Il canto del cigno

di cheekbones
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Goodbye, agent Dunn. ***
Capitolo 2: *** I'm gonna rip your throat out. ***
Capitolo 3: *** We are (maybe) a team ***
Capitolo 4: *** They call us ***
Capitolo 5: *** One way or another ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Goodbye, agent Dunn. ***


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IL CANTO DEL CIGNO





1. Goodbye, agent Dunn





"... rimarrà per sempre nei nostri cuori. Amen"
"Amen" rispose in coro la folla radunatasi al cimitero, quel martedì mattina.
In seconda fila, Stiles Stilinski tirò su col naso e guardò in alto, individuando strane forme nelle nuvole. Lo faceva spesso, quando voleva distrarsi e pensare ad altro; non voleva piangere. Era rumoroso anche quando piangeva e non era mai riuscito ad ovviare al problema. Era grande, ormai, e i singhiozzi non gli si addicevano più.
Accanto a lui, Lydia Martin sapeva esattamente come piangere. Il suo viso era una maschera di pietra, ma sulle guance rotolavano sempre più velocemente lacrime salate, che lei si limitava a raccogliere con la punta della lingua, straordinariamente senza intaccare il rossetto.
"Adesso, l'agente Scott McCall verrà a leggerci qualche parola in memoria di George Dunn"
Stiles sentì Scott irrigidirsi al suo fianco e stringergli il braccio. Ricambiò la stretta e lo vide andare verso il reverendo, che gli lasciò il posto accanto alla bara.
"Ho pensato a lungo a cosa dire, nelle ultime ore" si schiarì la voce. "Non sono molto bravo, in questo, e Dunn lo sapeva" accennò un sorriso che contagiò la signora Dunn e sua figlia, così come Stiles e Lydia. Era difficile parlare con loro di fronte, ma Scott prese un respiro profondo.
"Ho pensato di raccontare tutte le volte che George Dunn ci ha salvato la vita, di quanti casi ha risolto nella sua carriera. Dipingervi George Dunn come un eroe nazionale. E lo era. Ma più di tutto, George Dunn è stato come un secondo padre, per noi"
Lydia si lasciò andare in un singhiozzo, che coprì con una mano velocemente. "Ci ha afferrati e strappati alla nostra vecchia vita, ci ha accolto tra le sue braccia e ci ha dato una squadra. Una nuova famiglia" Scott aveva gli occhi lucidi e Stiles notò che guardava in alto anche lui. "Ci portava il caffè tutte le mattine, perchè passava di fronte a Starbucks e ricordava le nostre ordinazioni - anche se odiava il caffè senza zucchero dell'agente Martin"
Stiles e Lydia ridacchiarono, e la ragazza poggiò la guancia sulla sua spalla. "Era divertente fare appostamento con lui e mangiare la pizza fredda. Ma una delle cose più belle di George Dunn era la dedizione alla sua famiglia. Il Bureau era la sua vita, ma mai una volta ha messo il suo essere un agente dell'FBI sopra sua moglie e sua figlia. Vi amava tantissimo" Mamma e figlia si strinsero le mani e annuirono.
"Io oggi parlo per la squadra dell'agente Dunn, che ha fatto la storia dell'FBI e che merita di essere celebrato come di dovere. Grazie, capo"

"Non posso credere che sia morto" Stiles seppellì il viso tra le mani e ignorò volutamente le chiamate di suo padre. Non aveva voglia di parlare dei suoi sentimenti.
"Nemmeno io" pigolò Lydia e soffiò sul caffè che aveva di fronte. "Mi manca"
Scott stava stranamente in silenzio e Stiles capì che cercava di non cedere alla disperazione, come aveva fatto lui la sera prima. George Dunn non era semplicemente il loro capo, era l'uomo che li aveva trovati alla polizia e portati ai federali. Aveva fatto di loro una squadra di prim'ordine, si era preso cura di loro e aveva accolto Lydia, come nessuno avrebbe mai fatto all'FBI. Ed era morto.
"Cosa facciamo, adesso?" Stiles deglutì. "Chi prenderà il comando?"
"Non guardarmi nemmeno. Rifiuterei il posto, Stiles" accennò Scott. "Non prenderei mai il posto di George"
Lydia sbuffò. "Sei l'agente più anziano tra noi. E' ovvio che ti offriranno il posto e ci daranno un novellino. E non rifiuterai, Scott"
"Esatto. Non voglio estranei, e non lo vorrebbe nemmeno George. Meriti quella promozione più di chiunque altro"
Cadde di nuovo il silenzio, mentre nella tavola calda si affacendevano cameriere e nuovi clienti. Erano ad appena due isolati dal cimitero e se ne erano andati subito dopo la cerimonia - per Stiles era stato troppo vedere la signora Dunn ricevere la bandiera americana ed era scappato via. Da quando George era morto, non faceva altro che accarezzare il suo distintivo.
"E' colpa nostra"
"Stiles -" tentò di fermarlo Lydia.
"No, è colpa nostra" alzò lo sguardo e battè un pugno sul tavolo. "Dovevamo saperlo!"
"Non potevamo" Scott si massaggiò le tempie. "Lui sapeva che c'era una bomba. O almeno, lo sospettava. Per questo non ci ha telefonati e ha fatto tutto da solo"
"Potevo disinnescarla" accennò Lydia.
Scott ridacchiò tristemente. "Non puoi esserne certa e George non voleva rischiare. Suppongo che aspettare due anni per andare in pensione non fosse abbastanza per lui. Si è sacrificato per noi. Per farci vivere. Ha fatto la storia e voleva morire con onore"
Stiles guardò fuori dalla finestra e ripetè mentalmente le parole che aveva sentito il giorno prima, quando Isaac Lahey era riuscito a trovare la registrazione della chiamata all'unità di crisi di George.

"George Dunn, agente speciale. Sono a casa del sospettato Livingston, caso 00235. C'è... una bomba"
"Agente Dunn, esca da quella casa. Possiamo mandarle supporto in cinque minuti"
"E' troppo tardi. Provo a dinnescarla. Sta registrando la telefonata?"
"Agente Dunn..."
"Livingston è il responsabile del duplice omicidio, caso 00235. Ripeto: caso 00235"
"La squadra di supporto sta arrivando, agente Dunn. E' solo?"
"Sono solo, sì"
"Dove sono i suoi agenti? Agente Dunn?"
"Suppongo sia la mia ultima occasione per dirlo: Stilinski, Martin, McCall. E' stato un piacere"

"Stiles" Solo quando Lydia gli accarezzò una guancia, Stiles si accorse di star piangendo silenziosamente come aveva sempre sognato. Chiuse gli occhi e desiderò tornare indietro di dieci anni, non entrare nell'FBI e magari fare domanda per l'ufficio dello sceriffo come suo padre.
"Vorrei solo avere cinque minuti per elaborare la cosa" masticò tra sè e sè. 

-

L'ultima telefonata dell'agente George Dunn era stata inviata alla casella di posta di Peter Hale, capo dipartimento dell'FBI di San Francisco. Peter l'aveva ascoltata con rabbia malcelata e, alla fine, aveva scagliato lontano i documenti che doveva firmare. Uno dei suoi agenti migliori era morto e lui non poteva sopportarlo. Gli piaceva Dunn, era in quella sede ancora prima che a lui venisse data la massima carica dell'ufficio, ed era stato un buon braccio destro. Non aveva esitato un attimo ad affidargli una squadra di giovani agenti, nè tantomeno la pericolosa Lydia Martin che, da quando aveva mollato la CIA, non era ben vista dai federali.
Gli altri agenti avrebbero superato la sua morte? Come, se perfino lui non riusciva ad accettarlo?
La voce della sua segretaria nell'interfono lo scosse dai suoi pensieri, annunciandogli che suo nipote era arrivato.
"Fallo entrare, Cynthia"
Peter si alzò per raccogliere i documenti sul pavimento e sentì appena che Derek Hale chiudeva la porta dietro di sè.
"Finalmente quelle cartacce hanno il posto che gli spettano"
"Il tuo umorismo mi fa sempre rabbrividire" sogghignò Peter, invitandolo a sedere di fronte a lui, per poi prendere posto alla sua scrivania.
"Bella tana" Derek incrociò le braccia al petto. "Scommetto che la scrivania in vetro, il tavolo per le riunioni e lo schermo a cristalli liquidi non li ha pagati l'agenzia. E chi, Peter?"
"Non ho voglia di litigare. Non oggi" si sistemò la cravatta. Solo allora, Derek notò le occhiaie e i capelli fuori posto - la verità lo colpì in faccia come un pugno. Suo zio stava soffrendo, con molta probabilità per la morte di quell'agente la sera prima. Era una cosa talmente nuova per lui che rimase zitto per qualche minuto.
"Come ben sai, ventiquattro ore fa, George Dunn è morto durante un caso. Era uno dei migliori qui. Mi fidavo di lui" non distolse lo sguardo da quello di suo nipote. Voleva mostrargli che era sincero e non aveva paura di farlo.
"Mi dispiace. Gira le mie condoglianze alla famiglia. Ma io cosa c'entro?"
"Dunn ha lasciato una squadra"
"Ovvio. E di solito, in queste circostanze, l'agente più anziano prende automaticamente il comando"
"Sì. Ma non in questo caso. Voglio che tu prenda in mano la squadra di Dunn"
Derek mostrò la sorpresa, l'unica espressione che Peter vide da quando era entrato. "Stai scherzando? Non ho mai preso il comando di una squadra"
"Lo so. Ed è ora che tu cominci. McCall non è in grado di prendere le redini, è troppo giovane; tantomeno Lydia Martin e non mi azzarderei mai a mettere la mia carriera in mano a Stilinski. Tu, invece, sei perfetto: non ti ho fatto trasferire a Los Angeles a caso, Derek. Sei pronto"
"E cosa dici sulle voci che gireranno, eh? Il nipote del capo dipartimento che ha una promozione, guarda caso"
"Mi sono già occupato di tutto" sorrise. "Il tuo curriculum rasenta la perfezione, caro nipote. Basta scavare e nessuno potrà dire che non l'hai meritato"
"Ma noi due?" alzò un sopracciglio. "Non avrai la mia fedeltà. Mai"
"Lo so. Dunn era il migliore, ma sapeva tenermi testa. Conto che tu faccia altrettanto, che mi dica cosa non va, di cosa hai bisogno"
"Dov'è la fregatura?" Derek strinse la mascella. "C'è qualcosa che non mi hai detto"
Peter sospirò e guardò la foto di sua figlia Malia sulla scrivania, l'unica pecca sentimentale che si era concesso. "E' una squadra ferita. Sanguinante. George era un padre per tutti loro, non solo per i tre agenti, ma anche per gli esperti di cui si circondavano. Hanno i migliori contatti nelle altre agenzie e gli informatori più attendibili. Senza qualcuno di valido, tutto il lavoro di Dunn su quelle persone andrebbe perso"
"E tu non potresti averlo"
"Se vogliamo metterla così..." tamburellò le dita sulla scrivania. "Non sarà facile integrarti"
"Non voglio farlo. Devo solo dirigerli e risolvere i casi, asciugargli le lacrime non mi interessa"
"Quindi accetti?" Ghignò Peter.

