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Salve a tutti!
Finalmente ho di nuovo un po’ di seria ispirazione. Dopo
un po’ di tempo che non scrivevo altro che one-shot
(ultima delle quali era davvero vomitevole), ecco che
ho ritrovato l’ispirazione grazie a quella dolce donzella del mio amore Frecchan, che mi ha detto
una cosa che destò la mia attenzione mentre cercavo un argomento per una fan
fiction…
Ed ecco che ho deciso
di dedicarmi seriamente all’infanzia di Mello!^^ Vorrei
cercare di eguagliare il successo di ReliquaeRosae, ma non so se ci riuscirò! Adaralbion ovviamente cercherà di farmelo
sapere!U___U
Ah, un altro mio
obbiettivo importante: cercherò di creare una fan fiction talmente
drammatica che non la smetterete un attimo di piangere! Mi impegnerò con tutta
me stessa! In fondo si sa, il mio motto è “Sono lieta di rendervi emo.” *Kiralol*
Spero che mi direte
cosa ne pensiate di questo primo capitolo!^^
Un ultimo
ringraziamento anche a Elly_Mello
per i consigli! Spero che piaccia molto anche a lei questa mia nuova creazione!
Ah un
ultima cosa… Riuscirete a capire da che paese proviene Mello leggendo?XD La mi ammmora
lo sa già… La risposta probabilmente nel prossimo capitolo!
Chuuuu!<3
Lolly
Memoriesof
a StolenChildhood
Capitolo 1: Vesper
Una donna era seduta per strada, su un gradino davanti
ad un vecchio appartamento. Come ogni giorno. Come ogni maledetto giorno.
Si chiese perché fosse partita per quel secondo folle
viaggio, dopo la lettera che aveva ricevuto quasi per caso. Perché si era
riempita di speranza in quel modo? Perché non aveva pensato subito che fosse
solo uno scherzo di qualche persona crudele?
Aveva meno di quando stava a Londra, e solo perché era
una stupida. Sì, si sentiva davvero una stupida…
Sospirò asciugandosi gli occhi stanchi di vivere con
un vecchio fazzoletto, prima di fissare di nuovo davanti a sé. I lampioni
iniziavano ad illuminarsi.
Pensò che forse sarebbe stato meglio suicidarsi che
continuare in quel modo. Non avrebbe mai trovato quello che cercava, era
inutile perseverare in quel modo.
Era talmente presa dal desiderio di trovarlo, che
riusciva a vederlo quasi. Davanti a lei, sul marciapiede passò una persona che
glielo ricordò. Si diede mentalmente della pazza isterica, ma troppo tardi,
quando ormai si era alzata in piedi e lo aveva chiamato.
“Ehi, lei! Ragazzo! Ragazzo, mi
scusi!”
Il giovane si voltò con aria stizzita, lasciandola
senza parole. La fissava dall’alto in basso con uno sguardo tagliente, troppo
duro in confronto alla persona che stava cercando. Arrossì di vergogna,
sentendosi una vera pezzente.
Avrebbe quasi potuto essere lui così a prima vista, lo
ammise. Aveva i capelli biondi, poteva avere l’età che lui avrebbe avuto in
quel momento, gli occhi chiari… Eppure no, era impossibile. Questo giovane
aveva una cicatrice che gli sfregiava il volto. Una bruttissima ustione, e la
sua pelle era arrossata e scabra, piena di crepe irregolari che non sarebbero
mai guarite.
“Cosa vuole, mi scusi?” chiese in un inglese perfetto,
segno evidente che si era sbagliata: non poteva essere straniero come lei.
“Niente, mi perdoni… Lei mi ha ricordato una persona,
mi scusi ancora… Non volevo disturbarla… Lei somiglia molto a prima vista ad
una persona che sto cercando, ma mi sono evidentemente sbagliata….”
“Ah… Non è niente, si figuri. Arrivederci.”
La donna si girò appena in tempo per non mostrare le
lacrime che cristalline avevano iniziato a solcarle le guance e si incamminò
dalla parte opposta a quella del giovane. Era solo una povera stupida donna che
si faceva troppe illusioni.
Pian piano però iniziò a ricordare. I suoi passi erano
lenti, e quegli avvenimenti passati scorrevano troppo velocemente.
Scoppiò a piangere sonoramente, e forse anche lui poté
udirla. Le parole le uscirono involontarie dalle labbra tra i singhiozzi
incontrollati.
“Potrò mai rivederti,Mihael?”
Era l’inizio dell’estate. Un
leggero venticello fresco spazzava le terre paludose nel vespro di quel paese
sfortunato. Un paese dove la gente non aveva speranza, dove tutti sembravano
affranti e tristi. Nel volto delle persone c’era sempre un aura
di desolazione, come se molto tempo addietro una qualche potenza magica e
nefasta avesse gettato un incantesimo su quei luoghi.
La gente se poteva scappava.
Se ne andava via,lontano, a cercare fortuna. Perché si
tenta sempre l’impossibile quando non si ha nulla da perdere. La gente senza
denaro cercava di racimolarne il più possibile facendo qualsiasi cosa solo per
pagare qualcuno che riuscisse a farli partire. Non importava lo Stato.
Qualsiasi posto al di fuori da lì.
Tutto era nato da questo
sogno utopico, per quella ragazza bionda, magrissima, dalla pelle pallida e i
tratti fragili. Aveva consumato sé stessa per quel desiderio di buona sorte. A
ventidue anni, e solo sciagura davanti a sé, poteva
ameno sperarla, quella felicità che sembrava fino a quel momento esserle stata
negata.
Non aveva mai avuto niente. Niente.
Dei genitori che l’avevano lasciata presto, quando ancora il loro paese faceva
parte di quell’enorme impero divoratore e avido chiamato nella loro lingua Сов́етскийСо́юз, o più semplicemente Unione Sovietica.
No, non le rimaneva niente
per cui rimanere, lì dove era nata, in un piccolo paese rurale vicino a Baranavichy. Solo le sue cosiddette amiche, che poi non lo erano nemmeno tanto. Poteva definirle solo
compagne di lavoro, e nulla di più. Erano tutte quelle ragazze più o meno della
sua età che lei conosceva e che facevano il suo stesso mestiere per raggiungere
lo stesso medesimo obiettivo. E lei era certa che la odiassero dopo che aveva
annunciato loro che sarebbe partita per il Regno Unito. Perché lei era diversa
in un certo senso da tutte loro. Nel gruppetto che proveniva dal suo villaggio
per lavorare a Baranavichy era la sola…
Si ricordava bene le loro
parole velenose quando lo aveva scoperto suo malgrado, a soli diciotto anni.
“Non ce la farai mai da sola.”
“E’ meglio che ci pensi bene prima di tenerlo.”
“Stai facendo la scelta sbagliata.”
“Tante di noi hanno abortito, dovresti farlo anche tu.
Non riuscirai a mantenere entrambi, edmeglio fare una scelta del genere
adesso, che doverne fare di ben più crudeli tra qualche tempo.”
Ma non le era mai importato
di quelle voci moleste. Lei sapeva cosa stesse facendo, era sicura delle sue
scelte. Non potevano capire i suoi sentimenti.
Oltretutto, se c’era una cosa
a cui lei teneva nonostante tutto ciò che le era
capitato, era la sua Fede. I suoi genitori prima di lasciarla le avevano
insegnato a credere fermamente nei valori religiosi, e lei non aveva
dimenticato, come invece avevano fatto tutte le altre. Vi si era aggrappata a
quei valori, vi si era avvinghiata con tutte le sue forze per non soccombere
alla disperazione. Pochi ideali semplici a cui credeva fermamente: l’esistenza
di Dio, la salvezza delle Anime Pure, la vita dopo la morte. Dio avrebbe
ricompensato i meritevoli, ne era più che certa.
Non se l’era sentita proprio
di interrompere una vita prima ancora che questa venisse al mondo. Sapeva che
lo avrebbe rimpianto per il resto dei suoi giorni.
Lei non la vedeva come le
altre. Per lei quello doveva essere un Dono
di Dio. Era sicuramente così, e lei non poteva rifiutarlo.
Lo dette alla luce in una
fredda notte di dicembre, e si sentì la donna più felice del mondo ad aver
avuto la fortuna di un bambino così bello.
Purtroppo però per un certo
verso le terribili profezie delle altre ragazze si avverarono. Così non poteva
andare avanti. Lui cresceva e le servivano sempre più soldi.
Per questo si era prefissata
l’obiettivo di andarsene. Per questo ora si trovava rinchiusa nel doppio fondo
di una cassa che in teoria doveva trasportare carbone dentro un camion.
Era soffocante. Gliel’avevano
detto, quei tipi loschi che era riuscita a contattare grazie alla sua clientela, che non sarebbe stata la
prima classe. Anzi, il viaggio sarebbe stato massacrante. Una cosa in particolare
l’aveva fatta rabbrividire fin nelle ossa: avevano subito messo in chiaro che
il viaggio sarebbe stato talmente stremante che si sarebbe potuta escludere
l’eventuale morte di uno dei due, se non avessero preso con loro abbastanza
acqua e cibo. Questa cosa l’aveva spaventata, lei non avrebbe potuto vivere
senza quel bambino, la sua unica ragione di esistenza. Eppure alla fine aveva
accettato grazie alla forza della disperazione.
Ed in quel momento aspettava
la fine di quell’odissea, mentre fuori era sera e lei non poteva saperlo,
rinchiusa lì dentro con suo figlio che dormiva sdraiato sul suo petto.
Gli accarezzava i capelli
biondi e lunghi ormai intrisi di sudore, e lo baciava di tanto in tanto, per
fargli sentire che lei era lì con lui. Di tanto in tanto la sua mano
giocherellava con il rosario che il bambino aveva al collo senza che lui se ne
accorgesse. Era stata lei a regalarglielo tempo prima. In fondo non era sempre
stato il suo angelo? Sì, lo era, infatti proprio con
il nome di un angelo lo aveva chiamato.
Ad un certo punto lo sentì
muoversi. Lo avvertì alzare il capo che stava fino a poco prima appoggiato sul
suo seno, e il suono di uno sbadiglio. Faceva buio pesto in quella maledetta
cassa.
“Mamma…”
“Sono qui, Mihael. Non preoccuparti.”
Lo strinse forte tra le
braccia. Il suo cuore batteva forte.
Aveva male dappertutto dopo
tutto quel tempo passato nella medesima posizione. Sentiva che sia lei che Mihael erano allo stremo, e pregò dentro di sé perché la
metà del viaggio fosse stata superata da un pezzo.
“Non ce la faccio più, mamma…
Fa troppo caldo, ho sete, e mi fanno male le gambe…”
“Vedrai che tra poco saremo
arrivati, me lo sento. Aspetta, prova a muoverti, a sgranchirti un po’, magari
ti senti meglio…”
Detto fatto, lo girò a pancia
in su, e lui stiracchiò le gambe tanto da far scricchiolare
le sue piccole ginocchia ossute.
“Tieni, finisci l’acqua.”
La donna aveva afferrato a tentoni l’ultima bottiglietta d’acqua che era rimasta e la
accostò sulle labbra di Mihael per farlo bere. Non
avrebbero avuto più acqua da quel momento in poi…
“Vedrai che andrà tutto bene…
Arriveremo in Inghilterra, e lì incontreremo quel signor Vasilij
di cui parlavano i signori che ci hanno fatto partire. Lui ha un appartamento
tutto per noi, e sa del nostro arrivo. Devi solo resistere ancora un po’, ti prego, fatti forza…”
“Te lo prometto, sarò
bravissimo.”
“Bravo, angioletto mio. Ora dammi un bacio.”
Il piccolo alzò la testa e
diede un bacio sul mento della donna.
Entrambi chiusero gli occhi
per addormentarsi in quel buio che li avvolgeva. Lei prima di inoltrarsi nel
dolce mondo dei sogni, pregò intensamente per suo figlio, perché davvero,
almeno per lui, Londra avesse potuto essere una terra felice.
Un raggio di sole
entrò on forza da una fenditura della cassa, illuminando il volto della
giovane ragazza bionda, destandola. Aprì piano le palpebre, ancora assonnata. La sua visione era resa sfuocata dal lungo sonno
e i suoi occhi non erano più abituati alla luce, ma riusciva a scorgere
da dove proveniva: un quadrato luminoso davanti a sé.
Due figure evidentemente
maschili si sporgevano in controluce. Due uomini con il viso grezzo e lo
sguardo sinistro.
Il primo sulla destra aveva
le guance mal rasate sul viso squadrato, il secondo portava un vecchio berretto
di lana blu un po’ scolorito. La osservarono con curiosità per una
manciata di interminabili secondi, tanto che lei si chiese se fossero davvero
le persone che dovevano accoglierla. Le avevano assicurato, prima di farla
partire per quel viaggio della disperazione, che sarebbe arrivata in un cortile
poco lontano dalla casa in cui Vasilij
l’avrebbe accolta e che due suoi uomini fidati di nome Boris e Serghej avrebbero condotto lei e Mihael
direttamente da lui.
Le sembrava di essere ancora
in un sogno, e che quei due volti non fossero altro che un’immagine
creata dalla sua fantasia mista ai suoi desideri più profondi.
I suoi dubbi si diradarono
quando uno dei due sporse un braccio villoso all’interno della cassa
dandole un leggero schiaffetto per svegliarla del tutto, per poi parlarle in
russo.
“Siete Natassia e Mihael, da Baravichy, vero?”
Subito la bionda si rese
conto di un fatto di rilevanza, a cui aveva davvero, e forse stupidamente, poco
pensato: quella sarebbe stata una delle ultime volte in cui avrebbe potuto
parlare russo. Da lì in avanti avrebbe dovuto imparare l’inglese.
Stessa cosa valeva per Mihael.
“Siamo… Siamo
arrivati?” chiese con un sussurro.
“Sembra
proprio di sì, bellezza… Benvenuta a Londra. Io sono Serghej, e lui invece
è Boris.” Le rispose il tipo col cappello.
Il bieco sorriso che le
faceva come segno di benvenuto però sparì in un attimo dal suo
volto, trasformandosi in un’espressione preoccupata. Si tirò un
poco indietro rivolgendosi al compagno, sussurrando le frasi, come se non
volesse farsi sentire da Natassia.
“Ho paura che il
bambino…”
Non finì la
frase.Afferrò con tutta la
delicatezza possibile un piccolo arto di Mihael che
giaceva inerme sul petto della donna.
Lei fu come risvegliata da
quel gesto. Quasi si era dimenticata, presa com’era dalla felicità
di essere arrivata a destinazione e di aver lasciato probabilmente per sempre la Bielorussia, delle condizioni di suo figlio. Aveva gli occhi chiusi e
le labbra semiaperte. Il cuore iniziò a batterle all’impazzata.
“Mihael!”
Chiamò presa dal panico “Mihael, rispondi,Mihael!”
Lo scosse con un braccio spaventata, piuttosto violentemente, temendo il
peggio, temendo che fosse morto di sete e di stenti mentre lei dormiva.
Non avrebbe resistito, non ce
l’avrebbe fatta se quella fosse stata la cruda verità. Si sarebbe
uccisa senza esitazioni.
Emise un lungo sospiro di
sollievo vedendolo aprire gli occhi e stiracchiare le gambe. Era solo
profondamente addormentato, e Natassia
ringraziò Dio per averlo fatto sopravvivere. Il suo cuore si era come
alleggerito: ce l’avevano fatta entrambi. Potevano rifarsi una vita
lontano da Baranavichy. Il futuro era Londra.
La giovane uscì dalla
cassa con estrema fatica, con Mihael sempre in
braccio, aiutata dai due uomini di Vasilij.
Effettivamente, si trovava in
un cortile asfaltato, con tanti garage. A parte loro quattro, era deserto.
Era tutta anchilosata, aveva
mal di schiena. Le giunture scricchiolavano una dopo l’altra per aver
cambiato la posizione che teneva da troppo tempo lì dentro, e il suo
stomaco brontolava sonoramente. Soprattutto tuttavia era in pensiero di nuovo
per il piccolo: pareva spossato nonostante avesse dormito, tutto abbacchiato
sulla sua spalla sinistra, senza alcuna vitalità. I suoi occhi azzurri
erano stranamente spenti. Era evidente che non stesse bene. Il viaggio era
stato estenuante e lo aveva molto indebolito. Mihael in effetti si sentiva malato, con la testa pesante e le
ossa che dolevano, come quando aveva la febbre.
“Amore?”
cercò di farlo parlare, come per avere una prova in più del fatto
che fosse realmente sopravvissuto “Hai visto che siamo arrivati? Ce
l’abbiamo fatta, siamo a Londra! Non sei contento, tesoro?”
“Sì… Ma ho
fame, e ho mal di testa…”
“Siete stati
fortunati.” Lo interruppe Serghej “Sono
in ‘sto giro di trasporto di clandestini da
qualche anno, e credimi, i marmocchi come il tuo muoiono come mosche durante i
viaggi nelle casse. Hai avuto un gran culo, bellezza.”
Le addrizzò un sorriso
sghembo poco rassicurante. Natassia cercò di
evitare quello sguardo e appoggiò una mano sulla fronte del figlio
constatando che era realmente bollente.
“Mihael ha la febbre… Devo portarlo a riposare! Conducetemi da Vasilij, vi
ha mandati lui, no? Ha detto che aveva
l’appartamento…”
“Sì, Vasilij ha mandato me e Boris a prenderti, ma ti
darà l’appartamento solo domani, perché ha delle faccende
da sbrigare adesso.”
“Ma Mihael
sta male, non possiamo dormire fuori!”
“Non è un
problema nostro! Ti accompagniamo fino alla casa, e tu vedi di restare nei
paraggi, perché se ti perdi sono cazzi tuoi! Andrò a comprarvi
anche da mangiare, visto che immagino che tu non abbia soldi.”
La donna abbassò lo sguardo piena di vergogna. Il suo arrivo nel paese della
Speranza non era iniziato bene. Si sentiva piena di aspettative infantili,
straniera in un mondo crudele che non l’avrebbe certo accolta a braccia
aperte. Avrebbe dovuto sputare sangue per rifarsi una vita, era certo. Ma
l’importante in quel momento era pensare a cosa fosse meglio per suo
figlio, e questo era assolutamente il meglio che lei potesse offrirgli.
“Accompagnala, Boris,
io vado a comprarle qualcosa.” Riprese Serghej.
“Va bene, ci vediamo
dopo.” Rispose l’altro incamminandosi.
Camminarono per una piccola
stradina che partiva dal cortile insinuandosi tra due file di case popolari
tutte sbilenche e addossate le une alle altre. Il cielo era chiazzato di
nuvole, ma non faceva troppo freddo. Non ci misero molto a fermarsi sotto una
specie di porticato ricoperto da un intonaco giallo scuro crepato in molti
punti a causa dell’umidità. Le avevano detto la verità
quando era partita: la casa di Vasilij non era
lontana da dove era uscita dal camion.
Boris si mise davanti a lei
con le mani sui fianchi, e iniziò a parlarle con aria solenne.
“Mentre aspettiamo Serghej, voglio approfittarne per dirti alcune cose
importanti che dovrai sempre ricordare. La prima è che Vasilij, come avrai intuito, ti da
un opportunità davvero grande affittandoti quell’appartamento.
Sì, affittandotelo, non regalandotelo. Questo significa che pretenderà
un pagamento.”
“Lo so cosa
vuole.” Tagliò corto Natassia “Il
60% dei miei guadagni settimanali, più campo libero sul mio conto…”
“Esatto, devi dargliela
gratis, per farla spiccia. Quando vuole lui, come vuole lui e dove vuole lui.
Lui dev’essere il tuo padrone assoluto, e non
potrai mai dirgli di no.”
Abbassò la voce per
entrare in confidenza con lei. Le sue parole divennero un mormorio.
“Guarda
che non scherzo, quello fa sul serio, e non è un uomo che si fa molti
scrupoli. Oltretutto, al contrario
della maggior parte delle sue ragazze, tu hai una fragilità in
più: tuo figlio. Se fai un torto a Vasilij,
questo se la prenderà con il bambino per fartela pagare cara, stanne
certa. Te lo ritrovi morto ammazzato, o forse anche peggio, te lo dico
io… Fai attenzione. Mai dire di no a quell’uomo.”
La giovane non poté
fare altro che annuire, cercando di nascondere il tremore. Iniziava a temere
quel Vasilij, era sicura che Boris non stesse
scherzando. Mihael era il suo punto debole, e
chiunque per aver avuto potere su di lei avrebbe capito che doveva minacciare
di fare del male al figlio. Era stretta in una morsa. L’idea che qualcuno
avesse potuto toccare in qualsiasi modo il suo angioletto la faceva impazzire
di dolore. Se c’era qualcuno che non se lo meritava, era proprio lui.
“Il secondo punto
riguarda proprio il tuo marmocchio.” Continuò
l’uomo “Solitamente Vasilij permette raramente
alle sue puttane di avere figli, perché sono solo delle seccature in
più da mantenere. Tu l’hai avuto prima, e quindi sei
un’eccezione. Devi però arrangiarti da sola per dargli da
mangiare, lui non ti farà sconti famiglia, chiaro?
Ah, e un’altra cosa: se rimani incinta da adesso in poi vale la stessa
regola delle altre, ti obbligherà ad abortire. Anche se credo che sia
abbastanza sensato, dato che ne hai già uno…”
“Ho capito, ho
capito.” Rispose lei con un viso grave.
Istintivamente la sua presa
si era stretta intorno al corpo di suo figlio. Le regole di Vasilij
erano dure. Era un uomo senza pietà. Si chiese se sarebbe mai riuscita
ad uscire dal giro in cui si era dovuta invischiare,come
aveva sperato prima di partire per Londra.
Mihael nel frattempo non ascoltava. Sonnecchiava contro sua
madre, con un dito appoggiato sulle labbra e la testa troppo pesante per
restare sorretta. Non era per niente eccitato all’idea di essere arrivato
in Inghilterra. Aveva capito perfettamente che le pene della sua giovane matiuskanon erano finite. E lui odiava
vedere sua madre che stava male, che piangeva, che tornava a casa sfiancata nel
cuore della notte, oppure, che degli uomini estranei venissero a casa a fare
non si sapeva bene cosa, visto che ogni qualvolta questa accadeva veniva subita
chiuso a chiave in quella specie di sgabuzzino che avrebbe dovuto essere la sua
cameretta.
In poco tempo arrivò Serghej con passo spedito. Boris tacque e si fece
leggermente da parte. L’uomo era arrivato con un sacchetto della spesa in
mano. Lo posò a terra e ne estrasse un hotdog che
porse alla bionda.
“Tieni,
questo è per te. Ce ne sono altri dentro. Ti ho preso anche
dell’acqua, degli snack, delle composte di mela. Ah, ti ho comprato anche
una coperta,visto che tuo figlio è malato.
Così ‘sta notte non prenderà troppo freddo.”
Natassia posò a terra Mihael
senza nemmeno prendere l’hotdog e frugò
nel sacchetto. Prese la coperta quasi piangendo di gioia e immediatamente la
avvolse intorno al corpo scottante del bambino, prima di sedersi contro il muro
del porticato e accettare finalmente il pasto. Mihael
stava sulle sue gambe così infagottato sempre contro di lei,
l’orecchio contro il suo seno a sentire il battito del suo cuore.
Gli venne data l’acqua
che tanto desiderava da prima. Bere fu davvero un sollievo per le sue piccole
membra stanche. Natassia staccava dei bocconi di hotdog e glieli porgeva per far mangiare anche lui. Avevano
entrambi una gran fame.
“Grazie,
mamma. Sono felice che possiamo
mangiare adesso.”
“Anch’io
sono felice. Vedrai che domani
sarà ancora meglio, avremo la casa! Così potrò chiedere al
signor Vasilij di poter andare a comprarti delle medicine
per farti scendere questa brutta febbre.”
Serghej e Boris se ne andarono a malapena salutandola.
Lei e Mihael
continuarono a mangiare in silenzio, per poi aspettare la fine della giornata,
immobili come statue, nel loro angolino di portico. La sera non tardò infatti ad arrivare, doveva essere pomeriggio al momento
del loro arrivo. Con la sera poi, arrivò il buio.
Natassia strinse contro di sé il figlio malato per
scaldarlo, prima di scivolare in un profondo sonno senza sogni.
Eccomi qui con il
secondo capitolo… Spero sia gradito come il primo! Ringrazio il mio amore
Frecchan e la carissima Elly_Mello,
KeR, e _pEaCh_ per le recensioni! Grazie mille!
Spero che continuiate a leggere con interesse! E come sempre… Sono lieta
di rendervi emo!XD
Rieccomi! Sta volta ho
fatto veloce! Non so se riuscirò sempre ad avere questo ritmo! In ogni caso
spero sempre di ricevere tante recensioni come per il capitolo scorso! Noto che
c’è tanta gente che ci tiene proprio a unirsi a noi popolo emo!XD
Ringrazio:
Lchan, KeR, la mia dolce metà Frecchan, KLMN e la carissima Elly_Mello.
Grazie
a tutte! Spero di ricevere ancora le vostre recensioni!
Lolly<3
Memoriesof a StolenChildhood
Capitolo 3: Home
Mihael era immerso in un profondo sonno ristoratore quando
venne svegliato bruscamente da una scrollata.
Grazie alla coperta
fornitagli il giorno prima e al dolce calore materno non aveva avuto freddo, e
si era sentito protetto, tanto da addormentarsi placidamente. Essendo stato poi
svegliato con tanta violenza spalancò di colpo le palpebre per vedere chi fosse
stato. Riconobbe all’istante i volti squadrati e sprezzanti di Serghej e Boris. Quest’ultimo aveva una mano appoggiata
sulla sua spalla, e l’altra su quella di sua madre.
La donna dopo un attimo di
stordimento, sembrò ricordarsi di colpa cosa sarebbe dovuto accadere quella
mattina. Era ora di incontrare finalmente il famigerato Vasilij,
ma di ricevere soprattutto la sua nuova casa.
Si mise in piedi con un balzo
lasciando Mihael seduto a terra. Non lasciò nemmeno
il tempo ai due uomini di parlare.
“Sono
sveglia, sono sveglia! Possiamo andare!”
Serghej scoppiò a ridere di gusto. La sua risata assomigliava
al latrato di un vecchio cane feroce.
“Si vede
che sei proprio impaziente! Andiamo, meglio non aspettare ancora.”
I due, seguiti da Natassia che teneva per mano Mihael
rassicurandolo sul fatto che avrebbe potuto sdraiarsi su un vero letto, si
diressero dalla parte opposta della strada e quindi del porticato sotto il
quale lei e il figlio avevano dormito. Entrarono nel portone in legno scabro di
una palazzina grigia e triste, che non presentava alcun balcone ma solo una
facciata di finestre quadrate e tutte uguali. Salirono delle vecchie scale in
pietra per arrivare al primo piano. La porta dell’appartamento di destra era
leggermente socchiusa.
Boris le fece segno di
avanzare. Doveva entrare da sola. Natassia penetrò
timorosa nell’appartamento dando prima una bussata leggera, stringendo forte la
manina del figlio.
Si ritrovarono in quella che
doveva essere una minuscola sala-cucina dalle pareti ingiallite. Davanti a loro
c’erano un vecchio divano marrone e un tavolino. Da due finestre si
intravedevano i camini grigi sui tetti di Londra.
Un uomo corpulento, con radi
capelli brizzolati sulla testa tonda, incastrata in mezzo alle spalle sopra un
corto collo taurino. Diede una forte aspirata al sigaro che teneva tra le dita
tozze prima di parlare in perfetto russo.
“Natassia,
immagino. Io sono KirillVasilij”
La bionda chinò il capo
davanti all’uomo a cui doveva la fuga da Baranavichy.
Mello si nascose per tutta risposta dietro le sue
gambe aggrappandosi ai suoi jeans slavati. Non gli piaceva quel tipo. Per
niente. Aveva un’aria cattiva e solitamente le persone con quello sguardo non
facevano anche che farli soffrire entrambi.
Poi, percepiva la paura di
sua madre. Ne avvertiva il debole tremore standole così appiccicato.
“Immagino che Boris e Serghej ti abbiano già dato il benvenuto.” Continuò lui “Vado quindi subito al sodo. Da oggi in poi
questa sarà la tua casa. Qui nell’angolo c’è il bagno, invece dietro quella
porta a destra c’è la camera da letto. Letto matrimoniale. E’ non è messo lì
solo perché il tuo moccioso possa dormire con te. In teoria
il suo posto è il divano.”
Vasilij non aveva nascosto la sua cruda personalità. Era
andato subito al dunque, per intimorire la povera ragazza e non farle venire
strane idee. Sapeva come farsi rispettare dalle sue puttane, lui.
“Lavorerai
da subito, non voglio che tu perda del tempo. Verrò settimanalmente a farti visita, per ritirare
la mia parte e dirti se c’è qualche lavoretto che devi fare qui a casa… A volte
ci sono dei miei amici che desiderano dei trattamenti speciali, non so se mi
spiego.”
Natassia deglutì il nodo che le si era formato in gola. Sempre
le stesse storie. Le sembrava impossibile che quella non fosse Baranavichy, ma
Londra. Il copione era identico.
“E un'altra cosa… Il tuo bastardo
non deve dare problemi, chiaro? Appena vengo a sapere
che ha disturbato o che ha creato noia a qualcuno ci penso io… E stai pur certa
che non lo rivedrai più, almeno, non più in questo stato.”
“Mihael
non darà alcun fastidio!” gridò lei terrorizzata.
“Sarà meglio per voi.”
Il bambino si strinse ancora
di più alla gamba della madre. Vasilij era cattivo.
Ne aveva ormai la certezza, era tanto crudele. Lo usava per ricattare la sua
mamma… Una cosa orribile. Lo odiava a morte, eppure non poteva fare niente.
Già, come avrebbe potuto lui, uno scricciolo indifeso, per di più in quel
momento pure con la febbre, a farla pagare a quell’uomo? Semplicemente, era
impossibile.
A grandi passi rumorosi sul
vecchio parquet tutto ammaccato Vasilij avanzò,
arrivando davanti a Natassia.
Sorrise, indirizzando lo
sguardo al bambino. Ma il suo non era un sorriso benevolo. Era una smorfia, e
più Mihael lo guardava e più gli veniva voglia di
fargli qualcosa di brutto. Non importava cosa.
“E poi,
sai, Natassiuska,
sarebbe davvero un peccato rovinare questo bel visino da angioletto. E’ proprio carino…”
Mihael non permise a quella mano enorme e che puzzava di
sigaro di toccargli i capelli come sembrava avesse intenzione di fare. Con uno
scatto nonostante la febbre, si scostò di lato e si gettò sul divano.
“Ha la febbre… Ha bisogno di riposare…”
si scusò prontamente la donna per il comportamento del figlioletto.
“In bagno
c’è un armadietto con dentro dei medicinali. Dovresti trovarci anche qualcosa per far scendere la
febbre. Come vedi l’appartamento vale quel che ti chiedo come pagamento…”
A mala pena Natassia finì di ascoltarlo prima di precipitarsi nel
bagnetto. In effetti in quella stanzetta microscopica
oltre ad un lavandino e un gabinetto in ceramica scadente e una doccia c’era un
armadietto bianco appeso al muro. Dentro c’erano medicinali e oggetti per il
pronto soccorso di ogni sorta, dal mercurocromo alle pastiglie per l’ulcera.
Non ci mise molto a trovare
una bustina di paracetamolo, che porse poco dopo al bambino sdraiato sul divano,
sciolta in un bicchiere d’acqua del rubinetto.
Riluttante, Mihael prese la medicina senza fare storie, anche se aveva
un sapore terribile. Gli ricordava quello della menta, ma era artificiale,
assolutamente imbevibile. Voleva far piacere a sua madre, più che altro.
La vide finalmente sorridere,
mentre gli accarezzava il capo e gli sussurrava parole dolci. Quel sorriso,
leggero, appena accennato, gli scaldò enormemente il cuore… Era raro che Natassia sorridesse con sincerità. Ogni volta Mihael custodiva quell’espressione all’interno del suo
cuore. Era così che voleva ricordarsela, quando era da solo…
L’atmosfera creatasi fu
brutalmente interrotta da una grossa mano insensibile che afferrò il braccio
sottile di Natassia tirandola su in piedi con
pochissima grazia.
“Finiscila con queste
smancerie.” Intimò Vasilij “E’ venuto il momento di testare la merce, non ti pare? E se sei
brava, potrei anche farti portare qui un televisore come premio.”
“Ma Mihael…”
“E smettila di parlare di Mihael! Ti ho già avvertita che se diventa un problema te
lo faccio portare via. Ah, se solo fossi stata una delle mie ragazze quando ti
hanno messa incinta, vedevi, non te l’avrei di certo fatto nascere, il piccolo
bastardo.”
Era la seconda volta che Vasilij parlava di Mihael
riverendosi al bastardo. La ragazza
non poteva sopportarlo… Lui non lo era, non era un
bastardo, al contrario, lui era un angelo. Vasilij
non capiva.
Che lei non fosse
assolutamente in grado di dire chi tra i suoi numerosi clienti avrebbe potuto
essere il padre del bambino, non era rilevante. Semplicemente era stato un
piccolo miracolo, ne era fermamente convinta. Aveva sempre fatto attenzione,
eppure era successo… Quindi l’unica spiegazione possibile era che
effettivamente Qualcuno aveva voluto che lui venisse al mondo.
Eppure… Eppure non poteva in
alcun modo ribellarsi a quelle frecciate taglienti, mentre veniva letteralmente
trascinata in quella camera da letto.
E Mihael?
Mihael se ne stava accoccolato in posizione fetale
nel divano, quasi volesse scomparire. Il suo era un urlo gridato senza usare la
voce. Stava male oltre che fisicamente, anche psicologicamente. Vasilij lo aveva fatto sentire indesiderato come mai prima
di quel momento.
Perché Mihael
non era certo stupido. Aveva avvertito tutto il disprezzo di quell’uomo verso
la sua matiuska,
che considerava solo una delle sue puttane, e verso di lui, il piccolo bastardo.
Una rabbia e una tristezza
inconsolabile iniziavano a crescere dentro di lui. Sarebbe esploso prima o poi,
ne era sicuro.
Era in più
convintissimo che Vasilij sarebbe stato punito
all’Inferno una volta morto… Eppure si chiedeva se tutto questo era giusto. Se
lo chiedeva da tempo, ogni volta che sua madre era costretta a lavorare. In qualche modo avrebbe dovuto
fare qualcosa. Non riusciva più a sopportare le porte che sbattevano e i gemiti
attutiti dallo spessore dei muri proveniente dalle camere da letto, a Londra
esattamente come era a Baranavichy.
Infondo non chiedeva molto, solo una vita felice con la sua cara matiuska.
Si tappò di colpo le orecchie
e strinse le palpebre, mentre le lacrime iniziarono a colare sulle guance
arrossate.
Serrò forte i pugni uno contro l’altro, tenendo la croce del rosario che
aveva al collo, pregando che tutto finisse. Pregando che Londra fosse davvero
la svolta delle loro miserabili vite. Come gli aveva insegnato Natassia, iniziò pian piano a mormorare tutte le preghiere
che sapeva a memoria. Infondo, non erano proprio le preghiere più sussurrate,
quelle che Dio ascoltava di più?
Grazie di nuovo a
tutte per aver recensito!^^ Ho avuto un piccolo problema di salute che si
è leggermente protratto durante la settimana, ma intanto, mentre ero a
casa “in quarantena” mi sono data da fare ed ecco il quarto
capitolo! Spero che sia gradito!^^
Ringrazio come sempre
la mia cara Elly_Mello
(TVTB ammmora!^^), _pEaCh_, Lchan, e KLMN.
Per
quest’ultima e chiunque lo volesse, ecco il mio indirizzo msn: lollyelo@msn.com
Contattatemi pure!^^
Grazie ancora per la lettura,
e ricordate che sono moooolto lieta di rendervi emo… Perché questo sì, sarà un
capitolo tenero e pieno di speranza… Ma il prossimo?*Kiralol*
Uhauhauhauha…
Lolly
Memoriesof
a StolenChildhood
Capitolo 4: Chocolate
Che Londra fosse molto diversa
da Baranavichy, Mihael lo
aveva pensato anche prima di partire. Ora però ne aveva la prova fisica
e materiale, la conferma delle sue supposizioni.
Erano passate già tre
settimane. Tre settimane da quando erano usciti, Natassia
e lui miracolosamente incolumi da quel viaggio che aveva messo davvero a dura
prova i loro limiti.
Ormai si poteva dire che
l’abitudine iniziava a far parte nuovamente delle loro vite. Imparavano a
parlare l’inglese e il resto dei guadagni di lei permetteva loro tutto il
necessario per vivere decentemente.
Sia Natassia
che il bambino riacquistavano pian piano una specie di routine, qualcosa che
poteva apparire confortante, benché la loro situazione non fosse del
tutto rosea. La tranquillità però riusciva indubbiamente ad
insinuarsi in quell’ambiente, rendendolo assolutamente vivibile, e
permettendo al piccolo germoglio della Speranza di incominciare a crescere con
lentezza, sì, ma anche con costanza.
Essendo estate, la donna non avrebbe dovuto preoccuparsi ancora della scuola per Mihael, eppure già questo pensiero la crucciava. Lei
ci teneva moltissimo, e aveva paura che quando avrebbe
cercato di iscriverlo in una scuola pubblica non troppo lontana dal suo
appartamento, avessero scoperto che i loro permessi di soggiorno fossero dei
falsi, che Vasilij aveva loro procurato…
Ma Mihael
doveva andare in una scuola elementare come tutti gli altri bambini, era fuori
discussione… Soprattutto dopo la rivelazione che la ragazza aveva avuto
in quel poco tempo che avevano già trascorso nella capitale del Regno
Unito…
Perché,
straordinariamente, Mihael sapeva già
utilizzare il cirillico. Non le lettere latine, ma era fuori discussione il
fatto che sapesse scrivere e leggere almeno il russo.
La cosa l’aveva non
poco sorpresa quando l’aveva scoperta, e spesso si era chiesta
com’era stato possibile che senza nemmeno mai frequentare un asilo, Mihael avesse potuto imparare l’alfabeto cirillico e
soprattutto a saperlo usare correttamente.
Aveva visto per la prima
volta Mihael scrivere una mattina, appena svegliata.
Il figlio era già in piedi, e accovacciato davanti tavolino basso
davanti alla televisione (La stessa che Vasilij aveva
fatto immediatamente portare nel loro appartamento dopo la prima notte che
aveva passato con lei.), stava chino su un foglio di carta, i capelli biondi e
piuttosto lunghi a coprirgli il volto, dandole l’impressione che stesse
facendo un disegno.
Ovviamente Natassia non se ne curò più di tanto. Gli
aveva comprato dei pennarelli e dei fogli proprio perché si potesse
divertire disegnando, e lui era stato contento di ricevere quel regalo. Si
inginocchiò di fianco a lui, e fu la gran sorpresa quando Mihael alzò la testa permettendole di vedere la sua
creazione.
Sul foglio era scritto a
grandi lettere precise, in russo: Я люблювас.
Significava “Ti voglio
bene.”
Natassia rimase boccheggiante per qualche secondo. Non aveva
mai ritenuto necessario insegnare da sola a scrivere a suo figlio, come aveva
fatto? Non c’erano dubbio, aveva imparato da solo.
“Tu sai… Sai
scrivere?”
Mihael sembrò turbato dalla domanda. Per lui era stato
semplice, e non capiva perché sua madre fosse tanto
sgomenta.
“Sì…
L’ho fatto per te…”
“Come hai fatto? Chi te
lo ha insegnato?”
“Io… Ho ricopiato
le lettere dai giornali e dai libri... Non so come ho fatto, ma dopo un
po’ mi sono accorto di aver imparato a scrivere… E’
già molto tempo che lo so fare…”
Natassia si rese conto così, in un baleno, di quanto
poco tempo riusciva a stare con suo figlio, e per lei, fu più doloroso
di uno schiaffo. E’ vero, passava la maggior parte del tempo che spendeva
insieme a lui a coccolarlo, ma il resto? La notte lavorava, la mattina dormiva
perché era troppo stanca, mentre Mihael invece
si svegliava e si faceva gli affari suoi. Da solo. Il pomeriggio… Spesso
lo lasciava a casa, se usciva. Aveva paura di portarlo in giro, temeva che in
quel quartiere gli succedesse qualcosa. Eppure Londra non era Baranavichy. Doveva convincersi che se avessero fatto una
passeggiata per il centro, c’erano molti meno rischi di essere aggrediti,
anche non erano nulli. In Bielorussia sarebbe stato facile che un bambino
carino come Mihael avrebbe attirato eventuali
rapitori facenti parte di qualche losco traffico di
vite umane. Era uno dei peggiori incubi di Natassia…
Nel loro paese, i criminali avevano davvero pochissimi scrupoli. Ma a
Londra… A Londra avrebbe dovuto rischiare.
Quante altre cose non sapeva
di suo figlio? No, non era possibile andare avanti in quel modo.
Si rese conto che non andava
bene così. Dovevano passare molto più tempo assieme.
Lo abbracciò forte di
colpo, e Mihael capì solo lontanamente il
perché. Non riusciva a comprendere appieno quello strano comportamento
di Natassia, dopo aver letto il suo foglio. Non era
successo niente di grave…
“Ti prometto che questo
pomeriggio… Questo pomeriggio andremo assieme a fare una
passeggiata.”
E così era stato.
Detto fatto, dopo un veloce pasto a base di riso in bianco, aveva vestito il
piccolo con gli abiti più nuovi, dei pantaloncini color kaki e una
maglietta a maniche corte azzurra, e aveva ben pettinato quei suoi capelli
color grano che lei trovava sempre stupendi, prima di uscire.
Avevano percorso velocemente
il quartiere prima di raggiungere la più vicina fermata della
metropolitana perché li portasse in centro.
A Mihael
quel corto spostamento non piacque affatto. La metropolitana era affollata,
piena di gente strana. Molti altri emigrati dagli sguardi loschi, adolescenti
chiassosi, vecchietti decrepiti che davano l’impressione che si sarebbero
sgretolati da un momento all’altro.
Erano tutti stipati gli uni
contro gli altri, e dentro Mihael era ancora vivo il
ricordo di quel terribile e interminabile viaggio costretto in una cassa. Si
sentiva oppresso. La puzza di sudore, sgradevole e pungente, si infiltrava
insistentemente nelle sue narici. Cercava di evitare di respirare
quell’odore tanto fastidioso girando la testa, ma
ogni volta dopo pochi secondi ricominciava a sentirlo.
Ormai rassegnato, decise di
attendere pazientemente la fine della corsa seduto sulle gambe magre di Natassia con aria contrariata. Questa ovviamente si accorse
dalla sua espressione tutt’altro che contenta che qualcosa irritava il
figlio.
“Qualcosa non va,
angioletto?” chiese con il tono più amabile possibile.
“Voglio
scendere.”
“Ma mancano ancora un
po’ di fermate prima di arrivare nel vero centro di Londra!”
“Non mi piace stare
qui. C’è puzza e si sta stretti!”
Natassia sospirò. Come poteva dire di no?
“E va bene, scendiamo
qui, ma dobbiamo ricordarci bene la fermata.”
“Grazie, matiuska.”
Sceso dalla metropolitana e
subito dopo finalmente fuori da quell’oppressivo sotterraneo, Mihael si sentì di nuovo bene. La via in cui erano
capitati non era troppo affollata. Davanti a loro si stagliava un carosello di
piccoli negozi tutti in fila alternati con le entrate delle varie palazzine.
Sembrava evidente che quello non fosse esattamente il centro città, ma
andava bene lo stesso.
Mihael si incamminò trotterellando puntando una
pasticceria. Un insegna blu e dorata annunciava ai
passanti il nome del negozio di dolci: “Eve’ssweetness”
“Mi piacerebbe del
cioccolato…”
La madre sapeva che Mihael ne andava pazzo. Lo osservò ridendo divertita
mentre appiccicava la faccia al vetro della vetrina piena di tutti
i tipo di torte possibili con un aria davvero infantile.
Quella risata sincera parve
ancora una volta un canto melodioso per le orecchie di Mihael.
“Va bene… Posso
comprartene un po’ se vuoi. Però promettimi una
cosa…”
Il bambino si voltò
incuriosito dalla richiesta.
“Che cosa?”
“Che la
dividiamo…”
“Ma certo!”
Entrarono così nel negozio,
accolti, appena aperta la porta da una ventata di odore di zucchero.
Dentro, era un trionfo di
colori, e entrambi ne rimasero quasi storditi. Probabilmente nessuno dei due
aveva mai visto tanta panna, guarnizioni, frutta a pezzi, crema, nocciole, stagnola colorata e formine per pasticcini tutti
assieme. Era semplicemente meraviglioso.
Dietro una vetrina, una
vecchia commessa dal viso grasso cosparso di fondotinta e il doppio mento li
scrutava con aria truce. Si sistemò gli occhialini dalla montatura nera
sul naso a punta prima di parlare.
“Posso servirvi?”
Natassia si schiarì la voce, e inspirò per fare
mettere locale sul vocabolario di inglese. Aveva ancora qualche problema, ma
sapeva cavarsela abbastanza bene rispetto al poco tempo che aveva già passato
a Londra. Il suo accetto però, era davvero
molto evidente.
“Vorrei… Del
cioccolato.”
“Quanto?”
“Due…
Pezzi… Uhm, no…”
Mihael osservò con preoccupazione sua madre e poi la
commessa, che sembrava molto infastidita dall’incapacità di Natassia di formare delle frasi complete e comprensibili in
inglese.
“Due tavolette.”
Decise di dire in tempo.
Aveva imparato come si
dicesse “tavoletta di cioccolato” guardando le pubblicità
alla televisione. Non uscendo granché e parlando esclusivamente russo
con Natassia, per lui era l’unico modo di
imparare la lingua locale.
La commessa ne afferrò
da uno scaffale dietro di lei. Natassia pagò
in tutta fretta, prese le tavolette e uscì tenendo per mano il figlio e
salutando in tutta fretta.
Mihael rimase così turbato. Davvero molto turbato.
Perché quel disprezzo che aveva sì fortemente avvertito? Ne lui ne sua madre avevano fatto nulla di male. Lei aveva
certamente faticato ad esprimersi, ma niente di più, perché
allora quella donna li aveva guardati come se fossero la cosa più
detestabile del mondo?
Evitò accuratamente di
chiedere spiegazioni a Natassia, per il momento. E
non si preoccupò di porsi troppe domande nemmeno quando prima di tornare
a casa la donna acquistò due bottiglie della marca meno costosa di
vodka, una alla menta e una alla pesca, in un piccolo negozietto di alimentari.
Non voleva certo che il
pomeriggio venisse in qualche modo guastato. Proprio adesso che le cose
sembravano finalmente aver preso una buona piega…
Londra, alla fin fine, non
era poi così male.
Il ragazzo con il volto sfigurato dalle fiamme si
appoggiò ciondolante contro il muro di un edificio, confuso.
Aveva visto un volto. Un volto terribilmente
famigliare, il ricordo di qualcosa che sembrava non appartenergli ormai
più.
Era possibile? No, assolutamente no. Stava impazzendo
del tutto, era la sola spiegazione possibile. Era evidente che lo stress di
ciò che stava passando, dovendosi nascondere come un ratto, e il fumo
delle canne, che il suo compagno Matt alternava alle sigarette, nello squallido
appartamento che fungeva loro da nascondiglio, gli avevano mandato in pappa i
neuroni.
Quella donna dal viso smunto che lo aveva fermato per
strada assomigliava maledettamente ad un fantasma del suo passato. Un fantasma
che aveva desiderato mille volte rivedere quando era ancora un bambino, ma che
ora aveva semplicemente imparato a dimenticare.
Pian piano però, quella persona gli aveva fatto
tornare in mente dei ricordi, alcuni sbiaditi, altri ben definiti. E ce ne era
uno, soprattutto uno, che era tornato alla sua memoria come un incubo.
Quella volta, sua madre, una giovanissima prostituta
bielorussa chiamata Natassia, lo aveva strappato alla
morte, o molto più probabilmente, a qualcosa di ancor più
orribile…
Vi avverto,
capitolo tristissimo! Sono un po’ di fretta e mi dispiace di non potermi
soffermare per un commento… Ringrazio in ogni caso tutte quelle che mi hanno
recensito! Spero anche nel successo di questo capitolo, per il quale ho davvero
sudato!
Grazie in anticipo!
Lolly
Memories of a Stolen Childhood
Capitolo 5: Blackmail
Le cose avevano iniziato ad
andare bene per Natassia e Mihael.
Troppo bene. E si sa, se le cose vanno bene prima o poi si è destinati a
capitolare.
Vasilij aveva iniziato a chiedere sempre di più alla donna,
vedendo che il suo stile di vita stava nettamente salendo di livello. Non era
un uomo stupido. All’inizio erano piccoli aumenti sulla percentuale richiesta
quasi impercettibili. Pian piano però, diventarono cifre sempre più elevate, ed
era troppo tardi per tornare indietro… Era arrivato a pretendere l’85% dei
guadagni, e i soldi che le rimanevano arrivavano a stento a mantenere lei e suo
figlio. Le sembrava di essere sprofondata in un incubo, le sembrava di essere
tornata indietro, quando abitava aBaranavichy,
e non aveva la certezza di poter mangiare un pasto decente ogni giorno.
Non poteva fare altro che
lavorare come una dannata. E lo faceva per Mihael.
Solo per lui, anche se ormai detestava in un modo inimmaginabile la sua
situazione. Tutte le notti su quell’orribile marciapiede ad aspettare che un
uomo senza vergogna la prendesse in macchina e la pagasse per dei favori
sessuali. E ogni volta pregava perché gliene capitasse uno che non la
picchiasse… Cosa che non sempre succedeva.
Tutto quello era diventato
quasi una tortura, e lei cercava spesso di annegare i suoi dispiaceri,
chiedendosi quando tutto sarebbe finito, quando sarebbe stata libera di vivere
la sua vita e di scegliere cosa farne…
Anche quella brutta mattina Natassia tornò a casa quando l’alba incominciava ad
illuminare con la sua timida luce bianca i tetti tristi di quel piccolo
quartiere periferico londinese.
