Mason Creek PRIMA STAGIONE

di Naki94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Episodio 1 ***
Capitolo 2: *** Episodio 2 ***
Capitolo 3: *** Episodio 3 ***
Capitolo 4: *** Episodio 4 ***
Capitolo 5: *** Episodio 5 ***
Capitolo 6: *** Episodio 6 ***
Capitolo 7: *** Episodio 7 ***
Capitolo 8: *** Episodio 8 ***
Capitolo 9: *** Episodio 9 ***
Capitolo 10: *** Episodio 10 ***
Capitolo 11: *** Episodio 11 ***
Capitolo 12: *** Episodio 12 ***



Capitolo 1
*** Episodio 1 ***


Le gocce di pioggia rigano il vetro sporco e appannato mentre il treno sfreccia nel buio dei binari verso Mason Creek, ultima fermata. Osservo il mio volto quarantenne riflesso sul finestrino e noto alle mie spalle i corpi formasi di due ragazze adolescenti qualche sedile più indietro. Penso a Mason Creek, una piccola città di pianura ad est circondata perlopiù da un fitta linea di pioppi salici e querce che sorgono soprattutto sulle sponde del torrente che si affianca alla periferia separandola dall'aperta campagna. Un luogo isolato e teatro di numerosi incidenti, dieci anni fa ero stato chiamato a seguire i passi di un giovane ed inesperto detective su un caso di omicidio passionale. Detective, già, al pensiero la mia mano raggiunge l'acciaio freddo del cane della Smith & Wesson nella fondina e il bordo in pelle del distintivo dell'FBI appeso alla cintura.

Il treno rallenta e penso a quello stronzo di Ed Green, tenente capo della unità omicidi dell'FBI e all'incarico che dodici ore fa mi ha affidato a proposito della scomparsa di quella ragazzina, Sofia Monroe.

Sofia Monroe, diciassette anni, capelli corti e occhi neri alta all'incirca un metro e settanta, dalla foto recente che ora mi accorgo di tenere tra le mani gelide noto nel suo volto l'espressione ribelle di un'adolescente avventurosa e in cerca di nuove esperienze. Sofia Monroe, scomparsa quattro giorni fa, secondo gli inquirenti tra le sette del pomeriggio e mezzanotte. L'amica, Irina Callaway, ultima persona ad aver visto la vittima, è sicura di aver accompagnato Sofia fino alla porta d'ingresso del condominio all'incirca intorno alle sette di sera. Non va bene, penso già a Sofia come a ad una vittima, è un pensiero incontrollabile perché nella mia testa dopo quattro giorni dalla denuncia di scomparsa senza un avviso di sequestro o di riscatto non può che essere già in decomposizione nascosta da qualche parte. Eppure l'amica giura di averla vista entrare in casa, sicuramente questa ragazzina scomparsa nasconde qualcosa, qualcosa che nemmeno Irina, la sua migliora amica, sa. I morti a volte parlano più dei vivi. Ancora penso che sia morta, un pensiero incontrollabile.

Il treno si arresta e quando scendo alla stazione accendo subito una sigaretta e attendo che il treno riparta nella direzione contraria finché la solitudine non si unisce al silenzio e il fumo grigio di sigaretta non si lega in un tutt'uno con la foschia della bassa pianura.

Raggiungo la centrale di polizia di Mason Creek a bordo di un'auto della polizia, un certo Billy Wide mi attendeva al parcheggio della stazione.

Billy cerca di intrattenere una conversazione parlando di stronzate, ma io gli faccio subito capire che sono interessato solo a raggiungere la centrale per parlare e raccogliere indizi sulla scomparsa di Sofia Monroe e risolvere il più presto possibile questo caso.

Billy non mi risponde e non parla più fino alla centrale, ma dal suo sguardo colgo mute parole di rabbia e di collera al discorso della ragazza scomparsa.

Raggiunto l'ufficio dello sceriffo Kooper e gli stringo la mano presentandomi. «Sono il detective Jersey Shown della omicidi e sono qui per aiutarvi nel caso della scomparsa di Sofia Monroe».

Kooper Land, un uomo autorevole e forse anche po' stronzo coi suoi modi tutti seri e precisi, ma che porta ancora il viso anglico di quinta elementare e la camicia tutta abbottonata e stirata come se dovesse andare da un momento all'altro alla messa della domenica. In conclusione: colui il quale mi appiopperà un novellino come partner esigendo da me risultati immediati; in altre parole: un vero bastardo che si presenta presto in ufficio pulito e profumato con un sorriso da cento e lode stampato sulla faccia perché ogni sera la moglie in calore lo porta sulla luna.

«Ottimo! Ovviamente la ringrazio di essere arrivato fin qua giù ad aiutarci con le indagini».

«Come se avessi scelta». Bisbiglio tra me e me sotto la tagliente luce della lampada a neon sopra le nostre teste e intanto osservo il muro di sinistra rivestito di foto che nemmeno la bacheca in sughero si vede più tant'è piena di articoli di giornale e fogli appesi.

«Come?». Domanda Kooper. Io vado dritto alla questione. «Allora, sceriffo Kooper, io mi occupo in genere di casi più gravi di questo. Specifico meglio: non che la scomparsa di una ragazza non sia grave, tuttavia se lo confronto con i due casi a cui ho lavorato negli ultimi anni è veramente poco sostanzioso».

«Lo sappiamo che è grazie a lei che ora il serial killer Joe Nabrasko è dietro le sbarre e quell'altro, come lo chiamava la stampa?».

«Non importa». Rispondo. «Non sono qui per essere elogiato, ma per aiutarvi..». Ma Kooper mi interrompe. «Tuttavia non giudicherei questo caso poco sostanzioso perché vede? Vede tutte quelle foto e ritagli di giornale? Sono in totale sette tra ragazzi e ragazze scomparsi negli ultimi due anni e mezzo e Sofia Monroe è l'ultima di questi».

Il primo istinto è quello di tagliargli a metà lo zigomo di sinistra con un pugno: non sopporto quando qualcuno mi interrompe così all'improvviso mentre sto parlando; ma poi mi rendo conto che quel coglione ha ragione. Osservo la bacheca tappezzata e mi rendo conto di aver sottovalutato questo affare e il «il porca puttana!» mi esce di getto e spontaneo dalla bocca.

Intanto Billy Wide entra in ufficio senza bussare e Kooper lo accoglie con un sorriso. «Billy! Finalmente eccoti qua!». Poi si rivolge a me. «Detective Shown, Billy Wide ti aiuterà con le indagini, credo che vi siate già presentati». Ma Billy allunga comunque la mano destra ed io, per stare ai convenevoli, gliela stringo e lo saluto da buon partner.

Poi passo all'azione. «Voglio vedere i video di tutti gli interrogatori che sono stati fatti e i fascicoli con la descrizione dettagliata di eventuali prove che avete raccolto con le relative foto e schizzi del disegnatore. Voglio l'elenco dei nomi dei membri delle famiglie delle persone scomparse e insieme cercheremo probabili collegamenti poiché è evidente che si tratta di un maniaco seriale con precedenti di stupro o prostituzione, il target di vittime suggerisce questo». Faccio una breve pausa e mi accendo una sigaretta e il fumo invade l'area e viene trapassato in diagonale dalla luce bianca proiettata sulle persiane dai lampioni in strada e riprendo. «Voglio poi parlare con i signori Monroe per ricostruire il carattere e le abitudini della figlia. Quando l'amica Irina Callaway l'ha accompagnata a casa da dove venivano?».

Billy risponde con la velocità di un felino come se avesse previsto la domanda. «Le due ragazze erano andate a correre sull'argine del fiume al confine della città per poi dirigersi tra le fila di alberi che compongono il bosco da lì fino a Dodge City a dieci chilometri da Mason Creek».

«Si sono addentrate da sole in un bosco in riva al fiume? Perché due ragazze dovrebbero fare questo?». Domando mentre mi avvicino alla bacheca.

«Irina dice che avevano trovato un strada sicura che si stringeva tra gli alberi e che incuriosite l'hanno percorsa».

Mi rivolgo subito a Kooper che intanto aveva recuperato l'impermeabile dall'attaccapanni vicino alla porta. «Domani mattina sul presto voglio i sommozzatori per il tratto di fiume corrispondente al bosco e una squadra che faccia ricerche a terra».

«Abbiamo già effettuato quelle ricerche senza trovare uno straccio di prova». Interrompe Billy Wide da dietro la nebbia di fumo della mia sigaretta ormai arrivata al filtro.

Trafiggo il velo di fumo con lo sguardo e lo guardo finché i miei occhi non gli forano il cervello. «Non me ne frega un cazzo, voglio che vengano fatte di nuovo».

Uno stridio improvviso di freni e gomme sull'asfalto bagnato irrompe dall'esterno fino ai nostri timpani e il boato di lamiera e vetri in frantumi spezza il silenzio della notte. Usciamo tutti dall'edificio per accertarci dell'accaduto e vediamo la drammatica scena di una donna che esce a fatica da un auto accartocciata contro l'angolo del muro ovest della centrale. La donna è ferita e perde sangue dalla tempia sinistra e dal naso e zoppicando si avvicina urlando in evidente stato di choc. «Mi figlia è la fuori da qualche parte! Lo capite? E' la fuori che aspetta..e voi state lì..mia figlia..mia figlia ha bisogno di aiuto ed è là fuori». Piange, urla e ripete le parole in un gorgo di singhiozzi. 

Mi avvicino cauto e, senza troppa fatica, la prendo per le mani agitate e con piccoli gesti e qualche parola tento di tranquillizzarla senza cadere nel banale e arrivo a togliermi la giacca per porgliela sulle spalle quando dai jeans inzuppati di pioggia solleva, verso la mia faccia, un revolver e senza pensarci arma il cane. 

 

 

CONTINUA..

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Capitolo 2
*** Episodio 2 ***


E' la madre di Sofia, glielo leggo negli occhi prima di disarmarla e gettarla atterra con un labbro spaccato. Il gesto è così fulmineo che non mi rendo conto di quanto male gli possa aver causato finché non vedo il fiotto di sangue scorrere via sull'asfalto bagnato. La sollevo e la accompagno all'asciutto fino in uno degli uffici deserti della centrale, intanto qualcuno sistema la macchina contro la parete. Con me viene lo sceriffo Kooper e Wide che mi seguono come due cagnolini fino all'ufficio poi dico a Billy di chiamare un medico e lui esce di scena. Intanto la donna continua a tremare ed è completamente inzuppata d'acqua e infreddolita così mando Kooper a prendere del tè caldo alla macchinetta del caffè nell'atrio d'attesa. «E dato che sei di casa son certo che troverai anche un panno o un coperta da mettere sulle spalle alla signora». Lui obbedisce e mi lascia solo con la donna, finalmente. «Mi ascolti bene signora Monroe, il mio lavoro è quello di trovare sua figlia e lo stronzo che l'ha rapita. Mi capisce?». Lei annuisce con la testa e i capelli neri scivolavano come fili giù verso il seno bagnato. «Bene! Non si preoccupi per ciò che è accaduto prima, non le accadrà nulla di grave, è del tutto plausibile la sua reazione. Detto ciò per esserle d'aiuto deve raccontarmi un po' di sua figlia Sofia».

Finalmente parla. «E' una ragazza normalissima e tranquilla. Mi manda sempre un messaggio quando ritarda un po', è brava».

«Quella sera di quattro giorni fa lei e suo marito dove eravate intorno alle sette di sera?».

Senza pensarci mi risponde e capisco che è la verità. «A casa. La stavamo aspettando per la cena, doveva farsi il bagno e poi venire a cena con noi».

«A che ora doveva tornare?» domando senza perdere tempo.

«Alle sei doveva essere già a casa per farsi il bagno e venire con noi a cena».

«Ha mandato un messaggio per informarvi che sarebbe arrivata in ritardo?». Anche questa volta la signora Monroe non esita a rispondere. «No, non ha detto nulla. Infatti dopo un'ora ho cominciato a preoccuparmi, ma Scott, mio marito, mi ha tenuto buona per un'altra ora. Poco dopo le otto di sera ho iniziato a chiamarla più volte al cellulare che mi dava sempre spento o non raggiungibile, così ho telefonato a mia sorella Katia per sapere se Sofia si era trattenuta da lei, ma anche Katia non sapeva nulla di mia figlia. Sparita cazzo..». La signora Monroe si mette una mano sul viso. Le sue mani tremano.

«Come era uscita di casa? a piedi?». 

«No, ha preso la sua bicicletta». 

«E ora a casa vostra c'è la bicicletta di Sofia?». Le parole vengono bloccate da un fortissimo groppo alla gola che riesco a percepire, così fa di no con la testa e prende a piangere quando Kooper entra con un bicchiere di plastica fumante nella mano destra e alcune coperte scure di lana appoggiate al braccio sinistro. La sua ombra taglia in due la stanza e si allunga fino a noi di là dalla parete, mentre il rumore del metallo copre il suono vibrante del motore del camion dei vigili del fuoco e l'auto accartocciata si stacca dal muro intatto della centrale.