-

Giovedì mattina, Stiles Stilinski, Lydia Martin e Scott McCall tornarono al lavoro. Occuparono le tre scrivanie che nell'open space gli erano state assegnate due anni prima, solo che una era stata svuotata. Tutti e tre la guardarono con nostalgia, ma nessuno le si accostò nemmeno per sbaglio. In ogni caso, Scott ci aveva appoggiato sopra un caffè macchiato con due bustine di zucchero - sarebbe stato come avere George con loro, solo per un'altra mattina. Fingere un suo ritardo, magari.
"Bene, un altro giorno alla base di San Francisco dell'FBI. Cosa ci toccherà stamattina?" cantilenò Stiles, simulando un tono allegro da manuale.
"Rapimento, Stilinski" Stiles sobbalzò sulla sedia e si voltò verso l'ingresso dell'open space, così come gli altri tre.
Un giovane uomo in giacca e cravatta, capelli scuri, occhi verdi straordinariamente familiari, stava ritto in piedi con un'espressione infastidita. Aveva con sè un borsone e uno scatolone, mentre analizzava le quattro scrivanie, l'una di fronte all'altra. Si soffermò su quella vuota e la raggiunse a passo di marcia. Poggiò per terra le sue cose e si sedette. Non spostò il bicchiere di caffè, ma Stiles notò che l'aveva visto ancora prima di muoversi.
"Scusi, quella scrivania non è disponibile" Lydia stava per alzarsi, furente.
"Credo proprio che sia la mia, invece. Agente speciale Derek Hale. Sono il vostro nuovo capo"







































Angolo dell'autrice:

Ho cercato di unire la mia passione per i crime a TW  e alla Sterek :3 Non sarà molto lunga, ma spero vi piaccia :D

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Capitolo 2
*** I'm gonna rip your throat out. ***


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IL CANTO DEL CIGNO





2. I'm gonna rip your throat out.




"Chi diavolo si crede di essere?" Scott entrò nel laboratorio della scientifica spalancando la porta con molta poca grazia. Isaac Lahey stava esaminando qualcosa al microscopio, quando il tono dell'altro lo spaventò e gli fece sbattere l'occhio sul macchinario. Dietro di lui, Lydia camminava con passo elegante, ma era chiaramente nervosa.
Stiles si sedette accanto ad Isaac e sbuffò sonoramente. "Hale. Dev'essere imparentato con Peter Hale. Il nostro capo supremo"
"Scusate ma mi sono perso. Di cosa stiamo parlando?" Isaac ridacchiò tra sè e sè. Stiles l'aveva sempre trovato abbastanza simpatico, anche se si ostinava a portare la stessa sciarpa; di certo, Lahey sapeva fare il suo lavoro ed era l'esperto della scientifica a cui George si rivolgeva sempre, tanto da farlo sentire parte della squadra. Non c'era voluto molto prima che Scott e Stiles lo invitassero ad uscire con loro - erano i più giovani, al Bureau, e avevano fatto ben presto fronte comune. Senza contare che Isaac li aveva coperti un milione di volte, rischiando di farsi licenziare.
"Derek Hale" Lydia si picchiettò sul naso, pensierosa. "Il nostro nuovo capo"
Isaac impallidì e lasciò perdere le sue analisi. "Non ti hanno dato il posto?" chiese, rivolgendosi a Scott.
"No, ovviamente. Derek Hale è arrivato una settimana fa e già mi sento sotto regime nazista. A stento ci rivolge la parola, si esprime in grugniti e, per Dio!, è possibile che sia imparentato con quella merda di Peter Hale"
Stiles mugugnava tra sè e sè, finchè non chiese ad Isaac il permesso di usare il suo computer. Gli altri tre lo videro armeggiare sul server dell'agenzia, mentre cercava di ignorare gli avvertimenti di file riservati che lampeggiavano sullo schermo. 
"Che stai facendo?" sussurrò Isaac. "Se scoprono che..."
"Non lo scopriranno. Ho sempre giocato con gli archivi e sono qui anche perchè sono un ottimo hacker" ghignò. "Tranquillizzati, Lahey. Voglio solo vedere con chi abbiamo a che fare. Sembra un modello di Abercrombie, ma ha un brutto muso che sinceramente mi terrorizza"
Lydia gli si affiancò, leggendo velocemente le informazioni che Stiles aveva trovato. "C'è solo questo? La sua carriera e basta? I casi non sono menzionati?"
"Nessuno, a parte i primi. Sono secretati, per ora. Se mi date due ore, potrei riuscire ad averli"
"Non ce le abbiamo due ore, Stiles" fece Scott. "Hale ci vuole sull'omicidio di Rami Janjua"
Stiles sbuffò e spense il computer. "Agente Martin, non può fare un paio di telefonate?"
Lydia lo guardò male, ma acconsentì con un vago cenno della testa. Non le piaceva ricordare il suo passato alla CIA, soprattutto perchè molti, al FBI, non la vedevano di buon occhio. Tutti sapevano che faceva l'analista, prima di mollare i Servizi Segreti per "incompatibilità ambientale" - se non si fidavano di lei alla CIA, perchè avrebbero dovuto farlo loro? Ma George Dunn riteneva che fosse un'ottima risorsa e l'aveva presa con sè. Aveva ancora un contatto, alla CIA, che non aveva avuto modo di interrompersi, dopo il suo licenziamento.
"Bene. Andiamo a lavoro, allora" Scott si massaggiò una spalla. "Isaac, penso che Derek Hale ti convocherà presto. Ci servirà la tua consulenza"
I tre agenti uscirono dai laboratori, lasciando Isaac Lahey desideroso di conoscere il nuovo agente speciale.
Nell'open space, trovarono Derek seduto alla sua scrivania con un cipiglio infastidito e la cravatta allentata. "Stilinski, fammi una panoramica del caso. Subito. Parleremo in seguito delle vostre poco appropriate fughe dall'ufficio"
Stiles si affrettò a sedersi.
"Rami Janjua, figlio di Aziz Janjua, ambasciatore pakistano temporaneamente residente a San Francisco*. Rapito tre giorni fa, nel tragitto casa-scuola, da uno squadrone armato. La sua scorta è stata eliminata in tre minuti e quindici secondi. Il rapimento è durato circa sei giorni, finchè il corpo non è stato ritrovato sulle scale dell'ambasciata. Smembrato"
Stiles si zittì e passò le foto della scena del crimine sullo schermo tra la sua scrivania e quella di Lydia.
Derek strinse gli occhi e si alzò per osservare la scena del crimine.
"Chi ha trovato il corpo?"
Lydia lottò con un paio di fogli, finchè non trovò la testimonianza giusta. "La guardia incaricata di proteggere l'entrata. Quella della mattina. La guardia precedente ha staccato alle sei del mattino, si sono dati il cambio e alle otto, quando il secondo turno ha aperto gli uffici e ritirato la posta, ha trovato Rami sulle scale"
"Quindi l'hanno portato lì tra le sei e le otto, in linea di massima" Scott si allungò sulla sedia. "Ma non sappiamo dov'è stato ucciso"
"Una cosa che non capisco" sospirò Lydia. "è... lo smembramento. Posso capire il rapimento del figlio di un diplomatico, il suo assassinio. Ma perchè ridurlo così? Non ne avevano motivo"
"Ho visto una cosa del genere, in passato" Stiles corrugò la fronte e attirò lo sguardo di Derek. "Quando ero in polizia, intendo. I narcotrafficanti utilizzavano dei poveri disperati disposti ad ingoiare bustine di droga da portare fuori dal paese, in cambio di qualche banconota. Molto spesso, il corpo non riusciva ad espellere la droga, e le persone morivano. Per recuperare la merce, venivano aperti in due"
"Ma Rami non era un disperato in cerca di denaro" sussurrò Derek. "Aveva tutto quello che un adolescente può desiderare. Aveva addirittura lasciato il Pakistan, ora viveva qui, probabilmente sarebbe anche riuscito ad ottenere la cittadinanza, un giorno"
Restarono a guardare la foto del cadavere, finchè Derek non li richiamò all'ordine. "D'accordo. Martin, McCall, chiamate la scuola di Rami. Voglio sapere tutto: i suoi voti, se faceva parte di qualche club, se aveva una ragazza, tutto. Anche quante volte andava al bagno. Stilinski, io e te andiamo all'ambasciata pakistana. Ti sei ricordato di farti dare il permesso, vero?"
Stiles gli lanciò un'occhiata gelida e ferita. "Ovvio"
"Bene. Andiamo!" nessuno dei tre si mosse. Anzi, si scambiarono uno sguardo indeciso, che Derek riuscì a cogliere appena in tempo. "Cosa?"
"Ecco" Scott si schiarì la voce. "Stiles è il mio partner. George ci mandava sempre insieme a..."
"McCall. Io non sono George Dunn" Stiles notò che quando era irritato induriva la mascella. Faceva quasi ridere. "E Stilinski serve a me, viste le sue..." accennò un ghigno. "... ottime doti col computer"
Stiles non aveva ben capito come Derek Hale fosse venuto a conoscenza delle sue incursioni nel sistema dell'agenzia, nè a cosa potesse servire una tale qualità nell'ambasciata pakistana, tuttavia lo seguì silenziosamente, guardando Lydia e Scott con disperazione. Da quando era arrivato, nessuno era stato davvero solo con Hale: quando li avevano chiamati per il rapimento di Rami, il giorno stesso del suo arrivo, erano andati tutti e quattro all'ambasciata, senza rivolgersi la parola. Per lo più, avevano lavorato dall'ufficio e, quando avevano bisogno di parlare con i genitori di Rami, utilizzavano i telefoni per non entrare in territorio pakistano.
Perciò, Stiles salì in macchina rigido come un pezzo di legno. Derek lo aveva quasi spintonato via, quando stava per mettersi al posto di guida. Di sicuro non era un tipo molto amichevole.
"Allooora" Stiles si schiarì la voce. "Come si trova, qui, capo? So che l'inizio non deve essere stato facile, è che siamo ancora tutti molto scossi per la morte di George, non siamo sempre così tristi e disperati. George era una forza, gli volevamo tutti un gran bene. E davvero, davvero eravamo sicuri che non sarebbe arrivato un agente nuovo. Scott, McCall intendo, è giovane ma pensavamo che avrebbe potuto cavarsela, George credeva molto in lui. E in noi. A questo proposito, non caccerà via Lydia, vero? Nessuno la vuole in squadra, pensano che sia ancora una faccendiera della CIA, o peggio, una traditrice. Ma non lo è. Sul serio. L'agente Martin è magnifica - cioè, non  ho una predilezione per lei. Non ho una cotta. Davvero. Ce l'avevo, in realtà, ma poi mi è passata; sono accadute un po' di cose nella mia vita e..."
"Stilinski?" ringhiò Derek, stringendo le mani sul volante.
"Eh?"
"Sta zitto. O giuro che ti strappo la gola"
Stiles deglutì un paio di volte. "Mi scusi, capo. Lo faccio spesso, meglio che lo sappia. All'agente Dunn faceva ridere e..."
Derek inchiodò improvvisamente, facendo quasi volare Stiles fuori dall'auto. "Ok, Stilinski. Mettiamo in chiaro un paio di cose" si voltò verso di lui, furente.
"Io non sono George Dunn. Non so quante volte l'ho dovuto ripetere in questa settimana, tra voi, Peter Hale, e le persone che chiamavano in ufficio, pensando che fossi lui. Non sarò un padre per voi, non me frega niente dei vostri sentimenti, voglio solo risolvere dei dannati casi e andarmene a casa a dormire. E, cazzo, non voglio assolutamente sentirti parlare per ore di cose che, ovviamente, non mi interessano. Intesi?"
Stiles aveva la bocca spalancata e l'espressione colpevole. Non gli aveva ancora sentito pronunciare una frase così lunga ed era così strano che stesse parlando proprio con lui. Quella sì che era una sorpresa - doveva scriverlo a Scott per SMS.
"Intesi?" urlò.
"Intesi" si voltò velocemente verso il finestrino e Derek ripartì, ingranando la quarta con rabbia.
"Mi dispiace" biascicò Stiles, qualche secondo dopo. "Io... mi sono preoccupato, in tutto questo tempo, di riuscire a superare il lutto e di far stare meglio Scott e Lydia. Pensavamo che la cosa non... insomma... non volevamo farla sentire in questo modo... come se fosse un usurpatore. Mi dispiace, davvero"
"Non ho detto questo, Stilinski" sbuffò Derek.
"Lo so" Stiles sorrise, guardando la strada. "ma so che si è sentito così. Mi dispiace. Non l'abbiamo accolto nel modo più simpatico del mondo"
"Non mi interessa!"
"Non ne sono così sicuro" borbottò Stiles, guardandolo di sbieco.