Era stravolta. Non aveva più
l’aria gioiosa che l’aveva caratterizzata solo qualche settimana prima, si
sentiva sfibrata nel corpo e nell’anima. I capelli biondi e finissimi le
ricadevano sulle spalle unticci in modo trasandato, il
trucco le si era sciolto formando inverosimili occhiaie scure sotto gli occhi
arrossati. Pareva addirittura più minuta di quanto non fosse già prima, con le
ginocchia nodose e i polpacci troppo esili.
Si chiuse la porta alle
spalle e fece qualche passo strascicato in avanti. I muscoli, soprattutto
quelli delle gambe le dolevano, così come le parti che presentavano dei lividi.
Ne aveva sulle braccia e sul busto, irregolari macchie violacee causate da
qualche cliente troppo violento.
Il male più grande però, risiedeva sempre nella sua mente e nel suo cuore. Era
come una pulsazione terribile eppure regolare che la tormentava.
Afferrò la bottiglia ormai
mezza vuota di vodka che stava sul tavolino in formica e diede una sorsata.
L’alcool scese a bruciarle la gola, ma questo aveva un qualcosa di ristoratore.
Lasciò poi la bottiglia sul tavolo distrattamente dove l’aveva trovata,
asciugandosi le lacrime che avevano iniziato a colarle giù per le guance.
Si avviò così verso la camera
da letto, cercando di fare meno rumore possibile. Mihael
dormiva.
Stava rannicchiato in mezzo
alle coperte in quel letto troppo grande con una mano appoggiata vicino alle
labbra. Il rosario scintillava contro la luce mattutina. Nel silenzio della
notte ormai al termine, era possibile ascoltare il suono lieve e ritmico del
suo respiro.
Natassia rimase per qualche secondo immobile ad ammirare la
sua creatura immersa nel sonno. Aveva un’aria così serena e così dolce… Era davvero
meraviglioso osservare quel piccolo angelo.
Decise di sdraiarsi vicino a
lui. Cercò di avvicinarlo a sé e di abbracciarlo senza svegliarlo. Il piccolo
si voltò nel sonno, raggomitolandosi in posizione fetale dalla parte opposta,
ovvero con il viso rivolto verso di lei. Natassia non
poté fare altro che depositare un leggero bacio sulla sua fronte, per
stringerlo poi contro il suo seno.
Era in quei momenti tanto
intimi che sentiva di potergli trasmettere realmente tutto l’amore immenso che
provava per lui. Era la sua unica fonte di Speranza in quei momenti tanto bui.
“Ti voglio bene,Mihael, angioletto mio adorato.” Sussurrò a fior di
labbra “Sei il mio solo grande amore, e ti prometto che vivrai una vita
felice.”
La sua devozione per quello
scricciolo senza padre era totale. Lo amava più di sé stessa.
Fu così che si addormentò
placidamente tenendolo contro di sé come per proteggerlo dai mali del mondo…
Fino a quando il campanello
dell’appartamento non trillò con un suono gracchiante.
Natassia aprì pian piano gli occhi, cercando di abituarli ai
raggi del sole che ormai entravano prepotenti nella camera da letto. Il
campanello suonò una seconda volta, con più insistenza.
Fu costretta ad alzarsi
lentamente, facendo attenzione a non svegliare suo figlio. Si diresse alla
porta e la aprì. Vasilij si precipitò
nell’appartamento senza nemmeno chiedere il permesso, come un rinoceronte alla
carica.
Pareva agitato. Il suo viso
scuro era lucido di sudore, i capelli erano incollati al cranio. Perfino nel
vestirsi non ci aveva messo molta cura, quando solitamente cercava sempre di
apparire con un eleganza assolutamente pacchiana e di
cattivo gusto.
I suoi occhi porcini
scrutarono Natassia dalla testa ai piedi, facendola
arrossire. Non si era cambiata, e ancora portava il vestito della notte appena
trascorsa: un abitino nero provocante, dalla gonna cortissima che lasciava
intravedere le natiche e un abbondante scollatura. Si
sentì obbligata di coprirsi il petto con le mani.
“Salve, Natassiuska.” La salutò con uno
dei sorrisi più falsi che potesse fare.
“Buongiorno, signor Vasilij. Siete in anticipo, mi scuso per il modo con il
quale sono vestita adesso… Vi aspettavo solo per ‘sta
sera, come sempre, voi che siete tutte le volte molto puntuale con il ritiro
della percentuale…”
“Non sono qui per ritirare la
percentuale.” Prima di continuare a parlare, Vasilij
tirò fuori da una tasca del pantaloni un fazzoletto di
stoffa gialliccio con i quale si asciugò il sudore sulla nuca “Appunto, verrò
questa sera a prenderla. Voglio solo darti un informazione.
Ho notato che di questi tempi non tela cavi piuttosto bene, finanziariamente,
dico bene?”
Natassia abbassò lo sguardo con un cenno affermativo.
“Per l’appunto parlando con
alcuni, come dire… Colleghi… Ho pensato di proporti uno scambio equo, che
difficilmente tu potrai rifiutare.”
Il viso della donna rimase
perplesso davanti a quel sorriso malizioso che lui le mostrava. Rimase in
silenzio per qualche secondo, ma in seguito a qualcosa che le frusciò contro le
gambe si voltò di scatto.
Mihael era sveglio. La fissava dal basso verso l’alto, con
gli occhioni azzurri spalancati, stringendole un
polpaccio. Era arrivato lì quatto senza fare alcun rumore, tanto che nessuno
dei due presenti se ne era accorto. Probabilmente era stato svegliato dal
campanello anche lui, anche se non l’aveva dato a vedere.
“Amore, buongiorno!” esclamò
la madre sorridendo.
“Ciao, matiuska!”
“Stavo appunto dicendo…” li
interruppe prepotentemente Vasilij “Che io e te potremmo fare un piccolo scambio, bellezza. Purtroppo
però ho avuto dei problemi con alcune ragazze che ho… Perso, ecco. E’ per
questo che ho dovuto aumentare la percentuale delle altre, puoi capire, no? Mi
dispiace molto, ma sono stato costretto da forze superiori. Io però potrei
riabbassare la percentuale di guadagni che mi devi, diciamo, al 70%...”
Il sorriso tremulo che
continuava ad aver stampato sulle labbra non dimostrava per niente il gran
dispiacere che diceva di provare.
“Ma in cambio pretendo una
cosa. Voglio tuo figlio.”
Natassia rimase imbambolata, incapace di reagire. No, non era
possibile, aveva sentito male.
“Mio… Il mio Mihael?” chiese con una vocina incrinata.
“Esatto.”
“Ma… Ma per cosa? Cosa vuoi
da lui?”
“Oh, Natassiuska… Sei proprio cretina
a volte… Voglio che me lo vendi! Voglio disporre di
lui a mio piacimento, perché vedi… Mi sono accorto che i ragazzini sono tanto
richiesti, e ci farei una fortuna… Mihael è così
carino… Un sacco di uomini mi pagherebbero un bel po’ di bigliettoni per
scoparsi il tuo piccolo bastardo.”
No. Era un incubo.
Semplicemente un incubo. Natassia era certa che si
sarebbe risvegliata da un momento all’altro.
Come poteva chiederle questo?
Come poteva solo pensare una cosa del genere? Il suo piccolo Mihael… No, niente da fare. La sola idea che qualcuno
avesse potuto mettere le sue sporche mani sul suo angioletto le rivoltava lo
stomaco. Lui, il suo piccolo grande amore… Non poteva venderlo così. Era una
bruttura rivoltante, che razza di madre sarebbe stata?
Guardò in basso,
specchiandosi negli occhi del figlio. Era solo un piccolo innocente, che non
doveva essere segnato dal male come lei. Non doveva finire come giocattolo
sessuale di qualche ricco malvagio e perverso uomo d’affari.
“No!” gridò con tutto il
fiato che aveva in gola, stringendo una spalla al figlio “Non posso accettare!
Il mio Mihael non è una bambola! Non
posso… Lo amo troppo…”
“Ah, piccola stupida Natassiuska…
Quando imparerai? Ti sto offrendo un’opportunità… Quel bastardo non vale niente
ora come ora, ma la cosa si può sfruttare a nostro vantaggio. Il tuo cervellino
non riesce a comprendere? Perfetto… Ti do fino a questa sera per pensarci
seriamente, così avrai tutto il tempo per ragionarci su. Verrò all’ora in cui
di solito ti chiedo la percentuale… Ma ricorda solo una cosetta…”
Il suo sorriso si allargò
tanto da impressionare la ragazza. Quell’uomo era un mostro. Un autentico
mostro.
“Voglio
solo assicurarmi che non ti venga in mente di fuggire in questa giornata…
Perché, vedi, io ti ritroverei, Natassiuska. Ti
ritroverei in capo al mondo. E ti prometto che ti farei pentire di essere
scappata… Perché se ti prendessi, ti costringerei a vedere i miei uomini che
scuoiano vivo il tuo piccolo bastardo… E poi toccherà a te…”
L’uomo si girò lentamente
uscendo dall’appartamento davanti alla figura immobile di Natassia,
paralizzata dal terrore di quelle minacce. Vasilij
l’avrebbe fatto davvero.
“A ‘sta sera, tesoro… Spero
in una tua risposta assennata.”
Quando fu uscito prese Mihael in braccio e si sedette sul divano, stringendolo
forte. Piangevano entrambi. Lei lo baciava sulle guance e la fronte, e cercava
di rassicurarlo con parole dolci, ma inutili.
Mihael aveva capito che era successo qualcosa di grave.
Natassia aveva capito che la sua vita stava davvero diventando
un Inferno.
“Voglio solo
assicurarmi che non ti venga in mente di fuggire in questa giornata…
Perché, vedi, io ti ritroverei, Natassiuska.
Ti ritroverei in capo al mondo. E ti prometto che ti farei pentire di essere
scappata… Perché se ti prendessi, ti costringerei a vedere i miei
uomini che scuoiano vivo il tuo piccolo bastardo… E poi toccherà a
te…”
Le parole di Vasilij vorticavano
nel cervello di Natassia da ore. Ormai il tempo che
lui le aveva dato per decidere era quasi scaduto.
In poco tempo sarebbe stato buio, e più la notte
avanzava inesorabile, più si avvicinava il momento in cui
quell’uomo orribile avrebbe bussato alla sua porta, pretendendo una
risposta, e possibilmente questa sarebbe dovuta essere positiva. Era
terrorizzata e scioccata, e voleva rifiutare. Doveva rifiutare.
Non avrebbe mai accettato una cosa del genere, una vita, la
vita di suo figlio in cambio di
denaro e favori economici… Che razza di persona senza Dio avrebbe mai
potuto proporre un’idea simile? Le pareva assurdo. Semplicemente assurdo
e crudele.
Lei era la madre di Mihael, non
poteva tradirlo in quel modo. Sarebbe stato come pugnalarlo alle spalle.
Mentre stava tristemente appoggiata alla finestra, la
bottiglia di vodka praticamente vuota davanti a lei sul davanzale, si
voltò a guardarlo. Mihael era seduto su una delle sedie troppo alta per lui. I suoi piedi nudi
penzolavano avanti e indietro nel vuoto. Teneva le manine in grembo,
abbandonate mestamente. Fissava il basso e non osava muoversi.
Dentro di lui si era pian piano scatenato un dolore
incredibile in quella giornata. Anche se Natassia non
gli aveva spiegato niente di quello che stava capitando, lui aveva compreso.
Nuovamente, Vasilij stava ricattando sua madre usando
lui. Lo aveva sentito dire che voleva “venderlo”. Per fare cosa però? Non era sicuro di
volerlo sapere. Si trattava sicuramente di qualcosa di cattivo, vista la
reazione che Natassia e le minacce su
un’eventuale fuga.
E pensare che lei era stata così
male tutta quella giornata…
Si sentiva anche colpevole, in qualche modo. Se lui non ci
fosse stato, lei non sarebbe stata tanto debole e tanto esposta. Gli dispiaceva
troppo.
Scivolò giù dalla sedia e raggiunse la madre a
piccoli passetti veloci. Sebbene fosse estate, il pavimento in legno rovinato
era gelido. Impossibile sapere il perché.
Sotto lo sguardo interrogativo e un po’ vacuo della
ragazza, le prese una mano.
Aveva bevuto troppo, era evidente. La sua espressione era
troppo fatua, annebbiata dai fumi invitanti dell’alcool. I suoi occhi
liquidi facevano fatica a rimanere concentrati su un punto fisso, mentre quelli
di lui, grandi e azzurri, brillavano.
“Mamma… Tu non sei arrabbiata con me,
vero?”
Natassia rimase un
attimo perplessa di fronte a quella domanda. Capì in poco tempo
però che cosa intendesse Mihael, si
inginocchiò lentamente a terra per essere alla sua altezza e gli
accarezzò una guancia pallida e morbida, incominciando a piangere.
“Ma no, piccolo mio…”
Lo rassicurò con la voce più dolce e amabile che potesse
“Non è colpa tua, non sei responsabile della malvagità del
signor Vasilij… Io voglio proteggerti, solo
proteggerti! Vasilij… Lui vuole farti del male,
capisci? Vuole venderti, portarti via da me, e darti a delle persone che ti
faranno delle cose terribili… Non posso lasciarglielo fare. Tu sei mio
figlio, ti amo e ti adoro… Che madre sarei? Mi
ucciderebbe il dolore…”
Lo strinse forte a sé in un abbraccio disperato.
“Ti voglio bene,Mihael…”
Il suo corpicino tremava visibilmente.
Era così piccolo, e così indifeso… Non
sarebbe mai riuscito a ribellarsi contro quegli uomini.
Nella mente di Natassia prendevano
forma i suoi incubi.
Esistevano davvero delle persone tanto crudeli, che
avrebbero pagato un sacco di soldi solo per distruggere il corpo e
l’anima di quella dolce creatura? Una piccola vocina feroce dentro di lei
rise di gusto per tutta quella ingenuità. Come c’erano persone che
la picchiavano quando lei si prostituiva per loro per il semplice gusto di
farla soffrire, c’erano persone che avrebbero in quel modo stuprato Mihael senza avere alcuna pietà di lui.
Il solo pensiero la faceva rabbrividire fin dentro le ossa.
Cosa gli avrebbe detto? Cosa avrebbe potuto dirgli quando sarebbe tornato da
lei con l’anima annientata e il corpo violato? Almeno sarebbe stato
d’obbligo abbassare il viso pieno di vergogna, sputando su quei soldi
contaminati dal peccato che Vasilij le avrebbe teso,
un’espressione trionfante sul suo volto porcino. Poteva quasi sentire la
sua voce beffarda:
“Te li sei
meritati questi bigliettoni. Devo ammettere che mi sbagliavo, che è
stata una buona scelta quella di tenerti Mihael…
E non fare quella faccia, speravi per caso in qualcos’altro per lui?
Pensavi forse che il figlio di una puttanella da quattro soldi come te avrebbe
avuto un destino diverso dal tuo? Perché se è così, allora
sei proprio una cretina, Natassiuska…”
Ecco cosa le avrebbe detto. Avrebbe continuato a offenderla
come sempre aveva fatto, annichilendola, facendola sentire un’inferiore.
Era in questo modo che l’aveva trattata fin dal principio, facendola
sentire come un oggetto senza alcun tipo di volontà, ne
di intelligenza, il cui scopo era soltanto soddisfare i bisogni carnali degli
uomini. E per Mihael non era diverso. Il figlio di
una puttana non può essere nient’altro che una puttana a sua
volta, nato da un seme senza nome.
Eppure Natassia non aveva sempre
creduto diversamente?
“Mamma…”
Mihael interruppe il fiume di
pensieri che le attraversava la mente irrefrenabilmente. Non si era nemmeno accorta
che aveva continuato a stringerlo forte. Le sue mani erano letteralmente
aggrappate alla maglietta di lui. Non si accorse nemmeno che la sua bocca aveva
iniziato a pronunciare frasi senza che lei ci pensasse davvero. Parlò
senza rendersene pienamente conto, divulgando i suoi pensieri.
“Tu non sei un bastardo, Mihael…
Vasilij vuole usarti come un giocattolo perché
pensa che tu non abbia diritto di essere una persona, solo perché sei
figlio mio e non hai alcun padre… Ma tu non devi credergli! Dice solo un
mare di cattiverie! Noi siamo tutti persone, e abbiamo
tutti gli stessi diritti! Siamo tutti figli di Dio allo stesso modo… E tu
devi promettermelo, angelo mio…”
Si staccò in quel momento da lui, per guardarlo
dritto negli occhi. Avevano entrambi le guance rigate di lacrime che scorrevano
sulla loro pelle silenziose.
“Cosa devo prometterti?”
“Che non reputerai mai te stesso inferiore a qualcun
altro. Mai. Che anche se sei nato in un paese tormentato come il nostro, anche
se sei un clandestino, anche se sei figlio di una come
me, tu dovrai sempre ricordarti di essere una persona prima di tutto, e che hai
le stesse possibilità degli atri. Non sei peggio di
nessuno, anzi…”
Prima di continuare la frase, Natassia
passò le lunghe dita pallide sulla guancia del figlio, per poi dargli un
bacio. La scia di lacrima che assaggiò aveva un sapore salato.
“Tu sei speciale. Per Dio nessuno nasce per
caso… Sicuramente ci sarà un posto anche per te nel mondo, ne sono
certa. E io ti giuro che finché vivrò farò di tutto perché
tu possa trovare quel posto.”
“Te lo prometto.”
“Che bravo bambino ch sei…
Però ora… Devo trovare il modo di nasconderti. Non posso non fare
niente, almeno devo provare a nasconderti… Anche se questo vuol dire che Vasilij mi punirà… Almeno tu sarai al sicuro.”
“No, mamma!”
Le ultime frasi della giovane avevano fatto saltare il cuore
in gola al bambino, che si gettò nuovamente tra le sue braccia,
strusciando la testa bionda sulla sua spalla.
Sua madre picchiata? No! Non poteva permetterlo! Lei soffriva
già abbastanza, anche se cercava di negarglielo con tutte le sue forze
per non turbarlo. L’aveva vista sempre più sciupata, aveva capito
il dolore che provava, aveva visto anche i suoi lividi, e le bottiglie vuote
sparpagliate per casa. Non voleva sentirsi responsabile di altra violenza su di
lei. Doveva escogitare qualcosa, sentiva di poterlo fare. La sua mente sondava
tutte le soluzioni possibili, cercando le più convenienti. In ogni caso
avrebbe preferito salvare la persona che amava di più al mondo, che
sé stesso.
“Matiuska…”
Le sussurrò “Forse non è meglio che fai quello che dice Vasilij? Ha detto che diminuirà la parte dei nostri
soldi che gli dobbiamo… Mi sa che dobbiamo accettare… Basta che non
ti facciano del male, non voglio. Meglio io che te, che hai già patito
tanto.”
“Non osare dire mai più una cosa del
genere!”
Nel pronunciare quell’urlo strozzato dalla rabbia, lo
aveva di nuovo allontanato dal proprio corpo, tenendolo saldamente per le
spalle. Se solo non avesse avuto tutto quel senso di adorazione nei suoi
confronti, lo avrebbe preso a ceffoni per la frase che aveva appena
pronunciato.
“Non hai capito,Mihael! Vasilij vuole farti
violentare! E’ un atto impuro gravissimo! E’ la profanazione di un
corpo vergine! Non voglio essere complice di un’azione tanto crudele nei
tuoi confronti! Preferisco che venga fatto del male a me, che sono ormai una
donna segnata da molti peccati…”
“Non puoi dire questo, mamma… Io non voglio che
tu…”
Mihael non finì la frase.
Non c’era altra soluzione al problema. Dovevano rischiare, ormai era
ovvio nella sua mente.
“Dobbiamo scappare! Dobbiamo scappare da qui! Andiamocene via!”
“Ma non possiamo andarcene! Se Vasilij
dovesse arrivare ci ucciderà! Non si darà pace finché non
ci avrà trovati, non mollerà! Ho troppa paura! E’
troppo rischioso!”
Lui la fissò con un viso improvvisamente gelido,
aggrottando le finissime sopracciglia bionde. Si era come trasformato in
pochissimi attimi. Aveva un’espressione terribilmente adulta, che le
annientò ogni altra parola già nel profondo della gola.
“Natassia…
Andiamocene.”
Mai fino a quel momento Mihael
aveva chiamato sua madre per nome. Sempre solo “mamma” o “matiuska”. Se faceva così voleva dire che non
si sarebbe arreso facilmente, ed era determinato a rischiare. In fondo, lui cos’aveva da perdere? Nelle
mani di Vasilij avrebbe ricevuto solo del male.
Provando a scappare invece aveva una minima possibilità di evitare la
sofferenza.
Natassia riagguantò la
bottiglia dopo essersi alzata di nuovo in piedi, e finì la vodka in un
sorso solo senza sentire nemmeno la gola bruciare.
“Prendi le tue cose, Mihael.
Ce ne andiamo.”
Salve a tutti!^^
Questa volta scrivo in fondo!
Spero che questo
capitolo vi sia stato gradito! Il precedente aveva sconvolto tutti, ma io non mi
sento assolutamente obbligata a chiedere scusa. Era proprio l’effetto che
volevo dare, una sensazione orribile per tutti i lettori, la stessa che provo
io di fronte a questi fatti che purtroppo spesso capitano davvero. Certi
comportamenti mi fanno veramente schifo, e questa fan fiction esprime molto
bene cosa provo davanti allo sfruttamento di questo genere, è una specie
di “denuncia”. Elly_Mello
sa benissimo cosa intendo, perché mi conosce bene. Sa che io scrivo
certe cose per smuovere le sensibilità e far pensare la gente.
In questo capitolo
invece, Natassia ha finalmente reagito grazie a Mihael! E’ un capitolo pieno di speranza, non
trovate? E’ Meno pesante in confronto a quello prima. Spero che
continuiate a seguirmi!
Ringrazio anche KLMN, SPLITkosher,
_pEaCh_, reidina (la recensione mi ha
colpita!!!Grazieeee!<3333),
patri_lawliet.
Natassia spalancò le palpebre come se avesse preso una
tremenda scossa elettrica. Le gambe le dolevano terribilmente, le braccia le formicolavano.
Si sentiva tutta confusa e sconquassata, le sembra che le mancassero dei
ricordi... Dov’era? Come ci era arrivata in quel posto? Perché era
immobilizzata, le caviglie legate alle gambe della sedia in cui stava seduta,
mentre i polsi erano legati fra loro dietro la sua schiena?Giunse alla conclusione che dovevano averla
drogata, prima di farle tutto quello.
La sua testa era
pesantissima, ed era difficile tenerla sollevata. Quando ci riuscì finalmente,
ancora aveva la vista che faticava a mettersi a fuoco.
Pian piano però arrivò a
distinguere le forme intorno a lei, e vedere meglio il posto in cui si trovava.
Pareva una vecchia cantina umida, con i muri intonacati malamente di grigio. Un
lungo tubo ronzante al neon attaccato al soffitto illuminava la stanza con un
bagliore sinistro.
C’era uno strano odore tutto
intorno a lei. Quella stanza sapeva di putrido e di muffa. Nauseante.
Che diamine stava succedendo?
Era fin troppo chiaro, ma il suo cervello si rifiutava di credere ad una cosa
del genere. Era un pensiero troppo orribile…
Stava per mettersi a gridare
aiuto, quando una grossa mano che odorava di tabacco si appoggiò pesantemente
su una sua esile spalla facendola sussultare. Un brivido la scosse fin nel
midollo.
“Natassiuska… Mi dispiace della
brutta accoglienza, ma non ho proprio potuto fare di meglio… Ne valeva del mio
orgoglio. Mi hai fatto parecchio incazzare, sai? Mi
hai preso per il culo… E io non posso tollerarlo.”
Il fiato caldo di KirillVasilij le accarezzava la
nuca. La sua voce era inconfondibile.
L’aveva presa. L’aveva presa
e le avrebbe fatto pagare caro l’affronto.
“Sai, ho sempre avuto
l’impressione che tu fossi stupida… Ma ora ne ho la certezza assoluta. Cosa
avevo detto che sarebbe successo se tu fossi scappata? Possibile che tu sia
così tanto deficiente da non capire nemmeno le minacce? Eppure in tutto questo
tempo avresti dovuto comprendere che a me non piace scherzare, ne che una delle mie ragazze me la faccia sotto il naso…”
Fece un lungo sospiro di
falso dispiacere, continuando a massaggiarle la spalla.
Natassia restò immobile, non mosse nemmeno un muscolo per
reagire a quelle pesanti provocazioni. Era letteralmente paralizzata dal
terrore. I suoi pensieri erano tutti per Mihael più
che per sé stessa. Dov’era? Cosa gli stavano facendo?
Straordinariamente, l’uomo
parve leggerla nel pensiero.
“Non preoccuparti per Mihael, non gli abbiamo ancora torto un capello, dovrebbe
arrivare tra poco… Non volevo di certo ucciderlo prima che tu potessi essere
presente…”
Non aveva ancora finito la
frase che una porta scorrevole in ferro sul lato destro della cantina che la
ragazza non aveva notato si aprì con un lungo stridio.
A grandi passi vide entrare
uno degli uomini che qualche mese prima l’avevano accolta a Londra. Era Boris.
L’altro, Serghej, lo vide entrare subito dopo di lui,
chiudere la porta e appoggiarvisi contro per fare la guardia.
Boris trascinava senza alcuno
sforzo un bambino recalcitrante con i capelli biondi che tentava di
divincolarsi disperatamente singhiozzando di paura.
Natassia si risvegliò in quel momento dal suo momentaneo
mutismo emettendo un gemito, quando l’uomo, stanco di trainarlo in quel modo,
non gli tirò un sonoro schiaffo. Mihael, visibilmente
stordito, smise di agitarsi.
“Mihael! Mihael!”
Non sapeva nemmeno lei perché
stesse strillando in quel modo. Cos’avrebbe risolto? Niente. Avrebbe solo fatto
divertire di più gli aguzzini.
“Devi imparare a fare la
brava, Natassiuska.”
Riprese il discorso Vasilij,
continuando ad accarezzarla con voce melliflua “Devi essere ubbidiente e
rispettosa. Purtroppo ho visto che ci sono delle distrazioni che non ti
permettono essere disciplinata… Ma non preoccuparti, ci penserò io a educarti
come si deve, eliminando il problema alla radice…”
La ragazza iniziò a piangere
silenziosamente. Le lacrime le scorrevano lente sulle guance infiammate. La sua
voce fu un lieve sussurro terrorizzato.
“Vi prego… Vi prego, non
fategli del male… Non è colpa sua, Mihael non
c’entra… Punite me, vi supplico… Punite me, ma a lui non fate niente… Il mio
angioletto… Non deve morire…”
Vasilij non la ascoltò nemmeno. Guardò davanti a sé la figura
fremente di Boris, che con uno sguardo indecifrabile aspettava l’ordine del suo
capo, ordine che non tardò ad arrivare: un piccolo cenno con una mano, subito
dopo il quale tirò fuori da una tasca un coltellino
pieghevole, che si aprì scattando.
Natassia gridò presa dal panico, agitandosi, e cercando di
liberarsi invano, ormai in piena crisi isterica.
“No! Vi prego, no! Non
fategli niente! Lasciatelo andare! Lasciatelo!”
“Prego, Boris… Sgozza questo
piccolo bastardo come se fosse un capretto, ma fallo
qui davanti a noi. Natassia deve godersi lo
spettacolo. Credo che dopo ciò sarà molto meno insubordinata.”
Il carnefice afferrò Mihael per una spalla, cosa che non fu difficile per una
sua mano sola grande e forte, trascinandolo con forza di fronte a loro.
Il piccolo ormai piangeva a
dirotto, così come Natassia. Erano entrambi
terrorizzati. Lei non sopportava di vedere suo figlio in quelle condizioni, non
riusciva ad ascoltare i suoi singhiozzi disperati, a vederlo picchiato, il
fatto che ora si trovasse tanto vicino ad una morte brutale. Per lei, lei che
lo aveva portato in grembo per mesi, lei che gli aveva dato la vita, lei che lo
aveva visto crescere, era straziante. Era un innocente, non doveva essere
ucciso! E poi… Poi si sentiva dentro un peso enorme, come se in quel momento lo stesse tradendo, perché gli aveva promesso che l’avrebbe
difeso ad ogni costo, e invece si trovava impotente di fronte al suo imminente
massacro…
“I cerchi dell’Inferno più vicini a Satana sono
riservati a coloro che hanno tradito chi si fidava di loro, e io sono proprio
in quel gruppo. Non sono degna di vivere... Spero che mi uccidano presto, anche
se non potrò stare con Mihael, che finirà tra gli
Angeli dove c’è il suo vero posto…”
Ecco cosa pensava la ragazza
in quegli istanti, mentre la sua bocca esprimeva le ennesime vane preghiere ai
loro torturatori.
“No, no, lasciatelo… Lasciate
andare il mio bambino, è l’unico amore della mia vita, non ha fatto nulla di
male…”
Come non aver detto niente.
Boris fece inginocchiare il bambino a forza e gli tirò indietro il capo
tirandogli violentemente i capelli, esponendo il collo esile lucido di sudore e
lacrime, pulsante. Mihael
tremava come una foglia, incapace di pronunciare qualsiasi cosa oltre ai
mugolii e ai lamenti.
“Boris, mi raccomando…” Vasilij parlò lentamente con un tono intriso di puro
sadismo “Lentamente.”
Il boia non mutò minimamente
espressione. Sembrava un automa che compie il suo dovere, avvicinando la lama.
Le grida di Natassia, stridule e angosciate mentre le stavano
strappando via il suo unico affetto, riempivano la cantina. Continuava a
provare ad allentare la stretta delle corde, ma i nodi erano troppo stretti e
ben fatti. Era tutto inutile. Il suo unigenito era perduto.
La lama scivolò sulla pelle oltremodo
sottile e morbida, incidendola un poco, senza che Boris ci mettesse eccessiva
forza. I secondi parevano dilatati in ore interminabili, come se tutto fosse
rallentato. Il sangue, con il suo colore scarlatto che sapeva di morte, iniziò
a colare stillando da quel piccolo taglio non mortale… Ma fu quando il coltello
penetrò in profondità con un gesto secco che sottolineava la maestria di Boris
per quel genere di lavori, lacerando di netto la carotide che un getto
vermiglio le schizzò sul viso.
Natassia emise un urlo terribile, un grido pieno di dolore e
paura… Svegliandosi.
Le sue mani stranamente
libere corsero a coprirle il viso pallido e sgomento. Percepiva la sua stessa
pelle fradicia di sudore.
Non ci mise molto a capire
che quello era stato solamente un incubo. Un orribile stupido incubo.
Le sue guance si tinsero di
rosso per l’ira, perché si era spaventata tanto per niente. Ed era tutta colpa
di Vasilij. Lui la stava ossessionando, se ne rendeva
perfettamente conto. Quella sua paura maniacale non la mollava un secondo da
quando si era decisa a scappare una sera di due giorni addietro, anche perché
se lui li avesse davvero trovati, niente avrebbe potuto salvare lei e Mihael da una morte orribile…
La giovane girò la testa a
destra e a sinistra per cercare il figlioletto con lo sguardo nel riparo
improvvisato che avevano adottato come rifugio: un vicolo in una strada di
secondaria importanza ne troppo vicina al territorio
di Vasilij, ne troppo lontano da quel confine.
Mihael era seduto vicino a lei, sveglio, su uno dei cartoni
che usavano come giaciglio piuttosto scomodo. Per fortuna non faceva troppo
freddo in quel periodo d’estate, e poi per fuggire da Vasilij
avrebbero fatto questo ed altro.
Il viso del bambino lasciava
trapelare una certa preoccupazione, illuminato di chiaro dalla diafana luce di
un lampione appena fuori dal vicolo.
“Mamma, va
tutto bene? Perché
hai gridato?”
La giovane non rispose. Si
passò una mano sulla fronte per asciugare il sudore, facendogli poi segno di
avvicinarsi di più con una mano pallida e tremante. Timido, lui pian piano si
fece avanti con le braccia tese senza aspettare la risposta alla sua domanda… E
Natassia lo strinse di scatto, serrandolo
disperatamente contro di lei quasi da fargli male, premendo il volto tra i suoi
capelli fini, biondi e profumati.
“Ho fatto
un incubo orribile… Ho sognato la tua morte, amore mio… Ma questo non accadrà,
te lo giuro! Continuerò
a proteggerti come sempre…”
Mihael cercò di tirarsi su, e non appena ci riuscì stampò un
bacio carico d’affetto sulla guancia della madre.
“Lo so. Ti voglio tanto bene,matiuska,
nessuno potrà mai dividerci!”
Il bacio fu presto
ricambiato. Natassia adorava davvero suo figlio come
un angelo sulla terra, e per lei era proprio questo: un angelo. Tutta la sua
vita ruotava intorno a quella figura minuta e delicata.
Era solo per lui che faceva
tutto quello. Era per lui che ora cercava un nuovo protettore, un nemico di Vasilij che la prendesse sotto la sua ala proteggendola.
Non si aspettava gentilezza, ma almeno un riparo. E c’era un nome promettente
che vorticava nella sua mente, un nome che aveva sentito pronunciare a volte da
Vasilij con timore, ira o disprezzo.
Il giorno successivo si
sarebbero presentati da YinMei,
e Natassia avrebbe implorato di accoglierla tra le
sue ragazze…
Emise un sospiro. Doveva
essere positiva, sicuramente sarebbe andata meglio che con Vasilij.
YinMei era potente alla
pari con quell’uomo, e forse le sue regole sarebbero state meno severe
soprattutto nei riguardi di Mihael… E poi, Natassia non sarebbe stata costretta a concedersi gratis
solo perché la proteggeva... Visto che YinMei era una donna.
Salve a tutti! Ve la
siete fatta sotto vero? E invece era solo un sogno… Povera Natassia,
è una donna davvero ossessionata. Ha una paura folle che venga fatto del male a
Mihael, ed ora che la situazione è di nuovo piuttosto
precaria… Chissà come andrà con YinMei, sembra che si preannunci meglio di Vasilij!
A proposito dello
scorso capitolo… Vorrei sottolineare il fatto che Natassia
ha detto a Mihael di non considerarsi mai inferiore a
nessuno… La frase potrebbe averlo colpito tanto da essere una delle cause della
rivalità con Near, non trovate?^^
Ringrazio chi ha
recensito! Grazie mille a tutte, siete tantissime e sono felicissima!!!
Natassia sentiva il suo cuore
battere all’impazzata all’interno del suo petto. Controllò
nervosa nella tasca della leggera giacca azzurra che indossava, forse un
po’ troppo grande per la sua corporatura esile, che le ultime banconote
rimastale ci fossero tutte, prima di stringere la mano del figlioletto Mihael e di attraversare la strada fino al marciapiede
opposto. Davanti a loro attaccata ad un palazzo in mattoni rossi c’era
una scritta verde sgargiante in caratteri orientaleggianti su uno sfondo rosso: “The Jade
Garden”. I vetri del locale incorniciati dello stesso verde della
scritta lasciavano intravedere l’interno del ristorante, le sue pareti
tinte in un giallino pallido e i tavoli in legno lucido coperti da fini
tovaglie sui toni dell’arancione. La clientela non era molta, a sbirciare
da fuori.
Natassia sospirò e rivolse
uno sguardo severo a Mihael, che pareva alquanto
agitato. Era la prima volta che entrava in un ristorante. A Baranavichy
non era assolutamente possibile, e in più sua madre non l’aveva
mai portato nemmeno al MacDonald’sda quando erano arrivati a Londra. La
novità lo eccitava non poco. Sembrava non riuscire a star fermo due
secondi, saltellava da un piede all’altro con un gran sorriso e le guance
arrossate di impazienza.
“Mi raccomando comportati bene.” Lo ammonì lei “Non voglio che facciamo brutte figure
davanti alla gente. Poi, ti ricordo che non siamo qui solo per
mangiare… Devo parlare con la proprietaria per chiederle un lavoro…”
Mihael si calmò
all’istante. Liberò la mano dalla sua stretta e iniziò a
pettinarsi con le dita i capelli lunghi districando qualche piccolo nodo, poi,
mise una ciocca dietro l’orecchio sinistro.
Natassia rise di gusto prima di
spingere la porta d’entrata su cui spiccava una targhetta con la scritta
“Open”. Un campanellino
trillò al loro ingresso.
La giovane non si era sbagliata: non c’erano molte
persone, e la maggior parte di queste avevano tipici tratti orientali. Con un
po’ di stupore si rese anche conto che erano gli unici ad avere i capelli
tanto chiari. Spiccavano come due papaveri in un campo di margherite.
Si incamminò con poca decisione verso un tavolino il
più lontano possibile dai vetri, contro il muro opposto
all’entrata. Aiutò Mihael a salire sulla
sedia, dopodiché affondò la testa nel menù. Come aveva
immaginato, si trovava in seria difficoltà. Già con
l’inglese aveva fatto grandi passi avanti in quei mesi,
ma tutti quei nomi strani di pietanze cinesi non le dicevano niente,
come avrebbe potuto scegliere? Decise che la pietanza che le sarebbe sembrata
più famigliare l’avrebbe scelta. Fu così che quando il
cameriere, un ragazzo non molto alto ma decisamente muscoloso, con i capelli neri
tagliati a spazzola e gli occhi a mandorla, le si avvicinò,
comandò degli spaghetti ai gamberi per due e dell’acqua liscia.
In realtà Mihael avrebbe
scelto da solo cosa mangiare. Aveva anche lui afferrato un depliant del
menù, e l’aveva letto, cercando però di dare il più
possibile l’idea che lo stesse solo osservando distrattamente. Non era il
momento adatto per far capire a sua madre che sapeva leggere anche in inglese
oramai, e non solo più in russo. Ci sarebbe stato un momento opportuno
anche per quello. Quando lei aveva scoperto le sue capacità, ci era
rimasta molto male, colpevolizzandosi per il fatto che non se ne fosse accorta
prima. Non voleva ripetere lo stesso errore: Natassia
quel giorno doveva essere forte e determinata, non distratta da lui.
Mangiarono entrambi in silenzio abbastanza velocemente tanto
avevano fame. Non avevano mangiato altro che piccoli panini durante la loro
fuga.
Ovviamente nessuno dei due mangiò con le bacchette,
che rimasero lì intatte vicino ai loro gomiti. Mihael
però si prefisse in quel momento l’obbiettivo di imparare ad
utilizzarle, prima o poi.
Finito il pranzo, era giunto il momento che la ragazza
aspettava e nel frattempo temeva. Pagando con i suoi ultimi risparmi si
avvicinò al capo del cameriere che li aveva serviti e che ora si trovava
alla cassa, e sussurrò nel suo orecchio badando a non farsi sentire
dagli altri clienti. Mihael vicino a lei, tratteneva il fiato.
“Vorrei parlare in privato con la proprietaria, Mrs. YinMei, è possibile?
E’ una questione importante… Vorrei chiederle un lavoro.”
“Qui non abbiamo bisogno di cameriere o lavapiatti,
siamo al completo.”
“No, non intendevo un lavoro alJade Garden… Sono straniera, e so che YinMei cerca delle ragazze per
lavori, diciamo, di un altro tipo… Vorrei parlarle…”
Il cameriere sorrise compiaciuto. Il suo accento rendeva
evidente il fatto che fosse straniera, e poi aveva notato che si portava
appresso un bambino… No, non poteva essere della polizia. E se anche
avesse tentato qualche mossa azzardata YinMei era ben protetta. Era il caso di portarla nel suo
ufficio. Prese il cellulare dalla tasca, compose un numero e disse qualche
frase in cinese prima di riattaccare.
“Prego, da questa parte.” Disse facendola
passare dietro il bancone e poi aprendo una porta che portava nel retro. Natassia entrò riluttante nel corridoio dietro di
lui e seguita da Mihael, fino a che non giunsero ad
una porta in legno rossiccio intarsiata elegantemente. Il cameriere
l’aprì facendo entrare lei e suo figlio per primi.
Il più sorpreso del nuovo ambiente fu Mihael: non aveva mai visto una stanza tanto sontuosa, e
immaginò che quella di Vasilij avrebbe dovuto
essere simile per esibire la potenza e la ricchezza del proprietario. Le pareti
erano ricoperte da una carta da parati verde scuro su cui si stagliavano una
marea di draghi cinesi in oro che luccicavano. Sui muri erano esposte varie
stampe orientali dall’apparenza piuttosto antica, la più grande
delle quali stava dietro ad una scrivania in stile etnico.
Da quella postazione si alzò una giovane donna alta
all’incirca come Natassia, che prima era
intenta a leggere un libro. E qui fu invece lei a rimanerne impietrita.
YinMei
era di una bellezza inimmaginabile. Non se l’era mai immaginata in quel
modo, piuttosto si aspettava una donna di una cinquantina d’anni, magari
completamente rifatta, ma assolutamente non con quell’aspetto. Sembrava
una ragazzina. I capelli neri e liscissimi le ricadevano sulle spalle, il suo
viso era di un colore olivastro senza nemmeno un’imperfezione, la bocca
aveva labbra sottili e rosse, gli occhi a mandorla erano finemente truccati per
renderla ancora più bella. Il suo corpo sottilissimo come un giunco era
avvolto in un abito nero senza maniche molto elegante. Al confronto, lei
avvizziva come un fiore che aveva iniziato ad appassire. Il suo viso non aveva
quei tratti invitanti, appariva scialba, con due orribili occhiaie e la pelle
pallidissima come un cencio slavato. In più sentiva di essere vestita in
modo ridicolo, non avendo i soldi per comprarsi niente di più elegante.
Quella giacca azzurra era semplicemente orribile, e la faceva sfigurare ancora
di più.
YinMei
le tese una mano dalle unghie smaltate di rosso rubino, salutandola con un
sorriso squisito.
“Salve. KaiCheng mi ha avvertita del vostro arrivo. Sono YinMei, la proprietaria delJade Garden. Sembra che siate interessata ad
una certa mia attività…”
“Piacere… Il mio nome è Natassia…”
“Oh, sei tu Natassia!”
esclamò YinMei
senza lasciarla finire di presentarsi “Sei la famosa Natassia
che lavorava per KirillVasilij?
Quella che è scappata?”
Natassia annuì abbassando lo sguardo piena di vergogna. E così Vasilij aveva già sparso la voce…
“Vasilij era come
dire… Mi ha telefonato due giorni fa. Mi ha urlato al telefono sul fatto che
una delle sue ragazze era fuggita con il figlio, se per caso fosse venuta a
chiedere protezione da me…”
“La prego, non gli dica niente!” scattò
presa dal panico dimenticandosi le buone maniere che aveva cercato di avere
fino a quel momento “Se ci trova ucciderà Mihael
e me! Io voglio lavorare per lei! La prego, mi prenda come una delle sue
ragazze! Conosco bene il mio lavoro, sono brava! E Mihael
non darà alcun fastidio, sa che deve stare bravo e non creare problemi,
è abituato! La prego, mi dia una possibilità! Ho bisogno di quel
lavoro per mantenere mio figlio…”
YinMei
trillò con una risata cristallina e nel frattempo composta, che non
aveva niente a che vedere con quella roca e malevola del suo ex-protettore.
“Ma certo! Mi servono sempre delle ragazze in
più, e poi sei la celebre Natassia…
Questo sarà un bel colpo alle spalle di quel grosso porco di Vasilij. Mi aveva detto che eri brava, sai? Mi sarai
più che utile, farò in modo che tu abbia un prezzo piuttosto
alto… Tra le mie ragazze ce ne sono poche che vengono dai paesi
dell’Est Europa, quelle se le prende sempre Vasilij.
Le mie sono quasi tutte cinesi o thailandesi, ci vuole qualcuno un po’ di
diverso. Ah, e non preoccuparti per tuo figlio, non ci sono bambini nei miei
affari. Vedrai che lavorare per me sarà molto più conveniente che
farlo per Vasilij. Anche perché i miei sono
esclusivamente lavori a domicilio. Non mi va che le mie ragazze vadano in mezzo
alle strade con chissà quali clienti che le picchiano o non le
pagano… No, i nostri ospiti sono selezionati e controllo il pagamento
personalmente.”
Per Natassia quelle rivelazioni
parevano un sogno. Non sarebbe più stata costretta ad andare a battere
sui marciapiedi, e YinMei
pareva assolutamente magnanima. Non aspettava altro. Anche Mihael
era contagiato dalla felicità di sua madre. Questa tizia non aveva
un’aria cattiva come Vasilij, e pareva proprio
che Natassia fosse al settimo cielo per la
possibilità che le veniva offerta. Così sorrideva anche lui,
guardandola con i suoi occhi azzurri luminosi, pieno di voglia di vivere. Aveva
avuto ragione a convincerla a scappare. Gli sembrava perfino un po’ meno
deperita da quando era entrata, anche se evidentemente era impossibile.
“Ti darò una delle stanze sopra ilJade Garden. E’ lì che alloggio
le ragazze.” Continuò “Gli appartamenti
non sono enormi, ma ci si può stare. Sono anche ben tenuti,
perché è proprio lì che lavorerai. Vedrò di farci
mettere un letto anche per tuo figlio, per ora vi dovrete accontentare…
Ah, c’è la cucina nell’appartamento, ma ti farò
portare su pranzo e cena dal ristorante. E non preoccuparti per Vasilij, sarai protetta. Non potrà
nemmeno avvicinarsi a te.”
“Grazie, grazie mille! Non so davvero come
ringraziarla…”
“Basta che fai bene il suo lavoro. Ah, solo qualche
regola in più… Prendo il 75% dei tuoi guadagni, in fondo, non devi
nemmeno comprarti da mangiare, mi sembra il minimo… E poi una cosa
importante. E meglio che fai attenzione e non rimani incinta. Per
carità, non ti obbligherei ad abortire, ma sappi che è una scelta
tua, e che dovrai provvedere a tutto tu se dovessi volerlo tenere. Se ti rendi
conto che però non riesci a tirarlo su, puoi avvertirmi, e io me ne
occupo. Ma non fraintendere! Ho già detto che non sono come Vasilij, lo venderei ad una coppia sposata che non riesce
ad avere bambini, tutto qui.”
Natassia rabbrividì, ma di
certo non come quando era arrivata da Vasilij. Era
proprio vero che una donna come protettrice è molto meno dura di un
uomo. Sì, questa volta sarebbe andata meglio. Davvero molto meglio.
C’era ancora speranza per lei e per Mihael.
Nessuno lo avrebbe toccato, nessuno gli avrebbe torto un capello, sarebbe stato
al sicuro.
“E’ ora di andare nell’appartamento…
Avete bisogno entrambi di una bella doccia.” Disse YinMei giungendo alla porta da
cui loro erano entrati “Datti una rinfrescata, Natassia,
e poi ti voglio di nuovo qui. Dobbiamo fare delle foto da mettere sul
mio catalogo. Tutto il necessario per prepararti è già nella tua
stanza. Per questa sera forse riesco già a trovarti un cliente…”
Come al solito
ringrazio di cuore tutti quelli che hanno commentato così vivamente il
capitolo precedente! Sembra che sia molto piaciuto e io non posso che esserne
davvero lusingata! Spero che continuiate a seguire con interesse, mi date
davvero la forza di andare avanti a scrivere!
Quindi grazzissimissime alle mie affezionate KLMN, _pEaCh_,
SPLITkosher, KeR, reidina, Elly_Mello e Jael! Grazie davvero! Siete fantastiche adoro
le recensioni!
VVB a tutte!
Lolly<3
PS: Ne approfitto per
chiedere ancora una volta scusa ad una persona che ho ferito nel profondo senza
volere, anche se molto probabilmente non leggera questo
mio ps… Ma una speranza c’è… Sono davvero pentita di
quello che ho detto, e mi dispiace davvero.
PS2: Potrà YinMei dimostrarsi tanto brava
nei confronti di Natassia? Uhmmmmm…
XD
Mihael aveva sempre capito quando
sua madre stava bene o quando al contrario soffriva. Glielo leggeva negli
occhi. Ogni volta che le cose non andavano lei deperiva, la sua pelle diventava
pallida, piangeva di nascosto, anche se con lui non voleva mai mostrare questo
suo lato. Un lato che però lui riusciva sempre a vedere.
Ora invece non era più sicuro di niente. Era incerto
sul fatto di riuscire ancora a comprendere quella donna oppure no. Era tutto
così anomalo…
Lei all’apparenza sembrava felice. Davvero felice.
Dopo che YinMei
l’aveva presa come una delle sue ragazze, di nuovo il suo viso era
tornato allegro, florido, le sue guance di un bel colore rosato. Si truccava,
si pettinava bene, sceglieva con cura i vestiti. Era sempre perfetta e
sorridente con lui, lo coccolava ogni minuto che poteva, e Mihael
ricambiava quell’affetto con tutte le sue forze. Cercava di essere
affettuoso come mai era stato, e di non causarle il minimo problema. Quando
arrivavano i clienti se ne stava buono nel suo letto del nuovo appartamento,
appartamento assolutamente migliore di quello che avevano avuto prima. E Natassia non sembrava più turbata da quel suo tipo
di attività… Esteriormente era serena. Eppure Mihael
sospettava che le cose non andassero così bene come sembrava.
Natassia viveva praticamente
reclusa. YinMei
controllava ogni sua uscita, era impossibile sfuggirle. Se voleva andare a
passeggio doveva passare davanti al suo ufficio e dire a lei, o se era assente
ad uno dei suoi uomini, dove andava, cosa avrebbe fatto e a che ora sarebbe
tornata. Tutto era diligentemente annotato su un quaderno. Nessuna ragazza sarebbe mai potuta scappare, con quel ingegnoso metodo, e
alla fine Mihael dovette riconoscere che YinMei nonostante
l’apparenza ingenua e la giovane età, era una donna scaltra e
manipolatrice, che sapeva utilizzare alla perfezione il suo aspetto esteriore
per trarre in inganno. In un certo senso riusciva quasi a provare
dell’ammirazione per lei e la sua astuzia.
