente capricorno. Lo diceva sempre mia madre, quando ero in uno di quei momenti. Lei era un po' fissata con gli astri.

Un pensiero mi passò per la mente. Se vedere mio padre invecchiato mi aveva rattristato in quel modo, che effetto mi avrebbe fatto vedere mia mamma in fin di vita?

Pensai che fosse inutile pensarci, la risposta sarebbe arrivata quel giorno quando la sarei andata a trovare.

Guardai l'orologio da parete, quasi le dieci. Il suo ticchettio insopportabile aveva accompagnato la mia vita, all'epoca non c'erano gli orologi digitali. Un'altra cosa che non c'era erano i cellulari. Dovevo chiamare Blaine per metterci d'accordo sull'ora e dovetti scendere in salotto, dove si trovava uno dei due telefoni in casa. L'altro era nella camera dei miei genitori. Prima però misi su in caffè e il pane a scaldare. Mio padre non c'era, notai dopo il biglietto sul frigo. Sono a fare la spesa.

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Quando fui tornata di sopra con le due tazze fumanti e i toast alla marmellata Santana mi fece una domanda inaspettata. 

"Dov'è tuo padre?" esordì, non mi aspettavo neanche di trovarla sveglia. 

"È andato a fare la spesa, non so quando tornerà" le risposi cercando di trarre conclusioni dal suo sguardo enigmatico. 

"Vieni qui" disse semplicemente. Sensualmente, è la parola giusta. 

Poggiai il vassoio sul mio comodino azzurro, posizionato lì da quando io ricordi, e gattonai sul letto a una piazza e mezza fino a sovrastarla con il mio viso. 

"Cosa hai in mente?" le domandai con l'espressione più angelica che riuscii a fare, mentre con lo sguardo vagavo da quel viso olivastro perfetto alla parte di busto scoperta dalle lenzuola.  

Fece leva sugli avambracci e si sedette a gambe incrociate così feci lo stesso. Non vedevo l'ora di assaggiare quelle labbra troppo belle per essere vere, per essere a mia disposizione, ma lei sembrava voler rimanere così. 

La luce del sole la illuminava da dietro, mentre ancora si sentiva la pioggia battere sul piccolo poggiolo. Immediatamente pensai a un possibile arcobaleno ma poi l'attenzione tornò sullo spettacolo ben più straordinario che avevo davanti. La luce passava attraverso il tessuto della maglietta bianca sformata e un po' lisa che si era portata come pigiama e potevo vedere i suoi contorni perfetti, le braccia magre, la curva del suo seno. 

"Sei bellissima" se ne uscì dopo un po' ma quella bellissima era lei. Decisi di diglielo con un bacio. Chiusi gli occhi e al movimento delle sue labbra sulle mie provai due sensazioni contrastanti che lei riusciva a riunire in me. L'assoluta dolcezza e la passione travolgente. Assecondai la prima accarezzandole il volto e strofinandomi su questo, tecnica appresa da Lord Tubbington, e la seconda dischiudendo la bocca e invitandola a fare lo stesso. Non dovetti farglielo capire dato che agì nel mio stesso momento, accarezzando la mia lingua con la sua e poi il palato e le guance e tutto ciò a cui arrivò. 

Quella era pura felicità e non ricordavo di aver fatto nulla di così buono da meritarla. Per non parlare di quando mi passò una mano dietro il collo e si appoggiò con il corpo su di me, facendomi sdraiare, senza staccare le nostre bocche se non per brevissime pause. Ma il momento in cui capii che quella che avevo visto prima di conoscerla non era stata che un'effimera imitazione della bellezza fu quando, seduta su di me si tolse la maglia e la gettò in un punto imprecisato alla sua sinistra. Dovetti costringermi a continuare a respirare dopo quella visione. Ancora una volta ero incantata e disperatamente eccitata. Resistevo eroicamente solo al pensiero che tra poco l'avrei fatta mia. Io, Brittany Pierce, avrei fatto l'amore ancora una volta con la donna più bella mai vissuta. 

Mi lasciò una serie di baci soffici dalla tempia, al lobo, al collo e fino alla scollatura della maglietta. Valutai se togliermela o lasciar fare a lei ma fu troppo veloce. Mi ritrovai a petto nudo in un secondo e dopo altrettanto poco tempo Santana stava giocando con i miei capezzoli facendomi impazzire. La attirai a me per ricambiare il trattamento ma lei fu più rapida e cominciò a sfilarmi i pantaloni. E fidatemi se vi dico che non l'avrei ostacolata per nulla al mondo. 

 

Mio padre ci trovò addormentate e fortunatamente vestite. La luce strana, la sensazione di essere di nuovo sul mio materasso, Santana. Quello era stato il sesso migliore della mia vita. Nulla di affrettato, solo io e lei. Alla fine, abbracciate e sorridenti, ci eravamo rinfilate il pigiama e avevamo fatto colazione. Al telefono Blaine mi aveva dato appuntamento solo un'ora più tardi quindi io e la latina ci eravamo accoccolate, la calura estiva e particolarmente umida stava prendendo il posto della temperatura perfetta della mattina. 

"Ragazze, non voglio disturbarvi ma Blaine ha chiamato chiedendo di voi" 

"Puck lasciaci in pace" mugugnai. 

"Razza di idiota, quante volte ti devo dire che non puoi entrare nel nostro appartamento e soprattutto nella nostra camera" aggiunse acida la latina, la voce sbiascicante tipica del risveglio. 

La consapevolezza cominciò a farsi strada dentro di me. Sbarrai gli occhi. Cristo. Quella non era la voce di Puck e quello non era "il nostro appartamento". Avrei riso contagiando Santana se non fossi stata impegnata a far dimenticare a mio padre quello che avevamo detto. Lei non fu molto d'aiuto, non diede segni di vita. 

Mi sedetti sul letto e sorrisi rassicurante a mio padre. 

"Ciao papà"  

"Chi è Puck?" non capii se fosse semplicemente curiosità o qualcosa della serie "mi devi delle spiegazioni". Anche se ormai ero grande mio padre era sempre stato intransigente riguardo determinati argomenti. 

"È una storia lunga, diciamo che era quello incaricato di svegliare tutti nel posto in cui io e Blaine passavamo la notte" l'argomento Blaine era a mio favore, papà si fidava di lui. Non ho mai capito se perché lo conosceva da tempo o perché da qualcuno era venuto a sapere che non gli interessassero le ragazze. 

"Santana invece non so cosa stesse sognando" aggiunsi divertita, abbastanza soddisfatta di come avevo gestito la situazione. 

"In ogni caso, Blaine e un certo Sam vi aspettano a casa sua dato che non arrivavate. Hanno chiamato l'ospedale e le visite durano fino mezzogiorno" 

"Ok grazie" e poi mi girai per svegliare San, sperando non dicesse qualcosa di irreparabile. 

 

"Come pensi la prenderebbe papà Pierce?" mi chiese serio Blaine. Avevo raccontato del discorso nel subconscio con mio padre di quella mattina al mio migliore amico e a Sam, e a Santana che a quanto pareva aveva rimosso completamente l'accaduto. In effetti la cosa era abbastanza comica così eravamo scoppiati tutti a ridere nella sala d'aspetto nonostante la tensione. 

Poi era uscito l'argomento coming out, che non avevo ancora considerato. 

"Non lo so" risposi sinceramente. Non era quella la mia preoccupazione principale in quel momento. Di lì a pochi minuti avrei visto mia madre e l'unica cosa che mi dava un po' di calma era la mano di Santana stretta nella mia. 

 

Non avrei voluto piangere, davvero non avrei voluto. Dovevo essere forte, per lei. Piangerle in faccia non avrebbe migliorato la situazione, mia madre doveva già rendersi conto da sola delle sue condizioni. 

Invece piansi ancora prima di entrare perché avrei l'avrei rivista, piansi mentre l'abbracciavo per l'emozione e piansi quando mi staccai dato che tutto era improvvisamente così reale. 

La pelle bianchissima lasciava intravedere ogni vena e capillare, i capelli erano radi sintomo della potente terapia. 

Mi sedetti vicino a lei e le parlai, lei mi rispondeva a fatica. 

Anche Blaine pianse, Sam e Santana rimasero in disparte. 

"Non dovevate tornare qui per me ragazzi" ci disse dopo essersi accertata che stessimo bene. 

"Certo che dovevamo signora Pierce" le rispose subito premuroso Blaine. 

"È dall'asilo che ti dico di chiamarmi per nome" gli disse lei divertita e ridemmo tutti e tre.  

Avevo smesso di piangere quando mia madre mi sussurrò di presentarle "quei due giovanotti che stanno dalla porta". 

Io mi voltai e incrocia lo sguardo premuroso di Santana. Mi incantai un attimo a guardarla e quando mi riscossi sperai che non fosse stato così evidente. Le feci segno di avvicinarsi, lo stesso a Sam. 

"Sam e Santana, questa è mia madre" i due le strinsero la mano e lei si sforzò di ricambiare ma era evidente quanto compiere qualsiasi gesto le costasse molta fatica. 

"Il come li abbiamo conosciuti è una storia lunga, sono due ragazzi di Buenos Aires contro la guerra" riassunsi molto, non ero sicura di volerle raccontare tutto. 

Per un attimo immaginai di dirle che Santana fosse la mia ragazza, avevo un bisogno tremendo di confidarglielo, di dirlo in generale. Poi però la realtà dei fatti mi colpì, lei non era la mia ragazza. Non ne avevamo mai parlato. In realtà io avevo capito e ormai metabolizzato di amarla, era chiaro ormai. La latina reincarnava la bellezza ed era capace di farmi provare cose che non avevo neanche lontanamente immaginato prima. Era quella ragazza che aveva abbandonato il suo paese per venire con me, che passava notte intere a tranquillizzarmi o semplicemente a parlare con me, quella con cui avevo fatto l'amore quella mattina sentendomi la persona più fortunata del mondo. 

Ma lei? Cosa provava lei per me? Chiarire quei quesiti stava diventando fondamentale. 

"Hai raccolto abbastanza materiale o devi tornare in Argentina?" mi riscosse dai miei pensieri, arrivati mentre ero appoggiata con la testa sul suo petto. 

"Non so se tornerò" le risposi mentre mi alzavo "Per adesso rimarrò qui e scriverò un articolo" 

I miei amici erano andati a prendere un caffè per lasciarmi un po' da sola, l'orario delle visite era quasi finito. 

"E gli altri?" alzai le spalle, non sapevo quello che Sam e San avrebbero fatto. Blaine aveva Kurt laggiù. 

"Quella ragazza è davvero l'incarnazione della bellezza latina" mi disse sorridendomi. 

Non arrossire. Mi sentivo colpita sul vivo. 

"L'orario delle visite di oggi è terminato" mi avvisò l'infermiera, una certa Emma. 

"Torno domani mamma" le assicurai, lasciandole un bacio sulla fronte. 

"Non serve, viene già tuo padre e tu devi pensare al lavoro" tipico di mia madre. 

"Vedrò" le promisi, sapevo si sarebbe sentita in colpa se fossi andata sempre a trovarla togliendo tempo al giornalismo. 

 

"Vuoi andare oggi in redazione?" mi chiese Blaine mentre ci avviavamo verso la fermata dell'autobus.  

"Non lo so... Un giorno più o uno meno" non avevo voglia di vedere tutti i miei colleghi, o meglio superiori, e parlare, raccontare. Non riuscivo ancora bene a rendermi conto di tutto quello che era successo, figuriamoci raccontarlo in ordine più o meno cronologico. A volte realizzavo quanto fossi stata vicina alla morte, quanto lo fosse stato Blaine. Ricordavo quella stanzetta i primi giorni, un'enigmatica Tina e i dolori ovunque. 

Quindi decisi di non essere pronta per fare rapporto. 

Ad essere sincera avrei avuto bisogno di una bella chiacchierata con il mio migliore amico riguardo all'argomento "Santana" ma stare un po' da sola con lui mi sembrava improbabile, con la latina che dipendeva direttamente da me.  

"Che ne dite di un giro in centro oggi?" propose Sam, nessuno osava parlare di mia madre. 

"Sinceramente io ancora oggi mi riposerei, domani ci penseremo. Britt?" 

"Certo Santana, sappiamo tutti come vi riposate voi due" le rispose ironico il biondo. 

Mi aspettavo un attacco d'ira, un insulto o qualcosa del genere ma San gli rispose con tono quasi tranquillo. 

"Sei rimasto a bocca asciutta eh, pensavo che ormai te ne fossi fatto una ragione" 

Non capivo a cosa si riferisse, a volte vorrei essere più perspicace. In ogni caso Sam sembrava essere stato punto sul vivo perché perse il sorriso e scosse la testa come rassegnato. Boh.  

"Sam, che ne dici di accompagnarmi a fare un po' di shopping oggi pomeriggio?" ruppe il silenzio Blaine, riportando tutto alla normalità. 

