Taking over me

di Rowan936
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You don’t remember me… ***
Capitolo 2: *** ...but I remember you ***
Capitolo 3: *** I believe in you [Epilogo] ***



Capitolo 1
*** You don’t remember me… ***


Angolo autrice
Io sottoscritta me medesima non ho idea di quale sia l’origine di questa cosa qua sotto. O meglio, so che ha qualcosa a che fare con la canzone “Taking over me” degli Evanescence (che trovate nel titolo, nei titoli dei capitoli e anche nelle citazioni a inizio capitolo) ma non è ben chiaro quando e come io sia finita a scriverla. Comunque, andiamo avanti. Niente da fare, io e l’angst andiamo a braccetto come Vegeta e Gohan (?). Siamo inseparabili, anche quando tento di scrivere qualcosa di allegro (sì, perché a volte parto con delle buone intenzioni) finisco nelle catastrofi/sofferenze-varie. La storia qua sotto non è da collocare in una particolare serie, diciamo che la storia tra Vegeta e Gohan è stata più o meno quella descritta nel riassunto che trovate QUI, e se vogliamo forse c’è un accenno a QUESTA piccola OS, ma di fatto penso sia leggibile da sola. Non credo di avere altro da aggiungere, ringrazio chiunque abbia l’ardire di leggere questa mia ennesima Vegehan, come sempre chiunque abbia consigli da darmi per aiutarmi a migliorare è ben accetto :)
 

 
 
Disclaimer » Dragon Ball © Akira Toriyama.
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You don’t remember me…
 
 
 
 
I lie awake and try so hard not to think of you
But who can decide what they dream?
 
 
« Vegeta, so che non dev’essere facile, lo capisco. »
No, lei non capiva proprio niente.
Imprecò tra i denti, lanciando occhiatacce al telefono da cui proveniva il messaggio lasciato da Bulma, quasi la sua rabbia fosse stata sufficiente a farlo saltare in aria.
Avrebbe potuto distruggere l’apparecchio con poco più che il movimento di un dito, ma non lo fece, continuando a giacere a terra simile in tutto e per tutto a un corpo morto, fatta eccezione per il fatto che stesse respirando e che il volto fosse contratto in una smorfia rabbiosa – finta, tutto ciò che provava era vuoto.
« Non ti chiedo di accettare la cosa con ottimismo, so che non ci riusciresti mai, solo… Siete stati insieme per tanto tempo… »
Anni della sua esistenza buttati all’aria, svaniti in una nube di fumo per colpa di un singolo errore di calcolo.
Se solo non avesse tardato di un istante a colpire il loro avversario, se solo non avesse avuto quell’unico momento di esitazione dovuto alla paura di sbagliare e colpire la scienziata stretta nella morsa del mostro, questi non avrebbe potuto attaccare, non avrebbe potuto colpire Gohan.
Esitare per una misera terrestre: un errore imperdonabile che aveva pagato caro.
« Non puoi abbandonarlo proprio ora. »
E se gli fosse rimasto accanto, così come Bulma gli stava dicendo di fare, a chi avrebbe giovato?
Non a Gohan, poiché lui non era certo mai stato portato per il supporto. Non a lui, poiché convivere con quella sua condizione non avrebbe fatto altro che distruggerlo dentro. A che scopo, dunque, avrebbe dovuto tentare?
« Non si ricorda di te, è vero, non si ricorda di nessuno di noi, ma non è sparendo dalla sua vita che cambierai le cose. »
Invece sparendo avrebbe cambiato qualcosa.
Avrebbe rimediato a un errore che si era protratto troppo a lungo. Avrebbe permesso al ragazzo di vivere tranquillamente accanto a qualcuno di diverso e avrebbe permesso a se stesso di allontanarsi da tutti quei sentimenti che lo stavano rovinando – era colpa di quelle maledette emozioni se aveva esitato, con fatali conseguenze.
Tutte scuse, riconobbe una parte di lui.
Era semplicemente troppo doloroso convivere con quella situazione, affrontare la consapevolezza di essere poco più che un estraneo per lui.
« Non voglio obbligarti a fare nulla, vorrei solo che tu ci pensassi… E mi piacerebbe che mi dessi retta, alla fine. »
Era rimasto accanto a Gohan finché non era tornato cosciente, vegliando il suo sonno e uscendo dalla finestra ogni volta che qualcuno metteva piede nella stanza, premurandosi di mantenere l’aura azzerata e di spiare all’interno della camera con discrezione, per poi tornare dentro una volta che fossero rimasti solo lui e il ragazzo.
Quando Gohan aveva finalmente aperto gli occhi, mancava mezz’ora all’orario di visita e Vegeta aveva sussultato di sorpresa, non riuscendo poi a trattenere un mesto sorriso. Questo, fino a quando non aveva visto il vuoto negli occhi del ragazzo.
“Dove sono?” aveva farfugliato questi, con voce roca e impastata. “Chi sei?”
Non aveva detto nulla, Vegeta, gli aveva semplicemente voltato le spalle ed era uscito – scappato – dalla finestra.
« Forza, non arrenderti, che fine ha fatto il Principe dei Saiyan? »
Sorrise amaramente.
« Saiyan… » sussurrò, con una mezza risata fuori posto. « Non sono degno di questa razza, non più… »
Era fuggito, alla stregua dei codardi che tanto disprezzava, non era stato in grado di sostenere quegli occhi – così vuoti, privi dei sentimenti che ormai era abituato a scorgervi – per più di qualche istante.
Chi sei?
« Chiamami, se ti serve qualcosa. Ciao… »
Accolse il bip che segnava la fine del messaggio come una liberazione: non voleva ascoltare nessuno, non voleva pietà o consigli, tutto ciò di cui aveva bisogno era togliersi la voce di Gohan dalla testa.
Chi sei?
 
