Due cuori e una cinepresa

di 68Keira68
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1_ Al provino con Learco ***
Capitolo 3: *** 2_Fiorini ed Equini ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Premessa:

Ciao a tutti^^! Come ho già detto questa è la mia prima ficcy su un attore, per la precisione su Orlando Bloom^^! Oltre a dire che spero tanto che vi piaccia e che mi piacerebbe tanto leggere le vostre recensioni ^^ ci tenevo a precisare che ogni riferimento a luoghi o persone è puramente casuale, non conosco gli attori di persona (purtroppo ^'!) quindi non so nulla sui loro gusti o sul loro carattere, che ho addattato per la ficcy^^.  La storia è ambientata a Londra e anche i luoghi della quale parlerò sono puramente inventati, non abbiatemene per favore, però non sono mai stata a Londra e non saprei fare riferimenti a posti reali, sorry! Gli studios della Paramount (che appariranno a breve) esistono però non so come siano fatti, anche quelli li ho adattati! 

Un'ultimissima cosa, poi passo e chiudo^^! La trama del film che i nostri attori andranno a recitare l'ho presa a grandi linee da "le Guerre del Mondo Emerso" di Licia Troisi, giusto per avere un riferimento e perchè la storia faceva a mio caso per motivi che si capiranno poi^^! I personaggi sono quindi quelli del libro, anche se ho aggiunto alcune scene e ho riassunto i tre volumi in uno^^ per chi non conoscesse il libro non è assolutamente un problema in qaunto non è essenziale per la trama della ficcy, ci tenevo solo a sottolineare la cosa^^!

Adesso vi auguro una buona lettura e spero che commenterete in tanti^^

Kisskiss
68Keira68


Due cuori e una cinepresa








Prologo...

Dall'oblò dell'aereo sulla quale stavo volando potevo godere di una vista splendida. La giornata era stupenda, il sole brillava limpido in un cielo terso, senza nuvole, creando dei bellissimi giochi di luce e riflettendosi nell'acqua del canale della Manica che attualmente stavamo sorvolando. Una giornata ideale per volare.

Io, Elisabetta Sogni, mi stavo godendo lo spettacolo, comodamente adagiata ad uno dei sedili dell'aereo di pelle blu, la mente rilassata e un sorriso serafico sulle labbra. Mi ero addormentata subito dopo il decollo dall'aeroporto di Caselle, in provincia di Torino, la mia città natale, e mi ero risvegliata solo ora, a poco meno di quindici minuti dall'atterraggio a Londra, dove ero diretta.

Già, Londra. Stavo andando nella città dei miei desideri. Ancora non ci potevo credere. Tutto era accaduto così velocemente che non avevo neanche avuto il tempo di focalizzare bene l'idea. E pensare che fino a tre giorni fa tutto questo era solo un lontano sogno. Stupendo, ma lontano. Ora si stava avverando. Ciò grazie a quell'angelo della mia agente che attualmente mi stava aspettando all'aeroporto londinese.

Richiusi gli occhi e sprofondai ancora di più nel sedile, lasciando che i ricordi delle ultime settantadue ore mi accompagnassero per il resto del viaggio.

 

Avevo appena finito di presenziare il mio ultimo film, “Te, io e...Lui?” Una commedia per la regia di Silvio Muccino, che per fortuna stava avendo molto più successo di quello che ci aspettavamo. La storia era semplice, anche se carina, adatta ad un pubblico di adolescenti. Io interpretavo il ruolo di una giovane ragazza, Paola, la quale poco prima di sposarsi con il suo fidanzato storico si accorge di amare il miglior amico di lui, che tra l'altro era interpretato da Nicolas Vaporidis. Forse la presenza di quest'ultimo nel cast aveva influenzato parecchio il sold out ai botteghini, dato che gli spettatori erano principalmente ragazze dai quattordici in su, ma l'importante era il risultato, no? Tuttavia ero stufa di recitare solo in commedie italiane, era la quinta che facevo nel giro di quattro anni e, nonostante fossi più che soddisfatta del successo ottenuto, avevo voglia di sperimentare altri generi. L'unico problema era che il cinema italiano non sembrava potermi offrire altre opportunità. La soluzione sarebbe stata andare all'estero. E qui entra in gioco la mia adorata manager nonché mia miglior amica, Marta Catari. Ci eravamo conosciute all'inizio della mia carriera cinematografica e ci eravamo capite subito. Era grazie a lei che la mia fama da attrice era cresciuta a livello nazionale nel giro di neanche un anno ed era arrivata addirittura a livello internazionale in due. E una volta saputi i miei desideri di andare a lavorare all'estero, circa un mese fa, per sperimentare nuovi generi, si era fatta in quattro per trovarmi una parte in un film, precedendomi con il viaggio oltre manica, anche lei entusiasta all'idea. E meno di tre giorni fa...

 

Driin driin.. il mio cellulare vibrare nella borsetta di pelle bianca di Prada, regalo di mia madre alla mia ultima premier, che portavo comodamente a tracolla.  Iniziai a cercarlo in tutte le tasche e cerniere dell’accessorio. Finalmente lo trovai. Lessi il numero sul display. “Marta”. Felice di avere notizie dalla mia agente che attualmente si trovava nella capitale inglese, risposi. “Ciao Marta, come va laggiù?” la salutai cordiale.

“Eli! Ho una notizia fantastica per te, devi assolutamente prendere il primo aereo e venire qua! Ho tante cose da dirti, non immagini neppure...!!” la voce concitata e acutissima della mia manager mi costrinse ad allontanare l'apparecchio dal mio orecchio, se volevo preservare l'udito ancora a lungo. Vedendo che non accennava a diminuire il tono i voce, gridai al ricevitore “Marty! Non ho capito una sola parola di quello che hai detto. Ora ti calmi e con una voce almeno di un'ottava più bassa di quella con la quale stai parlando, mi spieghi tutto per bene. Ok?” per fortuna lei sembrò aver capito che mi stava sfondando il timpano, così, moderando il tono,mi rispose:

“Scusami, hai ragione, è che sono agitatissima! Allora, inizio da capo, Betta, tieniti forte, ma...ti ho trovato un provino!!!! E questa volta non è una commedia, è un film di fantascienza, un mix tra il Signore degli Anelli e Indiana Jones, ti piace come idea? E non è tutto! Devi vedere chi c'è alla regia e soprattutto il resto del cast!! Devi presentarti agli studi televisivi tra tre giorni esatti. Oh Betta, sono sicura che supererai il provino, ne sono certa! È solo una formalità, ho parlato con il produttore, ti conosce di fama e sembrava molto interessato al tuo curriculum, ormai è fatta, fidati! Sono sicura che anche la trama del film ti piacerà!” concluse sempre entusiasta

A sentire la notizia avevo cacciato un urlo di gioia e mi ero messa a saltare. Considerando che era nel bel mezzo di via Roma, una delle principali e più trafficate vie del centro di Torino, la gente attorno mi avrà presa per pazza, ma sinceramente non me ne importava nulla. Incredibile, avevo un provino per una parte in un film di produzione inglese!!!! E finalmente non era una commedia, senza contare che il genere fantasy mi era sempre piaciuto.

“Oddio, non ci credo, Marta, sei più che fantastica!!! Torno a casa, preparo le valigie e vado a fare i biglietti, sarò lì per dopodomani, così avrò un giorno per riprendermi dal viaggio prima del provino. Ma chi è il regista? E il resto del cast? La casa produttrice? E poi dimmi qualcosa sul mio personaggio e il film!” la bersagliai di domande. Ora potevo capire il tono concitato con la quale mi aveva investito prima, questa era una notiziona.

“Allora, il regista è Alfonso Cuaron, lo stesso che ha diretto Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, mentre la casa produttrice è la Paramount. Il film parla di una ladra abilissima, che cerca di scappare da una setta di assassini che la vorrebbero tra loro, per i suoi servigi e le sue abilità. Alla fine riescono  intercettarla e le lanciano una maledizione curabile solo con alcune pozioni che possiedono loro, ricattandola così con la cura, a far parte di una di loro. Alla fine però si scopre che in realtà la pozione tiene solo a bada l'anatema ma non lo cura, così lei riesce a scappare da loro, e capisce che l'unico modo per sbarazzarsi del maleficio è distruggere  alcune carte magiche custodite nel palazzo del tiranno del regno e poi uccidere colui che gli ha lanciato la maledizione, ovvero il capo della setta. Alla fine si innamora anche del figlio del tiranno, che a differenza del padre è buono, e decide di aiutarla. Ciò a patto che lei aiuti lui più una comitiva segreta a sbarazzarsi del tiranno e dell'intera setta, per riportare la pace nel regno. È una storia affascinante, ti assicuro, è tratta da un libro, un bestseller che è appena uscito in Inghilterra e che ha avuto subito un ottimo successo. Io te l'ho raccontata a grandi linee, ma ci sono tantissimi personaggi, buoni e cattivi e molte scene, ti piacerà senz'altro, vedrai! E qui poi viene il pezzo forte, indovina quale sarà la tua parte?” mi chiese gongolando.

Io stavo ancora pensando alla trama. Mi piaceva, e molto anche, era più che intrigante e più di quello che speravo. La sua domanda però mi fece cadere dalle nuvole, me ne stavo quasi dimenticando!

“E io come faccio a saperlo? Sei tu che devi dirmelo! Comunque il film mi piace molto,  si preannuncia un successo, soprattutto se tratto da un romanzo di tanto scalpore, quindi mi va bene qualsiasi parte.” la mia risposta non le piacque

“Sei sempre la solita” Mi rimproverò “tesoro, se vuoi avere successo qui devi puntare al massimo, sempre, in qualsiasi situazione. Già è un miracolo che tu mi abbia chiesto di iniziare a vagliare anche il mercato estero, e quindi facciamo progressi, ma devi ancora imparare un po' di cose. E poi pensi che io ti abbia rimediato un provino in un film del genere per poi farti fare una parte di sfondo?”

“Marty, arriva al dunque, te ne prego! Di mamma ne ho già una.” le risposi scocciata. Sentii la sua risata dall'altro capo della cornetta.

“Ok, ok, sei pronta per la notizia?” se l'avesse tirata ancora per le lunghe sarei andata a Londra solo per strozzarla. “Allora, il tuo provino è...per il ruolo da protagonista!” mi urlò eccitata . “Allora, sono o non sono la miglior manager del mondo?” proseguì fingendo di tirarsela.

Io intanto, ero rimasta scioccata dalla notizia. Io protagonista in un film di questa portata? Ero stata l'attrice principale in tutte le commedie che avevo fatto, questo era vero, però quelle erano commedie. Questo era tutto un altro genere di film!!! Per un secondo mi sentii l'aria mancare.

“Betta? Elisabetta? Tutto ok? Stai bene? Perché non mi rispondi più?” vedendo che non rispondevo, Marta iniziò a preoccuparsi. “Betta! Mi sei morta in linea? Rispondimi! Dimmi almeno se sei felice oppure no!”

Rispondere? Era una parola! Per il momento ero impegnata a ricordare come si respirava. Finalmente dopo un tempo che mi parve infinito, riuscii a spiaccicare qualche parola.

“Marty, ti prego dimmi che non stai scherzando” sussurrai al cellulare, ancora totalmente stordita dalla notizia.

“Oh, allora sei ancora viva! Meno male, temevo di dover disdire il provino causa morte dell'interessata. Comunque, no, non è uno scherzo, dico sul serio amica mia, però non farti riprendere un infarto per favore, prima mi hai fatto preoccupare.”

Altro che infarto! Incredula mi appoggiai al muro di un palazzo, accanto alla vetrina del negozio della Benetton, temendo che le mie gambe avrebbero ceduto da un momento all'altro. Probabilmente i passanti erano ormai indecisi se chiamare o no il 118, prima mi vedono saltare, poi quasi svenire!

“Marta, questa è la notizia più sensazionale che tu potessi darmi!” pian pianino iniziai a riprendermi dallo shock iniziale. “Tu sei assolutamente la migliore agente che un attore possa desiderare! Ma come hai fatto?” ora la mia voce era arrivata a tre ottave sopra il normale e il calo di pressione stava lasciando il posto ad un'euforia smisurata. “Oh Marta! La protagonista, è più che fantastico! Ti adoro, ti farò costruire una statua! Non vedo l'ora di essere lì a Londra. Ma chi sono gli altri attori? Wow, è incredibile!” la investii con un fiume di ringraziamenti, ed esclamazioni di gioia.

Riuscì a fermarmi solo facendo leva sulla mia curiosità “Ora sei tu quella che ti deve calmare, cara, oppure non ti dirò chi sono gli altri attori già confermati”

“Dimmi tutto!” la incoraggiai. Le rise di nuovo.

“Sai, posso immaginarmi la tua espressione, occhi lucidi di gioia, guance imporporate e tu che saltelli di qua e di là. Questo ti farà andare ancora più fuori di testa. Ralph Fiennes sarà il capo della setta degli assassini, mentre il tiranno verrà interpretato da Sean Bean” esclamò.

“Wow” nonostante non fosse una frase degna della situazione fu l'unica cosa che riuscii a dire.

“Wow è a dir poco, mia cara! Questo è un cast galattico e la tua stella salirà a dismisura!” da ogni singola parola trapelava il fatto che fosse orgogliosa del lavoro svolto.

“Hai ragione, ma non so cosa dire. E il principino da chi verrà interpretato?” domandai accorgendomi solo ora che non aveva nominato uno dei personaggi principali.

“Questa è una sorpresa” dal tono con cui me lo disse potevo immaginarmi il sorriso soddisfatto che si stava dipingendo sul suo volto.

“E dai, dimmelo, dovrò pur sapere con chi dovrò lavorare, no?” la supplicai.

“No, non se ne parla, ti ho detto che è una sorpresa, lo saprai quando passerai il provino.” mi rispose irremovibile.

La pregai per altri dieci minuti ma non ci fu niente da fare, alla fine lasciai perdere e la salutai, dicendo che se volevo essere in Inghilterra per dopodomani dovevo sbrigarmi…

 

“Si informano i gentili passeggeri che l'aereo si sta preparando all'atterraggio. Vi preghiamo dunque di allacciare la cintura per motivi di sicurezza”

La fredda voce dello speacker mi riscosse dai miei ricordi. Ero arrivata.

Aspettai con pazienza che l'aereo giungesse in aeroporto, dopodiché scesi giù con solo la mia piccola e fedele borsetta bianca. Il resto dei bagagli, i quali devo ammettere erano tutt'altro che piccoli, l'avrei recuperato dopo.

Quando finalmente fui sulla pista di atterraggio potei respirare un po' d'aria pura. Quella dell'aereo iniziava ad essere viziata. Il sole era meno luminoso visto da quaggiù, ma risplendeva lo stesso in un cielo blu. Strano, dato che eravamo nella città la quale vantava la media di quaranta giorni di sole l'anno. Forse anche Londra stessa voleva darmi il benvenuto. Lo presi come un buon auspicio. Una volta attraversata la pista d'atterraggio, entrai nella sala d'attesa e mi ritrovai immersa in una folla scatenata. Chi si accalcava per uscire, chi per entrare, e chi come me, provava a riconoscere qualche parente o amico nella massa. Temetti di perdermi e di rimanere intrappolata là in mezzo, finché sentii una voce acuta che gridava il mio nome. Mi girai nella direzione indicatami dal suono, e vidi una giovane donna un po' più alta della media, che si sbracciava per farsi notare da me. Marta.