In ogni caso, provava una gran pena per sua madre, che non
doveva trarre benefici da quella situazione. Si era ormai rassegnata a non
uscire più dall’appartamento sopra ilJade Garden, e mandava Mihael
a comprare le cose che le servivano. Era diventata routine ad esempio, che il
mercoledì pomeriggio il bambino uscisse verso le tre del pomeriggio per
andare a comprarsi del cioccolato, e della vodka per lei, per poi magari
bighellonare un po’ in giro e tornare infine a casa verso le cinque e
mezza. E già il fatto che finalmente lo lasciasse libero di vagare per
Londra da solo era qualcosa di strano. Certo, doveva trattenersi
all’interno del territorio di YinMei per non incappare negli scagnozzi di Vasilij, ma comunque mai prima di quel momento la donna gli
aveva permesso di allontanarsi da solo da lei.
Pareva praticamente ovvio che qualcosa non andasse,
nonostante lei negasse con tutta sé stessa e gli dicesse che finalmente
era contenta di quello che faceva.
Un giorno però, accadde un fatto che confuse ancora
di più i pensieri di Mihael: Natassia decise di uscire con lui. Si era vestita bene, si
era fatta una finissima treccia per tenere ordinati i capelli e, dopo averlo
preso per mano per scendere le scale che la portavano nel corridoio
sottostante, gli aveva annunciato con voce gioiosa e un gran sorriso raggiante
che era venuto il momento di iscriverlo in una scuola.
Arrivata da YinMei, che l’aspettava alla sua scrivania, pareva
fremere dalla voglia di uscire. Ci teneva davvero molto, all’educazione
di suo figlio.
“Salve, YinMei… Volevo chiederle un’informazione… Mi
piacerebbe iscrivere Mihael a scuola, ce ne è
una vicina? E poi cosa devo fare, presentare i miei documenti nuovi che lei mi
ha procurato?”
La donna sorrise, incrociando le mani come al solito
impeccabili sotto il suo mento.
“Ce ne è una proprio
qui dietro. Si vede che non esci poi molto, dalla strada qui davanti giri a
destra e trovi un cortile e un grande edificio. E’ impossibile
sbagliarsi. Ti do un’ora per andare e tornare qui. Basta che presenti le
carte d’identità e i permessi di soggiorno che ti ho procurato,
dovrebbero bastare.”
Natassia resistette alla tentazione
di inchinarsi prima di sgattaiolare fuori con Mihael
alle calcagna. Provava una riverenza che poteva sembrare quasi ostentata verso quella donna. Attraversò ilJade Garden salutando velocemente KaiCheng che passava uno
straccio sui tavoli, e si diresse all’uscita. Finalmente fuori. Le pareva
strano oramai respirare aria fresca e sentire un alito di vento accarezzarle la
pelle. Era davvero molto tempo che non metteva il naso fuori. Chiuse gli occhi,
inspirò una grande boccata, per partire subito dopo a passo di carica.
Non vedeva l’ora di arrivare a destinazione. Faceva parte di un suo
obbiettivo personale. Mihael doveva andare a scuola,
come tutti i ragazzini normali e mostrare a tutti le sue capacità.
“Vedrai, angioletto, ti piacerà andare a
scuola, imparerai un sacco di cose interessanti, tra cui a leggere e scrivere
in inglese, e troverai tanti altri bambini con cui fare amicizia e
giocare!”
“Potrò fare anche una festa di compleanno
quando avrò degli amici?”
“Immagino di sì, ma c’è ancora
tempo, caro, il tuo compleanno è a dicembre. Ora devi concentrarti sulle
cose da studiare, visto che l’inglese non è la tua lingua, farai
forse un po’ più di fatica degli altri…”
Mihael sospirò. Non le
aveva ancora detto che sapeva già scrivere e leggere in inglese. Aveva
deciso di lasciarle credere che non sapeva farlo e che
avrebbe così imparato a scuola, per non darle dispiacere. Sembrava tanto
contenta che non voleva rovinare tutto. Aveva promesso a sé stesso che
avrebbe fatto qualsiasi cosa per renderla felice, e se andare a scuola era una
di quelle cose che la facevano stare bene, era giusto che lui ci andasse e che
facesse finta di imparare, almeno per quanto riguardava l’inglese.
Ci misero dieci minuti ad arrivare all’edificio che YinMei aveva descritto.
Un’imponente costruzione dai muri grigi e un giardino ingiallito dal sole
estivo sul quale spiccavano grandi chiazze marroni dove l’erba non
cresceva. Era circondato tutto attorno da un cancello in ferro arrugginito.
Fu Natassia a citofonare. La sua
voce era squillante e felice. Non stava più nella pelle, si vedeva.
Quando le aprirono praticamente corse fino all’entrata e appena dentro
notò subito un segnale con scritto su “administrative office”. Indicava a sinistra.
Arrivati davanti alla porta indicata come segreteria,
bussò timidamente, per poi continuare a sorridere incessantemente a Mihael. Quando le fu dato il permesso di entrare non
indugiò nemmeno un secondo, piombando nell’ufficio a passo di
carica.
L’unica segretaria presente nella severa stanza dalle mura
grigiastre che un tempo avevano sicuramente dovute essere bianche la
guardò torva sporgendosi da dietro una pila di documenti.
“Posso aiutarla?” chiese.
Natassia sembrava non aspettare
altro che quella domanda. Ci pensò un attimo prima di parlare, per
formulare bene la frase in inglese, fremendo.
“Mi piacerebbe iscrivere mio figlio in questa scuola,è ancora possibile?”
La donna alzò le spalle con noncuranza.
“Meglio tardi che mai. Siete stranieri?”
“Sì, ma tanto Mihael
deve iniziare il suo primo anno… E sa, è davvero un bambino che
impara in fretta!”
“Sì, sì… Deve completare
questo.” Spiegò porgendole una scheda da completare con i dati
anagrafici suoi e di Mihael “Mi dia anche il
permesso di soggiorno… Da che paese arrivate?”
“Da Baranavichy, in Bielorussia...”
Nel dire il nome del suo luogo d’origine, la voce
della giovane si affievolì, quasi fosse una vergogna davanti a quella
segretaria dai modi spicci.
“In che lingua sono le vostre carte di
identità?”
“In russo.”
“Allora è inutile che me le diate, bastano i
permessi in inglese.”
Il tutto fu fatto in meno di un quarto d’ora. Mihael era per la gioia di Natassia
finalmente iscritto in una scuola elementare, e si apprestava a studiare come
tutti gli altri bambini. Lei ne era orgogliosa.
Uscì dalla scuola e tornò alJade Garden felice come una pasqua, facendo
pieno di raccomandazioni al figlio:
“Cerca di essere sempre educato con gli insegnanti e
segui attentamente le loro lezioni. Sii gentile con i tuoi compagni e vedrai
che anche loro saranno gentili con te. Non rispondere male e non dire
parolacce. Se qualcuno è sgarbato con te non devi arrabbiarti, vai da
una maestra e glielo dici a lei con tutta calma.”
Quelle cose le aveva già ripetute altre volte quando
parlava della scuola. Mihael annuiva ad ogni
affermazione guardando per terra. Lui non ne era così entusiasta di
andare a scuola. C’era una grande paura dentro di lui. Una paura che era
cresciuta nel tempo inconsciamente.
“Io non ho molta voglia di andare a
scuola…” sussurrò.
“E perché?! E’
una grande fortuna questa! Cosa ti succede?”
“Ho paura di non piacere agli altri bambini…”
“Non dire sciocchezze, angioletto! Se sarai simpatico
con loro non c’è motivo per cui tu non debba diventare loro amico!”
In effettiMihael
non sapeva dare una spiegazione chiara al suo timore. Non disse più
niente al riguardo però, perché temeva che lei avrebbe
potuto intristirsi.
Si ritrovarono così di nuovo alJade Garden. Natassia
ripassò davanti all’ufficio di YinMei e le fece un segno di saluto per avvertirla del suo
ritorno. Appena la vide però la giovane cinese alzò un dito
fermandola all’istante. Voleva sicuramente dirle qualcosa di importante.
Perfino Mihael si fermò curioso aspettando sua
madre prima di salire le scale.
“Sì?” disse Natassia.
“Volevo dirti che mentre eri via mi ha chiamato Mr.
Faraday. Gli ho detto che eri uscita ma che saresti tornata subito, così
lui sarà qui tra poco.”
“Ah, va bene!”
Il volto di Natassia rimase
luminoso e fresco come una rosa sbocciata di prima mattina, e dopo un saluto
pieno di riverenza si recò nel proprio appartamento trascinandosi dietro
un Mihael dallo sguardo torvo.
Quando sotto il controllo di Vasilij
l’arrivo di un cliente all’ultimo momento l’avrebbe
frustrata. Certo, nessuno dei vecchi clienti era come Oscar Faraday. Lui era
del tutto particolare, oltre che molto ricco. Cinquantacinque anni e un impero
finanziario costruito su una fabbrica di macchine industriali di cui era
direttore generale, sposato da ventisei, una figlia appena adolescente e un
figlio ormai ventenne, Mr. Faraday era il tipo di cliente che mai Natassia
non avrebbe mai immaginato di poter allietare. Soprattutto però, non
avrebbe mai pensato che lui si sarebbe in un certo senso affezionato a lei. Veniva molto spesso, due o tre volte la
settimana, e solo esclusivamente da lei, a quanto ne diceva la stessa YinMei. Non ne voleva altre. La
pagava anche esageratamente bene, e la trattava in un modo che mai nessun altro
uomo adulto aveva mai usato con lei, un modo che all’inizio l’aveva
confusa e intimorita, ma che poi aveva imparato a conoscere e quindi
apprezzare. Aveva finalmente compreso che del sesso poteva gioirne. Forse era
proprio quello il motivo del suo comportamento tanto bizzarro per Mihael.
Così anche quella volta piroettò con grazia
nella stanza, e poi corse ad abbracciare stretta il figlio. Gli
accarezzò le guance e i capelli, riempiendolo di baci, assaporando il
suo profumo di bambino.
“Cosa c’è, amore?
Non sei felice? Ti ho già detto di non preoccuparti per la scuola,
che…”
“Non è la scuola a cui sto pensando, matiuska.”
La interruppe con voce lamentosa “E’ che adesso arriva Mr. Faraday,
mentre io volevo stare un po’ con te… A me lui non piace, lo
sai…”
La giovane lo strinse ancora con più vigore
affettuoso.
“Non hai nulla da temere, lo sai che sarai sempre il
mio più grande amore e nessuno prenderà mai il tuo posto…
Nemmeno Oscar. Lui è solo… Una possibilità
per noi. Potrebbe aiutarci a tirarci fuori da qui e ad essere finalmente felici
e liberi! Ti prego, cerca di essere amabile e giudizioso anche quando
c’è lui, Oscar è sempre gentile con te, ti porta ogni volta
del cioccolato…”
Mihael annuì cercando di
essere convincente. Non voleva crearle alcuna pena. Doveva solo ignorare le
orribili sdolcinatezze di quell’uomo, e a lei lo doveva. Con tutte le
rinunce che era stata obbligata a fare per lui, Mihael
si sentiva obbligato a fare un piccolo sacrificio per sua madre, visto che
quell’uomo pareva una delle sue primarie fonti di felicità e
benessere esteriore, in quel periodo in cui era di nuovo una schiava.
Inconsapevole forse, ma pur sempre una schiava. L’unica differenza da
quando sottostava a Vasilij, era che questa volta non
riusciva a rendersene pienamente conto.
Così Mihael fece finta di
nulla e assentì col capo una seconda volta con più convinzione,
sussurrandole un “Ti voglio bene.” nell’orecchio. Natassia parve soddisfatta, ma volle ancora rassicurarlo
con qualche parola dolce piena di affetto materno, quando la porta si
aprì…
Un uomo robusto e alto entrò nella stanza emettendo
un sospiro sollevato. I capelli brizzolati erano mossi, i suoi occhi scuri e
profondi. Appena Natassia lo vide, scattò in
piedi.
“Ciao, Oscar! Sei arrivato! Scusami per prima, ma ero fuori!”
Gli saltò praticamente al collo e lo baciò
dolcemente sulle labbra. Mihael sent una goccia di
sudore freddo percorrergli la schiena e le orecchie infiammarsi.
“Ciao, bellissima! Dove sei stata?”
“Ho iscritto il mio Mihael
alla scuola elementare!” rispose lei inorgoglita “Tu invece?
Com’è andato il lavoro?”
“Massacrante, come al solito…
Mi serve proprio un’oretta di riposo prima di andare a casa… Ah,
sono contento che tu abbia iscritto tuo figlio a scuola. E’ importante, e so che ci tenevi molto.”
Mihael sorrise a Faraday con un
enorme sforzo interiore. In realtà non ne aveva alcuna voglia, odiando
quel vecchio che faceva il melenso in quel modo con sua madre esattamente come
detestava tutti gli altri clienti di lei. Tutti, dal primo all’ultimo.
Gli faceva anche male avere la certezza che in quella categoria di persone
viscide e crudeli ci fosse anche suo padre. Non Dio, non gli Angeli come diceva
Natassia, ma il suo vero padre. Sì, odiava anche lui. Non voleva sapere chi
fosse, non avrebbe mai voluto incontrarlo, ed era stato solo un bene che lui
non sapesse minimamente della sua esistenza. Chiunque fosse, gli faceva schifo.
Mihael sentiva di non aver bisogno di alcun padre,
né di quello biologico né di un surrogato. Natassia
era la sua famiglia, l’unico amore della sua vita. Bastavano solo lei e
Dio, perché lui si sentisse felice.
“Mihael?”
La voce della donna lo richiamò alla realtà.
Si guardò attorno e lo vide sullo stipite della camera da letto, Faraday
che giocherellava con la sua treccia bionda. L’uomo pareva impaziente.
Natassia scappò un attimo
dalle sue attenzioni, si diresse verso la televisione e la accese. Un episodio
dei Flinstones
si materializzò sullo schermo.
Mihael sapeva cosa doveva fare.
Guardare la tv tranquillo, era sempre così,
cercando di non pensare a cosa stesse succedendo dall’altra parte del
muro. Ci era abituato ormai. Si arrampicò sul divano rannicchiandosi e
porse il viso a sua madre in modo che questa potesse dargli un bacio sulla
fronte.
“Fai il bravo, poi mi racconti cosa succede a Fred e Wilma in questa bella puntata…” gli disse in
russo “Vedrai che non ci metteremo molto, Oscar ha un po’
fretta.”
Si allontanò poi da lui entrando in camera con il
cliente. Un sonoro clack
segnò che la porta della stanza era stata chiusa a chiave.
Mihael ci provò con tutte
le sue forze, come sempre. Tentò davvero di concentrarsi sui dialoghi
del cartone animato, di ridere alle battute. Fu tutto inutile. C’era
quell’insopportabile brusio di sottofondo, risate, versi, ansiti, suoni
bizzarri che non identificava, che non gli davano alcuna pace.
Una lacrime scese silenziosa sulla
guancia pallida di Mihael arrestando la sua corsa sul
suo labbro superiore.
Waaa! Capitolo sudatissimo! Dai, alla fine
nemmeno questo è stato tanto male, mi sono trattenuta!XD Ringrazio le
mie affezionate recensitrici che mi danno davvero la
forza di andare avanti:
SPLITkosher
KeR
_pEaCh_
reidina
larxene
patri_lawliet
Elly_Mello
Grazie a tutte come
sempre! Le vostre recensioni sono importantissime per me! Vi adoro, continuate
a scriverne di LUUUUUUNGHE, xke io adoro leggerle e
rileggerle!
Quegli sguardi puntati addosso… Erano dappertutto.
Sentiva la potenza inquisitrice di quelle piccole pupille sulla sua pelle. Una ventina
di occhi curiosi che lo scrutavano, proprio lui, che a essere al centro
dell’attenzione non era assolutamente abituato.
Mihael deglutì in piedi
davanti a quella piccola folla infantile.
Arrivato quel primo giorno di scuola aveva tentato di
confondersi senza dire una parola con gli altri bambini, aveva trovato per
conto suo la sua classe e si era seduto in un banco scelto a caso in mezzo agli
altri. Natassia non l’aveva accompagnato: aveva
preferito non svegliarla dopo la lunga nottata in cui era stata molto occupata.
Aveva pensato che facendosi notare
il meno possibile nessuno sarebbe venuto a metterlo al centro
dell’attenzione. Aveva cercato di farsi piccolo scivolando sullo
schienale della sedia malandata, utilizzando il banco come una specie di barriera
tra lui e gli altri. Ma non aveva fatto i conti con l’insegnante. Questa
era entrata in classe salutando gli alunni con un gran sorriso stampato sul
volto e l’aria di quella che avrebbe provato con tutti i mezzi a
contagiare i suoi allievi con la sua voglia di imparare e studiare. Era una
donna sulla quarantina con lunghi capelli castani, un paio di occhiali
rettangolari sulla punta del naso sottile, e un’espressione gioviale. Si
era presentata come insegnante di inglese, Mrs. Dorothy Willow.
Aveva chiesto ai suoi nuovi allievi del primo anno di fare
un piccolo giro di presentazione, ed ecco che non appena era arrivato il turno
di Mihael, lo aveva interrotto e invitato gentilmente
a mettersi lì vicino a lei, in piedi davanti al resto della classe. Ed
eccolo in quel momento, rosso di vergogna immerso nel silenzio totale. Fu la
voce gioiosa e squillante di Mrs. Willow a mettergli
fine.
“Volevo dire a tutti una qualche parola in particolare
sul nostro nuovo compagno, Mihael.”
Spiegò sempre sorridendo “Come avete sicuramente potuto notare
dall’accento che ha utilizzato mentre si è presentato prima che io
lo chiamassi, è da pochissimo tempo che abita a Londra, mentre bene o
male gli altri stranieri fra di voi hanno vissuto
praticamente quasi tutta la vita qui.”
Le sue mani delicate si posarono sulle sue spalle dandogli
un leggero senso di oppressione: era come se volesse trattenerlo, anche se non
era assolutamente un gesto compiuto in cattiva fede.
“Viene da un paese abbastanza lontano dal Regno Unito,
e che probabilmente non tutti voi conoscete… Vuoi dirlo tu, Mihael?”
Il bambino spalancò gli occhi e voltò il capo
per fissarla con un’espressione presa dal panico. Non voleva mettersi in
mostra più di così, eppure Mrs. Willow
non sembrava d’accordo. Si limitò a ricambiare con il suo sguardo
allegro. No, non c’era niente da fare, avrebbe dovuto sopportare…
La sua risposta fu un sussurro fievole pieno di vergogna.
“Belarus…”
“Sapresti indicare ai tuoi nuovi compagni dove si
trova questo stato sulla cartina qui a destra? Se non riesci a trovarlo non
è importante, è solo per…”
Non finì nemmeno la frase che il ditino di Mihael era puntato con convinzione sulla scritta “Baranavichy”.
Fu una sorpresa per lei. Non se l’aspettava da un
bambino di prima elementare che in teoria non avrebbe saputo leggere.
Soprattutto perché essendo scritta in inglese, per Mihael,
abituato in teoria al cirillico, sarebbe stato letteralmente impossibile. Come
aveva fatto? Dopo qualche secondo di silenzio imbarazzante però si
ricompose, giungendo alla conclusione che probabilmente aveva imparato a
memoria per qualche motivo ignoto la posizione del suo paese sulle cartine.
“Grazie…”
Il suo tono di voce non riusciva nonostante tutto a tradire
la sorpresa.
“Come stavo appunto per dire, Mihael
potrebbe avere qualche problema in più degli altri nel seguire le
lezioni i primi tempi, e fare più fatica nell’imparare a scrivere.
Per questo spero che tutti voi diventiate presto suoi amici e che lo aiutiate a
scuola e ad integrarsi perfettamente. So che molti di voi si conoscono
già abitando tutti nei paraggi, ma vi prego di coinvolgere anche lui e
di farlo sentire come a casa sua.”
Mihael stava per urlare pieno di
sdegno. Aveva compreso che quella donna non aveva cattive intenzioni, ma le sue
attenzioni morbose lo infastidivano. Lui sapeva già leggere e scrivere
in inglese, e sicuramente meglio di tutto quel branco di bambini che lo
scrutavano come se fosse stato un marziano. Non aveva alcun bisogno di essere
compatito.
Sempre tacendo imperterrito ritornò al proprio posto
a testa china.
La scuola non si prospettava qualcosa di interessante. Gli
pareva un’inutile perdita di tempo. Avrebbe preferito di gran lunga stare
a casa sua con sua mamma e tenerle compagnia.
Oltretutto, nonostante le parole incoraggianti della sua insegnante, nessuno
degli altri alunni pareva molto interessato a stringere amicizia con lui. A
parte gli sguardi curiosi, nessuno si avvicinava e gli
chiedeva di più di ciò che era stato detto su di lui. Si sentiva
più visto come un animale bizzarro allo zoo, che come un altro bambino.
Quando Mrs. Willow iniziò a
copiare alla lavagna le lettere dell’alfabeto, ebbe la conferma delle sue
supposizioni. Nessuno si degnò di chiedergli se aveva difficoltà
a scrivere o capire ciò che la donna diceva. Non che lui ne avesse
bisogno. Poté infatti notare con orgoglio che
finì di scrivere le lettere latine in perfetto ordine sul quaderno
nuovissimo che aveva comprato per fare bella figura prima della ragazzina da i
capelli castano chiaro seduta più vicina a lui. Per di più
constatò che la sua calligrafia non era assolutamente tremolante e incerta, ma pulita e precisa. Era davvero fiero del suo
lavoro.
“Hai visto,matiuska? Sono il
migliore.” Pensò tra sé e sé ricordando il
discorso che sua madre gli ripeteva spesso.
Lui non era peggiore di nessuno. Riusciva a fare le cose
anche meglio degli altri, e forse alla fine, la scuola sarebbe servita almeno a
qualcosa… Tutti lo avrebbero compreso. Tutti avrebbero compreso quanto
lui fosse bravo, sveglio e intelligente. Sua madre avrebbe avuto occhi solo per
lui, lasciando da parte quell’Oscar Faraday che si stava facendo spazio a
gomitate nel cuore di Natassia. Lei doveva amare solo
ed esclusivamente suo figlio.
Decise di mostrare il proprio operato all’insegnante,
per farle capire la sua bravura. Alzò una mano senza più
timidezza e aspettò pazientemente che questa arrivasse al suo banco.
La donna aveva pensato che avesse qualche problema nel
copiare, così accorse in tutta fretta.
“Oh, Mihael,
c’è qualcosa che non va? E’ troppo difficile per te? Vuoi che ti aiuti?”
“No, Mrs. Willow. Vorrei
solo che guardasse quello che ho scritto, dato che ho finito.”
Per la seconda volta dall’inizio della lezione la
donna rimase a bocca aperta davanti alle capacità di Mihael.
Prese in mano il quaderno incredula, controllando una
per una tutte le lettere. Non aveva mai visto un alunno così giovane
scrivere così bene per la prima volta. Mihael
era straordinario. Avrebbe dovuto capirlo dal modo in cui parlava: il suo inglese
era perfetto, fatta eccezione per l’accento russo.
“Tu… Tu sai già scrivere?” gli
chiese.
Mihael allargò un sorriso
sornione. Eccolo, il momento che aspettava. Era ora di stupire.
“Sì, so scrivere sia in russo che in inglese. E
so anche fare addizioni e sottrazioni. Le moltiplicazioni a volte invece non mi
vengono.”
“Quindi… In Bielorussia ti hanno insegnato
già tutte queste cose?”
Mrs. Willow non poteva nascondere
la sua espressione esterrefatta. Perfino gli altri bambini si erano accorti che
stava succedendo qualcosa di insolito, perché tutti smisero di scrivere
e si voltarono verso di loro. Ma questa volta Mihael
non sentì alcuna vergogna crescere in lui. Era giunta l’ora di
mettersi in mostra. Si rendeva conto che quello che sapeva fare lui, nessun
altro bambino sarebbe stato in grado di farlo. Quella sì che era una
cosa di cui vantarsi, al contrario delle sue origini. In pochissimo tempo la
sua idea sulla scuola si era letteralmente rovesciata. Aveva deciso che per
quanto riguardasse le cose da imparare e sapere doveva mettersi in mostra. Non per il resto, era chiaro, ma durante
le lezioni sì.
“No, io non ci sono mai andato a scuola, nemmeno
all’asilo sono stato. Ho imparato da solo osservando i giornali e la tv.
Non è difficile, a mio avviso. Ho sempre avuto un sacco di tempo
libero… Quando non so cosa fare a volte scrivo dei bigliettini per la mia
mamma invece di farle i soliti disegni.”
Piccola bugia: Natassia sapeva
solamente che Mihael scriveva in russo, ma non in
inglese. In quel momento però non era un fatto fondamentale, la cosa
poteva essere omessa, se questa dimenticanza serviva a rinforzare la
straordinarietà del fatto.
“Va bene… Ho capito…” mormorò
Mrs. Willow annientata da quelle rivelazioni.
Non sapeva nemmeno cosa dire. Era stata talmente colta di
sorpresa che il sorriso le era sparito dalla faccia, sostituito da
un’espressione turbata.
“Allora, Mihael, tu prova a
scrivere un piccolo testo in inglese mentre gli altri si esercitano
sull’alfabeto… Una corta presentazione scritta, tua e della tua
famiglia. In silenzio. Gli altri, che ritornino subito a ricopiare le lettere.”
La lezione da quel momento in poi parve volare via per Mihael. Il suono della campanella lo colse
all’improvviso, segnando il momento della pausa. Si alzò
soddisfatto prendendo dal suo zainetto la merenda che si era comprato il giorno
prima, ovviamente una buonissima tavoletta di cioccolato fondente, e
trotterellò fuori dall’aula insieme ai suoi compagni sempre senza
che nessuno gli parlasse.
Non che ne fosse dispiaciuto. Preferiva ancora essere
lasciato in pace dagli altri bambini, e ora che avevano tutti potuto notare
quanto lui sapesse già fare in più di loro, anche quelli che
magari erano stati indecisi sul fatto di aiutarlo oppure no, ormai avevano
preso la decisone di lasciarlo perdere.
Dopo essere andato in bagno si diresse subito verso la
classe per tornare dentro, ma l’intervallo non era ancora finito. La
porta era accostata e dentro percepì due voci adulte che
chiacchieravano. Una la riconobbe, era quella di Mrs. Willow,
l’altra era maschile e non sapeva di chi fosse. Probabilmente un collega
di lei.
La curiosità era troppa. Mihael
rimase a sbirciare dallo spiraglio, anche perché poteva facilmente
indovinare quale fosse il soggetto del discorso. E poi, non aveva
granché da fare per ammazzare il tempo della pausa che restava.
“Tu dovresti vederlo, Tim, sono rimasta davvero senza
parole.” Disse la donna appoggiata alla cattedra, sorseggiando un
bicchierino in plastica bianca che doveva contenere caffè
“E’ semplicemente straordinario.”
“A me non sembra poi così strano.”
Rispose il giovane uomo con i capelli neri e riccioluti che stava davanti a lei
e che doveva rispondere al nome di Tim “Spesso capita che i bambini del
primo anno sappiano già scrivere.”
“Sì, ma tu non hai visto come scrive questo qui! E’ pazzesco! Le lettere sono fatte
benissimo, e riesce a scrivere delle frasi in inglese impeccabile! Io non so
cosa fare con lui… Se continua come ha iniziato, dovrò presto
decidere di farlo spostare in una classe superiore… Non riesco quasi a
capacitarmi di avere un alunno del genere. E ti rendi conto che abita a Londra
da solo quattro mesi? Un bambino normale non sarebbe assolutamente in grado di
fare quello che fa lui!”
“Magari in quel suo paese sono precoci…”
“Non dire fesserie, Tim! E’ Mihael
ad avere un cervello fuori dalla norma, ne sono certa. Dovrò parlare con
il preside e prendere una decisione.”
“Vacci con calma, Dorothy. Aspetta almeno un mese o
due prima di parlare delle potenzialità di questo bambino al preside.
Magari parlane prima con i suoi genitori.”
Mihael vide Mrs. Willow scuotere il capo con afflizione.
“Oggi sua madre non è nemmeno venuta ad
accompagnarlo per il primo giorno. Dalla scheda di iscrizione ho visto che Mihael abita qui vicino, appena sopra ilJade Garden. Sai,
quel ristorante cinese…”
“Sì, lo conosco. Non si mangia male.”
“Ecco, vive solo con sua madre. Immagino che siano
praticamente scappati dal loro paese… Tuttavia c’è qualcosa
che mi preoccupa. Non si capisce bene che lavoro faccia quella donna per
vivere, e il padre del bambino è letteralmente ignoto…”
“Ho capito, pensi che sia una prostituta?”
“Beh, una donna sola, con un figlio, magari avuto da
una relazione con un cliente, comprendo che sia scappata… Ma non vorrei che
il bambino ne soffrisse, che sia maltrattato…”
“Oh, Dorothy, ti prego! Sempre con questo tuo spirito
da crocerossina! Anche qui, aspetta! Sua madre magari è anche una
prostituta, e allora? Loro potrebbero non vivere così male come pensi
tu! Guarda come si comporta, se ha sbalzi d’umore, se vedi che ha dei
lividi… Prima di chiamare i servizi sociali aspetta di vedere come la
cosa va avanti.”
Mihael seguì tutta la
conversazione fino al trillo della campanella. Ok, che fosse speciale quella
tipa lo aveva capito, e fin qui andava tutto bene. Ma la piega successiva del
discorso non gli era piaciuta per niente. Nessuno doveva impicciarsi degli
affari suoi e di sua madre. Che lei fosse una prostituta Mihael
lo sapeva bene, ma non gli andava che gli altri ne venissero a conoscenza. Poi
c’erano quelle strane parole sui servizi sociali… Cos’erano?
Cosa avrebbero fatto se fossero intervenuti? Non era sicuro che fosse qualcosa
di buono per la sua famiglia.
Non doveva rischiare. Strinse tra le dita il metallo freddo del
crocifisso che portava continuamente al collo e promise. Promise che non
avrebbe mai fatto niente perché la sua insegnante sospettasse che
qualcosa non andasse a casa sua. Non avrebbe mai dovuto lamentarsi di lui.
Sarebbe stato l’alunno perfetto.
Anche Natassia sarebbe stata
orgogliosa di lui.
Uff, sta storiella diventa sempre più
complessa… E mi tocca inventare un sacco di personaggi!XD Vabbè, spero che il primo giorno di scuola di Mellino vi sia piaciuto! Immagino troppo la sua vergogna!
Nel prossimo capitolo
invece, tratterò di un argomento che mi sta molto a cuore: la gelosia
forte, quella che non lascia liberi e che ossessiona… Una gelosia che
penso di aver potuto descrivere solo dopo averla sperimentata io stessa. Sì,
mi rendo conto che solo ora posso descrivere una cosa del genere! Quindi spero
che venga un bel lavoro!
Mihael aveva fatto di tutto per
andare bene a scuola, anche se questo “tutto” non coincideva minimamente con la
parola “sforzo”. Non aveva dovuto impegnarsi granché. In due mesi dall’inizio
dell’anno scolastico era riuscito ad avere la media migliore di tutta la
classe, cosa che tutti i suoi insegnanti non riuscivano a giudicare con una
parola meno enfatica di “straordinario”. Ne andava davvero molto orgoglioso, e Natassia non era da meno. Stravedeva per il figlio, i suoi
sguardi verso di lui erano sempre più adoranti, ogni volta che lo stringeva
pareva che tenesse tra le mani il più prezioso e raro gioiello del mondo.
Lui sentiva di tenersi stretta sua madre in questo modo, e
ne era felice. Una piccola vendetta verso Oscar Faraday, quell’uomo che a prima
vista pareva sinceramente innamorato di sua madre, ma che a parere suo non era
altro che un vecchio che avrebbe potuto essere suo nonno fissato follemente su
di lei. Un maniaco come un altro, in poche parole.
Fortunatamente, Natassia non
mancava mai un occasione per elogiare le capacità di Mihael davanti alle poche persone con cui aveva contatti,
Faraday per primo, YinMei
o ancora KaiCheng, il
cameriere del Jade Garden.
Mihael si sentiva compiaciuto.
Continuando in quella direzione non sarebbe stato difficile allontanarla sempre
di più da Faraday. Poteva dirsi praticamente felice della propria situazione.
Purtroppo però tutto il peso di una realtà che sembrava aver
dimenticato gli piombò sulle spalle un pomeriggio. Era stato qualcosa di
talmente grave che non aveva smesso di pensarci intensamente
nemmeno all’ora di cena. Faraday era presente, come avveniva ormai di routine, infatti spesso si fermava a mangiare con loro nell’appartamento,
a suo giudizio per “stare vicino alla sua
Natassia”.
Mihael rimase per tutto il tempo
imbambolato, con lo sguardo assente perso contro la parete e metà della
minestra di verdure ancora nel piatto. Non sorrideva. Non ascoltava. Non aveva
voglia di fare niente dopo quello che era capitato a
scuola.
Tutto era incominciato durante l’intervallo. Se ne stava
diligentemente in piedi contro una parete del corridoio vicino alla sua classe
sgranocchiando una delle solite barrette di cioccolato di cui andava matto. Ad
un certo punto però qualcuno gli si era avvicinato.
Era una bambina, la sua vicina di banco, con i capelli
castano chiaro che le ricadevano dolcemente sulle spalle e un bel vestitino
rosso che lui presumeva fosse nuovo di zecca, dato che non l’aveva mai vista indossarlo
prima di quel giorno. Gli si era arrivata vicino con un gran sorriso candido
stampato sul volto, un’espressione che non lo convinceva per nulla. Lui era la
prova vivente che i bambini non erano innocenti come potevano sembrare, con
tutti i pensieri malevoli e i suoi sotterfugi per tenersi sua madre tutta per
sé. Non si fidava di nessuno, gli altri bambini in primo luogo, scaltri e
maligni.
“Ciao, Mihael.” Lo salutò lei
gioiosa dondolandosi avanti e indietro.
“Ciao, Amanda.”
“Volevo chiederti una cosa…”
“Cosa?”
Il tono di voce del biondo aveva nascosto un
intonazione sulla difensiva. Si era sentito a disagio.
“Ho sentito dire una cosa… Su di te. Perché sei scappato dal
tuo paese? Non ci stavi bene di là?”
“Non ci sono i soldi. Qui si vive meglio.”
“I miei genitori dicono che tua mamma
fa la prostituta, e che siete qui a Londra perché quelli che vanno con lei la
pagano di più!”
Mihael era rimasto spiazzato. Gli
era parso di aver sentito male, di essersi sbagliato. Amanda non poteva aver
detto una cosa del genere, era impossibile. Era rimasto a sgranare gli occhi
per qualche secondo con la gola di colpo secca di fronte a quella frase
volontariamente denigratoria, prima di riuscire ad articolare nuovamente delle
sillabe.
“Cosa… Cosa dici?”
“Te l’ho detto, è quello che si dice in giro di te. Che non
si sa chi sia tuo papà… E che tua mamma è una puttana.”
Mihael avrebbe preferito di gran
lunga ricevere un pugno. Un pugno a posto di quella parola detta con un
disprezzo tale che pareva impossibile che fosse uscita dalla bocca di una
bambina. Certo, non poteva essersi inventata tutto. Sicuramente aveva sentito
gli adulti discutere sul suo caso personale… E ugualmente quel disdegno non
doveva essere stato un sentimento innato. C’era qualcosa di più dietro tutto quello. Per la prima volta Mihael
si rese conto pienamente di cosa significasse la discriminazione, come se gli
avessero gettato addosso una secchiata di acqua
fredda.
La sua prima reazione istintiva fu quella di negare ogni
cosa.
“No… Ti sbagli, Amanda… I tuoi genitori non possono averlo
detto, perché non è vero. E’ solo una grande bugia!”
“Secondo me, no… Nessuno lo dice apertamente, ma tutte le
mamme e i papà lo pensano. Li ho sentiti io. Perché non lo
ammetti?”
“No! Bugiarda! Sei solo una bugiarda!”
Mihael aveva perso il controllo su
sé stesso ed era corso in classe prossimo alle
lacrime, ferito nell’anima, indignato e confuso. Non pianse però. Per tutto il
resto della giornata rimase sulle sue con aria assente, rodendosi. Nella sua
testa quelle offese verso di lui e verso Natassia
erano come marchi a fuoco sulla pelle, che bruciavano e dolevano…
Perchè per lui Natassia
non era una puttana. Era la sua matiuska, la
migliore madre del mondo, colei che avrebbe dato tutto, anche la sua vita, per
lui. Parlare male di lei non era giusto. Non con quelle parole sprezzanti, che
la classificavano come una feccia.
Rimase così in quello stato di profonda tristezza e
scoraggiamento fino alla sera. Vedersela davanti a cena mentre cercava di farlo
sorridere gli faceva venire delle profonde fitte al cuore.
“Angioletto, ma cos’hai questa
sera? Ti vedo depresso, è successo qualche cosa di brutto a scuola?”
La sua voce era limpida, una dolce melodia familiare per le
orecchie del bambino. Faraday accanto a lei le accarezzava
una mano, ma pareva nervoso. Non gli piaceva quando la sua donna parlava in
russo a suo figlio, non permettendogli di capire il discorso.
“Natassia, spiegami qual è il
problema.” Le disse “E’ capitato qualcosa a Mihael?”
“No… E’ che mi pare infelice…”
Mihael oltre ad essere triste,
stava letteralmente svenendo dal sonno. Non era raro che capitasse, e
probabilmente era il ritmo serrato delle lezioni a provocargli tutta quella
stanchezza la sera. Non aveva nemmeno più fame. Il suo unico desiderio era
andare a letto per pensare da solo a quelle brutte parole e poi dormire.
“Amore mio…” riprese la donna “Finisci quella minestra, che
si fredda tutta e poi fa schifo…”
“Ho sonno. Vado a dormire.”
Il bambino si alzò lasciando il piatto sul tavolo, diede un bacio
sulla guancia a sua madre, salutò con la mano il cliente tenendosi a debita
distanza da lui e si avviò verso il suo letto.
“Ti amo, mamma.” Biascicò con voce
un po’ impastata volontariamente in inglese per permettere a Faraday di capire,
e quindi di rammentare chi dei due fosse più importante per Natassia.
“Anch’io ti amo tanto, piccolo.” Rispose lei “Che Dio ti
protegga.”
Le sue gambe si avviarono al letto senza che se ne
accorgesse. Si ficcò sotto le coperte e si addormentò all’istante, sfinito. Non
riuscì nemmeno a percepire una piccola discussione che stava prendendo forma
nella piccola cucina.
“Sono un po’ preoccupata per lui…” confessò la giovane “Mi è
sembrato davvero molto triste oggi, in più la sera è talmente stanco che tra poco
sviene a tavola… Dici che mi stia mentendo e che qualcosa non vada, Oscar?”
“Oh, Natassia,
rilassati… Non gli sta succedendo niente. E’ normale che abbia dei
periodi in cui non è in forma, vedrai che gli passerà. Non è abituato ai ritmi
della scuola, ma ci farà l’abitudine.”
Lei annuì, anche se con poca convinzione, mentre si
apprestava a ripulire la tavola. Mihael era davvero
cambiato negli ultimi tempi. Che qualcosa non andasse era evidente, peccato che
il figlio si tenesse tutto dentro. Si augurò che prima o poi esplodesse,
facendola partecipe delle sue angosce. Avrebbe potuto così aiutarlo e
supportarlo.
In quel momento però decise di tacere con Faraday. Era
meglio non discutere. Doveva tenerselo buono e non creare divergenze se voleva
davvero che lui la facesse uscire per sempre dalla prostituzione… E si rendeva
conto che mancava poco ormai. Era quasi giunto il momento di porgli la fatidica
domanda. Non quella sera ovviamente, ma in un paio di settimane avrebbe dovuto
predere coraggio. Il tempo stringeva.
Mihael avrebbe dovuto in ogni caso
essere avvertito per primo di ciò che stava capitando. Sarebbe stato corretto
da parte sua metterlo al corrente. Era lui il primo che avrebbe dovuto sapere…
Il mattino successivo, visto che era sabato e non sarebbe dovuto andare a
scuola, quando anche l’ultimo cliente se ne sarebbe andato e li avesse lasciati
soli entrambi per discutere e riflettere del loro futuro.
Fu una delle notti più lunghe che Natassia
ebbe mai occasione di ricordare, e non bastarono i baci e le carezze scambiati
nell’intimità con Faraday, ne il puro e distaccato
sesso con il resto dei clienti a farle dimenticare il compito arduo che avrebbe
avuto all’alba.
La mattina successiva si svegliò psicologicamente preparata.
Forse non aveva un aspetto al massimo della forma, senza trucco, i capelli in
disordine e ancora l’odore di maschio diffuso sulla pelle come un marchio
indelebile della sua notte, ma comunque sapeva che ciò non aveva molta
importanza.
Si diresse in punta di piedi fino al letto di Mihael, dove quest’ultimo dormiva beato respirando
lievemente, e senza destarlo violentemente lo prese in braccio ancora
assonnato, trasportandolo fino in camera sua. Mihael
si lascio prendere, ancora in bilico sul sottile filo che divideva sogno e
realtà, per poi sentirsi posare delicatamente su un materasso.
Il calore dell’abbraccio di sua madre lo avvolse protettivo.
Lei si era sdraiata accanto a lui, stringendolo con affetto, quasi
avvinghiandosi. Il piccolo non poteva fare altro che ricambiare aggrappandosi,
la bocca incollata al suo petto in un lungo bacio infantile colloso di saliva.
I loro cuori battevano a mille coinvolti in quell’affezione,
quell’emozione che pareva nata dal puro e semplice amore tra una madre e la sua
creatura.
“Mihael, amore della mia vita,
devo dirti una cosa molto importante.”
Gli baciò piano il capo perdendosi nel profumo dei suoi
capelli.
“Centra per caso Faraday?” mugugnò lui rabbuiandosi.
“In un certo senso… Ma soprattutto è una cosa che coinvolge
te adesso.”
“Non c’è bisogno che ci giri attorno.” La sua voce era
innaturalmente bassa e indignata “Vuoi chiedergli di sposarti, vero? Vuoi che
lui lo faccia perché così ci tirerà fuori da questo giro, non saremmo più
clandestini e avremmo dei soldi.”
“Non esattamente. Non lascerebbe mai sua moglie per me
purtroppo. Sarebbe uno scandalo se si venisse a sapere della relazione che c’è
tra noi e la sua carriera sarebbe irrimediabilmente compromessa. Non pretendo
questo da lui. Io voglio solo che ci dia una protezione, capisci? E questo è il
momento opportuno perché lui lo faccia… Ma come ho detto la questione non è su
di lui, ma su di te, tesoro mio.”
Mihael non capiva. Se non era del
matrimonio, di cosa voleva parlargli? Rimase in silenzio, incuriosito e
inquieto, la fronte appoggiata alla spalla di lei, che sentiva nel frattempo le
guance infiammarsi per la tensione che provava. Era davvero giunto il momento
di confessare.
Istintivamente serrò il suo capo fra le braccia, come per
impedirgli un’eventuale fuga. Prese un profondo respiro.
“Dammi la mano.”
Titubante, il bambino porse la destra nel palmo che la donna
gli aveva teso e si lasciò guidare. Natassia la
appoggiò sul suo ventre piatto e tiepido. Fu allora che Mihael
capì.
“Aspetto un bambino…” gli sussurrò dolcemente “Il tuo fratellino…
E Oscar è suo padre…”
Subito lui ritrasse l’arto come se un qualche sadico vi
avesse piantato senza preavviso una forchetta sul dorso, guardandola con uno
sguardo allucinato, gli occhi sbarrati e il labbro inferiore tremolante.
Perché? Non riusciva a chiedersi nient’altro. Perché?
Perché? Con suo grande orrore si sentiva tradito. Non avrebbe
dovuto accadere. Lui doveva essere l’unico amore di Natassia,
il suo unico pensiero, la sua unica preoccupazione! Non dovevano esserci altri
bambini nella sua mente!
Scattò giù dal letto in un moto d’ira disperata, e scappò
fuori dalla stanza correndo scosso dai primi singhiozzi di quella che si
presagiva come una terribile crisi isterica. Tradito. Non c’erano altre parole
che gli venivano in mente per descriversi.
Natassia nel frattempo si sentì
molto male per ciò che aveva scatenato. Scese giù dal letto anche lei e si
precipitò dietro al figlio, scioccata da quel comportamento. Aveva immaginato
che non sarebbe stato contento, abituato com’era a non dividerla con nessuno,
ma non si aspettava una reazione tanto esagerata. Si sentiva sporca e
colpevole. Si portò le mani al cuore travolta dall’angoscia vedendo che si era
rifugiato a terra, rannicchiato in un angolo in posizione fetale, tremante,
mentre piangeva disperato. Soffriva, soffriva moltissimo.
Lo sollevò lentamente mettendosi seduta e appoggiandolo
sulle sue gambe incrociate, abbracciandolo, accarezzandolo per calmarlo. Le sue
lacrime le bagnarono il collo, il suo pianto amareggiato le rimbombava nelle
orecchie.
“Perché, mamma?” gemette “Perché mi hai
fatto questo? Io non ti basto più? Non mi ami più?”
“Ma no, amore mio! Io ti adoro, è solo che…”
“Bugiarda!” gridò pieno di collera “Tu ora
ti farai la tua famiglia con Faraday! Tu, lui e il vostro bambino! E io?
Io sarò solo… Sarò solo il figlio bastardo, come diceva Vasilij!”
La donna non resistette oltre. Iniziò a piangere anche lei
dopo quelle parole dure, ma che non volevano ferire volontariamente. Erano
solamente l’espressione di tutto quel dolore che Mihael
provava, e che lei nonostante tutto poteva capire…
“Io te lo giuro, Mihael…” biascicò
stringendolo “Ti giuro che non accadrà mai, che tu sarai sempre il mio bambino
e che ti amerò immensamente…”
“Ti prego, mamma… Non abbandonarmi… Non lasciarmi… Non
voglio stare solo… Ho bisogno di te… Non ho nessun altro che mi voglia bene e
che si prenda cura di me, non saprei cosa fare…”
“Non ti abbandonerò mai,
angioletto… Come ti sono venute in mente queste cose?”
“Non abbandonarmi… Non abbandonarmi… Ti prego…”
Natassia percepì il panico del
figlio di fronte alla prospettiva dell’abbandono e della solitudine. Sentiva le
sue dita arpionarle convulsamente la schiena. Lui era terrorizzato perché non
voleva essere escluso dalla sua vita… Ma ciò non sarebbe mai accaduto. Lei lo
amava troppo, e la sua gravidanza non cambiava le cose. Lo avrebbe sempre e in
ogni caso amato come non mai.
“Non ti lascio,Mihael,
non lo farei mai. Sei troppo importante per me…”
L
abbracciò baciandolo, consolandolo, ripetendogli un’infinità di volte quanto gli
volesse bene.
“Che madre sarei?” gli diceva tra i singhiozzi “Come potrei
abbandonare il mio bambino? Sarai mio per sempre, e ti amerò per tutta la vita…”
Mihael riuscì pian piano a
calmarsi grazie a quelle parole d’amore rasserenanti. I singhiozzi si
affievolirono, e si accasciò con lentezza tra le braccia di sua madre, esausto
per lo sforzo.
Era stata la seconda rivelazione orribile in poco tempo. Il
mondo gli crollava addosso, e non riusciva ad essere abbastanza forte.
Si riaddormentò di colpo, letteralmente agganciato a Natassia, le lacrime che ancora colava copiosamente sulle
sue guance.
Vorrei spendere due
paroline sulla composizione di questo importante capitolo e sul perché io l’abbia
scritto. Poco tempo fa ho attraversato una fase un po’ speciale, in cui ho
provato delle emozioni molto “strong”, tra cui appunto una bruttissima gelosia,
di quelle che rodono l’anima, che fanno piangere dalla rabbia, che impediscono
di dormire per il gran nodo allo stomaco che provocano. Visto che penso che uno
dei pilastri fondamentali della mia scrittura è il fatto
che io penso che per scrivere una qualsiasi cosa, bisogno provarla almeno una
volta nella vita (il classico esempio che ho fatto ad un paio di mie fans su msn, è stato quello della
sigaretta.XD), ho pensato che era meglio esprimere
quello che ho sentito ora che ero ancora “fresca” di sensazioni. Spero di
esserci riuscita, e che il capitolo sia gradito!
Ah, e spero di avervi
sorprese e incuriosite con questa nuova gravidanza di Natassia!
Chissà cosa le riserverà il futuro…
Ringrazio ovviamente
coloro che hanno recensito il vecchio chap: KeR, Elly_Mello, reidina, _pEaCh_, patri_lawliet, KLMN e SPLITkosher.
Dopo l’attacco di nervi di Mihael,
Natassia non tentò di ripetere lo stesso errore con
Oscar Faraday. Rimandò il momento in cui avrebbe dovuto confessargli di
aspettare un bambino attendendo un’occasione propizia che pareva non arrivare
mai. Ormai non escludeva più una sua inaspettata reazione negativa anche da
lui. Avrebbe potuto infatti rinnegarla e abbandonarla
per sempre, non avendo la certezza che quello fosse realmente suo figlio,
sebbene lei ne fosse assolutamente sicura. Infatti
aveva fatto molta attenzione con tutti gli altri clienti, allentando un po’ la
guardia solo con lui. In un certo senso, inconsciamente aveva desiderato avere quel
bambino. Sarebbe stata la via più facile verso il benessere, e non riusciva a
considerarsi una donna che usava la gravidanza come scusa. Aveva sentito un
bisogno dentro di lei… E questo bisogno non aveva potuto rifiutarlo.
Ma la situazione stava bruscamente precipitando. Non aveva
mai parlato tanto poco con Mihael. Ogni giorno le
sembrava sconfortato e insofferente, non prendeva mai l’iniziativa di parlare
volontariamente con lei. Si limitava ai soli gesti affettivi, abbracci e baci
calorosi che inspiegabilmente non mancavano mai. Erano il segno che il suo
grande amore nei suoi confronti non si era estinto. Perché Mihael
non odiava sua madre, non avrebbe potuto. Semplicemente, si sentiva a disagio,
non voleva toccare argomenti che avrebbero fatto soffrire entrambi molto di più
di quanto soffrivano già. La situazione gli sfuggiva di mano, nemmeno più di sé
stesso aveva pieno controllo.