Nel frastuono la signora Monroe si accosta al mio orecchio e bisbiglia e, mentre io osservo entrare Billy Wide accompagnato da medico legale Martin Prince, focalizzo ciò che mi dice e la mia attenzione finisce su Irina Callaway: prima indagata in quanto ultima persona ad aver visto Sofia, nonché amica o conoscente di altre vittime.

Nessuno sporge denuncia e la signora Monroe torna a casa nel pomeriggio dopo aver bevuto qualche litro di caffè alla stazione ed essersi calmata assieme agli altri poliziotti e al marito che nel frattempo era giunto appena saputo dell'accaduto. A me intanto viene mostrata la mia stanza all'albergo Jerome's Room in centro. Non male. A pelle mi trovo da subito in simpatia con il tizio alla reception, un certo Adam Fillingstone. Non male per niente, questo vede e conosce tutto in città e mi sarà d'aiuto con qualche dollaro. La stanza è tenuta bene e spoglia come ogni camera d'albergo appena ci metti piede, non sarò certo io a riempirla. Mi va bene così, meno distrazioni possibili quando seguo un caso tant'è che dico subito ad Adam di portare con sé la televisione mentre se ne torna giù alla reception. Kooper è con me e lo sento parlare di stronzate, ma non lo ascolto, la mia mente è già sul caso pronta a sintonizzarsi sui discorsi degli altri solo se pertinenti al caso. E' mattina quando finalmente quello stronzo di Kooper esce d'albergo. Faccio subito una lunga doccia e, accendendomi una mezza dozzina di sigarette, appendo all'armadio una bacheca in sughero che mi porta Adam personalmente.

Prima di pranzo raggiungo la centrale e trovo Billy. «Ora andiamo a fare qualche domanda a Irina Callaway. Sai dove abita spero».

Billy mi saluta consegnandomi due sporte di fascicoli e videocassette di interrogatori che lascio sulla scrivania in ufficio certo di passare la prima notte in bianco a Mason Creek.

«Grazie del regalo, Billy». Gli dico mentre mi accendo l'ultima sigaretta del pacchetto. «Avete mandato i sommozzatori e gli uomini nel bosco lungo il fiume».

«Kooper ha organizzato una piccola squadra incorporando anche qualche vigile del fuoco, ora sono sul posto vuoi che andiamo a seguire cosa l'indagine».

«Ci andremo dopo al bosco, ora andiamo da Irina e dai signori Callaway». Entriamo in macchina e lascio guidare a lui perché non conosco la strada. Durante il breve tragitto ognuno se ne sta coi suoi pensieri in silenzio. Billy con gli occhi puntati sulla strada ed io con lo sguardo vuoto penso mentre fisso il paesaggio lugubre oltre il finestrino. La casa dei signori Callaway è poco oltre la periferia, vicino alla campagna. Parcheggiata la macchina d'istinto cerco nelle tasche della giacca le sigarette, poi ricordo di averle finite e ingoio la voglia di urlare al mondo. «Vaffanculo!».

Ad aprirci è proprio Irina, una ragazza adolescente un po' sovrappeso che ci guarda con gli occhi gonfi e arrossati.

«Sono il detective Jersey Shown FBI e lui è il vice sceriffo Billy Wide». Dopo la presentazione vado dritto al punto. «Come già sai la tua amica Sofia Monroe è scomparsa quasi cinque giorni fa, volevamo farti qualche domanda a riguardo». Billy Wide mi lancia un'occhiata furtiva e mi insulta col pensiero per il poco tatto, ma ne sbatto il cazzo e continuo a guardare la nostra prima indagata. Recentemente ha pianto molto segno che quella tragedia deve averla colpita a livello personale, le unghie delle mani sono tutte mangiate e sul pollice della mano destra c'è un coagulo di sangue dovuto a una piccola ferita provocata dal continuo mordersi. Evidente segno di stress e tensione emotiva. Poi quando parla il cerchio della mia iniziale impressione si chiude. «Venite dentro, vi prego». Sembra sconvolta e molto confusa e la sua disponibilità a farci entrare appare sincera.

Nel frattempo entrò nell'ovattato salone anche il padre e la luce del lampadario spezzava in due la stanza proiettando le nostre ombre sul muro. «Signor Callaway, scusi il disturbo». Disse Billy porgendo la mano. «Siamo i detective Shown e Wide. Stiamo cercando Sofia Monroe. E' disponibile a rispondere a qualche domanda insieme a sua figlia e a sua moglie?».

L'uomo si avvicina e stringe la mano a Wide. «Mia moglie è al lavoro, torna dopo le quattro. Io sono disponibile alle vostre domande, ma credo che ne abbiate già fatte abbastanza, non credete? Mia figlia ha già detto tutto e io non ho da dire nient'altro».

Aspetto che finisca la frase e rispondo. «Sono d'accordo con lei, signor Callaway, tuttavia io sono appena arrivato da fuori e ho bisogno di vedere le vostre risposte».

«Per quello». Mi interrompe Wide. «Abbiamo già le videoregistrazioni degli interrogatori in centrale». La presenza della ragazza davanti a noi mi impedì di caricare un gancio contro la parete dello stomaco di Billy, quanto odio quando qualcuno mi contraddice e mi interrompe. Rimango zitto e mi limito a distruggergli il pensiero con lo sguardo. «Le domande che sono state fatte all'interrogatorio non sono le miei domande» rispondo rivolgendomi al padre.

«Mi segua un secondo, detective, le voglio parlare un attimo». Ci spostiamo in cucina, intanto Billy rimanere a fare compagnia alla ragazza.

Il padre mi guarda negli occhi e mi dice. «Mia figlia Irina è traumatizzata da quello che è successo, non vede che sta cadendo in depressione? Per favore non peggiori la situazione, gli interrogatori gli avete già fatti, lasciatela in pace».

Io rispondo allo sguardo e con tono freddo aggiungo. «La fuori, da qualche parte, c'è una ragazza dell'età di sua figlia, capisce?» Il signor Mark Callaway abbassa gli occhi e io proseguo. «Se va bene la troviamo vittima di violenza sessuale e fisica, se va male bella e pronta per essere messa in una cassa e seppellita. Mi lasci fare il mio lavoro».

Mentre Billy Wide rimane alle mie spalle, Irina ed io ci sediamo l'uno di fronte all'altro sulla scrivania nella sua camera da letto. Tutt'intorno sui muri ci sono milioni di fotografie, alcune molto belle. «Le hai fatte tu queste foto?». Provo a metterla a suo agio e a fidarsi di me.

Lei annuisce e accenna a un sì strozzato allora continuo. «Che macchina usi? Mia figlia che ha circa la tua età è appassionata di fotografia e per compleanno le ho regalato un'ottima Canon». Sembra improvvisamente agitarsi: le mani iniziano a sfregarsi l'una sull'altra per tamponare l'eccessivo sudore, la piccola vene del collo si gonfia a ritmi più veloci e, anche se continua a far finta di nulla, noto gli occhi cambiare direzione da destra a sinistra come se volesse evitare il contatto diretto coi miei.

Così poco dopo risponde. «Queste foto le ho scattate con una macchina fotografica presa in prestito, mi dispiace non ce l'ho qua per fargliela vedere se no lo farei».

«Che peccato! Volevo vederla». Rispondo. «Allora, torniamo a noi: come mai due belle ragazze come voi invece di fare shopping in centro sono andate da sole in mezzo a un bosco quel giorno?».

«Avevo chiamato Sofia per camminare in campagna, lo facevamo spesso perché volevamo tenerci in forma. Robetta, comunque. Niente di serio. Ci siamo trovate ai piedi dell'argine che costeggia il fiume e nel correre abbiamo trovato un piccola strada che non avevamo mai notato».

La interrompo un attimo. «Come siete arrivate fino in campagna? Io non sono di qua, ma sembra un bel po' di strada». Lei ci pensa su per un po di tempo, troppo. «In bicicletta».

Passa un silenzio interminabile che la mette subito a disagio poi continuo. «Avanti, dimmi cosa avete fatto dopo essere arrivate alla stradina».

«L'abbiamo seguita». Risponde. «Fino dentro al bosco poi abbiamo scattato qualche foto». Improvvisamente si blocca colta da un pensiero, dopo poco riprende. «Le foto le abbiamo fatte con la sua macchina fotografica poi, dopo un giro veloce lì intorno, siamo scappate via e l'ho riaccompagnata a casa».

«Hai visto Sofia che entrava nel condominio?». Irina mi guarda e molto sinceramente annuisce.

«Un'altra cosa: perché dici che siete “scappate”? Tipo correndo?». Irina allora fa un lungo sospiro e risponde. «Era molto tardi allora così ci siamo affrettate a tornare a casa».

Io mi avvicino al suo volto e la guardo negli occhi. «Ascolta Irina, io faccio il detective da molto tempo e una ragazzina non può raccontarmi bugia senza che io non me ne accorga, capisci? In più qui c'è in gioco la vita della tua amica Sofia, perché non mi vuoi raccontare tutto?».

Gli occhi le diventano lucidi, trattiene il singhiozzo mentre prova a parlare. «La sotto abbiamo trovato un capanno. Ci siamo spaventate e siamo tornate su». La ragazza piange.

CONTINUA..

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Capitolo 3
*** Episodio 3 ***


«Non so per quale motivo, ma sulla macchina fotografica la ragazza stava mentendo». Dico a Wide mentre chiudo lo sportello e salgo in macchina. Lui entra, accende e parte verso nord. «Perché dici che mente?». Io cerco di nuovo le sigarette e non le trovo perché le ho finite. «Lo so e basta. Il fatto è: perché mentire su una stronzata simile? Alla fine stavo solo cercando di usare un suo passatempo per creare un legame di fiducia». Rimaniamo in silenzio per qualche minuto mentre ci dirigiamo a velocità sostenuta verso il bosco in questione.

«I giovani e le ragazze in genere si spaventano per poco, ma dal suo sguardo sembrava veramente terrorizzata, non riusciva nemmeno a fornirmi dei dettagli più precisi». Wide rallenta al semaforo rosso tra Harrison St. e la Harlow, mi guarda. «Shown, quel bosco..non so bene come dirtelo, ma è strano».

Sorrido. «Non rompermi i coglioni con stronzate metropolitane e leggende voodoo, qui si tratta di un maniaco seriale che rapisce ragazzi tra i quindici e diciannove anni. Questo dobbiamo cercare».

Billy Wide continua a fissarmi con sguardo rassegnato. «Nella periferia americana esistono realtà incomprensibili per la gente di città, in questo paese anni fa sono accadute cose in quel bosco». Il semaforo è verde e la macchina di Billy riparte svoltando sulla Harlow. «Anni fa sono state arrestate e condannate all'ergastolo cinque persone. Erano state trovate una mattina sul fiume ghiacciato che attraversa il bosco. Erano in preda a un delirio collettivo».

«Condannate per cosa?» domando.

«Per satanismo, erano scomparsi due ragazzi i cui corpi non sono mai stati recuperati, ma le cui tracce di sangue sugli indumenti degli aggressori e quelle trovate nel tratto di fiume ghiacciato corrispondevano. Ora sono nel carcere di massima sicurezza a Dodge City».

«Ma le sparizioni sono continuate da allora, forse non avete preso gli uomini giusti».

«Sono aumentate. Gli uomini erano quelli perché hanno confessato tutto». E' nuvoloso e prende a soffiare un forte vento quando scendiamo dalla macchina sul confine sterrato prima dl bosco. «Dimmi Shown, perché credi che Sofia Monroe sia nel bosco?».

«Non ho mai detto questo. Sta di fatto che è l'ultimo posto dove è stata».

«Irina Callaway è sicura di averla vista entrare in casa dopo averla accompagnata».

Io allora osservo una distesa di erbacce e fango e la fitta boscaglia che si innalza verticalmente all'orizzonte. «I genitori erano in casa e non l'hanno sentita arrivare, la stavano aspettando, erano attenti e con le orecchie tese».

«Il sequestratore può averla rapita sotto casa». Obbietta Wide. «Impossibile». Rispondo. «Irina dice di avver visto Sofia entrare nella porta d'ingresso del condominio».

Altre macchine sono ferme sulla sterpaglie impantanate nel fango e Wide ed io procediamo lentamente dentro il bosco dove ad attenderci c'è l'agente Andrew Jackson che ci accompagna all'interno. «Ha piovuto molto la scorsa notte e qui è un macello. Se c'era una prova il fiume che si è ingrossato l'ha spazzata via. Abbiamo setacciato assieme agli uomini del corpo dei vigili del fuoco tutta l'area da qui per cinque miglia sia verso ovest che verso est. Dalle comunicazioni via radio sul territorio per ora nessuno a trovato nulla di rilevante».

«Avete per caso trovato qualcosa simile ad un capanno?».

«No, niente di simile detective».