-

L'ambasciata pakistana non aveva niente di diverso dalle decine di ambasciate che si trovavano in America: si presentava come un edificio a forma quadrangolare, bianco, di almeno due piani. Aveva sicuramente molti anni, anche se Stiles non ne capiva molto di arte e architettura, e l'entrata accoglieva i visitatori con due enormi pilastri in marmo verde. Per entrare, gli agenti avevano dovuto chiedere un permesso e Derek lo avvisò di stare attento ad ogni passo, perchè potevano considerarsi in territorio straniero. Parcheggiarono nel cortile antistante l'ambasciata.
Stiles scese dalla macchina e si schiarì la voce. "Capo. A che le servo esattamente io?"
"Ovvio che una domanda così idiota me la facessi tu. Stilinski, Rami Janjua era innanzitutto un adolescente. E qual è la cosa più importante per un adolescente?"
Salirono le scale dell'ingresso e Stiles si concesse una perfetta visuale del lato B del suo capo. "Uhm. Il sesso?"
"Stilinski" ringhiò. "Materialmente, intendo"
"Oh. Il computer" si illuminò. 
"Esattamente" Derek alzò gli occhi al cielo. "Quando andrai in camera del ragazzo, concentrati sul computer. Sei veloce?"
"In che ambito?"
Derek gli tirò uno schiaffo sulla nuca. "Scusi, scusi!, e sì. Sarò veloce" sbuffò. "E comunque la violenza non è mai la soluzione ai problemi"
"... disse quello con una pistola"
"Capo, sta seriamente facendo del sarcasmo?"
Stiles si salvò da altro colpo solo grazie alla guardia dell'ambasciata pakistana che li fece entrare nel più completo silenzio. All'interno, l'edificio manteneva la maestosità esterna, ma con un tocco culturale che non poteva assolutamente mancare: il colore predominante era l'oro, con un punta di rosso. Tutto stava ad indicare la ricchezza di quell'ufficio.
"Prego" la guardia li scortò fino alla sala d'aspetto, dove una segretaria stava velocemente archiviando i fax di condoglianze per l'ambasciatore. Alzò lo sguardo per un secondo, tornando poi a smistare la posta. Si soffermò un minuto in più su Derek, azzardando anche un sorriso. Stiles le lanciò un'occhiata incredula - aveva voglia di flirtare durante un lutto?
"Gli agenti del Bureau immagino" disse, avvicinandosi con la mano già tesa. Derek la strinse e sfoggiò un sorriso invidiabile (che, nello specifico, Stiles non aveva visto in tutta la settimana. A quanto pare solo le straniere carine ne erano degne).
"Agenti Hale, e Stilinski" mostrarono i distintivi. "L'ambasciatore dovrebbe sapere del nostro arrivo"
"Oh, sì, vi sta aspettando nel suo ufficio privato, al secondo piano. Vi accompagno"
"L'agente Stilinski vorrebbe vedere la camera del ragazzo" accennò Derek e gli lanciò un'occhiata in tralice. "Vero?"
Stiles annuì e si fece indicare la camera del ragazzo deceduto. Derek seguì la segretaria, conversando amabilmente, e l'altro li guardò con una punta di invidia: razionalmente, sapeva che l'agente Hale tendeva a fare buon viso a cattivo gioco, ma il fatto che non si fosse sforzato con la sua nuova squadra lo irritava.
Poteva fingere anche con loro, poteva fingere davvero alla grande - probabilmente gli avrebbero creduto. Eccetto Lydia.
Derek Hale era un indovinello, avvolto in un mistero, all'interno di un'enigma**; ovviamente, Stiles ne era stranamente attratto, anche se non gli erano mai piaciute le persone tristi e col muso lungo.
La camera di Rami Janjua era il Caos e a Stiles ricordò la sua, quella che aveva lasciato a Beacon Hills. Nella stanza c'era un letto a due piazze, un comodino, un armadio subito sulla destra, una scrivania piena di oggetti di dubbia provenienza e un pc portatile. Sul pavimento.
Stiles entrò titubante e fece velocemente il segno della croce. Non era religioso, ma sua madre era cattolica praticante e gli aveva insegnato a portare rispetto per chi non c'era più. Si sedette sul pavimento e accese velocemente il computer.
La vibrazione del cellulare lo distrasse.

Aveva un'amica "speciale". Indaga.

Derek Hale. Telegrafico come pochi al mondo. "Probabilmente è un maniaco di Twitter" borbottò Stiles tra sè e sè.
Lo sfondo di Rami Janjua era una foto di classe, dove lui spiccava sullo sfondo con un gestaccio e una ragazza molto carina, sulle sue spalle, che rideva sguaiatamente. Era bionda, col viso tondo a forma di cuore e un cerchietto nei capelli - la tipica americana, riflettè Stiles, forse figlia di un amministratore delegato di qualche azienda che fruttava miliardi l'ora. Frequentavano la stessa scuola, come poteva essere altrimenti?
Non aveva molte foto, nè video; ma molte canzoni e almeno una ventina dei più famosi giochi per computer.
"Stava ore attaccato a quel coso"
Stiles si voltò spaventato verso la porta. Una donna lo guardava con un leggero sorriso sulle labbra: era vestita di nero e il velo le copriva la testa. Aveva la pelle scura, gli occhi grandi e luminosi. "Mio figlio, intendo"
"Mi dispiace, signora Janjua, non volevo..."
La donna lo tranquillizzò con un rapido gesto della mano e si sedette sul letto di suo figlio. "Mio marito mi aveva detto del vostro arrivo. E' a me che dispiace, non volevo interromperla, è solo che vengo spesso, nelle ultime ore" accarezzò il copriletto.
"La capisco" Stiles deglutì. "Anche io ho subìto un lutto di recente. E ho perso mia madre. So esattamente come si sente"
La donna annuì distrattamente. "Passerà?"
"Smetterà di fare così tanto male, ad un certo punto"
"E' strano. Perdi un figlio, ma non smetti di essere un genitore***" si asciugò gli occhi.
"Non è strano, signora" Stiles arricciò le labbra.
"Aisha. Mi chiamo Aisha" tirò su col naso e cercò di darsi un contegno. "Cosa sta cercando, esattamente?"
"Qualsiasi cosa che possa aiutarmi a capire chi ha preso suo figlio, Aisha. Posso - posso chiederle un aiuto?"
"Ovviamente"
Stiles girò il display verso la donna e lo inclinò per permetterle di vedere lo sfondo. "La ragazzina bionda sulle spalle di Rami. Chi è?"
"Beth" sorrise. "La sua ragazza. Non l'ha detto a suo padre, inizialmente pensavamo fosse la sua migliore amica ma poi..."
"Capisco" Stiles sorrise. "Beth come?"
"Bethany Stuart. Se può esserle utile, è la figlia del senatore Stuart"
Stiles appuntò tutto sul suo blocco per gli appunti. "Mi è stata molto utile. Grazie"
La donna annuì e si alzò, lisciandosi il vestito nero. Si congedò con grazia, così com'era apparsa e Stiles si afflosciò sul pavimento. Per anni, suo padre gli aveva ripetuto di fare il bravo, perchè avevano solo l'un l'altro; Aisha l'aveva mai detto a Rami? 
Continuò a lavorare sul computer e, a parte un paio di siti porno, non trovò nulla fuori dall'ordinario. La camera era sì, disordinata, ma nulla di strano.
Rami Janjua. Figlio, fidanzato, rapito e smembrato. Perchè?
"Stilinski" Derek lo trovò con una fotografia di famiglia tra le mani, che aveva trovato sul comodino. "allora?"
"Niente di sospetto, capo. Però ho trovato il nome della sua amica speciale e... penso ne valga la pena. E' la figlia del senatore Stuart"

-

Poteva lamentarsi per ore delle cose più disparate, ma di certo Derek non poteva dire che la sua squadra non prendesse a cuore un caso. Stiles si era impegnato per ottenere un appuntamento col senatore Stuart e sua figlia, convincendoli ad andare in ufficio; Lydia stava lavorando sul tragitto che Rami e la sua scorta facevano tutte le mattine, cercando di invidividuare i punti morti che lo squadrone armato aveva utilizzato per rapirlo; Scott, invece, era dal medico legale, il dottor Deaton, per le ultime novità sull'autopsia.
Derek li osservava dall'alto del'ufficio di suo zio e, quando vide Stiles portare un caffè e una ciambella a Lydia, sorrise.
"Nipote. Ti vedo preso. Fammi indovinare: ti piacciono, vero?"
"Non dire idiozie" ringhiò. "Ma sono bravi. Non devo urlare tutto il giorno, almeno"
Peter incrociò le braccia e prese anche lui ad osservare la squadra. "Che ne pensi? Sei qui da una settimana ormai"
"McCall è bravo"si grattò vagamente il naso, mentre rifletteva. Peter notò che lo faceva sempre sua madre. "Si vede che è l'agente anziano, tra loro tre. Certo, è un po' tonto, ma sa fare il suo lavoro. Ed è un'ottima mira, ho visto i suoi risultati al poligono"
Peter annuì. "Lydia Martin. Lei è... particolare. E' fedele al FBI, se è questo che vorresti sapere, me ne sarei accorto, se fosse stato il contrario. E credo che sia il mio jolly, nonostante i metodi poco ortodossi"
"Le dirai che hai lavorato anche tu per la CIA? Magari avete qualche amichetto in comune" ridacchiò.
"Raccontare le mie cose in giro non mi sembra una buona idea"
"E' la tua squadra, Derek"
Derek guardo l'open space, dove era arrivato anche Scott. "Non ancora"
"E Stilinski?"
"Stilinski" ghignò. "Quello dal nome impronunciabile. Oh, beh... non è male" non aggiunse altro e si avviò verso l'uscita.
"Tutto qui?" s'infastidì Peter. "Non è male? Nient'altro da aggiungere?"
"No" Derek fece spallucce e uscì.
Deaton non aveva stabilito niente di nuovo e l'agente Hale decise che, almeno per quella sera, i tre agenti potevano tornare prima a casa. La notizia li aveva rallegrati, tanto da organizzare una serata al pub con Isaac Lahey.
"Capo?" Stiles si schiarì la voce.
"Mh?"
"Vuole... vuole venire con noi?" 
Derek alzò lo sguardo e vide che i tre agenti lo stavano guardando - o meglio, Lydia Martin gli stava tracciando un profilo sommario. "No" tornò a guardare gli ultimi documenti che gli erano rimasti sulla scrivania.
"Ha intenzione di rimanere qui?" la voce di Scott, incredula, gli fece alzare di nuovo lo sguardo.
"Sì, McCall. Il caso non si è ancora risolto da solo"
Li vide tentennare, poi posarono di nuovo le loro cose alle scrivanie e si misero al lavoro. "Vi avevo detto che potevate..."
"Lo sappiamo" lo interruppe Lydia. "Ma, come ha detto lei, il caso non sè ancora risolto da solo"
"E noi siamo una squadra" finì per lei Scott. Gli sorrise, persino.
Intercettò uno sguardo di Stilinski, che alzò il pollice nella sua direzione.
"Rimarrete qui?" domandò stupito a tutti e tre, che annuirono in risposta. "D'accordo" si schiarì la voce e borbottò qualcosa sull'andare a prendere la cena.
"Cosa preferisce capo? Cinese, italiano, thailandese?" Scott si alzò velocemente.
"Lascia perdere, McCall. Lavora. Vado a prendere quattro pizze"
"Posso venire con lei?" Stiles alzò la mano.
"Prometti di stare zitto, Stilinski?"
"Sì"
"Bene. Prendi le chiavi, guidi tu"






















































































Note:

1. Per il titolo, ho usato la frase Sterek per eccellenza :) Ho tolto with my teeth perchè faceva troppo animale LOL e ricordiamoci che qui sono tutti umani

2. *
non so se l'ambasciata pakistana si trovi effettivamente a San Francisco, ma diciamo che mi prendo la licenza poetica ^_^'
3. ** Citazione. E' una frase di Winston Churchill :)
4. *** Scommetto che qualcuno ha già capito il riferimento. Liberamente ispirata alla frase di Glee :') *piango disperatamente*

E con questo, il primo vero capitolo si è concluso. Molto sul caso, ma vi prometto che dal prossimo capitolo ci saranno più sentimenti in gioco *^* E i nostri Sterek *^* Avete visto che Derek comincia ad integrarsi? Scott gli sorride pure u.u non sono poi così cattiva - gli ci è voluta una settimana, ma ce l'ha fatta. Non avevo pensato di inserire la scena di lui e Stiles in auto, mentre vanno a prendere le pizze, ma di farne una OS a sè stante. Oppure non farlo proprio ahahhahaa che ne pensate?
Sono MUY FELICE che un bordello di gente segua la storia, anche se ho avuto solo due recensioni: a questo proposito ringrazio 24maggio2011 e miss_Obrien!

Ci vediamo alla prossima, babies! *^*

A.