La vedeva, la vedeva di tanto in tanto accarezzarsi beata la
pancia ancora piatta, e dentro di lui ogni volta la bile gialla ribolliva sul
fuoco ardente della gelosia. Nel profondo del suo cuore sentiva che non era
giusto detestare quel minuscolo feto indifeso con tutto quel rancore. Aveva
chiesto perdono a Dio per questo cento, forse mille volte, tuttavia la sua
debolezza gli impediva di cambiare. In fondo, non era un povero peccatore anche
lui? Non era di certo l’angelo che sua madre voleva fargli credere… No, lui
provava odio e un’invidia meschina. La paura che gli provocava la
consapevolezza della sua illegittimità, che rendeva impuro il suo sangue, era
troppo forte.
Era qualcosa che sentiva sfiancarlo anche fisicamente oltre
che in maniera mentale. Ogni sera aveva sonno, un sonno pazzesco.
Quella sera a cena le sue palpebre si erano fatte pesanti
dopo appena due o tre cucchiai di minestra calda. Natassia lo guardava angosciata, seduta davanti a lui che
ciondolava avanti e indietro con gli occhi semichiusi. Anche Faraday, che
solitamente non dava troppo peso a questa sua stanchezza improvvisa, parve
inquieto.
“Mihael… Stai bene, amore?”
La donna si sporse per toccargli una guancia. Non era calda,
quindi niente febbre.
“Sono stanchissimo…” biascicò come risposta.
“Forse è ora che tu vada a fare la nanna, puoi… Oh mio Dio!”
La madre non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che il
bambino cadde dalla sedia. Subito sia lei che il compagno si alzarono
immediatamente per soccorrerlo. Sembrava svenuto di colpo, non aveva cercato di
opporre resistenza alla botta, niente. Era finito a terra di peso.
“Oscar! Oscar, dobbiamo chiamare
un’ambulanza! Mihael sta male!” gridò prendendo tra le mani quel visino pallido.
L’uomo lo sorreggeva tenendo le braccia sotto le sue ascelle
e chiamandolo per nome. La sua voce sovrapposta a quella di Natassia
non faceva altro che creare un gran fracasso, senza permettere a nessuno dei
due di capire l’altro. Il panico dilagava. Com’era potuto succedere? Mihael che sveniva in quel modo, non era normale.
La donna quasi piangeva, scuoteva il figlio, gli baciava le
guance… Era molto spaventata.
Fu Faraday stesso a smorzare la situazione, sollevando il
bambino dalle cure della donna e dirigendosi verso la stanza dove stava il suo
letto.
“Dove lo stai portando, Oscar? Devo chiamare l’ospedale!” gridò lei alzandosi e correndogli
letteralmente dietro.
“Lo metto nel letto. Prima di avvertire il pronto soccorso,
voglio vedere se si riprende. Era stanco, sono quasi certo che sia stato un
colpo di sonno. Se tra un paio d’ore non si riprende allora faremo come vuoi
tu.”
“Ma Mihael…”
“Lascialo stare, cara. Fidati di me, che
tra un po’ si sveglia.”
Lo aveva adagiato tra le coperte e coperto con il lenzuolo.
Effettivamente pareva proprio riposare. Il respiro era regolare.
La donna si aggrappò al braccio di Faraday, ancora
sconvolta. Vedere suo figlio cadere in quel modo era stato orribile. Già si
poteva notare un piccolo bernoccolo rossastro sulla sua fronte nel punto in cui
aveva battuto il capo contro il pavimento.
“Andiamo di là… Lasciamolo dormire.” Sussurrò lui.
Natassia però non pareva convinta.
Faraday dovette voltarsi e afferrarla per le spalle per baciarla con passione
per persuaderla a raggiungere la camera da letto. Alla fine, non la pagava mica
perché se ne stesse impalata a sorvegliare quel marmocchio dormire come un
sasso…
Se la toilette non fosse stata la stanza attigua alla sua
camera da letto, probabilmente Natassia non si
sarebbe mai accorta degli strani rumori che provenivano dal suo interno,
impegnata com’era a soddisfare gli appetiti di Faraday. Se ne stava con la
camicia da notte tirata su fino ai fianchi a cavalcioni
su di lui, i capelli in tempesta e i gemiti che le uscivano involontariamente
dalle labbra.
All’inizio si era convinta che quelli che sentiva erano solo
suoni immaginari, oppure un’altra ragazza che stava vomitando in bagno in seguito
ad una sbronza, ma il suono dello sciacquone, lo sciacquone del suo bagno,
dileguò ogni dubbio. Mihael! Era Mihael
che stava vomitando! Quei rantoli, quei lamenti, quei brutti colpi di tosse e
il rumore della poltiglia che si abbatteva sulla ceramica e nell’acqua…
Non ci pensò due volte a scendere dal letto lasciando il
cliente a metà dell’opera, precipitandosi nel bagno. Per suo figlio perdeva la
testa, non poteva essere altrimenti. Se non si fosse trattato del suo piccolo
angioletto, non avrebbe interrotto un rapporto con uno
uomo importante come Faraday!
Quest’ultimo per un attimo rimase stordito, senza capire
perché lei lo avesse lasciato solo in quel modo proprio mentre iniziava a
divertirsi con lei. Dopo qualche secondo però si alzò e le corse dietro dopo
essersi infilato velocemente le mutande, quando i fumi assuefanti del sesso
iniziavano a diradarsi nel suo cervello.
Arrivato nella toilette, non poté fare altro che rimanere in
piedi ad osservare l’orrido spettacolo che aveva davanti tappandosi il naso.
Mihael stava chino sulla tazza
continuando a vomitare senza sosta, tremante e con le lacrime agli occhi per il
travaglio che la sua gola e il suo stomaco stavano compiendo. Natassia, trattenendosi in un autocontrollo insolito per
lei, lo sosteneva per le spalle senza dire niente, cercando di aiutarlo a
rimettere il cibo senza affaticarsi più del dovuto.
Il tempo sembrava non passare mai. Forse furono due minuti,
ma a nessuno dei tre presenti parvero durare meno di mezz’ora. Quando la donna
fece partire finalmente lo scarico per l’ultima e definita volta, quasi Faraday
tirò un sospiro di sollievo. L’immagine di Mihael che
vomitava l’anima era tremenda.
Il bambino si afflosciò a terra ansante in un bagno di
sudore. La sua pelle era lucida e accaldata, il suo petto si alzava e si
abbassava senza sosta.
“Va tutto bene, piccolo…” lo rassicurava lei pulendogli la
bocca al lavandino, per togliergli dalla gola quel pungente saporaccio di bolo
alimentare parzialmente digerito “Non è successo niente, hai solo vomitato,
adesso passa tutto…”
Mihael era frastornato, la testa
gli vorticava. Si aggrappò alle braccia di sua madre scosso da forti tremiti,
bianco come un cadavere, gli occhi spiritati. Si sentiva malissimo, come se
qualcuno gli stesse trapanando il cranio. C’era
qualcosa che gli batteva nelle tempie tormentandolo, tutti i rumori erano
ovattati e distanti.
Natassia vide che oltre a non
stare per niente bene il figlio era spaventato per ciò che gli
era accaduto, e essendo lui ancora un bambino, lo capiva… Rimettere il
cibo non era una cosa piacevole. Gli baciò i capelli appiccicaticci per fargli
comprendere che nonostante tutto non aveva nulla da temere. Lei era lì con lui,
non doveva allarmarsi.
“Non fare così, amore, succede a tutti di vomitare, non preoccuparti,
c’è la tua matiuska
qui con te, adesso vedrai che andrà meglio…”
La risposta di Mihael a queste sue
parole però, la fece rimanere pietrificata. La guardò dritta negli occhi con il
viso rigato di lacrimepuntò un ditino smilzo. Era rivolto contro Faraday, che stava
ancora appoggiato allo stipite della porta in mutande, senza preoccuparsi che
il suo fisico non proprio atletico fosse in bella mostra.
“E’ stato lui!”
L’uomo emise un risolino stizzito passandosi le mani sul
viso, Natassia lo guardò scandalizzata.
Cosa stava biascicando? Era impazzito? Aveva avuto talmente
tanta paura da dover per forza trovare un colpevole per ciò che era successo,
quando non era possibile che ce ne fosse uno?
“Tesoro…” cercò di mediare continuando ad accarezzarlo dolcemente
“Non è colpa di nessuno, è una cosa fisica…”
“No!” gridò lui scuotendo convulsamente il capo “L’ho visto
oggi! Lui mette delle cose nella mia cena! E io ogni volta mi addormento come
un sasso! E’ lui! E’ Faraday! Ne ha messo troppo oggi, io l’ho spiato, e ho
visto che imprecava perché la boccetta gli era scivolata nel mio piatto! Devi credermi, mamma! E’ stato lui!”
La donna si alzò in piedi, sconvolta. Mihael
gli aveva appena descritto ciò che evidentemente era sonnifero. Ma perché?
Perché Faraday avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Fissò con
un’espressione a metà tra il furioso e l’agitato il cliente davanti a lei,
anche se lui non sorrideva più divertito dall’accusa fantasiosa come prima. Era
serio e arrabbiato. Fece due passi avanti, che bastarono perché lei nascondesse
il bambino dietro le sue gambe per proteggerlo.
“Non crederai a questa cazzata, non è vero, Natassia?”
La sua corporatura robusta e il viso rosso di rabbia gli
davano un’aria molto minacciosa. Natassia era la metà
di lui, con quel suo corpicino asciutto e la bassa statura, cos’avrebbe potuto
fare?
“Mihael… Non mente… Non mi ha mai
mentito…”
“Cioè tu credi che io abbia messo ogni sera un chissà che
cazzo di farmaco nella minestra del tuo bastardo per farlo dormire? Tu credi davvero
a questa… Questa… Questa cosa assurda, nata dalla fantasia malata di un
marmocchio geloso? Oh, e non farmi quella faccia… Pensi che non abbia notato
come mi guarda? Andiamo, se potesse mi sputerebbe veleno, tanto mi detesta… E
ora vuole vendicarsi…”
Il cuore le batteva a mille. Il cliente si era avvicinato
sempre di più mentre parlava, arrivando con il volto a pochi centimetri dal
suo. Poteva avvertire il suo fiato tiepido lambire le sue spalle nude…
“Mihael non è un bugiardo…”
“Sì che lo è. E’ un piccolo demonio
infido, abituato ad essere trattato come un dio in terra, viziato e coccolato
da quella stupida cagna di sua madre…”
“Non è vero! Levati, non toccarla,
maiale!”
Mihael non aveva retto. Gli
insulti a sua madre non arrivò a digerirli questa volta. Era stufo, stufo
marcio che la si trattasse come uno straccio. E questa volta si sentiva preso
in causa. Si scostò da dietro le sue gambe parandosi davanti a Faraday,
cercando di spingerlo via, di allontanarlo… Inutilmente. L’unica cosa che
riuscì a fare fu farsi afferrare per un braccino, che mai e poi mai avrebbe
potuto spostarlo. Oltretutto non stava bene, come avrebbe potuto difendere la
donna della sua vita, la sua cara madre? Faraday lo scrollò facendolo gemere. Mihael si diede mentalmente del cretino per aver tentato un
gesto tanto disperato…
“Piccolo sudicio bastardo, non immischiarti nelle cose che
non ti riguardano! Perché io ti faccio il culo, hai capito? Hai capito, stronzetto?”
Natassia si era gettata come una
leonessa su un braccio dell’uomo non appena questo aveva iniziato a scuotere Mihael, dimenticandosi totalmente della sua gravidanza. Non
poteva stare a guardare mentre maltrattava il suo bambino!
Faraday lo lasciò cadere a terra ad un certo punto, e le
tirò un sonoro schiaffo, tanto forte che lei pure finì per terra intontita. Era
davvero fuori di sé dalla rabbia per quello che quella donna e il suo
mostriciattolo gli avevano fatto. Si sentiva ferito nell’orgoglio, lui, Oscar
Faraday, il potente industriale! No, non poteva farsi smascherare in quel modo!
Qualsiasi cosa ma non quello.
“Tu!” urlò paonazzo in volto puntando un
dito contro Natassia “Sudicia puttana! Sei
solo una stupida! E pensare che avrei potuto regalarti tutto quello che
desideravi! E invece no! Ma non importa! Stai pure chiusa in questa cuccia per
cani insieme al tuo bastardo! Addio, Natassia! Dasvidania, o come cazzo si dice! Non mi rivedrai mai più!”
Era una catastrofe, una spaventosa catastrofe. Natassia non osava muoversi, nemmeno fiatare, mentre
Faraday si rivestiva nell’altra stanza in velocità. Se ne stava immobile a
terra, la schiena appoggiata contro le fredde mattonelle di una parete della
toilette, Mihael tra le sue braccia, entrambi a
piangere in un silenzio sepolcrale. Si permisero di respirare più rumorosamente
solo quando sentirono la porta dell’appartamento chiudersi con un colpo secco e
furibondo.
La giovane era terrorizzata a morte. Sapeva che avrebbe
potuto finire molto peggio di così, Faraday avrebbe potuto picchiare Mihael, e fare cose molto più gravi a lei di uno schiaffo.
L’avevano davvero scampata.
Mihael fu il primo a parlare,
biascicando le parole in piccoli sussurri singhiozzanti segnati di paura.
“Mamma… Mi dispiace… Mi dispiace tanto…”
“Non è colpa tua, amore… Tu non hai mai mentito, lo so che
sei un bravo bambino…”
Mihael si mosse sistemandosi a cavalcioni su di lei, facendo aderire perfettamente il suo
corpo al suo in una posizione per lui comoda, che conciliasse il suo sonno.
Stava ancora male, aveva un bisogno straziante di dormire, aspettando
pazientemente che il martellare all’interno della sua testa lo lasciasse
finalmente in pace tacendo.
“Mi dispiace…” riuscì ancora a ripetere “Faraday era la
nostra unica possibilità, e io ho rovinato tutto…”
“Non caro… Va… Meglio così. Tu sei molto più importante,
nessuno deve farti del male. Io non amavo Oscar, come lui non mi ha mai
veramente amata. Tu, e solamente tu sei importante per me. Vedrai, Dio ci
aiuterà a trovare un’altra strada, perché lui sta dalla parte di quelli come
noi…”
“No… Adesso sarà peggio di prima… Ora saremo in tre…”
Natassia deglutì. Non ci aveva
pensato. Ora era di nuovo senza aiuto, ma non più solo con Mihael
da accudire… In poco più di sei mesi avrebbe messo al mondo un altro figlio, e
sarebbero stati due i bambini da mantenere. Cosa poteva fare? Come avrebbe
risolti i suoi problemi?
Mihael ormai addormentato, una
lacrima le rigò il viso. Doveva prendere una decisione drastica e definitiva,
anche se questa si sarebbe rivelata estremamente dolorosa per lei? Non lo
sapeva. Non sapeva niente di niente al riguardo. L’unica cosa che le riempiva
il cervello in quel momento era la brama irrefrenabile di quella bottiglia di
vodka che stava posata su un ripiano della cucina, che stava pian piano
diventando per l’ennesima volta un oggetto estremamente seducente.
Inquietante il
finale, non trovate? Sì, ci messo un po’ per creare
questo capitolo, ma spero che ne sia valsa la pena! Ci ho davvero ragionato un casino anche se non sembra! Spero che vi sia piaciuto, anche
perché l’argomento è abbastanza scottante a mio avviso. Spero anche qui di aver
reso bene le idee… E ringrazio d’anticipo tutti quelli che hanno apprezzato, e
che si sono shockati!!!XD
Ringrazio ovviamente chi
ha recensito: _pEaCh_, KeR,
SPLITkosher, KLMN, reidina,
Elly_Mello e patri_lawliet!
GRAZIEEEEEE! Spero di rivedere le vostre recensioni di fan abitudinarie! Vi lovvo!<3
Natassia ci mise del tempo a
vagliare una per una tutte le ipotesi e soluzioni. Il criterio principale che
aveva adottato per prendere una decisione era la felicità dei suoi figli. La
loro,non la sua. Ci aveva provato, ci aveva provato
davvero a conciliare la gioia di tutti, ma si era ben presto resa conto che era
un desiderio impossibile da realizzare… E se qualcuno doveva soffrire per
forza, allora quella persona avrebbe dovuto essere lei. Non era giusto essere
egoista e affliggere dei bambini innocenti. Lei, e solo lei doveva essere
punita. Anche se la consapevolezza di ciò che avrebbe dovuto fare per il loro
bene la dilaniava. Era una pena insopportabile.
Erano passati due mesi da quando Faraday l’aveva
abbandonata, e non era mai più tornato. Due mesi in cui la sua gravidanza
andava avanti, lenta ed inesorabile. Fin dal principio aveva deciso che non
avrebbe abortito nemmeno questa volta. Chi era lei per rubare una vita a
qualcuno che non era ancora nato? No, così non funzionava, Dio l’avrebbe punita
amaramente se avesse osato macchiarsi di omicidio. L’avrebbe fatto nascere quel
bambino, la cosa non era discutibile, proprio com’era successo per Mihael.
Aveva notato che il suo ventre aveva già assunto una leggerissima
curvatura convessa, e questo la portava ad una materna tenerezza verso quella
parte di sé e il bambino che portava dentro. Eppure ciò non bastava a renderla
felice, sapendo cosa le riservava il futuro… Così beveva. Sempre di più, sempre
di più fino al limite delle sue capacità, e se ne stava poi ore e ore sdraiata
nel letto nei pomeriggi di autunno inoltrato in condizioni pessime, con la
testa che scoppiava e gli occhi gonfi.
Tutto le faceva terribilmente male, e si chiedeva senza
sosta se era davvero l’unica soluzione. Ne avrebbe avuto il coraggio? Il suo
cuore avrebbe retto mentre avrebbe abbandonato i suoi bambini?
Certo, non l’avrebbe fatto con l’intento di farli morire per
strada di stenti e di fame, tutt’altro. Avrebbe fatto attendere Mihael con il nuovo nato vicino a una stazione di polizia o
una chiesa dall’altra parte della città, si sarebbe allontanata con una scusa e
non sarebbe più tornata indietro. Mihael non avrebbe
saputo tornare indietro e avrebbe dotuto per forza
rivolgersi a qualcuno, possibilmente un poliziotto, o un pastore protestante, o
un prete cattolico, così lo avrebbero portato in qualche orfanotrofio. Magari
gli avrebbe dato anche una lettera che lui non avrebbe dovuto aprire, ma che
fosse per chiunque lo trovasse, in cui ci sarebbe
stato scritto che non poteva più tenere con sé i suoi amati figli, e che li
lasciava a chiunque avrebbe potuto fare la loro felicità.
Era la cosa migliore. Ne soffriva immensamente, il suo cuore
di madre piangeva, ma così doveva fare…
Mihael rientrando a casa da scuola
la trovò in quel brutto stato per l’ennesima volta, distesa nel
letto affranta a lottare con i postumi della sbornia. Gli venne male al
cuore. Vederla stare male in quel modo terribile era straziante, perché se ne
sentiva ancora responsabile. La immaginava cadere in buco sempre più profondo
riempito di alcool e di depressione. Dove sarebbe arrivata? Cosa le riservava
la fine di quel pozzo nero?
Temeva sempre di più per lei, per sé stesso, e suo malgrado
anche per il suo fratellastro. Pian piano il suo odio verso di lui si stava
affievolendo, perché non c’erano più molte differenze tra loro. Lo invidiava
ancora un poco, visto che lui aveva un padre certo, e pure una persona ricca e
importante come Oscar Faraday, mentre Mihael non era
altro che il frutto del caso.
Si avvicinò lentamente a Natassia,
e le posò una mano sulla guancia, per svegliarla dolcemente.
“Ciao, mamma…”
La donna aprì stancamente gli occhi arrossati e lucidi.
Sorrise debolmente, con molta fatica.
“Bentornato, angioletto… Vieni qui,
dammi un bacio…”
La sua voce era rauca e fievole.
Mihael si fece spazio stendendosi
accanto a lei, e la abbracciò con cautela. Pareva assurdo, eppure aveva paura
di farle male. Aveva capito che ancora una volta aveva bevuto fino ad
ubriacarsi prima. Sul comodino c’erano ben tre bottiglie di vodka, una vuota e due mezze piene. L’odore di alcool impregnava la
stanza, dolciastro e nauseante.
Avrebbe voluto reagire. Avrebbe voluto gridare e piangere,
dirle che stava sbagliando, che lo faceva soffrire, che si stava uccidendo
lentamente, che stava uccidendo con lei la creatura dentro di sé… Ma come ogni
volta non disse niente. Rimase abbracciato a lei, tenendosi tutto dentro. La
amava troppo per affliggerla ancora di più.
“Com’è andata a scuola, tesoro?” chiese lei cercando
disperatamente di fare conversazione, dato che quel silenzio tra di loro la
infastidiva.
“Benissimo, come sempre. Mrs. Willow
vorrebbe farmi saltare delle classi, perché le cose che fanno al primo anno
sono troppo facili per me…”
“Me lo avevi già detto… Sei proprio bravo,
sono così fiera di te, piccolo mio…”
Mihael era davvero la sua più
grande gioia. Lo baciò dolcemente all’angolo della bocca.
“Ti adoro, lo sai?” gli disse ancora guardandolo sempre
sorridendo “Sei bellissimo e bravissimo, sei l’amore
della mia vita…”
“Lo so… Mi dici sempre queste cose…”
Il biondo non pareva contento. Sua madre ridotta così non
gli piaceva, e non gli faceva venire alcuna voglia di sorridere, ma solo di
piangere. Povera Natassia. Era un rottame. I suoi
occhi si diressero verso il basso, la pancia di lei. Una sua manina calda
accarezzò titubante quel ventre un poco gonfio.
“Mamma… Hai già deciso?”
“Deciso cosa?”
“Come chiamerai il tuo bambino.”
Natassia rimase un po’ perplessa.
In tutto quel tempo non ci aveva mai pensato, in effetti. La sua vita le
sembrava talmente orribile che il nome da dare a suo figlio le era parso
qualcosa di sorvolabile.
“Non lo so, Mihael…” Ammise “A te
c’è un nome che piace?”
Mihael ci pensò qualche secondo,
prima di parlare.
“Ho finito un libro di recente. Mi è piaciuto molto. Il
protagonista si chiama Oliver Twist… Lui era povero e non aveva niente, come
noi, però poi è riuscito a fare fortuna… Allora se è un maschio, chiamalo
Oliver, magari gli porta fortuna.”
“E’ un bel nome… Allora se è un bel maschietto, lo
chiameremo Oliver. E se è una bambina?”
“Io direi… Direi… Cinderella.”
Natassia riuscì a ridacchiare,
sforzandosi. Le faceva tenerezza l’innocenza di Mihael,
che nonostante la sua intelligenza sapeva essere ancora infantile.
“No, non credo che vada bene Cinderella…
Ti piacerebbe Eva come nome? E’ carino, e funziona sia in inglese che in russo…”
“Va bene.”
Concluso il discorso sui nomi calò nuovamente una cappa di
silenzio. Mihael in realtà aveva delle cose da dire,
ma preferiva evitare. Una domanda gli pressava l’anima, ma immaginava che se
avrebbe parlato di questa cosa, Natassia avrebbe
potuto angosciarsi. Rimase allora con la bocca cucita a far finta di dormire
tra le sue braccia. Sua madre tuttavia lo conosceva bene, e comprese che il
figlio aveva qualcosa che lo crucciava.
“Mihael? Qualcosa non va?”
“No… Cioè… Forse… Ma non voglio infastidirti, già non stai
bene…”
“Amore, lo sai che con la tua matiuska puoi sempre parlare… E
poi non sto così male, ho solo un pochino di mal di testa…” mentì lei.
Il bambino sospirò e le baciò una guancia, prima di prendere
coraggio e raccontare.
“E’ un po’ di tempo che mi sento una cosa dentro che mi fa
stare male, io… Io mi sento una disgrazia. Perché sono senza padre, e tutti
tranne te mi dicono che sono bastardo… Per questo sto male… E’ come se avessi
una macchia che non si può lavare via, come se portassi una strana malattia con
me… Prima non pensavo di averne bisogno, ma ora come
ora vorrei mio padre…”
Natassia ci rimase piuttosto male.
Si mise una mano tra i capelli, mentre con l’altra strinse a sé ancora di più
il suo figliolo. Quelle cose che Mihael aveva detto
su sé stesso erano terrificanti.
“Ascoltami… Io te l’ho già detto, non sei un bastardo, amore
mio… E tu ce l’hai un padre: è Dio, il padre di tutti noi.”
“Ma io non sto parlando di Dio, matiuska! Io dico del mio vero
padre, quello che ti ha messa incinta anni fa! Vorrei sapere almeno chi è, ma
non per andare da lui, non lo farei mai… Solo per poter vedere chi è, che
faccia ha…”
“Ma io non lo so, non lo so… Io te l’avrei detto se lo
sapessi, te lo giuro! Ma proprio non so chi sia, ho provato a pensarci un sacco
di volte, ma ci sono almeno venti persone che hanno… Con cui ho lavorato in quel periodo in cui ti ho
concepito. Lo sai cosa penso, penso che sia stato Dio a volere che uno di loro
riuscisse a mettermi incinta, perché così avrei avuto un angioletto tutto per
me… Sei stato il più bel regalo che Nostro Signore
avrebbe mai potuto farmi… Non voglio assolutamente che pensi quelle cose brutte
di te stesso, nessuno di noi nasce per caso, e tutti siamo uguali davanti a
Dio… E per quello che hai pensato verso di Lui, che non fosse tuo padre, credo
che tu debba dire una preghiera per riflettere e chiedere perdono.”
Non parlò con un tono stizzito o minaccioso, no. C’era solo
uno spesso velo di tristezza nelle sue frasi. Cercava disperatamente un
appiglio per dare un senso alle loro vite miserevoli nella religione. Alla fin
fine, non serviva proprio a questo credere in qualcosa di trascendentale?
Trovare la Speranza
dove non pareva essercene?
Mihael non osò contestare, sebbene
non sentisse di aver compiuto chissà quale torto verso Dio. Cosa ne poteva lui,
se era senza padre? Era un dato di fatto, basta, non era stato certo blasfemo,
mai avrebbe fatto una cosa del genere.
Scese dal letto e si inginocchiò a terra congiungendo le
mani. Chiuse gli occhi per concentrarsi meglio. Non doveva pensare che Natassia fosse lì ad osservarlo in un momento così intimo
come la preghiera. Forse avrebbe dovuto cambiare stanza, ma non se la sentiva
di lasciarla sola in quel momento: non stava per niente bene, in più aspettava
un bambino.
Più che per sé stesso, Mihael
pregò l’Onnipotente di proteggere proprio lei. Nella sua mente lo supplicava, affinchè lei smettesse una volta per tutte di soffrire. Ne
aveva passate troppe, era ora che la vita cominciasse un po’ a sorriderle senza
rivelare successive delusioni, come erano stati l’arrivo a Londra e la sua
relazione con Oscar Faraday.
Pregò anche per il suo fratellastro. Sicuramente nemmeno lui
era in forma, rinchiuso in quel corpo debole martoriato dall’alcool. Temeva che
non avrebbe retto a lungo lì dentro se sua madre non
si fosse decisa a smettere di bere, e se avesse dovuto perderlo sarebbe stato
altamente distruttivo per la sua psiche. Ne era certo.
Quando Mihael riaprì finalmente
gli occhi facendo un lento e calcolato Segno della Croce, vide che Natassia si era addormentata. Non se ne stupì ovviamente
più di tanto. Gli faceva perfino tenerezza abbandonata in quel modo sul
cuscino, le labbra semiaperte, le mani appoggiate sul ventre come a proteggerne
il prezioso contenuto.
Il primogenito le diede così un tenero bacio sulla guancia,
e si allontanò in punta di piedi per non disturbarla. Si diresse verso il suo
zaino, e ne tirò fuori un volume di letteratura inglese che aveva preso in
prestito alla biblioteca scolastica. Non era una novità, aveva scoperto che
leggere gli piaceva moltissimo, e gli permetteva di estraniarsi dalla sua vita
per qualche ora. Trovava affascinanti, poi, certi scritti poetici. Per essere
ancora un bambino, era davvero molto maturo anche in quel campo, oltre ad avere
un intelligente mostruosa, come era già stato
constatato.
Seduto al tavolo della cucina, si immerse pian piano nei
versi dell’“Ode to the West Wind” di PercyBisshe Shelley.
Niente lasciava presagire quello che sarebbe successo poche
settimane più in là. Un fatto terribile e grave, che avrebbe per sempre segnato
come una profonda cicatrice le loro vite… E che avrebbe seriamente fatto
dubitare Mihael sull’esistenza di un Dio buono e
giusto.
Ahah! Mi sono sbizzarrita con le coccolosità questa volta, e ci ho messo anche un casino, nn avevo ispirazione! Beh, ci volevano comunque delle
coccole, prima dell’anticipazione sui fatti futuri che ho fatto infine…
Inquietante… Mi chiedo cosa potrebbe succedere a Natassia
e Mihael (Ma tu lo sai già, cretina!!!è__éNdTutti)… Spero di incuriosirvi!
Ah, dimenticavo, e
leggetela “Ode to the West Wind”, perché io la trovo
una poesia davvero bella! Dopo che l’ho letta, mi sentivo in dovere di farla
leggere anche a Mello!XD
Ringrazio le mie
affezionatissime fan: SPLITkosher,
Elly_Mello, KLMN, patri_lawliet,
_pEaCh_, e il
nuovo acquisto L i a r. Grazie a tutteeeeeeeee!!!!!<33333333
Oggi commento all’inizio!
Cavolo, questo è assolutamente uno dei miei capitoli preferiti! Ci ho messo un
casino a scriverlo, davvero, perché volevo che fosse perfetto! Non voglio
anticiparvi niente però, leggete e ditemi TUTTI cosa ne pensate! Spero che sia
gradito, perché veramente ci ho lavorato molto!
Come al solito, vi
ringrazio tutte a quelle che hanno recensito, che siete ormai affezionate alla
mia storia! Vi adoro!!!<3333333333
Lolly<3
Memoriesof
a StolenChildhood
Capitolo 14: Drunkenness
Che qualcosa quella sera d’inizio dicembre non andava, Mihael l’aveva capito non appena aveva messo piede in casa.
Il sole ormai era tramontato e solo il bagliore giallo artificiale dei lampioni
filtrava dalle finestre. Per il resto era buio pesto, il che era molto strano
per sua madre, che amava avere il suo appartamento luminoso e accogliente.
Davvero tanto bizzarro.
Si tolse lo zainetto e accese l’interruttore. Niente. Anche
così la casa pareva deserta.
“Matiuska?”
chiamò allarmato.
Nessuno rispose. La casa era insolitamente vuota, quasi ne
era spaventato. Mosse qualche passo incerto per cercarla. Natassia
non usciva praticamente mai,dove poteva essere andata? Non era in cucina, non era in salotto,
non era nella sua camera. Rimaneva solo una stanza in cui guardare…
Appoggiò la mano sulla maniglia in metallo gelido della
porta del bagno. Aprendola, ne scaturì uno spiragli
luminoso… E un singulto smorzato. Natassia doveva
essere lì dentro!
Il bambino spalancò la porta, rimanendo per qualche secondo
impietrito. Era terribile. Semplicemente terribile. Non aveva altre parole per
descrivere il grottesco spettacolo che gli si parava davanti allo sguardo.
La donna era a terra, accasciata mestamente contro il muro,
i capelli sciolti che le coprivano il volto sconvolto dal dolore che le
stritolava il cuore. Portava solo una maglia a maniche lunghe grigia e le
mutandine, lasciando scoperte le gambe scheletrite chiazzate di rosso sulle
ginocchia nodose.
Mihael si chiese dove fossero
finiti i pantaloni, ma gli bastò spostare lo sguardo a destra per trovarli: una
stoffa in jeans pendeva da un lato del lavandino… Sporca di sangue.
Non era normale. Era accaduto qualcosa di terribile lì
dentro durante la sua assenza, quel corpo singhiozzante emanava una’angoscia
insopportabile da sostenere.
“Mamma! Matiuska cara! Cosa… Cosa è successo
qui? Perché piangi? Cos’è quel sangue? Ho paura, dimmi cosa
ti è capitato!”
Non osò muoversi mentre parlava. Lei alzò il viso, un viso
sconvolto con gli occhi talmente gonfi che Mihael si
chiese ingenuamente come avrebbe fatto a chiudere le palpebre.
“Mihael…” gemette “E’ morto… Lui è
morto…”
Lentamente tirò fuori da dietro la schiena una bottiglia di
vodka liscia che era rimasta nascosta alla vista del figlio, e tracannò una
sorsata che una persona in uno stato normale non avrebbe potuto fare per via del
bruciore che provocava alla gola. Visibilmente Natassia
era ubriaca. I suoi movimenti erano troppo scoordinati, le sue parole troppo
confuse.
Gettò il capo all’indietro appoggiandolo alla parete per
fissare un punto impreciso del soffitto, e sorrise tra le lacrime. Un sorriso
folle e allucinato, che non aveva niente che ricordasse la gioia, ma solo amarezza.
“Io… Io l’ho perso… Questa mattina poco dopo che tu sei uscito
per andare a scuola… Mi sentivo tanto male, pensavo di morire, e poi… Poi c’è
stato sangue, tutto quel sangue, e lì ho capito… YinMei ha chiamato un suo amico medico, che ha risolto il mio
problema… Ma adesso… Adesso è come volevi tu, angioletto… Siamo solo io e te…”
“No! Non è come volevo io! Io non ho mai desiderato la morte
del tuo bambino! Non ora almeno! Io… Io… Mi dispiace…”
Le lacrime avevano iniziato a colare anche sul viso
arrossato di Mihael. Sua madre era frastornata dal
dolore, lui era scioccato.
Per lei era stata la più terribile delle esperienze che fino
a quel momento aveva mai provato. Quella mattina, era come se avesse realmente
sentito morire qualcosa dentro di sé, prima ancora che lei stessa se ne
rendesse pienamente conto. La sofferenza fisica e mentale era stata
asfissiante.
Non aveva nemmeno voluto guardare quel medico quando cercava
di aiutarla e di capire cos’era successo, eppure non aveva potuto in alcun modo
evitare di sentire le sue parole.
“Aborto spontaneo…
Immagino che sia stato per squilibrio emotivo, stress, depressione... E
un’assunzione esagerata di alcool. Non mi sorprende, visto che è una delle tue
ragazze, YinMei, è come
quella di un mese fa…”
Per mezzogiorno tutto era stato finito, abituato com’era
quell’uomo a lavorare nell’ambiente di YinMei, senza un vero e proprio ambulatorio. Natassia aveva avuto tutto il pomeriggio per disperarsi a
causa della perdita del suo bambino…
Cercò di dare un'altra sorsata, ma la bottiglia le fu
strappata violentemente di mano. Mihael la gettò a
terra con un’ira cieca, frantumandola. Quella roba aveva ammazzato suo fratello.
Quella roba gli stava ammazzando sua madre. Non poteva non fare niente, doveva
reagire.
“Basta! Adesso basta! Per favore!” gridò pregandola “Devi
smetterla di bere! L’alcool… Ti sta uccidendo! Ma non capisci che hai abortito
perché ti sta avvelenando? Mamma… Ti prego…”
Natassia si alzò lentamente,
appoggiandosi al muro per sostenersi. Le sue gambe tremavano.
Fu in quel momento che Mihael si
accorse pienamente di come sua madre fosse fisicamente martoriata. Il suo
ventre era ancora leggermente dilatato, ma assolutamente non come prima. E’ un
gonfiore diverso, che sapeva di vuoto.
Pian piano sarebbe tornato piatto, invece di crescere.
“Mihael, da bravo… Prendi un’altra
bottiglia per la tua povera matiuska…” ordinò senza accennare alla bottiglia rotta, con
un tono che voleva essere gentile, ma che suonava basso, rauco e tremulo,
tutt’altro che amabile, come di solito era sempre stato.
“No. Basta con la vodka. Sono
successe troppe disgrazie. Quando ti riduci così, non sei più te stessa. Fai delle cose assurde.”
“Ho capito…” biascicò lei puntandogli un dito contro “Tu me
ne stai dando la colpa… Tu pensi che sia stata io!”
“No! Io…”
“Invece sì! Tu sei… Sei un maledetto ingrato! Come puoi
farmi questo? Proprio a me, che mi sono presa cura di te, che ti ho amato più
di me stessa! Io ho vissuto solo per te, ho lasciato il mio paese solo per te,
perché tu potessi avere una vita decente! E mi ripaghi in questo modo,
sciagurato che non sei altro, trattandomi da assassina!”
Lo afferrò violentemente per un braccio, e iniziò a
picchiarlo. Mai fino a quel giorno la donna avrebbe osato alzare un dito contro
il suo sacro angioletto, le sarebbe parsa una blasfemia. Eppure in quel momento
non fu così, accecata dalla rabbia e dallo sconforto. L’alcool le annebbiava la
mente rendendo torbidi i suoi pensieri. Era distaccata da sé stessa, dalla sua
vera essenza, non era più Natassia, ma qualcosa che
le assomigliava esteriormente, e che dentro non era altro che folle.
Mihael cercava di proteggersi
divincolandosi, gemendo per la paura e per il dolore provocatodalle botte che si
stava prendendo ingiustamente.
Natassia non era forte e era
scoordinata, così riuscì a sgusciarle via di mano con un movimento improvviso,
spingendola indietro e andando a rifugiarsi a debita distanza, sullo stipite
della porta, mugolando.
“Mi hai
rovinato la vita…” sibilò lei con cattiveria estrema “Io avrei potuto avere
molte più possibilità di uscire dalla mia situazione, se tu non fossi nato,
lurido infame! Io non ti ho mai voluto! Mai! Io non ho scelto
di metterti al mondo! Come minimo dovresti adorarmi per averti risparmiato, non
trattarmi come una merda! Sei uno spregevole demonio… Dopo tutto
quello che ho fatto per te…”
Quelle parole gli lacerarono il cuore. Gli aveva vomitato
addosso tutti gli insulti che lui riteneva peggiori, tutte le frasi che temeva.
Rimase pietrificato, con gli occhi strabuzzati e la bocca
aperta, incapace di muoversi.
La verità nuda e cruda, senza alcuna edulcorazione da parte
materna, tutti quei bei discorsi pieni d’amore e di dolcezza sul fatto che
fosse un angelo figlio di Dio, discorsi che non si erano rivelati altro che un
mucchio di sporche bugie… No, lui era solo un grosso errore, una svista da
parte di Natassia. Non era puro, non era una creatura
celeste immacolata, era un essere malvagio e ripugnante… E finalmente lei aveva
avuto il coraggio per confessare cosa davvero pensava di lui, senza
trattenersi. Le sue idee non erano diverse da quelle di tutti gli altri! Si
diede dello stupido per aver pensato il contrario per tutta la sua vita fino a
quel momento.
Strinse forte i pugni e digrignò i denti… E tutto ad un
tratto esplose come una lattina tenuta sotto pressione. Gli insulti scaturirono
dalle sue labbra senza che lui se ne rendesse conto.
“Tu sei una puttana! Una puttana! Solo una puttana
alcolizzata e io ti odio! E per colpa tua che io non ho amici, perché tutti
sanno chi è mia madre e non vogliono stare con me! Io mi vergogno di essere tuo
figlio! Ti detesto!”
“Lo so cosa sono! Non c’è bisogno che vieni tu a dirmelo! Io
sono una puttana! E tu sei un piccolo bastardo, il frutto dei miei peccati!
Capisco perfettamente chi ti evita! Tu non dovresti nemmeno esistere! Non ho
abortito solo per paura di Dio! Ho cercato perfino di amarti io, povera
cretina, e ho sempre cercato di fare il tuo bene! Ho rischiato anche di farmi
uccidere scappando da Vasilij, quando avrei potuto
venderti, e lasciare che diventassi un trastullo per qualche maniaco pedofilo! No… No, basta… E’ finita, adesso…”
Mihael si sentì una merda. Letteralmente. Quelle cose
orribili, dette proprio da sua madre…
Il duello verbale l’aveva vinto lei, annientandolo
nell’anima, dilaniando il so cuore fino all’ultimo
brandello. Non riuscì a ribattere niente che fosse altrettanto offensivo e
doloroso come quelle pugnalate che aveva ricevuto. Era morto nell’anima.
Lei aveva maledettamente ragione poi, ed era quello che
faceva più male. Non era un angelo, non era nemmeno una persona. Era un
bastardo, era nato dal peccato, il suo sangue era sporco e nulla avrebbe potuto
cambiare questo, nemmeno Dio, che poi non era mai stato dalla sua parte. Perfino il Signore provava ribrezzo
verso di lui…
“Vattene, Mihael… Esci da questa
casa, non voglio più vederti…”
Ecco, ora sua madre lo stava cacciando, con quella voce
rotta e rauca, totalmente sconfortata, il viso nascosto tra le mani.
“Io… Non puoi farlo! Io non so dove andare! Come farò a
vivere?”
“Non mi interessa… Arrangiati, vai alla polizia, fatti
sbattere in orfanotrofio, fai come ti pare. Ma vattene da qui, e non tornare
più…”
“Matiuska…”
“Non chiamarmi matiuska. Non voglio più che stai qui.
E’ finita. Ora esci. Vattene.”
Mihael aveva perso, e ora doveva
pagare. La punizione era meritata. Non provò nemmeno a farla ragionare, era
giusto così. Stando insieme, nessuno dei due sarebbe mai stato pienamente
felice.
Piangendo in silenzio si voltò lentamente. Non la salutò
nemmeno.
Uscì da quella casa maledetta, deciso anche lui a non
rivedere più quella puttana. Era
stata troppo crudele, le sue ferite interiori erano ancora profonde e
sanguinanti. Arrivato sulla strada, il vento gelido di dicembre che gli pungeva
il volto, si convinse pienamente a dimenticarla. Non aveva più nessuna matiuska, era
solo.
Camminò in mezzo al freddo per un tempo indeterminato.
Minuti? Ore? Non lo sapeva nemmeno lui. Voleva solo allontanarsi, allontanarsi
il più possibile da quella casa.
Non aveva più nemmeno voglia di vivere, tanto che senso
avrebbe avuto, abbandonato, senza nessuno che lo amasse, a vivere di stenti per
la strada? Alla polizia non ci sarebbe andato, ne era sicuro. Avrebbero potuto
portarlo di nuovo da Natassia, oppure rinchiuderlo in
qualche istituto… No, tanto valeva lasciarsi morire nel gelo di dicembre
all’angolo di una strada, le lacrime agli occhi e il dolore nell’animo.
Si accovacciò vicino ad un cassonetto, e strinse tra le dita
il metallo gelato della croce del rosario che portava al collo.”
“Mio Dio… Perché mi
hai abbandonato?”
Solo al mattino successivo Natassia,
tornata in sé, si rese conto di ciò che aveva fatto.
Aveva ucciso un figlio e abbandonato l’altro. Dove avrebbe potuto andare il suo piccolo Mihael,
di notte, solo, senza mezzi pubblici né soldi? Qualcuno avrebbe potuto rapirlo,
violentarlo, addirittura ucciderlo!
Non si sarebbe mai perdonata. Mai. Era stata la peggior
madre del mondo, snaturata e crudele.
“Mio Dio… Mio Dio, cos’ho fatto… Il mio bambino… Devo
ritrovare il mio piccolo dolce Mihael…”
Ripeteva sempre le stesse frasi mentre si vestiva,
preparandosi a chiedere aiuto a YinMei per tentare di rintracciarlo.
Che fosse vivo. Non desiderava altro. Il suo angioletto doveva essere vivo. Altrimenti si
sarebbe uccisa, non aveva dubbi.
Anche se un po’ in ritardo (e me ne scuso molto…) dedico questo capitolo
a Elly_Mello in particolare… Visto che ieri era il suo compleanno
Anche se un po’ in
ritardo (e me ne scuso molto…) dedico questo capitolo a Elly_Mello in particolare… Visto che ieri
era il suo compleanno! So che non vedeva l’ora di leggere questo capitolo, così
ho deciso che sarà interamente per lei!<3
Ovviamente ringrazio
anche tutte le ragazze che hanno commentato il mio capitolo precedente L i a r, patri_lawliet, larxene, SPLITkosher, _pEaCh_, linkinparkforever
(un altra nuova!!! Oleeeeee!XD),KeR, Soruccio e KLMN (Grazie davvero a tutte!<3 Vi adoro!), ma
questo è solo esclusivamente dedicato alla mia Elly!<3
Ancora tanto auguri, tesoro!!!
ByLolly
Memoriesof
a StolenChildhood
Capitolo 15: Remorse
Natassia si precipitò giù per le
scale a gran velocità saltando i gradini due a due non appena sentì la porta
dell’ufficio della sua protettrice aprirsi e richiudersi al piano inferiore. YinMei l’avrebbe aiutata, ne era
certa. La fuga di Mihael avrebbe potuto mettere in
qualche modo in pericolo il suo giro d’affari, ed essendo una donna molto prudente,
avrebbe sicuramente fatto di tutto per ritrovarlo.
Spalancò la porta che la cinese non era nemmeno seduta. La
guardava con gli occhi spalancati, la bocca tirata per l’impudenza che la sua
sottoposta aveva avuto nell’accorrere in quel modo nel suo ufficio senza
bussare. Non aveva nemmeno tolto del tutto la pelliccia grigia, sicuramente
pregiatissima volpe argentata, e una manica era ancora infilata.
Come al solito, Natassia riusciva
a sfigurare pesantemente con i suoi capelli in tempesta, il viso paonazzo e
l’abbigliamento mal’assortito per la fretta di indossare qualcosa, contro la
solita eleganza calcolata di YinMei.
“Natassia?
Come mai nel mio ufficio in questo modo?” chiese trattenendo
lo sdegno.
“Ho bisogno del suo aiuto, la prego!” si affrettò a spiegare
“Ho combinato un disastro… Mihael è scappato, bisogna
trovarlo! La prego, Mrs. YinMei,
la supplico di darmi una mano!”
“Calmati… Racconta tutto dall’inizio.”
Natassiaemise un sospiro per fare mente locale
e rilassarsi, prima di chiarire cos’era successo.
“Ho commesso un terribile errore… Ieri sera ero sconvolta
per quella faccenda che lei sa, così quando Mihael è
tornato me la sono presa pesantemente con lui… E l’ho cacciato… Io però non
volevo! Devo trovarlo, devo ritrovare il mio angioletto…”
La donna di fronte a lei sospirò, sedendosi finalmente alla
scrivania. La situazione le era chiara, e non avrebbe di certo lasciato che Natassia uscisse da sola a cercare quel moccioso. Se lui
fosse andato alla polizia e questa l’avesse rintracciata, sarebbero stati guai
seri per la sua organizzazione. No, doveva arginare i danni. Non gliene
importava molto di lui, ma non c’erano alternative.
“Tu torna nell’appartamento, da brava, e senza creare
scompiglio.” Ordinò con tono secco prendendo dalla tasca il
suo cellulare “Io chiamo KaiCheng,
e gli dirò di prendersi altri due o tre uomini per cercare tuo figlio. A
piedi, di notte, non può essere andato lontano. Se è ancora vivo, lo
troveranno. Ora vai. In silenzio.”
Natassia annuì, e ripercorse al
contrario la strada che aveva fatto, cercando di trattenere le lacrime che
spingevano prepotenti ai bordi delle palpebre. Non doveva sconfortarsi. KaiCheng e gli altri avrebbero
trovato Mihael, sarebbe andata così, ne era sicura.
Doveva sperare, solo sperare che fosse vivo.
Rientrata nell’appartamento si chiuse la porta alle spalle e
si diresse in camera da letto. Si inginocchiò lentamente a terra, congiunse le
mani, e iniziò a pregare a voce bassissima. Non si mosse per ore, decisa a non
mollare fino a che Mihael non fosse stato di nuovo
tra le sue braccia. Quanto già le mancava…
Quando dopo un tempo indeterminato e interminabile sentì la
porta aprirsi con un cigolio sinistro, il suo cuore prese a pulsare ad un ritmo
accelerato. Non poteva essere nessun altro al di fuori di YinMei, perché Natassia era
sicura di aver chiuso la porta a chiave, e la padrona era l’unica ad avere un
passepartout che avrebbe potuto aprirla.
Era ora della verità. Mihael
sarebbe tornato tra le braccia di sua madre, o sarebbe stato stretto in quelle
della morte?
La donna si alzò e si diresse barcollando verso il salotto. Trattenne
il fiato.
YinMei
era in piedi, mani sui fianchi, l’espressione seria un po’ troppo tirata.
Dietro di lei si stagliava la figura imponente di KaiCheng, l’enorme cameriere delJade Garden.
Natassia si portò le mani al volto
senza trattenere più i gemiti. Tra le spesse braccia
muscolose dell’uomo c’era un fagotto informe di coperte. Due gambe sottili ed
un braccio cereo penzolavano mollemente verso il basso. Il bambino di cui non
riusciva a vedere il volto non si muoveva.
Una bolla di dolore le salì su per lo stomaco fino alla
gola. Non era possibile… Mihael non poteva essere
morto. La sua vita senza di lui non esisteva, la sua esistenza, il suo scopo al
mondo dipendevano da lui! Nulla avrebbe eguagliato il suo piccolo tesoro, nulla
sarebbe stato tanto importante quanto lui…
Non riuscì a far altro che balbettare, incredula.
“Lui… Lui è…”
“Vivo.” La interruppe YinMei “Anche se ha rischiato la pelle. KaiCheng l’ha trovato non molto
lontano da qui, raggomitolato a terra. Ha preso molto freddo, va tenuto al
caldo. Portalo a riposare in camera tua.”
Natassia annuì nuovamente con
l’animo gonfio di speranza, e fece strada a KaiCheng, che posò poi l’involto sul suo letto con una
delicatezza che quelle braccia poderose non parevano poter avere.Lei si chinò sul suo piccolo, potendolo
finalmente rivedere in viso. Le si strinse il cuore. Non resistette, si sentì
in dovere di baciare quella fronte bianca gelata, e stringere quelle manine
altrettanto gelide. I suoi occhi azzurri la fissavano tra le palpebre
semichiuse.