«Grazie agente Jackson. State facendo un ottimo lavoro». Ringrazia cortesemente Wide, io rimango zitto e mi mordo la lingua al pensiero che in più di quattro ore di ricerca tutti quegli uomini non abbiamo trovato un cazzo. Che branco di incompetenti. In questo mestiere è così: a volte devi fare tutto da solo.

Più ci addentriamo più incontriamo gente con giubbotti ad alta visibilità e l'abbaiare dei cani diventa quasi fastidioso in quell'eco. I rami secchi si spezzano al mio passaggio e in certi punti lo strato di fango rende impossibile attraversare. Sarà difficile trovare delle prove in queste merda, penso. Poi raggiungiamo il fiume dove incontriamo alcuni sommozzatori. «Wide, dove arriva il fiume?».

«Il fiume scorre verso la diga di Dodge City, a est». Alla parola diga il mio pensiero si apre come una pesca rivelando il nocciolo. «Grandioso! Una diga!». Osservo la potenza del fiume e delle sue rapide. «Chiama lo sceriffo di Dodge City e chiedigli di controllare al più presto la diga». Così Wide recupera un cellulare e chiama mentre si allontana tra le umide sterpaglie.

Terminata la chiamata Wide mi informa che lo sceriffo di Dodge City ci farà sapere qualcosa entro sera, così riprendiamo le nostre ricerche sul territorio mentre sul suolo si allungano, al calare del sole, i disegni delle taglienti ombre nere degli alberi e una fastidiosa foschia scivola sul letto del fiume fino a noi.

«E' qui vicino il luogo dove sono stati trovati quegli uomini accusati di satanismo e dell'uccisione di quei due ragazzi?». Domando a Wide mentre mi accendo la sigaretta che ho chiesto ad un agente un attimo prima.

«Non ricordo il luogo preciso». Risponde evasivo.

«Wide, è scortese da parte tua raccontare delle stronzate al tuo nuovo collega». Lui si ferma e mi guarda e dice. «Tu credi di sapere molte cose, ma ti sbagli».

«Su una cosa ho ragione: che in questi buchi di città abbandonati da Dio siete tutti dei fifoni figli di puttana con le vostre superstizioni del cazzo».

«C'è un gruppo di contadini a nord oltre queste file di alberi che hanno dovuto trasferirsi perché terrorizzati da questo bosco, qualche cosa di strano c'è. Non è superstizione».

«Mi viene in mente la storia di un vecchio caso di un pazzo ad Albiesville che raccontava di fatti terrificanti che accadevano in quella cittadina. Io andai ad investigare e nessuno degli abitanti parlava e chi lo faceva mentiva. Tutto perché avevano paura di chissà cosa». Do l'ultimo tiro alla sigaretta. «Portami in quel posto».

Vibra intorno a noi una atmosfera sinistra data dal giungere lento del crepuscolo quando finalmente Wide mi conduce alla scena del crimine del gruppo di satanisti. Ovviamente quella strana sensazione derivava dal fatto che eravamo rimasti solamente Wide ed io in quella piccola radura. Nessun agente o vigile del fuoco. «Secondo me neanche sono venuti fino qua a controllare».

Il commento mi esce spontaneo e sento Wide in tensione alle mie spalle finché il suono improvviso di un cellulare terrorizza entrambi e la mia mano slaccia fulminea la cinghia della fondina.

Wide risponde e ancora al telefono mi dice. «E' Harry Tyalor, lo sceriffo di Dodge City. Mi ha informato che i suoi agenti hanno trovato una bicicletta incastrata tra i rami nel bacino della diga. Te lo passo?».

«No». Rispondo. «Ma chiedigli di che colore è e come è fatta».

«Dice che è rossa e ha l'appoggio per un cestino davanti, forse si è sganciato».

Wide riattacca e mi faccio passare da lui il cellulare. Chiamo a casa dei signori Monroe. «Buonasera, parlo con il signore Monroe?».

«Esatto».

«Bene! Sono il detective Jersey Shown, volevo solo un'informazione. La bicicletta di vostra figlia di quale colore è?».

Un palla da demolizione mi colpisce allo stomaco dall'eccitazione quando il signor Monroe risponde. «Rossa, perché?».

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Capitolo 4
*** Episodio 4 ***


Dico allo sceriffo di Dodge City di spedirmi la bicicletta all'indirizzo della centrale entro domani mattina. «Se i signori Monroe affermeranno di riconoscere la bicicletta della figlia, allora Irina Callaway dovrà darci un bel po' di spiegazioni». Così dico al mio collega, il detective Billy Wide mentre gli riconsegno in mano il cellulare. Vorrei perlustrare ulteriormente la zona, ma ormai è molto buio e le torce non ci permettono di proseguire con le ricerche. Lo sceriffo Kooper ci ha già informati che non ci darà altri uomini domani per continuare le ricerche. «Abbiamo cercato in quel dannato bosco subito dopo la scomparsa di Sofia, ho accettato di controllare di nuovo quando sei arrivato tu Shown, non posso permettermi di tenere sul campo così tanti uomini. In quel bosco non c'è niente».

«Sei un pezzo di merda». Rispondo adirato e gli faccio rovesciare a terra il caffè che reggeva in mano, poi mi calmo. «Alla diga di Dodge City è stata trovata la bicicletta che corrisponde a quella della vittima, segno che è successo qualcosa in quel bosco, vicino al fiume». Esco dalla stanza e lascio Billy a parlare con quel figlio di puttana di Kooper, intanto mi fumo una sigaretta e mi lascio tagliare la faccia dall'ombra lasciata dalle veneziane in sala d'attesa. Il fumo riempie la stanza e viene affondato dalle lamelle di luce.

Kooper è il primo ad uscire dall'ufficio seguito da Wide, quel coglione si avvicina a me.«Non posso mandarti altri uomini, se c'era veramente qualcosa sarebbe già stato trovato. Continuate voi le ricerche». Si alza il collo dell'impermeabile ed esce dalla centrale. Io intanto tiro un pugno sul muro di cartongesso della sala d'attesa, l'effetto: un buco gigantesco, ma fanculo. Ora mi rivolgo a Wide. «Dobbiamo trovare quella ragazza, Billy! E' nostro dovere e io non me ne vado a mani vuote sapendo che c'è qualcuno che sa dove si trova o che è il responsabile».

«Domani mattina arrivano i giornalisti e..».

«Me ne frego dei giornalisti! Le fottute conferenze stampa sono puttanate che si deve risolvere Kooper. Noi andiamo avanti, non possiamo perdere tempo. Domani andremo da quella stronza di testimone e la faremo parlare».

Billy si agita. «Calmati subito testa calda! E non permetterti di parlare così di Irina!».

Mi calmo un istante, ma fisso negli occhi il mio collega con sospetto. Bizzarra quella sua reazione protettiva nei confronti dl testimone. Lui percepisce i miei pensieri e i mie plausibili dubbi così senza che io aggiunga altro Wide parla abbassando la testa. «E' molto amica di mio figlio, Eric. Quindi la conosco abbastanza bene, e posso assicurarti che lei è solo spaventata e scossa. Irina non c'entra nulla con questa storia, era solo nel posto sbagliato al momento sbagliato».

Mi scappa un piccola risata. «Certo che se è molto amica con tuo figlio come lo era con Sofia, allora tuo figlio è spacciato». I piccoli tagli sulla faccia contro il quadro della sala d'attesa sono tutti meritati e solo dopo che Wide mi ha spinto contro il muro facendo cadere il quadro a terra, mi rendo conto di essere stato troppo avventato con la mia ironia del cazzo. Gli chiedo scusa, ma sorrido all'idea che oltre al quadro quello stronzo di Kooper dovrà rimpiazzare anche il muro di cartongesso.

Saliamo in macchina e intanto comincia di nuovo a piovere. «Abbiamo i nervi un pò tesi, ti va un hot-dog da Leo, lì sono molto buoni». Io annuisco e mi accendo una sigaretta.

«Quindi hai un figlio, questo spiega tante cose». Inizio così il discorso seduti al tavolo mentre i proiettili di pioggia si schiantano contro il vetro del locale.

«Cosa vorresti dire?» chiede Wide.

«L'ho notato il primo giorno, alla stazione, quello sguardo un po' troppo preoccupato e serio». Attendo qualche secondo intanto arrivano gli hot-dog che avevamo ordinato. «Tuo figlio ha l'età circa di Sofia e degli altri ragazzi che sono scomparsi, hai paura per lui, giustamente».

Allora Wide seriamente mi risponde. «Ho paura per lui e sto male con lui quando piange la scomparsa di alcuni dei ragazzi e ragazze che conosceva».

Un violento attimo di silenzio prima della mia risposta. «Lo sai che tu figlio potrebbe diventare una probabile vittima, ma anche un eventuale sospettato se rientra tra le amicizie di Irina Callaway?».

«Irina è innocente!». Risponde Wide.

«Accetto il fatto che non abbiamo prove contro di lei e che per ora non esiste nessun movente, ma perché nasconderci cosa hanno fatto in quel bosco?».

Billy ci pensa un po' su e risponde. «Magari hanno fatto qualche stronzata da adolescenti come fumarsi una canna e Irina non vuole che i suoi genitori lo sappiano e prende così sottogamba la gravità della situazione. Può capitare sai se unisci il tutto con lo stato emotivo di choc».

«Non mi convince e domani mattina, se mentirà, lo scoprirò subito». Bevo un enorme sorsata di Canada Dry e aggiungo. «Irina ha detto di aver scattato delle foto quel giorno, potrebbero aiutarci. Dove sono?».

«Ha detto che la macchina fotografica non era sua e che gliela avevano prestata» mi ricorda Billy prima di ingoiare l'ultimo pezzo di hot-dog fumante.

Billy mi accompagna all'albergo Jerome's Room. Aspetto che le luci rosse della sua macchina spariscano dietro la fitta pioggia alla curva di Cone Street. Mentre penso al caso e alla chiacchierata che domani dovrò abilmente condurre con Irina Callaway le mie gambe mi portano alla centrale dove, zuppo d'acqua dalla testa ai piedi, entro nella sala computer. Accendo lo schermo collegato al videoregistratore e ci infilo il nastro dell'interrogatorio.

Ecco che cominciano le notti in bianco del detective Shown, penso. Che lavoro di merda. Poi inizio a guardare tutti gli interrogatori a partire dal primo caso di sparizione pregando di trovare qualche, anche minimo, collegamento tra di essi. Ovviamente si tratta dello stesso sequestratore. Mai nessuna della vittime è stata trovata per testimoniare. Gli interrogatori che guardo sono parenti disperati e amici afflitti dalla scomparsa dei loro cari. Niente di utile, una marea di tempo perso in lacrime. Accendo un milione di sigarette anche se in questo ufficio non si può fumare. Me ne frego, è notte e non c'è nessuno tranne la guardia all'ingresso.

Alla mattina mi sveglia con un calcio alla sedia Billy Wide che inzuppato d'acqua mi urla addosso. «Non ti trovavamo! Dobbiamo andare subito a casa dei Callaway!».

Io riprendo velocemente lucidità anche se dodici litri di caffè mi farebbero comodo e rispondo. «Lo so che dobbiamo andarci, stai calmo. Non c'è comunque tutta questa fretta». Mi metto una mano tra i capelli e cerco il pacchetto di sigarette sulla scrivania. «E poi che cazzo! Deve sempre piovere». Borbotto alla vista del pacchetto di sigarette vuoto.

Wide si avvicina. «Dobbiamo andare subito, presto, gli altri agenti sono già sul posto».

Una morsa allora mi strizza il cervello fino a farlo scoppiare quando improvvisamente mi si infila tra le tempie un unica ipotesi di tutto quel chiasso. «Cosa è successo?».

«Questa mattina la signora Callaway ha trovato sua figlia impiccata alla finestra della camera, sembra suicidio».

«Cazzo!». Mi metto l'impermeabile addosso e come se ci ci fosse un terremoto o un incendio esco di corsa dall'edificio e Billy sta al passo fino alla macchina di servizio.

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Capitolo 5
*** Episodio 5 ***


Arriviamo al giardino affollato di gente della proprietà della famiglia Callaway. Alcuni giornalisti sono addirittura sulla strada con videocamere e microfoni a dire stronzate e a inventarsi una storia. L'ambulanza sta caricando qualcuno nel retro e gli agenti di polizia delimitano di nastro giallo la zona. «Spero che gli uomini di Kooper non abbiamo toccato nulla».

Wide parcheggia alla cazzo sopra il marciapiede e spegne il motore. «Mi sono assicurato personalmente che prima del nostro arrivo nessuno toccasse il corpo».

Quando scendiamo vengo aggredito da un uomo che mi spinge contro lo sportello della macchina urlando frasi sconnesse a proposito di suo figlio scomparso. Due agenti di polizia me lo levano dai coglioni sapendo bene che a quel poveretto avrei potuto incrinargli due costole se avesse continuato altre due secondi e mezzo. La stampa si sposta ovviamente subito su di noi e io li mando a fanculo mentre Wide è più diplomatico. «Lo so che tra voi ci sono padri e madri distrutti dal dolore per la scomparsa dei loro bambini, ma stiamo facendo tutto il possibile per scoprire chi è che compie questi terribili...rapimenti».