 
*    *    *
 
 
Lo fissò con sguardo gelido, non accennando alcun movimento che potesse far intendere che avesse alcuna intenzione di farlo entrare.
Gohan lo guardava sorridendo sulla soglia di casa sua – loro – e a qualcun altro sarebbe parso quello di sempre, ma quegli occhi erano ancora troppo vuoti perché Vegeta potesse anche solo illudersi che fosse così.
Era passato poco più di un mese dal risveglio del ragazzo, tempo che il principe aveva trascorso chiuso nella Gravity Room, ricevendo la visita del figlio o di Bulma talvolta. Si era impedito di andare anche solo a controllare come stesse Gohan, deciso a dimenticarsi tutto ciò che era accaduto tra loro.
Poi se lo ritrovava lì, in procinto di bussare nell’esatto momento in cui lui stava per uscire senza preoccuparsi di controllare che non ci fossero aure altrui nelle vicinanze.
“Buongiorno, tu sei Vegeta, vero?” aveva detto il ragazzo, sorridendo cordialmente.
Non gli aveva ancora risposto.
« Ehm… Ehi? » lo richiamò Gohan, con una punta d’imbarazzo.
Il principe si riscosse, assunse un cipiglio severo e sibilò, a denti stretti: « Che cosa vuoi? »
Il ragazzo parve spiazzato da quell’ostilità, dettaglio che contribuì solo a innervosire ulteriormente Vegeta – mai Gohan si stupiva o lamentava delle sue ostilità, semplicemente vi era abituato e aveva capito come scavalcare quel muro di rabbia.
« Io… Mi dispiace se ti ho disturbato, mi hanno raccontato che noi… Ecco… » Un lieve rossore colorò le guance del ragazzo, che ridacchiò nervosamente. « Pensavo che avresti potuto aiutarmi a ricordare qualcos’altro… »
Non gli aveva chiesto come mai non si fosse fatto vedere per tutto quel tempo, come mai dal momento che glielo avevano presentato come “il suo fidanzato” non si fosse neppure degnato di unirsi a quel gruppo di gente che sicuramente aveva già tentato di aiutarlo a ricordare quanto più possibile.
Non glielo aveva chiesto, e Vegeta per un istante accarezzò l’idea di urlargli di sparire, perché non gl’importava nulla di lui e non voleva avere a che fare con tutta quella storia della memoria perduta, tuttavia si limitò a uno sguardo gelido – falso, ma il ragazzo probabilmente non se ne sarebbe accorto, in quelle condizioni – e a uscire di casa, chiudendosi la porta alle spalle e dirigendosi verso la Gravity Room con solo un “Devo allenarmi” come congedo.
Chi sei?
 
 
*    *    *
 
 
Era ormai sera quando si decise a interrompere il proprio allenamento.
Aveva distrutto quasi tutti i robot a sua disposizione, poiché non era riuscito a controllare la propria furia ogni volta che il sorriso allegro di Gohan aveva fatto capolino nella sua mente, accompagnato da quegli occhi che una stupidissima perdita di memoria aveva cambiato tanto.
Spense il pannello che regolava la gravità, sentendosi stanco ma non essendo riuscito a scaricare del tutto i nervi. Forse, avrebbe dovuto mangiare qualcosa e allenarsi ancora.
Quando viveva ancora con Gohan, dopo cena si sedevano sul divano con la televisione accesa, anche se spesso il ragazzo dedicava la propria attenzione a un libro, e se mai il principe avesse avuto un pensiero del genere, avrebbe dovuto affrontare un improvvisato e giocoso corpo a corpo con il suo fidanzato, finendo per dimenticare completamente l’allenamento.
Ora non riusciva a stare fermo su quel divano senza provare l’impulso di mettere la casa sotto sopra. E allora tornava nella Gravity Room.
Quando varcò la soglia della sua palestra personale, non si sarebbe aspettato di ritrovarsi ancora a faccia a faccia con Gohan e una parte di lui non poté fare a meno di rallegrarsi del fatto che, malgrado tutto, la testardaggine del ragazzo fosse ancora lì, intatta.
« Che cosa ci fai ancora qui? » ringhiò, maleducatamente, constatando che il moccioso avesse azzerato l’aura, per evitare che si accorgesse della sua presenza e rimanesse chiuso nella Gravity Room. Lo aveva raggirato, maledizione a lui.
« Hai detto che dovevi allenarti. » gli rispose Gohan, semplicemente. « Non mi hai detto di andare via. »
In un’altra circostanza, avrebbe ghignato di fronte alla sua furbizia. Ma in quel momento, riuscì solo a fulminarlo con lo sguardo.
« Te lo dico ora: vattene. »
Fece per superarlo, ma Gohan lo afferrò per un braccio allo scopo di trattenerlo – per un istante, parve che tutto fosse tornato come prima, poiché quel contatto parlava di confidenza, era il tipico gesto usato quando voleva impedirgli di scappare da lui – e il principe gli lanciò uno sguardo obliquo.
« Aspetta, non andare. » gli disse il ragazzo « Voglio solo… Parlare. Voglio ricordare la mia vita. La nostra, magari. »
Vegeta provò a mantenere una facciata d’astio, provò a mandarlo nuovamente via, ma tutto ciò che riuscì a fare fu scrollarsi il suo braccio di dosso e dirigersi verso la casa a passo moderato. Normalmente, Gohan lo avrebbe correttamente interpretato come un gesto di resa, un invito a seguirlo, ma il ragazzo che aveva davanti non ricordava come leggere la sua mente, dunque rimase a fissare la sua schiena che si allontanava, immobile.
E allora il principe, quasi senza pensarci, nel momento in cui avrebbe dovuto chiudersi la porta alle spalle la lasciò socchiusa, in un invito più esplicito – non sarebbe stato necessario, solo qualche mese fa.
Chi sei?
 
