Slow, love, slow.

di _Marlena_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


«Oh, andiamo Matt! Non posso credere che tu mi abbia convinto a venire qui con te!» dissi sfregandomi le mani lungo le braccia coperte dal cappotto.
Eravamo in fila fuori dal botteghino, in attesa di prendere i biglietti per poter entrare allo spettacolo.
Era una serata particolarmente fredda, soffiava un forte vento e il cielo era coperto da uno spesso strato di nuvole bianche. Avrebbe presto nevicato.
«Dai Amy non fare così» disse dandomi una pacca sulla spalla e scoppiando a ridere quando vide che lo stavo guardando male.
«E poi tu sei l’unica in grado di apprezzare come me un bel culo» e alzò le sopracciglia mordendosi il labbro inferiore sussurrandomi questa ultima frase.
«Matthew!»
Lo sapeva benissimo che mi dava fastidio quando diceva queste cose davanti ad altre persone. Quello che facevo sotto le coperte riguardava solo me.
Gli diedi un pugno sul braccio, sapendo che non gli avrei fatto male.
La fila si muoveva lentamente, anche se mancavano poche persone davanti a noi. Mi guardai intorno, osservando chi mi circondava.
C’era un gruppo di ragazzi, avranno avuto sui 20 anni, e parlavano concitati fra loro immaginando cosa sarebbe successo da lì a breve. Molto probabilmente era la prima volta che assistevano ad una cosa del genere.
Come me dal resto.
Dietro di loro c’erano vari uomini, di diverse età. Alcuni sembravano padri di famiglia, altri uomini soli, lasciati dalle proprie mogli e in cerca di una piccola distrazione, o che non erano ancora riusciti a trovare l’amore della loro vita.
Mi piaceva osservare le persone che incontravo lungo la mia strada. Immaginavo la loro vita, le loro storie passate, i dolori e le gioie. Erano poche le volte in cui mi sbagliavo su qualcuno. In genere riuscivo a leggere le persone molto bene.
Arrivò il nostro turno e Matt pagò anche il mio biglietto, dicendo che era un piccolo anticipo sul mio regalo di compleanno. Peccato che compissi gli anni due mesi dopo.
Entrammo nel locale e lasciammo i nostri cappotti al ragazzo del guardaroba, che mi guardò abbastanza incuriosito, ma non ci feci molto caso poiché il mio migliore amico mi stava raccontando della sua ultima conquista.
Proseguendo, arrivammo nel locale vero e proprio. Era una stanza abbastanza grande, dalle pareti nero lucido e lampade a muro che riflettevano una luce soffusa ma capace di illuminare bene il locale. Ci dirigemmo verso il bancone e Matt salutò il barista ordinando subito dopo due birre. Quando tornò da noi con le nostre ordinazioni mi guardò e disse al mio amico, senza però staccarmi gli occhi di dosso e indugiare più del dovuto sul alcune parti del mio corpo, cosa ci facesse lì una bella ragazza come me, facendomi poi l’occhiolino e sporgendosi dal bancone per avvicinarsi. Mi avvicinai anche io a lui, presi una delle due birre dalle sue mani e gli risposi che ero in quel locale per lo stesso motivo del mio amico, e me ne andai senza aspettare una risposta, lasciandolo lì imbambolato.
C’erano diversi tavolini rotondi disposti davanti ad un palco, molti erano occupati così mi sedetti vicino alla parete di sinistra, nel primo tavolino davanti al sipario blu ancora calato.
Matt mi raggiunse e si sedette accanto a me.
Appoggiai la mia mano sulla sua e lo osservai bene.
Sarebbe stato il perfetto principe azzurro, quello che tutti le madri avrebbero voluto vedere accanto alla propria figlia: occhi azzurri, capelli castani corti e leggermente mossi e una piccola barba che gli correva da un orecchio all’altro lungo la mascella.
Matthew era stato il primo a cui avevo detto che mi piacevano le ragazze. Gli scoppia a piangere davanti quando si mise a ridere, poi mi abbracciò e mi disse che saremmo andati assieme in cerca di giovani donzelle da sedurre.
Sorrisi a quel ricordo. 
 