"Certo, non sono mai stato nel centro di New York!" 

Scesi dall'autobus ci dividemmo, io e Santana andammo verso casa mia. La tristezza provata quella mattina tornò come a galla e non solo quella. 

"Papà avrà preparato il pranzo"  

"Mi dispiace vivere a vostre spese" 

"Ti ho invitato io, funziona così con gli ospiti" le risposi ridacchiando. 

"Sediamoci su questa panchina" mi propose, avevo un certo languorino ma acconsentii. 

"Non mi sono mai seduta su questa panchina in tutta la mia vita, e abito dietro l'angolo!" esclamai ridendo. 

Lei mi guardò seria, mi fece segno di avvicinarmi e mi appoggiai con la testa sulle sue gambe lasciate scoperte dai jeans corti guardandola dal basso. Tra l'ombra di un albero e la brezza leggera, non si sentiva caldo nonostante l'ora e la stagione. 

"Senti Britt" iniziò. 

Continuai a guardarla, invitandola con lo sguardo. 

"Lo so che tu sei una ragazza forte, l'ho notato fin da subito" continuò, un po' imbarazzata. 

Se conosceste Santana sapreste che odia questo genere di cose. 

Le sorrisi rassicurante. 

"Ti sono successe molte cose spiacevoli. Mi hai ricordato me stessa da piccola, quando dopo la morte dei miei genitori e il clima di terrore nella mia amata città, credevo di non poter mai più riprovare la felicità. Tu invece, nonostante tutto, eccoti qui. È incredibile, tu sei incredibile" 

"Se mi vedi così serena è perché ho te al mio fianco" le risposi ovvia. Era un momento buono per chiarire cosa ci fosse tra noi? 

"Non sono molto comunicativa, vero?" doveva avere già intuito i miei pensieri, me lo sarei dovuta aspettare. 

"In effetti no" le risposi divertita ma allo stesso tempo speranzosa. 

"È che... è difficile. Ho capito fin da subito che tu fossi speciale ma non mi sarei mai immaginata che lo fossi così tanto" distolse lo sguardo. 

"Anche solo guardarti mi fa un effetto strano, come se il mio scopo fosse vivere in funzione di te e tutta la mia vita precedente al tuo arrivo fosse basata su cose futili. Lo so, sembrano stronzate ma non so spiegarlo meglio" 

"Non sembrano stronzate" le dissi convinta, emozionata. Molto emozionata. 

"Tu non hai fame?" se ne uscì dopo un po', tipico di lei. Cambiare discorso per sdrammatizzare dopo essersi aperta. Decisi di accontentarmi, mi alzai, l'aiutai a tirarsi su e non le lasciai la mano fino a casa. 

Ripensai alla Santana dell'ospedale, quella che non pensava ad altro che alla missione e dovetti ammettere di aver già ottenuto grandi risultati. Perciò, nonostante tutto, era la felicità a prevalere.

/ E siamo già a 10! Ho un sacco di idee per i prossimi capitoli ma non ho idea di quanto andrà avanti questa storia, non so se sia una cosa buona o meno ahah. Fatemi sapere come al solito! /

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Quella notte non dormii molto. Da una parte perché io e Santana eravamo tornate a casa tardissimo, dall'altra perché avevo troppi pensieri per la testa. 

Ero ancora un po' brilla, pur avendo bevuto molto meno della metà dei miei amici. Era da molto che non passavo una serata del genere, da quando ero partita. 

Io e Blaine avevamo accompagnato i nostri amici nei nostri locali preferiti, la maggior parte dei quali frequentavamo dai tempi del liceo. Però noi non eravamo più al liceo e l'approccio a quel tipo di serata era diverso, o almeno così mi sembrava. Più controllo, più considerazione delle conseguenze. In ogni caso ci eravamo divertiti, New York era già una città che sapeva offrire molto. Avevamo anche incontrato un gruppetto di persone con le quali eravamo stati molto amici per un periodo ma poi, per un motivo che non ricordavo e non ricordo tuttora, ci eravamo persi di vista. 

A fine serata Sam, abbastanza ubriaco, aveva cominciato a sproloquiare con Santana. Io e Blaine eravamo rimasti un po' in disparte ma avevo capito che Sam rassicurava alla latina che, nonostante avesse avuto un debole per me, adesso aveva capito che noi due fossimo fatte per stare insieme. Poi aveva detto altre cose poco chiare ma era stato tenero e anche San, per quanto cercasse di non darlo a vedere, era sollevata. In fondo il biondo era uno dei suoi migliori amici e non le piaceva dover in qualche modo competere con lui. Sorrisi nel buio ripensando alla scena e mi dissi che probabilmente non avrebbe ricordato nulla l'indomani. Sentivo il respiro di Santana regolare, ultimamente era molto più tranquilla di me. Ci diamo i turni. Sembrava aver trovato un po' più pace, forse allontanarsi da Buenos Aires le aveva fatto davvero bene. Speravo davvero che fosse così, avevo ancora dei sensi di colpa per averla trascinata fino nella Grande Mela. 

 

La mattina dopo decisi di tornare alle vecchie abitudini. Le visite quel giorno si svolgevano in orario anticipato così mi svegliai di buon ora lasciando dormire Santana. Le lasciai un bigliettino, feci una colazione leggera e rispolverai la mia tenuta da corsa. Una volta pronta mi guardai allo specchio soddisfatta, avevo perso molti chili vivendo nell'ospedale di Buenos Aires ma ne avevo recuperati abbastanza da essere in perfetta forma. Cuffiette alle orecchie e partii, anche mio padre doveva dormire ancora perché non lo vidi in giro. 

Non sono mai stata molto portata per gli sport ma la corsa è stata sempre una cosa a parte. Infatti, più che allenare il corpo, mi riordina la mente. Faceva abbastanza caldo nonostante l'ora ma non mi fermai fino alla meta e non arrivai troppo sudata. 

Non avevo pensato a tutte le persone che mi avrebbero visto in quelle condizioni ma le infermiere non sembrarono farci caso. 

"Non importa caro, l'importante è che io abbia fatto in tempo a rivedere Brittany. Il resto è superfluo" 

"Sì ma se ci penso, che i soldi fanno la differenza tra la tua vita e la tua morte" non seppi nemmeno io come mi ritrovai ad origliare. 

"Lo so lo so ma mi raccomando, non dirglielo" non sentii la risposta, forse mio padre stava uscendo. Con uno scatto mi nascosi dietro la macchinetta del caffè, una donna delle pulizie mi guardava incuriosita. 

Sentii dei passi e mi sporsi, era proprio mio padre che andava verso l'uscita. Cos'era quella storia? Appena girò l'angolo entrai nella camera. 

"Ciao tesoro!" esordì lei sorpresa. 

"Ciao mamma, come stai?" inizia a sondare il terreno. 

"Al solito" sussurrò cercando di nascondere la propria debolezza "Dovresti essere al lavoro invece che dietro a una malata"  

Tipico. 

"Senti mamma, c'è qualcosa che mi vuoi dire?" non resistetti oltre anche se non avrei voluto affrontare l'argomento così, d'altra parte la questione doveva essere subito risolta. Non esisteva che mi nascondessero qualcosa. 

"No, perché?"  

"Lo vedo quando menti" in realtà non sono così perspicace ma pensai fosse l'unico modo per convincerla a svelare quel segreto. 

Silenzio, poi iniziò a parlare. 

 

"Capite? Se non avessi origliato non l'avrei mai scoperto!" sbottai sconcertata. Non era possibile, non potevo ancora crederci. 

"Sicura che non sarebbe stato meglio? Ti saresti evitata questa impotenza" cercò di farmi ragionare Blaine, anche lui scosso. Ci aveva invitate a pranzo dopo che dalla cabina telefonica gli avevo accennato il fatto. Non ero neanche passata da casa per non vedere mio padre, avevo detto al mio migliore amico di avvertire San che ci saremmo viste direttamente da lui. 

"Non mi sento del tutto impotente" ribattei "Sono molti soldi ma abbiamo uno scoop tra le mani, ricordatelo" 

"Mi dispiace dovertelo dire Britt ma con un articolo non si guadagna così tanto" disse la latina mentre Sam si limitò ad annuire. 

"In due mesi si possono fare un sacco di cose" non mi volevo arrendere, non potevo farlo. 

"Ragioniamo" suonò un po' strano detto dal biondo ma tutti lo osservammo incuriositi "Abbiamo due mesi, una pubblicazione garantita di un articolo di giornale e abbastanza materiale interessante per il cittadino americano medio da scriverci un libro" 

"Un libro!" esclamò Blaine facendomi sussultare. 

Ma certo. Un libro, soldi, cura.  

"Siete dei fottuti geni" li abbracciai con foga. 

"Noi scriveremmo un libro e tra due mesi avremmo abbastanza soldi da..." 

"Da fare tua madre come nuova" mi completò la frase Sam, non era esattamente quello che avrei detto ma rendeva l'idea. 

"Potete contare su di me" disse Santana e abbracciai pure lei fino a che ci stringemmo tutti in un abbraccio di gruppo. 

 

"Ci devo pensare" 

"Ma come ci deve pensare? 

Feci segno alla latina di stare calma e lei sembrò tranquillizzarsi ma con la tipica espressione da battaglia. 

"È vero, voi quattro sapete cosa sta succedendo laggiù più di chiunque altro da queste parti ma ciò non può essere non del tutto positivo" 

"Cioè?" chiese Blaine per tutti noi. 

"Ci sono molte persone influenti che hanno nel loro interesse tenere segreto il più possibile quel che accade" 

"Ad esempio?" chiese questa volta Sam. 

"Ad esempio chiunque abbia delle aziende in America Latina, se saltasse fuori la situazione catastrofica le sue azioni perderebbero moltissimo valore" 

Aveva ragione purtroppo. Cioè, aveva torto, ma capii le sue ragioni. Ovviamente in quanto giornalista avrei voluto divulgare il più possibile quello che io e i miei amici avevamo da dire ma si sa, la politica interferisce in ogni campo. 

"Facciamo così. Io vi ho spiegato come stanno le cose ma questo non vuol dire che mi farò mettere i piedi in testa, c'è o non c'è la libertà di stampa? Siamo quasi nel 1980 mica nel Medioevo!" sembrò rinvigorirsi il mio capo "Quindi scrivete questo benedetto articolo prima che potete e poi vedremo come reagirà il pubblico" 

Non accennò al libro che gli avevamo detto di voler scrivere ma pensai che fosse inutile insistere per il suo parere, ora dovevo concentrarmi sull'articolo. 

Salutammo e uscimmo dal palazzo. 

"I miei partono" ci informò Blaine mentre tornavamo verso la macchina "Vanno al mare per un mesetto credo" 

Non capii subito per quale motivo lasciò quell'informazione sospesa, dovetti aspettare il resto. 

"Dato che sei ancora arrabbiata con tuo padre e stare con Santana a casa tua non è il massimo, che ne dite di spostarvi a casa mia per questo periodo?" disse tutto d'un fiato, come se ci pensasse da molto e non vedesse l'ora di proporcelo. 

"Sei sicuro?" gli chiese allora San, sembrava piacevolmente sorpresa. 

"Sì certo ragazzi, io starò nella mia camera, voi due in quella dei miei e Sam nella stanza degli ospiti" ci disse pratico. 

"Così lavoreremo tutti insieme" disse Sam "Io però racconto solo perché non sono molto bravo a scrivere" 

Sorrisi alla sua sincerità e al modo in cui si metteva a mio servizio, aderendo alla causa in modo del tutto disinteressato. 

 

Carta ovunque. In quei giorni io e Blaine lavorammo giorno e notte riordinando gli appunti, aggiungendo note e catalogando istantanee. Mi sentivo la caffeina circolare nelle vene e il fiato corto per il fumo. 

Quando finimmo quel lavoro erano passati quattro giorni e io mi sentivo uno zombie. Non avevo neanche la forza di fare l'amore con Santana, il che è tutto dire.  

Il trasloco era stato breve e mattiniero, in quell'estate particolarmente calda bisognava fare qualsiasi cosa nelle prime ore del mattino. Mio padre non disse quasi niente, sia perché ero troppo grande per le raccomandazioni sia perché da quando ero tornata a New York lui era praticamente assente. C'era ma non c'era, doveva essere davvero perso senza la mamma. Lei l'andai a trovare più saltuariamente per ovvie ragioni e non parlammo molto. Diciamo pure il minimo indispensabile. 

Smaltita la catalogazione passammo alla fase b: filtrare le informazioni più importanti e decidere come strutturare l'articolo che sarebbe stata la chiave per le mosse successive. 

Una di quelle notti io e Blaine eravamo in cucina, leggendo e bevendo caffe, l'aria quasi irrespirabile. 