 
*    *    *
 
 
« Non c’era altro in casa. » annunciò Vegeta, dopo aver preparato del riso e averlo servito al ragazzo che, guardandosi attorno con avida curiosità, sedeva a tavola.
Era tutto così giusto e al tempo stesso terribilmente sbagliato: Gohan era lì, a mangiare con lui come ormai era abitudine, ma solitamente non solo sarebbe stato lui a cucinare, salvo qualche eccezione, ma non si sarebbe seduto lì, di fianco al posto di Vegeta, bensì di fronte – “Perché rendeva più facile parlare” diceva, il suo moccioso amante delle chiacchiere.
« Andrà benissimo, non preoccuparti. Grazie. » disse gentilmente il ragazzo, accettando il piatto con un sorriso.
Il principe non gli rispose nemmeno, in parte grato che Gohan non si fosse seduto di fronte a lui, poiché non era così obbligato a guardarlo in viso tutto il tempo.
« Non è qui che mi siedo di solito, vero? »
La domanda spezzò improvvisamente il silenzio e Vegeta non dovette pensare prima di rispondere, secco: « No. »
Non volle domandarsi come lo avesse capito, non volle lasciar posto ad alcuna speranza. In fondo, lasciar perdere era stata una sua libera scelta, no? Lui voleva chiudere definitivamente quel capitolo della sua vita – allora perché tutti gli effetti personali di Gohan erano ancora lì, ad attenderlo? Perché non aveva detto a Bulma di portarli via il prima possibile?
« Sentivo qualcosa di sbagliato. » gli spiegò il ragazzo, senza che gli fosse domandato. A Vegeta ricordò il modo in cui dopo il Cell Game gli aveva confessato quello che provava, in un flusso di coscienza denso di lacrime e assolutamente non richiesto.
« Non ho ricordi precisi. » continuò Gohan, giocando distrattamente con il riso nel suo piatto. Gli parlò di sensazioni che non riusciva a spiegarsi, di vampate di affetto di fronte ai volti di familiari e amici, dello smarrimento che provava nel ricordare solo mezze verità quando le ricordava…
Vegeta non aprì bocca, immerso nella dolcezza di quell’illusione che richiamava al loro passato, alla loro intimità fatta di confessioni nelle sere di dolore, di lacrime prima e sorrisi poi.
Un’altra persona, dopo quel lungo discorso, si sarebbe scusata per la troppa parlantina. Gohan non lo fece, limitandosi ad attendere una risposta.
« Sei venuto qui per curiosare per casa, dunque? » gli domandò invece Vegeta, senza inflessione particolare nella voce.
« Detta così non suona bene. » replicò Gohan, ridacchiando. « Vorrei solo che mi aiutassi a tentare di ricordare qualcos’altro. Tutto qui. »
L’unica risposta che ottenne fu un grugnito simile a un assenso.
 
 
*    *    *
 
 
Vegeta non gli stava facendo da guida turistica.
Semplicemente, lo stava seguendo per tutta la casa, rispondendo in tono neutro alle sue domande.
In quel momento si trovavano in camera da letto e Gohan, con la curiosità propria di un bambino, stava guardando nei cassetti di uno dei comodini di fianco al letto.
Il ragazzo estrasse una serie di fototessere e le mostrò al principe.
« Quando le abbiamo scattate? » domandò.
« L’ultimo Natale. » rispose Vegeta, in fretta, senza fissare troppo a lungo i sorrisi nelle fotografie. « Eravamo andati a cercare dei regali al centro commerciale. »
Le labbra di Gohan si curvarono in un sorriso divertito.
« Tu non volevi venire. » indovinò.
« Ovviamente. » replicò il principe.
Il ragazzo volle poi sapere come festeggiassero i compleanni, le vacanze estive, se la sera amassero uscire o stare a casa insieme, e il Saiyan bene o male lo accontentò.
Quando poi giunse il momento in cui Gohan sarebbe dovuto tornare a casa dei genitori, Vegeta non riuscì a impedirsi di pronunciare parole di cui certamente di lì a poco si sarebbe pentito.
« Posso dormire sul divano. » disse, velocemente. « È tardi. »
La mezza spiegazione aggiunta non lo fece sentire meno stupido, dunque preferì concentrarsi sulla sorpresa del ragazzo, che probabilmente non si sarebbe aspettato un’offerta simile.
« Io… Non vorrei disturbare… » disse, forse leggermente a disagio.
Vegeta si strinse nelle spalle.
« Fai come ti pare. » borbottò, sentendo la delusione, suo malgrado, attanagliargli le viscere.
Gohan gli sorrise con un’ombra d’istintivo affetto sul volto, forse intuendo il suo stato d’animo, forse semplicemente vedendo in quell’invito un’occasione per aggiungere ulteriori pezzi al puzzle della sua vita.
« Ti ringrazio. » accettò infine « Però dormo io sul divano. »
 
 
 

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Capitolo 2
*** ...but I remember you ***


Angolo autrice
Ehilà! (sì, esatto, non sono in ritardo :O Sono scioccata pure io ahah) Ecco il secondo capitolo. Le intenzioni erano di chiuderla qua, inizialmente, poi però mi è venuta un’idea per il terzo capitolo e l’ho buttato giù. Ho paura di aver fatto una boiata, ma va be’, me lo saprete dire quando pubblicherò l’epilogo. Cooomunque, nel caso trovaste errori o i personaggi fossero OOC (ovviamente Gohan un minimo lo è, ma visto che è senza memoria penso che sia giustificato) non esitate farmelo sapere :) Grazie mille a ka93 e Bulmix_1992 per le recensioni :D:D Buona lettura!
 
 
 
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…but I remember you.
 
 
 
 
Have you forgotten all I know
And all we had?
 
