Come foglie d'autunno

di niallssweetsmile
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***



Capitolo 1
*** Prologue ***




Come foglie d'autunno



Penso si possano definire foglie, le persone intendo. Hanno una vita proprio come loro e, esattamente come esse, possono essere strappate via dalla loro esistenza, magari perché si è semplicemente giunti al termine, o magari perché una raffica di vento si è presentata, all'improvviso, sul loro percorso già stabilito.E, nonostante quel percorso sia già stato designato da qualcun'altro, una volta terminato non c'è più possibilità di tornare indietro. Ma questa è una storia che va oltre tutti gli schemi. Questa è la storia di una di quelle foglie, caduta dal suo albero decisamente troppo presto.
Questa è la storia di un ragazzo e una ragazza, ma vale la pena chiarirla subito: non è esattamente una storia d'amore.

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Capitolo 2
*** I ***


Come foglie d'autunno

1

Con un gesto distratto si aggiustò meglio lo zaino blu sulla spalla che ad ogni minimo movimento le cascava. I capelli biondo platino mossi dal vento le solleticavano il viso – o meglio infastidivano – e tutto ciò mentre, leggermente terrorizzata, fissava l'enorme cancello di ferro battuto che la separava da quell'edificio privo di vita, nel quale avrebbe passato molto del suo tempo da teenager.
Povera lei, costretta a frequentare quell'istituto privato – che a prima vista pareva più simile ad un carcere che ad una scuola – sotto l'ordine categorico dei suoi genitori, convinti che l'istruzione di quella scuola fosse la migliore in assoluto, e ciò aveva persino comportato il loro trasferimento in quella piccolissima cittadina vicino Londra.
Capite? Da Liverpool, la magnifica Liverpool, a un posto sperduto. In poche parole dalle stelle alle stalle e, nonstante fosse la prima volta che metteva piede in quel luogo lugubre – tra erbacce color verde oliva e busti di marmo senza braccia da casa dell'orrore – aveva uno strano senso di dejà-vu, il che era abbastanza strano. In tutta la sua vita non aveva neanche mai avuto l'occasione di mettere piede a Londra, figuriamoci lì poi! Inoltre non si sarebbe mai avvicinata neanche di un metro a quel postacccio da sola, essendo munita di un'istinto di auto-conservazione abbastanza funzionante.
Con estrema cautela cercava di raccogliere quante più informazioni possibili – stando a attenta a non inciampare sulle piastrelle
leggemente alzate – mentre a testa china camminava verso l'enorme portone dell'edificio, con unoneanche stesse andando al patibolo o a morte certa e forse, di quest'ultima cosa, n'era sicura, in balia di adolescenti egocentrici; in più ci si aggiungeva quella divisa scolastica di colore grigio topo davvero spento che le faceva risaltare ancora di più i capelli biondi, un biondo splendente, come un raggio di sole che entra dalla finestra e ti illumina la camera. Ma a quanto pareva quella scuola sembrava non ne volesse proprio sapere di avere un raggio di sole, non ne voleva sapere di essere accecata da qualcosa di così brillante e così diverso. Se n'era accorta quando tutti gli sguardi si erano posati su di lei che, dopo che si fu aggiustata la gonna e allentata la piccola cravatta che sembrava stringersi sempre di più intorno al suo collo, cercava invano di passare inosservata tra i corridoi.

Stringeva il libro di psicologia al petto, mentre le scarpette nere – che somigliavano tanto a quelle da tip tap – provocavano un ticchettiò fastidioso che le rimbombava nelle orecchie come un trapano, mentre tutti gli altri suoni le parevano più soffusi, tutte quelle voci le parevano sempre più distanti, e l'unica cosa che le faceva capire di essere viva era il rimbombare del suo cuore nella gabbia toracica, il tutto accompagnato dal tonfo delle ante degli armadietti che la facevano sobbalzare
E a proposito di quest'ultimi, la timida Abigail cercava di criptare le indicazioni che la segretaria della scuola le aveva scritto su un foglietto – tra l'altro con una pessima grafia – per scovare la posizione del suo di armadietto, e quando l'ebbe trovato sul suo viso si dipinse un'espressione di stupore. Non riusciva a credere che le fosse stato assegnato un ammasso di alluminio ammaccato, e persino leggermente arrugginito, mentre tutti gli altri avevano un 'signor' armadietto, laccato di blu e con un lucchetto che, a differenza del suo, non faceva le bizze.
“Questo è un complotto” aveva mormorato, drigrignando i denti, tendo il libro di sociologia sotto l'ascella, lo zaino penzolante sull'avambraccio e i capelli davanti agli occhi, il tutto mentre cercava di inserire la combinazione, e lanciò un sospiro pieno di sollievo quando un 'click' le annunciò l'apertura del lucchetto.
“Oddio, non dirmi che le hanno dato il suo...” aveva mormorato una ragazza, sorpresa, che era appena passata da quelle parti ma, prima che potesse finire, la sua amica la zittì con una gomitata nelle costole.
“Si, l'ho hanno fatto! Penso che Harry si arrabbierà molto quando lo verrà a sapere, e non voglio essere qui quando accadrà” si era affrettata a dire, prima che il colpo secco di un armadietto – causato da una una ragazza accanto alla biondina – non le fece trasalire e con loro anche Abigail, soggetto della loro discussione.
“E' solo uno fottuto armadietto, idiote. Non se lo è scelto lei, e scommetto che non l'avrebbe fatto neanche se l'avessero pagata” sbottò la ragazza dai capelli neri, coperti da un beretto del medesimo colore.
“E vi consiglio di girare a largo da qui, oppure Harry sarà l'ultimo dei vostri problemi” aveva detto con un tono duro, che fece gelare sul posto persino Abigail, nonostante le parole non fossero dirette a lei.