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Capitolo 3
*** We are (maybe) a team ***


?
IL CANTO DEL CIGNO





3. We (maybe) are a team


"E' rimasto" Scott tirò su col naso e si voltò verso Lydia. "E' rimasto qui. Intendeva lavorare sul caso tutta la notte, da solo"
"Sbaglio o sento ammirazione in quel tono?" la donna nascose un sorriso dietro allo schermo del computer. 
"Non sbagli" Scott la guardò male. "Non è da tutti, no?"
Lydia non rispose, ma continuò a tenere alto il suo sorriso enigmatico. Improvvisamente si alzò e prese il suo cappotto. "Esco per qualche minuto. Se tornano prima i nostri eroi con le pizze, dì che sono corsa a comprare assorbenti di emergenza. Intesi?"
Non si preoccupò della risposta - Scott e Stiles l'avevano sempre coperta, anche senza fare domande. Indossato il cappotto firmato, Lydia prese l'ascensore e prese un respiro profondo, solo quando le porte si chiusero davanti a lei. Era importante mantenersi fredda e salda nella sua posizione, perchè lavorava in un branco di lupi. Ci aveva messo un po' ad abituarsi al gioco di squadra, visto che aveva lavorato sempre da sola nel suo ufficio. Lydia Martin era una solista, la sua voce non era mai stata coperta dal coro, nemmeno per una volta e il Bureau era quanto di più lontano aveva mai sperimentato in vita sua.
Lasciare la CIA, a differenza di quanto pensavano i suoi colleghi, non era stato semplice: ci lavorava da anni, era ancora al college quando era stata reclutata, e lì aveva conosciuto Jackson. Il ricordo faceva ancora male e Lydia si lasciò distrarre dall'interfono dell'ascensore, che la avvisò di essere al piano terra. Salutò velocemente le guardie all'ingresso e uscì dall'edificio.
Jackson era morto e lei non aveva più alcun interesse a rimanere nell'agenzia che l'aveva ucciso.
Tre isolati le erano sembrati abbastanza, così si sedette su una panchina di un anonimo parco cittadino e aspettò il suo contatto. Era arrabbiata a morte con la CIA, ma non era così stupida da aver completamente tagliato i ponti con chi ci lavorava.
L'ora di cena, passata da un bel pezzo, rendeva quel parco tristemente vuoto e Lydia si ritrovò a tremare per il freddo e a contare i minuti col tacco degli stivali. Ad un certo punto, una donna le si sedette accanto.
"Che ore sono, scusi?"
"Le tre e un quarto" Lydia arricciò le labbra, trattenendo una risata. Anche l'altra non resistette e si gettò su di lei per stringerla forte.
"Allison!" le si inumidirono gli occhi. Allison Argent era l'unica che l'aveva vista davvero piangere, in tutta la sua vita, dopo la morte di Jackson.
"Come sta la mia donna preferita?"
"Mi sto federalizzando" ridacchiò. "E tu che mi racconti? Aspettavo una tua mail"
Allison sorrise e si sistemò un ciuffo di capelli ribelle dietro l'orecchio. "Ero in Serbia. Non posso dirti perchè"
"So già perchè" sbuffò ridendo Lydia. "Cosa credi? Rimango l'analista migliore. Insomma, hai quello che ti ho chiesto?"
Allison annuì e si guardò in giro titubante. "Posso chiederti perchè Derek Hale?"
"E' il mio nuovo capo" si schiarì la gola. "Hai qualcosa?"
"Sì, anche se non ho potuto prelevare il fascicolo. Derek Hale è un ex Navy Seal*. Ha anche lavorato per noi. E' entrato nei federali dopo una missione quasi suicida in Iraq, dove ha riportato una grave ferita all'addome. Ma c'è una cosa interessante, nella sua biografia: qualcuno gli ha fatto saltare in aria l'intera famiglia, tranne Peter Hale, suo zio, e Cora Hale, sua sorella. Attualmente insegnante di arti marziali a Philadelphia"
"Aspetta, che hai detto? Gli hanno fatto saltare in aria cosa?" si voltò di scatto.
"L'intera famiglia, Lydia" sospirò. "Ufficialmente non è mai stato trovato il colpevole. Ufficiosamente, la CIA incolpa Katarina Mertova"
"Kate?" domandò silenziosamente l'altra. "La killer professionista?"
Allison annuì. "Pare che sia stato Derek Hale a sbatterla in prigione, grazie ad una missione sotto copertura durata circa quattordici mesi. Ma sappiamo bene che Kate ne sa una più del diavolo. Ha mandato i suoi uomini e distrutto tutto ciò che Derek amava... se ci pensi, perfettamente nel suo stile. Non sono mai state trovate le prove, ovviamente"
"Cazzo" Lydia frugò nella borsa e si accese velocemente una sigaretta. Ignorò volutamente lo sguardo di disapprovazione di Allison. "Agente Argent, lavoro con due drogati di caffè e fumo. Devo pur sopravvivere in qualche modo. Sai dirmi altro?"
"No. Solo che è stato premiato con una medaglia, dopo l'Iraq. E' un eroe di guerra e ha delle ferite molto profonde. Non fisicamente, intendo"
"Ne abbiamo tutti" mormorò Lydia, osservando la sigaretta accesa.
"A proposito" Allison le poggiò una mano sul ginocchio. "Parlami, Rossa. Come stai? Davvero, intendo"
Fece spallucce. "Bene. Io... la morte di Dunn mi ha colta impreparata" deglutì. "Non pensavo che dopo Jackson mi sarebbe importato di qualcun altro, ma di loro mi importa. Sono come una famiglia adottiva - non dirlo in giro" ridacchiò. "Non ci farei una bella figura"
"Sono contenta che ti trovi bene" le tirò una gomitata. "Però mi sei mancata in Serbia! Nessuno sa fare la prostituta come te"
"Doveva essere un complimento?!"
Scoppiarono a ridere, come se non si fossero mai lasciate. "Ehi, Argent. Che ne dici di venire ad una festa, lunedì prossimo?"

-

"Quindi..."
"Stilinski"
"Niente conversazione? Niente?"
"No"
"Proprio zero?"
"Stilinski"
"Ci viene alla festa di Lydia per la nuova casa? E' lunedì prossimo. Sono sicuro che è stato invitato, anche se farà finta di non aver ricevuto l'invito. L'agente Martin mi ha detto di ricordarglielo almeno due volte al giorno. In realtà mi ha minacciato. Ha delle mie foto compromettenti"
"Stilinski"
"Capo, ha un cane? No perchè sa ringhiare proprio..."
"Stilinski"
"Scusi, Capo. Mi tappo la bocca, Capo"
Derek accennò un sorriso. Stiles Stilinski lo divertiva e si sentiva estremamente protettivo anche verso il resto della squadra. Forse, pensò, era un meccanismo mentale umano: un minimo errore e tre vite gli sarebbero ricadute sulla coscienza (come se ne avesse poche, da contare). E, a dirla tutta, quei tre non erano proprio malaccio, ne aveva sentite di peggiori. Gli davano ascolto e non facevano troppo di testa loro. Questo tipo di sentimento l'aveva sepolto da tempo e lo rispolverava solo nelle riunioni di famiglia con Cora, la sua piccola sorellina pestifera - poco importava che fosse una cintura nera in almeno tre discipline di combattimento. Ci avevano messo un po', ma l'aria in ufficio era molto più rilassata.
"Capo?" si voltò verso di lui e quasi lo beccò ad osservarlo.
"Cosa c'è?"
"Devo dirle una cosa. Io penso di aver quasi crackato il suo file per scoprire qualcosa in più sul suo conto. Non l'ho fatto, ma avrei potuto. Mi dispiace"
Derek alzò un sopracciglio, stupito. "Avresti potuto?"
"Sono bravo in queste cose" ridacchiò Stiles. "Sa, se si cresce con un padre sceriffo e una vita sociale al liceo pari a zero, qualcosa si deve pur fare. Ero un recluso di prima categoria e i ragazzi manco mi guardavano. Ci può mai credere?" si sistemò la cravatta. "Che si sono persi. E perse. Non ero proprio gay, allora"
Stiles Stilinski era furbo, riflettè Derek. Era riuscito a dirgli di quel piccolo particolare come se niente fosse, buttandola lì senza pensarci. Ma ci aveva pensato bene: da quanto voleva dirglielo?
"Hai avuto fortuna, almeno con le ragazze?" abbozzò un sorriso.
"Uhm, non esattamente, no" rise. "Ero troppo... nerd e strano per avere una vita sessuale decente. Ma mi sono rifatto al college" arrossì, dopo qualche secondo. "Cioè non... Capo, può dimenticare l'ultima parte del mio discorso. Non sto dicendo che sono diventato una specie di battona. E' che, una volta presa la strada dell'accademia, mi sono venuti i muscoli e questo corpo da favola che può attualmente ammirare. La pistola e le manette nemmeno guastano e... ommioddio, devo davvero stare zitto"
Derek stava ridacchiando senza ritegno, mentre Stiles diventava di un potente color porpora.
"Sa che ha un bel sorriso, Capo? Perchè sorride poco? ... Ahia. Non è illegale sbattermi la testa sul cruscotto?"
Derek gli lanciò un'occhiata in tralice, ordinandogli di scendere dall'auto per andare a parlare con Bethany Stuart. Era bravo, con gli interrogatori, forse anche più di lui; in quel caso, si trattava di una ragazzina che aveva saputo del suo fidanzato morto. Non ci voleva una cima per capire che ci voleva tatto e pazienza - non esattamente due delle caratteristiche di Derek Hale. Stiles era semplicemente perfetto, con quell'aria gentile e gli occhioni buoni.
E, Dio, se ne era consapevole.
Negli ultimi giorni, Derek si era ritrovato ad osservarlo, visto che era l'unico della squadra che ancora non aveva inquadrato bene. Stiles Stilinski era un agente preciso, non frettoloso come la sua parlatina, ma analitico e riflessivo. E rispondeva agli sguardi di Derek, a volte con un sorriso, altre con una buffa imitazione della sua espressione corrucciata.
Bethany Stuart l'avrebbe adorato. Sicuro.

Così fu. Bethany, dopo cinque minuti, si era lanciata addosso a Stiles in lacrime.
"Amavo Rami. Lo amavo, capisce? Come hanno potuto, come!"
Derek alzò un sopracciglio, mentre Stiles gli faceva segno di smetterla, perchè era irrispettoso. Lui alzò gli occhi al cielo e decise che avrebbe accettato la tazza di thè offerta dalla signora Stuart. Lasciò gli altri due nella stanza della ragazza, ancora in lacrime, e si avviò verso la cucina.
"Oh, agente Hale" lo salutò la donna, mentre versava la bevanda in due tazze. "Zucchero?"
"Senza, grazie" afferrò la tazza che gli veniva offerta. "Signora, cosa ne pensava della relazione di sua figlia con Rami?"
"Bè, non ero proprio al settimo cielo" fece spallucce. "Preferivo che mia figlia stesse con un giocatore di football, o qualcosa del genere. Non il figlio dell'ambasciatore pakistano. A quanto pare avevo ragione, chissà in cosa sono immischiati"
"Non abbiamo ancora accertato nulla, signora Stuart. Per quanto mi riguarda, potrebbe essere stata la gang di un quartiere qualsiasi di bianchi" la redarguì Derek.
"Sappiamo tutti e due che è difficile" La donna fece una risatina e prese un sorso di thè.
"Io so qualcosa, signora, perchè sono un agente. Le lasci fare a me certe supposizioni"
Joan Stuart spalancò la bocca, irritata dal comportamento dal federale, ma venne interrotta da Stiles che entrò in cucina seguito da Bethany.
"Capo, mi ha chiamato Scott. Ci sono delle novità, sarebbe meglio tornare in ufficio"
I due agenti uscirono da casa Stuart velocemente e con dei saluti di circostanza. Derek sapeva che Stiles aveva qualcosa da dirgli, perchè se Scott avesse avuto delle nuove informazioni avrebbe chiamato lui (o no? Non ne poteva essere sicuro); dal canto suo, Stiles era entrato in auto in un silenzio preoccupante.
"Mi è piaciuto. Quello che ha detto alla signora Stuart" cominciò.
Derek lo ignorò. "Che hai scoperto?" 
"Beh, una cosa decisamente strana" si grattò la nuca. "Mentre chiacchieravamo, Bethany mi ha chiesto perchè i rapitori gli avrebbero dovuto togliere il microchip"
"Cosa?" grugnì. "Che microchip? Perchè non ne so niente?"
"La ragazza mi ha spiegato che molti genitori della loro scuola, quelli ricchi sfondati, fanno impientare dei micro-GPS nei loro figli. A loro insaputa - lei sospetta di averlo dopo un'operazione dal dentista, ma non penso sia importante. Rami aveva scoperto che suo padre lo controllava e aveva... " ridacchiò. "... ingoiato letteralmente il GPS per protesta"
"Ecco perchè l'hanno sventrato, non era un corriere dei cartelli di droga" riflettè Derek. "Non volevano che suo padre lo trovasse"
"Sì, ma perchè ucciderlo e lasciarlo sulle scale? Se posso fare un'ipotesi, capo, a me sembra uno schiaffo morale. 'Noi ti uccidiamo il ragazzo, lo apriamo in due come un pesce per farti vedere che non hai tutto sotto controllo e te lo lasciamo sulla porta'. Di cattivo gusto, ma deve ammettere che è molto efficace"
"Sai dirmi anche chi può essere stato, Stilinski?"
"E' l'ambasciata pakistatana, capo. Avranno nemici in abbondanza"
Il ragionamento di Stiles filava, pensò: certo, non rispondeva all'eterna domanda del colpevole. Qualcuno aveva voluto punire l'ambasciatore? Improvvisamente, Derek premette il piede sull'acceleratore, facendo balzare Stiles in avanti. "Oh, oh! Che diavolo?"
"Se l'ambasciatore aveva impiantato un GPS nel figlio, vuol dire che aveva un dispositivo per trovarlo" si voltò verso il suo agente. "Tu che sei bravo in queste cose, Stilinski, è possibile, anche se il GPS è stato distrutto, tracciare il percorso fatt in precedenza?"
"Beh. Ci sono tante variabili che..." Derek lo guardò male e Stiles alzò gli occhi al cielo. "Okay, sì. Si può fare"
"Chiama Scott. Digli di prendere Lydia e andare all'ambasciata pakistana per interrogare i genitori di Rami e prendere i dati che ci servono"