Le corsi incontro, felice di rivederla.

“Marty!” gridai anch'io, mentre l'abbracciavo. “Sono contentissima di rivederti! Come stai? Tutto a posto?” mi scostai un attimo per guardarla in faccia, anche se dovetti subire la piccola umiliazione di dover allungare il collo al massimo, dato che mi superava di due spanne buone, cosa che ovviamente non mancava occasione di farmi notare.  Portava i capelli biondi lunghi fino alle spalle sciolti, e  gli occhi castani brillavano di felicità. Quel che non mi piaceva però, erano le profonde occhiaie e le guance leggermente più magre di prima. La squadrai da capo a piedi. Era dimagrita, non che fosse mai stata grassa, anzi, era sempre stata più magra di me, però la cosa non mi rallegrava lo stesso.

“Sei dimagrita” le feci osservare con disappunto, senza darle il tempo di rispondere alla mia domanda precedente. “e sei stanca, te lo si legge in faccia” aggiunsi.

“è tutto ok, non ti preoccupare. Sto benissimo!” si difese lei.

“No, sei stanca, hai bisogno di riposo, hai lavorato troppo, ora andiamo a casa e ti fai una bella dormita” dissi io perentoria.

“Di mamma ne ho già una” disse scimmiottando le mie parole di poco tempo prima.

“Ehi! Così non vale” e scoppiammo a ridere entrambe.

“Londra è stupenda, la devi vedere tutta! E poi ho trovato una casa poco lontana dal centro che ti piacerà di sicuro!”  riprese lei cambiando rapida argomento.

“Lo spero bene, ti ho dato un assegno in bianco per la casa!” la presi in giro.

“Malfidata, ora ti porto direttamente là, così giudicherai tu stessa, che ne dici?”

“Ottima idea! Prima però devo andare a recuperare le valigie, sai com'è, l'idea di rifarmi un guardaroba dando libero sfogo alla mia mania di shopping mi attrae, ma ho altro da fare ora come ora”

Andammo a prendere i miei bagagli, due valigie enormi e tre borsoni, e usufruendo di uno dei carrelli dell'aeroporto ci dirigemmo fino all'auto di Marty, una pegeout cabriolet grigia metallizzata.

“Accidenti, Betta, cosa diamine ci hai messo in questa borsa?! Ti sei portata dietro anche le mattonelle? Pesa almeno dieci chili!” la sentii borbottare mentre infilava le valigie nel bagagliaio dell'auto.

“Non iniziare a criticare, dovremmo stare qui per un bel po', giusto? Un film non si produce in due giorni, quindi ho dovuto portare lo stretto necessario per poter vivere qua per diversi mesi!” ribattei io.

“E da quando per 'stretto necessario’ si intendo anche le piastrelle di casa propria?”.

Mi limitai a ribattere con una diplomatica risposta. Le feci la linguaccia. Il che fu seguito da uno scoppio di risate sia da parte sua che da parte mia.

“Su, salta a bordo che ti porto a vedere la tua piccola e modesta casetta” Mi ero solo immaginata la sfumatura ironica della sua voce sull'ultima parola?

“Non vedo l'ora!”

Ci accomodammo sui sedili di tessuto neri della sua comodissima auto. La prima cosa che feci appena salita fu di accendere la radio, non riusciva a stare in macchina senza un po' di musica. Fui anche fortunata. La stazione sulla quale era sintonizzata stava trasmettendo un vecchio successo dei simple plain, “welcome to my life”, una delle mie preferite. Mi accoccolai sul sedile, e, abbassando il finestrino, decisi di godermi il panorama che mi sfrecciava a fianco, con il vento che mi scompigliava leggermente I capelli.

Marty aveva iniziato a narrarmi del suo ultimo mese vissuto a Londra, delle persone che aveva conosciuto, i luoghi visitati, di come si era trovata, dei pro e dei contro del vivere all'estero. L'ascoltai distrattamente, annuendo di tanto in tanto, per darle soddisfazione. Quando Marta attaccava con le chiacchiere ci volevano due o tre ore buone prima che richiudeva bocca, e solitamente non faceva neanche molta attenzione al fatto che la sua interlocutrice la ascoltasse o meno. Ciò mi diede la possibilità di concentrarmi sulle strade che stavamo attraversando, avida di curiosità. La capitale inglese mi era sempre piaciuta. Era sempre stato uno dei miei sogni visitarla, e finalmente ora il destino mi dava l'opportunità di farlo! Magari, se mi fossi trovata bene, avrei anche potuto pensare di trasferirmi lì definitivamente. L'idea non mi dispiaceva per nulla, anzi, ma ci sarebbe stato tempo in seguito per pensarci. Ora non avevo proprio voglia di angustiarmi con certe idee. Preferivo di gran lunga assaporare fino in fondo il mio primo viaggio in auto in quella che sarebbe stata casa mia per i prossimi mesi.

Ad un tratto la macchina si fermò e udii la mia agente spegnere il motore della macchina.

“Siamo già arrivati?” chiesi sorpresa. Eravamo in viaggio da soli dieci minuti.

“Te l'ho detto che era vicino al centro” mi ricordò uscendo dall'abitacolo.

La seguii a ruota. Per bloccarmi subito dopo quando vidi dove era diretta.

La mia manager stava difatti aprendo un canceletto bianco che dava l'accesso ad un ciottolato rosso, contornato da cespugli in fiore. Ciò tagliava esattamente in due un immenso giardino verde, adornato di alberi e fiori, circondati da un muretto bianco intrappolato in una fiorente edera. Ma quello che mi creava più stupore non era il giardino, bensì la villa da sogno che mi si parava davanti. Alla fine del ciottolato c'era un grazioso porticato bianco, sostenuto da colonne doriche, anche esse prigioniere dall'edera. Sotto il porticato, alla sinistra di un grande portone in ciliegio, finemente lavorato, si trovava un dondolo con i materassi color azzurro cielo, il quale pareva essere appena uscito in un film alla “Anna dai capelli rossi”. La casa era in puro stile vittoriano. Era costruita su due piani e le grandi vetrate del secondo erano a forma di arco a sesto acuto e come bordi avevano delle piccole colonne ioniche, a differenza di quelle dl piano di sotto, le quali contavano solo di due vaso di fiori per una.

Marty, non sentendomi avvicinare al canceletto, si voltò nella mia direzione per capire cosa c'era che non andava. Vedendomi l'espressione sbigottita sul volto, capì subito che ciò che mi bloccava era la vista della villetta.

“Allora? Non dici niente?” mi provocò.

Io la fissai a lungo, ancora a bocca aperta. Poi, cercando di ricompormi dissi: “Marty,” con un tono serio. Lei si preoccupò.

“Cosa c'è? Ho sbagliato a comprarla? Non ti piace?”

ignorai le domande. “Questa casa” dissi scandendo bene le parole. “è semplicemente S-T-U-P-E-N-D-A!!!!!” e le corsi incontro per abbracciarla.

“Ma come hai fatto a trovarla? Sembra uscita da un cartellone pubblicitario!”

Lei sorrise compiaciuta. “Aspetta a dirlo, non hai ancora visto il resto.”

“Cosa ci può essere più di più bello di questo?” chiesi scioccamente.

“Gioia, capisco il tuo entusiasmo per il giardino e per la facciata della casa, ma personalmente non mi andava di dormire acconto all'edera, per questo ho comprato una casa che avesse anche un letto e un soggiorno” mi preso in giro.

“Entriamo allora, sono troppo curiosa!” esclamai felice.

Appena Marta spalancò il canceletto, mi porse il mio mazzo di chiavi,e io, dopo averlo afferrato, corsi entusiasta verso il portone e lo aprii senza tante cerimonie.

Quello che vidi all’interno mi stupì ancora di più. La porta dava l'accesso ad un ampio salone con le pareti bianche e il parquet. Ciò, più il tappeto rosso posto in centro alla sala e alla grossa vetrata messa in fondo, dava all'ambiente un aspetto molto luminoso. Dalla porta finestra si poteva scorgere un'altra ala del giardino che promisi a me stessa di visitare subito dopo un'accurata perlustrazione della casa. Feci un mezzo giro su me stessa e potei constatare che quella stanza portava in altre due sale, chiuse da altrettante porte anch'esse in ciliegio.

“Allora, alla tua destra c'è il salotto, dove ho già provveduto a mettere un'enorme libreria, in modo che tu possa dare libero sfogo al tuo hobby preferito, mentre la porta a sinistra conduce verso la cucina, che so già userò solo io, a meno che tu in un mese non abbia miracolosamente imparato a cucinare.” la voce della mia agente mi giunse da dietro le spalle. A quell'ultima affermazione feci una smorfia. Non mi era mai piaciuto mettermi ai fornelli. Non avrei saputo dire bene il perché. Forse non possedevo la vena culinaria che invece contraddistingueva Marty, ottima cuoca, o forse più semplicemente perchè la mia prima e unica volta che avevo cucinato le lasagne a Natale, ero stata la causa del mal di pancia collettivo della mia famiglia.

“Al piano di sopra invece ci sono la mia camera, la tua, una per gli ospiti e il bagno” concluse lei.

“Prevedi di invitare qualcuno?” domandai sorpresa. Mi lanciò un'occhiata esasperata.

“Certo che no, attualmente, ma se mai ce ne fosse bisogno mi ringrazierai di essere stata previdente e di non essere costretta a far dormire qualcuno sul divano” mi rispose. Ammisi che aveva ragione.

“Vado a vedere la mia camera” dissi poi io, e senza aspettare la risposta mi catapultai su per la piccola scala a chiocciola di marmo, posta nell'angolo in fondo a destra del salone. Mentre salivo notai il tappeto rosso che ricopriva gli scalini e il corrimano intonato alla tinta di quest'ultimo.

Una volta arrivata su trovai ad aspettarmi un'altra porta-finestra di una piccola terrazza, posta di fronte a tre porte. La quarta, messa infondo ad uno stretto corridoio, opposta alla scala, supposi fosse quella del bagno.

“In quale porta devo entrare?” urlai diretta al piano sottostante.

Un grido di rimando mi informò che era la seconda.

Entusiasta, entrai. Ad aspettarmi c’era la stessa tinta bianca alle pareti, che avevo visto per il resto dell'abitazione, e il parquet che ricopriva ogni cosa, difatti stavo già pensando che presto avrei dovuto riverniciarla.  La stanza era molto spaziosa. Sulla parete opposta a quella della porta si trovava una grande finestra, con sotto una poltroncina bianca con accanto un tavolino in mogano. Sulla parete di sinistra stava un letto, mentre su quella di destra svettavano due imponenti librerie, pronte per essere riempite, separate da una scrivania che presto avrebbe ospitato il mio fedele portatile. Infine, accanto alla porta, si trovava un grosso armadio pronto per accogliere a frotte I miei vestiti.

“Ti piace? Non sai che impresa trovarne una già arredata.” Voltandomi risposi a Marty.

“è stupenda, ma con un paio di ritocchi qua e là sono certa che diventerà ancora più bella” le risposi. Avevo in mente già un paio di ideuzze...

Scoppiò a ridere. “Chissà perchè ne ero certa, appena ho visto le pareti bianche ho subito pensato che sarebbero rimaste tali ancora per poco”

“Le pareti bianche sono impersonali, se mi dai carta bianca vedrai che darò al salone un aspetto del tutto nuovo” proposi fiduciosa.

“Ah, io non metto mano. Sai perfettamente che tra me e i pennelli c'è una guerra aperta, ti lascio tutto il piacere”

Evvai, via libera!

Mio padre fa l'imbianchino, sono nata tra i pennelli e tra me e la vernice è stato amore a prima vista. Ho imparato il mestiere osservando mio padre così bene che, scherzando continua a ripetermi che se non avessi sfondato come attrice, avrei sempre potuto fare l'imbianchina. Non che l'idea mi abbia mai sfiorato, intendiamoci, però è comodo conoscere l'arte se devi rifarti i muri di casa e non hai voglia di chiamare un'impresa per farlo.

“Ti do una mano a portare sopra le valigie, dopodiché, mentre tu prendi confidenza con la stanza, io preparo qualcosa da mangiare ok?” propose Marta.

Devo dire che come padrona di casa ci sapeva fare. Non avendo nulla da ribattere annuii.

Ci vollero due viaggi a testa su e giù per le scale, ma alla fine riuscimmo nell'impresa di portare tutti i miei bagagli al piano di sopra.

Subito dopo mi dedicai completamente a personificare la mia stanza. Tirai fuori dalle valigie per primi i miei abiti. Una volta aperto l'armadio in legno, constatai che fortunatamente era già provvisto di appendini. Pian pianino lo popolai di gonne, pantaloni, maglie e golfini. Notai anche I tre cassetti posti in basso e il lungo specchio che ricopriva l'anta destra.

Rimasi a fissare un attimo la mia immagine. Nonostante in teoria dovessi essere stravolta dal viaggio, grazie all’adrenalina che mi scorreva a causa di tutte quelle piacevoli novità, prima tra tutte la consapevolezza di essere a Londra, non ero affatto stanca. Anzi, ero euforica. Sembravo pronta per la maratona di New York. I miei occhi azzurri brillavano di felicità sul mio viso a cuore con le guance leggermente rosse e un tantino paffutelle, che spesso mi facevano assomigliare ad un cartone animato, come amava ripetermi mia madre. Le mie labbra invece, sembravano sorridere da sole dalla contentezza, circondate  dai boccoli castani che ricadevano dolcemente sulle spalle, per nulla in contrasto con la mia pelle olivastra, prova inconfutabile del mio sangue mediterraneo.

Quando con un altro grido la mia manager nonché mia miglior amica, mi informò che il pranzo era pronto, avevo svuotato soltanto la metà delle mie valigie. In compenso però, ero riuscita a trovare le mie lenzuola bianche, con il bordino ricamato di rosso, cosi ché potei fare il mio letto.

Scesi di corsa le scale, con lo stomaco che reclamava, accompagnato da uno squisito odorino che aleggiava per la casa. Pizza, ne ero sicura.

“Gnam, la pizza! Cos'è, vuoi farmi venire nostalgia di casa?” esclamai ridendo.

“Certo che no, prendilo piuttosto come un benvenuto. A proposito, ti consiglio di non prendere mai la pizza nei ristoranti qui intorno. Non so se è così in tutta Londra, ma per quanto ho potuto vedere fin'ora, la pizza che cucinano loro e un'offesa bella e buona alla nostra, dolce, cara e sublime.”

Sorrisi a tale affermazione. La buona forchetta tra le due qua ero io, ma di certo lei aveva un palato molto più fine del mio.

“Non ti sembra di esagerare? Hai lodato la pizza in un modo degno di un poeta, parliamo di pasta, pomodoro e mozzarella dopotutto” mi lanciò un'occhiata indignata e io sorrisi sotto I baffi.

“Perfetto, vorrà dire che questa me la mangio tutta io, allora!” mi minacciò.  Ci guardammo un secondo in cagnesco, dopodiché scoppiammo a ridere entrambe.