Comunque, le due ragazze bionde non se lo fecero ripetere e andarono via, con la coda fra le gambe, e Abigail non potè darle ragione, inoltre quando si accorse che la stava fissando, avvampò dall'imbarazzo, si strinse il libro al petto e a passo veloce si allontanò per andare a lezione.
Dall'altro lato, la ragazza dai capelli neri sospirò, sollevando lo sguardo al soffitto.
“Non potevi farla più coraggiosa, stavolta?” sbuffò, scuotendo la chioma e dirigendosi nella direzione opposta.









Angolo autrice:
Ecco la mia prima fanfiction, ragazze!
Prima ero niallsredcheecks ma ho perso quel vecchio contatto
e ne ho aperto uno nuovo ma ciancio alle bande (?)
spero che questo capitolo vi piaccia e pliz, lasciate una piccola recensione a
questa povera ragaza (?)
A presto ciccie!

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Capitolo 3
*** II ***



 

Come foglie d'autunno

2




Se c'era una cosa che Abigail aveva sempre odiato era la pausa pranzo, e con ciò non intendeva lo spacco d'ora – pensare una cosa del genere sarebbe stato da stupidi, anche per il più secchione del mondo. In primis odiava la mensa, principale luogo d'incontro di tutte quelle menti vuote che si trovavano all'interno dell'edificio. Insomma, vedere così tanta stupidità in un solo piccolo spazio la esasperava. Inoltre stare troppo a contatto con soggetti del genere le faceva capire che era del tutto inutile porre speranza nel genere umano.
Chi mai porrebbe speranza in persone la cui unica preoccupazione era avere i vestiti del momento o nella vincita di una partita di soccer? Nessuno, se non delle persone completamente vuote la cui unica ragione di vita risiedeva nello status quo. Ma Abigail si chiedeva: una volta che tutto quel mondo perfetto, fatto di unicorni e arcobaleni, sarebbe finito cosa avrebbero fatto? Sarebbero caduti nella depressione più totale, rimpiangendo i tempi di gloria di una volta, magari fissando vecchie foto impolverate e trofei gettati in uno scatolone malmesso? Oppure avrebbero messo la testa a posto prima di finire a lavorare per il mcdonald's e vivendo ancora a casa dei genitori?
Personalmente ad Abigail tutto quello non importava, a differenza degli altri lei aveva dei piani per il suo futuro: voleva specializzarsi in psicologia e, stranamente, voleva diventare un consulente scolastico. Insomma, dare consigli seri invece quelli che, per anni, le avevano dato quegli incompetenti dei suoi ex consulenti, finendo col favorire la struttura sociale oligarchica che da centenni regnava nelle scuole di tutto il mondo, dove il potere risiedeva nelle mani di pochi eletti.
Si, se ve lo stavate chiedendo, aveva pianificato il suo futuro in ogni singolo punto. Ovviamente il suo trasferimento in quella cittadina di Holmes Champel, lontano da tutto e da tutti, non era minimamente compreso. Ancora non si capacitava di come Paul e Maggie, i suoi genitori, avessero preso una decisione così importante così all'improvviso facendola trovare non solo in un posto che non conosceva, ma anche all'impiedi come una completa idiota cercando un posto dove sedersi e mandare giù quello schifo che la mensa chiamava cibo.
I suoi occhi rimbalzavano come palline da tennis da una parte all'altra della grande stanza in cerca di un posto libero e lontano da occhi indiscreti, ma quando capì che l'unico tavolo a cui avrebbe potuto prendere era alla portata di tutti quegli sguardi e a cui era già seduta una ragazza con cui aveva già avuto il piacere – o dispiacere? - di conoscere si lasciò scappare un sospiro rassegnato.
“Forza e coraggio” aveva sussurrato tra sé e sé mentre a passo strisciato si dirigeva verso la ragazza dal berretto nero e dai lunghi capelli color pece che con la forchetta giochicchiava con il cibo che aveva nel piatto. A giudicare dalla sua espressione, mangiare era l'ultima cosa che avrebbe fatto con quella roba.
“Posso sedermi?” il flebile sussurro di Abigail, non sapendo come, riuscì ad arrivare alle orecchie della ragazza che, dopo aver alzato lo sguardo e accertatasi che non fosse nessuno da mandare a quel paese, annuì non staccandole lo sguardo dalla sua figura.