-

Stiles Stilinski non era un dormiglione, non lo era stato nemmeno durante gli anni della sua adolescenza. Era sempre stato un ragazzo iperattivo e aveva sviluppato questa strana teoria che, di notte, invece di dormire, poteva fare tante altre cose utili. Come leggere o guardare una nuova seria tv.
Da quando era entrato in accademia, però, Stiles si era reso conto che quelle quattro o cinque ore di sonno avrebbero potuto anche salvargli la vita - negli ultimi due anni erano diventate minimo sette ore di sonno, il che significava che stava abbondantemente riscuotendo le sue notti adolescenziali. Derek Hale lo trovò così addormentato in un angolo del laboratorio di Isaac Lahey, rannicchiato in una coperta rossa. Lo stesso Isaac dormiva con la guancia poggiata alla scrivania, sbavando copiosamente sulla tastiera del computer.
Derek abbozzò un sorriso e decise che poteva anche lasciar dormire Lahey. In fondo, era il sistema federale che doveva fare tutto il lavoro. Ma Stilinski!, Stilinski doveva proprio svegliarsi. Non poteva dormire, non con McCall e Martin che lavoravano ancora alle loro scrivanie.
"Stilinski" gli toccò la testa con un dito, come un bambino. "Stiles" stavolta gli strinse una spalla.
L'agente si svegliò di soprassalto e quasi cadde con la fronte per terra, prima che Derek lo afferrasse per tirarlo su con poco sforzo; gli indicò Isaac e, poggiando il dito sulle labbra, lo invitò al silenzio. Stiles annuì e si massaggiò gli occhi, scatenando nel suo capo una pericolosa ondata di dolcezza.
"Sono sveglio, sono sveglio" cantilenò Stiles in ascensore, mentre piegava la coperta. "Sono sveglio, sono sveglio"
"Quando hai dormito, negli ultimi due giorni?"
"Non lo so. Forse... cinque o sei ore"
Derek strizzò gli occhi e lo guardò in malo modo. "Non puoi lavorare così. Vi avevo chiesto di fare i turni e..."
"Nessuno andrà a casa, Derek. Non quando due genitori non sanno chi ha ucciso il loro bambino" replicò.
Derek tirò su le spalle e lo guardò incuriosito. "Siamo passati ai nomi di battesimo, adesso?"
"Oh. Ooh" Stiles arrossì. "Mi-mi dispiace, pensavo che, sai, sa, passiamo proprio un sacco di tempo insieme e..."
L'ascensore si aprì e i due si trovarono davanti uno Scott McCall decisamente su di giri. "Capo, abbiamo delle novità!"
"Dimmi tutto" Derek accelerò il passo per seguirlo in ufficio. Lì, Lydia Martin stava sbagliando alla grossa, mentre leggeva velocemente dei documenti; vedendoli arrivare, si alzò e accese il display con il telecomando. Le foto della scena del crimine fecero deglutire Stiles.
"Allora" sospirò Lydia. "Quando siamo andati all'ambasciata pakistana, gli agenti ci hanno dato tutti i dati raccolti su Rami degli ultimi due mesi. Ho cominciato dai nuovi, mentre Scott dai vecchi. Circa a metà lavoro ci siamo confrontati e ci siamo resi conto che sono esattamente identici"
Derek incrociò le braccia. "E allora? Insomma, era il figlio di un ambasciatore. Suppongo facesse sempre le stesse cose"
Lydia sorrise vittoriosa e andò a recuperare un referto medico. "4 Febbraio. Rami, durante una partita di baseball a scuola, si è procurato una lussazione alla spalla destra. Guarda caso, nel percorso del 4 febbraio, non ci risulta nessuno ospedale"
Stiles trattenne il respiro. "Qualcuno ha falsificato i dati per non farci scoprire dove l'hanno portato"
"Quindi è ufficiale: puntavano al GPS. Ma perchè?" mugugnò Scott. "A cosa gli serve un localizzatore?"
La domanda rimase sospesa in ufficio, finchè Derek non riscosse tutti. "Ok. Abbiamo fatto passi avanti. Ci penseremo domani mattina"
Gli agenti annuirono e presero a raccogliere le loro cose - Lydia non mancò di sottolineare della sua festa di inaugurazione lunedì sera.
"Stilinski, tu rimani un attimo" borbottò Derek.























[To be continued]

























L'angolo di quella cosa che dovrebbe essere un'autrice:


*Navy Seal


SCUSATE PER IL RITARDO >.< Sono sotto esami e tipo non so dove mettere le mani. Questo capitolo è noioso, lo so, ma mi servivano le basi per il prossimo T_T Credo che tra un paio di capitoli (se non già il prossimo) il caso verrà risolto e ci sarà finally spazio per i nostri poveri sentimenti Sterek.
Fatemi sapere <3

A.

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Capitolo 4
*** They call us ***


?
IL CANTO DEL CIGNO





4. They call us "Sterek"


Dal capitolo precedente:




"Quindi è ufficiale: puntavano al GPS. Ma perchè?" mugugnò Scott. "A cosa gli serve un localizzatore?"
La domanda rimase sospesa in ufficio, finchè Derek non riscosse tutti. "Ok. Abbiamo fatto passi avanti. Ci penseremo domani mattina"
Gli agenti annuirono e presero a raccogliere le loro cose - Lydia non mancò di sottolineare della sua festa di inaugurazione lunedì sera.
"Stilinski, tu rimani un attimo" borbottò Derek.




Stiles posò la sua borsa sulla scrivania e aspettò che Derek finisse di sistemare i risultati avuti da Isaac Lahey. Indubbiamente, Derek Hale era un bell'uomo e Stiles aveva sempre avuto una predilezione per i mori con gli occhi chiari - quel verde, poi, era umano? Se l'era chiesto più volte, una delle tante in cui si era perso ad osservarlo. E quelle spalle larghe, oh!, sembravano così perfette per aggrapparvisi. Stiles sospirava e sospirava come una locomotiva, perchè su tutto quel ben di dio non poteva metterci le mani, nè la bocca, nè i piedi. Volendo anche sorvolare sulla sessualità di Derek - poteva uno così essere gay? Ovvio che no! -, rimaneva il suo capo e Stiles ricordava bene la politica di Peter Hale sulle storie in ufficio.
"Stilinski, mi stai ascoltando?"
Stiles si riscosse e alzò lo sguardo colpevole sul suo Capo. "Sì, mi scusi. Cosa le serve?"
Derek alzò un sopracciglio e gli indicò la scrivania, ordinandogli tacitamente di sedersi. Lui obbedì e si ritrovò ad arrossire come una bambina, quando l'altro si sedette sulla scrivania, davanti a lui. "Parlare"
"Parlare? Mi pare di aver capito che parlare non è tra le sue priorità. Con me, poi. Odia sentirmi parlare. Mi fa ancora male il bernoccolo che mi ha..." si zittì, sotto lo sguardo glaciale di Derek. "Ho straparlato di nuovo. Merda, mi dispiace"
"Voglio parlare di voi tre. Dunn è morto da appena due settimane, voglio solo sapere com'è lo spirito in ufficio"
Stiles non era bravo quanto Lydia, negli interrogatori, ma anche lui sapeva riconoscere un discorsetto indotto da altri, anche se a farlo era Derek Hale. "Peter Hale è preoccupato? Può dirgli che ci manca ancora George, che ci mancherà sempre, ma che non abbiamo intenzione di sabotare il nostro nuovo boss imbronciato"
"Imbronciato?" Derek ghignò.
"Beh, diciamo che il cabaret non sarà mai il suo mestiere, Capo"
Fu allora che Stiles vide il primo vero sorriso sul volto di Derek Hale, straordinariamente curvo e aperto, che andava da un orecchio all'altro. Riusciva persino a vedere una fila di denti bianchissimi e si domandò come doveva essere passarci la lingua sopra - e, diamine, quelle erano fossette?
"Ogni tanto ti incanti, Stilinski, l'hai notato?"
Stiles rispose alla provocazione con un occhiolino. "La mia concentrazione dura appena un minuto. Iperattivo"
"Lo vedo" lo osservò dall'alto in basso, poi si alzò, sistemandosi la giacca. "Bene. Mio zio ne sarà felice"
"Allora è vero che siete imparentati!" gli puntò contro l'indice. "Lo sapevo!" esultò. "Avete gli stessi occhioni da cucciolo e i pettorali scolpiti! Cosa avete in corpo, qualche cromosoma S della sensualità?" Stiles si pentì delle sue parole pochi secondi dopo, mentre Derek Hale si voltava a rallentatore verso di lui, con l'espressione sorpresa.
"Cosa?"
"Cosa che?"
"Cosa hai detto?"
"Niente" mentì spudoratamente Stiles.
"Sì, ti ho sentito"
"Allora non devo ripetere"
"Ma non credo di aver capito"
"Non è un mio problema" Stiles alzò il mento e prese a raccogliere le sue cose per la seconda volta, sotto lo sguardo sorpreso del suo capo.
"Mi stai rispondendo a tono, Stilinski?"
"Forse"
"Posso licenziarti"
"E' da tanto che vorrei cambiare squadra, sa che Scott ha il brutto vizio di non aspettare le squadre di supporto? Rischiando di farci uccidere, tra l'altro. L'agente Russell sarà felicissimo di prendermi nella sua squadra" scherzò Stiles.
"Posso anche spararti" sussurrò Derek.
"Non lo farebbe mai" ridacchiò Stiles, avvicinandosi a lui. "Le piaccio troppo" arricciò il naso e scoppiò a ridere. "Buonanotte, capo"
Derek lo osservò prendere l'ascensore, con un leggero sorriso sulle labbra, mentre sventolava la mano per salutarlo. Si concesse di rilassare i muscoli solo quando il suo agente fu fuori dal suo campo visivo - quando aveva contratto così tanto le spalle? E lui se ne era accorto? Si grattò il mento, infastidito da tutta quella situazione: in un altro contesto, Stiles Stilinski sarebbe già finito nel suo letto, per quanto strano possa sembrare. Derek era da tempo sceso a patti con la sua omosessualità, anche se durante l'addestramento in Marina non era stato facile, ma erano un po' di anni che qualcuno non lo stuzzicava, come faceva palesemente il suo sottoposto. O forse hai solo bisogno di fare sesso, tanto che vedi flirt dove non ci sono. Scopa, Derek, e tutto tornerà a posto.
Si ripetè le stesse parole fino al parcheggio, prima di telefonare a Vernon Boyd: aveva seriamente bisogno di uscire.