 
Vegeta e l’ospitalità non erano mai andati particolarmente d’accordo, solitamente era Gohan a occuparsi di accogliere doverosamente coloro che mettevano piede in casa loro, ma in quel caso era il ragazzo stesso a essere ospitato, dunque il principe si era ritrovato in una posizione cui non era decisamente abituato.
La sua gentilezza si era limitata a dargli da mangiare e a offrirgli il proprio – loro – letto, ma quando Gohan aveva insistito per dormire sul divano non aveva trovato la voglia di discutere e lo aveva lasciato fare.
Non riuscì quasi a chiudere occhio, quella notte, disturbato dalla consapevolezza che il ragazzo fosse al piano di sotto. Non faceva altro che concentrarsi sulla sua aura, sentendola così vicina da permettergli d’illudersi che fosse tutto a posto.
Si trattava però di puro masochismo, poiché nell’esatto istante in cui tornava alla realtà la dolorosa consapevolezza che Gohan fosse molto più lontano di quanto potesse apparire lo colpiva con maggiore forza.
Quando, il mattino seguente, si svegliò dopo quelle che erano state nemmeno due ore di sonno complessive, Vegeta si sentiva più stanco di prima, come se anziché giacere sul letto si fosse allenato a gravità elevata per tutta la notte.
Scese le scale e giunse nel salotto, che era un tutt’uno con l’entrata.
Lo sguardo cadde sul divano e, poiché era decisamente presto, si aspettò di trovare Gohan addormentato sul divano. Invece, esso era vuoto.
Il primo pensiero di Vegeta fu che il ragazzo se ne fosse andato prima del suo risveglio. Poi, però, constatò che effettivamente il mezzosangue, a giudicare dall’aura, si trovasse in cucina, con tutta probabilità a preparare la colazione.
Venne colto da un involontario sollievo, mentre lo raggiungeva.
« Oh, buongiorno. » lo salutò Gohan, cordiale. « Stavo preparando la colazione, spero non ti dispiaccia, ma avevo fame. Vuoi del caffè anche tu? »
Vegeta emise un mezzo grugnito affermativo, poi gli fece notare: « È presto. »
Solitamente, il ragazzo era molto puntuale nello svegliarsi, ma solo quando aveva qualche impegno. Durante i giorni festivi, fosse stato per lui avrebbe dormito fino alle due del pomeriggio, anche se non vi riusciva mai perché Vegeta andava a reclamare il pranzo prima. Oppure, quando si rendeva conto che la volontà di dormire fosse dettata dalla troppa stanchezza, o da una qualche malattia terrestre a volte, il principe tra sbuffi e imprecazioni gli portava da mangiare a letto.
« Oh, non ho molta voglia di dormire. » gli spiegò Gohan, accennando un sorriso amaro. « Ho riposato a sufficienza in quell’ospedale, credo. »
Vegeta si sforzò di ricacciare immediatamente indietro il ricordo delle poche ma infinite settimane trascorse al suo capezzale. Concentrandosi poco meno di un istante, riusciva ancora a sentire l’insopportabile odore di disinfettante che sembrava impregnare le pareti di quel posto e a udire lo snervante suono ritmico del macchinario che monitorava la frequenza cardiaca. 
Non rispose, accettando poi il caffè che Gohan gli stava servendo. Si beò della sicurezza che quel gesto appartenente alla loro vecchia routine gli trasmetteva, solo per vedere la propria tranquillità andare in pezzi quando il ragazzo fece per aggiungere lo zucchero.
« Niente zucchero per me. » lo fermò, in tono che trasudava gelo.
Non avrebbe dovuto avere bisogno di dirglielo.
« Oh, scusami. » disse Gohan, ritirando la mano. « Non lo sapevo. »
Vegeta bevve il proprio caffè senza replicare, per paura di farsi fuggire qualcosa che avrebbe voluto e dovuto tenere per sé.
Chi sei?
 
 
*    *    *
 
 
« Ti ringrazio per l’ospitalità. »
La cordialità nella voce di Gohan era gelida, la sola educazione guidava il suo sorriso e i suoi gesti, e Vegeta non aveva potuto fare a meno di notarlo, impegnato com’era a osservare qualsiasi cosa non fossero gli occhi del ragazzo.
« È anche casa tua. » replicò il principe, con una punta d’involontario astio.
« Già… » sospirò Gohan, a disagio. « Forse… Posso prendere la mia roba, se ti dà fastidio. »
“No” avrebbe voluto rispondere Vegeta “Neanche per idea, tu non prendi proprio niente, anzi, torni qui all’istante.”
Ovviamente non lo fece.
Non era forse il suo intento iniziale? Una separazione netta per il bene di entrambi? Una resa di fronte a quella che forse era una prova troppo difficile?
« Come ti pare. » si obbligò a sibilare.
Neppure lui sapeva cosa volesse. Avere a che fare con quel ragazzo che era e al tempo stesso non era Gohan era stata un’autentica, anche se breve, agonia, un continuo soffrire le differenze che parevano lampanti ai suoi occhi. Eppure, certamente peggiore era stata la solitudine cui si era costretto nell’ultimo periodo. Certamente più pesante era stata la sua assenza, rispetto a quella presenza piena di difetti.
« Io… Allora passerò a prendere tutto… » rispose il ragazzo e forse la punta di delusione che per un istante intravvide sul suo viso fu solo uno scherzo della sua mente.
« Bene. »
« Ci vediamo, quindi… »
« Ci vediamo. »
Una porta che si chiudeva, una schiena che si allontanava.
Vegeta scagliò un pugno al muro, creando un vistoso foro.
Chi sei?
 