Sono più avanti quando dice rapimenti seguito da quella piccola pausa e la parola rapimenti mi fa balenare subito qualcosa nel cervello. Quando Wide manda via la stampa e mi raggiunge finalmente entriamo in casa. «Billy, stavo pensando a una cosa. Per quale motivo non avete chiesto all'FBI un agente speciale della squadra Persone Scomparse, ma avete mandato me della squadra Omicidi? Qui non c'è nemmeno un cadavere..».

Wide mi guarda senza rispondere e viene salvato dal gong quando appare davanti a noi il coroner Martin Prince. «Ora del decesso intorno alle quattro di questa mattina. E' morta per asfissia e non per la rottura del dente epistrofeo».

«Cazzo!». Mi esce spontaneo a immaginare la scena.

«Che cosa vuol dire?». Domanda Wide.

«Vuol dire che per circa un minuto ha sofferto prima di perdere coscienza e poi morire, perché il sangue non defluiva più dal circolo encefalico a causa dell'ostruzione della giugulare e della carotide provocata dal tessuto intorno al collo».

«Chi era quella persona caricata in ambulanza?» domanda Wide.

Prince risponde. «La signora Callaway ha perso i sensi ed è svenuta battendo la testa contro la scrivania in camera della figlia. Il marito ha chiamato subito i soccorsi».

«Dov'è ora?».

«E' nel bagno assieme ad alcuni agenti e la psicologa».

Wide rimane perplesso. «Abbiamo una psicologa d'ufficio?»

«No, coglione! E' la mia ex moglie. Ho visto la situazione un po' troppo tragica qualche ora fa e ho avuto il permesso da Kooper di chiamare la mia ex moglie per calmare il marito».

Mi metto i guanti in lattice che mi passa Prince e raggiungo assieme a Wide la camera da letto di Irina Callaway,

Era tutto esattamente al suo posto, come la prima volta che ci avevo messo piede. Il solito disordine adolescenziale e un milione di foto appese alla parete. Alcune erano state scattate da Irina ed altre erano poster di cantanti e gruppi musicali. La ragazza ascoltava i Nirvana, ci sono molte loro rappresentazioni su muro sopra la scrivania illuminata dalla lampada ancora accesa. Lo sguardo raggiunge la finestra in fondo alla stanza dalla quale entrano, attraverso la tapparella, sottilissime lame di luce e il corpo appeso ciondola i ombra sopra i bagliori dell'alba lucenti alle sue spalle.

«La il bastone a cui sta affissa la tenda sembra aver retto il peso». Dice Wide rimanendo a distanza dal corpo. Io mi avvicino. «Ha il pigiamo fradicio, cos'è?».

Prince risponde subito alla mia domanda. «Spesso avviene il rilassamento degli sfinteri quando la persona perde conoscenza dopo l'agonia e la contrazione».

Il corpo freddo giace davanti ai miei occhi pallido. Irina Callaway, diciassette anni, suicidata probabilmente per i sensi di colpa dovuti dal suo coinvolgimento nella scomparsa di Sofia Monroe e forse di altri quattordici ragazzi e ragazze. Mi volto verso Billy Wide che nel frattempo prende appunti sul suo maledetto taccuino rosso. «Nessuno si uccide senza lasciare un messaggio, e nessuno coinvolto in una cosa così grave non si confessa prima di appendersi a una trave».

«Parla piano, Shown! Di là nel bagno c'è il padre». Wide allora mi si avvicina attento a non calpestare gli oggetti in disordine sparsi per la stanza. «Sono d'accordo con te, Shown. Sicuramente deve aver lasciato un messaggio o qualcosa che spieghi il motivo di un gesto così estremo». Lascio Wide nella stanza ed esco nel salotto ad informare i due ragazzi della scientifica Harry e Spencer di cercare eventuali biglietti o messaggi, insomma qualsiasi cosa che possa ricondurre al suicidio di Irina. «Okay, detective Shown. Faremo del nostro meglio». Risponde Spencer.

«Così vi voglio ragazzi, avanti col lavoro allora». Torno alla camera da letto e dico a Wide di parlare col padre mentre io resto nella stanza. Faccio uscire anche gli agenti e il coroner finché non rimango solo in un silenzio mortale e asfissiante. Faccio mente locale. Irina è andata a dormire, è ancora in pigiama. Durante la notte deve essersi svegliata e alzata dal letto, il letto è ancora tutto in disordine e le coperte sono piegate in avanti seguendo il gesto della braccio di quando una persona si scopre per alzarsi. A questo punto se io dovessi aver deciso di uccidermi avrei prima scritto qualcosa per sfogare le mie emozioni. Deve essersi diretta alla scrivania. Mi giro e la raggiungo. E' un piccola scrivania con il posto centrale per la sedia e quattro cassetti posti l'uno sopra l'altro sulla sinistra. Sopra il banco una lampada ancora accesa, dei fazzoletti di carta, la stampante e un cestino usato come porta penne. Una penna non è nel cestino, ma è sul ripiano sulla sinistra verso la stampante. Apro i cassetti, sono quasi vuoti. Rovisto velocemente, ma non ci trovo nulla di interessante eccetto un pacchetto di sigarette, forse la ragazza fumava di nascosto di tanto in tanto. La penna sulla sinistra e non sulla destra della scrivania. Se dovessi scrivere qualcosa abbastanza frettolosamente lascerai la penna alla mia destra o al massimo la lancerei nella parte di scrivania sopra al foglio su cui ho scritto. Non a sinistra. Allora mi volto di scatto verso il cadavere e gli prendo le mani ghiacciate. Nella parte inferiore della mano destra, che solitamente appoggia sul foglio quando si scrive, non v'è nulla a differenza invece dello stesso punto della mano sinistra annerito dall'inchiostro di una penna. Irina è dunque mancina e deve aver per forza scritto qualcosa prima di togliersi la vita. Cosa ha scritto? E dove è finito quale che ha scritto? L'ha forse nascosto da qualche parte?

Poco prima che Wide entrasse nuovamente in camera noto alcune gocce d'acqua sulla superficie interna del vetro della finestra. Solo un po' di condensa.

«Accompagniamo il signor Callaway all'ospedale dalla moglie, vieni con noi?».

«No, Billy. Vado in centrale a vedere se quella maledetta bicicletta è arrivata da Dodge City. Ci vediamo più tardi». Wide esce e dopo qualche minuto esco anch'io scroccando il passaggio a un agente che stava fuori dalla porta d'ingresso. Intanto Martin Prince chiude il corpo in un sacco nero e insieme ai suoi collaboratori lo portano in laboratorio per l'autopsia. 

 

CONTINUA..

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Capitolo 6
*** Episodio 6 ***


Quando giungo in centrale Kooper mi saluta con un sorriso dicendomi di sfuggita che la bicicletta è arrivata e che due ragazzi della scientifica la stanno analizzando. Io non lo guardo nemmeno e tiro dritto e di fretta raggiungo il bagno chiudendomi la porta alle spalle. Getto la testa nel cesso e l'istinto del vomito sale verso l'alto, ma non esce niente. Aspetto qualche secondo e intanto mi inginocchio a terra con i pugni chiusi e stretti sulla tavoletta penso alla ragazza impiccata, ai suoi occhi vitrei rivolti verso il soffitto bianco della sua camera da letto.

Un sudore freddo si unisce a qualche lacrima sulla mia faccia mentre cerco di diradare la nebbia fitta che ho nel cervello. Lucido. Devo rimanere lucido, perché è questo il lavoro di un detective. Questo è il mio lavoro. Vaffanculo. Mi alzo e mi sciacquo il viso con l'acqua gelida del lavandino. Ragiono e penso a quello che mi aveva detto Irina, ogni dettaglio potrebbe rivelarsi utile. Mi torna alla mente la macchina fotografica. Irina mi aveva confessato di aver scattato delle foto quel giorno nel bosco e che la macchina fotografica che ha usato non era sua. Da chi l'ha presa in prestito? Cazzo dovevo farmelo dire da lei finché era in vita. Sei stato proprio un coglione, dico a me stesso. Wide. Il figlio di Billy Wide era un grande amico di Irina, forse lui sa chi può averle prestato la macchina fotografica.

«Tutto okay?». Mi chiede Kooper quando esco dal bagno. Io accenno a un sì forzato e lo seguo verso il laboratorio di analisi: un piccolissimo buco d'ufficio con qualche apparecchiatura vecchia di vent'anni.

«I genitori di Sofia Monroe sono già venuti a riconoscere la bicicletta?».

«Sì». Risponde Kooper. «Hanno dichiarato che si tratta della bicicletta che usava Sofia, manca solo il cesto davanti, ma quello può essersi staccato mentre veniva trascinata dalla corrente del fiume».

Mi rivolgo allora a uno dei due ragazzi col camice. «Ovviamente niente impronte».

«Esatto, niente impronte. Però è interessante questo». Il ragazzo alza verso il mio sguardo il catenaccio ancora chiuso attorno ai raggi della ruota posteriore. «Sia che il fiume gonfiandosi l'abbia presa e portata con sé, sia che qualcuno gliela abbia gettata in acqua, il fatto che non cambia è che Sofia Monroe non ha mai lasciato quel bosco in bicicletta».

Allora aggiungo rivolto verso Kooper. «In entrambi i casi la testimonianza di Irina è falsa. Irina Callaway non l'ha mai riportata a casa e non ha mai visto Sofia entrare per quella porta. Dunque Sofia Monroe può essere stata rapita nel bosco oppure è ancora nel bosco nascosta da qualche parte».

Kooper mi interrompe. «Shown, sai benissimo anche te che non può essere nel bosco, abbiamo controllato ogni centimetro quadrato».

Rifletto un attimo e rispondo. «Bosco o non bosco, non riseco a capire perché Irina ha mentito».

«Credi sia stata lei ha far sparire Sofia o ancora peggio a ucciderla?» mi domanda Kooper.

Prima di risponde cerco di serrare la mia mente dietro un gelido muro di razionalità e logica. «Kooper, credo che Irina sia gravemente coinvolta in questa faccenda, tuttavia se fosse stata veramente lei a fare tutto questo non credi che avrebbe cercato di costruirsi un alibi migliore invece di ripararsi dietro ingenue bugie?».

«Non essendoci alcun movente c'è la probabilità che ciò che noi supponiamo che Irina abbia fatto a Sofia sia frutto di una malattia mentale e che il suo recente suicidio sia stato per lei la via di fuga dai sensi di colpa dovuti dalla lucidità dopo il raptus omicida dell'infermità mentale che ha avuto».

«Ho capito, vuoi chiudere il caso». Rispondo.

«Non vedo altre soluzioni se il corpo non si trova». Il telefono di Kooper inizia a squillare dalla tasca interna del suo cappotto. «Scusate, mi stanno chiamando. Comunque vedrai che è andata così». E si allontana uscendo dalla stanza.

«E cosa diremo ai genitori di quei poveri ragazzi e ragazze» sussurro tra me e me.

Sento il bisogno di una doccia bollente, così raggiungo Jerome's Room e senza nemmeno salutare il proprietario Adam Fillingstone raggiungo la mia stanza.

Finalmente una doccia calda e il vapore appanna il box in vetro e per distrarmi inizio a disegnare come un bambino sulla superficie appannata scollegando il cervello da ogni rumore e concentrandomi solamente sull'acqua corrente.

Verso mezzo giorno incontro Billy Wide seduto al posto di guida della macchina di servizio allora entro e il rumore della portiera che si chiude alle mie spalle coincide perfettamente con un forte tuono proveniente da Nord. «Questa notte pioverà di nuovo». Così mi saluta Wide.

Io vado dritto al sodo. «Ascoltami Wide, volevo parlare con tuo figlio, come si chiama?».

Wide mi guarda confuso e risponde. «Si chiama Eric. Perché vuoi parlare con lui?».

«Tuo figlio conosceva molto bene Irina Callaway, mi hai detto che erano molto amici». Wide allora mi interrompe mozzandomi le parole dalla bocca. «E questo cosa c'entra! Solo perché Kooper vuole chiudere il caso credi che tu abbia il diritto di indagare su..». Questa volta le parole gliele mozzo io dalla bocca, lo faccio letteralmente con un pugno ben assestato nei reni. «Lo sai quanto odio quando uno mi interrompe, cazzo». Gli metto una mano sulla spalla e tento di raddrizzarlo perché nel frattempo si era piegato a metà sul volante. «Ascolta Wide, quello che intendevo dire, se mi lasciavi finire è questo: Irina ha detto di aver scattato delle foto specificando di aver preso la macchina fotografica in prestito. Magari se troviamo quelle foto riusciamo ad avere qualche indizio in più».

«E cosa c'entra mio figlio?». Le parole gli escano spaccate in due.