"Vado a prendere una boccata d'aria" mi disse e io annuii senza staccare gli occhi dal foglio pieno di annotazioni e frecce. Finito di leggere chiusi un attimo gli occhi e mi massaggiai la fronte, la stanchezza mi colpì tutto d'un tratto. Pensai che forse prendere un po' d'aria, per quando ancora calda dell'afa del giorno, mi avrebbe fatto bene.  

Appena uscii però sentii dei suoni familiari, Blaine stava piangendo. 

"Ehy" gli sussurrai. Era quasi seduto con la schiena appoggiata al muro e mi accucciai per abbracciarlo. 

"Cosa c'è?" gli chiesi. Era un po' che non avevamo modo di parlare da soli come avevamo sempre fatto prima della partenza, quando passavamo ogni weekend insieme. 

Immaginai di cosa si trattasse, Blaine non aveva mai trovato quello giusto a New York e non l'avevo mai visto tanto raggiante come con Kurt. 

"Mi manca così tanto, non puoi capire" singhiozzò. Probabilmente non potevo davvero capire, non avrei potuto immaginare di separarmi da Santana. Soprattutto in quel momento in cui tutto mi sembrava precario. 

"Lo so, devi essere forte. Torneremo da lui, te lo prometto" se davvero teneva così tanto a lui avevo il dovere di farli rincontrare. 

Rimanemmo abbracciati sotto le stelle estive, appena visibili con l'inquinamento luminoso che già allora le città americane avevano. Blaine si sfogò senza trattenere le lacrime, facendone scendere qualcuna anche a me. Avevo bisogno anch'io di lasciarmi un po' andare, dopo l'apparente spensieratezza con cui avevo affrontato quei giorni. O meglio, quei mesi. 

Ci svegliammo con la luce dell'alba e le ossa doloranti. Dormire per terra non è il massimo, anche se solo per alcune ore. 

Ci guardammo e fu un momento strano, reso tale dalla luce e da quella sensazione di quando sai di poterti di fidare di una persona più che di te stesso. Ci sorridemmo e ci alzammo in sincrono ancora abbracciati. 

Quando rientrai trovai Santana addormentata sulla spalla di Sam che la cingeva con un braccio, addormentato anche lui. Provai una strana sensazione. Seppur loro due fossero amici di vecchia data non avevo mai visto San così a suo agio vicino a qualcuno.  

 

L'articolo era quasi pronto, io e Blaine avevamo lavorato moltissimo e ora non restava che riguardarlo e portarlo in redazione. Stavo rileggendo la parte finale perché c'erano un paio di frasi che non mi convincevano quando sentii entrare qualcuno in casa. 

"Chi è?" chiesi ad alta voce. Nessuno rispose ma rimasi concentrata sull'uso della punteggiatura. 

"BU" mi urlò qualcuno alle spalle facendomi scattare in piedi. La reazione successiva fu una fragorosa risata. 

"Sei il solito" gli dissi, girandomi. 

"Gli altri due sono andati a fare un po' di spesa" 

"E tu come mai sei qui?" 

"Gli ho detto che avevo una chiamata urgente in bagno, ed era anche vero, ma in realtà c'è una cosa di cui devo parlarti" mi fece un po' preoccupare, Sam non era mai serio. 

"Si tratta di Santana, ieri sera mi ha confidato delle cose. Anche se mi ha fatto promettere di non dirlo a nessuno, conoscendola penso di dovertene parlare io"


/ Eccoci, rispettato l'appuntamento del lunedì anche dalla settimana bianca! Non siete fieri di me? A parte gli scherzi. Non odiatemi, un po' di suspence fa bene ahah. Ma fatemi assolutamente sapere cosa pensate del capitolo, della storia, di tutto c: /

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


I giorni successivi alla partenza delle due persone più importanti della mia vita furono probabilmente i peggiori. Tenni duro fino al rientro a casa dall'aeroporto, stretta a Sam. Una volta nella mia camera mi crollò il mondo addosso. Come era potuto succedere? Mia madre in ospedale, mio padre sembrava esanime e ora Santana e Blaine a migliaia di chilometri. Inoltre dopo la partenza del mio migliore amico, io e Sam avevamo lasciato casa sua. Così ero da sola nella mia stanza e Sam era in un piccolo monolocale in centro da sua zia Holly.

Non sapevo bene cosa avrei voluto fare. Forse piangere, forse gridare, forse tirare un pugno fortissimo al muro. Quello che feci però fu rimanere perfettamente immobile sdraiata con una strana sensazione spiacevole al centro del petto.

"Brittany" mi sembrò di sentire.

"Brittany" mi riscossi dal torpore ma non ero sicura se la voce provenisse dalla realtà o dal sogno.

"Tesoro posso entrare?"

"Sì" sussurrai d'istinto, ancora nel dormiveglia.

Dopo poco sentii il materasso abbassarsi alla mia sinistra e mi costrinsi ad aprire gli occhi. Mio padre mi osservava preoccupato.

"Hai voglia di dirmi cosa è successo?"

"Dovrei partire dal principio" dissi stancamente.

Lui non disse nulla, aspettò che io facessi la mia scelta. Gli dico tutto? La tentazione era forte, in fondo mio padre era sempre stato ragionevole. In più avevo tremendamente bisogno di confidarmi con qualcuno.

Così gli raccontai delle prime notti insonni a Buenos Aires, dell'attentato in cui ero stata coinvolta, della convalescenza nell'ospedale di Santana. Lì iniziai a dubitare di volergli raccontare tutto ma non mi fermai. Gli dissi di tutte le persone meravigliose che avevo conosciuto e della fortuna nel ritrovare Blaine, poi gli raccontai del salvataggio della latina e a quel punto si presentò il grande interrogativo. Gli dico di Santana? Non sarebbe dovuto essere un problema ma allo stesso tempo non sapevo come avrebbe reagito.

"Senti papà, io e Santana..." non riuscii a finire ma frase, non subito almeno. Lui fece un sorriso indecifrabile e annuii leggermente.

"Lo so" ridacchiò addirittura "Lo so tesoro"

Inarcai la fronte, le sopracciglia e tutte le zone circostanti. Ecco, quella non me l'aspettavo. Papà mi fece segno di proseguire con il racconto e io, seppur ancora un po' scossa, ubbidii. Non mi sembrava di aver avuto atteggiamenti espliciti, a quanto pareva mio padre mi conosceva più di quanto credessi. Così gli raccontai del convivere con Santana nell'appartamento fino alla sua lettera. Gli dissi del repentino cambio di idea di San che aveva acconsentito ad accompagnarmi e del viaggio. Così completai il racconto esausta, senza quasi più fiato. Parlare così a lungo, e di cose che mi avevano cambiato così tanto, mi aveva come intontito.

"Vedrai, se vi amate troverete un modo per tornare insieme" mi disse rassicurante "E se stare qui ma non poter davvero stare con te la faceva soffrire, allora è meglio così"

Lo speravo davvero. Quando Sam mi era venuto a parlare con quello sguardo così serio mi ero davvero preoccupata. E a ragione, quello che mi aveva detto dopo mi aveva fatto sentire triste e non solo. La notte in cui mi ero addormentata sul poggiolo con il mio migliore amico, lei e Sam erano rimasti in salotto. San gli aveva confidato, in un momento di debolezza, che non ne poteva più. Sarebbe stata anche a New York per me ma la situazione la stava distruggendo, avermi vicina ma non poter interagire con me sempre presa dal lavoro. Mi ero sentita in colpa, dovevo salvare mia madre e non potevo dedicarle le attenzioni che meritava.

Così era partita. E con lei Blaine, che non resisteva più senza vedere il suo amato Kurt. Ovviamente ero felice che la latina non partisse da sola ma separarmi da entrambi era stato doloroso.

"Lo so che ci sei rimasta male ma io e la mamma non volevamo crearti preoccupazioni" ruppe il silenzio dopo un po'. Ci misi qualche secondo a capire di cosa stesse parlando, pre com'ero dai miei pensieri.

"Ce la possiamo fare papà, c'è abbastanza tempo"

 

Ehy Britt,

fortunatamente sono già riuscita a scriverti. Non vorrei sembrare sdolcinata ma ti penso continuamente, ogni luogo qui mi ricorda te. Ogni volta che parlo spagnolo ripenso a tutte le volte in cui ho tentato inutilmente di insegnartelo.

Mi dispiace di essere partita senza salutarti come si deve ma sarebbe stato impossibile in ogni caso. Spero che tu non sia triste, non troppo almeno. Qui hanno bisogno di me più di te. Sei una donna forte. Voglio che tu ti concentri nel lavoro, nella storia. Il mondo ti amerà, diventerai famosa. Ma prima di allora sarò di nuovo da te, a vantarmi continuamente della mia ragazza.

Fai la brava, San

 

San!

Non sapevo come farti arrivare delle lettere ma per fortuna Sam mi aveva dato il numero di casa di sua zia, mi ha spiegato tutto.

Raccontami qualcosa! Come stanno lì? A che mese è Quinn? Puck non è ancora scappato? Scherzo, ovviamente non è scappato perché non oso immaginare cosa gli avresti fatto.

Comunque l'articolo iniziava in prima pagina e continuava nella seconda e la terza! Vuol dire che è il più importante del giornale di oggi, spero che la gente legga e capisca. Il capo mi ha telefonato per complimentarsi. Dillo a Blaine, e digli che mi manca. Saluta tutti, mi raccomando.

Mi manchi tantissimo pure tu, Britt

 

Per alcuni giorni non arrivò nessuna lettera di Santana. La prima e unica era un po' stropicciata da quante volte l'avevo letta o semplicemente presa in mano. Ero così triste, e preoccupata, e sola. La mia vita era improvvisamente così vuota senza  nessuno con cui condividerla. Mamma aveva avuto una ricaduta una di quelle notti e papà rimaneva in ospedale tutto il tempo ch poteva.

L'unica nota positiva fu la chiamata di un editore abbastanza sconosciuto che, sapute le mie intenzioni di pubblicare un libro-documentario, avrebbe voluto parlare con me di un'eventuale pubblicazione. Il colloquio sarebbe stato due giorni dopo.

 

Ehy Britt,

spero questa lettera ti arrivi in fretta. Qui si respira aria di rivoluzione e di libertà. Forse sono troppo ottimista ma è questa l'impressione da quando sono tornata.

Quinn sta bene ma sembra una palla, e si offende appena le accenno qualsiasi cosa sulla sua forma fisica. Puck è perfetto e la sopporta incondizionatamente. Gli altri stanno bene e ti salutano, ti mandano abbracci eccetera. Li conosci.

Blaine e Kurt mi faranno venire il diabete. E forse, forse, mi danno un po' fastidio perché stavolta quelle divise siamo noi. Ah, Blaine è contento per l'articolo. Tutti lo siamo.

E vogliamo sapere come sta tua mamma.

Qui stanno organizzando una colletta per aiutarti con le spese dell'ospedale, inutile dirti che abbiamo poco e niente. In ogni caso te li allegherò alla prossima lettera.

Manchi. Un bacio, San

P.S. Sono sul nostro terrazzo e questo materasso è scomodo come prima che ti conoscessi e diventassi il mio cuscino

 

"Il signor Beiste la riceverà tra un momento" mi informò la segretaria.

"Va bene, grazie" le risposi e mi sedetti nel piccolo salottino. Ero un po' nervosa ma cercavo di non darlo a vedere. Mi persi a pensare all'Argentina, mi succedeva spesso. O meglio, ogni secondo che la mia mente non fosse impegnata. Per questo speravo che il colloquio sarebbe andato a buon fine, scrivendo il libro mi sarei distratta dalle preoccupazioni.

Mi venne in mente che di solito gli editori leggono tutto il manoscritto prima di decidere se pubblicarlo o meno, non capivo perché fossi lì. Il libro non era pronto, nemmeno una bozza a dire la verità. Avevo solo un fascicolo con tutte le storie che mi avevano raccontato là e tutti i fatti di cronaca relativi.

Ero persa nei miei dubbi quando la segretaria chiamò il mio nome.

"Piacere, io sono Sheldon Beiste"

"Brittany Pierce"

"Ah, io la conosco benissimo signorina Pierce" mi disse. Sembrava molto simpatico. Non aveva esattamente l'aspetto di un editore di libri, piuttosto di un allenatore di rugby.

Mi fece segno di sedermi e obbedii.

"Allora, ho letto l'articolo e ho seguito la vicenda" esordì "E non appena ho sentito che aveva intenzione di scrivere un libro ho deciso di cogliere l'occasione prima che sia troppo tardi"

"Ma io non ho una bozza da farle leggere o qualcosa di simile"

"Lo so" rispose ridacchiando "Lo so, è una cosa un po' insolita ma diciamo che le farei un contratto sulla fiducia"

"Beh, credo sia fantastico. Però non vorrei deluderla"

"Ho sentito anche che sua madre ha bisogno di una cura molto costosa" al chè feci una faccia abbastanza stupita, non credevo che qualcuno seguisse la mia vita. Mi sentii tipo una celebrità di cui tutti sanno tutto, e non fu piacevole.