https://www.youtube.com/watch?v=t6l4H689FtM

Poi le luci si abbassarono gradualmente e il brusio si spense mentre il mio cuore accelerò di qualche battito, senza che me ne rendessi conto. E senza saperne il motivo.
Il suono di un pianoforte riempì il locale e mentre il sipario si alzava, si aggiunsero il suono di una batteria e di un contrabbasso.
Sul palco, disposti a semicerchio e in penombra, c’erano diversi ragazzi che suonavano.
Al centro del gruppo si poteva vedere lo scintillio delle gambe lunghe di una sedia in acciaio. Si intravvedeva anche la sagoma di qualcuno, ma era ancora ricoperto dall’ombra, come a volerne celare l’identità.
Poi una luce si accese proprio lì, ad illuminare tutto, e le parole di  quella canzone riempirono l’area.
    Come and share
    This painting with me
    Unveiling of me,
   The magician that never failed

Una ragazza era seduta su una sedia alta, come quella dei banconi dei bar. Però non era completamente seduta, si appoggiava e basta.
Aveva un lungo vestito blu che le fasciava alla perfezione il corpo. I capelli erano neri come la notte, raccolti in un’acconciatura semplice ma elegante. Aveva gli occhi chiusi, come se si stesse concentrando e volesse estraniarsi da tutte quelle persone che la fissavano.
    This deep sigh
    Cover all my chest
    Intoxicated by
   A major chord

Notai che manteneva il tempo con il piede sinistro, mentre con la mano destra reggeva il microfono.
Si muoveva lentamente, oscillava piano, seguendo la musica. Come se seguisse il ritmo del suo cuore.
    I wonder do I love you or the thought of you?
In quel momento aprì gli occhi.
Era una dea.
O forse un angelo?
No, di sicuro era qualcosa di meglio.
E i suoi occhi. Erano blu. Di un blu perfetto.
E stavano proprio guardando me.
Aveva appena aperto gli occhi, e io fui la prima persona che vide.
Notai un piccolo scintillio in quel mare che erano gli occhi di quella ragazza.
Ma non riuscivo ad andare oltre.
    Slow, love, slow
    Only the weak
    Are not lonely
Si alzò dalla sedia e scese le scale del palco, iniziando a camminare lentamente e in modo sensuale fra tutte le persone sedute nella sala.
Muoveva le spalle mentre cantava.
Viveva la canzone.
Era bellissima.
Sembrava essere appena stata catapultata dagli anni ’50. Una di quelle donne che cantavano nei locali blues e jazz, dove si ritrovavano i malviventi a bere whisky, fumare sigari e giocare a poker. Proprio come nei film. Solo che lei sembrava così reale.
    Southern blue
    Morning dew
    Let down your guards

    I love you
    
Ice cream castles
    Lips to ear rhymes
    A slumber deeper than time

L’ultima persona a cui passò di fianco fui io. Aveva catturato la mia attenzione come nessun altro con quei suoi occhi. Notai che spesso si voltava a guardarmi, mentre passava vicino alle altre persone.
E mi sorrideva.
La stavo seguendo da quando era scesa dal palco. Mi resi conto che avevo la bocca leggermente aperta, quindi la richiusi, vedendola avvicinarsi a me.
Mi sfiorò la schiena prima di allontanarsi e io sentii un brivido percorrermi tutto il corpo.
    Slow, love, slow
    Only the weak
    Are not lonely
Era tornata sul palco, ora sembrava di nuovo irraggiungibile.
E mentre il chitarrista faceva un assolo, lei posò il microfono nell’asta e si voltò, dando le spalle al pubblico. Il vestito le lasciava scoperta tutta la schiena.
In  quel momento decisi che aveva una schiena perfetta.
La vidi portarsi le mani sulle spalline come per farle scivolare lentamente giù.
Si stava spogliando.
Il mio cuore sembrava seguire lo stesso ritmo della musica ora.
Era incessante, veloce, martellante.
Una spallina era scivolata.
Notai che aveva un tatuaggio sulla spalla, ma non capii bene cosa fosse. Era troppo lontana.
E anche l’altra spallina era andata.
Abbassai la testa, incapace di guardare.
Sentivo che il mio viso stava andando a fuoco, i miei occhi si stavano inumidendo e avevo una strana sensazione allo stomaco.
Non riuscivo a capire.
Non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo.
    Slow
Ero lì per quello dopotutto.
    Slow, love, slow
Sapevo che sarebbe successo.
Eppure non riuscivo a guardare quel miracolo che si stava spogliando.
Ricordai di avere Matt di fianco, così mi voltai a guardarlo.
Era rapito dalla quella visione sul palco.
Potevo capirlo bene.
Guardai il resto delle persone in quella stanza. Erano tutti uomini. E avevano tutti lo stesso sguardo.
Mi resi conto di essere l’unica donna in quella stanza.
Così mi concentrai il più possibile sulla bottiglia fra le mie mani, nonostante riuscissi ancora a vedere cosa stesse succedendo con la coda dell’occhio.
    Slow, love, slow
    Slow
    Slow
Sperai che almeno la sua intimità fosse coperta.
Ormai la musica era sparita.
Sentivo solo il mio cuore nelle orecchie e la sua voce.
La sua bellissima voce.
Sentii un lungo applauso alla fine. E diversi fischi.
Poi il sipario si abbassò e io finalmente riuscii ad alzare la testa.