Mentre mangiavamo, mi venne poi in mente una domanda che volevo farle da tre giorni fa.

“Cambiando argomento, mi è rimasta un'incognita irrisolta  e la curiosità mi sta presso a poco divorando.”  iniziai io.

“Posso aiutarti?”.

Sorrisi. “Credo proprio di si, dato che me l'hai mostrata tu questa x senza poi degnarti di darmi una spiegazione”

Mi fissò un secondo stranita. Io proseguii “Marty, cara, per favore, se vuoi evitare che la tua amica impazzisca, potresti gentilmente dirmi chi è il mio partner nel film in cui dovrò recitare?” domandai, guardandola torva. Lei, per tutta risposta, una volta compreso il mio cruccio, mi sorrise e con fare angelico mi rispose: “Certo che no, o che razza di sorpresa sarebbe?”

“Marty sei impossibile! Io domani mi accingo a fare un provino per un film, e non conosco neppure quali potrebbero essere i miei colleghi!” sbottai.

“Quali SARANNO I tuoi colleghi. Ti ricordo che il provino è solo una formalità, il contratto è già pronto per essere firmato, il regista ti vuole nel cast. E comunque avrai tutto il tempo per conoscerli gli alti attori, già da domani, sono sicura che resisterai!”

Con un'ultima occhiataccia, decisi di lasciar cadere il discorso. La mia “cara e dolce” amica che in questo momento avrei tanto voluto strozzare, non mi avrebbe detto di più, ne ero certa, con mio rammarico.

Finito il pranzo, salii in camera mia per disfare le ultime valigie, il che mi preso tutto il pomeriggio. Alla nove e mezza, dopo una cena veloce, iniziai finalmente a sentire la stanchezza, e salutata Marty, mi buttai felice tra le mie lenzuola. Non so se era per il sonno che sentivo addosso, ma decisi subito che quel letto era decisamente comodo. Strano, perchè solitamente avevo qualche difficoltà a dormire in un letto che non era il mio solito. Lo presi come un altro buon auspicio. Evidentemente, qualcuno in quella città mi voleva davvero, e fin'ora  le cose erano andare così bene.

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Capitolo 2
*** 1_ Al provino con Learco ***


Note dell'autrice:

Ciao a ttt!! Ho aggiornato presto perchè avevo il capitolo già pronto, purtroppo so già che non sarò così celere negli aggiornamenti come questa volta, però vi assicuro che non intendo lasciarla sospesa, vi chiedo quindi solo un po' di pazienza in futuro! Ora passo ai ringraziamenti per Klood!

Klood: sono molto felice che il prologo ti sia piaciuto, e spero tanto che ti piaccia anke qst primo cappy^^! Granzie infinite per avermi commentato, nn vedo l'ora di leggere una tua recensione anke su qst cappy! Credo ke si sia capito ki sarà il nostro caro (e aggiungerei bellissimo, hihi) principe! Grazie ancora per il commento e per i complimenti^^ tvtttttb  Kisskiss 68Keira68

Ringrazio tantissimo anke quelli che hanno solo letto, anche se mi farebbe tanto piacere conoscere una loro opinione su questo capitolo^^

Vi auguro buona lettura^^

kisskiss 
68Keira68

1_ Al provino con Learco

 

“Ehi, dormigliona! Svegliati sennò arrivi tardi.”  una voce infastidita mi giunse come ovattata. Uffa, stavo dormendo così bene. Mi rigirai nel letto e ficcai la testa sotto il cuscino. Però quel letto era davvero comodo, molto più soffice di quello che avevo a casa. Casa? Aspetta un attimo. C'era qualcosa che non tornava, come se mi fosse sfuggito un particolare. Velocemente il mio cervello fece mente locale. Casa-trasferimento-Londra-mattina- PROVINO!!!

Mi svegliai di botto, mentre tutti gli avvenimenti successi negli ultimi giorni facevano capolino. Con uno scatto degno di un felino mi ritrovai in piedi, di fronte ad una Marty che cercava di nascondere il suo divertimento con una finta faccia scocciata.

“Marta! Il provino! Oddio, che ore sono? Farò in ritardo me lo sento!!” mentre sbraitavo all'aria mi precipitai in bagno, dopo aver afferrato il beaty-cause con i miei effetti personali.

“Calmati, non sei ancora in ritardo, hai tutto il tempo per fare ogni cosa, però devi sbrigarti” mi ammonì con fare materno.

Io avevo già acceso l'acqua della doccia intanto, e stavo aspettando si scaldasse quel tanto che bastava per non farmi avere un principio di congelamento.

La mia amica mi raggiunse dietro la porta del bagno.

“Tu sei già pronta?” le chiesi. Nella fretta non aveva nemmeno fatto caso se era vestita o aveva ancora il pigiama.

“Si,e anche la tua colazione. Il caffé è sotto che ti aspetta.” Ovvio, in cinque anni che la conoscevo non si era mai fatta trovare in ritardo o in preparata. La specialista nel fare le cose all'ultimo minuto ero io. “Certo che per svegliarti la mattina ci vanno le cannonate! Erano dieci minuti che continuavo a chiamarti, non hai nemmeno sentito la sveglia!” esclamò con un finto tono di rimprovero che mal celava una nota divertita nella voce.

“Avevo sonno, uffa!” mi difesi io. Uscii dalla doccia, avvolsi il mio corpo con un asciugamano color pesca e mi asciugai i capelli alla bell'e meglio, dopo aver setacciato il bagno alla ricerca di una presa della corrente per il phone.

“Che ore sono?” richiesi io.

“Le otto, il provino è alle nove e mezza, ma ci vanno venti minuti d'auto per arrivare agli studi”

Fantastico, pensai sarcasticamente.

Mi rifiondai in camera, o più precisamente nell'armadio, investendo la mia manager per il corridoio.

Dopo aver rovistato un po' tra una marea di gonne e pantaloni, riuscii a trovare la gonna beige da intonare ad una camicetta rossa che avevo pensato di indossare per quella mattina. La gonna mi arrivava poco più su del ginocchio e si coordinava con una giacchetta del medesimo colore, che decisi di tenere aperta. Infine misi le scarpe con il tacco nere, dopo aver opportunamente infilato le calze color carne.

Lanciai un'occhiata titubante allo specchio. Si, il completo era azzeccato.

Riandai in bagno. Non trovando Marty per il corridoio pensai che avesse giustamente optato per scendere al piano di sotto, evitando di rimanere travolta di nuovo dalla mia corsa per prepararmi.

Il bagno era fantastico. Molto spazioso e luminoso, con le mattonelle bianche, contava su di una vasca da bagno grande nell'angolo destro, subito vicino alla porta. Poco più in là c'era una finestra e sul muro opposto un enorme specchio con sotto un lavandino incastonato in un ripiano di marmo grigio, e una maliarde di cassetti. Sull'ultima parete invece si trovavano la doccia e il gabinetto. Vicino allo specchio iniziai la complicata operazione-trucco. Partendo dal presupposto che non mi erano mai piaciute certe maschere veneziane che si facevano alcun mie colleghe, questa fase fortunatamente non sarebbe durata molto. Difatti misi semplicemente un filo di lucidalabbra rosa e passai un velo di matita azzurra attorno agli occhi. Perfetto. Ora rimaneva l'ultima parte della preparazione, la più difficile. I capelli. In cinque minuti passai mentalmente in rassegnai un centinaio di acconciature, ma dato che nessuna di esse mi convinceva, optai per quella che facevo più di frequente e che avevo già usato per altri tre provini. Un elegante crocchia dalla quale lasciavo sfuggire qualche ciocca affusolata.

Mi guardai con occhio critico allo specchio. Conscia del fatto che non potevo fare miracoli senza parrucchiere o estetista per di più in cinque minuti, mi catalogai come passabile. Soddisfatta, decisi di scendere giù per la colazione. Quando arrivai trovai Marta impegnata in un fitta conversazione al telefono. Per un secondo mi sentii male. I produttori avevano cambiato idea sul provino? Non volevano più darmi la parte? C'erano stati problemi con il cast?

Poi però notai che la mi agente conversava con un tono leggero e, cosa ancora più importante, in italiano, perciò non poteva essere nessuno che lavorava negli studios. Mi tranquillizzai e mi dedicai alla tazza di caffé e ad una brioche che trovai appoggiati al tavolo. Ormai la bevanda era diventata fredda, ma la bevvi lo stesso. Mentre mi avventavo sul cornetto alla crema diedi una rapida occhiata alla cucina. Ieri non ci avevo fatto molto caso, presa com’ero dalla mia nuova stanza, ma ora mi soffermai sulle quattro finestre che c’erano sia per la parete che dava sul giardino interno, sia per quella che dava sul giardino esterno. Passai poi ad una grande credenza in mogano che occupava tutto il muro infondo e il tavolo sulla quale attualmente stava la mia tazza della colazione, posto in centro alla stanza, più precisamente sopra un grande tappeto marroncino che immediatamente registrai come “da cambiare alla prima occasione”.  Infine c'era una grande cucina, che ricopriva completamente la parte sinistra del tinello e la quale comprendeva: frigo, fornelli, forno, lavandino e credenza attualmente vuota.

“Ok, ciao,ci sentiamo...si si, tranquilla, ti faccio richiamare subito dopo il provino! Bacioni”

Marty richiuse il suo nokia.

“Chi era?” le chiesi curiosa. Al posto di rispondermi, si alzò dalla sedia e si diresse verso l'entrata. Solo ora notai che aveva indossato il suo completo giacca e pantaloni blu scuro.

“Te lo dico dopo, ora finisci quel cornetto e prendi la borsa. Dobbiamo andare” Obbedii. Ingoiai quello che rimaneva della mia colazione e corsi in camera a recuperare la borsa. Quando riscesi Marta mi aspettava già a bordo della sua pegeout.

“Allora, chi era?” ridomandai una volta chiusa la portiera.

“Tua madre” mi rispose mentre accendeva il motore e iniziava a sfrecciare per le vie della città.

Mi bloccai. “Mi...mia madre? E perchè non me l'hai passata? E poi perchè ha chiamato sul tuo cellulare?”  Oddio, che era successo?

“Non iniziare a riscaldarti. Ha chiamato me perchè dice che è mezz'ora che prova sul tuo senza risultato perchè è spento!”

“Ah” colpita e affondata. E già, non avevo nemmeno tirato il cellulare fuori dalla borsa da ieri mattina, dopo che le avevo spedito un semplice sms per dirle che il viaggio era andato bene. Mi aveva chiesto di chiamarla appena dopo che mi fossi sistemata. Che figlia degenere, me ne ero completamente scordata! “Acci, mi era sfuggito di mente!”

Mi guadagnai un'occhiataccia. “Si, me ne ero accorta. E anche tua madre, alla quale stava per venire un infarto. Si aspettava che la chiamassi ieri pomeriggio. È da ieri sera che è in apprensione.” mi rimproverò.

Sperai che il sedile potesse inghiottirmi per nascondermi. Mi sentivo tremendamente in colpa. “Scusami, mi è sfuggito di mente, con tutte queste novità, le borse, il viaggio, il provino, non ci ho proprio pensato!” provai a giustificarmi.

“Non è con me che ti devi scusare.”

“Ma se era così in ansia perchè non ha chiamato lei ieri sera? O sul tuo cellulare o sul mio. Una delle due le avrebbe risposto.” cercai una debole linea difensiva.

“Perchè” mi rispose scandendo bene le parole “aveva paura di sembrare troppo ansiosa e di non rispettare i tuoi spazi, perciò ha aspettato tanto prima di prendere l'iniziativa”

Ok, ora mi sentivo proprio male. “Uffa, come sta? Era tanto arrabbiata?”

“No, era preoccupata, ma quando ha capito che ti eri solo dimenticata il sollievo è stato tanto da non farla arrabbiare. Mi ha solo fatto promettere che l'avrei fatta chiamare da te dopo il provino.”

Meno male. “Ma non potevi farmici parlare subito?”

“No, o conoscendo tua madre e te non saremmo mai più arrivate in tempo agli studios”.

Non risposi all'affermazione infida. Anche perchè sapevo che aveva ragione. Passammo il resto del viaggio in silenzio e io cercai con tutte le mie forze di non pensare a quello che stavo per fare. Mi concentrai sul panorama che si godeva dal finestrino, mentre torturavo l'orlo della gonna dall'ansia.

Marty se ne accorse. “Ansiosa?” chiese sorridendo comprensiva.

“Nooo” risposi sarcastica, senza staccare gli occhi dai palazzi che oltrepassavamo. Iniziai a sentire una certa nausea, così decisi di fissare la strada di fronte a me, nel vano tentativo di calmare il mio stomaco.

“Non devi essere nervosa, ti ripeto che il provino è una formalità. Il regista ti ha già scritturata, la parte da protagonista è tua” provò a tranquillizzarmi. Fu inutile.

“Lo so, me lo hai già detto. Rimane il fatto che sto per prendere parte ad una grande produzione cinematografica, del tutto diversa dalle mie solite commedie, con attori e registi molto più bravi ed esperti di me. Senza contare che non so nemmeno chi è il mio partner!” accompagnai l'ultima frase con una bella e lunga occhiataccia.

Per tutta risposta, la mia amica sbuffò al quanto sonoramente. “Senti, l'ultima cosa è una sorpresa che sono sicura ti piacerà e...”

“Marty, è una persona, non un regalo” le ricordai.

Fece finta di non sentirmi. “E poi non eri tu che volevi cambiare genere? Non vorrai tirarti indietro proprio ora”. Questa frase era nata al solo scopo di provocarmi. E lei lo sapeva bene.

“Cosa? No che non mi tiro indietro, non l'ho mai fatto fin'ora e di certo non inizierò adesso! Però mi concedi di essere un tantino in ansia?” se fossi stata un cane, probabilmente avrei abbagliato. Il mio tono di voce non era molto diverso da un ringhio.

Sorrise. “Brava, così ti voglio, grintosa, non impaurita come un topolino, quindi ora tira fuori quella bella vocina che ti ritrovi e incanta sia il produttore che i tuoi futuri colleghi con la tua performance!”

Non riuscii a trattenere un sorriso. Quella donna in un modo o nell'altro sapeva sempre da che verso prendermi.

“Bene, siamo arrivati” mi informò mentre accostava l’auto alla guardiola posta vicino ad un grande cancello in ottone con la scritta “STUIOS’S PARAMOUNT” bella grande e visibile anche da lontano.

Bene, inizia lo spettacolo dissi a me stessa per farmi coraggio.

Marta mostrò il lascia-passare e la guardia aprì le cancellate. Entrammo in un enorme complesso fatto da tanti edifici colorati. Eravamo sulla strada principale, dove poi partivano tutte le diramazioni per raggiungere le varie aree degli studios. Mi ripromisi di fare un giro di perlustrazione in futuro. Quel posto già mi piaceva! Girammo a destra al terzo incrocio e posteggiammo l’auto nel parcheggio riservato. Scesi dal veicolo facendo un grosso respiro e seguii Marta che intanto era già arrivata al citofono posto vicino ad un grande portone. Mi guardai un attimo attorno. La zona era piuttosto anonima. C'era un grande parco dalla parte opposta al parcheggio, e più in là si notavano i palazzi della città, oltre al muro e al cancello dalla quale eravamo passate. L'unica cosa particolare era la grandezza dell'edificio rosso che ci sovrastava. Era enorme, come d’altronde tutti gli altri stabili che ci circondavano.