"Non avrà mica creduto che nessuno si accorgesse di lei signorina Pierce? Cosa crede, che dopo aver aperto gli occhi a una nazione lei ne sarebbe uscita indenne?" aggiunse scherzoso.

Sorrisi un po' timida, quell'uomo mi ispirava simpatia ma mi metteva un po' in suggestione.

"Comunque non sto per dirti che pagherò tutte le spese e ti farò diventare ricca, non me lo posso permettere. Posso solo assicurarti che pubblicherò il tuo libro e di fargli la giusta pubblicità. E poi dobbiamo sperare che faccia successo, ma io sono ottimista"

"Va bene, accetto" non ero lì per un miracolo, quelli succedono solo nei film.

"Però ho una condizione" mi irrigidii.

"Voglio che tu lo scriva sul posto, credo sia l'unico modo per far arrivare il giusto messaggio. Senza interferenze dall'esterno. Ti do un mese e poi voglio il manoscritto sulla mia scrivania, lo manderò in correzione e lo pubblicherò" non seppi cosa rispondere, non me l'aspettavo.

"E avrei un'altra condizione"

"Sentiamo" riuscii a dire.

"Rimarrai in Argentina fino a che tutto finirà, voglio un sequel dove i miei lettori americani possano leggere la conclusione della storia"

Le condizioni stavano diventando davvero troppe. In pratica anche se avessi potuto far curare mia madre non sarei potuta stare con lei.

"Immaginati. Tutta gli Stati Uniti conosceranno Brittany Pierce, l'intrepida scrittrice e attivista nella Guerra Sucia"

"Io non voglio diventare famosa, voglio solo che il mondo faccia qualcosa per l'Argentina e salvare mia madre"

"E l'unico modo per ottenere entrambe le cose è diventare famosa. Tu va e scrivi, al resto ci penserò io"

Lo osservai negli occhi. Volevo fidarmi. Era davvero quello l'unico modo? Se quello era quello che potevo fare per tutte quelle persone innocenti che avevano perso la vita oppure i loro parenti allora dovevo partire. E poi non era quello che volevo davvero? Tornare dai miei amici? Tornare da Santana? Dio quanto l'amavo. Era come se la vita mi avesse riportato al bivio e mi avesse permesso di decidere di tornare dove avrei dovuto essere.

"Accetto. Mi dia il tempo di spiegare ai miei e di fare i bagagli"

Wow. Non avrei mai creduto che la mia vita potesse essere così movimentata.

/ Se vi state chiedendo, ho aspettato due settimane per questo? Avete perfettamente ragione ahah ma davvero vi prometto che mi farò perdonare /

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


/ Ehy, capitolo scritto ascoltando i Cage the Elephant. Credo abbiano influito ahah, ve li consiglio. Btw spero vi piaccia, non è molto lungo ma non sono riuscita a fare di meglio, una settimana non è lunga come sembra. See you honeys /
 

"Vuoi un po' di the tesoro?"

"No grazie, signorina Holiday"

"Acqua, caffè... vodka?"

"No davvero" risposi, sorvolando l'ultima proposta.

La zia di Sam era davvero strana, una di quelle persone di cui non hai la minima idea di quanti anni abbiano.

Mi scambiai uno sguardo divertito con il ragazzo mentre Holly Holiday si era voltata verso lo zucchero.

"Quindi siete di nuovo in partenza?" ci chiese, mescolando una strana sostanza fumante.

"Rende la pelle più lucida" mi sussurrò quasi, come se mi stesse rivelando un segreto, alludendo alla tazza. Annuii cercando di essere più convincente possibile, per quanto le stranezze di quella donna si facevano sempre più numerose.

"Sì zia, domani mattina"

"Bagagli pronti?" ci chiese, poi bevve un sorso e fece un'espressione disgustata. Dopo essersi ripresa scrollò le spalle guardandomi, della serie "se bella vuoi apparire...".

Sam annuii e così feci anch'io, la mia amata borsa in pelle era pronta nella mia camera. Dentro alcuni chili di carta, un cambio di vestiti, del sapone e altra roba per il bagno, una torcia. Le penne. Dovevo ricordarmi di metterci anche delle penne, non sapevo come avrei trovato Buenos Aires e mi serviva tutto l'occorrente per scrivere. Inoltre le penne negli Stati Uniti erano più evolute e maneggevoli, in quei anni la tecnologia aveva fatto moltissimi progressi in ogni campo.

 

Arrivammo all'aeroporto di Buenos Aires all'ora di pranzo. Anche se ormai l'estate era finita da un mesetto faceva ancora caldo, Sam era in maniche corte e lo invidiavo dato che non potevo togliermi la felpa poiché sotto non avevo nulla.

Il viaggio però era stato abbastanza traumatizzante, per una buona metà eravamo passati dentro una tempesta e quel piccolo aeroplano non era il massimo della stabilità.

Una volta fuori, ai margini della città cominciai ad agitarmi. Non avevo ancora realizzato che tutto era cominciato da capo, che eravamo di nuovo in uno stato politicamente instabile. Per avere notizie più precise dovevo chiedere ai ragazzi, sicuramente più informati dei telegiornali americani. I ragazzi. Quanto mi erano mancati. Puck, Quinn, Kurt, Mercedes, Mike, Tina e tutti gli altri. E poi c'era Blaine che non vedevo da poco ma che non vedevo l'ora di vedere e aggiornare riguardo alla mia decisione di accettare l'incarico.

E poi c'era lei. La mia persona. Difficile da descrivere qualcosa di allo stesso tempo ultraterreno e concreto. Bella da fare male, una personalità profonda e unica. Già, difficile da spiegare tuttora nonostante gli anni che ho avuto a disposizione per osservarla. È come studiare il mare, ogni volta che riesci a sapere tutto su un organismo degli abissi ne individui altri dieci.

E lei stava con me. Cioè non ufficialmente, però nella lettera aveva parlato di me come "la sua ragazza" forse riferendosi ad un futuro prossimo. In ogni caso eravamo giovani, spensierate ed io ero felice semplicemente perché l'avevo conosciuta e avevo la possibilità di amarla.

 

La prima persona che incontrai arrivando all'ospedale fu Tina e pensai alla coincidenza mentre l'abbracciavo, era stata la prima che avevo visto la mia prima volta lì.

Io e Sam ci eravamo diretti subito lì, dopo aver acquistato dei panini enormi ed estremamente calorici. Avevamo comunemente deciso che ci volevano, dopo un viaggio come quello. Per fortuna mi ero ricordata di portare il denaro avanzato dal mio viaggio precedente in Argentina.

Dopo che anche Sam ebbe salutato Tina, entrammo. Lei non finiva più di dire che era felicissima che fossimo lì, che non sperava di vederci così presto. Già, eccoci di nuovo qui.

Varcai l'entrata secondaria e mi diressi dritta nel corridoio, sbirciando nella mia vecchia cameretta. Esattamente come la ricordavo, era così emozionante ripensare a quei giorni, quelle settimane. A come tutto era cambiato, a come io ero cambiata.

Scesi le scalette, le stesse che avevo sceso in braccio a Sam quando non potevo ancora muovermi senza stampelle dopo l'incidente, e sorrisi a tutte le teste che si girarono nella mia direzione. La prima ad assalirmi fu Quinn e risposi alla sua stretta come se non ci fosse un domani. Poi fu il turno delle braccia muscolose di Puck, quelle esili di Kurt e poi di tutti gli altri.

E poi la vidi. Oh mio Dio. Non potevo crederci.

"Lei è Beth" sentii dire da Quinn che la stava andando a prendere in braccio.

Guardai Puck che osservava la scena con un sguardo che raramente gli avevo visto, solo rivolto alla bionda. E ora con lo stesso sguardo seguiva i movimenti di Quinn e ammirava quella creatura perfetta.

Quinn si avvicinò a me con la bambina in braccio.

"Naturalmente dorme" disse sorridendomi e porgendomi Beth. Io terrorizzata dalla responsabilità la presi in braccio, attentissima a tenerla salda. Tutti mi circondavano sorridenti, tutti catturati da quella meraviglia.

"Beth, ecco zia Britt" disse Quinn, accarezzando le testa della figlia profondamente addormentata.

"Puck, Puck ho bisogno di te. È successo un casino" sentimmo una voce proveniente dal piano di sopra e dei passi veloci che imboccavano le scale.

Mi voltai in tempo per vederla arrivare, trafelata, illuminata dalla luce al neon. I capelli in una treccia disordinata, la faccia di chi dorme poco e una felpa sformata che un tempo doveva essere stata blu.

"Britt" pronunciò muta, lo lessi sulle sue labbra.

Sentii Puck che mi prendeva Beth dalle braccia ma nient'altro. Santana cominciò a camminare verso di me. Senza esitazione mi mise una mano dietro la testa e mi baciò. Chiusi d'istinto gli occhi e risposi, piacevolmente sorpresa. Prima che la situazione si facesse troppo bollente ci staccammo a malincuore e ci guardammo felici. Da quando lei era partita non ero mai stata così felice come in quel momento, nonostante tutto.

E cercai invano di realizzare ciò che era appena successo, Santana mi aveva baciata. Lì, davanti a tutti, per una volta aveva fatto qualcosa senza pensare. Ero così fiera di lei, così felice.

Sentii che mi prese per mano e mi trascinò via. Guardai i miei amici con dispiacere, ma non troppo. Puck naturalmente mi fece l'occhiolino, sapeva sempre quand'era il momento giusto per farlo. Io non sono mai stata capace, credo che le persone si dividano in base a se fanno l'occhiolino o meno.

Comunque mi ritrovai a correre dietro a Santana, a fare gli scalini a due a due, a uscire sul terrazzo.

Si girò e mi baciò di nuovo. Wow. Non avrei sperato ad un'accoglienza migliore.

Quando si staccò la potei finalmente ammirare per bene, da vicino. Lei mi sorrideva e in quel momento tutte le incertezze sembravano non essere nemmeno esistite.

Stavo per dirle quanto ero felice di vederla ma lei mi precedette.

"Per fortuna sei qui, devo assolutamente dirti una cosa che mi tengo da un po'" inarcai le sopracciglia curiosa, e leggermente preoccupata.

"È una cosa bella o brutta?" chiesi, ma la sua espressione faceva pensare bene.

"Bella, Britt. Ho capito che non sono indecisa, sono solo spaventata" inarcai le sopracciglia un po' di più. Non capivo come quella potesse essere una cosa bella, non capivo a cosa si riferisse.

"Non ti ho mai detto di amarti, non perché io non lo faccia, ma perché inconsciamente mi facevo fermare dalla paura delle conseguenze" ci misi un po' per analizzare ciò che mi aveva detto poi presi la situazione in pugno, dovevo essere convincente.

"San, amore, non devi aver paura. L'amore è una cosa bella"

"Come fai a essere sempre così convinta che tutto andrà bene?" mi chiese con un faccino indifeso, la Santana che non tutti avevano avuto la fortuna di conoscere.

"Perché io ti amo e farò di tutto per continuare a farlo per sempre, sono così convinta che tutto deve per forza andare bene" le risposi ovvia. Vidi il suo viso pensieroso, poi vidi un sorriso farsi strada. Poi la vidi ricomporsi, sempre sorridente ma finalmente determinata.

Vidi che mi amava, lo vidi dal suo sguardo. In realtà l'avevo sempre saputo ma avevo aspettato che lo sapesse anche lei.

"Andiamo in città, ho una fame" mi disse dopo un po', riscuotendomi dall'ammirarla.

Mi prese per mano e scesi gli scalini,gli stessi che avevamo fatto un bel po' di tempo fa, ma questa volta nessuna delle due aveva fretta.

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Guardai ancora una volta Santana scusandomi con lo sguardo. E lei ancora una volta mi guardò crucciata mentre mescolava il suo drink.

Tornai sul mio foglio, feci una freccetta, scrissi una parola chiave del racconto e una serie di indicazioni comprensibili solo a me stessa.

Non resistetti, alzai di nuovo lo sguardo su di lei. Lo vedevo che non era arrabbiata, scherzava serena con la barista e da come era a suo agio capii che si dovessero conoscere da tempo. Era una ragazza più o meno della nostra età, quindi una donna. Faccio ancora fatica a contrassegnare le mie coetanee, e me di conseguenza, come donne. Comunque un pensiero si stava insinuando nella mia testa, la latina voleva farmi ingelosire? Aveva senso, io l'avevo scaricata per raccogliere delle storie... Rimasi perfettamente indifferente, velatamente divertita.

Santana non si comportava mai in maniera così espansiva.

"...e beh, alla fine eccoci qui" concluse l'uomo a cui, dopo alcune chiacchiere al locale, avevo chiesto di raccontarmi bene cosa fosse successo ad alcuni dei suoi parenti.