Era a casa. Il suo piccolo angioletto era a casa sano e salvo. Ringraziò Dio mentalmente, per non
averglielo portato via.
“Vorrei mettere in chiaro alcuni punti prima di lasciarmi
soli.” Le giunse alle orecchie la voce di YinMei. “Punto uno, niente ospedale, ma ti do una settimana in
cui sei esonerata dal lavoro per stare con tuo figlio. Non voglio fare
pubblicità alla mia attività alle forze dell’ordine. Punto due, per lo stesso
motivo, vedi di mettere il guinzaglio al tuo marmocchio, non voglio essere
scomodata di nuovo per una cosa del genere. Non sarò così disponibile e
indulgente la prossima volta.”
Natassia ringraziò con riverenza,
prima di essere lasciata sola con il figlio. Poté così concentrarsi su di lui, piangere,
stringerlo, fargli sentire che era al sicuro tra le sue braccia, stretto contro
il suo petto caldo.
“Amore… Mi dispiace, mi dispiace talmente
tanto… Dio, cosa ti ho fatto! Perdonami! Ti prego, perdonami! Sei troppo
importante per me! Io… Io non volevo dirti quelle cose orribili e false!”
Continuò ad abbracciarlo, baciandogli le guance,
strofinandolo affinché si scaldasse. Si rendeva conto di quanto lo amasse, di
quanto senza di lui si sentisse morta dentro. Non poteva stargli lontano.
L’idea di abbandonarlo che aveva avuto tempo prima svanì completamente dalla
sua mente, perché le sarebbe stato impossibile resistere. Non avrebbe retto
alla lontananza.
“Scusami, Mihael, scusami… Non
sapevo cosa dicevo, ero ubriaca, stavo molto male… Avevo appena perso un
bambino… Cerca un po’ di capirmi…”
“Allora è vero, non era un sogno…” furono le sue prime
parole strascicate e deboli “Tu hai perso un bambino…”
La donna lo strinse più forte, e lo poggiò di nuovo con la
testa sul cuscino, asciugandosi le lacrime.
“Sì, è vero… Ma ora
non voglio pensarci, ormai lui è morto, e forse è anche meglio così per tutti… Per
me, per te, per lui, per Oscar… Ora io voglio prometterti che cambierò… Io
voglio smettere di bere… Solo per te… Non voglio che accadano più disgrazie
come quella di ieri…”
Mihael si limitò a fissarla con
quel suo sguardo vacuo senza risponderle, cosa che la deluse non poco. Si
aspettava almeno un “brava”
o un “grazie”. Un piccolo e
lieve “grazie” sussurrato a fior di
labbra che mai arrivò. Il figlioletto era ancora troppo malmesso, troppo
arrabbiato per perdonarla e dimenticare. Questo sentimento sdegnato era
talmente evidente che la madre lo percepì con estrema chiarezza, come se
stillasse goccia a goccia da quel corpicino indebolito.
Si era ormai pentita davvero amaramente per ciò che aveva
fatto. Doveva assolutamente rimediare in qualche modo. Decise così di
distrarlo, di fare qualcosa che potesse procurargli piacere.
“Ti preparo qualcosa di caldo… Una cioccolata ti va?”
Vedendolo annuire, si diresse un po’ più sollevata in cucina
e iniziò a preparare la bevanda richiesta. Mentre era occupata al fornello
però, si accorse di una cosa: lo zainetto di Mihael
era rimasto lì a casa dalla sera prima. Piena di curiosità decise di aprirlo e
di dare un’occhiata alle sue letture. Sapeva infatti
che amava molto leggere, ma non si era mai interessata al genere di letture che
prediligeva.
Le venne una piccola idea carina, che di sicuro non avrebbe
fatto altro che piacere al suo bambino. Visto che lui non stava bene, avrebbe
potuto leggergli qualcosa se ne fosse stata in grado.
In questo modo tirò fuori dallo zaino un libro piccolo e
spesso come un mattone. Sulla copertina un po’ scolorita e vecchia, dagli
angoli smussati, era raffigurato un cavaliere medievale in armaturacon una lancia in
pugno su un poderoso cavallo nero che si impennava fiero. Sull’elmo, un
pennacchio giallo canarino ondeggiava al vento. In alto era scritto in
caratteri goticheggianti “Ivanhoe” e
il nome di quello che doveva essere l’autore, un certo Walter Scott.
Natassia ci mise davvero molta
volontà, ma si accorse che faceva davvero una fatica immane a leggere l’inglese
spiluccando la trama sul retro.
Capì che il libro si svolgeva nel medioevo (Dopo le
crociate? Natassia non potè
affermarlo con assoluta certezza, anche perché le sue conoscenze sull’argomento
erano pressoché nulle.), e che il protagonista era appunto questo Ivanhoe. Che
cosa facesse oltre che combattere alla fine in un duello in difesa di una certa
Rebecca verso la fine, non riuscì bene a capirlo.
Emise un respiro accorato e ributtò sconsolata il libro
nella sacca. Non ce l’avrebbe mai fatta a leggere quella roba a Mihael. Si chiese come fosse possibile che lui ci riuscisse.
Ormai non aveva più alcun dubbio sulla sua intelligenza. Avrebbe racimolato
tutto il denaro necessario per mandarlo in una degna università quando sarebbe
venuto il momento. La sua intelligenza geniale non sarebbe andata sprecata.
La cioccolata era pronta ormai, e lei la versò in una tazza
per portarla in camera. La porse ancora fumante velocemente al figlio quando vi
giunse, dopo aver sistemato i cuscini dietro di lui in modo che lo reggessero
in posizione seduta. Nuovamente non arrivò neanche un “grazie” da parte sua. Rimase allora a guardarlo con tristezza
sorseggiare quel liquido bollente.
“Ho guardato un libro che c’era nel tuo zaino.” Affermò ad
un certo punto interrompendo quel silenzio insopportabile per le sue orecchie
“Si chiama Ivanhoe, volevo portarlo
di qua per leggertelo ad alta voce, ma mi sono resa conto che è troppo
difficile per me… Non ho ben capito nemmeno la trama…”
“Non importa.” Fu la risposta roca che voleva essere
affettata “L’ho quasi finito. Praticamente, il cavaliere
normanno Bois-Gilbert…”
“Che cos’è un normanno?”
Mihael emise un lungo sospiro
stizzito, arrossendo lievemente sulla punta delle orecchie.
L’ignoranza di sua madre, che mai gli aveva causato un
qualche tipo di problema in assoluto fino a quel momento, gli diede improvvisamente
una certa irritazione. Certo, non era colpa sua se non aveva avuto la
possibilità di studiare e non aveva un cervello come il suo… Ma lì non riuscì
proprio a nascondere il disappunto.
“Lasciamo stare… Tanto non è un libro per te.”
Natassia abbassò lo sguardo
mortificata da quella frase umiliante. Mai e poi mai aveva osato dire una cosa
del genere verso di lei. Non disse nulla però, comprendendo l’insofferenza del
figlio. Lo aiutò a ristendersi piano quando ebbe finito di bere, vedendolo
molto stanco.
In effettiMihael
non aveva alcuna voglia di sentirla blaterare, non aveva voglia di nulla. Solo
di riposare, tanto stava male dopo la peggior nottata della sua vita, passata
sul ciglio di un marciapiede al gelo, pregando di arrivare alla mattina successiva.
Natassia rimase assiduamente a
vegliarlo, accarezzandolo d tanto in tanto. Pensò che presto si sarebbe
rimesso. Che tutto sarebbe pian piano tornato come prima, lei, lui, la vita
davanti…
Eppure si sbagliava. In due giorni, quando Mihael iniziò ad avere la febbre alta, a tossire e
rantolare, si rese conto che si era illusa, che non era tutto terminato con un
lieto fine al suo ritrovamento miracoloso. Quello era stato solo l’inizio, e
lei non poteva fare niente. Se avesse chiamato l’ospedale YinMei avrebbe trovato il modo di farla pagare ad
entrambi… E forse addirittura se ne era accorta fin troppo tardi, quando ormai
la malattia, qualunque essa fosse stata, aveva intrapreso la parte finale del
suo pericoloso corso. Questo pensiero la dilaniava.
Si ritrovava inginocchiata ed impotente al lume di una
piccola lampada da comodino nel cuore della notte senza poter dormire, a
vegliare su quel corpicino inchiodato al letto bruciante di febbre e con la
gola riarsa. Non poteva curarlo, non poteva fare altro che abbracciarlo,
avvolgerlo circondandolo con le sue braccia materne e protettive, dirgli che sarebbe andato tutto bene, senza
ricevere mai una parola gentile in cambio.
Sapeva che Mihael stava morendo… E
temeva, purtroppo, che l’avrebbe lasciata senza amarla
più come prima…
Il ragazzo con i
capelli biondicamminò a passi
veloci camminando nella direzione opposta a qella che
aveva intrapreso all’inizio.
L’ondata di ricordi lo
aveva travolto come un fiume in piena, portandogli alla mente avvenimenti che
non avrebbe mai pensato ancora presenti in modo così nitido nella sua memoria.
C’erano la paura di Vasilij, la falsa felicità di sua
madre, l’alcool, la sua pancia che pian piano lievitava, la terribile notte
passata al freddo crudele della strada, tutta la solitudine che provò in
seguito sbattuto alla Wammy’s House, l’orfanotrofio,
prima di intraprendere una salda amicizia che perdurava tuttora…
“Ehi, lei! Mi scusi, signora!”
La donna che poco
prima gli aveva rivolto la parola e che ora se ne stava andando a passi
strascicati asciugandosi gli occhi si voltò di scatto. Lui la raggiunse in
qualche secondo, il respiro un po’ affannato, osservando minuziosamente i
lineamenti. Le sue frasi l’avevano incuriosito… E la
somiglianza con quella donna che conosceva era impressionante. Aveva
sicuramente meno di quarant’anni, minuta, con i capelli biondi e lunghi, un
viso fine e ingenuo, eppure come segnato, di una bellezza triste che lasciava
capire che sarebbe stata davvero una donna graziosa se solo non avesse patito
tanto. Che avesse passato una brutta vita pareva evidente, si vedeva da quelle
occhiaie, da quelle piccolissime rughe vicino agli occhi, dal pallore, dalla
poca cura dell’abbigliamento… Ma era lei. Era lei senza alcun dubbio. Ora la
riconosceva bene.
“Mi scusi se sono
stato scortese prima. E’ solo che anche lei, ora che ci penso, somiglia molto a
qualcuno che conosco e di cui sono anni che non ho notizie… Da dove viene? Dov’è nata?”
Il cuore di Natassia iniziò a martellarle nel petto. Forse… Forse non
si era sbagliata… Era un miracolo e non si era sbagliata… Non sapeva com’era
stato possibile, ma non le importava.
“Io abitavo a Londra…
Ma sono nata in Bielorussia…”mormorò.
“E ha avuto dei
figli?”
“Io… Secondo le
autorità, non più… Però io lo so di averne avuto uno, me
l’hanno portato via… Era bello come il sole, e si chiamava…”
“Mihael.
Si chiamava Mihael, come l’angelo, perché era stato
un inaspettato e bellissimo dono di Dio… Mi sbaglio forse, matiuska?”
La donna rimase immobile,
pietrificata. Quel nomignolo in russo, detto con quell’inflessione particolare…
Da quanto tempo non la sentiva? Non c’era nessuno che avrebbe potuto fingersi
lui, e poi quella somiglianza, fatta eccezione per la cicatrice che gli
deturpava la parte sinistra del volto… E gli occhi… Quegli occhi erano
inconfondibili. L’aveva trovato… Dopo tutti quegli anni, eccolo, finalmente…
“Mihael…
Il mio angioletto…”
Ci vollero una
manciata di secondi prima che Natassia riprendesse il
controllo di sé stessa e delle sue emozioni in subbuglio. Con le lacrime che
colavano sulle sue guance, si lanciò al collo del giovane.
C’era una felicità
inimmaginabile dentro di lei. Rivederlo, rivedere suo figlio dopo tutti quegli
anni passati a piangere pregando per poterlo rincontrare… E finalmente eccolo
lì di nuovo con lei. Rimase così attaccata a quel corpo caldo e tanto cresciuto
dai suoi ultimi ricordi che si perdevano nel passato, seppellendo il viso nella
sua giacca calda.
“Mihael…
Io… Io ho pregato così tanto perché questo giorno arrivasse! Così tanto! Oh,
non so nemmeno cosa dire… Pensavo di doverti dire un sacco di cose, e invece
adesso non me ne viene in mente nessuna… Solo, forse… Mi dispiace tanto, amore
mio… Io non ho mantenuto la mia promessa, non ho mai potuto portarti via da
quel posto… Sono tanto pentita di un sacco di cose che ho detto e che ho fatto…”
“Non hai niente da
rimproverarti. Eri sorvegliata in quella clinica, per questo ti mandai quella
lettera in gran segreto… In verità, speravo che mi raggiungessi prima, quando
scappai e venni qui… Lì avevo davvero bisogno di
qualcuno, ma… Adesso non conta, non è importante. Sono felice
di rivederti.”
Il viso del biondo, a
dispetto delle sue parole, rimase impassibile e duro. Non riusciva ad
abbracciare quella donna fragile e tremante, dopo tutto quel tempo e tutte le
lacrime che aveva versato per lei anni addietro. Di lacrime, ormai, non ne
aveva più proprio per nessuno.
La staccò da sé
prendendola per le spalle, fissandola con severità.
“Il tuo viso… Il tuo
bel viso da angioletto… Cosa ti è successo? Chi ha osato farti una cosa del
genere? Chi è quel demonio che ti ha deturpato?”
Un dito incerto e
tremante sfiorò con delicatezza una piaga appena sotto l’occhio, innaturalmente
liscia come vetro. Sembrava che la pelle fosse andata in contatto con qualcosa
di ustionante, qualcosa di sciolto, come la plastica fusa… Vedere quel segno
indelebile sul volto di suo figlio l’angosciava. Come se l’era procurato? Aveva
tanto sofferto in seguito? In ogni caso in quegli attimi non era stata lì con
lui per confortarlo o addirittura per proteggerlo…
“E’
tutto passato ormai. Dovevo decidere, la libertà e la vita contro un’ustione. Ho preferito la seconda opzione, sono uno che ha imparato ad amare
il rischio… Dopo la vita piena di emozioni che abbiamo avuto io e te, non sono
davvero riuscito a star tranquillo…” ironizzò per sdrammatizzare, facendo per
la prima volta davanti a lei un mezzo sorriso.
Natassia però non accennava a calmarsi,
le guance rosse e l’animo tormentato. Se solo avesse potuto
stare più vicina a Mihael… Si ricordò degli ultimi
tragici momenti assieme in quell’appartamento. Era stata così disperata… Era
arrivata perfino a desiderare la morte del suo stesso figlio.
Erano ormai passate le due di notte. Natassia,
seduta su una sedia al capezzale del figlio malato, teneva le mani giunte,
supplicando Dio di salvare la vita a quel bambino innocente.
La luce tenue della lampada sul comodino illuminava la
stanza di un bagliore giallo sinistro.
La donna arricciò il naso cercando di rimanere concentrata,
e di non pensare all’odore. Era
curioso come infatti nelle camere dove si trovasse un
malato, lei notasse che c’era sempre un fetore malsano, di sudore, di chiuso,
di urina… Le ricordava stranamente il brodo di cavolo che cucinava a volte,
solo che era un po’ più pungente e dolciastro. Se la morte sapeva di qualcosa,
quello era il segno che era vicina. Molto vicina. Troppo vicina.
Smise di pregare riaprendo gli occhi, costretta ad osservare
con pena la sua creatura. Mihael pareva più morto che
vivo. Il suo respiro era un unico lungo rantolio affaticato, i capelli
appiccicati sulla fronte sudata, l’espressione sofferente.
No, ormai era inutile… Si sentì stupida a richiedere al
Signore quell’improbabile miracolo. Perché mai avrebbe dovuto ascoltarla questa
volta? Sembrava che l’avesse abbandonata da tempo…
Con il cuore a pezzi compì uno sforzo abnorme per ricacciare
indietro le lacrime, si chinò su di lui mettendogli tra le mani la croce del
rosario che teneva al collo anche in quelle condizioni. Parlò con dei sussurri,
carezzandogli dolcemente il capo e le guance per distenderlo.
“Lasciati andare… Non lottare più, ti prego… Chiudi gli
occhi e rilassati… Lasciati andare, lasciati morire… Non voglio più vederti
soffrire, angioletto… Rilassati e arriverà più in fretta…”
Mihael voltò lentamente il viso
stanco verso di lei. I suoi occhi immersi in quell’atmosfera lugubre parevano due
bulbi anneriti, due globi scuri e acquosi.
“Non voglio morire… Non voglio…”
Tese le braccia, e sua madre capì al volo cosa desiderasse. Infatti,
lo prese tirandolo un po’ su, appoggiandolo contro il suo seno.
Una piccola lacrima scivolò sul viso del bimbo. Era
volontaria? Natassia non lo sapeva, eppure sospettava
di sì.
Stavano dividendo lo stesso atroce dolore. Nessuno dei due
voleva lasciare l’altro, sottoposti ad un destino inevitabile.
“Mamma…”
Dopo tanto tempo, forse per rimorso, ridisse quel nome… E Natassia sentì qualcosa esploderle in gola e nel petto,
qualcosa che era fragile e che risiedeva da sempre dentro di lei… Il suo senso
materno le stava facendo patire le pene dell’Inferno. Era per questo che
pregava che finisse, che desiderava la sua morte.
Doveva finire. Mihael non avrebbe
più sofferto…
Quello che accadde subito dopo rimase impresso nella mente
di Natassia sottoforma di immagini confuse, come
tante pellicole in negativo mescolate e sovrapposte.
Tutto passò davanti a lei ad una velocità inimmaginabile, tutto le sfuggì di
mano. Non poté far altro che lasciarsi trasportare via dagli eventi.
Sapeva solo che in quel momento entrarono un sacco di
persone in uniforme, armate, schiantando la porta.
Che gridavano e vagavano a destra e a manca. L’avevano
praticamente trascinata via inerme, mentre alcuni di loro si erano radunati
intorno al letto. In tutto quel vociare, le parole “bambino” e “soccorsi” erano le uniche che riusciva a comprendere. Vide due
uomini portare su una barella mentre scendeva le scale, e le luci intermittenti
blu e rosse delle volanti la abbagliarono uscendo dal portone principale delJade Garden.
Era stato un avvenimento talmente inaspettato, che non si
rendeva conto di nulla. Si lasciava condurre via docilmente come un agnellino
all’altare sacrificale, senza esserne cosciente. Il dolore per la malattia di
suo figlio era troppo forte, occupava tutto lo spazio possibile nel suo
cervello. Solo quando si trovò all’interno di una macchina dagli interni in
pelle nera, seduta sui sedili posteriori, iniziò a gridare, ripresa dallo stato
di trance, rendendosi conto di cosa era successo. La polizia! Era la polizia!
Avevano fatto irruzione negli appartamenti privati di YinMei! Dovevano aver ricevuto una soffiata, e avevano
sgominato il suo traffico e la sua attività!
Scossa da questo fatto, si rivolse all’uomo sulla trentina
d’anni che era alla guida, capelli castani rasati corti, e uniforme uguale a
quella di tutti gli altri.
“Ehi, lei! Dove mi sta portando?”
“Non si agiti, signorina, la sto solo portando
all’ospedale.”
“E mio figlio? Portano all’ospedale anche lui? E’ molto
malato! Io ho paura che non ce la faccia, non riesce a respirare, ha la febbre
molto alta! Dovete…”
“Lei è la madre di Mihael… Sa,
tutta l’operazione è partita da una denuncia di una sua insegnante… Posso
dirglielo perché ormai non è più un’informazione top secret.
Non lo vedeva più a scuola da qualche giorno, e aveva dei sospetti sul fatto
che fosse implicato in un giro di prostituzione e…”
“No, no! Sta sbagliando tutto! Mio figlio non si
prostituisce!” urlò interrompendo il racconto indignata,
paonazza in volto dalla rabbia, senza alcuna inibizione davanti ad un agente
“Io devo stare con lui, sono sua madre! Vi prego,
fermate la macchina, io…”
“Forse non ha ben capito, ma lei si trova in una situazione
piuttosto sconveniente, e non credo che qualche mia lamentela sul suo
comportamento potrebbe migliorarla. Nello stato in cui abbiamo trovato suo
figlio, potrebbe scattare una denuncia per maltrattamenti, o l’assistenza
sociale cercherà di toglierle la patria potestà. Sempre che sopravviva, è
ovvio. Perché se non fosse così, lei sarebbe colpevole di omicidio colposo, e
passerebbe dei guai molto seri.”
“Ma io non ho maltrattato nessuno! Lo curavo, mi prendevo
cura di lui, io amo mio figlio!”
“Non lo metto in
dubbio, ma i fatti sono questi, suo figlio è gravemente ammalato e lei non ha
chiamato l’ospedale come sarebbe stato suo dovere. Ora, se vuole fare in modo
di poterlo tenere con sè, le consiglio vivamente di
calmarsi, di fare silenzio, e, quando sarà all’ospedale, di farsi visitare
senza troppe storie, anche a quelle degli psicologi.”
“Psicologi? Io non sono pazza, e non ho fatto del male al
mio angioletto! Non potrei mai!”
L’uomo non rispose, per non incoraggiarla a parlare e alterarsi.
Le luci cittadine e i grandi palazzi sfrecciavano ai lati
della vettura in un carosello di colori sgargianti, eppure era come se Natassia non vedesse niente intorno a sé. Se ne stava
immobile, le mani in grembo, l’espressione vuota e stralunata, mentre la sua
mente formulava mille pensieri ingarbugliati da farle venire il mal di testa.
Mihael era ancora vivo? Lo stavano
curando? Certo, in tutto questo c’era qualcosa di buono: dei medici avrebbero
forse potuto salvarlo ora che erano liberi…
Già, ma dopo? Cosa ne sarebbe stato di loro? YinMei era stata sicuramente arrestata, quindi non avevano più
un modo per vivere. E se sarebbe finita in carcere o in un istituto? E se le
avessero tolto Mihael? No, non erano queste le cose
importanti in quel momento… La salute del suo bambino aveva la precedenza.
All’ospedale doveva essere curato, doveva sopravvivere…
“Non lasciarti andare,
ti prego… Non pensare a quello che ti ho detto, devi resistere… Io sono tua
madre…E ti ordino di sopravvivere!”
I suoi pensieri, le grida disperate di una donna infelice,
si persero nel suono delle sirene delle volanti nel
freddo d’inverno nella notte londinese.
Mi scuso, mi scuso,
mi scuso! Mi dispiace enormemente per il ritardo, e per il capitolo un po’
troppo corto a mio avviso… Spero che comunque sia piaciuto a tutte, e vi
prometto che il prossimo vi farà piangere sul serio… Mi sono molto impegnata
per scriverlo!XD
Ringrazio come al
solito per le recensioni:
Elly_Mello
linkinparkforever
Soruccio(Potrei avere il tuo contatto msn? Devo chiederti una cosa riguardo ad una tua fanfic, una cosa un po’ lunga da spiegare e che vorrei
dirti in privato, se la cosa non ti disturba… Il mio è lollyelo@msn.comGrazie
d’anticipo!^^)
SPLITkosher
reidina
_pEaCh_
L i a r
KeR
patri_lawliet
Grazie come
sempre!<33333 E perdonate questo capitolo, che non è purtroppo dei migliori…
Le stanze dell’ospedale si somigliavano tutte. Erano tutte
bianche, fredde, le finestre erano spesse, le porte grandi, e in giro c’era
dappertutto quell’odore di candeggina misto a disinfettante che si insinuava
nelle narici prepotentemente. Natassia non ci era mai
stata all’ospedale, nemmeno per partorire, e questa prima impressione non le
piacque per nulla. Anzi, la inquietò.
Erano passati ormai molti giorni da quando la polizia aveva
fatto irruzione alJade Garden, e ancora non aveva potuto muoversi dalla sua stanza,
sempre controllata e sorvegliata da medici e infermieri. Le avevano fatto un
sacco di analisi e visite mediche, iniziava a essere stufa. Oltretutto, non
aveva ancora potuto vedere Mihael. Chiedeva ogni
volta di lui, e ognuna di quelle volte le davano la stessa risposta: Mihael era molto malato, una broncopolmonite fulminante che
avrebbe potuto ucciderlo se fossero intervenuti troppo tardi. Necessitava di
molto riposo e di stare solo anche se era fuori pericolo ormai. Non c’era
questione di visite.
Le faceva un gran male al cuore quella lontananza. Voleva
vederlo, voleva vedere il suo bambino! Voleva abbracciarlo e stringerlo,
ripetergli quanto lo amava. Chissà come doveva essere spaventato, solo in una
di quelle stanze grandi e bianche, con le flebo e
tutti quei medici che gli ronzavano attorno…
Ormai rassegnata all’evidenza però, questa volta non alzò
nemmeno il viso, quando i soliti due individui con in
mano delle cartelline cliniche molto sospette, penna biro nel taschino pronta
ad essere sfoderata per prendere appunti, entrarono nella sua stanzetta. Rimase
seduta contro i cuscini del suo letto, le dita magre che tamburellavano sulle
cosce scoperte per la metà inferiore.
Portava al polso un braccialetto in plastica, sul quale
stava una targhetta con segnati i suoi dati, che la faceva sentire un animale
al macello già marchiato. La camicia da notte bianca con il colletto azzurro
pallido pareva fatta di carta, e le dava fastidio per come le stava addosso.
Sembrava un sacco. In più immaginava di avere un viso orrendo segnato dalla
sofferenza delle ultime settimane che aveva passato alJade Garden… Una pazza. Sì, doveva proprio
dare l’idea di una pazza…
Le due persone la salutarono sorridendo, presero delle sedie
in plastica marroni e si sedettero di fronte a lei. Le sue iridi azzurre li
fissarono intensamente uno per uno.
Ormai aveva imparato a conoscerli. Il primo, un medico sulla
quarantina vestito con un camice bianco, senza capelli e con un paio di
occhiali rettangolari dalla montatura finissima, era colui a cui il suo caso
clinico era affidato, lei, una donna bionda molto più giovane di lui era una
psicologa. Quei due erano diventati un incubo…
La scrutarono con il solito imperterrito sorriso come ogni
volta che venivano da lei, ponendole un’infinità di domande all’apparenza
semplici, ma alle quali Natassia aveva sempre una
gran paura di rispondere. Sapeva che soppesavano ogni sua affermazione, ed era
a partire proprio da quelle sue affermazioni avrebbero deciso cosa farne del
resto della sua vita. Sì, quei due avevano nel palmo della mano la sua
esistenza… E quella di Mihael.
Si ricordava alcune delle discussioni, le più astiose:
“Signorina, ha mai
pensato a suo figlio come un ostacolo per la sua vita?”
“No! Io ho sempre
amato Mihael, è il mio unico affetto!”
“Eppure sappiamo che
dopo una crisi depressiva lei lo ha buttato fuori di casa per una notte
intera.”
“Io… Io non volevo
farlo… Avevo bevuto, ero disperata…”
“Sì, ci ha già detto
dei suoi problemi con l’alcool… E ci può dire con onestà come mai quella sera
fosse così disperata? Nell’esame ginecologico abbiamo trovato tracce di un
aborto recente, era quello il motivo?”
“Io non volevo perdere
i miei figli… Vi prego, cercate di capire… Ho mal di testa adesso…”
Sapevano essere davvero crudeli dietro quelle espressioni
innocenti. Scavano, rigiravano il coltello dietro ogni piaga, la tormentavano,
non la lasciavano in pace. Spesso era capitato che le ripetessero alcune
domande alla seduta successiva per vedere se confermava le risposte che aveva
dato il giorno prima. Il quesito “Suo
figlio ha mai subito violenze sessuali in passato?” le era stato posto
almeno cinque volte, ed ogni volta aveva negato con tutta sé stessa. Com’era possibile
che non si fidassero ancora?
Ormai, li detestava. Ogni volta che li vedeva sentiva una
gran rabbia dentro di sé.
“Salve, Natassia.” Disse l’uomo
“La vedo molto tranquilla questo pomeriggio.”
“Aspetto le suo solite domande,
dottor Arrow.”
“No, questa volta niente domande, abbiamo raccolto
abbastanza informazioni e possiamo comunicarle cos’è stato deciso nei suoi
confronti.”
Alzò lo sguardo verso di lui, gli occhi brillanti, il cuore
che batteva. Era ora. Era ora del verdetto. Forse avrebbe potuto finalmente
rivedere Mihael! Lo sperava, lei voleva stare con
lui, abbracciarlo finalmente. Magari l’avrebbero spedita in una clinica, ma con
suo figlio al seguito. Sì, sarebbe stata la cosa più giusta, in fondo aveva
sicuramente dimostrato di amarlo, di provare molto affetto per lui! Sì, doveva
andare così…
“Secondo ciò che lei e suo figlio avete detto non posso
assolutamente mettere in dubbio un forte legame affettivo.” Spiegò
il medico “Questo legame però si è, come dire, deteriorato col tempo senza che
voi ve ne accorgeste. Lei ha dei grossi problemi di alcolismo, che è
stata lei stessa a confermare, in più. Bisogna poi tenere conto degli ultimi
spiacevoli avvenimenti… Ha perso un figlio a causa di questa malsana
dipendenza, e ha sfogato tutto il suo dolore sul suo primogenito, cacciandolo
sebbene sia chiaro che un bambino di quell’età non avrebbe potuto in alcun modo
cavarsela lì fuori. Infine, quando era di nuovo con lei gli ha procurato scarse
cure mediche mentre era ammalato in seguito alla notte passata al freddo…
L’abuso di alcool e la morte del feto l’hanno profondamente trasformata. Tutto
questo per comunicarle che secondo noi ha bisogno di essere curata e sostenuta,
perciò è stato deciso che per i prossimi anni sarà accolta in una casa di
riabilitazione in cui persone specializzate l’aiuteranno a rifarsi una vita, a
smettere di bere e imparare un mestiere per poter poi guadagnare denaro
autonomamente… Mihael invece finirà in un istituto.”
Alla parola “istituto”
le orecchie di Natassia si drizzarono attente. Cosa
intendevano dire? Il discorso lasciava intendere che non sarebbero stati
ospitati nello stesso edificio.
Aveva troppa paura di accettare le sue stesse supposizioni.
Aveva capito cosa il dottor Arrow intendesse, ma il
pensiero era troppo orribile per crederci davvero. Mihael
lontano, e lei che non avrebbe potuto vederlo in alcun modo, impotente davanti
a dei moduli firmati dai medici in cui si affermava un ipotetico disturbo
psichico.
“Io… Io non riesco a capire…” balbettò
nonostante il fatto che in realtà avesse capito perfettamente “Mihael non starà con me? E? mio
figlio, è ancora piccolo, dobbiamo stare insieme…”
“La prego, cerchi di accettare la situazione con serenità…
Deve capire che questo è il bene per entrambi. E’ opportuno che stiate separati
per un po’ di tempo.”
“Ma quanto tempo?”
Natassia gridò all’improvviso
l’ultima frase senza riuscire a controllarsi, le dita piantate nella pelle
delle cosce. Le stupidaggini di quei due cialtroni non le importavano. Lei
voleva Mihael, doveva vederlo, doveva stare con lui.
Non avrebbe vissuto in altro modo, non c’era alcuna alternativa possibile.
L’uomo, nel frattempo, cercò di non far caso a quello scatto
d’ira prima di schiarirsi la voce e rispondere con tono pacato.
“Mihael verrà affidato ad un orfanotrofio.
Ma non deve preoccuparsi, l’istituto che è stato scelto è davvero ottimo, si
troverà a meraviglia. E’ stato lo stesso detective che ha condotto le difficili
indagini sull’attività illecita della proprietaria delJade Garden a suggerirlo, dopo aver ricevuto
la denuncia dell’insegnante di suo figlio, che gli ha anche parlato delle sue
capacità fuori dal comune. Pensi che lui stesso ci ha vissuto…”
“Non mi interessa cos’ha detto quel detective! Mio figlio non è un orfano! Non deve finire in un
orfanotrofio, perché sono sua madre, e lui deve vivere con me!”
“Forse devo essere più esplicito… Le è stata tolta la patria
potestà. Ora lei per le leggi del nostro stato non ha figli, mi duole
dirglielo. Quindi Mihael è considerato orfano, e
verrà quindi accolto in una struttura idonea. Se poi lui intenderà tornare da
lei, potrà farlo quando avrà compiuto quindici anni e sarà giuridicamente
autonomo.”
“Niet…
No… No, non potete farlo… Lui è mio, è mio! Io lo adoro, lo amo più di me
stessa, come farò senza di lui…”
“Mi dispiace, ma così è stato deciso.”
La donna scoppiò a piangere dopo essersi a lungo trattenuta.
Non riuscì più a sopportare oltre, dopo quella tremenda rivelazione. Il suo
pianto però era diverso dal solito… Era un insieme di mugolii bassi, ovattati
dalle mani che coprivano il viso. Era un pianto disperato, pieno di una
spaventosa angoscia senza consolazione, di quelli che non lasciavano trapelare
alcuna speranza, che non volevano essere rumorosi, perché tanto non dovevano
commuovere nessuno, visto che nessuno si sarebbe commosso comunque.
Se le avessero detto che Mihael
fosse appena morto probabilmente avrebbe avuto la stessa reazione. Ma non era
qualcosa di simile alla morte in fondo? Non si sarebbero più visti, lei era
morta per suo figlio, suo figlio era morto per lei.
“Comprendiamo il suo dolore, Natassia…
Ma deve cercare di essere forte.”
Per la prima volta in quel pomeriggio fu la voce più dolce
della donna vicino al dottor Arrow a parlare tentando
inutilmente di consolarla.
“Forse è meglio che vi salutiate, cosa ne dice? Vuole andare
a trovarlo o preferisce di no?”
Natassia scoprì nuovamente il viso
rigato di lacrime e mormorò un “Da.”
a bassa voce, accompagnandolo con un segno positivo del capo, nel caso non
fosse chiara l’affermazione in russo.
Forse sarebbe stato meglio per lei non essere costretta a
dirgli addio, eppure si rendeva conto che avrebbe dovuto farlo. Sarebbe stato
da vigliacca scappare così, senza dirgli nulla per paura di soffrire di più, e
per quanto riguardava Mihael aveva già commesso
troppi errori. Doveva guardarlo in faccia e dirgli tutto quello che lui avrebbe
dovuto ricordarsi di lei.
Si alzò a fatica e si lasciò condurre come in trance per i
corridoi dell’ospedale, corridoi che le parevano tutti maledettamente uguali
come se appartenessero ad un qualche grottesco labirinto bianco che sapeva di
asettico. Cercò di tenere a memoria la strada, ma il suo cervello si rifiutò di
farlo. Quando la donna che l’accompagnava bussò ad una porta identica ad altre
decine e decine maledì il suo cervello sconvolto e incapace di memorizzare il
percorso… Ma trattenne anche il fiato.
La porta si aprì senza il minimo rumore. Mihael
era lì dentro. Seduto nel letto contro i cuscini, teneva un libro tra le mani,
e una flebo era attaccata al suo braccio destro.
Quando vide Natassia il suo sguardo parve illuminarsi
leggermente, eppure non mutò l’espressione seria.
La donna invece si sentì come colpita in pieno da un
proiettile in mezzo al petto. Quella sarebbe stata l’ultima volta, l’ultima volta
in cui l’avrebbe visto… Si sarebbe persa tutto il resto…
A piccoli passi avanzò verso il letto e si sedette su una
sedia al lato di questo senza riuscire a dire nulla. Solo le lacrime scendeva
ancora da prima silenziose sulle gote arrossate.
“Mihael… Ciao, piccolo…” riuscì
infine a sussurrare in russo appoggiandogli una mano su una guancia “Come
stai?”
“Ora sto bene… Sono felice che sei venuta,
ti aspettavo… Ora i dottori hanno detto che sto guarendo, potremmo tornare
insieme…”
“Tesoro mio… Ascoltami, devo dirti delle cose importanti… Innanzitutto
vorrei chiederti ancora una volta scusa per quello che ti ho fatto, e ripeterti
che ti amo con tutto il cuore…”
Fece una pausa, per prendere coraggio. Ne approfittò così
per baciarlo teneramente sulla fronte.
Ogni minuto era fondamentale, perché ognuno di quei sessanta
secondi non si sarebbero ripetuti mai più.
“Poi… Devo dirti che i dottori hanno deciso… Hanno deciso
che non sono adatta a essere tua madre… Tu andrai a vivere… Vivere in un… No,
non ce la faccio… Perdonami… Non riesco a parlare, mi fa troppo male dovertelo
dire…”
Mihael l’abbracciò di scatto,
senza fare attenzione all’ago che aveva infilato nel braccio. Seppellì il volto
nell’incavo della sua spalla lasciando cadere il libro a terra, e iniziò a
piangere. Era da quando era tornato a casa quella maledetta sera che non la
stringeva, che non le dimostrava affetto, ma ora niente aveva importanza.
Separarsi da sua madre davvero era qualcosa di troppo doloroso anche per lui.
Perché anche se non lo aveva più voluto dimostrare, le voleva ancora molto
bene. Senza di lei non avrebbe mai potuto fare niente…
“Non voglio andare via… Voglio stare con te…”
“Ti manderanno in un orfanotrofio…” singhiozzò “Secondo le
direttive del detective che si è occupato del caso… Io non posso più fare
niente… Niente… Per la legge non sono più tua madre…”
“Non andartene… Ti prego… Non voglio… Io ti amo ancora
tanto, matiuska…”
“Non voglio nemmeno io, ma è tutto inutile… Non voglio che
ti portino via da me…”
Rimasero entrambi in silenzio ad abbracciarsi e baciarsi
piano per tutto il tempo. Non riuscivano a staccarsi, volevano vivere quegli
ultimi momenti… Insieme fino all’ultimo, con i cuori che sanguinavano.
Quando la voce estranea della persona che aveva osservato la
scena fino all’ultimo disse “E’ ora di andare, Natassia.”
nessuno dei due si mosse. La donna dovette tirare via la bionda dall’abbraccio
con il figlio e quasi trascinarla, mentre ancora era in lacrime.
“Io ti penserò sempre,Mihael! Non ti dimenticherò, ogni mio pensiero sarà per
te!” gridò ancora tra i singulti disperati opponendo una strenua resistenza “Verrò
a riprenderti! Ti prometto che farò qualsiasi cosa per riaverti con me! Saremo
di nuovo insieme, te lo giuro! Troverò il modo! Per adesso addio! Ti voglio bene!”
“Ti prego, non andartene! Mamma!”
“Addio, Mihael! Promettimi che non
ti scorderai di me…”
“Io non mi scorderò! Ma non voglio che mi lasci solo! Ti
prego! Ti prego, rimani ancora!”
“Dio… Non posso! Amore mio, ti
starò vicino! Te lo prometto!”
“Mamma! Mamma, no!”
La porta si richiuse proprio davanti a lei. Per sempre.
Era come se Mihael non esistesse
più. E Natassia giurò sulla sua stessa esistenza che
non sarebbe finita così. No, lei lo avrebbe riavuto con sé, fosse stato
l’ultimo atto della sua vita.
Un capitolo molto
triste… Stavo per piangere da sola alla fine, il che è raro, vuol dire che mi
sono molto impegnata… Vedere Mello e Natassia separati mi fa venire molto male al cuore, è una
totale perdita di speranza…
Ringrazio come al
solito Reichan86 (la tua recensione è stata graditissima,
sono emozionata!*_* Spero di vederne ancora! Kiss!), _pEaCh_, L i a r, SPLITkosher,
Elly_Mello, Sydelle, linkinparkforever e KeR per la recensione!<3
Kiss a tutte!
Lolly
PS: Indovinate chi è
il detective di cui si parla nel capitolo…XD Sarà un fatto decisamente cruciale…
Natassia camminava per strada tenendo distrattamente
la mano del figlio in quella sera fredda nella periferia di Los Angeles. Si
lasciava portare senza dire niente, senza azzardare alcuna mossa, nonostante il
suo cuore battesse da quando l’aveva rivisto ad una velocità considerevole
rispetto al normale, e avesse in mente un milione di cose da dirgli e da fare
che nemmeno lei avrebbe saputo da che cosa cominciare.
Una cosa che le
lasciava un po’ l’amaro in bocca era il fatto che non dimostrasse una gran
gioia per averla finalmente rivista dopo tutti quegli anni, come invece era per
lei. Non sorrideva, non le dimostrava troppo affetto, non le faceva domande su
ciò che aveva vissuto mentre erano separati, niente di niente. Era come se
l’avesse dimenticata, e forse era davvero così. Per quanto le facesse male Natassia doveva accettarlo. Mihael
non poteva essere rimasto lo stesso bambino che aveva visto le ultime volte. Si
diede nuovamente della stupida.
“Siamo quasi arrivati
al mio appartamento.” Interruppe Mihael il flusso dei
suoi pensieri “Lì potremmo parlare con calma. Purtroppo non sono qualcuno che
può permettersi di vagare liberamente…”
“Ma come mai?”
“Non chiedermi niente,
è meglio che tu ne resti fuori. Forse te lo spiegherò un giorno… Per ora vieni
su da me. Anche se non è il grand hotel, è meglio che
restare qui fuori.”
Natassia annuì, accettando a malincuore tutto quel
mistero. Mihael doveva essere finito in qualche
brutto giro, non vedeva altra spiegazione. Perché sennò avrebbe dovuto
nascondersi e non dirle nulla?
Le veniva quasi da
piangere. Lei che aveva fatto di tutto perché avesse una vita migliore della
sua doveva venire a sapere che non era servito a niente. Si sentì una fallita,
una completa delusione.
Forse quei medici che
tanto tempo addietro le avevano detto che non era adatta a essere madre avevano
ragione. Con Mihael era stata un disastro totale,
tanto che non lo biasimava affatto se non le avesse voluto più bene…
Arrivarono ad una
vecchia palazzina abbandonata, che Natassia quasi non
si accorse della strada percorsa. Era un alto edificio in mattoni sporchi, le
finestre erano tutte sbarrate. Il fatto che quella casa stesse ancora in piedi
sembrava sfidare le leggi della gravità, tanto era tutta sbilenca e malandata.
Impossibile credere che qualcuno vi abitasse.
“E’ questo il posto?”
chiese per sicurezza.
“Sì. Lo so, è tutto a
pezzi, ma nessuno deve sapere che ci sta qualcuno dentro. Comunque le stanze
sono un po’ meglio dell’esterno, ho pulito e ho messo qualche mobile.”
Senza indugiare di
più, aprì una vecchia porta in legno che scricchiolò. La donna gli andò dietro
senza porre altre domande ne mettere niente in questione, salendo le scale in
pietra dell’androne fino ad un appartamento del terzo piano. Lì davanti Mihael si fermò estraendo delle chiavi dalla tasca.
Facendo attenzione, la
donna notò che dall’interno di quello che doveva essere l’appartamento in
questione proveniva della musica tenuta bassa. I Guns’n
Roses cantavano “Civil
War”, ne riconobbe il ritornello…
“Devo dirti una cosa
prima di entrare. Io non vivo da solo, divido questa casa con un… Diciamo
amico. Ovviamente non sa che ti ho ritrovata… Comunque, lo conoscerai dentro.”
Detto ciò, Mihael aprì la porta. Un intenso odore di deodorante che
copriva quello dell’umido invase le narici di Natassia.
Probabilmente con il verbo “pulire” il figlio aveva inteso quel tipo di lavoro.
C’erano pochi mobili e pieno di computer, videocamere,
fili elettrici e altra roba elettronica sparsa, il muro era solo intonacato. La
cosa che colpiva subito però era un’enorme tv a cristalli liquidi su una
parete, e accanto a quella un grosso stereo. La musica proveniva da lì.
Non ebbe nemmeno il
tempo di guardarsi attorno per osservare un po’ in giro, che ecco che una voce squillante
si fece sentire da un’altra stanza facendola sussultare.
“Finalmente
sei tornato, iniziavo a preoccuparmi… Tu e i tuoi pedinamenti del cazzo a Misa Amane, perché non li fai fare a me? Io mi sto troppo rompendo le palle stando
qua…”
“Matt…”
“Oppure eri da quella
troia della Lidner? Preferisci farti lei che me, o
sbaglio? Sai, perché vi vedete un po’ troppo spesso per i miei gusti, e che
cazzo. Guarda che divento geloso, non mi frega una sega se per te si tratta
solo di lavoro…”
Mihael era in evidente imbarazzo. Le sue guance
assunsero un leggero colorito rosato dopo quelle frasi un poco equivoche e
piene di imprecazioni.
“Matt… Per favore, non
adesso…”
“Non
adesso un cazzo. Paghi pegno
adesso, stasera ci divertiamo…”
La figura che aveva
parlato fece finalmente capolino nella stanza spegnendo lo stereo, per poi
sussultare vedendo Natassia, rosso di imbarazzo per
aver fatto ascoltare le sue dichiarazioni di natura privata a qualcun altro che
non fosse l’amico.
La donna, dal canto
suo, si era mezza nascosta dietro al figlio, ormai più alto di lei,
distogliendo lo sguardo da quello strano giovane. Aveva però fatto in tempo a
vedere i suoi tratti, i disordinati capelli rossi un po’ lunghi, anche se non
come quelli di Mihael, il taglio era completamente
diverso. Portava una larga t-shirt nera con sopra stampato un omino stilizzato
come quelli dei cartelli stradali seduto su un gabinetto e la scritta
“Download”ben visibilepiù in basso. L’ironia oscena la metteva tremendamente a disagio.
Il biondo si sentì in
dovere di spezzare quell’atmosfera turbamento che si era venuta a creare. Matt
aveva davvero fatto un pessimo esordio davanti a sua madre. Le aveva fatto
capire un sacco di cose che non voleva svelare troppo presto. Tipo un aspetto
particolare del legame con Matt stesso, un aspetto che lei non avrebbe forse
potuto comprendere, e che l’avrebbe turbata. Se la sua religiosità profonda non
l’aveva abbandonata, non avrebbe volentieri accettato la situazione, ma ne
avrebbe sofferto.
Si schiarì la voce prima
di parlare.
“Matt, questa è Natassia…”
“Natassia…
No, ti prego… Non dirmi che è lei… E
ci ho fatto una figura di merda… Cioè, volevo dire, una brutta figura, sì, sì.”
“Sì… E’ lei, è mia
madre.”
Il colore del viso di
Matt divenne di una tonalità ancora più accesa. Aveva fatto una figuraccia
davanti a quella persona che spesso si era immaginato, tante erano state le
volte in cui quando erano piccoli, entrambi in orfanotrofio, avevano parlato di
lei. Aveva perfino sperato lui stesso che potesse ritrovarla un giorno… Ed ecco
che quando questo fatidico giorno arrivava, lui non faceva altro che darle
un’impressione decisamente cattiva… Si maledì da solo.
“Oh, no, non scusarti,
ecco, Mihael non ti aveva detto niente, sono io,
capitata qui così… Comunque, piacere di conoscerti, Matt…”
Il fatto che quella
donna si riferisse al figlio con il suo vero nome, e non con lo pseudonimo che
utilizzava di solito, gli fece intendere che non sapesse molto di quello che
gli era successo in quegli anni, e prese la saggia decisione di non
rivelarglielo. Sapeva che appunto la persona che si faceva chiamare Mello era un ricercato, un criminale su cui vigeva la pena
di morte per aver ucciso un poliziotto giapponese e soprattutto perché stava
tramando contro Kira... Contro il Dio che teneva il
mondo sotto scacco da ben sei lunghi anni… No, era meglio tacere, lasciarli
parlare tra loro, lasciare l’amico sbrigarsela e dirle solo ciò che secondo lui
fosse giusto confessarle. Non doveva intromettersi, a costo di star fuori casa
tutta la notte.
“Io penso di uscire…
Sì, mi cambio ed esco a bermi una birra in qualche pub… Così potete stare un
po’ da soli, avrete tante cose da dirvi… Tolgo il disturbo…”
Si stava voltando per
andarsene, che Mello lo prese per la manica
fermandolo.
“Grazie, sapevo che
avresti capito. Però torna tra un po’, non voglio che te ne
stai troppo fuori, sennò fai casino, ti conosco…”
“Tranquillo, Mel… Ehm,
Mihael. Rientrerò se vuoi. A dopo.”
Aspettò di essere di
nuovo solo con la madre, prima di farla accomodare. Quando Matt, vestito di
tutto punto ora, con dei jeans, una maglia a righe meno vistosa e sopra una
giacca beige, si richiuse la porta alle spalle, emise un lungo sospiro
porgendole una sedia in legno vicino ad un tavolo visibilmente più vecchio di
questa.
“Non è così come
sembra…” tentò di scusarsi per il rosso anche seNatassia non aveva commentato in alcun modo il suo
comportamento “Matt e io siamo molto legati, anche se è pieno di difetti… Non
saprei cosa fare senza di lui, anche se non lo mai ammesso. Mi ha davvero
aiutato quando non avevo nessuno. Ci siamo conosciuti in orfanotrofio, e dopo
essere diventati amici, non siamo più riusciti a star lontani uno dall’altro.”
“L’avevo capito… Si vede
che, insomma… Voglio dire… Siete tanto amici…”
Natassia faticava visibilmente a parlare. Deglutiva
ogni tre parole, le mani sul grembo si torcevano nervose senza sosta, essendo
ancora a disagio.
Poteva essere stata
ingenua un tempo, ma non era mai stata stupida. Le parole di Matt, quella
confidenza… Era molto probabile che fossero più di amici, e questa cosa era
come una piccola spina che la infastidiva, anche se non biasimava
quest’inclinazione del figlio. Non aveva alcun diritto di dirgli se fosse giusto
o sbagliato, anche se non le garbava. Mihael aveva
scelto la sua vita, e lei non doveva intromettersi senza capire almeno il
perché. Non era stata lei di certo a mettergli in testa qualcosa del genere
durante la sua infanzia, anzi, gli aveva sempre insegnato che era l’unione tra
uomo e donna quella lecita per il Signore…
Stava riflettendo su
come affrontare l’argomento, quando Mihael le offrì
da bere.