“Ehi! Betta, hai intenzione di rimanere lì tutto il giorno?”

La “dolcissima” voce di Marty mi riscosse dai miei pensieri. Mi affrettai a raggiungerla. La porta era già aperta, così entrammo insieme a testa alta e, per quanto mi riguardava, con la voglia matta di scappare a gambe levate.

Appena dentro, la mia amica si diresse alla guardiola dell’edificio per chiedere, in perfetto inglese, del corridoio quattro, dove ci aspettavano Alfonso Cuaron e il resto della troupe.

“The second door on the right of the corridor”

“Thanks, good bye”

Ci incamminammo verso la strada indicata e, mano a mano che ci avvicinavamo, iniziammo a  sentire alcune persone che discorrevano tranquillamente. Le voci provenivano dalla direzione che dovevamo imboccare noi quindi di sicuro appartenevano al regista e agli altri. Il mio cuore iniziò ad accelerare.

Finalmente giungemmo a destinazione, aprimmo la porta e potei vedere una grandissima stanza, piena di telecamere e di gente indaffarata che andava avanti e indietro per portare a termine il loro lavoro. La mia attenzione fu catturata da un gruppetto di quattro persone che chiacchieravano allegramente infondo alla sala. Erano tre uomini e una donna. Quest'ultima non la conoscevo, però avevo subito capito chi erano gli altri tre, e ciò fece fare al mio stomaco una  capriola da medaglia d'oro. L'uomo più anziano era il regista, Alfonso Cuaron, e subito accanto a lui c'era Ralph Fiennes. Ciò già di per se poteva costituire un buon motivo per avere il cuore a mille, ma non fu questo a mettermi in soggezione, d'altronde me li aspettavo, Marta mi aveva informato sia su chi era il regista sia sulla presenza dell'attore inglese nel cast. Quello che mi procurò un mezzo infarto era l'aver finalmente scoperto chi era il mio partner, colui che avrebbe girato metà delle scene con me. Perchè accanto all'attore di Shakespeare in Love c'era l'ultima persona che pensavo di vedere. C’era l’attore che avevo seguito sin dall’inizio della sua carriera e che, anche se mi vergognavo ammetterlo, avevo ammirato come qualsiasi altra ragazza fan sfegatata del Signore degli Anelli. C’era il ragazzo che consideravo il miglior attore al mondo sia che si presentasse come pirata che come elfo che come principe.

C’era Orlando Bloom.

 

Mi fermai esattamente dov'ero, incapace di proseguire. La mia agente, accortasi della mia reazione, si voltò e mi diresse un luminoso sorriso.

“Se ti sei bloccata per ciò che penso, posso confermare i tuoi dubbi. Si, quello è il tuo caro co-protagonista”

Improvvisamente sentii la colazione che prepotente cercava di tornare su. La guardai lanciandole un sguardo di puro terrore. Non potevo credere che avrei recitato accanto a lui! Iniziò anche a girarmi la testa.

“Elisabetta? Tutto bene?” probabilmente non doveva avere una bella cera, Marty iniziava a preoccuparsi.

“No, oddio, temo di avere disimparato a respirare” la mia amica mi si affiancò.

“Forse avrei dovuto dirti con chi avresti recitato” disse, più rivolta a se stessa che a me.

“Si, avresti dovuto dirmelo eccome! Per smaltire una notizia del genere ci vanno almeno cinque camomille e sei ore” digrignai.

“Va bene, scusa, però adesso calmati e cerca di riprenderti, ricorda perchè sei qui e soprattutto pensa che lui è una persona esattamente come te, quindi, per favore, cerca di rimettere in funzione il tuo cervellino e ricomponiti, sembri un cadavere”

Anche se odiavo ammetterlo, aveva ragione. Mi stavo  comportando da stupida. Sembravo una quindicenne che ha appena visto il suo cantante preferito. Dopotutto ero un'attrice anch'io, una professionista, non la prima arrivata. Feci un bel respiro profondo e cercai di calmarmi con questi ragionamenti. Anche se le gambe non la volevano proprio sapere di smettere di tremare!

Per fortuna a poco a poco mi tornò il colore sulle guance, che si era momentaneamente dato alla latitanza insieme al mio auto-controllo, e Marty mi disse: “Brava, sei tornata presentabile. Ora per favore stampati un bel sorriso sulle labbra e procedi a testa alta.” Risi del consiglio, e il fatto che riuscii a farlo era la prova che il peggio era passato.  Cercai di valorizzare il mio metro e sessantacinque di altezza stando ben dritta e mi esibii in un sorriso dolce ma deciso. Perfetto, a parte il fatto che il mio stomaco continuava ad allenarsi per la gara olimpionica delle capriole, ero pronta.

Seguita a ruota da Marta, mi diressi a passo deciso verso il gruppetto in fondo alla sala.

Si accorsero della nostra presenza quando eravamo a pochi metri di distanza. Il primo a salutarci fu il regista, che ci riconobbe all'istante.

“Oh, Miss Catari! Good morning! And this beatiful girl is Miss Sogni, right?” ci venne incontro, e strinse la mano ad entrambe, con un sorriso paterno. Quest'uomo già mi piaceva, in qualche modo trasmetteva calma, e in questo momento era esattamente la cosa della quale avevo più bisogno.

“Yes, I am. Nice to meet you, Mr Cuaron.” lo salutai io, sorridendo a mia volta.

“Ralph, Orlando, Julia, this is Elisabetta Sogni, the italian actrisse that play Dubhe in the film.” mi presentò il regista. Evidentemente Marta la conoscevano già. Ralph Fiennes si avvicinò cordiale, si presentò e mi strinse la mano.

“Pleased to meet you, Mr Fiennes” risposi io.

“Oh,give me you, please! You fell me hold!” mi rispose gioviale. Sorrisi all’affermazione, dopodichè si presentò la giovane donna che non conoscevo. Aveva lunghi capelli biondi e gli occhi castani. Era alta più o meno come me e avrà avuto la mia stessa età, ma dal fisico asciutto dubitavo apprezzasse la buona cucina come la sottoscritta.

“Hello, I'm Julia Annis!” anche lei sembrava molto aperta, e apprezzai il fatto che mi desse subito del tu.

“Hi, nice to meet you!” ormai stava diventando un ritornello.

L'ultimo a presentarsi fu proprio lui, e quando si sporse per stringermi la mano, temetti di stare per subire un arresto cardiaco.

“Hello Elisabetta, I'm Orlando, pleased to meet you and welcome to the cast” La sua voce era molto più sensuale e morbida di quanto appariva in tv o era una mia impressione? Avrei giurato fosse anche più alto visto dal vivo... Betta, ferma, ripigliati, ed evita di fare figuracce.

“Thank you. And nice to meet you, too” risposi, restituendo il dolcissimo sorriso che mi stava facendo.

“Very well, now we can begin the test” esclamò Cuaron.

“Elisabetta, questa è la scena che devi presentare insieme a Orlando ora, devi solo recitarla ad alta voce, nient’altro. Puoi leggertela un momento per conto tuo, se vuoi” aggiunse poi rivolto a me. Annuii decisa, per poi fulminare Marta con uno sguardo senza farmi notare. Aveva detto che avrei recitato da sola, non con lui! Pazienza, Betta, pazienza, ora ti rilassi, leggi il copione e ti prepari, sono poche righe, ce la puoi fare, fai vedere quello che vali, forza!

La scena era semplice, era un piccolo dialogo tra me e lui, ovvero, tra Dubhe e Learco. Lui cercava di convincermi a stringere un accordo. Learco mi avrebbe aiutato a togliere la maledizione se io mi fossi unita a lui e ad un gruppo di ribelli con il compito di detronizzare il tiranno, suo padre.

Alzai la testa dal copione, e vidi che il regista, Ralph, Marta e Julia si erano sistemati su alcune sedie, poco distante dal punto in cui io e Orlando avremmo recitato la scena, ovvero, al centro esatto della stanza. Quest'ultimo era già in posizione e mi sorrideva incoraggiante, aspettando che mi avvicinassi. Mi affrettai a raggiungerlo, e quando gli fui abbastanza vicino mi chiese: “Are you ready?”

“I hope so” gli risposi, cercando di sorridere. L'ansia stava ritornando.

Probabilmente si accorse del mio nervosismo perchè mi disse “Tranquilla, andrà tutto bene, Alfonso ti adora già, non sai quanto ci ha elencato le tue doti recitative, quindi non hai motivo di preoccuparti” che gentile, neanche mi conosceva ma già si preoccupava per me.

No, Betta così non andiamo da nessuna parte, per favore riprenditiiiiiiii!!!!!!

“Grazie” mi limitai a dire.

“Bene, se siete pronti possiamo cominciare. Ciack!” la voce di Cuaron diede il via al provino.

Non so bene se fossero state le parole di Orlando a tranquillizzarmi, ma fatto sta che dopo quella magica parolina, “ciack”, tutta l'ansia che avevo sparì all'improvviso. Il cuore e la respirazione tornarono normali e in qualche modo riuscii anche a dimenticare che l'attore che mi stava accanto era il mio idolo personale. Non ero più “Elisabetta la giovane italiana in ansia”. Ero “Elisabetta l'attrice”, perfettamente a proprio agio sotto i riflettori e con un copione in mano.

La prima battuta toccava a lui. “Tu non capisce Dubhe! Avresti solo da guadagnarci, perchè ti ostini a non accettare la mia offerta?”

Lanciando solo una rapida occhiata al copione recitai fissandolo dritto negli occhi, perfettamente calata nel mio ruolo: “Sei tu che non capisci. Questa guerra non ha nulla a che vedere con me! Il Mondo Emerso non mi interessa, voglio solo trovare quel maledettissimo antidoto, il resto non mi riguarda”

Lui scosse la testa e fissandomi a sua volta, mi rispose “Non sai quello che dici. Come può non riguardarti? Sei un abitante di queste terre e per  ciò è una faccenda anche tua, che ti piaccia o no. il tuo aiuto potrebbe essere decisivo…”

La scena durò circa cinque minuti. Entrambi ci fermammo allo stop del regista, che ci raggiunse entusiasta.

“Perfetta, ragazzi, bravissimi!” Ci raggiunsero anche il signor Fiennes e Julia.

“Bhè, Elisabetta, è inutile dire che sei presa. Lo sapevi già, ma ora è ufficiale, se mi segui possiamo firmare il contratto. Sapevo di potermi fidare, e mi congratulo con te anche per la tua ottima pronuncia, posso immaginare che recitare in una lingua straniera sia più difficile che nella propria.” Mentre parlava ci stavamo dirigendo verso un tavolo rettangolare posto all'altra estremità della stanza, che prima non avevo notato. Intanto la “Elisabetta attrice” aveva nuovamente ceduto il posto alla “Elisabetta giovane italiana in ansia”. Era tornato anche il batticuore, ma questa volta per la felicità di essere riuscita a rispettare le aspettative, senza farmi prendere dalla paura. Ed  a giudicare dall'addirittura eccessivo entusiasmo di Cuaron, ero piaciuta eccome.

Intanto Orlando mi si era nuovamente affiancato. Il mio cuore perse un battito quando incrociò di nuovo il mio sguardo. Come diamine avevo fatto a rimanere concentrata prima, quando lo avevo fissato dritto negli occhi duramente?

“Sei stata veramente brava, complimenti” mi elogiò.

“Grazie, anche tu sei stato bravissimo” ricambiai. Ed era assolutamente vero. Recitava in maniera divina. Mentre leggeva il copione era perfettamente calato nella parte, si era facilmente capito dal tono di voce dura e dal suo sguardo improvvisamente severo, molto diverso da quello dolce che mi rivolgeva ora. Il suo complimento lo apprezzai molto più degli altri.

Attorno al tavolo in legno c'erano diverse sedie. Ci accomodammo, dopodichè Alfonso mi porse il contratto ed una penna. Lo scorsi velocemente, tanto sapevo già cosa c'era scritto, era un'altra prassi inutile. Firmai senza esitazioni e glielo restituii.

Dopodiché ci informò in che modo si sarebbero succedute le varie fasi di produzione del film.

“Allora, prima di dare il via con le riprese dovrete allenarvi nella scherma, nell'equitazione, nel tiro con l'arco e in altre armi elencate nel libro. E dovrete fare anche un bel po' di palestra, i vostri personaggi sono quasi degli acrobati, ricordate, e anche se alcune scene troppo oltre le faranno gli stuntman, dovete essere ben allenati.”

A quest'ultima frase sentii chiaramente Orlando schiarirsi la voce in segno di disapprovazione. Cuaron si rivolse a lui con un mezzo sorriso sulle labbra. “So la tua avversione per gli stuntman, Orlando, però temo che se la scena richiederà competenze acrobatiche fuori dalla tua portata, dovrai arrenderti all'evidenza che non puoi recitarla tu” gli disse.

Il ragazzo sbuffò. “Vedremo quando si presenterà l'occasione, ma per ora dubito che ne avrò bisogno. Odio che il mio personaggio venga interpretato da qualcun altro” gli altri due risero sotto i baffi.

Io sorrisi tra me e me. Per quel che mi riguardava ero d'accordo con lui. Non ero di certo un'acrobata, ma fin'ora neanche io avevo mai usato uno stuntman e non avevo intenzione di iniziare proprio ora. Anche se bisogna ammettere che nelle commedie romantiche le scene pericolose sono ridotte a zero.

Il regista proseguì con la sua spiegazione dopo aver mormorato qualcosa che suonava come un “cocciuto”. “Tornando a noi, credo che ciò richiederà circa un mese e mezzo, intanto il resto della troupe penserà ai costumi e alle scenografie. Quando sarete abbastanza pronti, potremmo cominciare con la produzione vera e propria, anche se dovrete continuare ad allenarvi, ok?”. Tutti annuimmo.

“Quando inizieranno le lezioni?” chiese Marta.

“Dopodomani alle otto. Ci sarà quella di scherma in Cromwell's street, abbiamo pagato un istruttore che vi insegnerà nella palestra di Sword's Land. Mentre verso le tre del pomeriggio, poco distante dalla suddetta palestra, dovrete andare nel centro ippico in Oxford's street, dove vi attenderà un altro istruttore. Comunque ora vi distribuirò un foglio con su scritto tutti gli orari. Altre domande?” chiese poi.

“Si, una” intervenì Orlando “Dov'è Sean?”

All'improvviso mi ricordai del terzo protagonista maschile del film. Sena Bean il quale doveva interpretare il tiranno, ovvero il padre di Orlando. E già, dov'era?

“è vero, non doveva venire anche lui?” si inserì Fiennes nella conversazione.

“Ha chiamato stamattina presto. Sua madre Rita si è fatta male cadendo dalle scale e l'hanno dovuta portare al pronto soccorso.”

“Oddio, è grave?” chiesi io, preoccupata.