*    *    *
 
 
« Vegeta, apri immediatamente questa porta! »
Ringhiò di frustrazione, decidendosi finalmente a ridurre la gravità fino al livello consono al pianeta Terra, mentre i colpi alla porta continuavano. Com’era possibile che Bulma non si fosse ancora spaccata la mano?
« Che vuoi? » domandò, aprendo.
Notò che le mani della donna fossero rivestite con degli oggetti simili a guanti di metallo e che se li stesse sfilando con aria soddisfatta.
« Era ora. » esclamò, in tono di rimprovero. « Sono le due passate del pomeriggio e qualcosa mi dice che non hai toccato cibo, sbaglio? »
« Fatti gli affari tuoi. » sbuffò Vegeta, in un’implicita quanto involontaria ammissione di colpevolezza.
Bulma portò la mano sinistra sul fianco, alzando invece la destra per puntargli contro l’indice con fare autoritario.
« Bene, adesso tu vieni dentro e mangi il pranzo che ti ho preparato con le mie manine sante. Forza. »
Vegeta si era ormai da tempo arreso di fronte all’evidenza: quando quella gallina isterica voleva una cosa, avrebbe continuato a stressarlo fino a ottenerla. Dunque, si decise a seguirla sin da subito, senza ovviamente risparmiarsi sbuffi e imprecazioni, consolandosi al pensiero che per lo meno non avrebbe dovuto muovere un dito per cucinare.
Bulma gli concesse esattamente tre minuti e mezzo per mangiare in santa pace, prima di pronunciare la prima domanda.
« Allora… » cominciò e il principe ebbe subito voglia di alzarsi e tornare ad allenarsi, presagendo l’interrogatorio che lo aspettava. « È venuto Gohan, no? »
« Mmh. » fu la neutra replica. Vegeta non voleva darle corda.
« E ha dormito qui. »
« Mpf. »
« Avete discusso della situazione? »
« Mmh. »
Bulma sbuffò sonoramente.
« Sarebbe carino se mi concedessi risposte più lunghe di un monosillabo sotto forma di grugnito, sai? »
« Sarebbe carino se ti tappassi la bocca, sai? » replicò Vegeta, con stizza.
La donna sospirò, passandosi una mano sul volto.
« Dai, sono seria. » lo incoraggiò « Sfogarti non può che farti bene, sarà la milionesima volta che te lo dico. »
« Passerà a prendere la sua roba, fine. »
La risposta di Vegeta fu un ringhio sputato con rabbia, velocemente, mentre si alzava da tavola con tutte le intenzioni di uscire da quella stanza. Non aveva nessuna voglia di parlarne, neppure con lei.
« Come sarebbe? » gli domandò tuttavia Bulma, seguendolo. « Pensavo sarebbe tornato a vivere qui! »
« Perché dovrebbe voler vivere con un estraneo? » domandò Vegeta, forse più a se stesso che a lei, senza guardarla in volto e senza fermarsi.
Chi sei?
« Tu non sei un estraneo… E fermati un attimo, per l’amor del cielo! » sbottò la donna, afferrandogli un braccio. Vegeta si fermò, ma scacciò subito la sua mano, come scottato.
« Che cosa vuoi? » le ringhiò contro, scrutandola con sguardo fiammeggiante d’ira – dolore.
Bulma lo sostenne, fiera com’era sempre stata di fronte a lui.
« Tu gli hai chiesto di restare? » gli domandò, con spietata chiarezza.
Vegeta non rispose.
No.
« No, scommetto che non lo hai fatto. Avresti dovuto. Devi. Metti da parte l’orgoglio, Vegeta. So che è difficile, ma devi farlo. A meno che tu non preferisca perderlo. »
« L’ho già perso. » replicò freddamente il Saiyan, senza particolare inflessione nella voce, dirigendosi poi nuovamente verso la Gravity Room.
Chi sei?
 
 
*    *    *
 
 
Era arrivato, il giorno seguente.
Era venuto a prendere la sua roba come d’accordo.
Vegeta lo aveva accolto con freddezza, rispondendo al suo allegro “Buongiorno” con un “Ciao” biascicato tra le parole che si era costretto a ingoiare – suppliche per tentare di farlo rimanere, scuse per la sua codardia, “Ti amo” che troppo poco spesso aveva pronunciato.
Il principe non ebbe bisogno di guidarlo fino a camera sua – loro – e si limitò a seguirlo, lo sguardo fisso sulla valigia vuota che egli teneva in mano.
Gohan prese a svuotare i cassetti con lentezza, piegando i capi d’abbigliamento con precisione quasi maniacale e tutto a Vegeta parve un crudele espediente per allungare la sua agonia.
Vattene, sparisci da qui. Se devi andartene, fallo subito.
« Questo è mio? » domandò Gohan, sollevando un maglione posato su una sedia.
Il Saiyan annuì.
« Muoviti. » non riuscì a trattenersi dal dire.
Il ragazzo parve spaesato per qualche istante, poi arrossì leggermente e annuì.
« Sìsì, hai ragione, scusami… » disse, cominciando a piegare gli abiti più velocemente. « Ti sto portando via davvero troppo tempo. »
No, voleva solo che quelle fitte allo stomaco cessassero. Ma non glielo avrebbe detto, nemmeno se fosse stato il suo Gohan quello che aveva davanti.
Gli sembrò che prima che il ragazzo cominciasse a chiudere la cerniera fosse passata un’eternità, eppure quando lo vide sollevare la valigia ormai piena si rese conto di non essere pronto. Forse, non lo sarebbe mai stato.
Lo seguì giù per le scale a passi misurati, mascherando abilmente il lieve tremore delle gambe e delle mani.
« Ti ringrazio ancora per quello che mi hai raccontato. » disse Gohan, sulla soglia. Gentilezza, fredda cortesia. Vegeta avrebbe voluto prenderlo a pugni fino a cancellare quel sorriso di porcellana e a fare in modo che le palpebre nascondessero quegli occhi vuoti.
Chi sei?
« E scusa il disturbo. » concluse il ragazzo.
« Niente. » borbottò Vegeta.
Non andare via.
« Quindi… Ciao… »
Chi sei?
« Ciao. »
Non andare.
Vegeta lo osservò voltargli le spalle, flettere le ginocchia per spiccare il volo.
Voleva seguirlo, stringerlo, chiedergli di rimanere accanto a lui, ma al tempo stesso si rendeva conto di non volere quel Gohan, ma il ragazzo che lo amava e il cui sguardo brillava quando si posava su di lui.
Sono la stessa persona, idiota.
Il corpo fu più veloce del cervello, lo spinse a spiccare il volo solo un istante dopo Gohan, lo spinse a raggiungerlo e ad afferrarlo per un braccio, a incontrare i suoi occhi confusi senza avere la più pallida idea di cosa dire.
« Non mi davano fastidio. » fu tutto quello che riuscì a pronunciare, il petto in procinto di esplodere e la mano che, se ne rendeva conto, stava stringendo il braccio del ragazzo con più forza del necessario.
« Cosa? » domandò Gohan, senza comprendere. In effetti la frase era poco chiara.
« I vestiti. » chiarì Vegeta.
« Oh. » replicò il ragazzo, senza, a quanto sembrava, comprendere dove volesse andare a parare.
Ci volle qualche istante di agguerrita lotta interiore prima che il Saiyan riuscisse a mormorare, esitante: « Nemmeno tu… Mi daresti fastidio. »
Lo sguardo di Gohan s’illuminò di comprensione, mentre la bocca si socchiudeva e un mezzo gemito di sorpresa abbandonava le labbra.
« Ah… » mormorò « Io… Vegeta… »
Esitava, cercava le giuste parole, non era un buon segno. Il Saiyan si odiò per aver ceduto a quella debolezza, per essersi messo in ridicolo senza poi riuscire ad ottenere nulla. Se avesse riavuto Gohan, o ciò che di lui restava, con sé, ne sarebbe almeno valsa la pena.
« Io… Grazie… Ma… Sono confuso, in questo momento. » cercò di spiegargli il ragazzo. Vegeta sciolse la presa sul suo braccio senza neppure accorgersene. « Ho bisogno… Di capire che cosa voglio… »
Il principe fece tutto quanto in suo potere per mantenere salda una maschera d’impassibilità. Si era già umiliato troppo, non avrebbe ceduto altro terreno a quel ragazzo che indossava il volto di Gohan.
Chi sei?
« Mi dispiace… Io… Sento qualcosa per te… Ma non riesco a capire se sia mio veramente o… O solo una conseguenza di quanto mi è stato raccontato. »
La spiegazione non stava migliorando la situazione, entrambi se ne resero conto. Eppure il ragazzo continuò: « Io… Forse… Magari tornerò… Quando avrò capito quello che voglio… »
« Hai finito? »
Il tono di Vegeta era freddo e indifferente, più consono a qualcuno che sente l’altro pregarlo di tornare insieme piuttosto che a una persona che è appena stata rifiutata.
Gohan parve sorpreso, ma si ricompose quasi subito. Annuì.
« S-sì… Sì, ho finito. »
« Bene. Vai. »
« D’accordo… Vegeta, mi dispia– »
Il tentativo di rinnovare le proprie scuse, quanto sincere e quanto invece dettate da educazione o senso di dovere Vegeta non lo sapeva, fu immediatamente troncato: « Vattene. »
Gohan annuì ancora una volta.
Salutò, ma non ottenne risposta, poiché quel “Ciao” non giunse alle orecchie del principe, troppo concentrato a fissare gli occhi del ragazzo, vuoti quanto la casa alle loro spalle. Forse, non si sarebbe mai abituato a vederli così, se anche Gohan fosse rimasto. Forse, invece, sarebbero riusciti a riempirli di nuovo, insieme.
Quel volto che a tratti pareva quello di un estraneo, a tratti quello del vero Gohan, rimase impresso nella mente di Vegeta, mentre lo vedeva allontanarsi senza voltarsi indietro.
Chi sei?