“Vuoi del the? Ho
anche del caffè o della cioccolata…”
“No… Non prendo nulla,
grazie lo stesso…”
Il suo sguardo era
rivolto alla stanza che doveva essere la camera da letto. Mancava la porta, e
quindi si poteva facilmente vedervi dentro. Si poteva notare un materasso a
terra, coperto da un cumulo di coperte diverse tutte ammassate. Un materasso matrimoniale.
No, non aveva più
alcun dubbio. Quei due di notte non dovevano solo dormire assieme…
“Mihael…”
disse indicando la camera “In quel materasso dormi con Matt perché non ne avete
trovati due singoli?”
“Ti prego, vorrei
evitare l’argomento. Non so cosa tu abbia capito, ma noi non stiamo insieme. E’
una situazione strana, lo ammetto, ma non ho alcuna intenzione di considerarmi
il partner di Matt. Tra di noi è
qualcosa che non so nemmeno come definire… Gli voglio bene, ma non sono
innamorato nel vero senso della parola… E se vuoi saperlo, beh, sì, ci vado a
letto. Fine della discussione.”
Era visibilmente
agitato. Vagava avanti e indietro davanti a lei gesticolando, facendo
scricchiolare il pavimento già malconcio.
“Non voglio
rimproverarti, tesoro… E’ solo che sono un po’ stupita, tutto qui… Mi sono
persa praticamente tutta la tua vita, me ne rendo purtroppo conto… E mi fa un
po’ uno strano effetto vedere che sei così diverso da quando eri un bambino…”
“Le persone cambiano,
e io ho dovuto adattarmi. Ho imparato a sopravvivere, e il modo non era troppo
diverso da quello che utilizzavamo quando eravamo io e te
assieme. Qualsiasi cosa pur di farcela. La differenza tra di noi,
è che io non mi faccio scrupoli. Mi dispiace, matiuska. Ho capito che se volevo andare avanti nel
mio cuore non doveva esserci spazio per lo rettitudine.
Se devo scavalcare senza pietà le persone spietate per arrivare dove voglio,
allora io devo essere peggio di loro.”
Natassia ascoltava in silenzio. Aveva male al cuore
ascoltando quelle frasi. Il suo angioletto che parlava in quel modo, che
praticamente ammetteva di essere stato una cattiva persona, mentre da piccolo
era l’essere più puro e dolce della Terra…
Gli prese una mano
fredda inaspettatamente mentre le si avvicinò. Rimase a fissarlo con gli occhi
lucidi, concentrata sulla cicatrice che rovinava quel viso una volta splendido
nonostante non volesse guardarla. Non c’era bisogno che le dicesse di più,
perché capisse. Si alzò in piedi anche lei, per stare faccia a faccia.
“Quanto hai sofferto,Mihael? Cosa ti è stato
fatto in tutti questi anni perché tu diventassi così… Così meschino? Io lo
vedo, tu hai vissuto talmente tanto tempo succube del male, da non riuscire più
a vedere nient’altro che quello. Dimmelo,Mihael. Dimmi perché. Non sei più capace di abbracciare, ne di piangere, ne di provare affetto… Mi sento tanto in
colpa… Non sono riuscita a fare nulla di buono per farti stare bene…”
“Mamma… Forse è meglio
che andiamo in camera. Ti spiegherò tutto.”
Per la stessa mano che
aveva afferrato la sua la condusse alla stanza e le indicò il materasso. Lei si
sedette un po’ titubante, e lui si mise accanto a lei. Si lasciò poi andare di
lato appoggiando la testa sulle ginocchia di sua madre. Il primo gesto di
affetto… Aveva avuto bisogno di tempo. Molto tempo.
Natassia, dal canto suo, cominciò subito ad
accarezzargli i capelli con dolcezza, ricominciando a sorridergli. Non voleva
mettersi in attrito, solo ottenere delle risposte. Lo vide chiudere gli occhi e
rilassarsi, distendere i muscoli.
“Ho fatto cose
terribili…” iniziò a confessare “Ho venduto il mio corpo per arrivare a vendere
in seguito il mio cervello, ho mentito, ho tradito, ho ucciso… E ora agisco in
un modo che forse mi riscatterà… Anche se c’è un doppio fine… Cerco di agire
facendo quello che sembra giusto, ma solo per una questione personale… Voglio
essere il migliore, me lo hai insegnato tu questo…”
“Non capisco… Non
capisco cosa intendi…”
“Forse è meglio così.”
La sua mente iniziò a
vagare nei ricordi ancora una volta. Ormai il suo passato con Natassia l’aveva rivisitato… Ma rimaneva quel che era
successo dopo. La sua vita non era finita come spesso aveva pensato rinchiuso
in quell’orfanotrofio, no, era andata avanti… E l’aveva ulteriormente
trasformato.
Era in quel posto che
non poteva soffrire appena ci ebbe messo piede, che aveva conosciuto Matt. Ci
era arrivato sei mesi prima di lui, e la prima volta che si videro tra di loro
non ci fu altro che odio. Era bizzarro come pian piano quei sentimenti di
discordia si erano trasformati in una profonda amicizia… E come per la prima
volta Mihael, o Mello, come
aveva iniziato a farsi chiamare in quel posto in cui il vero nome veniva
cancellato, conobbe qualcuno che era stato probabilmente in una situazione di
sofferenza come la sua…
Ecco un nuovo
capitolo!<3 Ringrazio tutte quelle che hanno recensito la scorsa volta (meno
numerose… perché???ç____ç) , in ogni caso, spero che
siate godute questo capitolo, che ho adorato scrivere!
E ricordatevi che il
10 gennaio è il mio compleanno, e Lolly invecchia
ancora… Ben +19!XD
Il titolo del
capitolo è già una chicca!XD Non so per quale motivo, ma mi
piace, sfogliavo il dizionario di inglese e ho trovato questa parola che faceva
proprio al caso mio… Ringraziamenti a fine chap!<3
Memories of a Stolen Childhood
Capitolo 19: Nosebleed
Mihael odiava la Wammy’s House. L’istituto gli aveva infuso una dose
cospicua di repulsione verso quello stesso ancora prima di entrarci, con quella
facciata severa in stile vittoriano e il giardino tutto recintato. Si sentiva
privato di libertà. Non avrebbe più potuto fare quello che
voleva, avrebbe dovuto seguire un sacco di regole, sarebbe stato completamente
solo, senza più sua madre, che fino a quel momento era stato un pilastro
portante della sua esistenza.
No, non ci poteva stare lì. Era tassativo, doveva
uscirne e tornare da lei. Non c’era altra soluzione, o sarebbe uscito
pazzo.
Già dal primo giorno li aveva odiati tutti quelli che
stavano lì dentro, dal primo all’ultimo, bambini, insegnanti e
pure il personale. Non ci aveva nemmeno provato a stringere una qualche forma,
anche primitiva, di amicizia. Non parlava mai con nessuno. Se ne stava in
disparte, a rodersi vedendo gli altri orfani giocare insieme a calcio o a
saltare la corda, e non cercava mai il dialogo.
Se proprio doveva dire qualcosa, lo diceva in russo, per
puro dispetto. Nessuno capiva, e gli altri finivano per lasciarlo stare. Poco
importava se veniva preso per un malato di mente.
Perfino a scuola azzardava questo suo comportamento di sfida
verso l’autorità e le regole. Scriveva tutto esclusivamente in
russo, e si divertiva a vedere i professori che si mettevano le mani nei
capelli, e che dovevano far correggere quegli esercizi a qualcuno che
conoscesse quella lingua… Quegli esercizi che si dimostravano in ogni
caso quasi completamente perfetti ogni volta.
Conservava ancora un certo orgoglio verso le sue
capacità Mello, come ora lo chiamavano,
nonostante lui detestasse l’uso dello pseudonimo. Lo considerava come un
annientamento dell’identità, uno scordarsi di chi era, un ripartire
da zero, e lui gliel’aveva promesso… Aveva promesso a Natassia che non si sarebbe scordato di lei. Perciò
o lo si chiamava Mihael, o lui non rispondeva,
nemmeno in russo.
Poi, se c’era una regola, lui tentava di infrangerla
almeno una volta. Non si poteva uscire dall’istituto, e lui tentò
la fuga tre volte in due mesi. Non si mangiava fuori pasto, ed ecco che veniva
più volte alla settimana beccato a rubare cioccolato dalla dispensa. Non
si poteva correre per le scale, e lui, manco a dirlo, si precipitava di qua e
di là spingendo tutti.
Non era difficile da capire che con quel suo modo di fare
così insubordinato e sgradevole, si era attirato addosso
le inimicizie di molti altri bambini un’altra volta, al di fuori
della scuola elementare. Dopo qualche settimana dal suo arrivo, iniziarono
subito le prime azzuffate. Mihael si dimostrava anche
particolarmente suscettibile.
In passato non gli era mai capitato di fare a botte sul
serio con dei coetanei. Sua madre ne sarebbe stata molto dispiaciuta. Lì
invece si sentiva invaso da una strana rabbia che lo portava ad essere
particolarmente aggressivo, e con chiunque, più piccolo o più
grande. E fino ad un certo punto gli era andata bene, giusto qualche graffio.
Un giorno però le cose andarono differentemente.
Come spesso accadeva, se ne stava
nel suo angolino a far niente, aspettando l’occasione buona per far
uscire qualcuno dai gangheri… E quest’occasione si presentò
subito.
Attaccò briga con due ragazzi molto più grandi
di lui, e nonostante si fosse battuto come una belva, niente lo salvò da
una corsa in infermeria, con il naso rotto per averlo sbattuto contro il muro
del giardino e la coda frale gambe.
L’umiliazione che provò quel giorno lo
peggiorò ancora di più, facendolo
diventare sempre più chiuso in sé stesso e violento.
Il direttore, un vecchietto curvo di nome Roger, con i
capelli bianchi e degli occhialetti sul naso adunco come il becco di un
avvoltoio, si dimostrava particolarmente preoccupato sull’andamento del
“Caso Mello”. Certo, gli erano già
capitati dei bambini particolarmente irruenti e poco inclini al rispetto delle
regole, ma questi pian piano si erano tutti calmati dopo un po’,
accettando l’orfanotrofio come nuova casa. Lui invece non accennava a
demordere, rifiutava qualsiasi tipo di dialogo. Gli faceva perfino pena, si
rendeva conto che doveva avere molto sofferto per comportarsi in quella
maniera. Gli mancava sua madre, ma non si poteva far niente per ricongiungerli.
Doveva imparare ad accettare la situazione.
Prese allora la decisione azzardata di metterlo in stanza
con qualcuno. Da solo non avrebbe fatto altro che passare il tempo a
incattivirsi il sangue, mentre magari se avesse avuto la compagnia di un altro
ragazzo dal carattere opposto al suo, più tranquillo e pacato, ormai
abituato all’idea di rimanere in orfanotrofio, avrebbe potuto trovare un
amico, e di conseguenza, placare quella sua aggressività. Non era una
brutta idea, quella del signor Roger.
Quando gli fu mostrata la sua nuova dimora, Mello rimase assolutamente impassibile, gli occhi
assottigliati come due fessure, il naso ancora tutto bendato. Era però
evidente che la sistemazione non gli era per nulla gradita. Aveva subito notato
i due letti, e aveva intuito all’istante il piano del direttore. Beh, non
si sarebbe certo adattato!
Prese il posto di sinistra, sbatté le sue cose
nell’armadio, appese al muro il crocifisso senza dire una parola,
l’aria estremamente stizzita, e aspettò. Non che fosse
particolarmente impaziente di vedere il suo nuovo coinquilino.
Si inginocchiò diligentemente su quello che aveva
deciso essere il suo letto, rivolto verso il crocifisso, e si mise a pensare
intensamente a sua madre. Non trascorreva giorno, infatti, in cui non le
dedicasse almeno un minimo di mezz’ora. La maggior parte dei suoi pensieri
erano rivolti a lei. Gli mancava davvero tanto, aveva bisogno delle sue carezze
dolci, del suono della sua voce amabile. Avrebbe voluto sapere se stava bene,
se si stava curando in quella clinica, se anche lei soffriva la lontananza
dall’unica persona che mai aveva amato veramente…
Ad un tratto però le sue orecchie percepirono il
rumore cigolante della porta in legno della stanza che si apriva, e subito dopo
il sonoro “clack”
della serratura quando questa si richiuse. Tuttavia, non alzò nemmeno
una palpebra, non si scompose assolutamente per vedere quello che molto
probabilmente era il suo nuovo compagno di stanza. Non era per nulla curioso,
semmai seccato, e in quel momento era concentrato nelle sue preghiere. Non
poteva distrarsi dal supplicare Dio di prendersi cura di Natassia
per un motivo tanto futile.
D’altro canto, nemmeno l’altro bambino sembrava
aver molta voglia di fare amicizia… E per Mihael
ciò non era tanto male, almeno l’avrebbe lasciato in pace.
Lo sentì pronunciare un “Ciao.” distratto
e per niente stimolante, poi ancora le molle dell’alto letto stridere, e
per finire la musica meccanica e ronzante di un gameboy accesso piuttosto
fastidiosa, ma che ignorò volutamente.
Rimasero in quelle posizioni di stallo per un tempo
indefinito, senza che nessuno dei due osasse rivolgere la parola
all’altro, immersi ognuno nelle proprie faccende, di tanto in tanto
pensando che il rispettivo coinquilino fosse un emerito idiota… Fino a
che uno non resistette più.
La musichetta ripetitiva tacque in un istante, sostituita da
una vocetta critica.
“Sai, avevo sentito dire in giro che eri un tipo
strano, che adori fare a botte, che preghi tutto il giorno come un cretino e
che parli solo in russo per darti arie… Ma ora ne ho davvero la conferma.
A te mancano un paio di rotelle, te lo assicuro io. In manicomio dovevano
ficcarti a te, non in orfanotrofio.”
La voce era vicina, probabilmente si era alzato dal letto
per dire quelle cose, maMihael
non rispose alla provocazione. Mantenne l’autocontrollo
sorprendentemente, ma solo perché stava facendo qualcosa di più
importante.
“Almeno potresti rispondermi quando ti parlo…
Non è che ti troverai molti amici continuando a fare così, sempre
il bigotto asociale che si compiace frignando… L non ti prenderà come
suo successore smosso dalla pietà, o dai tuoi bei occhioni
azzurri, sai? Solo a Roger fai pena, infatti mi ha
sbattuto in camera con te perché è un tipo che si commuove
facilmente davanti a quelli come te… Ma ti dico una cosa, principino Romanov, con me non attaccano
le tue preghierine e le tue lagne da
femminuccia.”
Solo a quel punto Mihael
aprì gli occhi, come punto da uno spillo. Il suo sguardo, rivolto ora
verso l’interlocutore trasmetteva tutto l’odio di cui era capace.
Voleva fargli capire quanto se ne fregasse di ciò che diceva, di quanto
l’ostilità fosse reciproca. Se avesse potuto, lo avrebbe
incenerito.
Quel bambino che doveva avere circa la sua età, con i
capelli rossi scompigliati e due profondi occhi verdi, un po’ più
robusto e alto, avrebbe dovuto rimanere al suo posto e
tacere, lui con i suoi inutili moralismi.
Non aveva bisogno di un inferiore
in camera con lui. Già, Mihael non era mai
stato invaso da un tale disprezzo verso qualcuno. Quel tipo non valeva niente ai suoi occhi. Forse era per
ripicca nei confronti a tutti quelli che lo avevano considerato come
l’immondizia per la sua situazione sociale e familiare, non lo sapeva,
non gli era mai capitato. Sapeva solo che lui era qualcuno che lo stuzzicava, e
che doveva assolutamente riportare ad uno stato di succube. Ne aveva quasi
paura, e non sapeva perché…
E poi era stata Natassia stessa a
ripetergli che non avrebbe mai dovuto sottostare a
nessuno. In fondo, non stava anche mettendo in pratica il volere di sua madre?
Ne sarebbe dovuta essere orgogliosa…
Con un movimento inaspettato e improvviso, si alzò in
piedi di scatto e sputò con sfacciataggine sul parquet un po’
rovinato, proprio davanti ai piedi del rosso. Questi
non apparve però, intimidito.
“Sputami pure quanto vuoi… Ti credi tanto superiore, no?” continuò osservando la
chiazza viscida di saliva “Ma lascia che io ti apra gli occhi, riccioli d’oro… Tu non sei
diverso da nessun altro qui dentro, non sei speciale. Tutti noi abbiamo
perso i genitori per un motivo o per l’altro, c’è chi
addirittura non li ha mai conosciuti. Abbiamo tutti sofferto immensamente.
Quindi smettila di fare la testa di cazzo.”
Fu immediato. Mihael non
riuscì più a controllarsi, era troppo. Quello doveva star zitto.
Zitto!
Lo colpì con uno schiaffo, in pieno volto e senza
alcun preavviso. Come c’era d’aspettarsi, l’altro
reagì, rispondendo con un secondo ceffone. E da lì fu facile
scatenare la zuffa, dopo che la miccia era stata accesa.
Nessun esclusione di colpi. Mihael
picchiò forte, ma non era abbastanza. Tentò allora di graffiare
il viso, e di mordere gli arti dell’avversario non appena questi erano a
portata di denti. Riuscì nell’intento con quella che doveva essere
la sua mano, mosso da una rabbia senza controllo. Voleva solo fargli del male,
non pensò ad altro, mentre gli affondava a sangue gli incisivi nella
pelle, assaporando l’urlò di dolore che ne conseguì. Il
rosso, gridando, cercò di allontanarlo, strattonandolo violentemente per
una ciocca di capelli lunghi, tanto forte da fargli arrivare le lacrime agli
occhi per il male. Eppure Mihael resistette, la sua
mascella non mollo la presa, nemmeno quando il ciuffo
di capelli si staccò. Sofferente, il rivale tentò allora un gesto
disperato per liberarsi. Indirizzò il pugno ancora chiuso intorno ai capelli strappati dritto sul naso in via di guarigione di Mihael, provocandogli un dolore lancinante che lo costrinse
ad allentare la morsa e lasciargli andare la mano. Sentì addirittura un
leggero scricchiolio sotto le nocche, un piccolo “crick” quasi impercettibile.
Il biondino urlò dal male accasciandosi a terra rannicchiato, le mani a coprire il volto, iniziando a
piangere.
Il rivale rimase immobile, frastornato, tenendosi
l’arto sanguinante, sul quale erano ben visibili le impronte di denti. La
parte razionale del suo cervello gli suggeriva di riempirlo di botte ora che
era indifeso lì raggomitolato che gemeva, eppure non ne ebbe il
coraggio. Tutto ad un tratto si rese conto di aver davvero esagerato, che
quello non era un videogioco… Che se si ci
faceva male, era sul serio, e che la spavalderia non premiava nessuno, come
nemmeno la slealtà.
Se l’era presa con lui sfogando la sua personale
frustrazione, era stato troppo duro. Doveva aiutarlo, e non aveva fatto altro
che danni… Probabilmente gli aveva rotto di nuovo il naso.
“Ehi… Ehi, tu…” lo chiamò
farfugliando “Io… Non volevo farti così male, sul
serio… E’ che mi hai morso, mi hai fatto male… Però
non volevo arrivare a questo… Mi dispiace… Mi dispiace per averti
detto quelle cose…”
Lo tirò su aiutandolo a mettersi seduto contro il
fianco del letto.
Vide che grosse lacrime solcavano le sue guance, e una densa
macchia scarlatta di sangue che macchiava la spessa garza sotto le narici. Gli
appoggiò timidamente la mano sana su una spalla, anche lui piangente.
“Non volevo… Avrei dovuto mantenere la calma,
non so cosa mi è preso, di solito non amo i cazzotti… La
verità è che… Che qui dentro siamo tutti infelici, e io me
la sono presa con te come capro espiatorio, vedendo come fai… Mi dispiace
molto.”
“Non… Non è colpa tua...”
Rispose Mihael con voce nasale e
singhiozzante, sempre una mano sul naso “Io ti ho colpito per
primo… E ti ho sputato. Sono io che ti devo
chiedere scusa, ehm…”
“Matt. Anche se in realtà il mio vero nome
è Mail.”
“Io sono Mihael… Ma
qui, bisogna chiamarmi Mello.”
Sorprendendo anche Matt, Mello
aveva parlato in inglese, per la
prima volta dopo tanto tempo.
Ora capiva, comprendeva perché lo aveva temuto tanto
prima. Lui comprendeva le sue parole, i suoi gesti, era stato tutti lì,
semplice, adesso che ci pensava su. Si era reso conto, che tra tutti i bambini
con cui aveva avuti dei contrasti violenti, lui era stato l’unico che era
parso così disperato nella
violenza. Si era visto riflesso, era stato questo a spaventarlo inconsciamente
sentendolo parlare. Matt era simile a lui, anche se in apparenza molto diverso.
Forse il vecchio Roger non aveva fatto un grande sbaglio a
fargli condividere la stanza con quel rosso… Anche se, ne era certo, non
lo aveva fatto consapevolmente.
Mello si tamponò il naso,
notando sulle dita delle gocce di sangue che stillavano dalle garze.
Guardò Matt con preoccupazione. Anche lui era ferito, aveva un brutto
graffio su una guancia, per non parlare della mano. Si sentì anche lui
parecchio in colpa.
“Scusami per quello che ti ho fatto… Sono molto
pentito…”
Inaspettatamente, come se si fossero messi inconsciamente
d’accordo si abbracciarono. Era strano, irreale, eppure fu una cosa
naturale, quasi ovvia per loro.
Si rendevano conto di soffrire ugualmente per la perdita dei
rispettivi genitori… E nel male comune, nacque l’idea della
comprensione l’uno dell’altro, del sostegno reciproco sotto lo
stesso patimento.
“Mi manca tanto mia madre, Matt… Non ho avuto
altro che lei nella vita, l’ho molto amata… E ora che non è con
me, sento di non poter vivere… E’ per questo che sono tanto
aggressivo… Non me ne importa niente di L, non ci tengo per niente ad
essere il suo successore… Io lo odio, è stato lui a rovinarmi la
vita, a farla portar via da me…”
“Devi farci l’abitudine a stare qui… I
miei genitori non è che tenessero molto a me, però, quando
morirono, ho sofferto tanto anch’io… Ci si sente abbandonati, lo
so… Però credo che sia meglio andare in infermeria, ora…
Siamo messi male. Ce le racconteremo un'altra volta, le nostre vite.”
Si alzarono entrambi, facendo attenzione a non cadere, e si
diressero a piccoli passi alla porta.
Mello si sentiva felice. Sentiva
di aver finalmente trovato qualcuno che non aveva mai avuto. Un amico.
Però c’era ancora una piccola cosa che sentiva
di dover chiarire con lui.
“Ahm… Matt…”
“Sì?”
“Volevo dirti che comunque io non sono Russo… Ma
Bielorusso. Quindi niente Romanov, mi dispiace per te... Non potrai portarmi in
trionfo come ultimo disperso erede della casata, e quindi, dovrai rinunciare ai
dieci milioni di rubli come ricompensa per avermi trovato…”
Nemmeno il dolore alla mano, poté trattenere il rosso
da una risata divertita piena di gusto, che suonò tanto deliziosa alle
orecchie di Mello.
Oggi ho proprio
voglia di dilungarmi nel rispondere! Mi sento un po’ ciarliera e ho
voglia di chiacchierio!XD
Innanzitutto, spero
che il primo brutale incontro tra Mello e Matt vi sia
piaciuto. Volevo far trasparire un po’ di sana violenza nei loro atti
infantili, perché credo che la crudeltà non sia una prerogativa
degli adulti… Insomma, spero di aver fatto comprendere quanto
l’odio e la sofferenza possano diventare perfetti moventi anche per le
anime più pure.
In ogni caso, questa
violenza terribile iniziale come sappiamo diventerà la base di una salda
amicizia…
Ah, e spero che
abbiate colto il riferimento ad Anastasia sulla battuta finale!XD Alleggerisce
un po’ il clima!^^
Ma ora i
ringraziamenti:
EleIvanov: Grazie per la recensione, visto che hai detto che non lo fai mai, mi
sento potente! Kukuku… Grazie ancora! Spero di
scrivere altri capitoli “meritevoli”! Baci!
KeR:
Beh, ho cercato di conciliare il drammatico e il comico! Grazie per aver
apprezzato! Kiss! E questa volta, non dimenticarti di
recensire però!XD
reidina: Sono non felice… Di più! La
tua recensione era bellissima! Si vede che ami i nostri dueMello e Matt! E non posso darti torto!<3 Ci
comprendiamo! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Baci, Arthur!XD
L i a r: si, devi farmeli il
10!XD Comunque tranquilla, dimenticanza perdonata! Però sta volta, non
dimenticarti!<3
_pEaCh_: Ma ciauPatatiniiiiii (oddeoXD)!
Felice di leggere la tua recensione, felice che recensisci
anche se ti spoilero... Sorry,
è più forte di me! Chiedo perdono umilmente! <3
SPLITkosher: Spero che non ti travolga con la potenza di un camion!XD Ok, battuta
di merda… Sorry, ora taccio…<3
Sydelle:
Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo! A presto!<3
Elly_Mello: Eheh, so che ti è piaciuto… Io
so tutto di te!XD Il fatto è che mi ispiri, amore mio… E ti regalerò
la maglietta prima o poi, l’avevo vista in un catalogo!XD Baci, amore
mio!<33333
Premetto, questo è un capitolo “special”.
Non è strettamente legato alla storia di
Mello, ma è stato mio diletto scriverlo, e vorrei
sapere che cosa ne pensiate. Lo so, lo dico da adesso, è molto strano, un po’
diverso dal mio solito stile, c’è una vena di ironia che raramente si fa notare
nei capitoli precedenti, eccezione fatta per la comparsa di Matt davanti a Natassia.
Qui presento la
famiglia i Matt, i due personaggi hanno dei tratti un
po’ “esagerati”, ma è una cosa del tutto volontaria: è evidente infatti come in
DN i personaggi abbiano spesso dei caratteri iperbolici e monolitici, così
volevo provare a descriverli in questo modo… Spero di esserci riuscita!^^ Anche
se non so se questa digressione sarà apprezzata… Anche se io lo spero.^^
Ringrazio per aver
recensito:
_pEaCh_: Teso! Le tue
recensioni poetiche non possono mancare! Grazie! TVTB!!!<3
patri_lawliet: E finalmente ti fai di nuovo viva!XD Mi
preoccupavo! E Grazie mille per gli auguri! Ah, e sì, mi sembra evidente che lo yaoi tra Mello
e Matt ci sia… Contenta?XD Kiss!<3
reidina: Quando descrivevi la pralina avevo la
bava alla bocca che mi faceva molto Homer Simpson
Style… E in effetti trovo che hai davvero ragione! Loro due sono fatti per
stare assieme, anche se Mello… Vabbè,
Mello è Mello!XD Solo una
cosa… Sai che io odio High School Musical? (Ora mi picchia…) L’ho sempre trovato un film cretino… Vabbè, sorry, ma quando non mi
piace una cosa devo dirlo…T_T Se non mi piace non mi
piace… Spero che recensirai lo stesso… Kiss!<3
L i a r: Ma sai che io pure quando scrivevo sentivo
male per lui? Per quanto mi riguarda, trovo che il
naso sia un punto sensibile!XD
KeR:
Potevi anche non dileguarti, sai? A me certo non avrebbe dato fastidio!XD Kiss!<3
linkinparkforever:
Oddeo, cosa ti è successo?O.o
Spero niente di grave! E tranquilla, recensisci quando poi, in ogni caso sai
che i tuoi commenti sono sempre graditi!<3
Elly_Mello: Amore mioooo!<3 Vedrò di scrivere ancora
capitoli che ti piacciano! E non vedo l’ora di inziareT.T.R., in cui sfogheremo la nostra perversione!XD Ti
amo come sempre!<3 A
presto!
Memoriesof
a StolenChildhood
Capitolo 20: Freedom
Henry e CharlineJeevas non avevano mai avuto in programma di fare un
figlio. Questo era arrivato tutto d’un tratto, così per caso quasi, e insieme
avevano accettato l’idea che forse non sarebbe nemmeno stato tanto male. Fu
così che Charline partorì il primo febbraio 1990 un
bel maschietto.
Ed effettivamente, all’inizio non fu un grosso problema.
La coppia, ventitre anni lei, ventidue lui, viveva in un
piccolo monolocale costantemente immerso nel disordine, ma in cui comunque
culla e seggiolone entravano perfettamente, tra cartoni di pizza e vecchi
dischi in vinile. Non che fossero maniaci della pulizia e dell’ordine…
Tutt’altro.
Henry, capelli un po’ lunghi e mossi castano chiaro e due
occhi brillanti color cioccolato, lavorava di sera come bassista in una piccola
band denominata “Dungeon’sCrisis”, una
di quelle che suonava sempre nei pub più scalcagnati di Londra, ma che mai e
poi mai avrebbe potuto fare anche il minimo successo. E pensare che i due si erano trasferiti dall’Irlanda nella capitale del Regno
Unito proprio alla ricerca di fortuna. Questa non era mai arrivata, ma ormai ci
avevano fatto il callo. Se la spassavano alla grande in compenso, cosa volevano
di più?
Charline, al contrario di lui, era
piccola e un po’ paffutella, con lunghi capelli rossi e un visibilissimo
piercing al labbro inferiore. Non si somigliavano molto, a parte per il
tatuaggio identico che portavano con orgoglio sull’avambraccio destro: una
piccola fenice, fatta qualche mese dopo il loro fidanzamento ufficiale.
In effetti, visti esternamente sarebbero potuti sembrare
solo una coppia di accattoni miserabili che vivevano senza alcuna regola morale
e igienica, spesso ubriachi e veramente poco inclini al mestiere di genitori
per il loro infantilismo… Ma in realtà, si amavano davvero moltissimo. Tra di
loro, scartati dalla società, avevano trovato compagnia e sostegno, incastrati
nel loro piccolo mondo di divertimento ed eccessi.
Henry trovava che Charline fosse la cosa migliore che potesse esistere, dopo
il metal e la birra ovviamente, e per lei era uguale: Henry era il suo più
grande amore dopo il Jack Daniel’s e le avanguardie cibernetiche. In effetti, Charline si dimostrava molto interessata all’avvento dei
computer e dell’elettronica. Trovava affascinante l’idea all’epoca ancora
acerba di internet e dell’era digitale… Aveva perfino chiamato il figlioletto Mail, nome assolutamente inventato che
ricordava la posta elettronica, la posta del
futuro, come buon auspicio per lui. E questi le somigliava davvero molto,
con i capelli rossi identici ai suoi e la stessa espressione che sapeva di
malizia.
Il rapporto che Mail ebbe fin dalla più tenera con i proprio genitori fu sempre molto particolare. Anche da
grande ammise ogni volta che parlava di loro che li aveva visto come degli
amici spassosi, dei fratelli, piuttosto che una madre e un padre.
Il fatto era che erano stati completamente incapaci di
prendersi seriamente cura di lui era evidente per chiunque. Certo, non erano
cattivi, ma proprio era nel loro carattere, erano fatti così, ribelli,
sconsiderati e senza il minimo senso del dovere. E Mail, immerso in
quell’ambiente tanto inconsueto per un bambino, era tuttavia felice di avere
accanto quei due individui divertenti e fuori dalle righe, che gli insegnavano
che la cosa migliore nella vita era il divertimento, che gli perdonavano tutto,
che non moderavano mai il linguaggio berciando parolacce e bestemmie senza
ritegno, così diversi dai genitori che si vedevano sempre alla tv…
Sicuramente uno degli esempi più lampanti della loro
immaturità e imprudenza, fu quando fecero fumare il figlioletto quando aveva
solo tre anni.
Erano seduti tutti e tre intorno al tavolaccio in formica,
Henry e Charline gli stavano insegnando le regole
base del poker.
Mail era sempre stato precoce e di intelletto pronto, e
doveva questo, anche se pareva impossibile, proprio all’atteggiamento della
coppia nei suoi confronti: aveva dovuto imparare da subito ad essere autonomo e
ad arrangiarsi, e ciò aveva notevolmente sviluppato il suo acume e ingegno.
Queste due capacità erano state subito notate da loro, che cercarono appunto
anche di farle fruttare al massimo… Secondo i loro canoni. Fu così che Henry
gli insegnò tutto il repertorio dei Dungeon’sCrisis, portandoselo qualche volta dietro alle prove
per farlo cantare come una piccola mascotte, e Charline
lo istruì all’uso dei computer. Erano molto fieri di lui, per loro era
assolutamente il figlio perfetto… Stava venendo su esattamente come
desideravano. Così, arrivò anche il momento di insegnargli il poker.
Mail aveva seguito attentamente le spiegazioni di Henry, si
era concentrato molto per rimanere impassibile davanti alle sue carte cercando
di bluffare. Voleva farli felici, come sempre… E li fece invece rimanere
letteralmente a bocca aperta a boccheggiare, quando, grazie alla sua abilità,
vinse una manche con un full house:
tre regine e una coppia di cinque.
“Ma che malefico che sei! Porca
puttana, ci hai fatti secchi! Per fortuna che non si giocava
a soldi!” esclamò Charline battendo le mani e ridendo.
“Ce l’hai messa proprio nel culo, Mail!” continuò Henry
battendogli delle pacche sulla testa “Charline, ‘sto marmocchio c’ha stoffa, te lo dico io… Io ero convinto
che avesse qualcosa tipo una scala o
un tris da come si comportava… Ma non
un full! Mio Dio, mio figlio è un
genio, degno erede di suo padre…”
“Ah, Henry… Credo che Mail si meriti un bel premio…”
La donna cercò nelle tasche della sua felpa marrone, per poi
tirarne fuori un pacchetto quasi finito di Camel
light. Ne estrasse l’accendino che vi aveva messo dentro e una sigaretta, e li
porse al figlioletto, che ora la fissava interrogativo storcendo il nasino.
“Avanti, prendila e fuma. E’ tutta tua.”
“Dai, Charly…” lagnò
Henry sbilanciandosi all’indietro con la sedia restando in equilibrio sulle due
gambe posteriori di questa “Non ti sembra di esagerare? Ha
tre anni, e se dopo sbocca?”
“Se sbocca pulisco. Non è mica una canna, non gli farà
niente. Sono solo curiosa di vederlo mentre fuma! Su, Mail, fai divertire la
tua mamma Charly. Te l’accendo io.”
Il bimbo sorrise appagato, la prese e se la mise in bocca.
Provava davvero una gran soddisfazione: fumare era una cosa
che perfino loro gli avevano sempre proibito, dicendo che era “da grandi”. Non
gliel’avevano mai permessa, una cosa del genere… Era come se ora lo
considerassero un vero adulto, un loro pari. E il bimbo desiderava segretamente
moltissimo questo riconoscimento. Li ammirava, voleva essere come loro.
Charline gliel’accese, e subito il
figlio inspirò forte chiudendo le palpebre. Peccato che non
fu facile come credeva, e capì così perché era una cosa da adulti: il
fumo bollente gli invase la gola e i polmoni come un acido che bruciava,
costringendolo a tossire come un pazzo e ad asciugarsi le lacrime involontarie.
Henry e sua madre risero a crepapelle di fronte a quella
scena buffissima.
“Te l’avevo detto!” affermò l’uomo ridacchiando “Te l’avevo
detto che non avrebbe resistito! Povero, povero figlio mio! Tua madre è
demente… Però mi fai scompisciare dal ridere con la faccia che fai, Mail!
Sembra che qualcuno ti abbia fatto assaggiare la merda! Ah, ah, ah… Dammi la
sigaretta, va’, la finisco io, o va a finire che svieni.”
Mail, ancora pieno di tosse, con
gli occhi lucidi e un saporaccio in bocca, riusciva a ridere anche lui.
Ovviamente tuttavia non aveva più molta voglia di fumare, vizio che prese solo
verso il quindici anni fuggendo dalla Wammy’s House, ma in ogni caso, non ce l’aveva con i due
genitori. Erano troppo simpatici, in loro compagnia si poteva ridere di tutto,
i problemi sembravano non esistere… Era completamente libero, in quell’appartamento
si faceva quello che si voleva. Stava bene…
E nulla di quel giorno di un anno e passa dopo in cui Mail
si ritrovò davvero da solo avrebbe lasciato presagire l’imminente catastrofe.
Era un tardo pomeriggio di un giorno qualunque. Durante la
giornata non era successo niente di particolarmente rilevante, era stato un dì
piatto e regolare. Henry si era messo a strimpellare un nuovo pezzo in camera
da letto, Charline guardava un telefilm americano un
po’ becero in tv con sguardo di chi si stava annoiando e non trovava niente di
meglio da fare. Mail giocava a Tetris
sul suo gameboy.
Tutto partì da un’innocente ordine
della donna verso il figlio, una frase detta distrattamente, meccanica.
“Mail, lanciami ilJack, e già che ci sei porta una Guinness a tuo padre che avrà sete a
forza di ripetere gli stessi pezzi col basso.”
Il bambino guardò diligentemente nel frigo e prese una
lattina ghiacciata della birra indicata, poi si osservò attorno alla ricerca delJack Daniel’s. Di solito era in giro, su un ripiano o sul tavolo, ma quel giorno non ce ne era alcuna traccia.
“Mamma, non lo trovo ilJack!” gridò ormai arreso all’evidenza
“Forse l’hai finito e non te ne sei accorta.”
Dall’altra stanza arrivarono una lunga serie di
imprecazioni. Charline odiava rimanere senza il suo
adorato wisky. No, non poteva stare senza. Non era
nemmeno così tardi, forse avrebbe potuto fare in fretta a correre verso il
minimarket più vicino e comprarne una bella scorta. Oltretutto, le mancava
anche altra roba da mangiare.
Fu lei stessa a portare la birra a Henry e a comunicargli
che stava per uscire. L’uomo smise di suonare, stanco e sudato, e decise di
accompagnarla. Aveva bisogno di una pausa, quella musica gli stava facendo
venire mal di testa.
“Torniamo subito, fai il bravo e aspettaci.”
Mail non avrebbe mai potuto immaginare che quelle sarebbero
state le ultime parole che avrebbe sentito dai suoi genitori. A malapena lì
salutò, concentrato nuovamente sul suo gameboy, e non li guardò uscire. In un
certo senso si pentì di questo.
Avrebbe potuto abbracciarli, dirgli “Vi voglio bene!” anche se non era un amore molto “profondo” in
senso di amore famigliare, oppure anche semplicemente osservare con attenzione
i loro visi un’ultima volta… Invece non fece nulla.
Non si preoccupò subito, quando non li vide tornare. Spesso
era successo che uscissero a fare degli acquisti e che non tornassero fino al
mattino dopo. Certo, o si erano ubriacati in qualche bar, o avevano incontrato
per strada qualche amico che li aveva invitati a qualche festa dell’ultimo
minuto invece di andare a comprare le cose che servivano, ma in un modo o
nell’altro erano sempre ritornati indietro.
Questa volta invece, non avrebbero più oltrepassato più
quell’uscio stretto e disordinato.
Mail si era addormentato sul divano a stomaco vuoto,
raggomitolato sotto una coperta scozzese lanuginosa, quando la polizia bussò
forte svegliandolo.
Non avrebbe mai pensato di poter piangere per i suoi genitori,
quando gli annunciarono che, attraversando la strada correndo per raggiungere
in fretta un minimarket prima che chiudesse, si erano fatti investire da un
pullman di turisti che rientravano in albergo.
Eppure, non fu mai completamente convinto che le lacrime che
versò fossero esclusivamente per quei due folli che fino all’ultimo istante
della loro vita avevano pensato esclusivamente al loro divertimento… Forse, lo
aveva fatto solo perché, inconsapevolmente, sapeva che da lì in avanti la sua
vita non sarebbe più stata lo spasso senza alcuna regola a cui era abituato… Da
quel momento in poi, sarebbe stato tutto molto, molto più difficile…
Ok, basta con i capitoli ridicoli ( e ringrazio la mia compagna di banco
per aver insistito nel voler che io creassi Charline sotto sua ispirazione
Ok, basta con i
capitoli ridicoli ( e ringrazio la mia compagna di banco per aver insistito nel
voler che io creassi Charline sotto sua
ispirazione!XD NdTutti: ma che amiche hai???)! Si torna alla storia principale!!!
E con una bella novità, un nuovo passo nella storia di Mello…
Perché, diciamocelo, manca ancora un nodo a venire al pettine: Mello qui odia L, com’è possibile che cambi opinione in
seguito? Eheh… Tutto ha una spiegazione!^^ Lolly pianifica tutto, sìsì!XD
Ringrazio:
linkinparkforever: Grazie per i complimenti!<3 E per
fortuna che non era niente di grave!^^ Ci tengo alla salute fisica (quella
mentale è irrilevante XD) delle mie fan! Un bacione enorme!
Elly_Mello: Elly!X3 Finalmente la nostra mostruosità di
cattiveria ha avuto inizio!XD Non vedo l’ora di pubblicare! Grazie come sempre
del tuo sostegno per questa fic, lo sai che sei la
mia grande critica! Ti adoro come sempre, cara! Non ci separeremo mai!<3ßcome
sono dolce!^^
L i a r: Lo so, ma ho fatto apposta, per sottolineare
la loro incoscienza… Poverino, se penso alla mia prima sigaretta, mi era
bruciata un macello la gola!XD E grazie per gli auguri!^^
aikonekoblack: sì, un pasticcio di tutte le mie fan fiction messe
assieme!XD Comuqnue mi ha fatto davvero piacere il
fatto che ti piaccia tutto quello che scrivo! Grazie, grazie, grazie!<33333 Però
credo di doverti deludere su un punto… Come ho già fatto dire a Mello, loro due non stanno assieme veramente, nel senso che
non si sono mai detti “ti amo”, quindi non credo di poterlo raccontare… Mi dispiace!
_pEaCh_: E tu sai perché è
stata una Camel, perché mi conosci!XD Eheh, la mia
crudeltà non ha limite… Ma era comunque una Camel light, bada! Un bacione,
teso!<3
KeR:
Ne ho pure troppa di fantasia… E’ una mia pecca! Comuqnue,
credo che chiunque possa scrivere queste cose, basta concentrarsi e della buona
musica nelle orecchie per quanto mi riguarda!^^ Bacioni!
reidina: Ah, ecco!XD Sarà meglio, ci sarei rimasta
troppo male! Comunque sorry per il chap breve… Mi disp!!! Ma sai, è tutto calcolato nei miei chap,
quindi non avrei potuto farlo più lungo! E comunque, tu credi di essere pazza
per quella cosa?XD Perché ti avviso che stai recensendo la fanfic
di una che vuole chiamare suo figlio MikhailDimitrij, e spera con tutto il cuore che diventi gay da
adulto!XD Sono più pazza di te!XDDDDD Bacioni, caVa!!!<33333
Memoriesof
a StolenChildhood
Capitolo 21: DNA
Se la compagnia di Matt aveva pian piano aiutato Mello a migliorare enormemente il suo rapporto con gli
altri giovani ospiti della Wammy’s House, addolcendo
il suo carattere bellicoso e limitando la sua insofferenza verso le persone
grazie a piacevoli distrazioni, non era sicuramente in grado di fargli cambiare
parere su L.
Uno degli allievi più brillanti, uno dei più indicati per succedergli
a momento debito non voleva saperne di lui, perché lo riteneva unico e diretto
responsabile della sua lontananza da Natassia. Lo
odiava, spesso lo ripeteva a Matt. Non che quest’ultimo prendesse mai una parte
precisa. Non giustificava mai il grande detective, famoso, stimato da un gran
numero di presone nonché da praticamente tutti gli
orfani della Wammy’s House, ma nemmeno compativa
troppo la vita e la sfortuna dell’amico. Solitamente si limitava ad ascoltarlo,
annuire alle dichiarazioni diffamanti di Mello su L,
per poi trascinarlo a giocare grazie alla prima scusa facendogli scordare di
cosa stava parlando.
Ed era proprio questa la grande dote di Matt: lui sapeva
come prenderlo, sapeva distrarlo dalla tristezza dei ricordi passati, sapeva
farlo ridere, sapeva renderlo felice. Con lui il biondo dimenticava il suo
dolore, le giornate passavano lisce in fretta.
Mello però, si era ripromesso che
per quanto gli volesse bene, non avrebbe mai potuto prendere il posto nel suo
cuore che spettava a Natassia. Lei gli aveva dato la
vita, lo aveva amato incondizionatamente, si era sacrificata per il suo bambino… No, Matt non poteva essere sullo
stesso piano, e per quanto gli volesse bene e gli fosse grato della sua
vicinanza, non riusciva pienamente a dimostrargli affetto.
Non si toccavano mai. Mai. Era qualcosa di reciproco, una
specie di freno, che il biondo aveva interpretato come un segno di stima e
rispetto. Erano amici, ma la loro non era una di quelle amicizie dirompenti,
che come il fuoco divampavano e si spegnavano in pochissimo tempo finito
l’impatto di novità… No… Era un sentimento più discreto,ma molto più potente. In effetti era difficile vederli separati l’uno dall’altro.
Non c’era Mello senza Matt.
Un giorno il biondo fu convocato però da solo nell’ufficio
del vecchio Roger. Solo. Non gli
piaceva. Non aveva ancora combinato niente, quindi subito era da escludere
un’ipotetica ramanzina che tanto non sarebbe stata minimamente ascoltata. Per
che cosa avrebbe potuto volerlo lì, allora, quel rimbambito?
In aggiunta, visto che la figura rassicurante di Matt non
era al suo fianco non si sentiva per niente tranquillo. Gli avrebbe tenuto la
mano per farsi coraggio se fosse stato presente, in modo da sostituire in parte
un abbraccio di Natassia tanto bramato…
Appena giunto all’ufficio non perse nemmeno tempo a bussare,
entrando di botto poco educatamente con aria sdegnata e a passo di carica.
Roger era al suo solito seduto dietro la sua raffinata scrivania in legno
antico lucido di cera appena passata, a scribacchiare non si sapeva cosa su
qualche pezzo di carta.
Quella stanzetta era sempre stata decisamente buia e
soffocante, con tutti quegli scaffali pieni di libri ammuffiti e le finestre
che irradiavano pochissima luce. Spesso Mello
si era chiesto, come molti altri suoi coetanei, come fosse possibile che
riuscisse a stare tutte quelle ore lì ingobbito senza mai marcire, o almeno
annoiarsi un po’.
Quel giorno però, c’era qualcosa di anomalo. Vide, che
accanto al gomito sinistro del vecchio vi era appoggiato un computer portatile
con una videocamera e delle casse sonore, oggetto inusuale per quel dinosauro
di Roger. Lo schermo, rivolto verso l’entrata, presentava uno sfondo
completamente bianco, ad eccezione di una grossa L
nera in carattere Old English.
Il bambino strinse i pugni, l’espressione dura, bloccato
sull’uscio.
Era L. L’uomo che aveva distrutto la sua vita. Che gli aveva
portato via la sua amata mamma. Voleva qualcosa da lui, era chiaro. Gli avevano
raccontato che non si faceva mai vedere in faccia e che viveva isolato in un
posto sconosciuto, ma che se voleva comunicare con qualcuno utilizzava sempre
un computer.
Ma lui non voleva parlargli. Non aveva nulla da dire a quel
farabutto. Se avesse potuto, gli avrebbe sputato in faccia.
“Mello, siediti.” Ordinò con poca
convinzione il direttore indicandogli una sedia di fronte alla scrivania.
Obbedì senza rispondere, controvoglia. Si mise a fissare
stizzito lo schermo luminoso, ma non accadde niente. Si sentiva divorato
letteralmente dalla tensione, ansioso. Aveva le mani completamente sudate.
“Parla, pezzo di merda.”
Aveva mormorato quelle parole a denti stretti, in russo,
convinto che nessuno dei due avrebbe capito.
“Non è gentile da
parte tua, Mello. Potresti almeno salutarmi, prima. E
poi dovremmo parlare in inglese, perché Roger deve capire ciò che diciamo. In
ogni caso, sei stato molto, molto maleducato.”
Una voce metallica, asessuata e innaturale,
si propagò per la stanza. Era proprio lui… Quella persona a detta del mondo
geniale, di cui lui era uno dei candidati alla successione nonostante lo
detestasse. Come aveva osato fare una cosa del genere? Venire a parlare proprio
a lui, e soprattutto a sgridarlo in russo! No, non aveva diritto di esprimersi
nella sua lingua madre.
“Ti odio!” gridò sbattendo la sedia a terra alzandosi in
piedi, rosso di rabbia “ Ti odio hai capito? Mi hai portato via mia madre! Era
l’unica cosa che avevo, e ti me l’hai rubata! Non
voglio vederti, non voglio parlarti! Per me non sei niente, sei meno della
merda!”
Roger fu colto dal panico a quello scatto d’ira, malgrado L
lo avesse preparato ad una reazione del genere da parte del bambino. Non riuscì
a non intervenire, condizionato dalla riverenza che portava verso di lui, e dal
desiderio di far buona figura. Cosa avrebbe pensato dell’educazione che veniva
impartita nel suo istituto? Che tutto fosse degenerato da quando lo aveva
lasciato ormai adulto? No, non era possibile, non poteva permettere che L ne
avesse tale impressione. Avrebbe punito Mello in modo
esemplare questa volta, non gliel’avrebbe fatta passare liscia.
“Mello, basta così! Non puoi
parlare in questo modo irrispettoso ad L! E’ un indecenza!
Chiedigli immediatamente scusa, o ti faccio fare a forza un bagno nell’acqua
fredda per farti ammansire!”
“Roger.” Lo riprese L mantenendo
sorprendentemente un tono calmo e per nulla offeso “Spero che questo non sia un
nuovo modo con il quale gli orfani sono educati…. Almeno, non mi ricordo che
fosse così quando ero ospite qui… Non è che sono state effettuate delle riforme
al regolamento senza che io ne fossi informato?”
Il misterioso detective non aveva avuto un tono minaccioso,
anzi, erano state perfino leggermente ironiche, eppure le sue parole avevano
avuto sul direttore l’effetto di una scarica elettrica. L’uomo si bloccò, tirò
su con il naso mentre abbassava il capo, e si risedette compostamente con una
calcolata lentezza.