“No no, per fortuna no. Si è solo slogata la caviglia, nessuno trauma cranico, considerando il tutto è andata bene, però logicamente non è potuto venire qui oggi. Lo chiamerò io dopo per dirgli tutto.” Mi tranquillizzai. “Bene, a meno che non abbiate altre domande, questi sono i fogli con la vostra tabella di marcia, mentre questi sono i vostri copioni.” ci distribuì un foglietto insieme ad un libricino con la copertina azzurra con sopra scritto Wars of the World Emerged. “Conoscerete gli altri attori dopodomani, alla lezione di scherma. Qualcuno vuole aggiungere qualcosa?” dato che nessuno disse niente, concluse con “Perfect, see you soon, then. Good bye”. Ci alzammo tutti quanti rispondendo al saluto.

Non feci nemmeno tre passi dal tavolo che sentii la voce di Orlando che mi chiamava.

“Elisabetta, scusami, volevo chiederti una cosa”

Mi voltai sorpresa. “Certo, chiedi pure. Comunque per gli amici sono Betta” aggiunsi con un sorriso. Wow, tutto questo coraggio da dove veniva ora?

Anche lui mi sorrise, improvvisamente raggiante. “Betta allora, ascolta, Ralph, Julia, Sean, Alfonso e io domani sera usciamo insieme per mangiare una pizza. Niente di formale, solo una cena tra amici, ti andrebbe di venire? Ovviamente l'invito vale anche per te Marta” aggiunse poi rivolto alla mia agente.

Allargai il sorriso. Ovviamente non ci pensai due volte. “Certo, mi farebbe più che piacere, grazie dell'invito. Marta?” guardai la mia amica.

“Anche a me farebbe piacere, grazie” rispose lei.

“Grazie a voi. Allora, l'appuntamento sarebbe alle otto alla pizzeria Six Brothers in King’s Road, sapete dov'è?”

Avrei voluto rispondergli che era un miracolo se sapevo ritrovare la strada di casa mia in Italia, a Torino, e che ero dotata di un senso dell'orientamento pari a zero, ma mi limitai ad un più semplice “No”. Per fortuna mi venne aiuto Marty che affermò di saperci arrivare.

“Perfetto, ci vediamo domani allora, ok?”

“Of course, bye bye everybody!”

Io e Marta ci allontanammo lentamente dagli studios, dopo aver salutato tutti.

Solo quando fummo in macchina ad una ragionevole distanza dalla Paramount, mi concessi un enorme respiro liberatorio, accompagnato da una sequenza di “Evvai” “Si” “Non ci posso credere” “Yuppi!”.

Quando arrivammo a casa chiamai di corsa mia madre, che rispose al primo squillo.

“Pronto? Betta?”

“Si mamma sono io” mentre parlavo con voce concitata, iniziai a camminare avanti e indietro per l'ingresso.

“Oh, Elisabetta, mi hai fatto preoccupare tanto ieri, e anche stamattina! Perchè avevi il cellulare spento? Mi stava venendo un arresto cardiaco!” mi accusò.

Ciò non scalfì il mio entusiasmo. Nonostante la frase volesse suonare come un rimproverò, il tono dolce di mia madre, che era assolutamente incapace di sgridarmi, rovinò l'intento.

“Scusami mamma, hai assolutamente ragione. Mi dispiace tanto, è che con tutte queste novità me ne ero completamente dimenticata!” mi scusai sincera. Con la cosa dell'occhio notai Marta che si eclissava in tinello scuotendo la testa.

“Non importa, ormai è fatta. Ma dimmi, com'è Londra? È bella come ti aspettavi e la casa? Ti sei trovata bene? E questo provino? Raccontami tutto!”

Un'altra cosa bella di mia madre è che spesso e volentieri sembrava una ragazzina curiosa, e ciò era uno dei motivi per cui avevamo sempre avuto un ottimo rapporto.

“Oh mamma, non ti puoi nemmeno immaginare! La casa è stupenda!! è una villetta a due piani con giardino! Ora è un po' vuota, ma presto andrò a fare compere e dopo una bella mano di vernice, sono sicura che sarà ancora più bella e accogliente.  Non sono ancora riuscita a visitare la città purtroppo, ma sono qui solo da ieri e ho dovuto far prevalere il dovere sul piacere, ma io e Marty oggi avevamo in programma di andare in centro, così mi fa girare un po' per Londra. Tuttavia un giro vero e proprio lo farò quando mi sarà sistemata meglio, perchè ora ho l'agenda piena di impegni!” sembravo un fiume in piena e probabilmente mia madre aveva capito metà delle cose che avevo detto, ma ero talmente agitata e felice che non riuscivo a parlare con più calma.

“Sono contenta che ti trovi bene! E questo film?” A quanto pare, nonostante la velocità razzo a cui ero andata, il messaggio principale era arrivato chiaro: ero felice.

Le raccontai minuto per minuto come era andato il provino, soffermandomi in particolare su chi sarebbe stato il mio partner. Appena ebbe udito la notizia, la gioia di mia madre esplose in un “Wowwwwwwww!!!!!!!!!!! Incredibile, proprio lui!! Oh figlia mia me lo devi fare conoscere! Sono felicissima per te! Però mi raccomando, cerca di non prenderti una cotta per lui, siete colleghi! E poi sai come cambiano idea in fretta su certe cose, gli attori! Capisco che è bello, però...”

Al che ero diventata rossa come un pomodoro. Meno male che per telefono non poteva accorgersene. “MAMMA! Cosa dici?! Siamo solo colleghi e massimo diventeremo amici! Cosa vai a pensare?!” cercai di assumere un tono indignato.

Il resto della conversazione proseguì in modo più tranquillo e meno equivoco per fortuna. Riattaccai dopo un'ora e mezza sfinita dalla conversazione.

Mi trascinai in tinello, per poi lasciarmi cadere su una delle sedie in legno attorno al tavolo. Marty era già ai fornelli.

“Non è un po' presto per cucinare?” le chiesi.

“Guarda che è mezzo giorno”  mi informò divertita.

“Di già?” La mia amica si limitò ad annuire con la testa.

Forse ero io che ero svampita oppure erano le miliardi di cose da fare le quali parevano infinite, ma pareva che ultimamente il tempo stesse volando!

 

 

Aiutai Marty ad apparecchiare la tavola con le stoviglie di plastica.

“Prima o poi ci dovremo comprare un servizio di piatti e posate, lo sai vero?”

“C’è tempo, non è in cima alla mia lista delle priorità. E poi i piatti di plastica hanno il vantaggio che non vanno lavati” risposi ridendo io. Marta scosse la testa e portò in tavola la pentola con la pastasciutta. Gnam, si mangia!

“Buon appetito!” esclami contenta e mi fiondai sulla mia portata.

“Allora, qual è la tabella di marcia per il pomeriggio?” chiesi mentre arrotolavo alcuni spaghetti attorno alla forchetta.

“Dimmi tu, hai carta bianca, se ti va possiamo iniziare a fare un giro dei negozi immobiliari per arredare la casa, ma se preferisci girare Londra da brava turista sono certa che possiamo sopravvivere ancora qualche giorno senza tappeti e con i muri bianchi”

“Ecco, i muri sono tra le mie priorità per esempio, non sopporto di vederli bianchi, sono tristi! Però per oggi preferirei visitare la città, ho voglia di svagarmi, il lavoro per almeno venti quattr’ore può attendere!” decisi dopo aver deglutito un’abbondante forchettata.

“Perfetto, allora oggi andiamo prima al Big Bang, poi davanti a Buckingham Palace e infine a Trofalgar Square. Dubito che in una sola giornata riusciamo a visitare altri luoghi ma mi sembra un buon inizio, che ne dici?”

“Ci sto, e voglio scattare un mucchio di foto, così poi le invio a mia madre”.

Felici della nostra prospettiva di un pomeriggio di divertimento, passammo il resto del pranzo a discorrere del più e del meno, raccontandoci altri aneddoti che nel mese di lontananza ci erano capitati.

 

 

“Buckingham Palace è stupenda! Ho già detto che adoro questo posto?”

Marty scoppiò a ridere “No, se non si contano le cinquemila volte precedenti”

“Ok, sono ripetitiva, ma non puoi immaginare quanto sia contenta di essere qui! Mi sembra un sogno”

“L’avevo intuito. Comunque ne sono felice dato che staremo qui per un bel po’”

Le scattai una foto a tradimento e lei fece finta di arrabbiarsi.

“Scusami, hai detto tu che passeremo qua parecchio tempo e poi non vuoi nemmeno immortalare un momento della tua permanenza a Londra?” le domandai scherzosamente.

Ridemmo entrambe e io feci scorrere il mio sguardo attorno a me. Era tutto perfetto. Era una splendida giornata primaverile, aprile era iniziato da un pezzo, e il sole faceva bella mostra di sé in alto nel cielo, battendo addirittura le famose e stabili nuvole londinesi. L’atmosfera che regnava era allegra. La gente era tranquilla e già pregustava l’arrivo delle vacanze, alla quale mancavano solo un paio di mesi. E poi c’era Buckingham Palace dinanzi a noi, che torreggiava maestosa e imponente su tutto ciò che ci circondava.

“Betta cara, non abbiamo ancora discusso su quello che è successo questa mattina. Oltre ovviamente a tutte le tue esclamazioni di gioia che hai sparato a macchinetta una volta in auto” Marty mi distolse dalla mia contemplazione del palazzo reale inglese.

“Già, è vero, però non trovo che ci sia qualcosa sulla quale discorrere. Sono stata presa, ho conosciuto il cast, domani inizio e sono strafelice cos’altro dovrei dire?”

La mia manager sbuffò sonoramente. “Per esempio che effetto ti fa sapere che lavorerai con un tuo idolo” mi consigliò.

Io la guardai un attimo a bocca aperta. “Che razza di domanda. Sono contenta, anche se avrei gradito che qualcuno mi avvisasse prima di vederlo in prima persona, dato che ho rischiato l’arresto cardiaco stamattina. Spero che diventeremo amici, spero di diventarlo anche con gli altri, mi sono sembrate tutte persone molto simpatiche, e mi auguro di imparare molto da loro dal punto di vista professionale”

Lei mi squadrò scettica. “Sei sicura che siano tutte qui le tue speranze?” chiese.

Perfida insinuazione. Perfidissima. Risposi pronta comunque sia. “Ma certo Marty, è un collega, cos’altro potrei volere oltre che l’amicizia, ti ricordo che io sono una professionista!”

“Ah, io me lo auguro” sospirò prima di proseguire. “Sai, oggi mi hai fatto preoccupare quanto hai avuto quella reazione alla vista di Bloom. Sapevo che per te sarebbe stata una bellissima sorpresa in quanto conosco la tua ammirazione per lui, ma per un attimo ho temuto che la tua stima nascondesse invece una cotta per quel ragazzo” mi confessò guardandomi cauta.

“COSA?!” urlai io. “Ma cosa vai a pensare! Io lo considero semplicemente un grande attore, nulla di più, Marty mi conosci, non sono il tipo da sbavare dietro agli attori e fantasticare sopra l’immagine perfetta che danno in tv, che tra parentesi il 99% delle volte è semplicemente costruita a tavolino.” Mi difesi con calore.

“Va bene, va bene, calma, era mio dovere chiedertelo. Comunque ne sono felice. Sarete colleghi, reciterete a stretto contatto per un sacco di tempo, non sarebbe affatto il caso di innamorarsi di lui, le storie nate sul lavoro creano solo problemi e finiscono male” mi ammonì.

“Marty, tranquilla, non intendo mettermi con nessuno del cast, ok?” la mia amica parve convinta dopo un’ultima occhiata critica al mio viso, e si decise a cambiare argomento.

Io tra me e me faci un grosso, enorme sospiro. Intendiamoci, quello che le avevo detto non era una bugia, davvero non mi ero presa una cotta per Orlando, però dovevo ammettere che l’averlo conosciuto oggi di persona mi aveva stordita al quanto. Era davvero bellissimo, la televisione non gli rendeva giustizia, e da quel poco che l’avevo conosciuto potevo assicurare che fosse anche molto dolce e gentile. Però la mia ammirazione era tutta provata da un punto di vista professionale. Mi piaceva da impazzire come si calava in ogni parte, le espressioni del suo viso, l’enfasi con la quale diceva ogni battuta. Amavo il suo modo di recitare, non lui. NON lui, ripetei a me stessa.

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Capitolo 3
*** 2_Fiorini ed Equini ***


Ciao a tutte^^ scusate il disastroso ritardo, non ci sono scuse degne di questo nome!!! Crcherò di essere più celere in futuro, lo prometto, anche se non sarò velocissima cercherò di non far passare di nuovo tutto questo tempo! Spero che leggiate in tanti questo cappy, mi scuso ancora e ora vi lascio alla lettura^^

kisskisses 68Keira68

Ringraziamenti:

Klood: grazie per aver recensito anke il cap due^^ non ti preoc, io sn contenta se mi segnalate gli errori così posso correggerli, altrimenti rimarrebbe sbagliato^^ e poi così miglioro il mio inglese, hihih^^ quindi grazie e quando vedi qualcosa che non va scrivilo tranquillamente^^ spero che ti piaccia anke questo cappy e ke lo recensirai^^ grazie ancora kisskisses 68Keira68

2_ Fiorini ed Equini

 

“Ehi, bell’addormentata, per favore, cerchiamo di non arrivare in ritardo al tuo primo giorno, ieri eravamo puntuali per chi sa quale miracolo, dubito che oggi avremmo la stessa fortuna”

Marta mi stava urlando contro di muovermi da più o meno una ventina di minuti.

“Un secondo e arrivo” le risposi dalla camera di sopra. Era incredibile come riuscissimo a comunicare con tanta facilità da una piano all’altro, considerando che lei era in cucina. Le cose erano due, o la casa aveva un eco straordinario, o sia io che Marty eravamo dotate di due bei polmoni.

“è quello che hai detto più o meno 1200 secondi fa, cara. Mi spieghi qual è la difficoltà di scegliere un vestito? Stai per consumare lo specchio, accidenti!”

Io sbuffai. Per fortuna questo non lo sentì. E già, per lei era facile, si era subito messa gonna e giacca et voilà! Era pronta. Ma io cosa dovevo indossare? Come diavolo ci si vestiva per una lezione di scherma?

Sentii dei passi per le scale. Fantastico, la mia amica probabilmente aveva intenzione di venirmi a prendere per la collottola, ma io ero ancora in biancheria intima! Dubito che sarei potuta andare in palestra con solo il reggiseno e le mutandine addosso!

“Betta, se non ti vesti entro cinque minuti ti ricevi un fioretto in testa” mi avvertì mentre spalancava la porta della camera.

“Sono indecisa! In teoria dovrei mettermi la tuta dato che dobbiamo fare allenamento, ma non vorrei sembrare poco professionale ad andare solo con quella! E poi mi vergognerei ad andare per le vie di Londra con solo dei pantaloni di tela addosso!” mi difesi.

Marta alzò gli occhi al cielo. “No, non ci credo, ti prego dimmi che non è questo il problema che ti poni da mezz’ora a questa parte”

“Mezz’ora, esagerata! Saranno a mala pena quindici minuti”

“Come minimo venti, ma non è questo il punto!” Mi guardò in cagnesco.