Vernon Boyd aveva salvato Derek Hale esattamente tre volte, in guerra, senza contare tutto quello che aveva fatto dopo la morte della sua famiglia. Era probabilmente l'unico vero amico che gli era rimasto, molto vicino ad un fratello, e Derek si fidava ciecamente di lui. Boyd lo conosceva meglio di chiunque altro e, anche se non lo dava a vedere, Derek teneva molto in considerazione il suo giudizio. Quando si era trasferito, era stata l'unica persona a cui aveva permesso di accompagnarlo all'aeroporto - con la promessa di sentirsi almeno una volta alla settimana.
Si erano così ritrovati in un pub lungo la statale, due birre in mano e una manciata di patatine tra loro, sul tavolo.
"Sei diverso" fece Boyd, accarezzando il manico del bicchiere. "Non so come, esattamente, ma sei diverso"
"Non ci vediamo da quando sono stato mandato a Los Angeles" Derek fece spallucce. "Magari sono abbronzato"
Boyd alzò gli occhi al cielo. "Derek, dai. Come ti trovi a lavorare con Peter?"
"Pesante" schioccò la lingua sul palato. "Non fa che dirmi: fai questo, fai quello, fammi sapere questo, fammi sapere quello"
"E tu?"
"Ovviamente non lo faccio, ma non gli impedisce di chiedermel
o comunque" risero e fecero tintinnare i bicchieri, prima di prendere un sorso di birra. "Ma a Los Angeles dovevo sottostare agli ordini di un altro agente, adesso l'indagine la gestisco io. La squadra non è male, sai?"
Boyd sorrise e si sporse sul tavolo. "Non è male, detto da te, è un gran complimento"
"Gentile. Devo solo, lo sai, farci l'abitudine - so cosa significa perdere un comandante. Non è facile, ma stanno tenendo botta" sussurrò, sovrappensiero. "O almeno così mi ha detto quella testa quadra di Stiles Stilinski. Il peggiore dei tre"
Derek vide l'amico sogghignare e incrociare le braccia. "Cosa c'è, Boyd? Perchè mi guardi così?"
"Sai, sono un Seal anche io. Sono bravo a leggere le micro-espressioni, ho fatto confessare parecchi terroristi... cos'era quella cosa che hai fatto quando hai nominato questo Bilinski?"
Derek si nascose dietro il bicchiere di birra, bevendone ancora. "Niente"
"Der, hai sorriso. Ed era impercettibile, ma c'era. E i suoi muscoli erano rilassati... gesticolavi. Lui ti piace?" domandò, ridacchiando. "Puoi dirmelo, sai?"
"Lui non mi piace" sputò, infastidito. "E' logorroico, senza alcun freno, sta sempre a fare... Boyd, smettila di ridere o giuro che ti faccio arrestare" lo minacciò.
"E' per questo che finalmente mi hai telefonato, eh? Vuoi usarmi come spalla e rimorchiare. Non lo facevi da secoli, ma la cosa non mi dispiace - vuol dire che stai ricominciando a campare decentemente" gli fece l'occhiolino. "Almeno potrò vivere attraverso te"
"Con Erica le cose vanno male?"
"No, assolutamente, ma da quando è nata la bambina, sai, c'è sempre meno tempo per noi due" accennò un sorriso. "Devono solo passarle le colichette e ricominceremo forse a dormire ad orari decenti"
"Se ti può consolare, dormo poco anche io" si lamentò. "Questo caso mi distrugge"
"Ancora il figlio dell'ambasciatore?" domandò incuriosito. Da quando era stato preso come reclutatore nella Marina, Vernon Boyd aveva spesso sofferto il distacco dalla vita adrenalinica che faceva prima; aveva, tuttavia, promesso a sua moglie che, dopo la sua ultima missione per catturare un terrorista cubano, avrebbe appeso la pistola al chiodo, e così aveva fatto. Non era inusuale, però, che Derek gli telefonasse per un consulto.
"Esatto. Non ho capito il perchè del GPS"
Boyd ridacchiò. "Ti ricordi quando, in Afghanistan, Michael diceva che l'infermiera brutta era il lasciapassare per le altre? La chiamava 'il GPS portatile per la gnocca', schifoso maiale" scoppiò a ridere.
Derek spalancò gli occhi. "Vernon Boyd. Mi dispiace ammetterlo, ma sei un fottuto genio"

Scott, Lydia e Stiles si sedettero alle loro scrivanie e, con delle occhiaie da far spavento, provarono a seguire il ragionamento di Derek Hale, che li aveva buttati giù dal letto prima delle sette del mattino. Derek cercò di svegliarsi con tre caffè forti e prese a camminare avanti e indietro.
"Allora, Stiles" lo richiamò sulla Terra schioccando le dita. "Quali sono le funzioni di un GPS?"
Stiles strizzò gli occhi. "Portarti dal punto A al punto B?!"
"Pensa in grande" ghignò. "Supponiamo che chi ha rapito Rami sapesse tutto sulla sua vita: dove andava, cosa mangiava, ma soprattutto chi frequentava. Supponiamo che sapesse anche del progetto di suo padre di fargli impiantare un localizzatore, come fanno i genitori più ricchi di Washington" fece una smorfia disgustata, ma continuò. "A cosa poteva servirgli?"
Lydia alzò una mano, prima di rendersi conto di quanto fosse infantile. "Poteva servirgli a tracciare una mappa, uno schema"
"Esatto!" Derek aprì le braccia. "Ci stiamo avvicinando! Arriviamo alla questione principale: Rami è stato ucciso e questo ci dice che non doveva essere lui il bersaglio. Quando per gli assassini ha perso ogni interesse, l'hanno ucciso, sventrandolo per prendere il GPS manomesso che avrebbe potuto farli scoprire, e l'hanno lasciato in bella vista cercando di portarci fuori strada. Il governo pakistano ha molti nemici, qui in America"
"Quindi, chi è la vera vittima?" sbadigliò Scott. "Se non era Rami, chi sarà il prossimo bersaglio?"
Stiles si alzò e prese a sfogliare rapidamente i documenti relativi all'indagine. "Un posto, o una persona, che Rami frequentava spesso. La scuola?"
"Troppo protetta" suggerì Lydia. "E anche volendo colpire il liceo, non era necessario Rami. Ci sono le mappe al municipio, potevano inserirsi come bidelli, adetti alle pulizie, fidanzati di insegnanti..."
Scott si grattò il mento. "Forse Rami aveva accesso a un luogo dove poch..."
"Bethany" mormorò Stiles. Alzò lo sguardo, perso nel vuoto. "Bethany Stuart era la sua ragazza. Bethany Stuart, figlia del senatore Stuart. Rami passava interi pomeriggi da lei, chissà cosa facevano in casa. Grazie al GPS, i rapitori potevano facilmente tracciare una cartina della casa e inserirsi nel sistema d'allarme tramite bluetooth" inspirò e vide che gli altri tre lo stavano fissando. "E' la famiglia Stuart"
Derek si mosse più velocemente dei suoi agenti e chiamò prima la polizia locale, poi il servizio di scorta del senatore Stuart. Quando attaccò la cornetta, si ritrovò ad essere fissato intensamente dai suoi agenti.
"Adesso che facciamo?" deglutì Scott, temendo la fase successiva.
"Adesso ci accampiamo a casa Stuart finchè non succede qualcosa, o scopriamo che Stilinski aveva torto marcio"
Stiles alzò gli occhi al cielo, ma non commentò e caricò la pistola.
"Lydia, Scott, prendete l'auto. Io e Stilinski andiamo con la mia Camaro. Ci vediamo a casa Stuart tra un'ora, voi tornate all'ambasciata. Sono abbastanza sicuro che ci sia una talpa"
L'ufficio si attivò immediamente e tutti presero le loro cose. Stiles, senza farsi notare, prese una serie di proiettili in più, per ogni evenienza, e un rapporto che doveva ancora compilare per l'ultimo caso con George a capo della squadra - poteva sempre finirlo nelle ore di nullafacenza a casa Stuart. A dire il vero, Stiles odiava gli appostamenti e l'idea di farlo con Derek lo innervosiva non poco. Alzò lo sguardo e notò che Peter Hale li stava osservando dall'alto e sorrideva.
"Cos'ha suo zio?" chiese, avvicinandosi a Derek, che stava raccogliendo in fretta le sue cose.
"In che senso?" lo guardò anche lui, col sopracciglio alzato.
"Ridacchia"
"Peter ridacchia di continuo. Ora, sempre se non vuoi rimanere qui a fissarlo anche tu, ce ne dobbiamo andare. Muoviti"