«Tuo figlio Eric può sapere chi nella loro compagnia di amici può averle prestato la macchina fotografica».

«Okay, ti porto a casa mia allora, così intanto ti presento mia moglie». Accende la macchina e partiamo fino ad arrivare a una casa piccola su due piani con una bella veranda sulla porta d'ingresso. Solo quando spegne la macchina Wide mi guarda seriamente negli occhi e mi dice. «Allora, chiariamo subito una cosa: mio figlio è molto giù di morale in questo periodo, ha perso due sue care amiche quindi non iniziare con i tuoi giochetti, okay? Lascialo in pace per favore, anzi facciamo che ci parlo io».

Dire che Eric, il figlio di Wide, non assomiglia a suo padre sarebbe la stronzata più grande del secolo. Solamente più giovane e con venti chili in meno, ma del resto due gocce d'acqua. Mi scappa un leggero sorriso poi lascio parlare Wide. «Dov'è tua madre?».

Eric allora risponde scendendo l'ultima parte di scale fino al pianerottolo. «E' andata al super market, torna più tardi». Mentre parla distoglie lo sguardo dal padre portandolo su di me con l'interrogativo in volto per quell'estraneo appena entrato in casa sua. Non chiede chi sono così mi presento. «Ciao Eric, è un piacere conoscerti. Io Jersey Shown, un collega di tuo padre. Suoni la chitarra, mi fa piacere».

Il ragazzo subito cambia espressione e sorride compiaciuto, segno che ho agganciato la sua fiducia. «Piacere Shown, come fai a saperlo, te l'ha detto mio padre che suono la chitarra?».

«No, a dire il vero non parliamo mai della nostra vota privata. L'ho capito dalle unghie più lunghe che tiene nella mano destra rispetto alla mano sinistra. Fai bene, sono molto importanti le unghie per un chitarrista».

Wide mi guarda perplesso ma contento di aver strappato un sorriso a suo figlio e di aver reso il clima più leggero. Ovviamente me ne frego dei patti stipulati nella macchina e prendo io la parola. «Eric, volevo solamente domandarti una cosa molto semplice. Nella tua compagnia conosci qualcuno che possa avere una macchina fotografica che possa aver prestato a Irina?».

Al nome di Irina il volto di Eric torna ad essere sfregiato dal dolore e dal ricordo però, dopo aver riflettuto qualche istante risponde. «Conosco una ragazza, si chiama Silvia, lei ha una macchina fotografica, ma non capisco il motivo per cui Irina abbia dovuto chiederla in prestito a Silvia quando lei ne aveva una molto più buona e professionale».

«Grazie Eric, sei stato di grande aiuto. Continua a suonare»

Usciamo dalla casa di Wide e rientriamo in macchina.

«Che facciamo?»

«Per sicurezza ora andiamo a casa di Silvia a chiedere se ricorda di aver prestato la sua macchina fotografica a Irina, anche se sappiamo già entrambi la risposta».

 

CONTINUA..

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Capitolo 7
*** Episodio 7 ***


 «Dovete chiedere a lei, io non so niente». Risponde il padre di Silvia ancora sulla soglia della porta. Per fortuna accade che la ragazza la troviamo al bar di un certo Hoogan sulla Bluerain Street. E' con altre due ragazze che bevono, sedute al tavolino, un caffè con panna. La riconosco perché una della amiche la chiama per nome e il viso sembrava essere lo stesso della foto appesa alla parete del soggiorno di casa sua. Prima che il padre ci aprisse la porta, avevo scrutato all'interno, attraverso i vetri notando il particolare.

«Scusate l'interruzione, ragazze». Mi avvicino al tavolo da solo, ho detto a Wide che dovevo andare un attimo in bagno. «Tu sei Silvia, vero?». Lei annuisce e le amiche la guardano in attesa.

«Era amica di Irina Callaway, non è vero?». Silvia allora corruga la fronte e risponde. «Si, ma a lei cosa interessa, scusa? E' forse uno di quei giornalisti?».

«No, Silvia». Chiamandola così per nome la metto subito a suo agio prima di estrarre il distintivo dalla cintura. «Sono il detective Shown, sto indagando sulla scomparsa di Sofia Monroe».

«Cosa voleva sapere?» mi domanda e io nei suoi occhi vedo velato sintomo di lacrime.

«Irina ha detto di aver fatto delle foto con una macchina fotografica che gli aveva prestato un'amica. Quella macchina fotografica è stata usata il giorno in cui Sofia Monroe è scomparsa. Capisci bene quanto posso diventare importante per le indagini che sto compiendo. Sono venuto a sapere che anche tu hai una macchina fotografica, per caso gliela avevi prestata tu?». Mi lascia finire la frase, anche se noto, nel suo sguardo, una vivace volontà di rispondere alla mia domanda. «Sì, io ho una macchina fotografica, ma Irina aveva già la sua e molto più professionale della mia».

«Si, me la ricordo la sua macchina fotografica». Dice la ragazza di fronte a Silvia. «Era una Canon e qualcosa, me la ricordo perché ho partecipato alla spesa per quel regalo di compleanno».

«Grazie ancora, ragazze».

Me ne sto per tornare verso il tavolo quando Silvia dice qualcosa. «Detective». Io allora mi volto verso di lei nuovamente. «Sì, dimmi».

«Sono già quattro gli amici che ho perso, troverete mai Sofia, o sarà come tutti gli altri?».

Che domanda. Una domanda a cui non so nemmeno io, a questo punto, darmi risposta. Ma esitare troppo, davanti a una ragazzina che ti pone una simile questione e che si aspetta da te e dal tuo lavoro un risultato che perlomeno vendichi la scomparsa dei suoi cari amici, non va assolutamente bene. Dunque rispondo con una frase fatta che ormai ha il sapore amaro del metallo. «Ti prometto che faremo il possibile, anzi stiamo cercando tutt'ora di mettercela tutta per risolvere questa situazione. E' il mio lavoro e lo porterò a termine». Non ricordo a quante persone oramai ho detto la stessa identica frase vendendo promesse ma i mantenute. «Grazie, detective».

Torno al banco dove Wide mi aspettava. «L'hai fatta tutta?». Mi domanda sarcastico, poi aggiunge. «Quella era Silvia, non è vero?». Annuisco pensieroso, dunque Wide continua. «E non ha prestato la macchina a Irina, esatto?». Annuisco di nuovo e aggiungo. «Dobbiamo chiedere ai ragazzi della scientifica se hanno trovato qualche biglietto o lettera di addio o, ancora meglio, una macchina fotografica. Ci pensi tu a chiamarli?».

«Va bene». Risponde. «Lo sai cosa mi colpisce di tutto questo?».

Non rispondo.

«Mi stupisce il fatto che Irina Callaway abbia risposto al nostro interrogatorio così ingenuamente. Voglio dire: se sai di aver commesso o partecipato a un simile reato cerchi perlomeno di crearti un alibi oppure di non incastrarsi con le tue stesse parole. Quando siamo andati a casa sua, lei stessa ha aggiunto, sottolineandolo, che la macchina fotografica non era la sua e che gliela avevano prestata, noi non le avevamo chiesto nulla. Sapeva che bastava un giro di chiamate per scoprire la verità, come del resto la stronzata della bicicletta e che ha visto Sofia entrare in casa».

«E' quello che penso anch'io».

Saliamo in macchina e prima di accendere il motore Wide dice qualcosa. «Shown, sicuro che va tutto bene?».

«Perché me lo chiedi?».

«Non ti vedo molto in forma oggi e Kooper mi ha detto che sei stato male quando sei tornato in centrale oggi».

«Forse è colpa di tutta questa umidità, devo solo abituarmici». Cerco di rimanere evasivo, non ho voglia di parlare.

«Dai, non dire stronzate!». Mi risponde accendendo la macchina. «Io non ti conosco, ma...».

Allora lo guardo seriamente negli occhi e lo interrompo. «Esatto, non mi conosci».

Wide si informa dagli agenti della scientifica se ci sono stati progressi e la risposta, che non avevano trovato nulla di strano ne in camera da letto ne in altre stanze della casa, mi piomba addosso e sulla sulla testa come un'enorme sciabola affilata.

Convinco Wide a tornare a casa Callaway.

«Non ti fidi proprio di nessuno, vero?». Dice Wide mentre entriamo in casa, passando per il giardino ormai deserto. Le impronte delle scarpe di un milione di persone invadono il terreno oltre ai segni lasciati dai pneumatici sul fango fresco accanto alle pozzanghere. Pioverà sicuramente anche questa notte, me lo sento. Che tempo del cazzo.

Anche la casa è deserta, nessuno ci ha messo più piede da quasi due ore. Finalmente il silenzio e la tranquillità che serve. Vado dritto in camera da letto della ragazza e rimango circa un quarto d'ora a cercare in ogni angolo. Wide alle mie spalle segue i miei movimenti.

«Quei coglioni hanno infangato con le loro scarpe del cazzo tutto il pavimento! Ma come fate a lavorare in questo modo?». Mi incazzo rivolto a Wide.

«I ragazzi della scientifica avevano la scarpe coperte col nylon quando siamo andati via, non possono essere stati loro».

«Allora sicuramente qualche altro sfigato della vostra centrale o magari Kooper stesso, quel babbeo».

Le impronte delle scarpe, ad osservale bene, sembravano essere almeno di due persone che avevano fatto avanti e indietro per la stanza dalla finestra alla scrivania dal lato opposto.

Raggiungo la finestra e vedo che il vetro dell'anta socchiusa è leggermente appannato. Dalla finestra un po' aperta entra un leggero vento freddo invernale, ricordo quindi la doccia bollente che avevo appena fatto. Un idea folle mi entra nel cervello urlando al ricordo di quando, per distarmi un po', avevo preso a disegnare sul vetro appannato del box doccia. Raggiungo la finestra e inizio ad alitare sul vetro in modo che si appanni al contatto con l'aria calda. Sento lo sguardo imbarazzato di Wide alle mie spalle, ma me ne sbatto il cazzo.

Controllo tutto il vetro e quell'idea inizia ad apparirmi stupida quando mi accordo che non c'è nulla sulla superficie liscia e trasparente. Finché non raggiungo l'angolo a destra, verso il basso della seconda anta. Lì mi raggiunge, alle ginocchia, una mazza da baseball in legno che mi frantuma le rotule. Per poco non cado alla vista di alcune lettere, scritte col dito, sul vetro appannato dall'interno:

mitciv ym or ylimaf ruoy ro uoy  

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Capitolo 8
*** Episodio 8 ***


 La luce tagliente della lampada sopra di noi illumina il riflesso del messaggio sul vetro appannato e Wide, come me, assume un'espressione sorpresa e stordita. «Cosa significa?». Domanda.

Rifletto un istante e rispondo. «Al contrario significa: tu o la tua famiglia o le mie vittime».

«Credi che l'abbia scritto Irina Callaway?».

«Penso l'abbia scritto lei, però non capisco il motivo per cui l'avrebbe scritto al contrario, come se qualcuno all'esterno avesse dovuto leggerlo».

«Perché avrebbe dovuto scriverlo lei un simile messaggio, secondo te?». Ragiono, ma non rispondo, così Wide continua. «Dal significato della scritta sembra opera di un ricattatore, non credi?».

«Se fosse stata un'altra persona, la scritta sarebbe stata scritta all'esterno in modo che Irina l'avesse potuta leggere. E poi non credo che un ricattatore avrebbe perso tempo con questi giochetti speculari».

Apro la finestra che già era socchiusa e guardo all'esterno. Davanti a miei occhi si apre un piccolo e trascurato cortile. «Certo che chiunque da qui poteva entrare o spiare Irina, siamo al piano terra e la finestra dà su un cortile facile per chiunque da raggiungere. Per di più non ci sono nemmeno le inferiate. Un giochetto da ragazzi». Osservo poi verso il basso il terreno fangoso e noto alcune impronte di scarpe, forse quelle degli agenti della scientifica quando hanno controllato il perimetro, ma c'è dell'altro: quattro piccolissime strisce di fango sul bordo in legno della finestra. «Qualcuno, Wide, è entrato in questa stanza passando dalla finestra».

Wide mi segue fino all'esterno, nel giardino sul retro. «Dopo Shown, quando andiamo in centrale, controlliamo i rapporti della scientifica per vedere chi è entrato o uscito dalla casa durante le indagini. Soprattutto se gli investigatori avevano già descritto i segni di fango sulla finestra e sul pavimento, io questa mattina non gli avevo notati».

Allora sulla poltiglia di foglie e fango del giardino sul retro vedo in rilievo le impronte di alcune scarpe, forse le stesse del pavimento della camera da letto. «Chiama subito Kooper e digli di fare arrivare il più presto possibile il fotografo o quelli della scientifica. Non voglio perdere queste impronte per un fottuto acquazzone, potrebbero essere di qualcuno che è entrato successivamente le indagini». Wide obbedisce mentre io mi chino in avanti piegandomi sulle ginocchia. Se le impronte sono veramente fresche e non già annotate nel rapporto, mi chiedo per quale motivo qualcuno deve aver preso la decisione di intrufolarsi in camera di Irina.