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Capitolo 3
*** I believe in you [Epilogo] ***


Angolo autrice
Eccomi, un pochino in ritardo, ma eccomi. Mmh. Questo capitolo non mi piace, ma sarebbe quello conclusivo di questa mini-long. Ringrazio infinitamente tutti coloro che hanno letto questa storia e in particolare ka93 e Bulmix_1992 per aver recensito :D Spero che questo epilogo non sia troppo mal riuscito ^^”

 
 
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I believe in you
[Epilogo]
 
 
 
 
You saw me mourning my love for you
And touched my hand
I knew you loved me then
 
 
Pensava che senza gli effetti personali di Gohan la sua assenza sarebbe pesata meno. Pensava che non vedere i suoi vestiti o i suoi libri sparsi per la casa lo avrebbe aiutato a non pensare a ciò che mancava in quella stupida abitazione, ma di fatto non vi era stato alcun cambiamento.
Passava quasi l’intera giornata chiuso nella Gravity Room e quando invece si trovava all’interno della casa gli spazi vuoti rimarcavano l’assenza di Gohan più di quanto non facessero gli oggetti.
Bulma lo aveva più volte rimproverato per gli allenamenti cui si sottoponeva: in appena due settimane aveva rischiato tre volte di far saltare in aria la Gravity Room e la quarta vi era riuscito. Ne era uscito praticamente illeso, poiché era riuscito a scappare prima dell’esplosione, ma ora si trovava senza stanza degli allenamenti e la scienziata aveva detto di aver troppi progetti da portare avanti per potersene occupare nell’immediato.
Non sapeva, dunque, come occupare le proprie giornate e finiva per passarle sdraiato sul divano o sul letto, nel primo caso a fissare la televisione senza reale interesse, nel secondo con lo sguardo ancorato al soffitto.
Gli ricordava il periodo dopo la morte di Kakaroth, quando aveva deciso di non combattere mai più.
Ogni tanto usciva in giardino per allenarsi comunque, ma con quella gravità leggera e nessun robot a minacciarlo, l’allenamento pareva inutile, non richiedendo alcuno sforzo.
Una parte di lui avrebbe voluto allenarsi con Trunks, l’altra anelava solitudine. Capitava che il figlio venisse a fargli visita, ma in quel periodo la scuola lo teneva fin troppo impegnato e comunque ogni volta che veniva il principe pareva interessato solo all’allenamento, non alla sua compagnia.
Capitava, quando i suoi muscoli anelavano movimento e gli rendevano impossibile rimanere sdraiato sul divano, che spiccasse il volo e iniziasse a girare a vuoto, passando anche sopra a città terrestri senza preoccuparsi delle possibili conseguenze – gli umani in ogni caso erano sempre troppo presi dagli affari loro per soffermarsi a guardare il cielo.
Più volte gli era capitato, volando senza fissare una meta precisa, di ritrovarsi a sorvolare quel posto che aveva più volte condiviso con Gohan, dopo il Cell Game, e in ognuno di quei casi aveva semplicemente digrignato i denti per poi andarsene – scappare – il più lontano possibile da lì.
Quella sera, senza una particolare motivazione, forse per semplice masochismo, si era invece fermato a mezz’aria, gli occhi fissi su quello spuntone di roccia su cui fin troppe volte si erano seduti. Era atterrato lentamente, combattuto tra la volontà di restare e andarsene – fuggire – come tutte le altre volte che era incappato in quel luogo negli ultimi tempi.
Alla fine, si sedette, le gambe a penzolare nel vuoto e un peso insopportabile nel petto.
« Maledetto. » borbottò, tra i denti.
In fondo, quel posto era sempre stato suo, suo soltanto, finché quel ragazzino dagli occhi grandi e il sorriso spento non vi aveva messo piede per poi tornarci così tante volte che Vegeta aveva perduto il conto.
Se Gohan non fosse mai venuto lì, ora avrebbe potuto godere di quel silenzio e di quella pace senza essere disturbato da un insopportabile senso di vuoto.
Sono confuso, in questo momento. Ho bisogno… Di capire che cosa voglio.”
Non riusciva a ripensare a come lo avesse rifiutato, con dispiacere e pietà nella voce, a ricordare quegli occhi che lo guardavano ma non lo riconoscevano, senza provare il desiderio di urlare e distruggere con le sue mani quel miserabile pianeta che lo aveva rovinato.
Mi dispiace…
Emise un ringhio di frustrazione, si alzò in piedi e frantumò un masso con un calcio, poi semplicemente spiccò il volo per tornare alla sua casa colma di fantasmi di un passato perduto.
Chi sei?
 