I tre componenti della famiglia Stuart, con la loro scorta armata, vennero presto messi al corrente del piano per entrare in casa loro - "Dio solo sa per fare cosa!" aveva commentato Stiles tra sè e sè - così erano stati organizzati dei turni di guardia, sotto la supervisione di Derek e altri agenti di supporto del FBI. Isaac Lahey si era unito al gruppo, per mettere cellulari e telefoni sotto controllo e il pronto soccorso dell'ospedale più vicino era stato allertato.
"FBI! Venite tutti qua" urlò Derek dal salotto, per radunare tutti quelli sotto il suo comando. "Allora, posti per dormire. Lydia, tu starai in camera con Bethany, ti abbiamo già preparato una branda; Scott, tu ti apposti fuori la camera da letto degli Stuart da lì non ti muovi fino a nuovo ordine. Isaac, tu e i tre agenti di supporto state nella camera degli ospiti" vide le smorfie e ci tenne a precisare che non avevano altra scelta, con un tono decisamente antipatico.
"E io?" pigolò Stiles.
"Stilinski!" ringhiò Derek. "Ti sei già dimenticato che fai il turno di notte per coprire la scorta? Io e te staremo qui in salotto"
"Grandioso" mormorò Stiles e Scott, accanto a lui, rise. "Stiles, hai sempre la pistola. Puoi sparargli"
"Penso che mi spezzerebbe il collo se solo provassi a prenderla" sorrise l'altro. "E' un Hale. Mica si lascia cogliere impreparato"
Derek battè le mani per placare l'ondata di chiacchiere in salotto. "Allora, tenete a mente i turni e fate come vi ho detto. Domani mattina, alle sei, facciamo un briefing qui in salotto per mettere a punto il resto della giornata"
"Capo, sono le sette. Ordiniamo almeno la cena?" brontolò Lydia.
"Scrivete su un foglio le vostre ordinazioni e mandiamo Lahey a prendere tutto"
"Perchè io?" borbottò Isaac.
"Perchè sei l'unico senza pistola" Derek aggrottò le sopraccigglia e lo guardò male. "Adesso facciamo come vi ho detto o vi licenzio tutti all'istante"
Scott e Lydia si sistemarono in cucina con la famiglia Stuart, per decidere gli ultimi dettagli, il resto degli agenti circondò Isaac per le ordinazioni. Solo Stiles rimase a fissare il suo Capo che digitava velocemente sullo schermo del cellulare.
"E se ci stessimo sbagliando?" sussurrò.
Derek alzò lo sguardo su di lui. "Intendo dire, se non fosse gli Stuart. Se fossero davvero i pakistani ad essere presi di mira?"
"Se fosse così, cambieremo i piani di nuovo"
"Ma mettiamo caso fosse troppo tardi?" Stiles deglutì.
Derek assottigliò gli occhi e si avvicinò a lui. "Stilinski. George Dunn era il primo collega che hai perso?"
Stiles annuì e distolse lo sguardo dal suo, così non potè vedere l'espressione di Derek che si addolciva; era stato stupido a non riconoscere subito i sintomi, eppure ci era passato prima di Stilinski: perdere un collega per la prima volta, soprattutto di grado superiore, era un trauma e un ricordo difficile da superare. La morte violente e inaspettata di qualcuno che lavora con te, che fa il tuo stesso lavoro, non fa che ricordarti che potevi esserci tu, al suo posto. Che non siamo invincibili per niente. Derek non aveva preso in considerazione i loro sentimenti, nè si era arrischiato a pensare che la morte di George fosse terribilmente pesante per alcuni di loro, e ricordò le parole di Peter sulla difficoltà di dirigere una squadra di agenti giovani e provati come loro.
"Stilinski. Guardami"
Stiles si voltò verso di lui e, quando lo vide a un palmo da sul naso, sussultò. "Io ti prometto che tutti usciranno vivi da questa casa. Non permetterò che lame, proiettili, armi di qualsiasi tipo, tocchino te o il resto della squadra. Intesi?"
Le guance rosse di Stiles gli suggerirono che sì, aveva inteso. "E chi proteggerà lei, capo?"
Derek spalancò gli occhi, perchè davvero nessuno gli aveva mai posto una domanda del genere. "Sono un Navy Seal"
"Eri un Navy Seal" mormorò Stiles. "Adesso sei un agente del Bureau. Puoi permetterti di scegliere, sai?"
Si osservarono per un po', finchè Scott non li avvisò che Isaac era pronto ad andare a prendere la cena e mancavano solo loro due.
"Salvato dalla campanella" Stiles arricciò le labbra.
La cena si consumò in un silenzio assordante, proveniente soprattutto dalla famiglia Stuart. Le due donne non facevano che piangere e il senatore camminava nervosamente per la cucina. Gli agenti, alle nove spaccate, decisero che era ora per la famiglia di chiudersi nelle rispettive camere. Scott salì al piano superiore con l'espressione più sconsolata del mondo, mentre Lydia prendeva disposizioni per infilare la brandina nella camera di Bethany.
"Fatevi la manicure" suggerì Stiles, mentre la vedeva indugiare sulla sedicenne, che piangeva ancora disperata.
"Stiles, sei simpatico come un'intera giornata passata a sorvegliare un bordello di China Town" gli rispose Lydia, piccata.
Stiles rise: "Umorismo da federale, che passo avanti, complimenti!"
"Ridi poco. Dovrai passare la notte su un divano, col Mr Socialità" gli diede una pacca sulla spalla. "Indovina chi di noi sta peggio"
E no, Stiles non ebbe cuore di dire a Lydia che stranamente l'idea non gli dispiaceva più di tanto, soprattutto quando aveva visto il suo capo finalmente rilassato, con la cravatta allentata, le maniche tirate su e senza giacca. Sembrava molto più umano, perciò fu facile sedersi accanto a lui si divano, col portatile in grembo.
"Il senatore Stuart ha un sacco di cose per le mani" esordì. "Deve votare lunedì per la riforma sul petrolio. Il suo è uno dei voti determinanti"
"E' per questo che lo stanno minacciando, forse" Derek reclinò la testa e chiuse gli occhi. Si stava in parte rilassando, anche se le braccia incrociate dicevano molto sul suo stato d'animo. Stiles distolse lo sguardo dal collo del suo capo, completamente alla sua mercè, e si concentrò sul display.
"Sì, perchè non vedo su cos'altro potrebbero far leva. Deve un po' di soldi allo stato, ma questi ricconi devono sempre qualcosa a qualcuno, no?"
Derek grugnì un assenso, ma continuò a tenere gli occhi chiusi.
"Forse dovrei avvisare mio padre" borbottò tra sè e sè Stiles.
"Vivi ancora con papino?" ridacchiò Derek.
"No, mio padre vive a Beacon Hills. E' in pensione, ma faceva lo sceriffo" sorrise. "L'ho sentito poco ultimamente"
"Non dare dettagli del caso"
"Certo che no. Sa, capo, forse è meglio che lei avvisi... a casa"
Derek aprì un occhio solo e lo guardò. "Scusami?"
"Che ne so... ci sarà qualcuna che aspetta a casa, no? Una fidanzata, magari. Quelli come lei ce l'hanno sempre" Stiles si diede mentalmente dell'idiota, perchè era partito bene, ma aveva finito molto male. La notte pensava e ripensava a come fare per scoprire qualcosa sulla vita sentimentale di Derek Hale, ma senza successo.
"No"
"Ah. Moglie?"
"Gesù, no" Derek fece una smorfia.
"Marito?" pigolò Stiles.
Derek si ridestò del tutto, voltandosi a guardarlo. "Stilinski, fai prima a chiedermi se sono sentimentalmente impegnato. E la mia risposta è no"
"Ok. Non che volessi saperlo" Stiles tirò su col naso. "Era tanto per dire. E come mai non ha nessuno?"
"Lavoro difficile" Derek chiuse gli occhi.
"Lo so. Il mio ultimo ragazzo, Danny, mi ha mollato perchè il giorno del suo compleanno sono scappato per una rapina alla National Bank. I civili a volte non capiscono. E quando lo fanno, vuol dire che ti amano abbastanza da ignorare quanto la nostra vita faccia schifo"
"E' la prima volta che dici qualcosa di sensato"
Stiles ridacchiò. "Già. E' un peccato che suo zio abbia vietato le relazioni in ufficio"
"Ah, si?" Mugugnò interessato l'agente.
"Sì. Cioè, non sono proprio vietate, ma guarda caso uno dei due viene sempre trasferito in un'altra squadra"
Restarono in silenzio quel tanto che bastò per far digerire a Derek la notizia e si appuntò mentalmente di fare un discorsetto con suo zio. "Non mi importa. Sono comunque sfortunato in amore, ho chiuso con le donne, con gli uomini, con gli esseri umani in generale"
Stiles quasi si strozzò con la sua stessa saliva. Aveva detto con gli uomini? A lui sembrava di aver capito proprio così.
"Beh, chi di noi non ha avuto storie difficili"
Derek rise, una risata amara, che fece voltare Stiles di scatto. "No, diciamo che io alzo la media mondiale di parecchio"
"Forse non ha ancora incontrato la persona giusta, capo"
"La persona giusta, certo. Ho messo di credere a queste cazzate"
"Grandioso" accennò Stiles. "Sono famoso per la mia capacità di far cambiare idea alle persone, anche solo per sfinimento"
Derek sorrise, anche se si maledì per quella strana sensazione di calore allo stomaco.
"Sterek"
"Che?"
"Ci chiamano Sterek, in ufficio"
Derek si tirò su a sedere e lo guardò allucinato. "Sterek?"
"Stiles più Derek" spiegò. "Ste-Rek. Come i Brangelina, no?" fece spallucce.
"E chi lo dice?"
"Oh, tipo tutti. In mensa lei non c'è mai, capo, ma ne parlano tutti"
"E perchè?"
"Forse per il fatto che le sto sempre attaccato al culo" si schiarì la voce. "Insomma. Non sono più in squadra con Scott, ormai"
Derek si rabbuiò e si tolse definitivamente la cravatta. "Ah. Allora farò in modo di metterti sempre con Scott"
"Non ho mai detto che mi dispiace starle attaccato al culo. Perchè, Capo, lei ha davvero un bel culo" Stiles lo disse velocemente e senza pensarci. Vide l'espressione consapevole di Derek e si alzò con la scusa di andare al bagno.
Derek riflettè esattamente su quello che stava per fare (ovviamente buttare al diavolo quasi un mese di lavoro sul campo come capo squadra), per poi mandare al diavolo tutto e seguì Stiles al bagno. Lo trovò a fissare con una smorfia lo specchio di fronte a sè. Probabilmente si stava insultando da solo, perchè Derek lo vide muovere le labbra silenziosamente.
"Capo" si passò una mano umida tra i capelli. "Mi dispiace. Di solito io non faccio così, so tenermi certe cose dentro, anche se non sembra. Se la infastidisce avere un omosessuale in squadra, vado da Peter e - e mi faccio trasferire. Nessun problema"
"Stilinski, l'unica cosa che mi infastidisce di te è la parlantina"
Derek si premurò di sbatterlo contro le piastrelle e di bloccarlo, prima di mordergli le labbra e aggredirlo. Stiles si aggrappò a quelle spalle come aveva sempre desiderato e ricambiò il bacio velocemente, strusciandosi sull'erezione appena accennata del suo capo.
Il suo capo.
Si stava facendo il suo capo nel bagno di un senatore degli Stati Uniti.
Gemette, quando una mano di Derek si insinuò sotto la sua camicia.
"Dobbiamo tornare di là" gli disse l'altro, ma senza togliere la mano dal suo fianco.
"Dobbiamo, sì. Poteva anche evitare di saltarmi addosso nel bagno degli Stuart!" replicò Stiles, tirandolo verso di sè grazie ai passanti del jeans.
"Guarda chi parla" ringhiò Derek. "E' un mese che mi provochi!"
"Cosa?!" strillò Stiles. "Io non provoco proprio nessuno, sei tu che mi sventoli culo e sorrisi davanti, manco fossi un toro da monta. E' tutta colpa tua!"
Derek ringhiò e tornò a baciarlo.

Scott si era quasi appisolato, quando un rumore non lo fece alzare di scatto. Dalla soffitta provenivano dei rumori e lui estrasse velocemente la pistola.
A quanto pare, Stiles non si era sbagliato.























L'angolo dell'autrice:

Ladies, scusate il ritardo! Ma tra la mia nuova ff "Text me, Sourwolf" e gli esami all'Università, sono davvero impegnata >.< Anyway, spero che questo capitolo vi abbia messo l'anima in pace ahahhaha Prevedo un altro capitolo e poi l'epilogo (ovvero la festa a casa di Lydia per la casa nuova)
Spero vi piaccia anche questo capitolo e perdonate gli errori di battituta perchè non ho tempo di farlo betare (avete già aspettato abbastanza!)

Baci,
A.

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Capitolo 5
*** One way or another ***


?
IL CANTO DEL CIGNO





5. One way or another.



Scott McCall era, da sempre, il braccio armato della loro piccola squadra. George Dunn diceva sempre che lui e Stiles funzionavano bene insieme proprio per questo motivo: si completavano. Di certo non era una testa calda, ma un paio di volte il suo istinto l'aveva portato a farsi quasi uccidere - con grande disappunto di Lydia, per niente abituata alla vita frenetica di un federale - e a farsi biasimare da Stiles, che lo seguiva in ogni caso. Era un equilibrio precario, il loro, finchè non ti farai uccidere per davvero, a detta del suo collega. Scott pensò a tutto questo, mentre sfilava l'arma dalla sua fondina sul fianco e inviava un breve messaggio a Stiles.

Soffitta -- rumori.

Lui avrebbe capito e, magari, sarebbe arrivato un secondo prima della sua ennesima quasi-morte.

"Vibra"
"Eh?"
"Ti vibra il pantalone"
"Oh, beh, è la frase da approccio più ridicola che..."
"No, Stiles, ti vibra davvero il pantalone" Derek Hale gli infilò una mano nella tasca destra (e Stiles benedì mentalmente quelle mani) e gli porse il cellulare.
L'agente sbuffò con molta enfasi, facendo sorridere il suo capo, prima di sbiancare. "Scott ha sentito dei rumori in soffitta"
Derek si staccò velocemente da lui e tolse la sicura alla pistola. "D'accordo, questo è il piano: prendi i due agenti fuori e sali il più velocemente possibile, dopo di me. Avvisa Lydia, ma non farla muovere da lì"
Stiles annuì e si rigirò la pistola tra le mani. "Pensi che siano loro?"
"Sinceramente? Lo spero" Derek ghignò e spalancò la porta del bagno. "Almeno questa storia finisce stasera"
Stiles lo vide salire le scale del piano superiore e corse di fuori. Gli agente del Bureau che avevano lasciato di guardia, sonnecchiavano al loro posto e, a quanto pare, non avevano notato niente di strano. "Ragazzi, supporto logistico" sussurrò. "Soffitta"

Soffitta. Rumori. NON MUOVERTI.

Lydia lesse l'SMS con la bocca secca e lanciò uno sguardo a Bethany, che digitava velocemente sul suo cellulare, sotto le coperte. Odiava rimanere in disparte, quando davvero serviva il suo aiuto, soprattutto se si trattava di controllare un'adolescente viziata come la piccola di casa Stuart.
Non posso perdere anche loro due. Ti prego, Dio, fa che non accada niente di male.