«Ah, digli anche di recuperar un elenco dettagliato di ogni oggetto presente nella camera al momento delle indagini». Aggiungo rivolto verso Wide ormai vicino a una linea di alberi. Intanto le mie mani rovistano tra il fango e le foglie finché non toccano inavvertitamente qualcosa di più solido tra la poltiglia. Wide allora mette il palmo della mano sul microfono del telefono e, da lontano, mi risponde a voce alta. «Ha detto che non è stato fatto un elenco degli oggetti perché è stato classificato ovviamente come suicidio e non omicidio». Wide mette giù e ripone il telefono nella tasca mentre torna verso di me, intanto io mi rialzo mettendo in tasca il piccolo oggetto raccolto dal fango.

«Perché secondo te qualcuno è entrato dalla finestra?». Mi domanda Wide.

«Può averlo fatto qualcuno, molto probabilmente un complice di Irina, che, per non finire con la testa sommersa dalla merda, ha deciso bene di liberarsi di qualche prova».

«Se c'erano veramente delle prove, la scientifica le avrebbe trovate. Che senso ha venire dopo l'ispezione?».

Guardo Billy Wide con occhi che trasmettono tutto il mio disprezzo e disgusto per il modo con il quale lavorano le forze dell'ordine a Mason Creek e così sottintendo la mia risposta.

Poco dopo arriva il fotografo e un una donna che rileva le impronte col gesso, l'operazione richiede parecchio tempo per motivi di umidità. «Il negativo dell'impronta sarà utilizzabile non prima di domani, d'accordo?». Dice la donna mentre risistema il suoi attrezzi. «Sono riuscita a rilevarne solamente una, le altre non sono abbastanza visibili, spero vi basti».

«Ottimo lavoro». Risponde Wide. Quando la donna sale in macchina e accende il motore io aggiungo. «Volevi anche darle la mancia? Che significa ottimo lavoro? E' il suo lavoro!».

«Come sei polemico!». Risponde. «Te quando porti a termine un caso nessuno ti dice mai che hai fatto un ottimo lavoro?».

«Me lo dicono in molti, ma non ci trovo niente di ottimo nel mio lavoro».

«Non mi sembra che non ti piaccia il lavoro che fai». Io non rispondo. Così in silenzio raggiungiamo la macchina. Wide si mette le mani tra i capelli e si massaggia le tempie, io estraggo dalla tasca interna dell'impermeabile una sigaretta e mi rendo conto che è tanto tempo che non ne fumo una. Accenderei volentieri tutto il pacchetto. Non trovo da nessuna parte quel maledetto accendino, così aziono l'accendisigari dell'auto accanto al cruscotto. Wide allora sfrutta l'occasione d'attesa. «Non voglio romperti le palle, ma è solo per parlare un po'».

«Allora non romperle!». Rispondo seccato. Cazzo, ho voglia di una sigaretta e quel maledetto accendisigari ci sta mettendo un sacco di tempo.

«Ho capito che sei rimasto un po' scosso quando hai visto Irina e ho pensato che per una persona, che fa ormai questo lavoro da così tanto tempo, avesse già imparato a sopportare ogni genere di cosa». Non rispondo e fisso con disprezzo e rabbia quel maledetto accendisigari. Allora Wide continua il suo interrogatorio. «Confesso Shown, che quando ho visto Irina appesa per il collo questa mattina, ho avuto paura. Aveva l'età di mio figlio, capisci! Non lo sopporterei».

Io allora lo guardo negli occhi e dico. «Non fare i giochetti con me, perché non mi fai la vera domanda di questo inutile discorso?».

Wide accenna un sorriso a sé stesso, come se avesse vinto alla scommessa su quanto tempo ci avrei messo a capire le sue intenzioni. «Avevi un figlio anche tu?».

La domanda piomba dall'alto dritta sulla mia testa, ma ero pronto a questo. «No». Rispondo infine secco.

«Fa niente, faccio i cazzi miei». Wide inserisce la retro quando il bottoncino dell'accendi sigari segnala che è pronto per essere utilizzato.

«Avevo una donna che voleva un figlio da me». Wide allora si volta verso di me dandomi pieno ascolto.

«Raccontami come è andata, Shown».

«Appena terminati gli studi a Quantico al corso di Scienze Comportamentali mi hanno trasferito a New York all'ufficio investigativo dove lavorava mio padre».

«Un bravo padre, immagino». Si lascia sfuggire Wide.

«No, un bravo detective». Rispondo. Poi continuo. «Nel frattempo, mentre fornivo profili psicologici al reparto investigativo della Omicidi, ho conosciuto e frequentato una ragazza. Poco dopo sono andato a vivere assieme a lei». Interrompo il discorso e finalmente mi accendo la mia sigaretta, allora Wide mi domanda. «E' stata tua la scelta di entrare all'FBI Accademy?».

«Credevo di sì, ma in verità negli anni ho scoperto di averlo fatto per fare contento mio padre».

«Nonostante ciò sei molto bravo».

«Credimi Billy, in quei due anni a New York ho visto cose che tutt'ora fatico ad accettare che facciano parte della natura umana. Quando ho capito le intenzioni di Sarah di creare una famiglia con me, l'ho abbandonata».

«Per quale motivo?».

«Billy, te non hai idea del male che vive annidato tra quelle vie, un malo oscuro, una forza di tenebra paurosa che prima o poi avvolge pure la tua immacolata anima di poliziotto. Lei non accettava la mia idea di non volere un figlio, perché non viveva ciò che io tutti i giorni ero costretto a vedere. Billy, un figlio in un mondo così è un gravissimo sbaglio».

«Insomma, sei fuggito senza nemmeno tentare».

«Billy, con un figlio non è che hai delle possibilità, non puoi ragionare per tentativi, devi essere sicuro di garantirgli un mondo il meno malvagio possibile. Quel mondo non esiste».

«Non sono d'accordo. Il mondo può essere anche un brutto posto, ma vale combattere per esso. E questo è il grande onore di fare questo mestiere».

«Non c'è nessun onore perché la lotta tra luce e oscurità è eterna, il nostro contributo non migliora un bel niente, ma ti da solo la soddisfazione, di tanto intanto, di vedere qualcuno dietro le sbarre. Soddisfazione che termina al pensiero che per ogni persona che riesci a mettere in gabbia, almeno dieci ne prendono il posto. E' una lotta a perdere».

«Se credi di convincermi che fai questo lavoro solo perché ne sei rimasto incastrato per lo sbaglio di aver seguito le orme di tuo padre, allora ti sbagli. Nulla accade mai per caso».

Finisco la sigaretta con un ultimo intenso tiro e il fumo invade la macchina. «Nulla accade mai per caso, ma il punto è che accade. E ciò che accade è tremendamente sbagliato».

Allora Billy Wide ci rinuncia ed esce dal parcheggio partendo il retro. Io mette le mani in tasca e ricordo di aver raccolto senza pensiero quel piccolo oggetto da terra. Con le dita, dentro la tasca della giacca, lo ispeziono e lo pulisco dalla terra umida. Ha una forma sottile e a goccia. Lo estraggo e scopro cos'è.

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Capitolo 9
*** Episodio 9 ***


Il plettro che tengo tra le mani è spesso forse più di un millimetro e, mentre Wide accosta la macchina al parcheggio dell'ospedale, mi accorgo di due cose: primo che il plettro per chitarra è praticamente nuovo; secondo che, per qualche motivo inconscio, non ho mostrato quel piccolo oggetto al mio collega Billy Wide. Addirittura l'ho raccolto da terra senza guanti per le impronte digitali, mettendolo in tasca ignorando il fatto che poteva essere una prova. Ma ormai quel che ho fatto ho fatto, e non posso certo ammettere questa mia scorrettezza, dunque, per il momento, decido di lasciar perdere questa storia del plettro e concentrarmi sui dettagli del caso.

Un'infermiera ci accompagna fino alla stanza della signora Callaway, mamma di Irina. Affianco al letto troviamo il marito che sussurra col Dottore di fronte a lui. Quando entriamo smettono di parlare fra loro e l'attenzione è tutta su di noi.

«Salve, sono il Dottor Thompson». Allunga la mano e gliela stringo con forza poi passo al dunque. «Come sta la signora?»,

Il Dottor Thompson prende la sua cartelletta coi fogli appuntati, come se non ricordasse nemmeno più il nome della paziente. Ecco questo genere di cose mi fa veramente incazzare. Ma sto zitto e lascio perdere.

«E' arrivata in ambulanza priva di sensi e in stato di shock, dunque abbiamo somministrato una dose di adrenalina per via intramuscolare che le ha fatto riprendere i sensi. Ora sta riposando, è passata allo stadio moderato e il cuore continua ad avere un battito irregolare, ma sta bene. Domani mattina può essere dimessa».

«Grazie Dottore». Intanto Wide si avvicina a Mark Callaway e io fulmino Thompson con lo sguardo così, senza che io gli dica niente, esce dalla porta accompagnato dall'infermiera.

«Molto probabilmente qualcuno è entrato in casa sua poco dopo che tutti gli agenti se n'erano andati. E' entrato dalla finestra della camera d a letto di Irina. Lei sa il motivo? Oppure ha qualche sospetto?».

Il volto e gli occhi del signor Callaway lasciano subito intendere d'essere scossi e stupiti dalla notizia, così risponde. «No, non saprei. Perché mai qualcuno dovrebbe entrare in camera di mia figlia dopo quello che è successo?». Le gambe gli tremano e Wide trova una sedia e consiglia a Mark di sedersi. Intanto prendo la parola io. «Ora, se non le dispiace, vorremmo che lei venisse con noi fino alla sua abitazione e che cercasse di ricordare se in camera di sua figlia manca qualche oggetto».

Il signor Callaway allora si siede e si porta le mani al volto. «Non so se ce la la faccio a entrare di nuovo in quella camera».

«Le impronte che abbiamo trovato rimangono nella stanza, dunque chi è entrato deve aver cercato qualcosa o forse preso qualcosa dalla camera di sua figlia».

«Non può essere stato un giornalista?». Chiede Mark Callaway.

«Se è stato un giornalista, allora è stato un grandissimo coglione. Se ha fatto delle fotografie non può comunque pubblicarle se no si scoprirebbe il suo reato d'essere entrato in una proprietà privata per giunta durante una indagine federale. No, deve essere qualcuno che c'entra con questa storia, qualcuno che non voleva che noi scoprissimo certe prove che magari sua figlia aveva nascosto».

Allora il signor Callaway si irrigidisce e assume un'espressione contorta. «Cosa c'entra il suicidio di mia figlia con le prove e con le indagini?».

Wide ed io ci guardiamo per lungo tempo negli occhi poi decido di rispondere. «Sua figlia, signor Callaway, in qualche modo c'entra con la scomparsa di Sofia Monroe. Abbiamo le prove che ciò che ha detto in sua difesa all'interrogatorio è falso, come il fatto di aver accompagnato a casa la sua amica e di averla vista entrare». Così Wide prende la parola per darmi una mano a convincere il padre, ormai in delirio di collera. «Non stiamo dicendo che Irina è colpevole di qualcosa, ma che forse è stata ricattata da qualcuno per portare Sofia nel bosco oppure per testimoniare il falso. Lei deve aiutarci a capire in che grado sua figlia era coinvolta. Ci aiuti».

Mark Callaway allora si asciuga le lacrime e stringe i pugni gonfio di rabbia. Dopo qualche profondo respiro si calma e da un bacio sulla fronte alla moglie stesa sul letto.

Raggiungiamo nuovamente la casa e il signor Callaway si affianca a noi con respiro grosso e pesante, aprendo e chiudendo gli occhi, come per eliminare dalla sua mente le immagini dell'orrore. Nella fredda cameretta di Irina Mark comincia a ispezionare ogni particolare e Wide ed io aspettiamo il verdetto sulla soglia della porta. Nell'attesa osservo le nostre taglienti ombre allungate sul legno che riveste il pavimento. Wide riceve a un certo punto una chiamata e si allontana per qualche minuto. Quando torna mi sussurra all'orecchio. «Era Kooper, ci vuole in centrale al più presto. Ci vuole parlare». Annuisco e continua con speranza che il padre di Irina si volti verso di noi con l'illuminazione di aver trovato qualche indizio. Ma niente. Assolutamente niente.

«Hai trovato qualcosa, Mark?».

«L'unica cosa che manca è la sua macchina fotografica. Era qualche settimana che non la vedevo più al suo posto sulla scrivania, magari l'aveva prestata a qualcuno o nascosta da qualche parte. Non lo so».

Io sospiro e sussurro tra me e me. «Sapevo che quella macchina fotografica sarebbe stata la nostra rovina». Poi cerco di pensare anche se alcuni improvvisi tuoni irrompono nella stanza preannunciando un grosso temporale. Da quel che sappiamo Irina non l'ha prestata a nessuno la sua macchina fotografica e per quale motivo l'avrebbe nascosta? Forse aveva paura di romperla a tenerla sulla scrivania? O aveva paura che gliela rubassero?