"Grazie mille" solo che si era dilungato un po' troppo e Santana si era spazientita e aveva cominciato a bere. E a parlare con la barista.

Prima che l'uomo potesse riprendere a parlare per qualsiasi motivo gli strinsi la mano e mi avviai verso il balcone. Appena alzai lo sguardo però lei non c'era più, e nemmeno quella certa Dani.

La mia serenità scemò un poco. Mi guardai intorno ma non le vidi. Dalle finestre entrava ormai la luce calda del tramonto autunnale, doveva essere passato davvero molto tempo.

I pochi clienti mi osservavano ma non ci feci caso, andai spedita verso la porta-finestra e uscii. Finalmente un po' d'aria fresca, ero stata là dentro più di quanto avessi pensato. Eccole. Le due argentine chiacchieravano nella luce del tramonto, con ognuna un bicchiere in mano. Non avevo contato i numerosi di Santana, reggeva davvero bene l'alcol.

Mi avvicinai senza esitare e attirandola con una mano intorno al suo bellissimo collo, baciai la latina a stampo.

"Cosa bevete?" chiesi disinvolta.

"Non ha un nome, l'ha improvvisato Dani" mi rispose avvicinandomi il bicchiere.

"Me ne servirà uno pieno dopo quell'intervista" ribattei scuotendo la testa.

"Vado a preparartene uno anche a te" disse dopo un po' Dani, sconfitta. In fondo quello era il suo lavoro, non avrebbe potuto dirmi di no.

Santana mi guardò, quasi ammirata.

"Ti raggiungiamo" disse alla barista che stava già tornando dentro.

Mi avvicinai alla ringhiera, ci trovavamo sulle alture della città. Santana mi ci aveva portato praticamente appena ero atterrata in Argentina. Il panorama era simile a quello dall'ospedale, solo da una prospettiva leggermente diversa. Infatti come posizione erano vicini e con un sentiero un po' nascosto al margine della città eravamo arrivate in una decina di minuti.

"Scusa San, non la finiva più"

Non mi rispose, continuò a guardare la sua città. Stavo per aggiungere qualcosa quando si girò verso di me, ormai aveva perso le incertezze. Si vedeva dal suo sguardo, quello che mi riservava. Mi sorrise debolmente, come se fosse troppo concentrata su qualcosa per dare più espressività al suo viso. Fece un passo nella mia direzione e poi un secondo. Wow. Quanti baci quel giorno.

Ma non mi baciò, continuò a sorridermi mentre spariva dietro di me. Mi stava abbracciando. Mi teneva salde le braccia intorno al collo, mi sembrò quasi di immaginare i suoi pugni chiusi sospesi e la sua espressione serena. Feci scivolare le mani sui suoi fianchi fino a incrociarle dietro la sua schiena. Pensai a quanto i nostri corpi si incastrassero alla perfezione e sorrisi.

 

"Ci metterei la mano sul fuoco"

"Dani non l'avrebbe mai fatto" ribatté Santana divertita.

"Sese, quella mi ha avvelenato per averti tutta per se e tu ridi"

"Britt, non è colpa di nessuno se non reggi nemmeno un drink" non resistetti più e scoppiai a ridere anch'io.

"Mi ero ripromessa di cominciare a scrivere il primo capitolo stasera ma ho troppo sonno" sbuffai, era stupido ma continuavo ad incolpare Dani nella mia testa.

"Facciamo così, ci beviamo un super caffè e poi ti aiuto" si propose.

"Il caffè volentieri ma no grazie, lo leggerai quando sarà pubblicato" e le feci una linguaccia.

"Blaine mi ha detto che lui ha letto il prologo" disse, dopo aver sbuffato.

"Lui mi aiuta a migliorarlo San, è il mio assistente" le risposi divertita, chiamando Blaine come aveva fatto il nostro datore di lavoro.

Santana sembrò un po' offesa ma si arrese e mi fece segno di andare a fare il caffè in cucina.

Eravamo tornate nell'appartamento. Nei miei ricordi era una reggia ma mi resi conto che doveva aver interferito la presenza di Santana, poiché era poco più di una cantina.

Socchiusi gli occhi e pensai a mia madre, poi a mio padre, poi a come avevo deciso di strutturare il libro, a Lord Tubbington il gatto obeso che mi aveva tenuto compagnia fino a pochi anni prima. Mi accorsi di perdere progressivamente la concezione di ciò che mi circondava ma non feci nulla per contrastare il sonno.

 

Mi svegliai con l'odore del caffè e il solito raggio di sole negli occhi. Sbuffai, era giorno. Ed ero a letto.

"Saaan" urlai, con la voce di ci si è appena svegliato.

"Amore alzati, la colazione è pronta" esistono parole migliori di queste? Forse per la prima volta nella mia vita mi alzai dal letto sorridente.

Mentre attraversavo il soggiorno però sentii bussare alla porta con un nuovo codice, dovevano averlo cambiato mentre ero stata via.

Aprii senza pensare, ingenuamente.

"Signorina Brittany Pierce"

Annuii all'agente, ingenuamente.

"Bene, mi segua in centrale. La dichiaro in arresto per reati contro lo Stato" panico, aspettai che mi parlasse dei miei diritti e di quelle cose di cui parlano nei film ma non lo fece.

Quando mi girai per farmi mettere le manette vidi Santana con due tazze in mano immobile, che mi fissava persa.

"Ehy! Non potete arrestarla!" urlò rivolta a gli agenti.

"Temo proprio di sì, la diffamazione è perseguibile" le rispose l'agente che non stava armeggiando con le manette.

"Diffamazione?" dicemmo in coro.

"Secondo quanto riportato la signorina Pierce ha diffuso false informazioni su quello che sta succedendo in Argentina e sulle azioni dello Stato, in ogni caso non mi dilungherò oltre"

"Ci segua in centrale" aggiunse il secondo agente che aveva stretto le manette più del necessario.

Guardai Santana, stava chiaramente ragionando. Riconobbi l'espressione che ha quando sta per agire in modo impulsivo ma necessario. Scattò verso il tavolo e prese la borsa, mi corse incontro, mi prese un braccio e mi trascinò via. L'uomo in divisa non mi prese l'altro braccio per pochi centimetri e ci mise un po' a realizzare cosa stesse succedendo. Il collega fu più svelto e lo sentii caricare la pistola e correrci dietro mentre correvamo ormai sulla strada. Le manette erano dolorose e mi ostacolavano la corsa ma realizzai di non poter rallentare.

Appena girammo l'angolo sentii i primi colpi. I due agenti non mi erano sembrati particolarmente atletici ma erano armati. Una paura incontrollata si stava facendo spazio dentro di me, stavo scappando dalla polizia. Inoltre non avevo molte probabilità di cavarmela, sperai con tutta me stessa che Santana avesse un piano. La vedevo correre davanti a me e non capii se avesse una meta.

Dio. Stavo davvero scappando dalla polizia. Pensai all'appartamento ormai perso e a tutto il mio lavoro che si trovava a tracolla della latina.

Rischiai di inciampare nel ciottolato ma continuai a correre, svoltammo di nuovo a destra dove una coppia sulla cinquantina ci squadrò. Non avevo più sentito spari ma alcune urla non molto distanti da me.

Per fortuna quella zona era abbastanza deserta, dati gli avvenimenti molti erano migrati altrove.

"Fermatevi" sentii urlare dietro di me, Santana non si voltò.

Quasi arrivate in fondo a quella piccola strada si infilò in un portone, o meglio, una porta di legno. Ci avevano assolutamente viste, pensai.

"Presto Britt" la udii, non riuscii a decifrare il suo tono.

Salì delle scale strette, nella penombra. La seguii incespicando. Arrivate al primo pianerottolo sentii la porta spalancarsi e alcuni passi pesanti. Salimmo ancora, ero allo stremo. Non potevo neanche aggrapparmi ai passamano.

Due piani sopra le scale si diramavano e cambiammo scala, andando dalla parte opposta. Quel palazzo aveva un'architettura davvero particolare.

Si fermò davanti ad una porticina dipinta di bianco e pensai che ci avrebbero preso. La vidi tirare fuori una piccola chiave appesa a una cordicella dei pantaloni. Mi sembrò che si muovesse al rallentatore, con i passi dei due uomini sempre più vicini.

Quando la porta si aprì e noi entrammo mi sembrò impossibile che riuscisse a richiuderla in tempo. Ma ce la fece.

Si appoggiò con la schiena al muro per riprendere fiato. Io mi sedetti a gambe incrociate, ostacolata dalle manette, stremata.

"Non abbiamo molto tempo, quando arriveranno all'ultimo piano cominceranno a sfondare tutte le porte"

Non le risposi, quando mi succedono cose del genere tendo ad andare in confusione.

"È un buon segno Britt" disse dopo un po' porgendomi la mano per farmi alzare.

Io la guardai perplessa, ero appena evasa da un arresto per diffamazione e da quel momento sarei dovuta vivere da ricercata e quello era un buon segno?

"Il fatto che ti vogliano arrestare testimonia l'effetto che ha avuto il tuo lavoro"

Annuii, ero l'artefice di una fuga di informazioni inaspettata. Essere ricercata non era che un'esortazione a continuare, anche se da quel momento in poi non sarei potuta girare liberamente in Argentina. Forse l'ospedale era un posto sicuro, in fondo se le autorità avessero saputo cosa succedeva là avrebbero arrestato tutti. Non sarei stata di sicuro io a metterli nei guai. Ma se quello che facevo avrebbe potuto influire anche solo un minimo nella situazione in cui si trovava quella popolazione avrei fatto di tutto. Per gli argentini, per i miei amici, per i genitori di Santana.

Mi alzai in piedi, su quella terrazza, per mano con lei nonostante le manette. Tutto così incerto, impossibile apparentemente, ma fin troppo concreto.

/ Prossimo capitolo a breve, sono stata un sacco produttiva in campagna. Alla prossima /

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


Britt ti prego, tu sei l'amore della mia vita.

Aveva usato quelle parole, esattamente quelle. Mi rimbombavano nella mente.

Parole bellissime, soprattutto dette da lei. Da lei che era l'amore della mia vita. Tutto perfetto, no? No.

I problemi principali in quel momento erano quattro. No, tre dato che Santana con una strana manovra mi aveva tolto le manette. Innanzitutto mi ero persa, questo perché ero scappata da Santana che, prima di farmi quella dichiarazione, mi aveva detto di avermi tradita. Questo perché rischiavano la vita e aveva sentito il bisogno di dirmi tutto. Ecco spiegato "il casino" di cui parlava mentre cercava Puck quando era entrata nel salone. E spiegava anche la confidenza con la barista, Dani. La motivazione fu che si sentiva da sola, lì a Buenos Aires.

Pensieri disordinati come la mia mente quando va in confusione.

 

Santana e io ci incamminammo per mano. Eravamo in una terrazza. Chiusa la porta verniciata di bianco alle nostre spalle avanzammo verso una ringhiera arrugginita.

"Avevo preparato questa via di fuga molti anni fa, quando avevo scoperto quel piccolo appartamento appartenente ai miei genitori. L'avevo anche testata, all'epoca arrivavo qui senza il fiatone" ammise con un po' di amarezza.

Pensai alla giovinezza di Santana, la sua vita familiare tranquilla prima di essere travolta. Immaginai il suo periodo successivo, da sola, a vagare per i tetti della periferia cercando alleati e vie di fuga.

"Ora c'è un punto un po' pericoloso ma passato saremo al sicuro" mi limitai ad annuire, ero nelle sue mani.

Si sporse dalla ringhiera e ci saltò sopra con la sua incredibile eleganza, rimanendo in equilibrio come una pantera su di un ramo, pronta a balzare sulla preda.

Smisi di fantasticare quando lo fece davvero, spiccò letteralmente il volo fino ad aggrapparsi ad un cornicione. Poi, precariamente aggrappata a una ventina di metri dal suolo, appoggiò il piede su uno spuntone e scavalcò un muretto basso che delimitava il tetto. Tutto questo con la mia pesantissima borsa a tracolla in spalla. Quando fu sopra ripresi a respirare. Cosa si aspettava, che facessi lo stesso?

Evidentemente sì, dato che mi fece segno di raggiungerla. Io scossi energicamente la testa.

"Salta sul cornicione, ti prendo io" mi cercò di persuadere.

Scossi di nuovo la testa terrorizzata. Avevo paura del vuoto e le mie braccia non erano esattamente affidabili.

"Britt, ce la puoi fare altrimenti non ti farei rischiare"

La prospettiva di andare in carcere con la pena aggravata non mi sembrò nemmeno tanto male. Mi immaginai in una cella, al sicuro. Poi riflettei che la polizia non era esattamente affidabile, diciamo pure senza scrupoli.

Salii sulla ringhiera che cigolò pericolosamente, mi dovetti tenere saldamente con entrambe le mani.