Io allora, fingendomi offesa provai a far valere le mie motivazioni. “è un problema serio! E tu che sei mia amica, al posto di stare qui a sgridarmi, dovresti suggerirmi una soluzione!”

La mia manager fece un profondo respiro, come per riprendere la calma, infine mi fissò dritta negli occhi e a denti stretti mi rispose “Elisabetta, dentro la palestra ci sono gli spogliatoi, devi portarti semplicemente una sacca con la tuta e le scarpe da ginnastica, ma per uscire puoi metterti quello che ti pare. Anche gli altri faranno così, credo che tutto il mondo quando deve andare ad allenarsi faccia così. Ti consiglierei di portarti anche un asciugamano e il bagnoschiuma per farti la doccia dopo, sempre là nella palestra. Ora hai capito?”

Io la guardai con la bocca spalancata, dopodichè mi sentii una benemerita idiota. È vero, gli spogliatoi, non li avevo minimamente considerati! Uffa però, non entravo in una palestra da sei anni e non ero mai stata una sportiva. L’unica attività motoria che ho fatto nel corso della mia breve vita è stata quella che mi costringevano a praticare a scuola.

“Ah.” Mi uscì semplicemente.

Marta scosse la testa e, dal silenzio che ne seguì, credo contò fino a dieci per evitare di sbraitarmi addosso.

“Io vado di sotto, se entro cinque minuti, e dico proprio CINQUE minuti, non sei pronta, ti porto là esattamente come sei” minacciò uscendo teatralmente dalla stanza.

Ok, con Marty non si scherza quando è arrabbiata. Avrei scommesso qualsiasi cosa che avrebbe messo in atto l’avvertimento se non mi fossi sbrigata.

Velocissima indossai i miei jeans preferiti (blu scuro, a vita bassa e con la gamba a sigaretta) e una camicetta bianca. Afferrai la mia tuta rossa e delle scarpe da ginnastica, li buttai dentro lo zainetto colorato e mi diressi velocemente in bagno per procurarmi asciugamano, spazzola, deodorante e bagnoschiuma. Infine mi catapultai nuovamente in camera per mettere delle ballerine nere. Pronta!

Presi giacca e zaino, e mi fiondai al piano di sotto.

“Spero sarai contenta, per fare in fretta ho infranto la barriera del suono e non mi sono nemmeno truccata!” inveii contro Miss Puntualità.

“Se serve a farti arrivare in orario sono contenta si, comunque stai benissimo anche senza lucidalabbra, tranquilla.”

Uffa, sapevo anche io che le mie labbra sopravvivevano senza lips-gloss, anzi, a meno che non avevo impegni importanti non mi truccavo neanche, e la palestra non era inclusa tra quelli, ma era una questione di principio, non sopportavo che qualcuno mi mettesse fretta! Purtroppo però dovevo anche ammettere che senza quel “qualcuno” probabilmente quel giorno sarei arrivata a destinazione per le due del pomeriggio anziché alle otto. Le otto, sigh, a causa di questo orribile orario mi ero dovuta svegliare alle sette! Dico, le SETTE!!!!! Per me è notte inoltrata, altro che mattina, la mia alba arriva verso mezzogiorno. Destino infame!

 

Uscimmo dalla villetta e ci avviammo per l’acciottolato rosso fino a raggiungere il cancelletto. Una volta chiuso alle nostre spalle quello, salimmo nella Peugeot di Marta, che ci aspettava parcheggiata tranquilla davanti a casa.

“Allora, il programma della giornata è semplice, lo ricordi?” mi domandò mentre sfrecciavamo verso la palestra.

“Si, non sono così smemorata! Lezione di scherma nella mattinata e tiro con l’arco nel pomeriggio, giusto?”

“No! Ecco, vedi che te lo eri già scordata? Alle tre hai ippica!” mi ricordò.

“Caspita è vero!” Mi sbattei una mano sulla fronte. E pensare che l’ultima cosa che avevo fatto ieri sera era stata leggermi la programmazione!

“Ecco, lasciamo stare è meglio. Comunque, io non starò con te oggi pomeriggio, ho del lavoro da sbrigare, quindi per favore, evita di cadere da cavallo solo perché non ci sono io a tenerti d’occhio, va bene?” mi ammonì.

“Ah, ah, come sei spiritosa! È la mia prima lezione, probabilmente il cavallo lo vedrò solo da lontano, figurati se me lo fanno montare! Ma cosa devi fare? Il tuo lavoro sono io e mi sembra di essere sistemata con un imminente futuro da cavallerizza”

Mi guardò di sottecchi sorridendo beffarda. “Difatti oggi pomeriggio lavoro proprio per te. Mi sto occupando di un contratto che prevedrebbe te come testimonial per una marca di profumi, il tuo impegno sarebbe minimo, un piccolo spot e qualche foto, ma ne ricaveresti un sacco di pubblicità”

Rimasi a bocca aperta. Wow, io testimonial? Fantastico!!

“Fico, e di quale marca si parla?” domandai contenta.

“Chanel. A quante pare è scaduto il contratto del Knightley.” Chanel! Ho già detto che adoro la donna che ho davanti? Però poi mi venne un dubbio.

“Scusami, ma come faccio ad essere presente a scherma, ippica, tiro con l’arco e chi più ne a più ne metta e fare in contemporanea questa pubblicità? Non ce la farò mai! E poi dove devo scattarle queste foto?”

“Cara, se ti dovessi occupare tu di tutte queste cose, io che ci starei qui a fare? Tu non ti preoccupare, ci penso io a far combaciare il tutto, tu pensa solo a diventare un buon fantino, ok?” scherzò.

“Sei mitica” la ringraziai. Evvai, prima il film e ora lo sponsor. Londra era la città dei miracoli.

 

Dopo poco arrivammo davanti alla suddetta palestra. Era piuttosto anonima, un edificio di mattoni rossi posta nel bel mezzo della via, con una grande insegna blu che recitava: “Sword’s Land”.

Entrammo dalla porta principale, molto grande e in vetro. Appena dentro ci accolse una temperatura fantastica, probabilmente merito di un buon condizionatore. C’era un piccolo corridoio che immetteva in un bivio. Le scritte rosse sopra due cartelli bianchi ci informarono che ha destra si trovavano gli spogliatoi e la palestra, mentre a sinistra c’era il centro informazioni.

Marta imboccò sicura il corridoio sinistro, dicendomi di attenderla lì un attimo. Di sicuro era andata a chiedere indicazioni a qualcuno. Difatti tornò poco dopo con un piccolo sorriso.

“Sono già arrivati tutti. Ti stanno aspettando di là in palestra, però prima devi passare per lo spogliatoi e cambiarti.”

“Bene” perfetto, come sempre ero l’ultima. Possibile che dovessi sempre distinguermi? Decisi di sorvolare. “Dov’è lo spogliatoio?” chiesi invece.

“Quello delle ragazze è infondo sulla destra. C’è un cartello enorme, se ti perdi anche qui finisci nel guiness dei primati” mi prese in giro. Le feci la linguaccia mentre mi avviavo verso la direzione indicatami, sperando di non perdermi davvero, perché in tal caso avrei fatta davvero una figuraccia, mi avrebbe preso in giro per un mese di fila.

“Vado a chiedere un’ultima cosa al punto informazioni, poi ti aspetto in palestra, ok? Tu sbrigati però!” mi urlò come ultima cosa.

Annuii distrattamente con la testa. Dopo pochi passi giunsi al cartello e imboccai sicura la porta dello spogliatoio femminile. Era piuttosto grande, due panche centrali e gli armadietti ai lati. In fondo c’era un’altra piccola porta che immaginai conducesse al bagno. Mi avvicinai all’armadietto più vicino e cominciai a cambiarmi. Tuta, maglietta con scritta rossa“Dance”, scarpe e coda di cavallo. I’m ready! Buttai la sacca e i miei vestiti dentro l’armadietto di fronte a me ed uscii dalla stanza.

Ero curiosa di vedere come si sarebbe svolta la lezione. Non avendo mai preso una spada in mano in vita mia la cosa mi eccitava, avevo smania di imparare. Soprattutto perché mi avevano assicurato che non dovevo fare alcun esercizio di riscaldamento. Meglio di così!

Nel corridoio c’erano altre due porte, ed escludendo quella dello spogliatoio maschile puntai sicura su un’entrata a due ante. Mi ritrovai in una spaziosa palestra. Le pareti erano bianche e il pavimento marroncino, come da manuale. Guardai con astio il quadro svedese posto in fondo alla sala e le quattro spalliere a lato. Tra me quegli attrezzi era in atto una guerra fredda da quando ero nata, ma finite le scuole avevamo firmato una specie di armistizio. Io non andavo da loro e loro non mi facevano rompere l’osso del collo. Patto che non avevo mai avuto difficoltà a rispettare.

Un campanello di voci richiamò la mia attenzione. Voltandomi notai che Orlando, Julia, Ralph, un altro uomo che riconobbi subito essere Sean Bean e due donne sulla trentina che immaginai essere le nostre istruttrici. Mi stavano chiamando e io non mi feci attendere. Anzi, erano già stati troppo gentili ad aspettarmi.

Hello everybody!” li salutai di rimando.

“Ciao, tu devi essere Elisabetta Sogni, ieri non ho avuto il piacere di conoscerti, comunque io sono Sean Bean” L’attore inglese non tardò a presentarsi molto cordialmente.

“Piacere mio” risposi stringendogli la mano.

“Perfetto ora che ci siamo tutti direi che possiamo iniziare la lezione” la voce di una delle due istruttrici ci richiamò tutti.

Per le tre ore seguenti mi sembrò di essere tornata a scuola. Le due donne si erano divise, una si occupava di me e di Julia, la mia partner per la mattinata, mentre l’altra aiutava Sean e Orlando, e faceva da partner a Ralph. La nostra insegnante aveva una voce da sergente e il portamento non era da meno. Dritta e rigida nel suo metro e settanta, capelli neri cortissimi e sguardo severo, portava fieramente il suo fischietto appeso al collo e non tardava ad utilizzarlo. Era insopportabile e el suo bersaglio preferito pareva che fossi proprio io. Non so quante volte mi aveva fischiato nelle orecchie. Ammetto che io ero esasperante. Dopo che mi aveva ripetuto tre volte la posizione corretta per fare un affondo, ero riuscita a sbagliare tutto. Al che era arrivato il fischio, secco e acuto, al mio timpano, seguito a ruota dalla sua “dolcissima” voce che mi sgridava. “Non è quella la posizione, possibile che te la sei già dimenticata? Gamba destra avanti e sinistra indietro, un passo in avanti con la destra accompagnato dal busto e allunghi il braccio, non è così difficile”.

La scena si era ripetuta più o meno per ogni singolo mio movimento, al che ad un certo punto provai l’istinto di farle ingoiare il fischietto con tutto il cordino.

Par contro, la mia partner, Julia, sembrava parecchio divertita. Cercava di trattenere le risate ad ogni fischio e io l’avevo fulminata con gli occhi più di una volta. A lei non aveva mai detto niente, non era giusto! Anche Marta rideva, dal suo angolo in fondo alla stanza, e ciò non mi aiutava affatto.

Dall’altra parte della palestra, Orlando e Sean invece sembravano Artù e Lancillotto. La loro istruttrice non aveva molto lavoro da fare, pareva fossero nati con una spada in mano. Non sbagliavano un affondo e duellavano con una naturalezza ed eleganza naturale. Provai una fitta di invidia. Erano davvero bravi, sopratutto Orlando. Affondo, parata, affondo, parata, pareva danzasse. Aveva i capelli lunghi e scuri legati dietro da un codino, la tuta blu notte marcata Kappa e una maglietta bianca che gli evidenziava il torace. L’abbigliamento era semplice, eppure lui sembrava un Dio greco lo stesso. Era davvero bello.

Par contro, il povero Ralph sembrava che avesse intrapreso una crociata personale contro tutta la categoria della spade, dalle sciabole ai fiorini. Non riusciva a fare un affondo degno di questo nome, esattamente come me. Mi rincuorò un poco. Però, a differenza di me, non aveva un’anatra starnazzante incollata all’orecchio. La sua insegnante, una ragazza molto carina con una fluente coda bionda, doveva essere molto paziente, perché ogni volta che sbagliava gli ripeteva con calma la posizione corretta, senza urlare, e sorridendo gli faceva l’ennesima dimostrazione pratica. Tra poco gli chiedevo se si poteva fare cambio. Le mie rosee congetture furono però interrotte da attacco a tradimento da parte di Julia, che mi riportò al presente.

 

Dopo quattro ore di affondi, dei quali, tra parentesi, non me ne era venuto manco uno, finalmente Carol-istruttrice-sergente militare, decretò la fine della lezione. Qualcuno aveva ascoltato le mie preghiere. Tutta la mia voglia di imparare a tirar di scherma era svanita appena quella donna aveva aperto bocca.

Mi trascinai fino allo spogliatoio chiacchierando con Julia.

“Non è stata male come prima lezione” mi disse prendendomi in giro.

“Parla per te, io temo che di averci rimesso l’udito a causa di tutti quei fischi.” Mi lamentai.

“è il suo mestiere correggere chi sbaglia, non può dirti che vai bene se non è la realtà, e ti assicuro che i tuoi affondi avevano bisogno di una revisionata” si intromise Marta, ancora ridendo

“Ahaha, a parte gli scherzi, Carol è stata un po’ severa con te, sembrava che non fossi capace di tenere in mano un qualsiasi oggetto, non solo una spada” mi difese Julia.

Quella ragazza iniziava a starmi sempre più simpatica. “Grazie Julia”.

Mentre uscivamo dal mio inferno personale, con la coda dell’occhio notai che Orlando e Sean proseguivano con l’addestramento, come due spadaccini provetti. Ralph Fiennes aveva finito invece e si stava già cambiando. 

“Certo che ne hanno di energie quei due” commentò Julia.

La fissai, e con una certa soddisfazione notai che anche lei non era immune al fisico di Orlando. Lo stavo guardando con lo stesso interesse che avevo io prima.

“Più di me di sicuro” le risposi sorridendo e raggiungendo la porta dello spogliatoio.

 

 

“Quanto tempo abbiamo?”

“3 ore, dopodichè devi imparare a montare un cavallo” mi rispose Marty guardando il suo Swatch grigio metallizzato con il bordo dorato.

“Incredibile, ho quattro ore libere?”

“Non ti ci abituare, quando dovremo girare non ne avremo neanche mezza” una voce dolce e profonda mi raggiunse da dietro. Quando mi girai, un sorriso a trentadue denti mi accolse, accompagnato da due occhi nocciola che mi fissavano divertiti. Anche Orlando si era cambiato e aveva raggiunto me, Marty, Julia e Ralph. Dalla tuta blu era passato ad un look casual, jeans chiari, in alcuni punti strappati come impone la moda, una maglia nera e un giubbotto anch’esso di jeans.

Nel complesso? Un piacere per gli occhi.