N.d.A.
Buonasera! O buongiorno, dipende da quando state leggendo la storia xP
Questo è un piccolo esperimento, non avevo mai scritto una sogn-fic, ma questa canzone... Come potevo non scriverci una ff sopra?
Comunque loro sono i Nightwish! Il mio gruppo preferito <3
Spero vi piaccia la canzone e in generale la mia storia :)

A presto, sperando di avere ancora ispirazione per continuare la storia!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Odiavo Matt, in quel momento. Lo odiavo con tutto il cuore. Perché mi aveva costretta, in pratica, a preparargli la cena di quella sera. Cena che, ovviamente, avrebbe spacciato per sua, davanti alla sua nuova ragazza.
Io però, in quel momento, ero sola a spingere il carrello dentro il supermercato, mentre lui era a giocare a baseball, con i suoi amici.
Lo odiavo, soprattutto perché mi aveva mandato un semplice messaggio mezz’ora prima, senza lasciarmi alternative.
Mi sarei vendicata, gli avrei comunque preparato la cena, ma la mia vendetta sarebbe arrivata.
Camminavo tra i vari reparti, guardando distrattamente gli scaffali e i prodotti esposti, stando attenta a non scontrarmi contro qualcuno e cercando di ideare un menù decente per quello che era il mio migliore amico. Presi alcune cose necessarie e mi fermai in un reparto, facendo il punto della situazione.
Il supermercato era affollato, come ogni pomeriggio. Non mi dispiaceva stare con le persone, mi piaceva il brusio di sottofondo, ascoltare estratti di conversazioni altrui. C’erano due fidanzati che stavano scegliendo cosa mangiare quella sera; una coppia di vecchietti, che si stringevano la mano e camminavano piano, sorridendosi come il primo giorno e sostenendosi l’un l’altro; c’erano bambini che correvano e pregavano la madre per avere un pacchetto di caramelle; c’era anche qualcuno che canticchiava. Mi ricordava un motivo conosciuto, quelli che ascolti una volta e poi sei in grado di ricordare, ma non ricordi  dove lo hai già sentito. Così iniziai a tamburellare il tempo sul manico del carrello, finché non mi giunsero alle orecchie tre parole.
Solo tre parole.
      Slow, love, slow
Conoscevo quelle parole.
Ricordavo le labbra che le avevano pronunciate.
E i suoi occhi, che vedevo ogni sera, quando chiudevo i miei.
Mi fermai all’improvviso.
Non poteva essere lei.
Eppure quella voce…
Qualcuno mi urtò da dietro, con un carrello, ed io persi l’equilibrio, non aspettandomi di dover cadere.
«Scusami, non volevo» sentii una donna dire dietro di me.
C’era preoccupazione nel suo tono, così mi voltai lentamente, avevo male al ginocchio.
Davanti a me si presentarono due scarpe sportive e un paio di gambe fasciate da dei jeans chiari.
Salii con lo sguardo e trovai una mano tesa davanti a me, così la presi e mi tirai su, voltandomi, per nascondere il viso che sentivo in fiamme.
Stavo per dirle che era tutto apposto, che non mi ero fatta nulla, quando una mano si appoggiò sulla mia spalla per farmi girare.
Così seguii il movimento.
E li rividi.
Erano lì davanti a me, quei due bellissimi occhi.
Era lei, la cantante.
«Tutto bene?» disse avvicinandosi un po’.
«Sì, sto…sto bene» feci un passo indietro.
Non riuscivo a starle così vicina. Non ci riuscivo perché aveva un buon profumo, sapeva di vaniglia.
E io adoravo la vaniglia.
«Sei sicura?» inclinò leggermente la testa di lato, guardandomi con attenzione.
«Io…sì, devo andare»
 