 
*    *    *
 
 
Forse stava uscendo di senno.
Forse la sua sanità mentale era già svanita nel momento in cui aveva deciso di non abbandonare Bulma e Trunks, provando a crescere quel figlio che sarebbe comunque divenuto un grande guerriero senza di lui.
Forse non c’era un vero e proprio fondo, era possibile cadere sempre più in basso, all’infinito, senza che l’umiliazione fosse mai ultimata.
Altrimenti non sarebbe riuscito a spiegarsi come mai, da un paio di giorni a quella parte, avesse cominciato ad andare lì ogni sera, sedendosi a terra e lanciando occhiate oblique allo spazio vuoto accanto a sé, quasi in attesa di un ritorno che non sarebbe mai avvenuto.
Io sento qualcosa per te…”
« Sarai, contento, immagino. » borbottò, rivolto al nulla. « Dicevi sempre che cominciavo a somigliare a un umano, no? Penso di essere sufficientemente patetico da poter essere scambiato per un terrestre, ora… »
Ma non riesco a capire se sia mio veramente o solo una conseguenza di quanto mi è stato raccontato.”
La dita si serrarono attorno all’erba – desiderava lacerare, affondare le unghie nella pelle di un qualunque patetico essere, osservare il dolore altrui allo scopo di attenuare il proprio – e la strapparono con brutalità, scagliandone poi in avanti i residui, alcuni dei quali si depositarono sulle sue gambe.
« Non posso credere di essermi umiliato a quella maniera. » borbottò.
Eppure in fondo sapeva che, con anche solo la più piccola speranza di poter riavere Gohan, lo avrebbe rifatto.
 
 
*   *   *
 
 
La pioggia non lo aveva mai infastidito.
Era un po’ come il getto d’acqua della doccia: lo aiutava a pensare e trovava inutile che i terrestri cercassero i mezzi più fantasiosi per ripararsi. Qual era il problema, se dopo potevano comunque asciugarsi?
L’erba bagnata a contatto con la pelle, invece, dava una spiacevole sensazione di viscido. Chiuse le mani a pugno, alzando lo sguardo verso il cielo scuro dove di tanto in tanto un lampo illuminava le nubi, seguito da un tuono che pareva far tremare l’aria stessa.
Gohan aveva sempre detto di aver paura dei tuoni.
Ogni volta che quei rumori assordanti turbavano la quiete, il ragazzo si accoccolava contro di lui, in barba le proteste che Vegeta borbottava prima di accontentarlo. Si cedeva lontano un miglio che fosse tutta finzione, ma il principe aveva sempre preferito ignorare questo insignificante dettaglio.
Emise un mezzo ringhio frustrato, rimproverandosi per quei pensieri che non facevano altro che peggiorare la situazione.
 
 
*    *    *
 
 
Si sentiva ogni giorno più patetico.
A cosa serviva recarsi lì e fissare con rammarico il vuoto accanto a sé? Immaginare che Gohan fosse seduto accanto a lui glielo avrebbe forse riportato? Avrebbe come per magia riempito la mente del ragazzo dei ricordi perduti, spingendolo a tornare sui suoi passi?
Se anche così fosse stato, lo avrebbe mandato via, pensò, sull’onta dell’umiliazione e del dolore che quel rifiuto gli aveva marchiato a fuoco sulla pelle.
Idiota. S’insultò poi, sapendo di mentire.
Certo che non lo avrebbe mandato via, come avrebbe potuto?
Anche se non sapeva cosa avrebbe fatto con esattezza, certo non lo avrebbe cacciato per tornare allo stato miserevole in cui versava in quel momento.
Forse avrebbe messo da parte l’orgoglio, come aveva già fatto per lui in passato, e lo avrebbe stretto a sé, fino a convincersi che fosse tornato davvero. Forse avrebbe fatto il sostenuto, dandogli le spalle fino a che le sue scuse non gli fossero parse sufficienti.
O forse avrebbe semplicemente annuito, simulando indifferenza e dignità – sempre che ne fosse stato capace, dal momento che pareva proprio l’avesse persa per strada – ?
Non lo sapeva, e forse mai lo avrebbe saputo.
Magari tornerò…”
Non aveva alcuna voglia d’illudersi – eppure, una parte di lui sperava comunque.
 