Mello avrebbe riso come un matto
in un'altra situazione a vederlo tanto in imbarazzo, preso com’era da quella
sua bizzarra cattiveria che era sbocciata in lui da quando aveva detto addio a
sua madre, ma lì, fremente di collera biliosa, proprio non gli veniva nemmeno
in mente. Era ancora concentrato su L, le pupille dilatate puntate all’occhio
meccanico della videocamera, la bocca serrata in tratto orizzontale.
“Lo so che mi odi, Mello.”continuò
la voce falsata con la stessa intonazione “E’ per questo che sono qui. So tutto
di te. Roger mi ha detto di come hai faticato ad adattarti e ad accettare il
tuo pseudonimo, del tuo carattere aggressivo con gli
altri bambini… Ma mi ha anche informato del fatto che da quando hai stretto
amicizia con Matt, il ragazzino di origine irlandese che ha perso entrambi i
genitori circa sei mesi prima che arrivassi tu… E poi ho parlato anche con tua
madre Natassia, sempre via computer.”
Mello si sentì mancare. Il cuore
gli diede un’unica, potente martellata nel petto.
L l’aveva vista. L aveva potuto
sentire il suono della sua voce, aveva potuto parlarle. Aveva potuto vedere il
suo bel viso e i suoi occhi simili ai suoi. Ma non fu la gelosia come ci si
sarebbe potuti aspettare a conquistare subito la sua mente e i suoi sentimenti.
No, fu qualcosa di diverso, che gli fece venire le lacrime agli occhi al
ricordo della vita passata, lacrime che si impose da solo di trattenere.
“Come sta? Dimmi
come sta la mia matiuska!”
gridò agitato.
“Vedo che non mi insulti più se tirò in mezzo quella donna…
Non importa, in ogni caso ricomincia a stare bene. Si sta curando, e pare che
pian piano si stia riprendendo e uscendo dal tunnel dell’alcolismo.
Personalmente a vederla così dalla videocamera, trovo
che sia anche veramente una bella donna, i segni del passato si stanno
rimarginando in fretta. Ah, e poi ha un accento delizioso! Ho adorato sentirla
parlare… Uhm, sto sviando il discorso. In realtà non volevo pararti di quanto
la trovi bella… Volevo comunicarti che lei ti vuole molto bene e che ti pensa
sempre. Mi ha detto un sacco di cose, non so quasi da cosa iniziare… Immagina,
mi ha pregato di non farti tagliare i capelli… Ah, e quando l’ho rassicurata
ribadendole fatto che questo era un posto assolutamente idoneo per te, mi ha
chiesto se per caso hai messo su un po’ di carne sulle ossa… Mi ha confessato
di essere sempre stata in pena per il fatto che sei troppo gracile e per questo
incline ad ammalarti spesso, e voleva assolutamente che io ti dicessi di
mangiare tanto ora che ne hai la possibilità… E’ una brava madre, non ho alcun
dubbio. Mi ha raccontato proprio tutto ciò che avete passato, ed è stata una
donna molto valorosa secondo me. Trovare il coraggio di scappare da un
protettore che voleva schiavizzarti malgrado le
minacce pesanti non è da tutti. Mi dispiace davvero, ora, che non mi sia
concesso di cambiare le leggi dello stato. Purtroppo non posso fare niente per
riunirvi, anche se volessi. Però ho cercato di rimediare almeno in parte.”
“No, tu non hai fatto nulla, ecco cos’hai fatto!”
“Prima di parlare a vanvera, io ascolterei fossi in te. Siediti.”
Mello ubbidì meccanicamente. Non
che fossero mutati i suoi sentimenti di risentimento verso quella persona che
non poteva vedere in volto, ma in quel momento non poteva fare null’altro che
ascoltare, se desiderava davvero finire la sgradevole conversazione. E in un
certo senso, era perfino curioso.
“Ora posso iniziare a raccontarti. Un dubbio mi aveva
attanagliato sul tuo conto da quando i medici che si prendevano cura di te
all’ospedale quando avevi la polmonite.”Spiegò “Mi dissero che nessuno sapeva chi fosse tuo padre, perché Natassia era rimasta incinta senza volerlo prostituendosi.
Ecco, questo fatto non mi faceva star bene con me stesso. Chiesi così in
seguito di ottenere degli esami del DNA dal sangue che ti presero per degli
esami medici, e quando finalmente ottenni i risultati dei test, mi sono fatto
mettere in contatto con tua madre come ti ho appena detto. Perché oltre a
chiacchierare di te, ho cercato di farmi dire i nomi di tutti gli uomini che
avevano avuto dei rapporti sessuali con lei nel periodo in cui ti concepì.
All’inizio era molto restia ad aprirsi su questo argomento delicato, cercava di
sviare la conversazione, diceva di non ricordare… Ci ho creduto poco, e dopo
avere un po’ insistito l’ho convinta. Mi ha dato una quindicina di nomi, ma le
mie possibilità di portare a termine l’obiettivo che mi ero prefissato erano solo
del 30%... Mi aspettavo un fallimento. Non mi sono comunque arreso, e in questi
mesi ho cercato, in un modo o nell’altro, di trovare quelle persone e di
ottenere il loro DNA per un confronto. E’ stato davvero complicato, ma alla
fine c’è l’ho fatta. Mello, io ho trovato tuo padre.”
Il biondo, che aveva ascoltato tutto senza fiatare, non
rispose. Era troppo, troppo scioccato, gli occhi strabuzzati e le guance tinte
di scarlatto.
Certo, L avrebbe anche potuto
raccontargli un sacco di bugie, ma a quale scopo? Sarebbe stata una menzogna
troppo complicata da gestire, se avesse voluto ingannarlo avrebbe raccontato
qualcosa di più semplice e verosimile. Quindi non poteva che essere la verità.
Quella persona che aveva immaginato e allo stesso tempo odiato per aver
approfittato come ogni altro maledetto cliente del corpo di Natassia
era finalmente noto. Non era più un’incognita, non era più il figlio di Dio e basta.
“Comprendo che tu sia incredulo e scosso… Ma oggi sono qui
proprio perché ho convinto quell’uomo a venire qui per
incontrarti. E’ nell’altra stanza qui a fianco, che attende. Indubbiamente hai
la piena facoltà di decisione, e lui lo sa: puoi decidere di incontrarlo oppure
no, se non te la senti. A te la scelta. Il suo nome è Thomas Kheel, e nemmeno a farlo apposta, è un inglese. E’ stato in
Bielorussia durante un viaggio con gli amici nei paesi dell’est, per divertirsi. Ora è un impiegato statale,
è sposato ed ha una figlia. Quando gli ho parlato di te, è rimasto scioccato
anche lui. Ha detto che non ne sapeva niente, e mi è parso sinceramente
dispiaciuto per tutto questo… Farlo venire qui è stato
facile, ci teneva ad avere questa possibilità di fare la tua conoscenza.”
Mello non sapeva cosa dire. Non
era sicuro di volerlo vedere, ritenendolo un approfittatore, ma la curiosità
era davvero forte. Aveva finalmente la possibilità di dare un volto alla figura
indistinta che nella sua testa era suo padre… Ma Natassia?
Lei ne sarebbe stata felice? Non voleva, come sempre, crearle motivi di
sofferenza. Pensandoci però, lei non aveva mai detto di non voler trovare
quell’uomo, anzi…
Ci pensò su una decina di secondi durante i quali sia L che
Roger aspettarono pazientemente. Quando prese la decisione, il tono della sua
voce era forte e risoluto.
Mello aveva sempre avuto nella
mente un’immagine di suo padre che avrebbe potuto assomigliare a quella
media dei clienti che aveva visto frequentare sua madre: un uomo di
mezz’età, statura media, vestito discretamente bene e
un’aria insospettabile da “padre di famiglia”. Magari un filo
di pancetta, capelli brizzolati tagliati alla perfezione. Sì, uno
così avrebbe dovuto essere…
E invece no. Quando entrò nella stanza che Roger gli
aveva indicato con un dito senza dire una parola, vide, sì un uomo
scattare in piedi come una molla appena la sua testa fece capolino, ma non di
certo uno che poteva coincidere con la figura che si era spesso
inventato…
Innanzitutto, una cosa lo colpì subito. Era giovane.
Non aveva trent’anni, ne era sicuro. I capelli erano di un biondo scuro,
mossi, il viso un po’ quadrato (E qui pensò che la forma del
proprio volto, più allungato e appuntito, doveva
averla ereditata da Natassia.), sul mento un pizzetto
curato. Era vestito con dei pantaloni beige di buona
fattura, e sopra portava un maglione rosso a coste, molto casual.
No, decisamente, non era vecchio, e se ne stupì
molto. Sembrava uno di quei surfisti dei telefilm americani che si vedevano
alla tv.
Richiuse la porta alle sue spalle, e rimase lì
imbambolato appoggiato a fissare quel tizio. Doveva convincersi che aveva
davanti il suo papà, ma era
difficile, uno sforzo impossibile.
Quello, nel frattempo, lo guardava a sua volta arrossendo,
torcendosi le mani, in evidente imbarazzo davanti a quel figlio di cui aveva
saputo l’esistenza circa una settimana e mezzo prima. Non sapeva cosa
dirgli, non sapeva cosa fare.
Doveva abbracciarlo? Doveva chiedergli scusa? Scusa di cosa,
poi? Nessuno gli aveva mai detto di lui. Non aveva alcuna idea di come
comportarsi, e se ne stava lì, imbambolato come uno scemo, le pupille
che guizzavano di qua e di là.
Fu Mello a fare quindi il primo
passo. Si avvicinò con una camminata rigida, piazzandosi davanti a lui,
l’aria seria e un po’ incuriosita, increspando le labbra.
Non doveva essere affettuoso. Doveva tenere a mente che non
era altro che un cliente, uno sporco
cliente che aveva fatto del male a sua madre a suo tempo. Che da lì si
fosse compiuto il suo concepimento, non cambiava le cose. Un inglese andato in
quel posto solo per divertirsi con delle povere ragazze… Non gli avrebbe
dimostrato un bel niente, gli avrebbe parlato e basta.
Nemmeno a farlo apposta, Mello
pensò tra sé e sé di essere bastardo fino in fondo. Nemmeno i genitori dello stesso paese,
aveva.
Ora lo vedeva da vicino… Aveva gli occhi chiari, quel
Thomas Kheel. Ed era molto, molto a disagio.
“Mi hanno detto che lei è mio padre.”
Esordì secco e distaccato, forse leggermente arrogante, senza nemmeno
salutare.
“Sì, io… Io non so nemmeno che cosa
dirti… Io, sono molto, molto in difficoltà in questo
momento… Ehm, come ti chiami già?”
“Mihael.”
Preferì usare il suo vero nome.
“Sì, Mihael.” Ripetè l’uomo sospirando e risiedendosi.
Gli prese una piccola mano esaminandola attentamente, quasi
volesse imprimersene la fotografia nel cervello. Alzò poi la testa, per
guardargli il viso infantile.
“Sai, forse dovrei chiederti scusa. Però
obbiettivamente, non ho fatto niente di male, io non ero a conoscenza della tua
esistenza… Appena ho saputo di te, sono corso qui per vederti il prima possibile. Quel tipo che parla via computer, L, mi
ha raccontato che tua madre è in cura… Io… Io mi vergogno
tanto… Non mi ricordo più nemmeno che faccia abbia, quella
donna… Ero giovane, non capivo niente…”
“Non si deve scusare con me, Mr. Kheel.
A me lei non ha fatto niente. E’ mia madre che ha iniziato un calvario
per mantenermi, da quando l’ha messa incinta.”
“Parli molto bene,
l’inglese, sai?”
“Non cambi argomento, per favore, non eviterà
ciò che devo dirle in questo modo, ovvero che a lei sono totalmente
indifferente. Non si aspetti che le salti al collo, o
sdolcinatezze del genere. Per me non è un padre, è solo un
cliente di mia madre. Non mi ha cresciuto lei, non ha mai fatto niente per me. Natassia, invece, ha sacrificato tutto. Ero
solo curioso di vederla, tutto qui.”
Le parole erano state dure, calcolate, intimidatorie, ma
avevano espresso tutto il suo stato d’animo. Non voleva accusarlo, ma
nemmeno far finta che si conoscessero da sempre.
Lo fissava con molta severità
dritto negli occhi con orgoglio. Non che fosse difficile, quel Kheel non metteva alcuna paura. Appariva turbato e
afflitto, per niente minaccioso.
Quasi gli faceva pena… Ma non appena un sentimento di
compassione affiorava nel suo piccolo cuore, ecco che subito la sua mente gli
proponeva immagini di sua madre, del suo dolore, e del viso soddisfatto dei
clienti. No, loro non avevano mai avuto pietà di lei, perché
allora lui avrebbe dovuto provarne per uno di loro?
“Mihael…” la sua
voce incerta riprese a balbettare “Capisco di non poter essere visto come
un genitore, e ti capisco… Io al tuo posto sarei molto…
Confuso… E anche arrabbiato. Però, ecco, se c’è
qualcosa che io posso fare…”
“Lo ho già detto che non sono arrabbiato. E non
c’è niente che lei possa fare.”
“Vorrei allacciare un rapporto, con te e con tua
madre… Lo so che non è niente in confronto al mare di tempo in cui
siete stati soli, ma mi piacerebbe, come si dice, salvare il salvabile. Ho
intenzione di assumermi tutte le mie responsabilità riguardo ai miei
atti passati, e visto che ho un figlio, devo provvedere a mantenerlo,
com’è giusto che sia. Non voglio scappare davanti a te. Sono
pronto anche a rincontrare Natassia, e a parlare con
lei. Il mio russo non è un granché, e piuttosto arrugginito per giunta, ma credo che con frasi elementari possa
cavarmela.”
“La mia matiuska capisce perfettamente l’inglese, non è
stupida. E non credo sia un bene per lei rivedervi, ci starebbe male.
Oltretutto, lei è sposato. Sua moglie non ha detto niente quando ha
saputo che suo marito ha un figlio segreto con una prostituta bielorussa?”
“Non le ho detto nulla…”
Kheel si nascose il viso tra le
mani. Tra poco sarebbe scoppiato a piangere, Mello ci
avrebbe scommesso. E ciò non gli dispiaceva affatto, il suo cuore era
troppo rappreso, incapace di aprirsi con quello sconosciuto, che per lui non significava nulla.
L’uomo si ricompose in pochi secondi tuttavia. Si
sedette compostamente tirando su col naso. Non voleva cedere.
Una sua mano grande, fece un segno
al bambino, per farlo avvicinare di nuovo. Mihael
face un passo, e lasciò distrattamente che il padre l’afferrasse
per le braccia, senza opporre resistenza, come invece l’altro si
aspettava. Ne rimase leggermente sorpreso, quasi incredulo. Pensava che avesse
tentato di divincolarsi, invece no.
Nella sua mente, una domanda prendeva forma con timidezza,
una domanda che non sapeva se porre o no. Avrebbe voluto tentare, anche se
quasi certamente Mihael gli avrebbe risposto
negativamente, con quella sua vocetta infantile e
matura nello stesso tempo, che mostrava con evidenza lampante quello che
sentiva dentro di lui. Kheel, infatti, scorse uno
spicchio di dolore, di delusione, di sconforto e sfiducia nella vita dentro
quel corpo che pareva troppo piccolo per contenere quei sentimenti. Aveva
compreso che non aveva avuto per niente una vita facile, quel suo figlio
perduto. Sentiva il suo stesso animo dilaniato per lui: se solo l’avesse
saputo, se solo qualcuno gli avesse anche solo ricordato quella bella ragazza bionda e giovanissima che aveva
incontrato all’inizio del lontano 1989 aBaranavichy,
città a quel tempo ancora facente parte di un Unione Sovietica ormai
allo sfascio, e che aveva pagato dopo la notte di passione anche con qualche
Rublo in più di quello che aveva chiesto, smosso dalla
pietà… Forse avrebbe potuto far qualcosa per loro, magari farli
emigrare prima, e fare ottenere a lei un regolare permesso di soggiorno,
trovarle un lavoro onesto e una casa…
Perché Thomas Kheel,
checché ne pensasse il figlio, non era una persona cattiva. Aveva
commesso molti errori durante la vita, ma era maturato, e non era insensibile a
ciò che era capitato. Gli doleva molto cuore, pensando che quel bambino
avrebbe potuto avere un’esistenza molto diversa da quella che gli era purtroppo gli era capitata, quando non aveva alcuna
colpa, ne lui, ne quella povera donna di sua madre.
“Mihael…” disse,
raccogliendo tutto il coraggio di cui disponeva nell’animo “Posso
stringerti, o è troppo per te? Lo so che è una richiesta strana,
però… Ecco, io, anche se per te non sono niente, e comprendo i
tuoi sentimenti, non ti vedo come un estraneo… Sei sempre un figlio.”
Mello abbassò per la prima
volta lo sguardo, vacillando. Perché insisteva? Perché insisteva
così tanto? Perché non faceva come lui? Lo aveva visto, bene,
grazie tante, poteva tornarsene a casa sua, ora, e riprendere la sua vita
tranquilla. Perché? Perché? Perché non si arrendeva?
Non riuscì a dire di no. Annuì con un gesto
del capo e si lasciò andare con ancora un po’ di rigidità.
Chiuse gli occhi, sentendosi serrare, sentendo le dita
dell’uomo sulla sua schiena.
Fu un abbraccio lungo, silenzioso, estenuante. La stretta di
Thomas Kheel fu vigorosa, quella del figlio
praticamente inesistente.
No, più di questo non l’avrebbe ottenuto, ne
era pienamente cosciente. Fu obbligato ad accontentarsi di quello che il bimbo
gli concedeva: una cucchiaiata di falso affetto. In ogni caso, non avrebbe
sprecato l’occasione, né l’attimo.
Una sua mano si posò sulla sua piccola e fragile
nuca, spingendola contro la sua spalla, la fronte a contatto con il maglione a
coste. Si lasciò fare, Mello, regalandogli
ancora dei momenti di una certa tenerezza ipocrita, quando avrebbe voluto
piangere.
Da piccolo lo aveva desiderato ardentemente… E adesso,
cresciuto e disilluso, non riusciva ad accettarlo. C’era un senso vago di
frustrazione in tutto questo, poiché sapeva che se lo avesse potuto
incontrare prima, quando era ancora innocente e ingenuo, lo avrebbe quasi
potuto amare. Lo avrebbe senza dubbio preferito di gran lunga a Oscar Faraday,
il cinico e viscido ex amante di sua madre. E come padre non era sicuramente
malvagio.
Ma non poteva, non poteva sentirsi suo figlio oltre il
livello puramente biologico. C’era solo Natassia
nel suo cuore, nel posto dei genitori. Il DNA non significava niente, era solo
un grafico su un pezzo di carta.
Ci aveva messo tempo, ma fu in quell’abbraccio che
capì… Capì cosa sua madre intendesse nel dirgli che lui era
figlio suo e di Dio… Se aveva
pensato, mesi prima, che sua madre fosse poco istruita e priva di intuizione,
ora si rimangiava tutto. Comprese quanto i suoi pensieri fossero lungimiranti,
e quanti i suoi sentimenti profondi. Lei conosceva cosa si celava nel cuore di
suo figlio, sapeva che non c’era posto per un padre, indipendentemente
dall’amore che questo avrebbe dimostrato, perché non era mai stato
abituato ad averlo. Avrebbe potuto
apprezzarlo, ma mai amarlo come faceva con lei.
E questo, lo aveva compreso anche Mr. Kheel,
con un po’ di malinconia. Si intristiva nell’animo nel suo gesto
semplice e paterno. Gli accarezzò ripetutamente la chioma fine e liscia,
ammirando le sfaccettature dorate del suo biondo.
“Scommetto che è inutile chiederti se vorresti
venire a vivere da me, vero?”
Il piccolo alzò la testa, guardandolo negli occhi.
Senza alcuna durezza. Era uno sguardo mesto, quello che stava facendo.
“No…” sussurrò “Ma non
è per lei, non ho intenzione di farmi adottare da nessuno…
E’ che non me la sento di andare via da qui, in questo modo. Ho promesso
a mia madre che l’avrei aspettata, quando mi disse che sarebbe venuta a
riprendermi. Se dovesse venire e non trovarmi soffrirebbe, e anche un mio caro
amico qui alla Wammy’s, il mio compagno di
camera, si sentirebbe solo senza di me, siamo troppo legati ormai. In
più, non credo che né L, né il direttore mi lascerebbero
andare via tanto facilmente… Per non parlare del fatto che sua moglie
dovrebbe scoprire tutto. E’ meglio per tutti che io me ne resti qui. In ogni
caso, sappia che non la credo affatto una cattiva persona, Mr. Kheel. Ha detto delle cose che mi hanno colpito…
Così come i suoi gesti.”
Sorrise. Per la prima volta da quando era entrato in quella
stanza vuota, mostrò un volto amichevole, angelico, con le fossette che
spuntavano sulle guance tinte di rosa, segno del suo essere ancora un bambino.
L’uomo non poté far altro che sorridere a sua
volta, leggermente sollevato.
Mihael aveva ragione, sarebbe
stato un problema tentare un’adozione… Ma poteva fare
un’altra cosa in cambio…
“Mihael, stavo
pensando… Vorresti prendere almeno il mio cognome?”
Il bambino acconsentì. Si sentiva stranamente molto
più leggero. Alla fine non era stato un male vedere quell’uomo,
almeno una volta. Sentiva di avere delle certezze, quella del volto di suo
padre e del suo vero cognome… Lui era MihaelKheel… E doveva tutto questo a L.
L’impressione che L avesse
immaginato tutto così come effettivamente era andata, non gli
sfuggì. Forse era davvero il genio che tutti dicevano, e quello che aveva
fatto era stato solo per lui. Sì, gli doveva un minimo di riconoscenza.
Non era poi così male… Avrebbe anche potuto
essere il suo successore… Tanto fino all’arrivo di sua madre, non
avrebbe avuto altri obbiettivi, la vita sarebbe stata noiosa. Era meglio
provare ad essere come lui, confrontare la sua intelligenza, come in un gioco.
Sì, sarebbe stato lui il suo erede. Il
ringraziamento, per avergli tolto quel grosso peso che gli opprimeva il cuore.
A dire la
verità, non sono sicura che questo capitolo sia venuto bene come
volevo… Spero che vi sia piaciuto, anche se non è perfetto!^^ E
così, ho messo a posto qualche altro pezzetto sul passato del nostro Mellino! Nel prossimo capitolo si tornerà al
presente! Ah, non descriverò il suo incontro con Near,
perché penso che sia ben immaginabile, come immaginabile e ripetitivo
sarebbe descrivere la natura del loro contrasto… Insomma, sarebbe solo
una ripetizione inutile.
Ah, un’altra
cosa: forse sarò un po’ più lenta ad aggiornare, visto che
sono impegnata a scrivere “The ToysRoom” con Elly_Mello…
Portate pazienza!^^ E se vi interessa, fate pure un
giretto anche su quella fan fiction!XD
Ringrazio:
L i a r: Mi fai sempre un sacco di complimenti! Grazie!<3
E hai visto, Mello non lo tratterà più
tanto male a L!XD Grazie anche per la recensione a “La Haine
et la Mort!”!
Kiss!
reidina: nel prossimo chappy
il nostro Matty riapparirà! E piccolo spoiler:
si farà una bella chiacchierata con Natassia! A
quanto pare ti ho parecchio sconvolto con i miei desideri pazzi!XD Ah, se ti
raccontassi tutte le mie manie… Tipo non sopportare il dentifricio
aperto, un insana passione per piercing, tatuaggi e
mille altre cose pazze del mio carattere… ma ora che ho il tuo contatto,
ci possiamo sentire e chiacchierare! Sono sicura che verranno fuori dei
discorsi interessanti!^^ A presto! Kiiiiiiss!<3
Sydelle: Soddisfatta di averlo finalmente “conosciuto” il
papà di Mello?XD Kiss!
_pEaCh_: Eddai, non era tanto male! Per una volta una persona che
non ha un’anima malvagia nella vita di Mello. Non
so se hai notato, ma è il primo uomo adulto che non è crudele con
lui, ma anzi... Un piccolo riscatto per il nostro angioletto! Grazie anche per
la recensione a “La Haine et la Mort!”! Kissoni!<3
Elly_Mello: Sì, Roger mi da l’idea di uno
che potrebbe dire quelle cose assurde al momento meno opportuno!XD E lo SAPEVO che
tu l’avresti notata, la punizione da TMPCP! Amore, ti conosco troppo
bene!XD Spero che il capitolo ti sia piaciuto, anche se, come ho detto prima,
non mi soddisfa pienamente… Intanto, ci concentriamo anche su TTR! Grazie
anche per la recensione a “La Haine et la Mort!”! Ti adoro come
al solito, sei la mia ammmmmora!<33333333333 Kiss!
linkinparkforever: I tuoi complimenti mi lusingano! Grazie
mille!<3 A
presto!
Salve a tutti!
Scusate il ritardo, ma ho avuto qualche problema con internet… Spero che
apprezziate comunque il chap, e come promesso, il
nostro Matt farà di nuovo un’allegra (più o meno) comparsa! Qui lo vedrete
probabilmente un po’ stranamente, perché, vi ricordate, che era uscito a bere
qualcosa? Eheh… Ed ora,
ringrazio KLMN, _pEaCh_, linkinparkforever, reidina (BUON
COMPLEANNO!!! Questo chappy è tutto per te!) e
la mia dolce Elly_Mello.
Enjoy…
Lolly
Per reid (Arthur)
Happy
Birthday
Memories of a Stolen Childhood
Capitolo 23: Mello
Un rumore secco e
sordo.
Natassia aprì pigramente gli occhi, destata dal
forte suono di una porta sbattuta. Il buio che la circondava non era totale,
piccole macchie di luce provenienti dai lampioni al di fuori della finestra
erano sparse ovunque, permettendole di vedere le forme degli oggetti
circostanti.
Si era addormentata di
colpo senza nemmeno accorgersene. Ora era sdraiata sul letto, la testa sul
cuscino sformato e molle, girata sul fianco sinistro. Le sue braccia erano
strette intorno ad una chioma che riconobbe immediatamente. Era la testa di Mihael.
Lo abbracciava, e non
se ne era nemmeno accorta. Forse era stato addirittura lui a mettersi in quel
modo quando lei già dormiva… Forse le voleva dimostrare quanto ancora la
amasse, quanto i suoi sentimenti verso di lei fossero rimasti gli stessi di
quando era piccolo…
Presa da quei
pensieri, il suo amore materno la pervase. Era come se tra le sue mani non ci
fosse un ventenne, ma ancora un bambino, il bambino che era stata costretta ad
abbandonare...
Sentiva il suo respiro
regolare e caldo contro il suo seno a cui stava appoggiato. Abbassò lo sguardo,
per guardarlo, per osservare la sua creatura, ma fu colta subito da una punto da amarezza: la parte del volto visibile, era
quella devastata completamente dall’ustione. I tratti originali si potevano
intuire, eppure non sarebbero più riapparsi.
Distolse lo sguardo
per non che la sua mente le mostrasse immagini di fiamme che bruciavano e
scarnificavano il volto di suo figlio. Preferì concentrasi su ciò che le stava
accadendo, ovvero, sull’abbraccio stesso, un gesto che aveva sognato di
compiere aspettando anni interi.
Dovette ammettere di
essere emozionata quasi come quando vide per la prima volta il suo visino da
neonato sconvolto dal pianto poco dopo la sua nascita, per poi allattarlo
sciolta a sua volta in lacrime, mentre ringraziava Dio per il dono di così
grande valore che le aveva concesso.
Ed ora, percepiva che
teneva abbracciato a sé lo stesso incommensurabile e prezioso tesoro. Mihael. Il suo Mihael, il suo
affetto più grande di nuovo accanto a lei.
Provò l’irresistibile
desiderio di dargli un bacio, una voglia mille volte più potente
del ribrezzo che l’attanagliava di fronte alla vista di quelle piaghe da
ustione, che secondo il suo pensiero da Cristiana erano il marchio terreno
della perdizione che sciaguratamente aveva colpito il suo animo. Quella pelle
segnata da crateri alternati a levigate vescicole erano una macchia terribile
su quel viso che una volta era stato l’immagine per eccellenza della bellezza e
dell’innocenza… Mihael era cambiato, non era più un
angelo, e questo l’angosciava… Com’era stato possibile?
Le sue labbra si
posarono tuttavia senza esitazione, delicatamente, sulla sua fronte straziata.
Lo amava. Lo amava come
solo una madre poteva fare, al di là di ogni peccato che il figlio avrebbe
potuto compiere. Il fatto che lui avesse praticato il male non riusciva a
mutare i suoi sentimenti di cura, attaccamento e affetto. Gli sarebbe stata
sempre vicina, da quel momento in poi.
Stava per avvicinare
le labbra all’orecchio per sussurrare qualche parola dolce, ma preferì
aspettare che si svegliasse da solo. Le era venuta una certa sete, e decise di
andare al rubinetto della cucina per bere un po’ d’acqua nel frattempo. Si
sfilò allora dal materasso facendo attenzione a non svegliarlo, dirigendosi poi
verso la stanza che faceva da cucina, sala ed entrata. Appena mise piede nella
stanza però riconobbe una figura nero-bluastra seduta al tavolo, le testa tra
le mani. Era Matt, tornato dal suo forzato giretto notturno come gli aveva
chiesto il coinquilino. Doveva essere stato lui a produrre il rumore che
l’aveva svegliata, rientrando.
“Ciao, Matt…” lo
salutò timidamente per educazione.
Il ragazzo scattò su
con la testa, volgendosi verso di lei. Per poi stropicciarsi le palpebre
incollate.
“Salve, Mrs… Io… Ho pensato che magari lei e Mel… No, Mihael… Insomma,volevate stare un po’ assieme anche
adesso, allora ho cercato di non disturbarvi…”
Natassia identificò all’istante i sintomi di una
sbornia. Non le fu difficile. Lo vedeva un po’ confuso nei gesti, le parole
erano impastate e caotiche, il discorso lento, gli occhi socchiusi, l’odore
dolciastro dell’alcool misto a tabacco che emanavano i suoi vestiti... Doveva
aver bevuto parecchio oltre che fumato, ma a quanto le aveva fatto capire Mihael, non era una cosa rara. Certo, le ricordava sé
stessa, e perciò sentiva un po’ di tristezza… L’alcool aveva completamente
sfasciato la sua vita, era stato la causa primaria della separazione da suo
figlio. A causa di quel liquido infernale aveva abortito un figlio, e fatto
ammalare gravemente l’altro…
In ogni caso, aveva
voglia di parlare con lui. E non solo per il fatto che alzasse il gomito. Lui e
suo figlio avevano un strano rapporto molto profondo.
Voleva sapere, sapere i segreti che non le aveva rivelato per paura di ferirla.
Matt le avrebbe confessato tutto in quello stato. Non era sicuramente una cosa
corretta, ma lei doveva conoscere cos’era successo al suo bambino in tutti
quegli anni…
“Vuoi parlare un po’
con me, Matt?” gli chiese sedendosi sulla sedia a fianco alla sua, sorridendo
con l’espressione più benevola che riuscisse a fare.
“Con
lei? Perché? Non ho già fatto abbastanza figure di merda?” biascicò lui.
“Figurati… Non devi
preoccuparti. Vorrei che fossi sincero, va bene? Ah, e dammi del tu, ti prego,
chiamami come vuoi, anche Naty, ma niente Mrs. Mi fai
sentire vecchia sennò…”
“Ok… Naty… Hai ragione, non sei vecchia… Sei una bella ragazza…
Tu e lui vi somigliate… Di viso, dico…”
Un dito tremante del
ragazzo si posò delicatamente sul labbro superiore di Natassia.
Lei lo lasciò fare, curiosa, incredula, e intenerita. Aveva un tocco delicato,
nonostante la sbornia. Voleva essere un gesto gentile, come le sue parole…
“Avete le stesse
labbra… Io adoro le labbra di tuo figlio, sono soffici… Ma non dovrei dirtelo,
forse… Ti arrabbierai?”
“No. Voglio parlare di
lui, appunto, devi dirmi tutto quello che non mi rivelerebbe in alcun modo.
Innanzitutto… Chi è Mihael veramente? Perché vi nascondete?
Che cos’ha fatto di male per meritarsi quella cicatrice? Ti prego,
Matt, rispondimi, almeno tu! Io devo sapere…”
Matt rimase in
silenzio ritirando la mano, evidentemente turbato.
Fissava il vuoto, come se ricercasse dei ricordi nella sua mente celati
particolarmente bene, costringendo la donna ad aspettare pazientemente che
riprendesse a parlare.
“Io gli avevo detto
che era meglio stare tranquilli…” riprese a farfugliare “Ma lui non voleva… Lui
vuole prendere Kira… Lo farebbe ad ogni costo, me l’ha
dimostrato… E’ capace di tutto… Ha ucciso della gente, è entrato nella mafia
pur di arrivare dove voleva… E so com’è stato capace… Ha continuato a soffrire,
per indurire l’anima… Il dolore che ha provato…”
Natassia ascoltava preoccupata quel discorso dispersivo.
Stava per svelarle tutto, lo sentiva. Se avesse insistito ancora un po’, Matt
sarebbe stato un libro aperto, anche se immaginava che a conoscere quei
segreti, non ci avrebbe ricavato altro che disperazione per la sorte ingiusta
del suo Mihael…
“Dimmelo. Dimmi cos’ha fatto.”
“Lui… Lui si è
sacrificato… Ha sacrificato l’unica cosa che aveva, il suo corpo… Per i soldi,
e per vivere… Stava male, me lo disse, eppure continuava… Era una puttana, si
faceva fare tutto anche se era schifoso, tutte quelle cose
perverse… Ha distrutto completamente la sua anima per arrivare in alto… Lui è Mello… Lo cercano tutti, perché a Kira
gli rompe le palle e lo vuole morto, è certo, anche adesso… Quando era quasi
arrivato al suo obbiettivo, tutto è finito a fanculo,
ha fatto esplodere la base della mafia in cui stava… Se non fossi arrivato in
tempo, sarebbe morto lì, come un cane… Ma io gli voglio troppo bene, da sempre…
L’ho curato di nascosto, andavo a pagare un sacco di soldi a delle personeper farmi dare gli antidolorifici più forti,
che non avrei potuto avere senza richieste mediche, perché mi diceva che
bruciava tutto e piangeva dal male che gli faceva… Ti chiamava a volte, mi
chiedeva dov’eri e perché non c’eri, ma io rispondevo che non lo sapevo…Stava sempre a gridare di dolore quando la
medicina smetteva di fare effetto, allora io dovevo subito fargli un’altra
dose, e mi faceva così pena che lo riempivo fino a che non riusciva più a
muoversi a volte, tant’era stordito dalle medicine… Ma almeno non strillava più,
mugugnava e basta… Poi compravo i sonniferi per la notte, per farlo dormire,
sennò faceva su il finimondo… Per fortuna è guarito, era un periodo di merda…
Ora lui è tutto mio, non è più la bambola dei quei mafiosi, non deve più farsi
fare quelle cose… Natassia… Non arrabbiarti con noi… Mello non è cattivo, e nemmeno io lo sono… Siamo stati
sfortunati, senza possibilità di scegliere…”
Natassia non disse niente. Il labbro inferiore le
tremava, le lacrime le scendevano silenziose sulle guance…
Mihael era Mello, ma non
era questo ciò che la sconvolgeva. Infondo, era ricercato proprio perché
lottava contro Kira, contro questo Dio che teneva il mondo nel terrore. Tutto
sommato, questa sua lotta gli faceva onore… La cosa che la straziava di più era
il fatto che suo figlio, il suo piccolo angioletto avesse sporcato la sua anima
pura nello stesso modo che aveva fatto lei. Si era prostituito, aveva regalato
il suo corpo a cani e porci! No, non era sopportabile… Non per lei.
E poi… Quello che
aveva patito per quell’esplosione era stato orribile… Lei avrebbe dovuto essere
lì, avrebbe dovuto consolarlo e curarlo con Matt…
“Lui non voleva farsi
scopare, piangeva perché non ne poteva più, mi ha sempre detto che li avrebbe
ammazzati tutti per quello che gli facevano… Adesso è finito… Tutto… Lui non
voleva, lui odiava quelle cose… Con me… Non pensare male di noi, con me è
diverso… Io non gli faccio niente di male! Non lo picchio, non lo lego, non gli
faccio mai dei lividi! Cerco sempre di essere gentile, lo bacio, lo accarezzo
piano e gli dico le cose carine, voglio che provi piacere, nondolore, quando lo
facciamo, che goda un po’ almeno con me, merda! Noi… Così troviamo un po’ di
felicità, quando tutto fa schifo e non ne possiamo più di tutto questo mondo…”
“Basta, Matt. Basta,
ti prego. Non dire altro, va bene così. Credo che ora sia meglio andare a
riposare, non credi? Ti vedo stanco…”
Natassia, gli occhi lucidi per tutto quelle cose
spiacevoli e licenziose che aveva sentito dalle labbra senza freni di Matt,
prese il giovane per un bracciomalamente, e lo tirò su in piedi con
fatica. Era più alto di lei e più robusto, ci mise un po’ a renderlo stabile
sulle gambe, un braccio intorno alle sue spalle, un odore acre di sudore
permeato nella sua maglietta. Raggiunto il punto di equilibrio, mosse qualche
passo per arrivare al divano. Voleva sdraiarlo lì. Stava per spingerlo giù su
quei cuscini ispidi e bucherellati da bruciature di sigarette, quando una sua
mano, calda e tremante, le accarezzò la guancia. Fu un gesto timido, gli occhi
che minacciavano di stillare le loro lacrime. Sorrise mestamente, Matt,
toccando quella gota morbida.
Natassia rimase pietrificata, incapace di scostare
quella carezza bizzarra, confortante.
“Sei bella, Naty, sei bella in tutti i sensi…”mormorò rauco “Mello sarebbe stato come te, se non fosse stato torturato
tanto… Aveva il viso di un angelo prima che si bruciasse... Ma per me, anche
adesso, è sempre splendido… Anche se forse tu non puoi capire…”
“Invece, penso di
capire...”
“E tu… Sai, se non sapessi
che sei la mamma di Mello, ciucco come sono, ci avrei
provato con te… Perché Mello è l’unico maschio che mi
attizza, solitamente mi piacciono le donne… E lui un po’ sembra una ragazza, ha
un corpo molto… Non so come dire… E’ tutto femminile, ma non ha le tette… E non
sarebbe male scopare con te invece, perché gli somigli e in più le hai, le
tette… Però non posso, non posso proprio… Gli voglio troppo bene, a lui…”
“Matt, credi che sia
davvero il momento che tu ti stenda, e ti faccia una bella dormita. Buonanotte.”
Senza più dire nulla,
obbedì. Si coricò sul divano e chiuse gli occhi, permettendo a Natassia di tornare nella camera da letto.
Era turbata, e non
solo per le avances oscene che le aveva fatto, che tentò di ignorare. Matt
aveva avuto la lingua sciolta dall’alcool, ma quelle erano davvero solo le
elucubrazioni folli di un ubriaco? No. C’era sempre un fondo di pensieri
autentici nello sproloquio di uno in quello stato, lei lo sapeva molto bene per
esperienza. Erano riflessioni autentiche senza alcun tipo di censura.
Aveva compreso che
Matt provava un affetto profondissimo per Mihael, un
sentimento di cui si sentì quasi gelosa. Era stato per suo figlio quello che
lei non aveva potuto essere per cause di forza maggiore. Gli era stato vicino
al suo posto, aveva cercato di amarlo a modo suo, di proteggerlo, anche se
invano, dalla violenza.
Se lo immaginava, il
suo Mihael, senza quella cicatrice, i capelli un po’
più curati, a piangere sulle ginocchia di quel rosso, mostrando il corpo nudo
scarno, le righe sanguigne sulle natiche lattee, le impronte dei morsi sulle
spalle, i lividi bluastri tra le cosce…
E era stato lui, ogni
volta, a cambiare le bende sporche di sangue dell’ustione ancora fresca e
purulenta di infezioni, consolando il suo dolore, curando le sue febbri,
anestetizzando la tortura… Quando avrebbe dovuto essere lei a fare questo!
Era arrabbiata con sé
stessa, delusa. Non era conMihael, quando ne aveva avuto veramente
bisogno. Non aveva fatto nulla per lui.
Oltretutto, Matt aveva potuto perfino arrivare al punto che lei non avrebbe
potuto raggiungere in alcun modo senza macchiarsi di peccati gravissimi:
regalargli il piacere fisico, al di là del sesso forzato. Quello che lei non
aveva mai provato, un vero orgasmo voluto, capace di astrarre per una manciata
di secondi dall’angoscia di vivere. Questo no, non l’avrebbe potuto fare, era
assolutamente immorale…
Immersa nei suoi
pensieri, giunse finalmente al letto. Mihael ancora
dormiva, voltato dalla parte opposta a quella in cui l’aveva lasciato, dunque
con la cicatrice nascosta. Aveva un’aria fragile che da sveglio non dimostrava
più a quell’età. Si distese lì accanto lentamente.
Non poteva non pensare
a tutto quello che gli era stato fatto, a vederlo in quel momento… Aveva patito
le sue stesse sevizie, proprio quello che si era ripromessa di evitare non
appena era venuto al mondo. Era proprio perché non fosse stato costretto a
vivere come lei aveva vissuto, che aveva tentato con ogni mezzo e con tutte le
sue forze di farlo stare bene da bambino, ma non era servito a niente… Si sentì
una fallita, una madre degenere. L’angioletto si era reso un essere impuro e
tormentato perché lei non era stata capace di aiutarlo.
Strinse le braccia
attorno al suo bacino presa dallo sconforto, facendo aderire il suo ventre alla
schiena di lui, le mani aggrappate agli addominali poco sviluppati. Un
abbraccio disperato e pieno d’amore allo stesso tempo, un abbraccio per quello
che considerava sempre comunque il suo bambino.
Pianse. Non riuscì a
resistere oltre.
“Mihael…
Amore mio… Amore mio, perdonami! Ti prego, dimmi che mi vuoi bene e promettimi
che non ci separeremo più…”singhiozzò senza temere di svegliarlo “Io ho solo te al mondo!”
Inaspettatamente non
giunse alcuna risposta immediata. Percepì solo delle mani che afferrarono le
sue braccia, stringendole.
“Matiuska…” fu il
sibilo “Stai piangendo… Io ti voglio bene… Non preoccuparti, non preoccuparti. Stringimi e non piangere più…”
Non promise niente. Ma
Natassia era troppo stravolta per accorgersene,
troppo presa nelle proprie emozioni per fare attenzione.
“Mamma… Tu ci pensi
mai al bambino che hai perso?”
Natassia si irrigidì di colpo stringendo le labbra.
La domanda era stata diretta, tagliente, senza alcun preavviso l’aveva ferita
come con una lama sottile. Non per farle del male, eppure l’aveva punta.
La tazzina di caffè in
ceramica scadente tremò tra le sue dita lunghe e ossute. Cerchi concentrici si
formarono sulla superficie del liquido scuro increspandola e allontanandosi
pian piano verso il bordo.
Matt stava seduto su
una sedia accanto a lei. In quella mattina pallida portava ancora solo i
pantaloni sbrindellati del pigiama bordeaux scolorito in corrispondenza delle
ginocchia. Essendo una persona pigra, non aveva avuto alcuna voglia di
vestirsi. Tanto era il terzo giorno che Natassia
stava lì con loro, ed era, in tutti sensi, una “di famiglia”. Questa quindi,
abbassando gli occhi come per voler evitare di rispondere alla domanda che le
era stata posta, pose accidentalmente lo sguardo sul suo busto. Notò così che
il rosso aveva un petto sicuramente più virile di quello di Mihael,
la muscolatura accennata, ma anche un filino minuscolo di pancetta sul ventre,
probabilmente causata dalla sua cronica sedentarietà e la sua tendenza a bere
birra. Aveva visto invece suo figlio in mutande la sera prima, ed era rimasta
sbalordita da quanto il suo corpo avesse una parvenza androgina, senza nemmeno
un muscolo in evidenza, il petto glabro cicatrice a parte, e il bacino singolarmente
sinuoso, la curva dei fianchi morbida come quella di una ragazzina. Sì,
fisicamente, lo trovava straordinariamente somigliante a sé stessa, e comprendeva
che un uomo in ogni caso poteva effettivamente essere attratto da quel corpo
femmineo. Niente a che vedere con il suo coinquilino.
Lui aveva anche un
tatuaggio che Natassia non aveva potuto vedere da
vestito: sul pettorale sinistro un piccolo quadrifoglio in verde e due stelline
rosse bordate da un margine nero, una a destra e una a sinistra della foglia.
Pareva fatto ormai da qualche anno, a occhio e croce quattro o cinque.
Si chiese quale fosse
il significato del disegno, nonostante fosse evidente che non avrebbe mai potuto
capirlo da sola. Era simbolico, senza alcun dubbio.
Matt si accorse che la
donna lo stava fissando, e mise in pausa la psp con
cui stava giocando, costringendola a guardare nuovamente il figlio in faccia.
Era pure curioso di
sentire il discorso che il suo compagno aveva tirato in ballo. Non era molto
informato a proposito di quella faccenda. Mello
gliel’aveva liquidata in poche parole tantissimo tempo prima, non aveva mai
dato l’impressione di volerne parlare ancora, e Matt non era un tipo dalla
personalità testarda.
“Mia madre era rimasta incinta una seconda volta, pochi mesi
dopo che arrivammo qui a Londra. Il padre del bambino
era un suo cliente particolare, Oscar Faraday… Sì, proprio lui, il magnate
industriale. Che poi, per lei era diventato un’amante vero e
proprio, più che un normale frequentatore. Pareva sinceramente
innamorato, il grosso porco, la chiamava cara
e amore, e lei, poverina,
ingenuamente si era fidata dei suoi falsi sentimenti. Pensava di aver ricevuto
infine un po’ di fortuna, sentendosi protetta da un uomo tanto importante e
ricco… Quando ci abbandonò per una brutta faccenda che riguardava anche me, la
depressione e la delusione la colpirono. Divenne un’alcolizzata, e al suo terzo
mese di gravidanza il feto morì per cause naturali. Questo enorme dolore la
disintegrò completamente, passammo un periodo orribile. Sai, ho sempre odiato L
perché aveva diretto le operazioni che portarono la polizia a trovarci e i
medici a dividerci, eppure adesso che ci penso dopo tutto il tempo che è trascorso…
Se questo non fosse avvenuto, io sarei morto, e lei dopo di me.”
Ecco cosa Mello gli aveva detto. Fine, niente di più. Sicuramente non
era un caso il fatto che ne volesse riparlare proprio in quel momento… E
proprio perché proprio quando c’era pure Matt? Mistero. La motivazione di tutto
quello era enigmatica.
Lui se ne stava lì
seduto con le gambe fini accavallate che gli davano un’apparenza
vagamente raffinato, un’espressione di ingenua curiosità troppo
accennata per essere totalmente autentica.
“Beh, io…” cominciò
lei dopo aver constatato che il silenzio iniziale non aveva convinto il figlio
a rimandare la questione “Ci penso, a volte… Quando prego, soprattutto, penso a
te e a lui. Ma mi sento ogni volta un’assassina, sono stata io a ucciderlo, Mihael… E’ un dolore molto grande da provare, troppo,
troppo per essere sopportabile. Ho provato delle emozioni terribili di perdita,
di disperazione, di angoscia… Mi chiedo come sarebbe stato mettere al mondo
quel bambino, come sarebbe stato il suo viso, la sua voce… La morte di un
figlio è la cosa più orribile che possa capitare ad una persona, secondo me. Non
sono mai riuscita a perdonarmi, ho un grosso peso nell’anima, e sinceramente
non me la sento molto di parlarne.”
“Invece io ho delle
cose da chiederti al riguardo. Ad esempio, visto l’aborto, non hai mai sentito
il bisogno di averne un altro? Nemmeno dopo che sei uscita
dalla casa di cura e che hai iniziato a guadagnare qualche soldo onestamente?”
Natassia era a dir poco sconvolta. Non riusciva a
comprendere, e se ne stava lì a bocca aperta, sotto gli sguardi dei due
ragazzi. Non capiva perché Mihael si stesse
comportando in quel modo… Aveva sbagliato qualcosa per l’ennesima volta, visto
che la stava praticamente punendo con
quelle domande? E se era così, per che cosa, poi? Gli aveva detto di amarlo
comunque tantissimo nonostante tutti i peccati gravissimi che aveva commesso,
nonostante non ci fosse più tutta quell’aria di purezza angelica che l’aveva
caratterizzato da piccolo attorno a lui… Perché allora?
“Perché avrei dovuto
volerne?” strillò con un sorrisino nervoso sul volto e le tempie sudate “In ho pensato sempre e solo a te! Da quando ricevetti la tua
lettera nella quale c’era scritto che partivi per l’America, tutto quello che
ho fatto è stato per poterti raggiungere e rivedere! Nient’altro!”
“Avresti potuto
pensare anche a te stessa, no? Io sono sicuro che tu in realtà avresti voluto, ma non hai osato farlo. Avresti avuto tutte
le possibilità di farti una famiglia: sei ancora giovane perché mi hai avuto
che eri poco più di una ragazzina, e sei bella, sebbene si veda che hai
sofferto molto fisicamente. Avresti potuto trovare senza difficoltà un uomo e
riprenderti ciò che il destino ti aveva tolto, no? Venendomi a cercare con più
calma… Fino a che non ti ho rincontrata, pensavo che fosse successo questo, e
sono rimasto stupito del fatto che non sia stato così.”
Natassia non osò rispondere nell’immediatezza: non
sapeva cosa dire, se doveva giustificarsi, oppure no… Ma era stato un crimine
averlo amato fino a quel punto? No, non era d’accordo. Le era parsa una cosa logica concentrarsi sul figlio che adorava e a cui
aveva promesso di raggiungerlo, senza pensare a nessun altro. Non l’avrebbe mai
abbandonato in favore sé stessa, dimenticandolo, non era possibile!
Era stato evidente, in
più, che Dio non aveva voluto concederglielo, un altro bambino, perché lei
doveva prendersi cura solo di Mihael! La terribile
esperienza dell’aborto spontaneo l’aveva disintegrata nell’animo, e non voleva
che niente del genere si ripetesse. Lei viveva per il suo primogenito, l’unica
ragione della sua esistenza e ovviamente per Dio.