"Senti Britt, è un argomento che avrei trattato con calma ma a questo punto devo dirtelo. Tutto è così temporaneo"

Mi sembra un ottimo momento, di affrontare un discorso serio, ora che sto per lanciarmi su un tetto. Ottimo.

"Mentre ero qui senza di te mi sono sentita così sola. Sono andata nel bar sulle alture. Io e Dani ci conosciamo bene, diciamo che abbiamo dei trascorsi. E ecco... ti ho tradita"

Ora, io sono in equilibrio precario a venti metri di altezza e la mia ragazza ammette di avermi tradita?

"Non è successo niente alla fine, mi sono fermata in tempo però mi dispiace così tanto Britt" urlò quasi. Non eravamo molto distanti ma il vento interferiva in quella conversazione inverosimile.

Dovetti scendere, balzai all'indietro incespicando. Santana mi aveva tradito, quasi tradito. E ora io avrei dovuto seguirla ciecamente? Guardai in basso, delle scalette proseguivano verso il basso. Ci saltai senza pensarci due volte. Proprio mentre le stavo scendendo sentii la voce di Santana.

"Britt ti prego, tu sei l'amore della mia vita" mi arrestai. Per un momento riflettei su quelle parole. Io ero l'amore della vita di San. Poi mi riscossi, evidentemente no o non mi avrebbe fatto quello. Ripresi la discesa, stavolta sentii un altro suono. Il rumore di una porta sfondata. Svoltai in una specie di arco, sotto di me la città si stava risvegliando lentamente. Ammirai per un attimo i numerosi fiori che qualcuno curava in quel giardinetto improvvisato che terminava in una piccola porta. Provai ad aprirla ma come c'era da aspettarsi era chiusa. Tornai indietro ma sentii delle voci, se i due agenti si erano sporti era meglio rimanere lì dietro. Nonostante tutto sperai con tutta me stessa che Santana si fosse nascosta in tempo.

 

Mi obbligai a tornare alla realtà. Mi ero rannicchiata nell'aiuola alla sinistra della porta per un tempo che non riuscii a determinare. La mia percezione di quello che stava succedendo era compromessa da tutti quei pensieri. Ormai gli agenti dovevano essere tornati indietro a perquisire il resto dell'edificio o almeno così sperai. Mi alzai con le braccia graffiate dai rami di un arbusto, ero uscita di casa in maniche corte per ovvi motivi ma l'estate era ormai agli sgoccioli.

Rabbrividii per il freddo e sicuramente anche la paura. Paura dell'ignoto. Sarei sopravvissuta senza di lei? Dove dovevo andare? All'ospedale? L'avrei raggiunto senza essere arrestata? Erano molte le domande senza una risposta ma dovevo agire. Riguardo all'ultima domanda la risposta era probabilmente no, per una bianca come me è difficile non dare nell'occhio in America Latina. Soprattutto all'epoca quando il turismo non era esattamente fiorente.

Ma non ebbi il tempo di riordinare le idee perché Santana fu più veloce. Me la trovai davanti, doveva aver sceso le scalette con la sua solita silenziosità.

"Ti prego" la frase subordinata era sottintesa.

"San, come..." non riuscii a terminare a mia volta.

Vidi i suoi occhi diventare lucidi, la vidi trasformarsi ancora una volta nella sua versione indifesa. Ma quella volta non provavo il disperato bisogno di accorrere in suo aiuto. Anzi, il suo sguardo implorante mi irritò. Non riuscivo a far prevalere il mio amore nei suoi confronti per quanto lo volessi. Sì, nonostante quello che mi aveva ammesso, avrei voluto solo poterla perdonare e fidarmi ciecamente di lei. Ma ormai l'unica cosa che sentivo era il distacco che si era formato. Ero arrabbiata, quelle parole erano troppo belle per essere vere. Non potevo illudermi di essere l'amore della vita di qualcuno che mi aveva tradita. Nella mia testa si susseguivano pensieri sempre uguali che giungevano sempre alle stesse conclusioni, come in circolo.

Guardai Santana, con occhi diversi rispetto al solito. Non riuscivo a decidere come comportarmi con lei, non feci trapelare nulla dal mio sguardo. Semplicemente la osservai, in silenzio, come se la vedessi per la prima volta. In lontananza solo i suoni ovattati di Buenos Aires e il vento forte di quella mattinata.

"Vieni con me" fu quasi una supplica.

Cos'altro avrei potuto fare? Dipendere da lei mi infastidì per la prima volta, mi resi conto che da quando l'avevo conosciuta non avevo fatto altro che farmi salvare da lei. Mi ero solo illusa di fare lo stesso provando a farle superare i suoi complessi. Stavo pensando troppo.

Sembrò esitare, se prendermi o no per mano come sempre. Poi però, dopo avermi studiato, optò per rinunciare. Risalì verso la terrazza e scavalcò la ringhiera, feci lo stesso come un automa. Ripeté la stessa impresa atletica e mi aspettò dietro il muretto. Saltare o non saltare, impulsività o riflessione. Vecchie divisioni che tornano a galla.

Poi, semplicemente, saltai. Sentii l'adrenalina durante il volo, vidi con la coda dell'occhio la preoccupazione di Santana e il suolo così distante. Poi arrivò il contatto ruvido con l'edificio. Le mie mani scivolarono sui alcuni centimetri fino ad aggrapparsi alla leggera sporgenza finché quello non fu l'unico sostegno. Ero ancora viva, meglio di come avevo pensato. Le braccia però erano praticamente già allo stremo. I polsi segnati dalle manette avevano cominciatoa a sanguinare. Guardai in basso e appoggiai il piede allo spuntone di ferro, procurando un po' di sollievo agli arti superiori.

Prima ancora che potessi ragionare su come compiere l'ultimo balzo un braccio forte mi afferrò e mi portò fin sull'ambito tetto. Mi rialzai ma non rincontrai gli occhi nerissimi della latina che stava già armeggiando con l'abbaino.

 

Non dormii per nulla. Anche se il posto era carino, quasi romantico. Ci trovavamo in una soffitta, Santana mi aveva accennato che fosse abbandonata e l'aveva scelta come tappa finale della via di fuga.

"Qualcuno conosce questo posto?" le chiesi, fredda.

"Puck, è con lui che prendo le decisioni"

"Come definiresti il tuo rapporto con lui?" infierii liberamente, sapendo che Santana odiava parlare di se ma non poteva darmi altri motivi per essere arrabbiata con lei.

"In ordine amici, scopamici, fratelli" la sua schiettezza mi colpì positivamente. Per la prima volta parlavamo senza mezzi termini.

"Credevo fossi lesbica" al quel commento si limitò a sbottare un sorriso, non capii come l'aveva presa.

"Diciamo che non ce l'aveva tatuato sul braccio quando sono nata" rispose poi, sarcastica. Capii.

Eravamo semisdraiate sotto la finestrella sul tetto, dalla quale entrava la luce della luna piena. La stessa luce che nascondeva le stelle vicine e proiettava la mia ombra e quella di San sul pavimento in legno.

Rabbrividii ma più che il freddo sentii la sete e la fame. E la scomodità, della soffitta e della situazione.

"Mi dispiace" sentii dire al mio fianco. Per quanto fosse vero non bastava a togliermi dalla mente l'immagine di Santana e Dani.

Scossi la testa, inutilmente, e quando mi voltai non la vidi più. Poi sentii qualcosa di pungente passare intorno alla mia testa e ricadermi sulle spalle. Lo presi, era un maglione molto grande. Sembrava nero ma forse non c'era abbastanza luce per stabilirlo.

"Grazie" sussurrai mentre me lo infilavo completamente. Era molto caldo e comodo. Mi voltai verso la latina, ne indossava uno simile ma più chiaro, forse bianco, in cui aveva aveva fatto stare anche le gambe magre. Anche lei era uscita di casa leggera. Guardava per terra, avvolta in quell'enorme maglione, illuminata dalla luna. Era una visione spettacolare, senza dubbio. Piano piano sentii qualcosa dentro di me sciogliersi.

"Me li ha dati Quinn da tenere qui in casi come questi, credo appartenessero a suo padre" disse senza staccare gli occhi da terra e io ascoltai senza staccarle gli occhi di dosso. Sentivo che qualcosa mi sfuggiva, stavo sbagliando qualcosa.

"Dì qualcosa" questa volta guardandomi negli occhi. Non si riferiva ai maglioni.

Ma io continuai a tacere, muovendo nervosamente le mani a contatto con quella lana allo stesso tempo ruvida e morbida.

"Continuavo a ripetermi Brittany se n'è andata, mi ha lasciata sola, non riuscivo a smettere di pensarlo nonostante sapessi che tu mi ami" disse ancora, per poi aggiungere a bassa voce "O almeno mi amavi" tristissima.

Il processo di demolizione dei muri che avevo creato dentro di me era quasi terminato. All'apparenza poteva sembrare il contrario, che lei mi avesse lasciata da sola a New York. Ma la verità era che aveva ragione, io l'avevo lasciata sola dopo averle giurato e promesso più volte che non l'avrei mai fatto. Io l'avevo fatta andare via dalla sua città per poi ignorarla, io l'avevo fatta tornare indietro sola. Era stato un periodo complicato, troppo. Avevo commesso degli errori perché avevo messo l'amore in secondo piano. Proprio quando l'avevo trovato ed ero corrisposta. Persino mio padre, nella breve permanenza a casa, aveva notato i nostri sguardi capendo tutto. E io ancora sottovalutavo la forza di quello che stava succedendo?

Basta. Dovevo smettere di pensare troppo e agire male. Mi avvicinai a gattoni e mi misi sopra di lei. La sua serietà compromessa dal solletico provocato dai miei capelli sul suo collo.

"Mi dispiace" disse ancora una volta.

"Lo so" ribattei sincera.

Stava per ribattere qualcosa ma le poggiai l'indice sulle labbra.

"Shh" le dissi, finalmente serena.

Mi abbassai lentamente e, dopo aver spostato la mano, la baciai delicatamente.

Una, due, tre volte e lei rispose, sciogliendosi a sua volta. Intrufolò le sue mani nel mio maglione, avvinghiandosi e provocandomi dei brividi. Mi appoggiai su di lei, notando piacevolmente che nessuna delle due avesse il reggiseno. Tanto più che i reggiseni dell'epoca erano della trappole infernali.

E così, finalmente, io e lei capimmo l'importanza di amarci in quella situazione. Sì, perché quello ci avrebbe fatto andare avanti nonostante tutto e quella notte ci fu chiaro. Sotto le stelle e la luna piena, in una soffitta, latitanti, nude sui morbidi maglioni.

/ Come promesso, eccolo! Spero vi sia piaciuto /

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


/ Periodo di magra eh, spero mi perdoniate. In ogni caso mi farò perdonare però recensite pls, sennò mi deprimo /
 

"Britt posso farti una domanda sul libro?"

"San per l'ennesima volta, voglio che tu lo legga una volta finito"

"No, non è quello" disse quasi imbarazzata "Si parla di me?"

Non saprei dire se preferisco la Santana sicura di se o quella insicura. Forse perché è impossibile scegliere tra due parti della stessa persona.

"Ovvio, si parla molto di te"

Ci eravamo svegliate in seguito a dei colpi di pistola ed eravamo rimaste abbracciate per un po' in silenzio, tranquillizzandosi l'una nelle braccia dell'altra.

Eravamo lì da alcuni giorni ormai ed era giunto il momento di spostarci, la fame iniziava a farsi sentire. Per fortuna in quel condominio fatiscente c'era una specie di bagno comune anche se abbastanza traumatizzante. Infatti, abituata ai servizi relativamente moderni dell'ospedale e dell'appartamento, non avevo potuto fare a meno di fare un'espressione disgustata davanti a quel "gabinetto" e a quel "lavandino". Anche l'acqua, per quanto indispensabile e potabile, aveva un sapore terribile.

Mi trovavo esattamente sotto la piccola finestra a scrivere, illuminata dalla luce malata di quel cielo nuvoloso. E fu proprio scrivevo, semisdraiata a pancia in giù e con Santana appoggiata sulle miei gambe, che tutto si oscurò. Alzai immediatamente lo sguardo, c'era qualcuno davanti all'abbaino. Anche San scattò per vedere chi fosse. Era Puck e stava bussando. Gli aprì la latina, aveva rimesso il lucchetto dopo che eravamo entrate. Appena lui saltò giù si abbracciarono e quasi mi commossi, vidi quanto fossero rassicurati dalla presenza reciproca. Poi si sedettero vicino a me e l'argentino mi strinse.

"Ve la cavate sempre voi due" ci disse guardandoci, fiero.

"Merito mio" dicemmo entrambe in coro per poi scoppiare a ridere.

"Ti ricordi quanto ci abbiamo messo per trovare questa via di fuga?" gli chiese, con sguardo complice.

"Ne è valsa la pena, anche se è stata utile solo una volta"

"Come tutte" ribatté lei.