Bussai alla porta.
Una, due, tre volte.
Nessuna risposta, così aprii con le mie chiavi e ripresi i sacchetti in mano, chiudendo la porta con un piede una volta entrata. Lasciai la spesa in cucina, mi tolsi il cappotto e lo appoggiai su una sedia. Sentivo il rumore dell’acqua che scorreva in bagno, così andai lì.
«Matt, ehi Matt sono io» dissi entrando e lo trovai sotto la doccia che si lavava i capelli.
«Ehi dolcezza, vuoi entrare con me? Un po’ di sesso insaponato prima di cena aumenta l’appetito» disse ridendo per poi togliere un po’ di vapore che si era formato all’altezza del suo viso sul vetro della doccia, per potermi guardare.
«Scusa per il messaggio di prima, ma i ragazzi mi stavano chiamando in campo e non avevo molto tempo per spiegarti tutto. E poi dai» continuò sciacquandosi e chiudendo tutto, per poi prendere l’asciugamano che gli stavo passando e mettendoselo in vita per uscire «tu sei una cuoca provetta!» e scoppiò a ridere, ma si fermò subito, notando la mia espressione.
«Amy, che succede?»
Abbassai la tavoletta del water per sedermici sopra, mentre lui si accovacciò davanti a me, ancora tutto bagnato, appoggiando le sue mani sulle mie ginocchia.
«L’ho vista…»
«Chi hai visto Am?» sembrava spaventato, dovevo avere un aspetto orribile.
Provavo ancora qualcosa nel basso ventre, una sensazione di calore, la stessa della prima volta che l’avevo vista, ma ora si era ripresentata, più forte di prima.
Non riuscivo a capire che cosa fosse e perché mi stesse succedendo.
«Ti ricordi quando, settimana scorsa, siamo usciti per…per andare in quel locale?».
Lui scoppiò a ridere.
«Certo, ricordo bene. Ricordo anche che avevi un po’ di bava all’angolo della bocca quando… Aspetta, mi stai dicendo quella lei che hai visto è Quella Lei?»
Feci impercettibilmente segno di assenso con la testa e lui si alzò di scatto, facendo scivolare per terra l’asciugamano.
«Dio Matt!» mi volta rossa in viso, per non vederlo.
Volevo bene a Matthew, ma quello che aveva tra le gambe mi disgustava.
«Oh, scusa Amy» scoppiò a ridere, abbassandosi per prendere l’asciugamano e recuperandone poi un altro per asciugarsi capelli e petto.
Lo lasciai da solo e andai in cucina mentre lui iniziava a vestirsi.
Quando arrivò da me, aveva indosso un pantalone nero e una semplice camicia azzurra, che faceva risaltare i suoi occhi.
Sorrisi nel vederlo così, era un bravo ragazzo, anche se sembrava un rubacuori e un bastardo. Un po’ bastardo con me lo era, come lo ero io con lui.
Iniziò ad apparecchiare per due, poi si fermò per guardarmi incuriosito.
«Allora, come è andata? Dove vi siete viste? Le hai già infilato una mano nelle mutandine?» e si abbassò sghignazzando per evitare il tappo che gli avevo lanciato.
Matt era così, peggio di una ragazzina che voleva far confidare la propria amica alla prima cotta.
«Niente di che, ero al supermercato. Mi ha investita e poi mi ha aiutato a rialzarmi» dissi diventando tutta rossa e sorridendo al ricordo della mia mano nella sua.
Lui mi guardò incuriosito, come per farmi andare avanti nel racconto.
«E poi sono andata in cassa altrimenti non avresti cenato stasera. E lei mi ha seguita, mettendosi in fila in un’altra cassa. Ho notato che ogni tanto mi guardava, sembrava stesse cercando di capire chi fossi. Almeno credo…» risposi alzando le spalle e spegnendo il fuoco del fornello.
Matt si appoggiò al tavolo, accarezzandosi lentamente la barba che gli ricopriva la mascella.
Stava pensando. Ed era preoccupante quando pensava.
Poi gli si illuminarono gli occhi e si sfregò le mani, avvicinandosi a me per appoggiarmele sulle spalle.
«Ho deciso! Domani torniamo al locale!» disse entusiasta.
«Che cosa?!» esclamai, ma non ebbi il tempo di dire altro perché qualcuno bussò al citofono.
«E’ Jane. Okay Amy, devi andare. Grazie di tutto, sei la migliore» disse trascinandomi verso la porta, in fretta. Poi la aprì e mi sorrise «Sai, Jane è un tantinello gelosa e se ti trovasse qui… Ti voglio bene Am» e chiuse la porta, lasciandomi nel corridoio fuori dal suo appartamento.
Il mio migliore amico mi aveva appena sbattuta fuori da casa sua.
Chiusi gli occhi, scuotendo la testa. Matthew era davvero impossibile. Per fortuna avevo avuto la prontezza di recuperare la giacca e la borsa, così mi incamminai fino ad arrivare davanti alla porta dall’altro lato del corridoio, qualche metro prima rispetto a quella da cui era appena uscita.
Mentre mettevo la chiave nella toppa, sentii le porte dell’ascensore aprirsi e una ragazza magra dai capelli rossi si diresse verso l’appartamento di Matt, passandomi accanto.
Indugiai qualche secondo, facendo finta di cercare qualcosa di estremamente importante nella borsa, così lei bussò e Matt aprì subito, salutandola con un bacio e poi abbracciandola. Mi guardò sorridendo, come per dire che era bravo a scegliersi le ragazze ed io gli risposi con un occhiolino e mimando un applauso.
Poi entrarono in casa ed io entrai nella mia. Era un piccolo appartamento, per due persone, quindi io ci stavo più che bene.
Accesi la luce della sala, che mi faceva anche da ingresso e dove c’era la cucina. Andai verso il microonde e vi infilai una pizza congelata, poi andai in camera, spogliandomi e mettendomi qualcosa di più comodo. Ritornai poi nell’altra stanza e mi avvicinai al vaso dei fiori messo su un tavolino dietro al divano, raccogliendo le foglie secche che erano cadute.
Adoravo i fiori, credevo che per ogni occasione ci fosse un fiore adatto, che rappresentava alla perfezione la situazione. Per me si poteva esprimere tutto con un fiore. Per questo avevo deciso di diventare una fioraia.
Il timer del microonde mi avvisò che la mia cena era pronta, così misi la pizza in un piatto ed andai a sedermi sul divano.
Adoravo cucinare, ma non quando ero sola, era un po’ deprimente. Per fortuna, ogni volta che era possibile, Matt ed io mangiavamo assieme.
Accesi il televisore, cercando qualcosa da guardare mentre addentavo la mia pizza, finché non trovai la mia serie tv preferita. Trasmettevano una nuova puntata, ma non ero molto concentrata. Ogni volta che chiudevo le palpebre, mi trovavo davanti i suoi bellissimi occhi blu, e sentivo il mio battito aumentare, sentendo anche il suo profumo, come se lei fosse lì con me.
 