-

Scott McCall tirò su col naso e tirò la corda appesa al pannello della soffitta. La scala venne giù dolcemente, senza fare rumore. L'agente puntò la pistola verso il varco vuoto, che cercò di illuminare con una torcia - senza successo. Riusciva solo a vedere le travi di legno che sostenavano il tetto e un pezzo di un vecchio armadio. Aspettò quasi un minuto, prima di mettere piedi sul primo grandino. Poi sul secondo. Arrivato a metà scala, Scott vide Derek Hale che gli copriva le spalle e gli fece un cenno.
Salirono insieme gli ultimi centimetri che li divideva dalla soffitta. Vuota.
"Ma che diavolo!" Ringhiò Scott. "Giuro di aver sentito una specie di tonfo"
Derek alzò gli occhi al cielo. "Sei stanco, McCall, è normale. Ma, come puoi vedere, qui è tutto apposto". Per qualche minuto guardarono la stanza desolata, quando Stiles arrivò trafelato e con la pistola puntata davanti a sè. "Che è successo?"
"Niente" Derek alzò un sopracciglio. "Non c'è nessuno"
"Sentite, io qualcosa ho sentito" mugugnò Scott. "Ne sono sicuro"
"Oh cazzo" mormorò Stiles. "Non era la soffitta. Era il tetto" Gli agenti si guardarono per un secondo, prima di precipitarsi giù per le scale. Lydia mise appena il naso fuori dalla camera di Bethany, che Scott la rispedì dentro, ordinandole di non muoversi. Arrivarono tutti in cortile e non ebbero affatto bisogno di controllare il tetto: davanti a loro, in una pozza di sangue, c'erano le due guardie private ingaggiate per la protezione degli Stuart. Derek capì che erano già in casa e si voltò verso l'ingrezzo, dove Stiles ricambiò la sua occhiata con un'espressione tesa.
"In casa. Ora" sussurrò, correndo alla testa di quella ridicola spedizione di agenti. A Stiles quasi venne da ridere - stavano giocando sporco, ma gli assassini di Rami li tenevano in pugno, facendoli correre da una parte all'altra della casa. Seguì Derek silenziosamente, insieme al resto della squadra.
A discolpa di Scott, nemmeno Stiles sentì arrivare il primo proiettile, che sfiorò la sua testa e colpì la spalla del suo capo. Derek si accasciò sulle scale che portavano al piano superiore e, con un ringhio, rispose al fuoco, proveniente probabilmente dalla cucina.
"Corri dagli Stuart" mormorò a Scott, mentre cercava di coprire Derek dalla traiettoria. "Qua ci penso io"
Scott annuì e ordinò agli agenti di seguirlo. "Vi copro io, salite" ansimò, prima di sparare due colpi di seguito, alla cieca.
"Stilinski, chi diavolo ti ha insegnato a sparare?" sbuffò Derek. "Non consumare proiettili inutili"
"Scusa se sto provando a..." altri tre proiettili li fecero muovere dalla loro posizione. Stare sulla scale, decise Stiles, era da suicidio, così prese Derek per la spalla buona e lo lanciò al piano di sotto, mentre lui rispondeva al fuoco. Strisciarono entrambi in salotto, dietro il divano.
"Hai la tua pistola?" gli domandò Stiles, mentre stringeva la sua.
"Sì" tirò su col naso. "Vuoi rischiare?"
Stiles annuì. "Potremmo morire, se Scott non fa quello che deve fare al piano di sopra. E pensare che ti avevo appena sedotto"
Derek cercò di trasformare la smorfia di dolore in un sorriso. "Se ne usciamo vivi, ti porto a cena. In fondo te lo devo"
"Amen" Stiles si allungò per baciarlo a fior di labbra. "Pronto a svuotare il caricatore?"
"Prontissimo"
Al piano di sopra, intanto, Scott si ritrovò davanti una situazione quantomeno spinosa e si maledì per essersi mosso dal corridoio degli Stuart. Duo uomini vestiti di nero e infagottati in un passamontagna, tenevano la pistola puntata contro la coppia, in camera da letto. La signora Stuart piangeva disperata, mentre suo marito sobbalzava ad ogni sparo, proveniente dal piano di sotto.
"Lasciateli andare. Subito"
"Non credo proprio" biascicò uno dei due.
Fu allora che Scott capì: l'obiettivo non era semplicemente entrare in casa, volevano uccidere gli Stuart. In un momento di stallo, l'agente capì anche che poteva risolversi solo con una carneficina, perchè aveva davanti dei professionisti che non avrebbero abbassato le armi, nè tantomeno gli uomini dietro di lui l'avrebbero fatto. Non poteva finire bene.
Appena formulò questo pensiero, vide qualcosa di strano sul balcone e sorrise. "Giù!" urlò, e gli altri agenti del Bureau si gettarono come lui sul pavimento. Almeno quattro proiettili viaggiarono dalla finestra del balcone verso i due assalitori, colpiti alle spalle e all'addome. L'urlo della signora Stuart spaventò a morte Isaac, ancora con la pistla fumante tra le mani.
Scott scoppiò a ridere. "Che diavolo ci facevi sul balcone?"
"Ero su Facebook. Dentro non si prendeva la linea" balbettò Isaac. "Lo sapevi che i balconi di questa casa sono tutti collegati?"
Scott scosse la testa e si premurò di mettere le manette agli uomini sul pavimento, sebbene fossero feriti. Si voltò per mandare rinforzi al piano di sotto, ma Stiles gli stava già sorridendo dal corridoio, con Derek appoggiato contro il suo fianco. "E bravo il nostro Lahey! Ci hai salvato le palle! Chi diavolo ti ha dato un'arma?"
"Cristo, datemi della morfina" rantolò il loro Capo. "E qualcuno vada a recuperare Martin. Mi sembra già di sentirla urlare come una matta"

-

Peter Hale trovò Stiles Stilinski malamente addormentato sulle sedie d'attesa del Sacro Cuore* e non sembrava per niente comodo. Si sedette accanto a lui, ma non lo svegliò: lesse un paio di mail dall'ufficio e fece velocemente rapporto ai piani superiori. L'agente, intanto, russava senza ritegno.
"Chi c'è per Derek Hale?"
Peter si alzò con molta calma, sistemandosi la giacca (ignorando palesemente Stiles, che era caduto dalla sedia). "Sono suo zio"
Il dottore si tolse la mascherina e gli sorrise. "Sta bene, è solo un po' ammaccato"
"Grazie a Dio" biascicò Stiles, attirando l'attenzione. "Uhm, scusate" ridacchiò imbarazzato.
"Deve solo riposare. Volete vederlo?"
"No, grazie" sbadigliò Peter. "E' la quinta volta che lo vengo a trovare in ospedale, quest'anno, e le altre quattro volte era almeno in fin di vita. Ti lascio questo onore, Stilinski" gli sorrise di sbieco. "Mi duole moltissimo. Vi voglio in ufficio fra quarantotto ore esatte" strinse la mano al medico e si avviò verso l'uscita.
"Strano uomo" fece quest'ultimo.
Stiles rise. "Si, beh... dote di famiglia. Dov'è il signor Hale?"
"Stanza 425. E' sveglio"
Derek, in realtà, era già al lavoro. Stiles lo trovò immerso dalle pratiche che si era fatto portare dagli agenti di supporto. Non doveva riposare? pensò l'agente, corrucciato. Decise che, per preservare la salute del suo uomo - o almeno così sperava -, doveva correre velocemente ai ripari. Gli strappò i documenti dalle mani e li poggiò sul comodino, il tutto corredato da un'occhiata glaciale.
"Ti hanno sparato, Derek"
"Lo so" si accigliò questo. "Mi sparano almeno sei volte l'anno"
"Sì, Peter me l'ha fatto notare" alzò gli occhi al cielo. "Ma è la prima volta in cui sono presente io. E no, non ti lascerò lavorare mentre sei sotto antibiotici: per te solo relax e..." Derek lo tirò per un braccio e lo fece sedere accanto a sè. "... e niente sesso. Nope" Stiles scosse la testa. "Sei debole" miagolò.
"E tu sei un demonio" prese a baciarlo lungo il lobo, per concludere sul collo. "Sono malato, devi assecondarmi"
"Uhm" gemette Stiles. "Non sei... non puoi..."
"Dai, Stilinski. Non farti pregare"
Poi entrò Scott e Stiles lo odiò con tutto il cuore.


Ci vieni con me alla festa di Lydia?
Ai suoi ordini, Boss :)








































L'angolo di A.:

Vi prego, non linciatemi T.T Tra esami e cose varie, questo capitolo è stato un parto! (Lo so che è corto, ma essendo il penultimo, non volevo dilungarmi). Tra questa piccola storia, Text me e la nuova bambina (Il tirocinio, pubblicata poco fa) vi ho fatto aspettare, ma vi posso assicurare che vi lascerò un ultimo capitolo bellissimo, la prossima volta! (Non ho ancora deciso se farvi piangere dal fluff o no, sto meditando *risata malvagia*) - posso dirvi, però, che sarà sicuramente ambientato alla festa di Lydia per l'inaugurazione e... beh, poi vedrete.
Fatemi sapere! (accetto pomodori in faccia)

A.

*Sacro Cuore: Chiaro riferimento a Scrubs :)

Ps.: La spiegazione del caso l'avrete ovviamente nel prossimo capitolo, non me sono scordata! ahhaha

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


?
IL CANTO DEL CIGNO




Epilogo.





"E' lui?"

"A quanto pare..."
"Perchè non ne sapevamo niente?"
"Perchè lei è una stronza opportunista. La conosciamo ormai"
"Ma avrebbe potuto almeno..." Scott si zittì quando vide Derek Hale che li sovrastava con un sopracciglio alzato. Stiles si fece piccolo sul divano di Lydia e fece finta di trovare molto interessante la nuova carta da parati.
"State davvero spettegolando?"
"No" dissero velocemente.
"Lo state facendo" Derek li guardò male. "Mentre bevete birra e sul divano della vostra collega - cosa siete, due nonnette che giudicano il fidanzato della nipote, o federali di trent'anni?" tirò uno scappellotto a entrambi (forse a Stiles meno potente, ma ehi!, non voleva farlo eccitare durante il party della Martin).
"Lydia non ci aveva detto che stava con quel Parrish" si giustificò Stiles "ed è un vice sceriffo. Lydia odia i poliziotti, figurati i vice sceriffi!"
Derek alzò gli occhi al cielo e strappò ad entrambi la birra. "Sarà una sua scelta! Non impicciatevi"
"Siamo protettivi" Scott arricciò il naso.
"Di un'analista della CIA, che fa Krav Maga e Taekwondo?" scoppiò in una risatina sarcastica che li fece vergognare a morte. "Ragazzi. Ritirate gli artigli. Lo state spaventando a morte". Effettivamente, Jordan Parrish aveva l'aria da cerbiatto spaurito, circondato da spie e federali, ad una semplice festa in casa della sua fidanzata. Si sentiva fuori posto e osservato dai due partners di Lydia che, dal canto suo, fingeva di non vedere l'aria rarefatta che aleggiava tra gli uomini più importanti della sua vita. Nemmeno Allison le era tanto d'aiuto, perchè faceva gli occhi dolci a Scott e non l'aveva nemmeno aiutata a servire l'aperitivo!
"Se due federali lo spaventano a morte, come pretende di fare il suo lavoro?" Stiles arricciò le labbra.
Derek lo guardò male e Scott decise che era arrivata l'ora di sparire. Tutti in ufficio si erano accorti che tra l'agente Hale e Stiles non vi era un semplice rapporto di lavoro - il capo lo chiamava per nome troppo spesso, usava un tono confidenziale e andavano sempre via insieme -e, ad essere specifici, Peter Hale l'aveva detto a chiunque fosse in grado di afferrare le sue battutine a doppio senso e così era diventato un pettegolezzo diffuso.
Derek prese il posto di Scott sul divano. "Non poteva rimanere single per sempre. E' una bellissima donna" gli ripassò la birra, che Stiles prese con una smorfia.
"Lo so, ma... non mi sembra proprio il suo tipo"
"Nemmeno tu eri il mio" gli sussurrò ad un orecchio e Stiles arrossì. "Lasciale fare le sue scelte e prova a conoscerlo. Non fare il fratello cattivo e protettivo, non ne sei capace. E credimi, ho ricoperto questo ruolo per anni con mia sorella"
Stiles tirò su col naso. "Parrish!" urlò dal divano e l'agente si voltò velocemente. "Sabato, dopo il turno, io e Scott ci prendiamo una birra da O'Brien. Che fai, vieni?"
Jordan sorrise eccessivamente e con entusiasmo. "C-Certo. Con molto piacere"
Derek assistette alla scena compiaciuto e baciò Stiles delicatamente appena sotto l'orecchio. "Sei così sexy quando mi obbedisci"
"Intendi tutti i giorni a tutte le ore?"
Risero e Derek si prese il suo tempo per osservare gli occhi grandi, il naso piccolo e le labbra morbide. Fare l'amore con Stiles era stato fantastico e intimo, sensuale ma carezzevole. Ne era ossessionato, tanto che anche a lavoro cercava il contatto (con grande divertimento di suo zio). Stiles era quello che aveva sempre cercato, il cambiamento era stato così repentino ed evidente che persino Boyd aveva voluto conoscerlo - non avrebbe dimenticato facilmente Stiles seduto sul pavimento con la sua figlioccia, mentre loro due guardavano una partita di baseball in tv ed Erica ridacchiava divertita dalla cucina. La verità era che Stiles Stilinski sapeva di Famiglia, qualsiasi cosa facesse, anche quando gli portava il caffè la mattina: era una sensazione che pensava di aver dimenticato.
"Sono felice" sospirò Stiles, mentre lui allungava la mano per accarezzargli la nuca. "E lo sarò finchè il telefono sulla tua scrivania non suonerà per dirci che c'è un hacker che sta tentando di derubare le banche più potenti della città. Il che rischierà di farci uccidere. Allora no, non sarò più contento"
"Vuoi smettere di gufare?" Scappellotto.
"Scusa" si voltò a guardarlo con una strana luce negli occhi. "Derek?"
"Sì?"
"Sarebbe sconveniente baciarti in modo profondo e languido sul divano della tua sottoposta e davanti a tutti gli invitati?"
Derek deglutì. "Sarebbe molto sconveniente"
"Lo sai che Lydia ha anche sistemato una camera degli ospiti?" si fissarono per un minuto per poi alzarsi in sincrono.
"Stiles, ti do solo venti minuti"
"Ne voglio almeno quaranta, Boss. Vestito casual mi fai impazzire"























Fine :D






Scusate, scusate il ritardo ma è stato un periodo ASSURDO! Ho intenzione di non abbandonare questa idea, quindi
potreste ritrovarvi dei missing moment di questa fanfic sotto forma di one-shot :) Stay tuned!

A.



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