In quel momento mi sentii un po' la terza incomoda. Potrebbe sembrare strano ma fu così, mi resi conto di tutto quello che legava quei due. Tutti quei anni e tutti quegli avvenimenti che avevano condiviso avevano fatto in modo che si capivano come nessun altro. E così ancora adesso.

Ma quella sensazione poco confortevole svanì non appena Santana mi guardò e io la guardai.

"Va bene, quando avete finito di fare sesso col pensiero avvisatemi" ci disse il ragazzo facendoci ridere.

Nonostante tutto Puck era sempre lo stesso.

"Partiamo appena viene buio" diventò serio.

La latina annuì grave, eravamo a rischio e saremmo stati esposti per un tratto poiché l'ospedale era dall'altra parte del centro. Forse però al buio nessuno avrebbe fatto caso a noi.

Puck sembrava davvero stanco, ci spiegò che Beth non lo faceva dormire da qualche notte così accettò quando gli proponemmo di dormire un po' finché non faceva notte. Così rimanemmo io e lei con la schiena appoggiata al muro e le gambe intrecciate.

"Andrà tutto bene" sussurrò dopo un po', non saprei dire se più a me o a se stessa.

"Certo, come sempre" le risposi convinta.

"Non rimarremo qui per un altro libro"

"Perché?"

"Voglio portarti via da qui, io sono abituata alle macerie ma tu meriti di meglio" mi fecero sorridere quelle parole. Possibile che non avesse ancora capito che se ero con lei ero felice ovunque?

"No San, il nostro posto è qui" le cinsi le spalle con il braccio strusciandomi sul suo collo "È questione di qualche anno al massimo e tutto sarà finito, poi andremmo dove vuoi"

"Vorrei girare il mondo" mi confidò.

La capii, non era mai uscita da Buenos Aires da quanto sapevo. L'unico viaggio era stato a New York con me. Mi ritrovai a pensare a quanto le nostre vite fossero state diverse fino a poco più di un anno prima. Io nella periferia di una delle città più avanzate al mondo, in quei anni di rivoluzioni in tutti i campi. La mia vita tranquilla, da tipica studentessa. Genitori amorevoli, serate con gli amici, tirocini in piccole testate giornalistiche, qualche corsetta nel tempo libero.

Poi pensai a lei. Ospedale abbandonato, a capo di un gruppo di giovani, l'attivismo in prima persona. Genitori dispersi da anni senza averne notizie, il chiudersi in se stessa, la solitudine.

Due situazioni completamente diverse che all'improvviso si erano fuse, a partire da alcuni sguardi timidi a quel legame imprescindibile.

Fui distolta dalle mie profonde divagazioni sulla persona che grazie al fato o semplicemente ad una fortunata coincidenza era seduta al mio fianco da un mormorio.

"Era la tua pancia?" le chiesi.

Appoggiata su di lei la sentii annuire. Anch'io avevo fame, erano ormai tre giorni che non toccavamo cibo. O quattro? Avevo perso un po' il conto.

 

Devo ammettere che quella notte fu abbastanza paurosa. Camminare praticamente alla cieca dietro le mie due guide, per quanto mi fidassi completamente di loro, mi mise in ansia. Uscimmo dall'attico non dalla finestra ma dalla porta e scendemmo le scale fino al piano terra, passando davanti al bagno che salutavo senza rimpianti. Uscimmo nella strada buia, l'illuminazione non era molto efficiente in quel periodo. Santana mi prese per il polso, ancora un po' dolorante a causa delle manette, e dopo avermi detto di seguirli mi trascinò via. Per alcuni tratti camminammo lentamente, circospetti, in altri punti invece corremmo a perdifiato. Non c'era nessuno in giro. Il che era positivo poiché nessuno ci avrebbe visto ma anche negativo, se avessimo incontrato qualche nostro nemico ci avrebbe notato subito. E in quel momento avevamo molti nemici, la polizia in primis.

Quando non mancava molto all'arrivo, come mi disse Santana, dovemmo cambiare strada due volte. Puck doveva aver visto qualcuno di sospetto. Cominciammo una strada in salita e finalmente capii dove fossimo, qualche minuto dopo arrivammo alle porte sul retro dell'ospedale.

Tirai un sospiro di sollievo, mi sentivo a casa. Per quanto quella non fosse casa mia. Il ragazzo aprii la porta sul terrazzo e fummo dentro. Corridoio, scale, corridoio, scale e fummo nel salone. Ormai, per quanto il mio senso d'orientamento sia pressoché assente, conoscevo quel tragitto a memoria. Solo la metà delle luci era accesa, l'atmosfera più tranquilla del solito. Dovevano essere le tre o giù di lì.

Notai solo due teste bionde e una mora in fondo al tavolo che si voltarono a guardarci. Il primo ad abbracciarmi fu Blaine, avevo quasi le lacrime agli occhi. Ero di nuovo tra loro, una specie di ritorno agli inizi. Poi fu la volta di Quinn e Sam si aggiunse. Anche i miei salvatori furono accolti calorosamente, avevano rischiato entrambi.

"È a dormire, se ne occupa Kurt" sentii dire da Quinn a Puck, parlando presumibilmente della piccola Beth.

"Non penso dormirò stanotte" decretò la latina al mio fianco. Annuii, neanch'io senza dubbio. Mi tremavano le mani da quanto ero agitata.

"Caffè per tutti?" chiese Sam ricevendo un'ondata di consenso.

"Da Santana me lo sarei aspettata, ma tu? Ricercata?" mi chiese divertita Quinn e il resto della notte lo passammo a raccontare le nostre vicende. E a ricevere aggiornamenti sulla situazione argentina.

 

"Quindi è finito" disse Blaine, con quel tono di quando riceviamo una notizia e non l'abbiamo ancora metabolizzata.

"È finito" ribattei, con lo stesso identico tono.

"Finito finito"

"Avete finito voi due?" sbottò lei.

"Finito" le fece il verso Puck, la latina senza rendersene conto aveva continuato la catena.

Scoppiammo a ridere come dei liceali. Blaine stava per continuare quando Santana gli diede uno schiaffo leggero in testa e fece lo stesso, più decisa questa volta, sulla testa di Puck.

"Ahia" si lamentarono entrambi.

"Mi farete venire un esaurimento, voi e i vostri cervellini" disse fintamente alterata per quelle battute stupide, a cui lei stessa rideva.

"Sei ingiusta, anche Brittany sta al nostro gioco" la colpì sul vivo l'argentino.

Santana non ribatté, se non con un dito medio, per poi scivolare con la testa sulle mie gambe incrociate. Faceva la dura ma le piacevano le coccole quanto a me. Le coccole con lei poi, avrei potuto non fare altro. Avevo già quasi completato una treccina con i suoi capelli nerissimi.

"Quinn e Sam?" chiese Blaine.

"Quinn sta allattando Beth, Sam non lo so" rispose Puck. Vidi che si scambiò una serie di gesti con San. Come sempre quando parlavamo tra loro non compresi ma conoscendoli capii che Puck si stesse riferendo alle tette di Quinn che per ovvi motivi si erano ingrandite. E il ragazzo non sembrava particolarmente dispiaciuto.

Scossi la testa ridacchiando, ormai le treccine erano più di cinque.

"Quando torna Tina?" domandai, era da moltissimo che non la vedevo. Mi avevano riferito che era andata in un'altra città per aiutare in alcuni interventi.

"Non si sa, speriamo presto" mi rispose Sam che era appena arrivato sul terrazzo.

Era passata circa una settimana dal nostro ritorno in ospedale, da quella notte in bianco. Il libro era terminato, avevo lavorato duramente con Blaine ed eravamo stati molto produttivi. In realtà il materiale era praticamente già pronto quando ero tornata in Argentina ma l'aggiustamento, il rendere leggibili anche le aggiunte a mano sui fogli stampati con la macchina da scrivere e tutte le varie revisioni avevano occupato molto tempo.

Ma ora era finito. Blaine si stava rigirando il manoscritto tra le mani con la sigaretta in bocca. Praticamente tutti stavamo fumando, all'epoca non si sapeva che facesse male o comunque non si era sicuri. O comunque non ci importava molto.

Eravamo ancora una volta tutti sul terrazzo, al tramonto. Il nostro momento preferito per ritrovarci lì.

Il libro era finito. Una è fatta. Ora dovevo mandarlo all'editore Beiste ed aspettare sue direttive. Avrebbe dovuto pubblicarlo quasi immediatamente, appena abbastanza stampe fossero state pronte.

Pensai di portarglielo di persona ma sarebbe stato impossibile partire con un aereo da ricercata, o comunque rischiosissimo. Non avrei potuto vedere i miei genitori per un po'.


 

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


Sorrisi. Ci ripensai e sorrisi di nuovo. Ce l'ho fatta. Ce l'avevo davvero fatta.

Il libro era stato un successone. Davvero, era uscito quella mattina e già alla sera le librerie avevano esaurito le copie. E io che pensavo che certe cose succedessero solo nei film. Beh qualche dubbio mi doveva venire quando avevo conosciuto Santana. Quella che in quel momento era solo un'ombra, illuminata dalla luce proveniente dalla finestrella. Ma lei era molto più di un'ombra, e non solo perché non sentivo più il mio braccio sul quale si era addormentata. Eravamo nella mia stanzetta originale, ogni volta che dormivo lì mi tornava in mente tutto.

Era stato un successo. Ancora non potevo crederci. Il mio editore mi aveva scritto una lettera ed era riuscito a recapitarmela via aereo in tempi record per comunicarmi la notizia. Sorrisi, e non solo per i capelli di Santana che mi stuzzicavano il volto. Ero felice.

Quella sera avevamo festeggiato tutti insieme, Puck aveva tirato fuori delle bottiglie di vino che nel giro di un'ora a forza di brindisi erano rimaste vuote. Avevo bevuto anch'io, ma stranamente non ero già andata. Forse l'adrenalina mi faceva rimanere lucida. Sorrisi, e non solo per l'alcol in corpo. Avevo fatto la mia mossa, tutti conoscevano il mio nome nella mia patria. Non vedevo l'ora di festeggiare con i miei genitori. L'editore Beiste mi aveva comunicato che non potevo rimanere in Argentina per un sequel a causa del mio contratto che il giornale aveva rivendicato, ora che ero famosa.

L'unico ostacolo era la polizia argentina. Fortunatamente fuori di lì non risultano latitante, non esisteva l'universalità delle istituzioni.

Ma io volevo andarmene? Non lo sapevo.

Però dovevo andare a New York per forza, a riscuotere i ricavati dalle vendite e firmare un assegno per l'ospedale. E poi?

Pensai quasi di svegliare San per parlarne con lei, ne avevo bisogno ma poi optai per aspettare l'indomani. La guardai nella penombra e sorrisi, non solo perché con lei facevo il sesso migliore del mondo ma perché l'amavo come non avevo mai amato nessun altro.

 

"Ricordi che mi hai detto di volertene andare da qui?" le chiesi, finalmente si era svegliata. Io non avevo dormito molto quella notte, troppi pensieri.

"Sì, con te" rispose dolcemente.

"Beh, prima possibile io devo andare a New York a pagare la cura per mia madre"

"Non è che quando ti ricongiungerai con la enorme biblioteca ti dimenticherai di me?"

"Impossibile" risposi dandole un bacio sul collo "Ti faccio una proposta"

"Vai" si girò scrutandomi negli occhi.

"Andiamo là, sistemiamo mia madre e salutiamo i miei. Ritiriamo il restante ricavato del libro e partiamo"

"Dimentichi che sei ricercata" e che il giornale avrebbe potuto obbligarmi a restare se non volevo perdere il mio posto.

"Non è che quel tuo amico potrebbe farci un ultimo favore?" le chiesi alludendo al suo amico pilota.

"Non lo so Britt, questa volta sarebbe ancora più rischioso" ragionò.

Non volevo forzarla, non volevo che il suo amico finisse in guai seri per colpa mia.

"Ne devo parlare con Puck"

"Capisco" le risposi comprensiva "Beh hai qualcosa da farmi fare finché siamo in Argentina?"

"Date le circostanze direi stare ben nascosta qui"

"Ma qui qui?" le chiesi alludendo a sotto le coperte.

"Esattamente, e per un bel po'" ribatté sorridendomi.

 

"Chissà dove sono quei due" commentò Quinn, scuotendo la testa rassegnata.

"Chi lo sa è bravo" aggiunsi ridacchiando.

San e Puck erano partiti in missione quella mattina, avevano avvertito Sam che era di turno nella stanzetta d'avvistamento all'ultimo piano, e nessuno li aveva più visti.

Naturalmente io ero preoccupata, e lo era anche Quinn. Forse anche Beth ma non lo dava a vedere.

"Secondo me tu lo sai" dissi alla bambina facendole il solletico sui piedi microscopici "Parla"

Lei in tutta risposta si contorse ridacchiando facendo ridere anche noi. In fondo non eravamo così preoccupate, quei due se l'erano sempre cavata.