«Hai detto che la teneva sempre sulla scrivania?». Chiedo.

E Mark risponde. «Sì, esatto. La teneva sempre qui sopra». Indica in ripiano di scrivania accanto ad alcuni libri.

«Ma da qualche settimana non ha più visto la macchina fotografica in quel punto?».

«Io entravo poche volte nella sua camera, ci entrava spesso mia moglie per fare le pulizie, infatti me l'ha fatto notare lei la settimana scorsa questa cosa. Ma giusto così, perché si parlava di niente di importante a tavola».

«L'esperienza di detective mi ha insegnato che le cose irrilevanti sono le più importanti in una indagine, sono i particolari che ti permettono di risolvere il caso»

Wide allora interviene. «Non hai notato niente di diverso o qualcos'altro di mancante nella stanza?».

Mark si guarda intorno con i visibili ricordi in volto di tutto quello che aveva lui stesso vissuto con sua figlia. Potevo leggergli chiaramente nell'espressione la malinconia delle scenette quotidiane che si consumavano tra loro e nel loro rapporto padre-figlia. E infine risponde. «No, non vedo altro, ma se mi viene in mente altro richiamo lei detective Shown».

Lo salutiamo e in macchina, sotto un fitto torrente di pioggia in picchiata da cielo nero, raggiungiamo la centrale dove Kooper ci aspetta nel suo ufficio.

Ci fa accomodare davanti alla sua scrivania e lui provvede a chiudere la porta. «Ragazzi, siete stati molto bravi fino adesso, ma non abbiamo risultati. Nemmeno un corpo o lo straccio di una prova che riconduce a un sospettato. Quei genitori hanno bisogno della faccia di un presunto colpevole, capite?».

Intanto è partito col piede sbagliato chiamandoci ragazzi, come se fossimo dei novellini. Come se io fossi un novellino. Gli avrei volentieri sputato in faccia per questo. «A te non te ne frega un cazzo dei genitori, Kooper. Diciamo che è la stampa che ti fa pressione per aver una faccia da giudicare!».

Wide, da sotto il tavolo, mi tira un piccolo calcio per ricordarmi di stare tranquillo poi parla. «Arriva al punto Kooper, perché ci hai chiamato?».

«Ho deciso di archiviare il caso finché non mi arriverà sulla scrivania un'altra denuncia di scomparsa o rapimento. Shown, ho già chiamato Ed Green, il tenente capo del tuo dipartimento. Ha accettato la mia scelta di mettere da parte questo caso per mancanza di prove. Domani puoi tornare a casa».

La potenza di una bomba nucleare mi esplode nel petto a tal punto che mi getto su Kooper prendendolo per la cravatta dall'altra parte della scrivania. «Brutta testa di cazzo! Qui sono scomparse delle persone! Io non uso il mio tempo per niente, ogni singolo indizio o piccolo particolare che fin'ora abbiamo raccolto ci può portare sulla strada giusta».

Wide mi afferra il braccio e cerca di calmarmi mentre la luce di un lampo attraversa le persiane illuminando i miei occhi rossi di rabbia fissi e stretti su quelli di Kooper che se ne stava intanto immobile terrorizzato. Lascio allora la presa sulla cravatta e sul collo della camicia gettando Kooper all'indietro col culo sul pavimento. Mi giro e me ne vado sbattendo la porta alle mie spalle e sorridendo al pensiero che, se anche quella parete fosse stata realizzata in cartongesso, Kooper avrebbe dovuto chiamare nuovamente i muratori per riparare il danno. 

CONTINUA...

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Capitolo 10
*** Episodio 10 ***


Raggiungo la hall del Jerom's Room e trovo quasi ad aspettarmi Adam Filligstone dietro il banco del bar che asciuga gli ultimi bicchieri. Faccio per andare verso le scale, poi mi fermo e mi siedo su uno degli sgabelli intorno al banco.

«Buona sera detective Shown, tutto bene?».

«Ciao Adam, niente va bene in questo cazzo di mondo».

«Capisco, spero non sia il tempo ad averla resa così arrabbiato col mondo». Si volta un attimo per mettere al suo posto un calice.

«Il tempo non c'entra proprio niente, il mondo è così perché esistono delle teste di cazzo».

«Vuole qualcosa da bere?». Mi chiede voltandosi.

Penso e intanto osservo lo scaffale dei distillati. «Hai del bourbon?». Cazzo, non dovrei nemmeno pensare di bermi un bourbon, ho smesso da tempo di bere. Ricordo quel periodo a New York di gavetta nel dipartimento. Passavo spesso tutta la notte a bere assieme a mio padre da Ginger sulla Trentasettesima Strada.

«Va bene del Jack?». Mi domanda Adam.

«Ottimo, ma solo un bicchierino».

Senza pensarci e d'istinto lo tracanno in un sorso. La gola brucia e il cervello si allarga. «Ci voleva, cazzo. Grazi Adam. Fammene un altro, per piacere».

«Come procedono le indagini, detective?». Mi chiede Adam mentre versa nello stesso bicchiere altro Jack Daniel's.

Mi accendo una sigaretta ed Adam mi allunga un portacenere, poi rispondo. «Male, non riesco ad arrivare nemmeno a un sospettato. E il caso verrà presto chiuso».

«Che peccato!». Voleva forse aggiungere qualcosa di più.

«Adam, te sei qui da molto tempo e conosci molta gente, hai qualche idea?».

Adam mi guarda stupito della domanda e preso alla sprovvista mi risponde. «Oh, detective, lo sa bene anche lei, la gente nelle piccole città mormora e i barman ascoltano, ma non parlano». Sorride. Allora io tracanno il secondo bicchierino. «Cosa mormora la gente?».

«Perlopiù stupidate e leggende. Alcuni credono che ci sia una maledizione su questa paese, una maledizione che viene dal bosco. Dopo quella storia dei satanisti».

«Ah, già». Sospiro e mi faccio riempire il terzo bicchiere. «I satanisti. Cosa dice la gente?».

«Le voci in paese dicono che quei satanisti hanno risvegliato un demone dall'inferno, un demone che rapisce i bambini e i ragazzi. Lo chiamano Slender».

Spengo il filtro della sigaretta nel portacenere. «Che stronzate. Non sembra un nome molto da demone». Sorrido e questa volta sorseggio il Jack Daniel's bagnandomi solo le labbra. Quel gusto che mi evapora sulla lingua mi rilassa e mi stende i nervi.

«E' apparso in sogno ad alcune persone che lo ricordano come un essere allungato e magro, senza volto».

«Beati loro che hanno il tempo di inventarsi e raccontare certe cose». Mando già l'ultimo goccio. «Tu sai cosa è successo realmente?».

«Qui, al Jerom's Room, ho ospitato moltissimi giornalisti quando scoppiò lo scandalo dei satanisti di Mason Creek. Ho raccolto da loro alcune informazioni perché ciò che era accaduto mi interessava all'epoca. Ognuna di esse era discordante, ogni giornalista rigirava la storia a modo suo finché non mi sono rotto le palle. Ora i due colpevoli stanno nel carcere a Dodge City. Se vuoi sapere di più prova a parlare con loro. Ovviamente quei due si dichiararono innocenti, ma le prove su ciò che avevano fatto era schiaccianti».

Tracanno fino in fondo il bicchiere di Jack e chiedo incuriosito. «Cosa avevano fatto di preciso?».

«Entrambi avevano un figlio. Ognuno di loro ha portato il proprio figlio in quel bosco e l'ha ammazzato in nome di chissà quale demone o religione».

«Ma i corpi dei bambini non sono mai stati ritrovati però».

«Esatto». Adam si volta per rimettere la bottiglia sullo scaffale, ma lo fermo in tempo. «Ti compro la bottiglia, tanto ne manca un goccio. La porto su in camera se non ti dispiace».

«Nessun problema».

Raggiungo la mia stanza. Sento la testa di almeno dieci taglie più grossa, così dopo una doccia mi siedo sulla sedia accanto alla piccola scrivania. La luce della sola lampada non è abbastanza per illuminare la stanza. Rimango nel semibuio a bere Jack Daniel's finché non finisco il pacchetto di sigarette. Domani dovrò comprarle di nuovo.

Quando mi sdraio finalmente sul letto inizio a far roteare tra le dita quel plettro per chitarra trovato nel giardino sul retro della casa della famiglia Callaway, accanto alla finestra. Il lampi illuminano la stanza attraverso il vetro chiuso e nella mia mente si accende qualcosa, un'idea, un'intuizione straordinaria. Capisco finalmente perché il mio inconscio mi ha suggerito istintivamente di raccogliere quel plettro senza dire nulla a Wide. Ma è solo una nota nel mio cervello, e forse ho bevuto troppo. Domani mattina, prima di prendere il treno, cercherò in città il negozio di strumenti musicali e mi farò dare qualche informazione. Mi addormento pensando a quei satanisti e a cosa può essere accaduto anni fa in quel bosco. E' possibile che ci sia una relazione? No, sono tutte stronzate. Però è vero che da allora scompaiono ragazzi e ragazze. Il sovrannaturale non c'entra un cazzo. Dietro a questa storia c'è un pazzo squilibrato, forse un membro di quella setta di satanisti o forse solo un fanatico.

Non so precisamente che ore sono, ma il suono metallico del telefono sopra il comodino mi frigge il cervello e la seconda cosa che noto è che la pioggia non batte più sul vetro della finestra.

«Pronto?». La mio voce è rauca a causa di tutte quelle sigarette.

«Detective, sono Mark».

Scatto subito in avanti e mi siedo sul bordo del letto. «Ciao Mark, dimmi tutto».

«Stamattina sul presto è tornata mia moglie a casa». Dalla voce sembra essere un po' agitato.

«Sono contento per te, Mark». Rispondo assonnato.

«Era ancora sconvolta, ma quando l'ho portata in camera le ho chiesto se riusciva anotare qualche cosa di diverso o mancante, si è subito accorta del pupazzo».

«Quale pupazzo?». Mark cattura decisamente la mia attenzione.

«Un pupazzo a cui Irina teneva molto, era sulla mensola dei libri ed ora non c'è più. Abbiamo controllato da altre parti, ma non c'è».

«Perché mai qualcuno rischierebbe di entrare in una proprietà privata per rubare un pupazzo?». Bisbiglio tra me e me.

«Come?».

«Ah, niente signor Callaway. E' stato di molto aiuto, sicuramente si tratta di un dettaglio che può fare certamente comodo». Come cazzo gli dico che il caso è stato chiuso e che non avrà risvolti? Cazzo!

Sto per mettere già la cornetta e salutarlo, quando Mark riprende a parlare. «Non è tutto, detective».

«Cos'altro c'è?». Domando.

«Nello zaino di scuola, tra i quaderni di Irina abbiamo trovato alcuni disegni molto strani. Mia moglie è terrorizzata e devo ammettere che anche io lo sono».

«Mi preparo e vengo subito da lei, allora. Mi riesci intanto a spiegare cosa raffigurano?».

C'è qualche secondo di silenzio prima della risposta di Mark dall'altro capo. «Un bosco. Dei rami. Un uomo alto e magro. Un uomo senza volto».

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Capitolo 11
*** Episodio 11 ***


E' gelido il manto rosa dell'alba a Mason Creek, come la pelle di una ragazza trovata morta all'ombra di un bosco o sul guado di un fiume. L'immagine ricorrente del corpo di Sofia Monroe mi passa per la testa perforandomi le tempie da parte a parte, poi svanisce.

Da Cone Street raggiungo a piedi il bar di Hoogan sulla Bluerain, nel frattempo io miei pensieri bruciano nell'affollatissima stanza delle domande. Al bar provo a chiamare Billy Wide dal telefono, ma non risponde nessuno. Ritento e, dopo un caffè, chiamo Ed Green, tenente capo della unità omicidi dell'FBI.

«Ed, ascolta! Non puoi accettare che quello stronzo di Kooper mi rispedisca a casa a mani vuote. Lo sai come sono fatto».

Ed, sommerso dai rumori d'ufficio, risponde. «Jersey, lo so benissimo come sei fatto, quindi so anche che hai fatto sicuramente fino adesso dl tuo meglio, ma Kooper ha ragione, non ci sono prove, né un testimone, né un indagato o un sospettato. Il caso viene chiuso, punto e basta. Quando torni?».

A malapena lo sento attraverso il telefono, ma abbasso la testa ancora appesantita dal Jack Daniel's e rispondo. «Oggi, prima di pranzo prendo il treno e arrivo. Come mai tutta questa fretta, hai già un altro caso impossibile da risolvere?».

«Non so se affidarlo a te o a Josh. Lo sceriffo e i suoi hanno trovato un'intera famiglia, compresi i figli, accoltellata in un condominio nel quartiere di Stonescliffe. Hanno interrogato il vicinato».