Stava per ribattere a
quelle affermazioni, quando sentì la voce maliziosa di Matt che fino a quel
momento aveva taciuto, una mano che serpeggiò fino a stringerle una spalla.
“Se
sei d’accordo, Natassia, possiamo rimediare insieme a
tutto questo. Andiamo di là
per un paio d’ore e gli facciamo un bel fratellino, al nostro Mel…”
“Tocca mia madre e ti
faccio ingoiare le tue stesse palle.”
Mello sibilò minacciosamente, facendo capire alla
donna che la tipica ironia oscena del rosso era, questa volta, davvero fuori
luogo. Non c’era niente da scherzare.
Certo, Matt conosceva Natassia da soli tre giorni, e già si era completamente
abituato alla sua presenza, senza provare più alcuna vergogna verso di lei.
Aveva ripreso a dire parolacce e volgarità, e adesso addirittura l’aveva
coinvolta in una delle sue frasi sconce.
Il biondo non ne era
per nulla contento. Sua madre era sempre sua madre,con
tutto il bene che si erano voluti, e non doveva permettersi di proporre
assurdità del genere, almeno non in un contesto serio come quello… E Mello, era risaputo, aveva poca pazienza ora, al contrario
di quando era piccolo.
“Eddai,
Mel, scherzavo, non fare il geloso! Non me la scoperei mai tua madre! Che razza
di stronzo sarei? E’ solo che sono un uomo anch’io, e davanti ad una bella
donna, sai com’è… E’ da troppo tempo che ho solo te
come partner…”
Natassia arrossì violentemente, per tutto quello che
stava accadendo. Un ragazzo di vent’anni le faceva proposte di un certo tipo
davanti a un Mihael visibilmente poco tollerante...
Non prometteva bene,
eppure Matt le sussurrò ancora al’orecchio, questa volta a voce più bassa.
“Però, Naty, la mia offerta è sempre valida… Sono molto curioso di
sentire come si gode in russo… E se vuoi davvero un marmocchio, nessun
problema, lo facciamo senza palloncino...”
“Matt, fai
attenzione.” Proferì Mello
estraendo dai pantaloni e poggiando sul tavolo una pistola mantenendo una calma
assoluta che sbigottì la donna facendola sbiancare “Se apri ancora quel cesso
di bocca a proposito di mia madre ti faccio un buco nel cranio. Quindi,
se senti di non poter contribuire alla conversazione in un modo più
costruttivo, è meglio che te ne vai, se ci tieni a te stesso. Perché non ho
alcuna voglia di giocare, adesso, e la mia povera matiuska ne avrà piene le balle delle tue stronzate…
E’ solo troppo educata per mandarti a fanculo.”
“Va bene! Va bene! La
smetto, ho capito, scusami, volevo solo allentare la tensione…”
Il rosso si ricompose
immediatamente, togliendo la mano dalla spalla dell’imbarazzata Natassia. Era sempre meglio no tirare troppo la corda con Mello, perché lui era uno che se abbaiava mordeva di
sicuro. Evidentemente, non aveva voglia di ridere, quindi era meglio stare in
silenzio.
“Ora che gli ormoni di
Matt sono tornati a cuccia, riprendiamo il nostro discorso, matiuska.” ricominciò
lasciando l’arma in bella vista sul tavolo come avvertimento, ma portandosi le
mani dietro la testa con fare rilassato “Volevo farti comprendere che se
dovessimo descrivere in proporzione quanto tu pensi a me piuttosto che a te
stessa, io mi prenderei il 95% .”
“Lo so… Io ho sempre cercato
di renderti felice con ogni mezzo, Mihael.” Rispose
cercando di dimenticare con fatica immane le parole volgari di Matt “Tu sei
qualcosa di prezioso e insostituibile, e benché questo, sono
riuscita a farti dei torti enormi di cui sono pentita! Tu vieni prima di
tutte le cose terrene per me!Sei… Cioè, eri… Il mio Angelo…”
Il volto di Mello si rabbuiò, i suoi occhi puntarono il basso. Una sua
mano si mosse piano afferrando quella di lei, una nota di dolore nel suo gesto.
Ne accarezzò con il pollice il dorso, lentamente, saggiandone la
morbidezza.
“Era
qui che volevo farti arrivare… Te ne sei ben accorta da sola, non sono un
Angelo. Magari da piccolo
potevo somigliargli, ma adesso no. Hai visto come sono cambiato, me lo hai già
detto tu qualche giorno fa. Non sono più il bambino innocente che tu dovevi
proteggere, il tuo compito è finito, e l’hai fatto pure bene secondo le tue
possibilità. Non trovi che sia venuto il momento di
pensare a te stessa, dopo vent’anni di sacrifici? Trovati un uomo serio, metti
al mondo quel benedetto bambino che non hai potuto avere, cerca di vivere. Io so badare a me stesso. E non lo dico
perché non ti voglia bene, ma proprio perché te ne voglio tanto, e non ho
intenzione di coinvolgerti nei miei intrighi, non voglio che tu soffra per
colpa mia. Non te lo meriti. Sono io che adesso devo proteggerti, dalla
polizia, da Kira, dal Male del mondo…”
La bionda rimase
imbambolata, inerme.
Aveva compreso, aveva
afferrato il concetto di ciò che voleva chiederle, tra le righe di quel
discorso. Le voleva chiedere di andarsene. Ecco, dove voleva arrivare, voleva che
lei gli stesse lontano, che vivesse senza di lui… Ma come faceva a non capire?
Perché non riusciva a comprendere quanto fosse impossibile? Lei viveva per lui,
e per nessun altro! Non le importava quanto fosse cambiato, quanto fosse
diverso, quanto il suo animo non fosse più quello che aveva da bambino! Lui era
il suo Mihael…
Lo fissò con gli occhi
lucidissimi, stringendo di colpo quella mano, come se volesse evitare che
scappasse via.
“Mihael…
Vuoi che me ne vada? Vuoi mandarmi via?”
Il ragazzo emise un
risolino sommesso, che suonò stranamente innocente. La sua espressione seria era cambiata radicalmente.
“Non
voglio interrompere tutti i contatti! Cos’hai capito,matiuska? Voglio solo che tu, ecco, che tu stia
fuori dai guai, fino a che le acque non si saranno calmate. E questa piccola
separazione temporanea sarebbe stata certamente più digeribile, se tu avessi
avuto qualcun altro alle spalle… Magari potremmo, abitare vicini quando tutto
sarà risolto, qualcosa così…”
“Vuoi parlare di una
separazione lunga?”
“No… Devo solo
regolare una faccenda, e non voglio che ti ci rimanga implicata. E per la tua
sicurezza. Dammi tempo due giorni, e avrai mie notizie. E poi, per favore,
inizia a pensare alla tua vita. Io sto bene adesso, sei tu quella che deve
trovare l’equilibrio… Ti ricordi quando mi parlavi del posto che ognuno ha nel
mondo? Io ero un bambino, eppure mi ricordo bene quello che mi dicevi…”
“Sì… Mi ricordo…”
“Da piccolo avevo un
terrore profondo per l’abbandono, era il mio incubo. Non volevo restare da solo,
non volevo che tu mi lasciassi, perché sapevo che se fosse accaduto, sarei
stato destinato a morire… Mi rassicuravi sempre in proposito. Poi mi parlavi di
quanto fossi speciale, e del posto che Dio mi aveva dato. Io l’ho trovato quel
posto, e quindi non ho più paura. So cosa devo fare, so di non essere solo.
Allora, adesso tocca a te, fai quello che senti giusto per te stessa, senza
pensare a me.”
La donna scattò in piedi, precipitandosi ad
abbracciare il figlio. Gli si buttò tra le braccia, scossa dalle lacrime, e lui
la accolse dolcemente, stringendola, baciandole lui la testa, per una volta.
Era lei ad aver bisogno dell’affetto…
“Io
vedrò… Io vedrò di fare come dici…” singhiozzò, il capo appoggiato sulla sua
spalla cercando calore e tenerezza dal figlio adorato “Ma promettimi che mi
darai tue notizie tra due giorni!
Poi vedremo assieme come fare per sistemarci… Vivremo vicini…”
“Certo… Stai
tranquilla, non piangere, non mi accadrà niente… E tra due giorni, ti
contatterò, così pensiamo a dove stare… Basta che mi prometti una cosa…
Promettimi che se davvero desideri avere un altro bambino, lo farai, se questo
ti rende felice…”
Fu costretta ad alzare
il volto rigato di lacrime, prendere tra le mani quello del figlio e dargli un
lungo, disperato bacio sulla guancia sana, tremando come una foglia.
Matt, che aveva
osservato la dolce scena famigliare in silenzio, sospirò con tristezza
distogliendo lo sguardo.
Mello sapeva sempre che parole utilizzare, per
far credere alla gente quello che voleva, non importava che fossero speranze o
frustrazioni… Certo, essere arrivato a dare tutta quella speranza a sua madre…
Sì, era sempre stato un tipo spregiudicato e senza rimorsi.
Due giorni… Sì, non
aveva mentito, in ogni caso tra due giorni avrebbe avuto senza dubbio le loro
notizie…
E nella mente del
rosso si fece spazio l’idea che forse quella notte avrebbe preferito passarla
con Mello, la persona a cui più teneva al mondo,
visto che non ne avrebbe più avuto l’occasione…
Uff… Che capitolo difficile… Scusate se ci ho
messo un po’, e forse è anche perfino troppo corto per tutto quello che avrei
voluto scriverci... In ogni caso, spero che vi sia piaciuto, come sempre!^^ Lo
so, il finale preannuncia l’imminente tragedia…T___T I nostri
poveri Mello e Matt… Potete bene immaginare la
reazione della povera Natassia… Il prossimo capitolo
sarà tutto dedicato a lei e al suo dolore.
Ringrazio:
Elly_Mello: Lo so!XD Matt è sempre il solito, mi fa morire anche a me! E’ qui è
stato ancora peggio della volta scorsa! E comunque so anche che la fine è
vicina… Ma il prossimo chap ti piacerà, tu che adori
queste cose sentimentali e ti ho già spoilerato… Un kissone, amore mio! E velocizziamoci a scrivere TTR!<3
Sydelle:
Eheh… Qui Matt è stato ancora peggio! Ma mi sono
divertita un mondo! Io me l’immagino così, un tipo senza peli sulla lingua e
spregiudicato! E la sua ironia fa bene alla storia, che sennò sarebbe troppo
triste. Un kiss!
linkinparkforever: Come volevasi dimostrare, hai il dono
della preveggenza!XD Qui era perfettamente sobrio (o quasi). Ah, il nostro
Matt, quante ce ne combina… Kiss!<3
aikonekoblack:
Ci è andato vicino… Molto vicino… Comunque no, mi dispiace tantissimo ma non
posso cambiare la trama di DN…T_T Dispiace troppo
anche a me, ma non posso farlo… E Alone in the Dark è finita!XP Vai a
controllare! Un kissone!
_pEaCh_: No, dai, ha solo
fatto un po’ di avances per scherzo. Sul serio non lo farebbe mai, per rispetto
ad entrambi, e anche perché rischierebbe la vita a mio avviso. Mello non gliela farebbe passare liscia. Un gros bisou!<3
KeR:
Tranzolla, mica sono offesa! Recensisci pure quando
vuoi!^^ E comunque hai perfettamente ragione, povero Mello e povero Matt… Kiss!
L i a r: E qui non era ubriaco! La cosa è
preoccupante, non trovi? Ma Matt è fantastico così! Grazie per aver
apprezzato!^^
patri_lawliet: Leggi in fretta anche gli altri allora!
Cavolo, per fortuna che adesso hai il pc a posto, e
grazie infinite per i complimenti!*///* Mi fai arrossire! Un bacioneeee!<3
reidina: Chissà perché proprio in Italia!XD Era
una località a caso immagino! Sì, il mio scopo è anche di fare dei pezzi in cui
si ride, sennò la storia è davvero troppo triste! E lo guardo anch’io Criminal Minds, mi piace troppo quel telefilm!*_* E non
preoccuparti, TTR è sempre in costruzione! Aggiorneremo anche quello! Un kissone enorme!
KLMN: Tutti i tuoi quesiti verrano
risolti nei prossimi capitoli, non temere… Purtroppo saranno tristi momenti,
puoi immaginarlo… Grazie per aver recensito, caVa! TVB!
“Matiuska…
Vorrei che prendessi questa, prima di andare.”
“Che cos’è? Oh, una tua foto! Grazie, Mihael!
Non ne ho mai avute di foto tue!”
“Me l’hanno fatta all’orfanotrofio, ero andata a recuperarla
qualche tempo fa, e ho pensato che forse sarebbe stato piacevole per te
tenerla.”
“Grazie, amore! La terrò sempre con me! Ti voglio tanto
bene! Dammi un bacio e abbracciami!”
“Anche io te ne voglio… Ci rivedremo presto, non temere…
Ciao, mamma…”
“Ciao, Mihael! A
tra due giorni!”
Erano passati, i due
giorni. Natassia aveva aspettato trepidante
nell’appartamentino affittato per conto suo da quando si trovava lì a Los
Angeles. Cercava di stare calma, ma ogni minuto pareva durare un’ora, e non
riusciva a star ferma… Avrebbe potuto finalmente avere la vita che sempre aveva
sperato, vivere vicino al suo Mihael, felice, senza
alcuna preoccupazione, serena.
Non passava momento in
cui non si rigirasse tra le mani quella fotografia che le aveva regalato prima
che lei uscisse dall’appartamento che lui divideva con Matt. Era perfino
emozionata di averla ricevuta: non aveva mai posseduto una macchina fotografica
visto le poche disponibilità economiche, quindi non aveva mai fatto delle foto
al figlio, nonostante avesse voluto. Spesso si era rattristata per questo,
negli anni in cui era lontano da lei, perché così non poteva avere nemmeno
un’immagine del suo viso, niente di niente… Ora invece poteva ammirare quel
sorriso di lui da bambino, circa dieci o undici anni, senza cicatrice… Era
sempre tanto bello…
E in quel pomeriggio
di trepidazione, proprio non era riuscita a stare tranquilla. Era uscita di
casa a fare due passi, il cuore pieno di piccole
speranze di una vita normale. Finalmente, una vita normale.
Voleva scaricare un
po’ di quell’adrenalina che le vorticava nelle vene, giusto appena prima di
rivedere suo figlio. Oltretutto, di certo non le avrebbe fatto male. Le
passeggiate svuotano la mente, e aiutano a passare il tempo.
Camminava, così,
camminava sul marciapiede stretta nel suo cappotto, osservando gli edifici
grigi e rossi, le vetrine dei negozi strabordanti di
mercanzia, le insegne colorate che luccicavano, i cartelli con scritto “sales” appiccicati ad
ogni entrata. Già, era periodo di saldi.
Le venne in mente che
forse avrebbe potuto comprare un regalo per Mihael.
In fondo, non gliene aveva fatti quando l’aveva ritrovato, presa alla
sprovvista, mentre lui invece le aveva donato quella foto… Anche se non sapeva
assolutamente quali fossero i suoi gusti. Un libro? E se per caso l’aveva già
letto? Dei vestiti?Sì, ma dove avrebbe potuto trovare degli abiti simili a
quelli che gli aveva visto indossare, tanto diversi da quelli che lei gli
comprava da bambino? Quelle cose tutte nere e succinte non le piacevano nemmeno
molto, anche se non aveva mai espresso nessun commento al riguardo, per non
dare origine a polemiche inutili.
Fu proprio mentre
immaginava che cosa avrebbe potuto comprare, che passò davanti ad un chiosco di
giornali. Non ci avrebbe fatto nemmeno molto caso se i suoi occhi non fossero
cascati accidentalmente sulla copertina di un quotidiano.
Forse fu il titolo
scritto a caratteri cubitali enormi. Forse fu solo un’insensibile sesto senso. La scritta “Ritrovati i corpi caronizzati di KyiomiTakada e del suo rapitore. Era Mello, famoso ricercato.” la paralizzarono lì davanti, incredula.
No, non era possibile.
Mello era Mihael, e Natassia lo sapeva bene purtroppo. Se era stato ritrovato
il suo cadavere, ciò voleva dire che… No. Semplicemente, era impossibile. Mihael non poteva essere morto… Si rifiutava di crederci.
Sbatté le palpebre un
paio di volte, e le sue mani afferrarono i giornale
per leggere il trafiletto, scorrendo febbrilmente le pupille tra le righe. Sono
frasi a caso, tutte ugualmente dolorose, tutte a conferma dell’incubo in cui sta
incappando: “Mello, ricercato per omicidio,
associazione mafiosa, terrorismo, traffico di armi, di stupefacenti,
sfruttamento della prostituzione…”oppure
“Vera identità del rapitore non rivelata dalle autorità competenti, il
cadavere ritrovato insieme a quello della nota portavoce di Kira
nell’edificio in fiamme…” o ancora “Complice
ucciso durante la fuga.”.
Mihael era morto sfidando Kira.
Era quello allora, il conto che doveva regolare.
Natassia lasciò cadere a terra il giornale, che
emise un piccolo tonfo, di fronte all’espressione stupefatta del giornalaio.
Era sbiancata di colpo, gli occhi stralunati. Il labbro inferiore le tremava.
“Signora… Si sente
bene?” chiese educatamente l’uomo.
“Sì…” mentì
balbettando nonostante il suo stato d’animo in subbuglio fosse estremamente
visibile “Non si preoccupi…”
I suoi passi furono
lenti e ciondolanti. Le sue stesse gambe, che parevano tutto ad un tratto fatte di piombo, la trascinarono stancamente,
quasi arrancando, fino alla più vicina panchina. Vi si sedette con apatia,
nonostante fosse gelata. Il suo cervello era concentrato su tutt’altro, il
freddo non lo sentiva.
Mihael… Il suo dolce angioletto… Non l’avrebbe
rivisto mai più. E nemmeno gli aveva detto addio, solo
un normale saluto, che ora sapeva di amaro. Era morto Mihael,
aveva smesso di vivere, ucciso dalle fiamme secondo l’articolo… Un trapasso
terribile, uno dei modi peggiori per morire, uno tra i più dolorosi. Doveva
aver sentito la Morte
arrivare pian piano, mentre la sua pelle bruciava, si disfaceva, e i polmoni si
intasavano di fumo fino a collassare. Provava talmente tanta angoscia per la
sorte del figlio, ingiusta e piena di tormenti che non si meritava, che non si
curava per niente della gente che passava, e che la vedeva piangere e singhiozzare
tenendosi la fronte, disperata, il cuore straziato sanguinante.
Che cosa aveva senso
ora? Di che cosa avrebbe dovuto preoccuparsi, senza il
suo Mihael e senza Matt (Perché il complice citato
rimasto ucciso nell’inseguimento doveva essere lui per forza.)? Che cosa ne
avrebbe fatto della sua vita, senza più alcuno scopo? Faceva troppo male
pensarci.
Le risalirono alla
mente come tante piccole bollicine in un liquido molte immagini, ricordi più o
meno felici dell’infanzia del figlio. L’aveva visto nascere, crescere,
piangere, ridere, l’aveva consolato, incoraggiato, a volte sgridato, coccolato,
ed ora lui non esisteva più. Era solo un cadavere irriconoscibile che non
avrebbe avuto una tomba, e che non avrebbe potuto reclamare.
La disperazione per la
perdita di Mihael la travolse come un fiume
gorgogliante dopo aver rotto una diga, unita ad una serie interminabile di
ricordi passati…
Il 13 dicembre 1989 nevicava nei dintorni di Baranavichy. Faceva un freddo pungente, il cielo era una
massa indistinta di grigie nuvole basse.
Natassia passeggiava avanti e
indietro nella sua casetta fredda poco distante dalla città, avvolta in un
maglione per proteggersi dal gelo che entrava dagli spifferi, agitata, sotto lo
sguardo mediamente apprensivo delle amiche che aveva chiamato subito dopo i
dolori di quella stessa mattina. Non voleva certo star sola ed essere costretta
ad arrangiarsi quando sarebbe giunto il momento tanto atteso. Alcune di loro,
poi, avevano avuto delle esperienze in passato, e sicuramente avrebbero potuto
aiutarla, in assenza del medico, nonostante praticamente nessuna approvasse la
sua scelta. Partorire a casa in quelle condizioni era sempre un rischio, lo
sapeva bene. Aveva sentito dire che se c’erano complicazioni avrebbe potuto
finire male per lei e per il nascituro, ed era spaventata all’idea. Avevano
tentato di convincerla a interrompere la gravidanza anche utilizzando
quest’argomento, ma lei era stata irremovibile. No, lo avrebbe avuto, non
c’erano discussioni.
Era però in ansia, e cercava di alleviare la tensione
passeggiando. Di tanto in tanto si fermava, si guardava in qualche specchio
vecchio il viso smunto e poi la pancia, accarezzandosela con delicatezza. Era
tonda e sporgente, come se avesse appena ingoiato un cocomero intero. C’era il
suo bambino lì dentro…
Essendo di corporatura estremamente esile,
quel ventre rigonfio e pesante le gravava parecchio, costringendola a
camminare in modo goffo, piegata leggermente all’indietro per fare da
contrappeso. Ma tutto questo sarebbe finito presto, se lo sentiva. Stava per
dare alla luce il suo piccolo, nonostante tutte le difficoltà che la colpivano:
sola, povera, rimasta incinta per sbaglio, appena diciotto anni compiuti… Ma
non le importava. Quel bambino in sé era qualcosa di straordinario che doveva
per forza accettare. Gliel’aveva donato Dio, e non si pentiva di aver scelto di
tenerlo. Se l’Onnipotente stesso aveva deciso così di metterla alla prova, lei
avrebbe dimostrato il suo valore, il suo coraggio e il suo spirito di
sacrificio.
Tutto ad un tratto, senza alcun preavviso, arrivò la prima
violenta e dolorosa contrazione, e da lì tutto iniziò a procedere molto
velocemente, che quasi non se ne accorse. Faceva male, quello lo sentiva, e la
sofferenza fisica occupò tutto lo spazio disponibile nella sua mente. Le era impossibile non pensare ad altro, a mala pena
avvertiva quello che le stava succedendo attorno.
Si rese conto distrattamente di quando le compagne rimaste
calme l’appoggiarono nel suo letto malandato sorretta
dai cuscini, mentre quelle più turbate correvano di qua e di là eccitate con
coperte, stracci e bacinelle d’acqua, strillando. Non comprese tutto quello che
le veniva detto, con quel fardello vivo che premeva e scalciava insistentemente
nel suo grembo senza tregua, udì principalmente che le gridavano perlopiù di
spingere. E lei spinse, spinse con tutte le sue forze, fino a rimanere
sfibrata, a non farcela più.
Era passato un tempo indefinito, probabilmente circa un’ora,
ed era esausta, il suo corpo troppo gracile era allo stremo. Ma non poteva
mollare, doveva resistere, per sé stessa e per la sua creatura. Se non ce
l’avesse fatta, l’avrebbe costretto a morire mettendo in pericolo anche la
propria vita. Doveva tenere duro, e le sue fatiche sarebbero state ripagate!
“Non gettare la spugna, natassiuska! Spingi!”
“Spingi che è quasi fuori! Già la testa si vede!”
“Devi resistere! Un ultimo sforzo, Natassia!
Concentrati e spingi!”
Natassia sentì che finalmente ce
l’aveva fatta, quando avvertì un corpicino viscido sgusciarle tra le cosce,
mettendo fine al dolore, il suono tanto atteso di vagiti affannati. Tutte le
ragazze la accerchiarono sorridendo e gridando di gioia, mentre lei riprendeva
le forze ansimando, in un bagno di sudore, nonostante tutto felice e appagata
dall’impresa compiuta. Ci era riuscita, l’aveva partorito,
il suo bambino…
Non arrivò tuttavia subito a muoversi, completamente
esausta. Restò sdraiata con le palpebre semichiuse provando a riportare il suo
respiro ad un livello normale, senza guardare cosa stesse succedendo davanti a
lei. Voleva astrarre per un attimo la mente, racimolare i suoi pensieri,
intanto che le altre si prendevano cura del neonato, tagliandogli il cordone
ombelicale, lavandolo, pulendo i resti del parto e togliendo da sotto di lei le
coperte intrise di sangue e altri liquidi. Il suo cervello, si concentrò al
fine di accettare l’idea che ormai era diventata madre, e che avrebbe visto tutto in modo diverso da quel momento.
Le pareva ancora troppo strano, doveva abituarsi al fardello di responsabilità
che sentiva di avere.
Passarono ancora diversi minuti in cui passò il tempo a
svuotare il suo cervello, prima di sentirsi psicologicamente pronta ad
accogliere le novità.
Sentire quel pianto infantile le faceva provare anche
un’emozione particolare, che mai aveva provato prima: era un male interiore, ma
non vera e propria sofferenza. Piuttosto, era una spinta, un impulso a fare
qualcosa per lui, a prenderlo con sé. Desiderava fermare quelle urla strazianti
per il suo cuore di madre, l’avrebbe fatto ad ogni costo.Fece
ordine nel
“Per favore…” mormorò “Datemelo, sta piangendo…”
“Un momento, Natassiuska, adesso te lo diamo.”
La giovane aspettò allora tendendo le braccia tremanti,
finché un piccolo involto di coperte non le venne offerto.Finalmente. Finalmente teneva la sua creatura
tra le braccia. Natassia si sentì pervadere da calore
e affetto per quell’affarino che probabilmente faceva a mala pena tre chili. Era
suo, era suo figlio, piccolo e fragile…. E aveva un bisogno disperato di lei.
Era a prima volta che si rendeva conto di essere importante,
anzi, addirittura vitale per
qualcuno. Senza di lei, non avrebbe potuto
sopravvivere in alcun modo…
Lo scoprìper vederlo in viso dopo tanta
estenuante attesa. Era un volto contratto nello sforzo del pianto, tutto rosso.
Le faceva sempre più pena a vedere quel neonato innocente così amareggiato
emettere quegli strilli angoscianti, tanto che istintivamente si alzò il
maglione che aveva continuato a indossare anche durante il parto per
proteggersi dal freddo scoprendo un seno, apprestandosi ad allattarlo,
sostenendogli con l’altra mano la testa delicatissima coperta da radi capelli
talmente chiari da sembrare bianchi, una testa che, immaginò, avrebbe potuto
fracassarsi alla minima stretta un po’ più forte. Il piccolo, affamato, si
attaccò subito al capezzolo tirando con forza, il pianto pian piano trasformato
in singhiozzo.
La madre lo accarezzava sorridendo, praticamente in lacrime
a sua volta, tanto era felice di tenere quel neonato tra le braccia.
“A quanto pare è un maschio.” La informò
di colpo una delle compagne interrompendo il silenzio che si era creato in una
specie di aura sacra “Allora… Vuoi tenerlo? Sei davvero sicura?”
“Sì.” Rispose Natassia debolmente,
ma con tutta la fermezza di cui era capace “E’ mio, Dio l’ha dato a me, è stato
come un miracolo… Lui è come… Come un Angelo… Il mio Mihael…”
E così decise il suo nome. Mihael,
come l’Arcangelo che combatteva Satana.
Certo, a quel tempo Natassia non
avrebbe mai potuto immaginare il destino che avrebbe segnato quel bambino, alla
sua nascita così indifeso, quando sarebbe diventato in futuro un martire della
crociata contro Kira, il falso dio che pretendeva di portare la sua giustizia oscurando
quella del Signore. No, questo Natassia non avrebbe
mai potuto prevederlo.
Non avrebbe nemmeno potuto aspettarsi tutte le lacrime che
avrebbe disperso, il suo cuore fatto a pezzi, letteralmente stritolato e
martoriato dal dolore crudele dato dalla morte di una creatura a cui lei stessa
aveva instillato la vita. No, nessuna angoscia sarebbe mai stata tanto atroce,
nonostante avrebbe tentato di credere con tutta sé stessa, che sarebbe stato
Dio a volerlo richiamare a sé, tra le sue schiere.
Perché Mihael era un Angelo, e il posto degli Angeli era il
Paradiso.
Il prossimo sarà
l’epilogo, il finale definitivo di questa lunga e sudata storia, dopo questo
capitolo luttuoso, che sinceramente non mi fa venire alcuna voglia di ridere.
Mi scuso per
l’imperdonabile ritardo, ma purtroppo ho dei problemi con l’internet. Spero che
mi capiate…
Vorrei, prima dei
ringraziamenti, mettere in chiaro un punto che potrebbe apparire oscuro: Natassia non sa che Mello in
realtà è morto per attacco cardiaco, quindi per lei è stato naturale pensare
alla sua morte tra le fiamme. Ovviamente, se qualcuno desidera delle delucidazioni
su qualcosa, può scrivermelo nelle recensioni o contattarmi via msn!
Ringrazio velocemente
questa volta: Sydelle, KLMN, Elly_Mello,
reidina, TheCrazyHatter, patri_lawliet, L i a r, aikonekoblack. La prossima e ultima
volta farò delle belle risposte ad ognuno, promesso!
Ever felt away with me
Just once that all I need
Entwined in finding you one day…
Ever felt away without me My love, it lies so deep
Ever dream of me…
(Nightwish, “EverDream”)
La luna tonda illuminava con il
suo chiarore pallido la notte invernale di Mosca. La luce entrava lieve dalla
finestra della stanza, illuminandola debolmente. Era plenilunio, in quella
triste e gelida nottata.
Natassia,
seduta su una sedia davanti alla finestra, la osservava, ammirando le stelle e
confrontandole con i bagliori forti dei lampioni cittadini, e, lontanissima
sullo sfondo, la forma brumosa del Kremlino. Non
riusciva proprio a dormire, era insopportabile. Non poteva fare altro che stare
lì a guardar fuori, aspettando che l’afflizione scemasse
lentamente, per il quarto anno consecutivo in quella stessa data, che
teoricamenteavrebbe
dovuto essere un giorno speciale e felice… Il tredici dicembre. Il
compleanno di Mihael.
Era diventato un incubo
angosciante, un momento di tristezza terribile. Lo pensava con molta più
intensità del solito, cercava di immaginare dove potesse essere la sua
Anima, pregando che si trovasse in Paradiso… Perché il suo Angelo
era lì che doveva stare, lì con gli altri Angeli e con Dio, che
l’aveva richiamato a sé.
Era però tanto difficile
tentare di essere forte, anche se ci aveva provato con tutte le sue forze, e
solo per Mihael. Le sue ultime volontà, quelle
che gli aveva rivelato imprevedibilmente in quel giorno di gennaio, si era
sforzata di esaudirle. Non aveva avuto il coraggio di dirle che forse sarebbe
morto nel rapimento di quella KiyomiTakada (Nome che non avrebbe scordato mai.), e così
aveva trovato quell’espediente…
Fissò intensamente la
fotografia incorniciata che era stata posata sul davanzale. Una candela
bruciava lì accanto, la fiammella tremula scioglieva lentamente la cera
bianca che si piegava verso l’esterno come un bocciolo. Un piccolo lume,
regalo per il figlio defunto.
L’immagine inquadrata,
ritraeva un bambino alle soglie dell’adolescenza, il viso ancora
fanciullesco, i capelli biondi che incorniciavano un viso furbetto.
Com’era bello e innocente a quel tempo, il suo Mihael…
Se lo sarebbe sempre ricordata così…
A quel pensiero, le sue mani
strinsero le spalle esili della figura che stava
adagiata contro il suo petto. Il suo viso rigato di lacrime amare si spostò
automaticamente per osservarla meglio. Era una testolina piena di bei boccoli
biondi che stava appoggiata al suo seno, il volto completamente rilassato
immerso nel sonno, gli occhi chiusi mollemente, le labbra che succhiavano
ritmicamente un ciuccio, i pugnetti paffuti stretti
alla sua camicia da notte.
Lo sapeva bene, forse non avrebbe
dovuto, per non disturbarlo, eppure non aveva resistito a prendersi in braccio
a quell’ora tanto tarda quel suo bambino di nemmeno
due anni, che aveva avuto lei a quasi quaranta, secondo piccolo e sofferto dono
del cielo, che amava esattamente come aveva amato Mihael.
Non l’avrebbe mai lasciato
solo, non avrebbe più ripetuto gli stessi errori. Era la nuova speranza,
sua ma anche di Mihael, la speranza di una vita
migliore di quella che avevano trascorso assieme. Non voleva fallire
più, non voleva più sbagliare. No, Misha
(Così l’aveva chiamato, con un nome che le ricordava un po’
quello del primogenito defunto.) non avrebbe fatto quella fine, nessuno
gliel’avrebbe portato via…
Lo strinse un po’
più forte, accarezzandolo sul capo quando sussultò nel sonno.
Era anche lui così dolce,
proprio come era stato Mihael, incapace di difendersi
e delicato… Dio era stato tanto buono con lei, per averglielo concesso.
Magari, quella sua purezza e bellezza erano state proprio un regalo per perdita
dell’altro, per ricambiarla, o lodare il fatto che aveva cercato di
prendersi molta cura di lui, prima che morisse… Non lo sapeva, ma ci
credeva fermamente.
Misha
gli assomigliava molto: i suoi capelli erano dello stesso colore biondo, anche
se erano riccioluti, e non lisci. Anche il suo viso era un pochino più
paffuto di quello che aveva avuto l’altro figlio, gli occhi di un blu
intenso, le fossette sulle guance rosee.
Simili, ma non uguali. E per quanto
la donna lo avesse desiderato, Misha non era Mihael. Era il suo fratellastro e basta, nato da stessa
madre e padre differente. Questo l’aveva fatta leggermente soffrire in
passato, tuttavia era riuscita a superare la difficoltà
dell’accettazione in pochissimo tempo. Lo amava, e semplicemente non era
possibile fare dei paragoni tra i due. Avevano fatto entrambi parte della sua
progenie, per cui aveva provato lo stesso affetto per entrambi.
Abbassò il capo, e diede
un bacio tra i capelli del piccolo che teneva in braccio. Sapevano di shampoo
alle fragole, quei riccetti morbidi e setosi.
“Misha…
Misha…” sussurrò per svegliarlo
“Mi senti, amore mio?”
Il bambino aprì le
palpebre, sbadigliando. Disturbato dall’interruzione del suo sonno, si
rannicchiò di nuovo cercando una posizione comoda, emettendo lamentosi
gemiti di disappunto e nascondendo completamente il volto nell’incavo tra
i seni di lei.
“Misha,
amore… Sai che la tua mamma ti vuole tanto bene, e ti ama… Non
lascerò mai che tu faccia la fine di tuo fratello, mai… Tu sei
molto fortunato rispetto a lui, perché qui ora abbiamo un po’ di
soldi, anche se non tantissimi, e poi abbiamo una bella casa. Non
c’è niente di cui devi avere paura…”
“Uhm… Ma… Ma…”
La rincuorava parlare con suo
figlio di come le cose erano cambiate nella sua vita. Voleva convincere lui e
principalmente sé stessa, che davvero nulla avrebbe potuto portare
sofferenza in quel momento… Mihael non
l’avrebbe permesso, perché li proteggeva…
Tutto d’un tratto, la porta
della stanza si aprì scricchiolando sui cardini. Il rumore sul pavimento
di passi lenti e un po’ pesanti riempì l’aria,
maNatassia non si voltò, per niente
stupita. Rimase immobile, continuando ad accarezzare la testa del figlioletto,
piangendo in silenzio. Conosceva bene la persona che era appena entrata. Non
aveva alcun timore.
“Natassia… Sapevo che
questa notte ti saresti svegliata…”
Solo a quel punto lei si girò, guardando l’uomo
con espressione sofferente. Lui ricambiò lo sguardo triste, e
posò una mano grande e ruvida sulla sua spalla esile. Tentava un gesto aggraziato,
e pareva perfino strano come quell’arto vigoroso e gigantesco potesse
essere capace di tale delicatezza. Le accarezzò piano il collo
provocandole un leggero brivido, una guancia bagnata di lacrime, per poi
chinarsi e posare un casto bacio tra i suoi capelli.
“Scusami, Nicholai…
Non ci riesco, non riesco a dormire, sto molto male! Il pensiero di Mihael mi tormenta… Lo vedo di nuovo dappertutto, mi
sento in colpa perché non ho potuto fare nulla per lui… E non
posso non pensare ora al nostro Misha… Non
voglio che gli succeda mai niente, non voglio che faccia la fine di mio figlio,
non voglio vederlo soffrire come lui…”
Nicholai sospirò affranto.
Si spostò mettendosi davanti a lei, e si piegò sulle gambe per
arrivare alla sua altezza da seduta, per fissarla nel viso, inscurito dalle
ombre notturne.
Era un uomo alto e robusto, con i muscoli sviluppati
temprati dalle fatiche così come il suo volto, le mani forti e callose,
una chioma castana folta e irsuta, sulle guance un accenno di barba scabra,
segno che il giorno successivo sarebbe stato il momento di raderla. Il suo
aspetto da operaio burbero e indelicato all’apparenza contrastava
nettamente con quello della donna, che sembrava ancora più minuta e gracile
in sua presenza. Probabilmente, se avesse voluto, Nicholai
avrebbe potuto stritolarla a mani nude… Ma non l’avrebbe mai
fatto… Perché la amava. La amava di un amore affettuoso e sincero,
che mai prima qualcuno aveva provato per lei ad esclusione di suo figlio. I
suoi gesti nei suoi riguardi tentavano di essere sempre delicati e misurati,
quasi avesse paura di sbriciolarla, consapevole dell’evidente differenza
di costituzione e forza che c’era tra loro.
Si erano conosciuti praticamente per caso, dopo che la donna
era tornata a Londra, distrutta psicologicamente per la morte di Mihael, credendo di vivere in una specie di limbo, sospesa
tra vita e morte. Nicholai era stato invitato per u periodo di vacanza dalla sorella emigrata proprio nella
capitale del Regno Unito dove viveva, casualmente diventata amica di Natassia nel centro di accoglienza dove entrambe avevano
vissuto per tanto tempo, amicizia nata per l’uso della stessa lingua
madre. Fu così che Nicholai vedendola per la
prima volta, ospitata da sua sorella ora che viveva autonomamente in un
appartamento, ne rimase folgorato.
Era bellissima ai suoi occhi, piccola e discreta, fragile
come un cristallo di ghiaccio. Un fascino triste e malinconico, bisognoso di
affetto.
La sua storia, in più, lo impressionò particolarmente,
quando, presa confidenza, la venne a sapere: le privazioni, le sofferenze,
l’allontanamento dal figlio ancora bambino a cui era tanto legata, e la
morte orribile di quest’ultimo, nonostante lei non confessò mai
che in realtà Mihael fosse stato il criminale
nominato Mello… Gli ricordava sé stesso,
rimasto vedovo in seguito al decesso della sua prima moglie avvenuto qualche
anno prima.
Tentò di corteggiarla in tutti i modi, prima
rifiutato a causa nella naturale ritrosia di lei, troppo impaurita dai legami
affettivi in seguito allo shock della perdita, ma successivamente accettato,
compreso e ricambiato. Lei si aprì ai sentimenti di quell’uomo
all’apparenza burbero, quando comprese appieno la sua sincerità e
notò che avevano un passato quasi simile.
Lui ritornò a Mosca portandola con sé,
sposandola in poco tempo. Tanto per Natassia non
c’era più nulla che la legava a Londra. Qualsiasi posto sarebbe
andato bene per ricominciare a vivere, come aveva promesso a Mihael. Nicholai le stava
offrendo la possibilità del riscatto, sarebbe stato stupido e ingiusto
continuare a rinunciarvi. Lo stesso Mihael le aveva
chiesto di riavviare tutto prima di morire, e lei aveva esaudito il suo
desiderio…
Ed ora, la sua vita era cambiata. Non era più sola al
mondo. C’erano Nicholai e Misha
che le volevano bene…
“Natassiuska, non dovresti fare così, non devi
soffrire per Misha.” Le
mormorò per quietarla, accarezzando anche la testa del bimbo che teneva
in braccio “Lo sai che non gli succederà mai niente, calmati, ti
prego. Capisco che è una notte difficile da sopportare questa per
te, e mi dispiace tanto… Mi fa troppo male vederti in questo stato
orribile, piccola mia…”
Natassia non accennò a
smettere di piangere tuttavia, nemmeno dopo quelle parole. Serrava ancora
convulsamente il figlioletto, perché ne sentiva un vero e proprio
bisogno, come necessitava di percepire il suo cuoricino battergli nel petto, il
suo respiro caldo sulla pelle.
“Mi manca talmente tanto, il mio Mihael…
Anche se so che lui sta bene adesso, che la sua anima è in Paradiso, in
pace… Io ho paura… Non voglio perdere anche Misha…”
“Ma nessuno toccherà Misha,
lo sai! Non permetterò a nessuno di farvi del male! Te lo promisi tempo
fa, e te lo ripeto ora, se vuoi. Te lo ricordi, cosa ti dicevo quando doveva
ancora nascere nostro figlio? Ti ripetevo sempre la stessa
cosa…”
Annuì. Certo che si rammentava, come poteva averlo
dimenticato? E con quelle frasi, le venne in mente anche tutta la vicenda della
nascita di Misha…
Perché già poco dopo essersi sposati, lei
aveva subito dimostrato un desiderio forte di avere un altro bambino, e pure Nicholai ci teneva, sebbene lui un figlio, ormai adulto, ce
l’avesse già, nato dal suo primo matrimonio.
Purtroppo però, l’animo della donna era
dilaniato: da una parte c’era questa brama di maternità,dall’altra
il timore tremendo di una possibile gravidanza. Aveva il terrore fondato di
incappare in un secondo aborto, data la sua esperienza traumatica in passato, e
come se non bastasse, il pensiero di un’eventuale e illegittima
sostituzione di Mihael nel suo cuore la tormentava. Straziata
da queste pene, aveva evitato in tutti i modi di rimanere incinta,
finché fu Nicholai stesso a sbloccare a modo
suo la spiacevole situazione.
Fu la sola e unica volta in cui utilizzò verso di lei
il proprio aspetto possente. La prese con un po’ di forza, consapevole
però che se lei avesse opposto troppa resistenza, se avesse pianto e
supplicato, scalciato e graffiato, non avrebbe osato spingersi più in
là. Non era appunto sofferenza ciò che voleva darle, ma solo la
felicità che da sola non riusciva a raggiungere.
Natassia, come c’era
d’aspettarselo, dapprima tentò di respingerlo, ma data
l’insistenza di lui, si lasciò andare successivamente, accogliendo
più volte il suo seme nel il suo grembo, e
accettando, tempo dopo, il successivo gonfiore del suo ventre. Durante l gravidanza tuttavia, non sempre si sentiva felice. I
vecchi pensieri che le avevano precedentemente impedito di concepire
ritornavano a galla, tormentandola. Nicholai,
ovviamente se ne accorse, e allora glielo ripeteva quando la gioia veniva meno,
quando era preoccupata o triste. La coccolava e le diceva che li avrebbe
protetti e amati sempre, fino a morire, a lei e al suo bambino. Le dava forza e
coraggio, la sosteneva fino a convincerla che quello era il vero volere di Mihael, che forse erano stato perfino le anime del suo
stesso figlio e della rispettiva moglie morta a volere il loro incontro. E
perché così non avrebbe potuto essere?
“Ti amo, Natassia… Sai
che io mi sono innamorato di te dal primo istante in cui ti ho vista.”
Disse come spesso faceva “Per me tu è Misha
siete le cose più importanti che esistano.”
“E questo mi turba, Nicholai…
Perché per me, se Mihael fosse ancora vivo,
non ci sarebbe stato nulla di più importante di lui. Per quanto riguarda
te, invece, tuo figlio Vania viene dopo di noi…”
“Vania ha diciannove anni.
Ha un lavoro onesto che gli permette di essere autonomo, e ha deciso lui di non
tornare dopo quel litigio. Posso perfino comprendere il suo comportamento, il
fatto che tu non gli piaccia: non sei sua madre, io ti ho sposata in pochissimo
tempo, abbiamo avuto Misha, che ai suoi occhi
è solo un concorrente, un rivale. Io gli voglio bene lo stesso, ma non
ho potuto sopportare ciò che ti disse. Non me ne frega niente se quel
giorno era incazzato per i fatti suo… Non doveva
darti della puttana, umiliarti, riferirsi a Misha,
suo fratello, dandogli del bastardo figlio di cagna… Non ho potuto stare
lì a guardare senza far niente, mentre tu piangevi disperata e Misha stava attaccato alle mie gambe spaventato a morte.
Forse è stato perfino un bene che si sia messo a vivere per i fatti
suoi. Se fosse rimasto qui ci sarebbero stati solo più
casini. Preferisco così. E ciò non vuol dire che non lo
ami, anzi, è che non voglio essere costretto a decidere tra lui e
voi… Perché non ne sarei capace.”
Natassia annuì riabbassando
gli occhi verso il bimbo appoggiato contro di lei. Gli baciò
ripetutamente la fronte tiepida, sfiorandogli con l’indice il nasino e le
labbra umide. Misha aprì gli occhi, emise un
singulto muovendosi, stiracchiando le gambe intorpidite. Irritato per essere
stato svegliato di nuovo, era sul punto di scoppiare a piangere, la bocca
semiaperta e le palpebre strizzate, i gemiti che fuoriuscivano involontari
dalla sua gola.
“Misha, Misha,
amore mio… Non fare così, non piangere…”
“Senti, Natassiuska, Misha è
stanco, guardalo, non ne può più… E’ nervoso, vuole
dormire. Credo che sia meglio che tu lo metta a riposare, e che poi venga a
letto tu pure.”
“Non voglio lasciarlo… Voglio tenerlo con me,
voglio stringere l’unico figlio che mi resta… E’ importante
per me sentire in questa brutta sera il suo cuore che batte, il fatto che sia
vivo… E poi ti ho detto che il ricordo di Mihael
non mi fa dormire…”
“Allora fai dormire Misha
con noi. Per favore, amore mio, vorrei davvero che ti rilassassi adesso. Non
voglio vederti in pena. In questa sera così brutta, la cosa migliore da
fare è dormire. Piangere ancora non ti porterà indietro Mihael… E lui non vorrebbe vederti così.”
Non aveva molta scelta, Nicholai
era insistente e testardo.
La donna si alzò piano, sempre tenendo il figlioletto
piagnucolante tra le braccia, e senza rispondere si allontanò, giungendo
fino alla sua camera da letto. Il marito non la seguì immediatamente.
Posò Misha in mezzo al
materasso matrimoniale, e lei si stese al suo fianco. Il piccolo però
non accennò a calmarsi, preso dalla rabbia, anzi, si mise a piangere sul
serio: grossi lacrimoni avevano iniziato a colargli
sulle guance, e i suoi strilli erano sempre più acuti. Continuò a
cercare di tranquillizzarlo, tenendolo contro di sé, anche da sdraiata,
invano. Tirò su le coperte in modo che entrambi fossero coperti al
caldo, lo baciò e lo accarezzò, gli bisbigliò le solite frasi
affettuose, sentendo le sue stesse interiora strette in una morsa a causa di
quel pianto angosciato. Le succedeva la stessa cosa, quando era Mihael, che piangeva…
Nicholai giunse poco dopo nella
stanza. La moglie gli rivolse uno sguardo disperato, sofferente per l’impotenza
di fronte al figlioletto che si lamentava in quel modo.
L’uomo era stato in cucina, e, previdente, aveva
riempito un biberon di acqua e zucchero. A Misha
piaceva molto.
Stendendosi a sua volta nel letto, lasciando il figlio nel
mezzo, porse l’oggetto a Natassia,
perché fosse lei a nutrirlo. Il piccolo si calmò
all’istante, non appena lei lo posò sulle sue labbra. Smise di
gridare come un forsennato, la bocca occupata a succhiare quel liquido dolce al
sapore che gli scendeva giù per la gola regalandogli un forte senso di
piacere. Anche gli ultimi singulti involontari si spensero in fretta, così
come le lacrime smisero di stillare, e le palpebre si chiusero piano. Era
esausto, Misha, non desiderava altro che dormire.
Era ritornata, così, finalmente la calma, nel piccolo
appartamento.
La madre emise un sospiro di sollievo, posando il biberon
sul comodino, e poi ritornando a coccolare il figlio, riempiendolo di amorevoli
attenzioni. Nicholai lo baciò sulla fronte,
trasportato anche lui dal senso di tenerezza, per poi scostarsi, e posare le
labbra su quelle della sua donna. Un bacio casto, affettuoso, rassicurante, di
quelli che lei amava. Perché dimostravano solamente amore, amore e
nient’altro. Puro e semplice amore.
“E’ ora di dormire,
tesoro. Ti scongiuro di non essere troppo triste per Mihael…
Vivi felice come lui desiderava, come voleva che la
sua adorata madre riuscisse ad essere…”
“Già… Sua madre che amava nonostante gli
avesse rubato l’infanzia, a causa della sua
stupidità…” sospirò lei a voce bassissima.
“No. La madre che cercò di dargli una vita
migliore, e basta. La mia splendida e dolcissima Natassia.”
Non rispose più. Natassia
decise che non ne era il caso. Chiuse gli occhi.
Perché aveva forse ragione Nicholai.
E Mihael sarebbe sempre stato accanto a lei, ovunque,
ora che era davvero un Angelo.
L’Angelo Mihael, sarebbe stato accanto a lei, per il resto dei suoi giorni.
Fine
E così ora
è giunta veramente la fine. Mi dispiace tantissimo, ero affezionata a
questa fan fiction, mi ha preso anima e corpo. Infatti, come avete potuto
sicuramente notare, ho cercato di allungare l’epilogo il più
possibile. Purtroppo ho avuto anche un problema al pc,
quindi per concludere, ho dovuto aspettare fino ad oggi. Caspita, davvero, mi
rattrista averla finita, ma così doveva essere.
Ringrazio TUTTI,
chiunque abbia almeno letto la fan fiction, il doppio che l’ha anche
recensita con assiduità. Grazie davvero a tutte voi. Non ce l’avrei
mai fatta senza l’incentivo dei commenti positivi. In particolare
ringrazio Elly_Mello,
per avermi tanto aiutata e spronata. Grazie mille, amore.<3
Di nuovo, un bacio
enorme a tutte, e chissà, magari arrivederci ad una nuova fan fiction.