“Allora è meglio che ne approfitto, casa mia non può rimanere spoglia per sempre. A proposito, sai per caso dove posso trovare un mobilificio? Tipo l’Ikea, Casa del Mobile…?” chiesi, lieta di poter istaurare una discussione con lui. Prima di iniziare le riprese mi ero prefissata di stringere un minimo di amicizia con tutti, primo perché ci sarebbe stata più armonia e complicità tra un ciack e l’altro ed era essenziale per un buon film, secondo perché ero venuta a Londra anche per ampliare il giro delle mie conoscenze, volevo cambiare aria, conoscere gente nuova e stringere nuove amicizie.

Lui soppesò un attimo la mia domanda. “Non conosco quelli che hai nominato tu ma che io sappia qui vicino c’è Mobile Here. È molto grande e ben fornito, ho comprato tutto l’arredamento del salotto là. È lungo questa strada, alla seconda traversa svolti a sinistra e sei arrivata.”

Ma che ragazzo d’oro. “Grazie, allora ci farò un salto prima di andare ad ippica, anzi, conoscendomi è meglio che mi avvii subito”

“Figurati. Ci vediamo alle tre allora. Good shopping”

“Thanks, good bye everybody” dissi poi rivolta al resto del gruppo, alla quale si era aggiunto anche Sean Bean.

 

Marta ed io uscimmo dal centro sportivo e raggiungemmo la nostra auto.

“Cosa facciamo? Andiamo subito al mobilificio?” mi chiese.

Ci pensai un attimo, ma fu il mio stomaco a decidere per me, brontolando sonoramente.

Marta rise e io sprofondai nell’imbarazzo. “Capito, andiamo a casa a pranzare, i mobili attenderanno”

“Si è meglio” risposi pregustando una buona pastasciutta.

 

 

“è meglio blu, rosso, bianco o nero secondo te?”

Il quesito era di vitale importanza, e io ci stavo riflettendo da ben quindici minuti.

“Betta, è un tappeto, non una questione di stato” a Marta stavano saltando i nervi.

“No, non è un tappeto” le feci il verso “è il NOSTRO tappeto e dovrà fare bella mostra di sé a casa NOSTRA, quindi deve essere quello giusto”

Continuai a fissare a lungo i due tappeti e pelo alto, morbidi e soffici, i miei preferiti, ancora a lungo, finché la mia agente non fece un’osservazione illuminante.

“Pensa a che colore vorresti dipingere le pareti del tinello”

Mi si accese la lampadina. Sapevo esattamente che colore volevo per quei muri, arancione.

“Deciso, lo prendo rosso, che te ne pare?” con un sorriso degno di una bimba di cinque anni, guardai Marta.

Lei alzò gli occhi al cielo. “Va benissimo” rispose esasperata, senza comprendere il mio entusiasmo per l’acquisto. Mi aveva esplicitamente detto che non le interessava minimamente che mobili avrei scelto per la casa, a patto che non avessi messo piede in camera sua, e quindi il suo interesse nel mio acquisto era minimo. Nonostante ciò aveva pazientemente deciso di accompagnarmi al negozio lo stesso.

“Yuppie, comprato all’ora!”

Lo misi nel carrello, piegandolo con cura. Per fortuna non era molto grande, la misura giusta per stare sotto il tavolo in cucina. Finalmente non avrei più dovuto sopportare quell’obbrobrio marroncino.

Il carrello comprendeva già un lampadario con la ventola in legno, destinato anche quello per la cucina, e una lampada rosa, con la base decorata da ghirigori complessi, per la scrivania in camera mia.

Il lampadario mi aveva colpito particolarmente. Le ventole erano in ciliegio, intersiate anch’esse con dei piccoli disegni sui bordi, mentre le quattro lampade che le univano erano di un bianco latte e avevano la forma dei petali di un fiore. Assomigliavano a quattro campanelle. Stupendo.

La mia manager mi aveva gentilmente fatto notare che solitamente si inizia ad arredare una casa dai mobili e non dagli accessori, ma quel giorno avevamo solo due ore, tempo insufficiente per scelte complicate come cucina, divani o librerie. Per quelli mi sarei dovuta prendere una giornata intera.

“Bene, sono le due, abbiamo giusto il tempo per andare a casa a cambiarci e andare ad ippica” decretai diligente, guardando l’ora.

“Incredibile, tu che rispetti un orario, Londra fa miracoli”

Le feci la linguaccia.

Pagammo il conto e grazie a qualche miracolo, riuscimmo a caricare tutto in auto. Da fuori non avrei mai detto che la Pegeout fosse così capiente.

Con calma raggiungemmo la villa e depositammo lampade e tappeti nel corridoio. Il tappetino marrone aveva le ore contate, me ne sarei sbarazzata con gioia dopo la lezione di quel pomeriggio.

Mi cambiai indossando dei jeans comodi e una camicetta a mezze maniche. Marta era come sempre perfetta in un completo beige pantalone e giacca.

 

 

A bordo della sua macchina metallizzata giungemmo a destinazione con il tetto abbassato. La giornata era calda, il sole era alto e faceva bella mostra di sé in un cielo limpido. Il tragitto fu più lungo del precedente, la nostra meta infatti, un piccolo maniero, era leggermente fuori città, a poco più di venti minuti di viaggio senza traffico.

“Go Horse-Riding” era l’insegna in legno che ci indicò che eravamo giunti a destinazione.

L’edificio era ben tenuto, in mattoni come la palestra, ma totalmente diverso. Era vissuto e trasmetteva un senso di familiarità incredibile. Era uno di quei luoghi dove ti senti subito a tuo agio, non freddo e impersonale come gli edificio pubblici di un centro cittadino. Aveva il sapore delle cose vecchie, fresche e genuine, come il pane fatto in casa. Mi piacque subito.

Un grande portone aperto permetteva l’accesso ad un cortile spazioso dove si poteva parcheggiare. Quando entrammo notammo tre auto. Una multipla blu, una mercedes nera e una cabriolet rossa fiammante. Di sicuro tre dei miei colleghi erano già arrivati. Sbavai circa dieci minuti sull’ultima macchina, era magnifica, prima o poi me ne sarei comprata una.

Due secondi dopo essere scese dalla nostra auto notai con disappunto il selciato irregolare. Era tutta ghiaia, e al momento stava facendo una guerra spietata alle mie povere nike nere. Ormai erano quasi diventate bianche, avrei dovuto pulirle tornati a casa.

Alzando la testa da terra, trovai che il maniero da dentro era ancora più grazioso. Quattro mura rosse circondavano il parcheggio. L’edificio rettangolare aveva due piani e numerose finestre, dalla quale spuntavano dei fiori di campo di tutti i colori. Un’edera rigogliosa ricopriva buona parte della parete alla destra del portone, mentre quella di fronte contava un’altra grande porta che conducevano ad uno spazio aperto molto ampio, da quello che potevo scorgere.

“Di là” mi informò Marta, precedendomi diretta proprio a quest’ultima apertura.

Un clacson ci bloccò a metà strada. Mi voltai sorpresa, e vidi un mano che mi salutava dal finestrino di una porsches nera metallizzata. La musica tecno trasmessa dal potente stereo dell’auto si sentiva da lì.

Le mie labbra si curvarono automaticamente in un sorriso quando dall’auto scese il futuro Learco.

“Ciao ragazze” ci salutò allegro, togliendosi gli occhi da sole griffati Armani.

“Ciao” risposi io. Ecco, lo stato di trance che mi prendeva quando ero a meno di un metro da quell’uomo era tornato a trovarmi. Pian piano la mia lucidità stava svanendo. Orlando aveva su di me un incredibile ascendente

“Ciao” mi fece eco Marta “Bene, ora che non sei più sola posso anche andare, ho quel lavoretto da sbrigare. Vi auguro una buona lezione ad entrambi” aggiunse poi, tranquilla, come se avesse appena salutato il giardiniere. In quel momento la invidiai tantissimo, possibile che lei non si facesse intimidire mai da nessuno? Come poteva essere immune a quel viso d’angelo?

“Grazie, buon lavoro anche a te” le rispose impeccabile, con quella sua voce soffice e indimenticabile.

“Ci vediamo dopo Betta” mi salutò nuovamente Marta, con un tono di voce un po’ più alto del normale. Probabilmente l’aveva fatto a posta, giusto per svegliarmi dallo stato di catalessi in cui ero momentaneamente caduta.

Funzionò. Scossi impercettibilmente la testa e sorridendole la salutai.

 

“è un’ottima manager, non ti lascia sola un attimo, vero?” mi domandò mentre ci dirigevamo verso il cortile esterno, insieme.

Era la prima volta che stavo sola con lui, e intraprendere una discussione, seppur leggera, mi fece un certo effetto. Io, Elisabetta Sogni, stavo chiacchierando del più e del meno con LUI, Orlando Bloom, mio idolo personale, e mi accingevo a frequentare, sempre con lui, un corso di ippica per girare un film assieme. Il mondo doveva aver iniziato a girare al contrario.

Ci misi qualche secondo più del dovuto per rispondere, ma alla fine riuscii a formulare una frase di senso compiuto.

“Ehm, si, si, è una donna eccezionale, si divide in quattro e fa di tutto per me e per la mia carriera, è impagabile. Però prima di essere la mia agente è l’amica più cara che ho”.

“Si vede che non siete solo colleghe. C’è molta complicità tra voi. L’avevo già vista prima che arrivassi a Londra, e si nota subito che prende il suo lavoro molto a cuore perché non opera per una normale cliente ma per una persona a cui vuole bene. Ti ha persino accompagnato a scherma, né Jonathan, il mio manager, né altri lo hanno fatto.”

Rimasi affascinata dal suo breve discorso. Era un acuto osservatore, conosceva da poco sia me che Marta ma aveva compreso bene il nostro legame. Di solito i ragazzi non avevano tutta questa perspicacia in questi ambiti.

“ è una cara amica, si è anche preoccupata di trovare una casa vicino al centro, una villetta stupenda”

“Quella che devi arredare giusto? Ah, sei poi andata al mobilificio?” si informò mosso da un vivo interesse per i miei acquisti casalinghi, non per cortesia. Mi fissava curioso con i suoi meravigliosi occhi castani.

Lusingata, non esitai a rispondere. “Si, siamo riuscite a trovare il negozio, è molto ampio e fornito, avevi ragione. Ho già comprato un tappeto, un lampadario e una lampada da scrivania, ma ho visto dei mobili molto interessanti, appena ho un po’ di tempo in più ci rivado per comprarli, grazie del consiglio”

“Lieto di essermi reso utile” mi sciolse con un sorriso a trentadue denti.

Per non rischiare di rimanerne abbacinata come prima puntai lo sguardo attorno a noi. Senza accorgermene eravamo entrati nell’altro cortile. Era davvero enorme, una spazio aperto pieno di betulle e alberi da frutto. Al centro stavano degli ostacoli da saltare a cavallo e dei percorsi vari. Poco più in là un recinto per i meno esperti, per imparare a stare sopra un cavallo senza rompersi il collo. Probabilmente io avrei iniziato da lì, anche se non ero sicura di uscirne indenne lo stesso.

“Che bel posto, mi è piaciuto da subito” esclamò Orlando, guardandosi attorno anche lui.

“Si, piace anche a me” 

“La stalla è di là, immagino che Ralph e gli altri saranno già lì. Sai montare a cavallo?” aggiunse poi. Ahaha, cos’era? Una battuta? Io fantina? Era un miracolo se non cadevo dalla bicicletta. Ma essendo terribilmente masochista, per uno strano senso del destino, invece di essere terrorizzata all’idea di trovarmi di fronte ad un equino di due metri e mezzo, ero entusiasta all’idea di provare. A pensarci meglio però era un bene che il mio spirito di sopravvivenza fosse momentaneamente in vacanza, altrimenti non avrei mai avuto il coraggio di arrivare fin lì.

“No” fu la mia risposta sincera “ma non è mai troppo tardi per imparare, giusto? Tu invece?” chiesi a mia volta.

“Si, la maggior parte dei film che ho fatto lo richiedevano, alla fine ho imparato per forza. Comunque non è difficile, la parte più dura è restare in sella, una volta appreso quello il resto viene naturale.” Mi rassicurò.

Con queste erano due. Prima la scherma e ora l’equitazione. Sapevo già che anche con l’arco era un asso. Era la personificazione di Legolas dopotutto, di sicuro non avrà avuto le capacità dell’elfo nel film ma l’arma la sapeva usare.

 

Entrammo nella stalla dal portone socchiuso e, come aveva previsto Orlando, Julia, Ralph e Sean erano già lì, insieme ai nostri futuri insegnanti di equitazione. Accanto al loro cinque quadrupedi grossi il quadruplo di me facevano bella mostra di sé nitrendo e scuotendo la criniera. Evidentemente lo spirito di sopravvivenza doveva essere appena tornato perché iniziai a sentire un certo timore che faceva piazza pulita del mio entusiasmo. Forse l’idea di un’altra commedia non era poi così malvagia… Imitando gli animali, scossi la mia di testa per scacciare quel pensiero. Ero lì per una ragione, e nessun equino mi avrebbe fermata, parola di Betta.

Mi avvicinai cercando di non guardare le creature e salutai i presenti. Gli istruttori si presentarono, erano in quattro, due uomini, Kevin e Clark, una donna giovane, Michelle e un uomo più anziano sulla cinquantina, Micheal.

“Allora, chi tra voi sa già montare?” indagò Micheal.

Orlando e Sean risposero affermativamente, ammiccandosi a vicenda. Prevedibile.

Io sospirai, pronta per l’ennesima figuraccia dopo le spade. Pazienza.

“Bene, allora voi vi allenerete assieme a me e a Kevin nel percorso a ostacoli dopo un giro di riscaldamento” predispose la donna, una giovane castana chiara e con un fisico molto minuto, indicando l’uomo alto e slanciato accanto a lei.

“Voi altri, invece” riprese l’uomo più vecchio “imparerete a montare con me e Clark” e accennò al giovane trentenne, più basso di Kevin ma con un fisico ben proporzionato al suo corpo.

Iniziai a sentirmi male, quasi quasi chiedevo se le lezioni pratiche si potessero rimandare a tempo indefinito.

Una rapida occhiata al viso della mia giovane collega mi confortò. Era della mia stessa tonalità biancastra, non ero l’unica a temere i quadrupedi giganti.

 

Uscimmo tutti e nove dalla stalla portandoci le creature a presso. Orlando e Sean stavano già prendendo confidenza con i loro rispettivi cavalli accarezzandone i musi e affermando, da semi-esperti, che erano due esemplari molti ben tenuti e belli, facendo varie affermazioni a sostegno del loro giudizio. Io non me ne intendevo minimamente e capii meno della metà del loro discorso, però accantonando momentaneamente la paura, potevo darli ragione relativamente alla bellezza. Erano grandi e mi mettevano in soggezione, però erano delle creature maestose, trasmettevano potenza. Il destriero di Orlando era nero pece, con una folta criniera dello stesso colore, che esibiva scuotendola, mentre quello di Sean era castano scuro con la criniera di una tonalità più chiara. Si guardavano attorno, padroni del luogo e della situazione. Pareva che ai due giovani ragazzi facessero la grande concessione di cavalcarli. Quest’ultimi difatti erano appena saliti con un balzo sulla groppa degli animali, prendendo con non-chalance le redini e ridendo tra loro. Che invidia.