 
 
Buongiorno/sera!
Eccoci qui con un nuovo capitolo. E’ un capitolo un po’ così, non sono ancora sicura della storia, ma ho una mezza idea nella mia capoccia.
Spero che il racconto vi piaccia e ringrazio di cuore chi ha letto, chi ha recensito e chi ha messo nelle seguite lo scorso capitolo! Grazie mille!
Se vi è piaciuto o meno o se avete qualche idea, io sono qui!
Alla prossima :)

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Misi le mani attorno alla tazza bollente piena di tè alla menta per scaldarmi.
Mi voltai per guardare l’orologio appeso sulla parete della cucina. Erano le sette, avevo ancora una buona mezz’oretta prima di uscire e andare ad aprire il negozio.
Non ero mai stata una persona che amava dormire, mi piaceva alzarmi presto, fare le cose con calma, senza fretta, e prendermi del tempo per guardare il mondo che mi circondava.
Mi girai nuovamente, ero seduta su una sedia davanti alla finestra, le gambe appoggiate al davanzale.
Soffia nella tazza, per poi bere un po’.
Osservai la neve che cadeva lentamente dal cielo bianco. Era la prima nevicata dell’anno, ma faceva freddo già da alcune settimane.
Ripensai al sogno che avevo fatto quella notte.
Era un sogno strano, non ricordavo bene cosa succedesse, ma ero sicura della sua presenza.
Non avrei mai potuto non notare i suoi occhi.
Scossi la testa, come per scacciare quel pensiero.
Era una donna davvero bella, ma era assurdo il modo in cui continuava a comparire tra i miei pensieri, e ora perfino nei miei sogni.
 