Scosso la testa e sorrido. «Lo sapevo che c'era il trucco. C'è sempre il trucco. Ed, io devo trovare Sofia Monroe, dammi qualche altro giorno per raccogliere prove ed arrivare a un risultato».

«Non posso. Domani mattina ti voglio in ufficio».

Lo mando a fanculo, anche se è il mio capo e caccio già la cornetta. Tutto questo tempo a Mason Creek sprecato per non arrivare a nulla. Vaffanculo!

Provo a richiamare Wide a casa e lascio un messaggio in segreteria dicendogli che lo stavo cercando e che mi avrebbe trovato a casa dei signori Callaway.

A piedi fino alla casa di Irina è dura, soprattutto con l'aria gelida mattutina residuo di un burrascoso temporale notturno. Ma voglio vedere quei disegni.

La signora Callaway è pallida e avvolta intorno a un panno di lana quando entro in casa. Le stanze sono buie e soffuse mentre il signor Mark Callaway mi accompagna verso il tavolo, avvolto da una gigantesca nube di fumo di sigaretta. Non ho ancora comprato le sigarette, accidenti!

«Ecco, questi li abbiamo trovati dentro i quaderni per gli appunti». Mi informa Mark.

Prendo tra le mani i fogli un po' accartocciati. Alcuni sono solo schizzi fatti con la penna e rappresentano alcuni alberi, forse un bosco. In ogni disegno c'è comunque un cerchio ricalcato più volte. All'interno del cerchio c'è solo il bianco del foglio, nient'altro. Il cerchio, a mezz'aria era in qualche schizzo collegato da linee nere più grosse che gli davano nella totalità la forma stilizzata di uomo. Osservo con cura ogni particolare poi mi rivolgo a Mark senza molti giri di parole o suspense. «Sono venuto a sapere che qui a Mason Creek c'è una leggenda a proposito di questo “demone” ci credete anche voi?». La moglie di Mark seduta sul bordo del divano si fa subito il segno della croce e Mark risponde. «Non credo sia una coincidenza. Perché Irina avrebbe disegnato questo? Credo che in qualche modo c'entri con la crisi di mia figlia e la scomparsa degli altri ragazzi, non c'è altra spiegazione».

«C'è sempre una spiegazione logica a tutto, signor Callaway».

Improvvisamente la signora Callaway, presa da un gesto di follia e delirio si alza dal divano e mi corre incontro con voce sempre più forte. «Dicono che appare nei sogni! Mi a figlia aveva provato a parlarmene! Aveva provato. Appare nei sogni e ti obbliga, ti costringe».

«Calmati, tesoro, per favore non fare...». Mark prova a tranquillizzarla finché non arriva a prendermi per il collo della giacca. Gli occhi lividi di una madre che ha perso la figlia mi fissano pieni di rabbia e odio. «Deve trovare chi ha ucciso mia figlia!».

E' evidentemente fuori di senno dopo l'accaduto e la capisco, ma gli afferro comunque i polsi stringendoli con forza finché dal dolore non decide di staccarsi da me. Il marito la trascina di nuovo sul divano, mentre lei continua a urlare vendetta verso quel demone che le ha portato via sua figlia. Ridicolo e raccapricciante al momento stesso. Suona il telefono di casa, vicino al televisore e Mark risponde. Poi si rivolge a me. «E' Wide».

Mi avvicino alla cornetta mentre il signor Callaway torna verso il divano, accanto a sua moglie.

«Finalmente Wide, ti ho cercato a casa, dov'eri?».

La voce dall'altro capo non è una delle migliori, sembra stanca e afflitta da qualche cosa di grave. «Shown, questa notte Eric non era tornato a casa, non era da lui fare una cosa del genere. Poi è tornato all'alba, tutto sporco di fango».

Rimango in silenzio finché non mi arriva, dalla voce accartocciata di Wide, il verdetto finale, nonché un palla di dieci tonnellate sulla mia testa. «Eric è tornato sporco di fango e terra, era sconvolto e non capivamo il perché Aveva lo sguardo perso nel vuoto come se non ricordasse nulla. Lo abbiamo portato all'ospedale per vedere se aveva avuto qualche trauma o se era ferito, mia moglie ed io avevamo subito pensato che era caduto da qualche parte e che ferendosi era svenuto. Poi la notizia». Si interrompe.

«Dimmi Billy».

La voce strozzata di Billy s'annega nel pronunciare la frase successiva. «Ero all'ospedale quando Kooper mi chiama dalla centrale. I due grandi amici di mio figlio sono non sono tornati a casa questa notte e non si sa nulla di loro da ieri pomeriggio».

«Ti raggiungo subito all'ospedale, dammi dieci minuti. Prendo il tram che ora è in servizio».

Metto giù la cornetta. Infilo i disegni di Irina in una busta ed esco di fretta dalla casa dei signori Callaway scusandomi brevemente per quell'improvviso contrattempo. 

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Capitolo 12
*** Episodio 12 ***


«Sta bene, non ha ferite. E' solo sotto choc. Ora lo riportiamo a casa». Wide mi informa delle condizioni di suo figlio Eric non appena varco la soglia della stanza d'ospedale. La moglie di Wide è seduta sulla sedia, accanto ad Eric. Il giovane è sveglio e ha gli occhi persi nel vuoto verso il soffitto.

«Ora tesoro andiamo a casa, così potrai dormire un po' e riposarti». Dice la signora Wide accarezzando la guancia sinistra del figlio.

Eric spalanca le palpebre come sorpreso da un ricordo traumatico e scuote la testa. «Non voglio dormire».

Allora mi avvicino di più a Wide. «Billy, devi comprendere che forse tuo figlio è coinvolto nella scomparsa degli altri due ragazzi, come lo era Irina Callaway. Dovrà essere sottoposto a un interrogatorio».

«Mio figlio non ha fatto niente di quello che pensi!». Wide si agita subito, seppur consapevole della verità. «Mio figlio non c'entra un cazzo con quella storia! Oddio!».

«Mettiamo, e lo spero, che non c'entri niente, ma è comunque una delle ultime persone che ha visto quei ragazzi. Ed anche se scopriamo che quel pomeriggio non li ha visti, è comunque una delle persone che effettivamente era più vicino a loro essendo ottimi amici. Devi accettare questa situazione».

La signora Wide si volta verso di me minacciosa. «Detective Shown, non si permetta nemmeno di pensare che mio figlio c'entri con quelle sparizioni. Ci dev'essere una spiegazione, forse si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato».

«Signora Wide, io faccio il mio lavoro ed ogni persona è un potenziale colpevole. Non farò più lo sbaglio di..». Mi fermo perché mi rendo conto di stare per dire qualcosa che non avrei potuto rivelare sul mio passato. Quella cosa che ho fatto! Ero proprio diventato cieco alla realtà! Scuoto la testa per eliminare il ricordo e mi rivolgo a Wide. «Come si chiamano gli altri due ragazzi scomparsi?».

«Martin Hoover e Jason Davies. Entrambi di diciassette anni».

«Wide, devi promettermi che li troverai. Sei un bravo investigatore, sono sicuro che ce la farai».

In quell'istante Kooper bussa alla porta. Il cappotto completamente fradicio. Guardo fuori dalla finestra della stanza. Ha ripreso a piovere di nuovo.

«Detective Shown, Wide. Mi seguite un attimo nel corridoio, vi devo parlare».

Le seguiamo poco oltre la stanza e, mentre un nuovo lampo illumina il volto stanco e preoccupato di Billy Wide, le nostre ombre si proiettano taglienti sul pavimento lucido del corridoio e la luce neon del reparto ci abbraccia fredda come la morte.

«Ho saputo cosa è accaduto e ho due foto in più sulla bacheca dei ragazzi scomparsi, per non parlare di quattro genitori in più incazzati con le forze dell'ordine di Mason Creek e un telefono in ufficio rovente dalle chiamate dei giornalisti. Wide, tuo figlio può essere coinvolto nella storia, oppure potrebbe essere una delle vittime che è riuscita a scappare da quel pazzo maniaco. In entrambi in casi risulta coinvolto. Ovviamente a questo punto il caso rimane aperto, tuttavia Wide tu non potrai più investigare su di esso, in quanto emotivamente coinvolto nella situazione». Fa una brevissima pausa e intanto io cerco le sigarette che non ho ancora comprato, poi riprende rivolgendosi a me. «Shown, ho già chiamato Ed Green che mi ha autorizzato, date le circostanze, ha tenerti qui a Mason Creek per indagare sul caso dei ragazzi scomparsi».

Wide obbietta. «Non voglio uscire dal gioco e intendo aiutare Shown fino alla fine, dal momento che ho seguito le indagini assieme a lui fino a questo momento. Potrei essergli d'aiuto».

«Non discutere Billy». Lo ammonisce Kooper. «Tu ora sei entrato troppo nel gioco. Non puoi più aiutare il detective Shown con le indagini. Questo è quanto. E il tenente Green è d'accordo con me sulla questione».

Wide allora cerca nel mio sguardo un appoggio. Un appoggio morale che non posso dargli. Kooper questa volta ha ragione e non posso ribattere. Penso al plettro per chitarra che ho ancora in tasca e penso alle miei supposizioni a riguardo. Quel plettro è una prova importante e, se è come penso io, confermerebbe la mia ipotesi su chi potrebbe essere entrato nella camera di Irina Callaway. Devo andare al negozio di strumenti musicali sulla Jackson Avenue.

«Kooper ha ragione, Billy. Finché non ci saranno ulteriori sviluppi che confermeranno che tuo figlio è innocente, non puoi lavorare al caso». Mentre dico questo aspetto che Kooper sia distratto per fare l'occhiolino a Wide. Segno d'intesa. Non deve ribattere, cosicché la discussione non prosegua ulteriormente.

«Bene Wide, vedo che hai compreso lucidamente la situazione. Si intenda che non vorrei assolutamente buttarti fuori, ma non ho altra scelta in questo momento».

Un'infermiera si avvicina a Kooper. «Signore, la desiderano al telefono. Mi segua verso la hall del piano». Kooper si allontana un attimo ed io non spreco tempo per rivolgere qualche parola a Wide. «Billy, ascolta bene. Abbiamo iniziato questo inferno insieme e tu mi sei indispensabile in città. Conosci gente e possibili collegamenti. Ufficialmente sei fuori dalle indagini, ma puoi comunque indagare per mio conto se ti chiederò di scoprire qualcosa per me».

«Io voglio trovare quello stronzo, Shown! Voglio trovarlo e cacciarlo dentro. Conoscevo Martin e Jason. Venivano ogni sabato pomeriggio a casa nostra. Dobbiamo trovarli, Shown. Altrimenti non riuscirò più a guardare negli occhi i loro genitori quando li incontrerò».

«Tiene duro, Billy. Questo è lo spirito giusto. E tuo figlio è ancora con te, ringrazia il cielo per questo».

Kooper torna di gran fretta verso di noi e a metà corridoio comincia già a parlare. «Sharon mi ha appena detto che il calco del gesso che avevate richiesto è pronto». Arrivato a noi si volta verso di me. «Shown, puoi passare in laboratorio per analizzarlo».

«Quando esco da qua, passo alla centrale. Intanto suggerirei di immettere un coprifuoco per le ore notturne, con particolare attenzione nei confronti di ragazzi e ragazze tra i quindici e i diciotto anni».

«Non voglio creare ulteriore panico tra i cittadini. Il coprifuoco li renderebbe solamente più nervosi».

«Il panico, signor Kooper, è esattamente quello che ogni cittadino deve provare a questo punto della storia. Sedici, Kooper. Sedici. Siamo arrivati a sedici persone scomparse in poco più di due anni. La gente deve stare attenta o andarsene da Mason Creek».

«D'accordo, farò in questo modo. Ora vado a dare la notizia».

Kooper se ne va e Wide ed io rimaniamo soli nel corridoio soffuso e sterile.

Estraggo dalla tasca il plettro per chitarra e lo pongo a mezz'aria tra me e Wide. «Billy, lo riconosci questo, per caso?». Getto la carta con orgoglio sul tavolo in attesa di qualsiasi reazione.

Wide lo esamina un po' alla luce del neon sopra le nostre teste poi esclama. «Eric ne ha uno simile che ha comprato qualche giorno fa. L'hai preso dal vecchio Bob sulla Jackson?».

«No, l'ho trovato nel fango nel cortile, sotto la finestra della stanza di Irina Callaway, accanto all'impronta della scarpa».

Wide non risponde, ma leggo nei suoi occhi lo sgomento di un'illuminazione di idee non molto piacevoli. Un tiro mancino, lo ammetto. Ma devo andare avanti con le indagini e ogni dettaglio è fondamentale. «Appena Eric sarà pronto per parlarmi, dovrò fare con lui un piccola chiacchierata».

Wide sta per dirmi qualcosa quando lo anticipo. «Billy, io voglio che tuo figlio non c'entri niente con tutto ciò. Lo voglio veramente, credimi».

 

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