Un’ombra gigantesca mi oscurò all’improvviso, facendomi distogliere lo sguardo dai due fantini. Sorpresa mi girai per vedere la fonte di tale oscurità. Il mio cuore perse un colpo. Ad un palmo di distanza dal mio volto c’era quello che avrebbe dovuto essere la mia cavalcatura. Feci un salto all’indietro sgranando gli occhi. Quello intanto continuava a fissarmi, scuotendo nervoso la testa e scalciando con la zampa sinistra. E no, iniziavamo molto male se si presentava così.

“Vieni, ti aiuto a salire” Micheal mi si era avvicinato, probabilmente allarmato dal mio sguardo impaurito, e mi porgeva la mano gentilmente. Incredibile, dopo la pazza sclerata di scherma finalmente qualcuno di normale.

Lo seguii fino alla staffa destra attaccata alla sella. Mi consigliò di mettere entrambe le mani all’inizio della sella, il piede sinistro sulla staffa e di spingere con quello destro per issarmi su. Mi aiutò a salire spingendomi da dietro. Abbastanza imbarazzante ma funzionò, mi ritrovai seduta sull’equino marroncino chiaro e la criniera avorio. Guardai sotto. Non ero così distante da terra come temevo ma abbastanza da rompermi il collo in caso di caduta. Sperai ardentemente che qualcuno lassù avesse dieci minuti da dedicarmi.

Girandomi vidi Julia alla mia destra, che come me stava calcolando la distanza tra lei e l’erba. Le lanciai un sorriso mesto, come a dire: “Tranquilla, ti capisco”.

Micheal, in groppa al suo cavallo, mi si era intanto avvicinato. “Allora, iniziamo, prima di tutto devi prendere le redini con mano ferma”  e fin qui tutto ok. Presi le redini. “Poi dai un lieve colpo con i talloni al fianco, lieve mi raccomando, altrimenti inizia a correre e per una principiante non è il caso, e dai anche un piccolo colpo con le redini spingendo in avanti il busto” Lieve colpo. Memorizzai a macchinetta. “Tieni ben strette le redini, non le devi mai lasciare andare o sono guai e…” un nitrito e un funesto rumore di zoccoli ci fecero voltare entrambi. Mentre Clark insegnava a Ralph a montare, Julia era rimasta sola alle prese con il suo destriero che aveva cominciato a scalpitare nervoso. Mi preoccupai, Julia era brava quanto me come fantina e ciò era tutto dire, e se il quadrupede avesse iniziato ad impennarsi e a correre la ragazza si sarebbe fatta male senz’altro.

“Tu prova a fare qualche passo, torno subito” Micheal fu vicino alla mia collega in un secondo e con l’esperienza dalla sua cercò di calmare l’animale finché stava ancora solo scalpitando, cercando di capire cosa lo stesse facendo imbizzarrire. Con poche ma abili mosse l’istruttore riuscì a riportarlo alla tranquillità, con grande sollievo di Julia. Pericolo scampato.

Liberando un respiro, mi concentrai sul mio di cavallo. Oddio, cos’è che dovevo fare? Ah, già. Un colpo con i tacchi e uno con le redini. Ce la potevo fare. In più il mio equino sembrava più quieto di quello della mia amica. Un respiro profondo e…via! Spronai il cavallo con un forte colpo di talloni. Neanche mezzo secondo dopo mi maledissi mentalmente. Forte, il colpo lo avevo dato troppo forte! Il cavallo prese a scalpitare e ad alzare di poco le zampe anteriori, per iniziare a correre sempre più velocemente. Iniziavo a vedere il paesaggio scivolarmi accanto e io strinsi più che potei le redini. Cavolo, cavolo, cavolo!!!!

“Aiuto! Aiuto, aiutatemi!” urlai, sbarrando gli occhi e sperando con tutta me stessa che qualcuno venisse a soccorrermi. Maledettissimi equini, altro che essere “entusiasta all’idea di provare”!

Ma proprio mentre iniziavo a recitare mentalmente il rosario, una voce calda e profonda mi salvò dalla mia caduta eminente.

“Fermo, buono, buono”. Una mano afferrò le mie briglie con fermezza e, grazie a qualche miracolo, il cavallo si calmò.

“è tutto a posto, puoi aprire gli occhi”. Ne aprii prima uno, per assicurarmi che fosse davvero tutto finito, poi aprii anche l’altro. Lentamente mi resi conto che il paesaggio attorno a me si era fermato, ma il mio cuore non la voleva smettere di galoppare ancora più veloce di come aveva fatto il cavallo poco fa. Mamma che paura, ma chi me l'aveva fatto fare?

Mi volsi verso Micheal con un sorriso pieno di gratitudine ma… non era stato l’istruttore a salvarmi. Nella confusione che c’era stata non avevo riconosciuto la voce ma gli occhi castano scuri che mi scrutavano preoccupati erano inconfondibili. Orlando teneva ancora strette le mie redini, perfettamente a suo agio sul suo cavallo nero.

“Tutto ok? Stai bene?” mi chiese apprensivo.

Ma che tenero. Rimasi un secondo imbambolata ad osservarlo, incredula che era accorso a salvarmi e ancora sotto shock a causa della corsa. Quando mi ripresi me ne uscii con una serie di “Si, si, grazie, sto bene”.

“Meno male, avresti potuto farti male sai? Da come stava andando il ritmo della corsa potevi arrivare prima ad una gara” la battuta era al puro scopo di farmi rinsavire e io non gli negai la risata, anche se debole.

Continuava a fissarmi con ansia. Dieci ad uno che era per il mio colorito verde pallido che ero certa di avere. La “corsetta” mi aveva messo in subbuglio lo stomaco oltre che la mente.

“State tutti bene? Scusami Elisabetta, me ne sono accorto tardi, comunque non avrei dovuto farti provare la prima volta da sola. Meno male che l’hai aiutata tu, io non sarei riuscito ad arrivare in tempo.” Micheal era arrivato con una sequela di scuse.

Si, non avresti dovuto lasciarmi sola, sei un’idiotaaaaa!! Glielo avrei voluto urlare in faccia, ma decisi di trattenermi. Non era il caso di inimicarsi un altro insegnante.

“Non importa, adesso è tutto finito e sono sana e salva” mentii sul “sana”, e dall’occhiata scettica che ricevetti da entrambi crede se ne accorsero anche loro.

“Come va lì? Ci sono problemi?” era Clark.

Ruotai il busto quel tanto che bastava per guardare gli altri presenti senza mettere troppo alla prova il mio stomaco. Avevano tutti lo sguardo angosciato puntato verso di noi. Mi sentii in dovere di tranquillizzarli.

Con un sorriso tirato e un cenno della mano, che staccai a fatica dalle briglie alla quale si erano aggrappate, feci capire a loro che ero ancora viva e vegeta.

“Bene, io dovrei tornare da Julia, prima che capiti un’altra situazione del genere, Orlando, ti dispiacerebbe farle fare un giro tu? Basta che la fai andare avanti, neanche al trotto.” Micheal si rivolse all’attore con tono supplichevole. Forse era l'età che avanzava, magari un tempo ce l'avrebbe fatta da solo anche con due alunne. Poverino.

Io ero già pronta a dire che di non preoccuparsi, che avrei aspettato pazientemente che Julia finisse il suo giro, così avrei avuto anche il tempo di riprendermi, ma il mio collega accettò senza esitazioni. Rimasi di nuovo piacevolmente sorpresa. E poi dicevano che gli inglesi erano chiusi agli stranieri, questo ragazzo mi conosceva da meno di due giorni e mi trattava come una persona cara, salvandomi addirittura da un cavallo in piena corsa.

Quando l’istruttore si fu allontanato però non potei fare a meno di dirgli che non si doveva sentire obbligato a farlo, ma mi liquidò con un’espressione ilare.

“Lo faccio con piacere, e poi Sean voleva gareggiare e dato che sono certo che avrei perso, mi evito anche una brutta figura.”

Risi, contenta della prospettiva di passare un po’ di tempo con lui, sperimentando la veridicità del detto "non tutto il male vien per nuocere". Andava a finire che avrei dovuto ringraziare il cavallo.

 

“Allora, dai un leggero colpo con i talloni e avanza con il busto, capito?”

“Ci provo” risposi io, iniziando a pregare. Per precauzione lui teneva ancora ben strette le mie briglie, e ciò un po’ mi rincuorava. Se fosse andata male anche stavolta avrebbe potuto fare un altro salvataggio miracoloso.

Diedi un colpetto ai fianchi dell’animale e mi sporsi in avanti. Il quadrupede iniziò ad avanzare con calma. Yuppie! Ce l’avevo fatta!

Gli sorrisi meravigliata del mio piccolo successo. Lui mi sorrise a sua volta e lasciò le mie redini, rilassandosi e stando al passo con il mio equino.

“Cosa stavi urlando prima, quando il cavallo ha iniziato a correre?” la domanda mi colse di sorpresa.

“Ho gridato aiuto, credo”

“No, hai detto qualcosa di diverso, tipo aito, uato, auto…” lo guardai confusa finché non compresi.

“Ho urlato aiuto, solo che l’ho detto in italiano senza accorgermene evidentemente” presa dal panico non avevo fatto molto caso a certi dettagli.

“Ah, capito” mi sorrise, dolce. “Allora, com’è l’Italia?” aggiunse intavolando una conversazione “Sai, è un paese che mi è sempre piaciuto anche se non ci sono mai andato”

Anche se probabilmente me lo diceva solo per cortesia, ero lusingata a nome dell’Italia,

“è molto bella e soprattutto varia, ogni regione ha una sua particolarità, un suo dialetto, un piatto tradizionale, dei monumenti. È molto artistica e calda” mi sentii in dovere di tessere le lodi del mio paese.

“Magari un giorno mi accompagni a visitarla” scherzò lui.

“Quando vuoi” stetti al gioco io, anche se non mi sarebbe dispiaciuto affatto fargli da guida turistica.

“Invece qui a Londra come ti trovi?” mi domandò.

“è stupenda, era un sogno del cassetto venire qui e non mi sembra vero che lo sto realizzando. In più adoro la mia nuova casa”

“Domani vai a comprare gli altri mobili?”

“Non credo, dubito che Marta possa accompagnarmi, credo abbia del lavoro da sbrigare” gli risposi abbassando la testa sconsolata. Non vedevo l’ora di tornarci, però la mia agente era impegnata.

“Se vuoi posso accompagnarti io”. La proposta mi sorprese tanto da farmi rialzare di botto la testa.

“Davvero?” probabilmente fraintese la mia incredulità perché cercò di giustificarsi.

“Solo se vuoi e se non sono troppo indiscreto. Io domani ho la giornata libera dopo le lezioni, quindi se vuoi sono disponibile.” Era imbarazzato e provai subito a formulare una frase migliore di quella di prima.

“Si, certo, a me farebbe molto piacere, lo dicevo per te, sei propri sicuro di voler utilizzare un tuo pomeriggio senza impegni per accompagnarmi a comprare i mobili?” continuavo ad essere incredula.

Lui mi regalò un altro sorriso. “Certo, è un’occasione per conoscersi un po’ meglio, dato che dovremmo lavorare insieme trovo importante stringere amicizia, non trovi? E poi mi fa piacere aiutarti ad ambientarti qui.”

Ma che angelo, credevo che certi personaggi esistessero solo nei film, o meglio, finora tutte le persone che avevo conosciuto erano così dolci solo dietro la cinepresa per trasformarsi poi in concentrati di egoismo una volta spenta la telecamera. Possibile che esistessero ragazzi così premurosi? In più la pensavamo alla stessa maniera.

“Lo credo anch’io” fu la mia brillante risposta. Ero troppo presa ad ammirarlo per formulare qualcosa di coerente.

“Bene, passo da casa tua un’ora dopo lezione di tiro con l’arco, d’accordo?”

“Perfetto, e grazie mille, davvero”

“E di cosa?” e mi fece l’occhiolino. Il mio cuore perse un battito, ma fu un secondo, una leggerissima stretta al cuore durata un attimo, niente di più. Un minuto dopo era già dimenticato.

 

Chiacchierammo ancora per un’oretta, finché Micheal non ci richiamò indietro. Il sole stava calando e scoprii che Marta era già ritornata e che mi stava aspettando vicino alla stalla. Mi salutò con un cenno della mano. Chissà da quanto tempo era lì.

Orlando scese agilmente da cavallo con un piccolo balzo. Invidiai la sua atleticità, di certo non sarei stata altrettanto brava. Guardai la distanza tra me e il duro terreno. Mi dissi che se ero riuscita a salire in qualche modo sarei riuscita anche scendere.

“Aspetta, ti do una mano” la calda voce divenuta familiare nell’arco di quel pomeriggio mi raggiunse.

Molto cavallerescamente si stava avvicinando al mio fianco destro per aiutarmi.

“Prima devi sfilare il piede sinistro dalla staffa e metterlo vicino a quello destro” mi consigliò. Lo feci, ritrovandomi seduta di lato sulla sella. Dopo sentii due mani cingermi i fianchi e io istintivamente misi le mie sui suoi avambracci per far leva. Mi sollevò di poco dal cavallo e un attimo dopo mi ritrovai con i piedi per terra illesa, senza rendermi conto che gli ero avvinghiata, in una momentanea fase di trance.

“Grazie”

“Dovere” mi rispose scuotendo le spalle. Il suo viso era incredibilmente vicino al mio, e mi stava ancora tenendo per i fianchi. I suoi occhi, ad un palmo di distanza dai miei, mi guardavano intensamente. Erano davvero splendidi, per non parlare della forma delle sue labbra, una morbida curva perfetta… il mio cervello era decisamente andato in stand-bye.

Il cavallo scalciò e lanciò un nitrito, facendoci allontanare l’un dall’altro. Probabilmente fu quello a farmi perdere altri due battiti, mi colse di sorpresa.

“Com’è andata? A me è piaciuto tantissimo, non vedo l’ora di rimontare” Julia ci venne incontro entusiasta della nuova esperienza, facendomi ricollegare definitivamente la spina.

“Anche a me è piaciuto molto, quando prendi un po’ di confidenza con il cavallo poi è più facile stare in sella” Alla fine dovevo ammetterlo, nonostante l’approccio disastroso era piaciuto anche a me fare equitazione. Anche se probabilmente la buona riuscita del pomeriggio non era tutto merito del quadrupede, ma decisi di non soffermarmi su quel pensiero.

“Sono contenta di ritrovarti tutta intera, sai?” Ci raggiunse anche Marta, sorridendomi. “Ti ho osservata prima, per essere la prima volta che montavi è andata piuttosto bene.” si congratulò.

“Grazie, grazie, troppo buoni” mi vantai scherzosamente, facendo ridere il gruppetto.

“Io devo andare ragazzi, allora ci vediamo tutti quanti stasera al ristorante?” ci salutò l’attrice inglese.

“Certo, ci ritroviamo tutti più tardi, dobbiamo andare anche io e la futura fantina qua presente” rispose la mia amica.

Salutammo tutti e ci dirigemmo verso la Peugeot. Non volevo andarmene, la giornata era davvero stata divertente. Mi consolai con il pensiero che non era ancora del tutto finita, la cena mi stava aspettando.

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