Regolai la temperatura in modo che i fiori e le piante all’interno del negozio non gelassero, poi girai il cartellino sulla porta, facendo vedere che il negozio era aperto.
Passò una buona mezz’ora prima che arrivasse qualcuno.
Sapevo già chi era.
«Buongiorno signor Abe! Come sta?» dissi sorridendo all’uomo che era appena entrato.
Era un uomo anziano, di ottanta anni, che vestiva sempre in modo elegante e si aiutava con un bastone per camminare. Si appoggiò al bancone, sorridendomi, con una piccola nota di tristezza negli occhi scuri che non mi sfuggì. Erano ormai tre anni che ogni domenica mattina, sempre al solito orario, entrava nel mio negozio e prendeva dei fiori da portare sulla tomba della moglie.
Mise una sua mano rugosa sulla mia, appoggiata sul bancone posto fra noi.
«Sto bene Amy, non posso lamentarmi» mi rispose, togliendosi dei fiocchi di neve che si erano attaccati al suo cappotto. «Fa proprio freddo oggi… Hai per caso dei fiori adatti a queste temperature?» chiese con una leggera malinconia, guardandomi però speranzoso.
Sapevo che avrebbe portato i fiori alla moglie a qualunque costo, affrontando tutte le tempeste di neve che potevano abbattersi sulla città.
«L’ho mai delusa?» dissi facendogli l’occhiolino «Ho quello che fa per lei proprio qui»
Feci il giro del bancone e presi da un grosso vado un fiore dal gambo molto lungo, con grandi petali bianchi come la neve e dei lunghi pistilli gialli.
«Questa» e gli porsi il fiore «è una rosa invernale, l’elleboro» e lo guardai sfiorare i petali con una mano, mentre mi faceva un piccolo segno di assenso con la testa e sorrideva, sapendo che stavo per raccontargli qualche piccolo aneddoto sul fiore appena scelto da lui.
«Si dice che, quando Gesù nacque, si aggirasse attorno al luogo una piccola pastorella. La bambina vide arrivare i Re Magi, che offrirono al piccolo preziosi doni, l’oro, l’incenso e la mirra. La pastorella guardò i propri vestiti, e si rese conto di essere coperta di stracci e di non potersi presentare così al nuovo arrivato. Allora si guardò attorno, cercando qualche pietra preziosa, ma non trovò nulla, così si sedette per terra, sotto la neve, e iniziò a piangere disperata. La vide un angelo, che commosso dalla sua dolcezza, si spolverò le vesti dalla neve che gli si era fermata sopra, e quando quei fiocchi toccarono il suolo, subito si formarono dei fiori bianchissimi, come la neve appunto. Così la bambina raccolse i fiori appena germogliati e li portò al bambino» finii di raccontare la storia porgendo il mazzo appena confezionato all’uomo davanti a me sorridendogli.
Il signor Abe mi ringraziò e con un ultimo sorriso mise la mano in tasca per prendere una caramella e lasciarmela sul bancone, com’era solito fare. Lo salutai dopo che mi ebbe pagato e quando uscì dal negozio, andai sul retro a sistemare alcune piante. Pochi minuti dopo, però, sentii il tintinnio delle campanelle messe sulla porta d’ingresso.
«Arrivo» gridai per farmi sentire, mentre mi pulivo le mani sporche di terra sul grembiule.
Quando arrivai vidi una donna, mi dava le spalle poiché stava guardando dei fiori.
«Buongiorno» dissi per annunciarle la mia presenza.
La donna sobbalzò e poi si voltò, per vedere chi aveva parlato.
Spalancai gli occhi.
Non poteva essere.
«Buongiorno a…» mi guardò, socchiudendo leggermente le palpebre, concentrandosi su di me «Un momento, tu sei la ragazza del supermercato?»
«Sì, io…sono io» dissi mordendomi l’interno della guancia e alzando leggermente le spalle, mentre guardavo in basso, sentendomi il viso bollente.
Lei si avvicinò al bancone e rise piano.
Aveva una bella risata, cristallina, armoniosa, che mi fece rilassare.
«Mi dispiace per quello che è successo l’altro giorno» disse sorridendomi sinceramente.