 
*    *    *
 
 
Uno.
Lanciò il primo sasso, osservandolo cadere tra gli alberi a un paio di metri di distanza da lui, approssimativamente.
Due.
Quattro metri.
Era patetico che per distrarre la sua mente dal pensiero di Gohan dovesse trovare passatempi tanto idioti. Trovava meno patetica l’abitudine di Kakaroth di andare a pesca: per lo meno serviva a procurare del cibo.
Tre.
Otto metri.
Non avrebbe mai creduto che uno come lui potesse soffrire il dolore di una perdita. O meglio, ne aveva avuto un assaggio alla morte del ragazzo del futuro, o quando aveva creduto che Gohan fosse stato ucciso da Majin-Bu, ma lì era stata questione di un istante prima che la sofferenza divenisse rabbia e in seguito si era rifiutato di soffermarsi sulle sensazioni provate in quei tremendi istanti.
Quattro.
Sedici metri.
Ora, invece, non aveva modo di non pensare al senso di vuoto che lo opprimeva ogni volta che rientrando a casa non trovava il ragazzo ad accoglierlo, ogni volta che lo sguardo cadeva sulla metà del letto vuota e la sua masochista voglia di farsi del male lo spingeva a cercare l’aura di Gohan, come a ricordargli che era vivo, che sarebbe potuto tornare da lui ma semplicemente non voleva.
Cinque.
Trentadue metri.
Eppure se lo sarebbe dovuto aspettare.
Non aveva mai capito come mai quel ragazzo che avrebbe voluto con tutto se stesso vivere una vita normale si fosse legato tanto profondamente proprio a lui, perché avesse voluto perdere tempo dietro al suo animo corrotto e alle sue cicatrici.
Non aveva sempre avuto timore che potesse stancarsi e andarsene? Alla fine era accaduto. E, come se non fosse stato sufficientemente doloroso, parte della colpa era anche sua.
Sei.
Ringhiò di rabbia, scagliò il sasso con tutta la forza in suo possesso e l’oggetto svanì presto alla vista, troppi metri più avanti.
Non era neppure in grado di portare avanti uno stupido passatempo senza mandare tutto all’aria, maledizione.
I muscoli ebbero uno scatto derivante dalla tensione e Vegeta ebbe la sgradevole sensazione di agitarsi come uno stupido animale in gabbia.
Lo sguardo cadde per la millesima volta accanto a lui, e mentre gli occhi bruciavano nonostante le urla disperate del suo orgoglio, ebbe la conferma di essere impazzito, poiché vide sedersi accanto a lui il ragazzino che Gohan era stato.
Lo vide sorridere calorosamente, con le labbra e con quegli occhi meravigliosamente pieni.
Distolse lo sguardo, piantandolo sul terreno mentre la mano convulsamente stretta a pugno colpiva il terreno, forse nella speranza che quell’immagine – bellissima e dolorosa – svanisse.
Sentì un tocco leggero sul braccio.
Lo ignorò, imprecando tra i denti e trattenendo a stento le lacrime – non avrebbe sopportato l’ennesima umiliazione, anche se nessuno vi avrebbe assistito.
Delle mani avvolsero la sua, stringendola e bloccandola, nella crudele illusione che non fosse più solo.
Eppure quel contatto era troppo reale per essere solo frutto della sua sadica immaginazione.
Alzò lo sguardo e, dove prima c’era un ragazzino, si trovava il Gohan ragazzo che lo aveva rifiutato non ricordava quanto tempo prima. Lo fissò a occhi sgranati, cercando poi di darsi un contegno, le labbra strette e lo sguardo fisso nel suo.
Ritirò la mano con uno scatto rabbioso, ringhiando: « Cosa vuoi? »
Gohan abbassò gli occhi qualche istante, poi li rialzò con determinazione.
« Volevo parlarti. »
« Non abbiamo già parlato abbastanza? »
La replica ostile di Vegeta nascondeva una punta di amarezza, la diffidenza era uno scudo eretto per proteggerlo da un’altra probabile delusione.
« Volevo scusarmi– » ricominciò Gohan, venendo però immediatamente interrotto.
« Lo hai già fatto e non me ne faccio nulla della tua cortesia. Se volevi avere la coscienza a posto, bene, hai fatto il tuo dovere e ti sei scusato. Ora lasciami in pace. » disse il principe, gelido, senza sapere come stesse riuscendo a mantenere stabile la voce.
« Puoi farmi finire di parlare? » sbuffò il ragazzo, ruotando gli occhi e senza attendere risposta. « Volevo scusarmi per averti fatto star male. Ma ero sincero: non sapevo quello che volevo. Adesso penso di averlo capito. »
Vegeta tacque, sforzandosi di mantenere il contatto visivo e obbligandosi a non sperare neppure per un istante, di non idealizzare quale sarebbe stata la conclusione di quel discorso – eppure una parte di lui cominciava già a gioire.
« Non ricordo molto. » continuò Gohan. « Ma non sto bene, a casa dei miei genitori. È come se mancasse qualcosa. E più cose mi tornano alla mente, più mi rendo conto che quel qualcosa sei tu. »
Era normale che in testa rimbombassero i battiti impazziti del suo cuore? Temeva che anche il ragazzo potesse sentirli, tanto erano forti.
« Quindi, mi dispiace non esserne stato certo sin da subito. Scusami. Posso… Posso tornare a casa? »
Aveva la gola secca, se anche fosse riuscito a formulare un pensiero coerente con tutta probabilità non sarebbe stato in grado di darvi voce.
Passarono diversi istanti prima che Vegeta riuscisse a dire: « Ho voglia di prenderti a pugni. »
Prima che Gohan potesse captare quanto detto, però, il principe lo aveva afferrato per le spalle, attirandolo a sé senza troppi complimenti. Il ragazzo non si oppose minimamente e Vegeta si ritrovò a saggiare le sue labbra con la stessa foga che un affamato sfoggia di fronte a un pranzo abbondante.
« Fai ancora una volta una cosa del genere e ti prendo a schiaffi. » soffiò dopo qualche istante.
Gohan ridacchiò.
« Mai più, promesso. »
Vegeta non soffocò il lieve sorriso che gl’incurvò le labbra quando negli occhi del ragazzo scorse una singola, piccola, scintilla.
 
 

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