"Certo che non ci somiglia a Puck" dissi parlando di Beth. Pelle candida, capelli biondissimi. Forse la bocca era un po' più carnosa come quella dell'argentino. Anche gli occhietti, pur essendo azzurri, avevano una forma diversa da quella di Quinn.

"Santana l'ha già soprannominata Quinn II" risi, la latina aveva già usato quel nome con me riferendosi alla bambina.

"Non potrò mai ringraziarti abbastanza" mi disse dopo un po', mentre sistemava Beth nel letto per il pisolino.

Inarcai le sopracciglia, perplessa. Di cosa doveva ringraziarmi?

"Hai fatto davvero molto Britt, per tutti. E soprattutto per mia sorella"

"Nulla di eccezionale Quinnie" le risposi sincera "E poi non devi ringraziarmi, io la amo"

Quinn vedeva davvero San come sua sorella, si vedeva da come ne parlava. Allo stesso modo di come lo faceva Puck. Santana si era ricreata la famiglia che aveva perso.

"Hai cambiato tutto, in meglio" insistette "E ora con il tuo libro hai aiutato tutti gli argentini, hai dato speranza ai genitori si Buenos Aires che i figli possano crescere in condizioni migliori" quelle parole mi emozionarono.

La abbracciai dolcemente, Quinn era stata fin da subito una certezza. Inoltre non diceva mai nulla che non pensasse veramente quindi a maggior ragione quello che mi aveva detto mi rese davvero felice.

"Quindi rimarrete qui? Crescerete Beth a Buenos Aires?" le chiesi, dopo che ci fummo staccate.

"Sì, ne abbiamo parlato e siamo giunti a questa conclusione" ammirai il loro coraggio.

"Io e San vorremmo girare il mondo" le ammisi, ripensando al discorso che avevo avuto quella mattina con lei.

"Fate bene, avete già dato" in effetti l'Argentina non era stata il massimo dell'ospitalità "Soprattutto San ma anche te, di guerra ne avete vista abbastanza"

Quinn lasciò Beth a Kurt e Blaine che giocavano a scacchi poco distanti da noi e uscimmo sul terrazzo a fumare.

Praticamente appena arrivammo sentimmo delle risa, ci guardammo complici. Avevamo capito subito a chi appartenessero le voci.

"Oh ciao" ci salutò la latina quando arrivò in cima alle scale.

"Eccovi" esclamò invece Quinn.

Puck si avvicinò a lei e, dopo averle cinto la schiena con un braccio, la baciò appassionatamente facendola ridere.

San mi indicò di seguirla e così feci, arrivando in quella specie di radura che si trovava alle spalle dell'ospedale.

"Anch'io voglio un bacio" decretai facendo il broncio e fermandomi.

Lei allora si voltò sorridente, mi prese la mano e mi baciò con lentezza facendomi sciogliere.

"Ti va di andarci a prendere qualcosa da bere?" mi chiese timidamente. Forse perché ciò implicava di avere a che fare con Dani. Annuii convinta.

 

Un déjà-vu. Non era la prima volta che sorvolavo l'Argentina, anche se la bellezza di quel panorama era ogni volta mozzafiato. Ma questa volta non ero su un bimotore scassato, facilmente spostabile da ogni folata. Ero su un signor aereo, stabile e con addirittura un'hostess privata. Mia e di Santana.

Mi godetti davvero quel viaggio, cibo, tranquillità e coccole. E panorama.

Non avevamo dovuto scomodare l'amico argentino, gli Stati Uniti erano venuti a prendermi. Non seppi se era stato Beiste a mobilitarli o meno, ma l'importante era che potevo tornare a casa. E questa volta a missione compiuta.

Riguardai l'Argentina per l'ultima volta, una malinconia mista ad eccitazione per il futuro mi travolse.

"Non siamo molto comunicative credo" esordì la latina al mio fianco.

Mi voltai a guardarla, stava fissando davanti a sé.

"Intendo dire, hai presente le coppiette?" e si voltò con uno sguardo che non riuscii a decifrare "Credo che siano più comunicative" ripeté il concetto.

"Non capisco bene cosa tu voglia dire" le dissi sincera anche se un'idea ce l'avevo.

Addentò una patatina fritta pensierosa e io tornai a guardare fuori da finestrino.

"Non lo so Britt, non siamo sdolcinate per nulla questo intendo"

"Preferiamo i fatti alle parole, sbaglio?"

Sorrise.

"Vorrei sapere sempre come esprimermi come te" e dopo un'esitazione "Amore"

"Non devi per forza chiamarmi amore come fanno gli altri" la rassicurai "Mi basta lo sguardo che mi riservi"

"Deve essere una cosa spontanea" continuai "E poi se non siamo sdolcinate qual è il problema?"

"Per quello nessuno, ci amiamo da impazzire e non dobbiamo per forza ricordarcelo" mi fece l'occhiolino "Però il fatto di non comunicarci quello che proviamo potrebbe creare problemi"

Mi ero un attimo persa al suo occhiolino incredibilmente sexy e dovetti concentrarmi sulle sue parole.

"Allora da ora in poi dobbiamo sforzarci di dirci tutto" in effetti in questo modo avremmo evitato ogni malinteso.

"Ci sto"

La baciai dolcemente chiudendo gli occhi, una cascata di emozioni come la prima volta.

"A cosa pensi amore?" mi chiese quando riaprimmo gli occhi.

"A quando ti ho baciata la prima volta"

"Mi hai fatto morire, sei sparita così e io ero cotta"

"Mi hai chiamata amore o sbaglio?" mi rispose alzando le spalle, mi ci sarei potuta abituare.

"E tu a cosa pensi San?"

"Al fatto che mi sta venendo il diabete per quanto potrei fare un'eccezione, e anche che voglio altre patatine fritte" disse facendomi ridere.

Io non avevo fame così tirai fuori i miei fogli e cominciai a scrivere. Non sapevo ancora cosa fosse ma come era sempre stato non potevo resistere per molto senza la penna in mano.

 

"Brittany sei la mia eroina"

"Non dirlo neanche mamma" mi fece commuovere, ci ritrovammo entrambe a piangere abbracciate. Era sul lettino, l'avevano ripresa in ospedale dopo che avevo pagato l'intera cifra. La sanità americana non aveva agevolazioni, e non le ha tutt'ora. Ti dicono la cifra e se puoi pagarla bene, altrimenti tanti saluti.

Anche mio padre aveva gli occhi lucidi anche se cercava di non darlo a vedere.

"Io e la mamma te li restituiremo tutti"

"Papà non è necessario, davvero"

Non volevo che mi ringraziassero. Dopo quello che loro avevano fatto per me.

"E questo bel braccialetto?" sorrisi guardandolo.

"Me l'ha regalato San, l'ha preso in Argentina poco prima che partissimo"

"Così non ti dimentichi della mia città" aggiunse lei, appena arrivata con una merendina delle macchinette.

Me la porse, era la mia preferita. Mi chiesi come facesse a saperlo, lei che non aveva mai visto delle macchinette. Mi chiesi come facesse a sapere come funzionassero. Sorrisi, nulla la metteva in difficoltà.

"Sarà difficile dimenticarla" ribattei, ci dimenticammo un attimo di non essere da sole.

"Allora partite?" mi chiese papà, glielo avevo accennato.

"Sì, prima però devo passare in redazione a chiedere se hanno degli incarichi urgenti" gli risposi "Al massimo facciamo una sosta qui"

"In effetti non mi hai ancora fatto vedere la tua città come si deve" disse Santana, sottolineando la parola tua. Per fortuna non aveva preso male la possibilità che non saremmo partite subito.

/ Non manca molto alla fine, recensiteee. Fatemi sapere quello che pensate della storia /

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Capitolo 18
*** Epilogo ***


"Cosa ci fai qua sul terrazzo Britt?" sentii ma non mi girai.

Silenzio per alcuni minuti, avevo gli occhi lucidi senza un valido motivo. Dopo un po' sentii qualcosa avvolgermi, prima una coperta e poi un paio di braccia intorno ai fianchi. Una sensazione di calore mi pervase, ci sono momenti in cui hai solo bisogno di sentirti amata.

Santana aspettò in silenzio.

Più provavo a parlare più mi veniva da piangere finché non riuscii più a trattenermi e scoppiai in un pianto liberatorio.

"Oh Britt" mi sussurrò e mi strinse più forte.

La crisi di pianto mi passò solo dopo qualche minuto, solo grazie a lei e sentii una mano che prendeva la mia, per poi trascinarmi dolcemente dentro casa.

La seguii docilmente ancora con gli occhi appannati finché non scontrai con la superficie morbida del letto e mi ci inginocchiai sopra. Sempre in silenzio Santana mi guidò con un braccio a sdraiarmi insieme a lei e ci coprì entrambe con la coperta di flanella.

Stretta a lei mi tornò piano piano la lucidità.

"Ancora un brutto sogno amore?" mi chiese a bassa voce, quasi non volendo spaventarmi.

Annuii a contatto con il suo collo.

Negli ultimi tempi mi succedeva spesso di avere degli incubi molto vividi, tanto da mozzarmi il fiato svegliandomi terrorizzata. Tutto era cominciato quando avevamo cominciato a ricevere lettere minatorie, o meglio Santana aveva cominciato a riceverle.

Erano passati parecchi anni dalle nostre avventure in Argentina, ora vi ci recavamo circa una volta l'anno per rivedere i nostri amici e salutare Buenos Aires. Ormai nessuno frequentava più il vecchio ospedale, non ce n'era più bisogno. Anzi Puck ci aveva detto che si parlava di abbatterlo e per quanto fossi dispiaciuta ero anche contenta che la città si stesse ricostruendo.

L'argentino e Quinn abitavano in una viuzza del centro, nella zona residenziale con le scuole migliori. E Beth cresceva, ormai non era più una bambina e questo ricordava a me e a Santana di aver passato la quarantina.

Comunque tornando alle lettere erano cominciate quando Santana era andata a ritirare un premio assegnato ai genitori dispersi per l'opposizione politica. Con l'avvento della pace erano state tirate le somme, detto volgarmente.

Certificati di morte e varie onorificenze.

E qualche folle aveva cominciato ad attaccare psicologicamente tutti i superstiti della resistenza. Tra cui Santana e i suoi compagni, sia quelli rimasti in Argentina che quelli sparsi per il mondo.

"Brittbritt non ci pensare, non ci faranno del male" apparentemente San non era rimasta scossa dalle minacce come me.

Forse aveva ragione. Non dovevo fare il loro gioco, erano solo dei vigliacchi.

Piano piano sentii i muscoli rilassarsi e lo stress cedere.

"Domani è domenica, giorno di telefonate" mi ricordò, probabilmente per distrarmi.

Da quando avevamo fatto mettere il telefono fisso in casa potevamo finalmente sentirci spesso con le persone più care. E poi amavo il telefono, non potevo ancora credere dopo tutti quei anni di poter sentire in tempo reale le voci di Tina e Mike in Massachusetts, quelle di Mercedes e Sam a Broadway, quelle di Kurt e Blaine a Toronto, quelle dei miei a New York e quelle di Quinn e Puck a Buenos Aires. L'invenzione migliore di tutti i tempi. Beh anche il gelato non era male.

Comunque era irrazionale preoccuparsi, per quanto avessi il terrore che qualcosa potesse dividermi da Santana.

"Hai ragione San, non ho più paura"

"Ora dormiamo che domani mattina devi essere carica per il giro di telefonate" ridacchiò, mi prendeva sempre un po' in giro per quanto ci tenevo.

"Scema" ribattei, cercando le sue labbra.

E come sempre eccole, lì ad aspettarmi.

Alla fine cosa era cambiato in tutti quei anni? Nulla. Cioè tutto tranne me e Santana.

Eravamo due donne mature in carriera, io tra conferenze e notti passate a scrivere lei con orari improponibili in tribunale come interprete.

Ma alla fine io ero sempre la ragazza ingenua e guidata dal bisogno di conoscere, lei la ragazza forte ma allo stesso tempo fragile.

Vivevamo in un attico sul mare della California, va bene, ma quando eravamo come in quel momento abbracciate al buio cose era cambiato? Nulla.


/ Sono consapevole che probabilmente la storia avrebbe potuto offrire ancora molto ma l'ispirazione è già andata in vacanza. Io no e la scuola mi sta prosciugando l'ultima linfa vitale. Detto ciò odio lasciare qualcosa incompleto quindi ecco la fine, corta e abbastanza insignificante ma conclusiva. Chiedo scusa e grazie a tutti quelli che l'hanno letta e sono arrivati fin qua, spero in ogni caso che non sia stata una completa perdita di tempo. Se vi va di dirmi qualsiasi cosa fatelo, mi farà piacere. Detto questo vi auguro una buona giornata/estate/vita /

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