«Stai bene? Non ti ho fatto male, vero?» aggiunse preoccupata.
«No, non preoccuparti, sto bene» sorrisi mentendole, sapendo che in realtà avevo un livido sul ginocchio. «Allora, cosa ti porta nel mio negozio?» chiesi cambiando argomento.
Lei si guardò attorno, mordendosi la parte laterale del labbro inferiore.
Inspirai più volte, cercando di prendere aria che mi sembrava non ci fosse.
Era un gesto tremendamente sexy.
Si voltò, fissando i suoi occhi blu nei miei verde scuro.
Si passò una mano lungo il collo, lasciato scoperto dal cappotto nero leggermente aperto. Seguii il movimento delle sue dita sottili finché non incontrò una catenina argentata, con la quale iniziò a giocare.
Tornai a guardarla negli occhi, deglutendo.
«Stavo cercando una pianta, è il compleanno di una persona speciale e con i fiori non si sbaglia mai, giusto?» disse sorridendomi.
Le feci alcune domande, per capire il destinatario del regalo, ma fu abbastanza vaga. Le mostrai alcune piante e lei alla fine scelse un bonsai dalle piccole foglie verdi e dai rami sottili, sui quali erano germogliati piccoli fiori profumati bianchi qualche settimana prima, una camelia sasanqua. Mi spostai sul bancone per farle una confezione regalo e lei mi seguì, osservando quello che facevo.
«Vuoi anche un bigliettino?» alzai lo sguardo una volta finito di preparare la confezione e la trovai a fissarmi le labbra. Alzò subito gli occhi nei miei e fece di sì con la testa.
Presi un biglietto e una busta da un cassetto e appoggiai la punta della penna sulla carta, pronta a scrivere quello che mi avrebbe detto.
Lei sembrò pensarci qualche attimo, poi mi disse «Alla persona più importante della mia vita, non saprei come fare senza di te» mi lasciò il tempo di scrivere, mentre la mia mano tremava leggermente.
Forse era già impegnata.
Forse era innamorata di qualcuno che a sua volta l’amava.
«Ti voglio bene mamma. Firmato, Judith»
Judith.
E così questo era il suo nome.
Mi piaceva.
Judith.
Trassi un silenzioso sospiro di sollievo sapendo che quei fiori erano per la madre.
Ma perché mi sentivo sollevata nel sapere che quei fiori non erano per qualcun altro?
Le sorrisi e le diedi il tutto, lei mi ringraziò o mi pago, sfiorandomi con le sue dita mentre lasciava le banconote sulla mia mano.
Le consegnai la ricevuta, che guardò per un attimo, poi fece per voltarsi e uscire, ma si fermò ad osservarmi.
«Qual è il tuo fiore preferito? Insomma, hai un negozio di fiori, sicuramente qui in mezzo ci sarà il tuo fiore preferito» disse velocemente, per poi sorridermi.
Sembrava imbarazzata.
Quasi impacciata.
Io mi voltai alla mia destra indicandole con un cenno della testa un grosso vaso pieno di fiori.
«I gigli» risposi sorridendo.
«I gigli» rispose lei, avvicinandosi al vaso e prendendone uno.
Poi tornò da me e me lo diede.
«Vuoi regalarne uno solo?» risi piano.
Lei mi guardò alzando un sopracciglio, poi si passò velocemente la lingua sulle labbra e mi porse il fiore.
«Alla fioraia più bella. Per te Amelia»
Io allungai la mano per prendere il fiore, diventando rossa.
La guardai allontanarsi senza spostare i suoi occhi dai miei per poi uscire dal negozio con un sorriso divertito.
Mi aveva regalato un fiore.
Il mio fiore preferito.
Però non lo aveva pagato.
Ma sapeva anche il mio nome.
Come faceva a sapere il mio nome completo?
Ricordai che sulla ricevuta che le avevo dato c’era scritto il mio nome.
Sorrisi, appoggiandomi alla parete, stringendo il fiore al mio petto e chiudendo gli occhi.
 
 
 
 
Eccoci qui con il terzo capitolo!
Mi scuso immensamente per il ritardo, ma l’ispirazione se non c’è, non c’è!
Spero vi piaccia e che sia di vostro gradimento :)
Alla prossima!
Marly 

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