“Sai, volevo chiederti scusa per il mio comportamento di, beh, stamattina”aveva mormorato flebilmente Abigail lasciando cadere la sua borsa ai piedi della sedia, prendendo poi posto difronte la ragazza.
“Avrei dovuto ringraziarti prima, invece di andare via” si scusò notando che la ragazza dai capelli neri aveva smesso di esaminarla con quello sguardo gelido e indagatore, prestando decisamente più attenzione a ciò che aveva nel piatto che alla ragazza che aveva davanti e con voce gelida parlò: “Già. Non è stata una cosa molto matura, biondina”.
A dir la verità, Abigail pensava che la frase della ragazza non fosse completa infatti si aspettava un “Ma non fa nulla” o un “E' comprensibile”, ma nessuna delle sue alternative arrivo anzi, vi susseguì un lungo silenzio, segno che berretto-nero non avesse più nulla da aggiungere, e fu praticamente impossibile per Abigail non notare la sua poca voglia di conversare. Lo notava, lo avrebbe notato anche se fosse stata lontana un miglio da lei: seduta svogliatamente sulla sedia, le gambe accavallate all'altezza delle caviglie, labbro inferiore in fuori, il tutto contornato da spalle ricurve e chiuse. In poche parole, ogni minima cellula di quella ragazza gridava di voler essere lasciata in pace e di voler stare sola, e questo impedì la bionda dal chiederle anche solo quale fosse il suo nome.
Sulla propria pelle riusciva a percepire quella triste e cupa aura che la circondava e stringeva come un baldacchino, così stretta da non volerla lasciarla andare – o forse lei non voleva andarsene, troppo a suo agio circondata da quell'alone malinconico e infelice.
Comunque, dopo quella considerazione, Abigail abbandonò completamente anche solo l'idea di aprir bocca e si mise ad ispezionare la grande sala tempestata di tavoli stracolmi di persone che ridevano e scherzavano con una spensieratezza che non riusciva a comprendere, mentre la ragazza senza nome la mirava di sottecchi battendo nervosamente la forchetta sul vassoio.
Ecco, se c'era almeno una sola cosa che quelle due ragazze avevano in comune era che non gradivano affatto stare lì, chi per un motivo chi per un'altro. Prendiamo Abigail, ad esempio: se c'era una cosa che realmente non gradiva di quella situazione erano le occhiate che fino a quel momento aveva ricevuto da quasi tutti gli studenti, neanche si fosse trasformata in un animale esotico ed in via di estinzione e lei odiava essere trattata anche solo lontanamente in quel modo, ma tutto sommato non poteva dire di odiare quel posto; E poi c'era la ragazza-senza-nome, totalmente in contrasto con quell'ambiente troppo allegro e felice, che odiava solo il fatto di essere lì a causa di forze maggiori – che non poteva contrastare – e di non poter essere altrove.
Insomma, se dovessimo descrivere le due tramite una metafora, Abigail sarebbe stata indubbiamente un raggio di sole mentre la ragazza col berretto un cumulonembo.
E mentre le due ragazze erano ognuna concentrata sui propri pensieri, fu allora che lui apparve in tutto il suo cupo splendore. Camminava a passo lento, alzando i piedi con così tanta lentezza da sembrare che avesse le scarpe di piombo, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni neri. Una cascata di ricci castani gli copriva la fronte e gli occhi che, una volta luminosi e vivace, erano cupi e spenti e privi di ogni segno di vitalità. Ma Abigail non aveva avuto il tempo di mirare i suoi occhi perché, appena lo vide, distolse subito lo sguardo dalla sua figura, concentrandosi su quella strana sensazione che aveva iniziato ad insinuarsi sotto gli strati più profondi della sua pelle. Quella strana sorta di formicolio riuscì persino a perforarle le ossa, toccandola nel suo antro più profondo, percorrendole la spina dorsale dall'interno e provando quei famosi brividi di cui aveva tanto sentito parlare nei libri e nei film il tutto accompagnato da un leggero capogiro. Abigail lasciò cadere la forchetta sul vassoio e si portò entrambe le mani al viso, premendosi le dita sulle tempie, gli occhi e le labbra serrate, in modo da attenuare il dolore. Ma poi lo sentì.

 

Ti sei impiastricciata tutta la faccia! Bimba, possibile che tu non sappia neanche mangiare un gelato?” e poi sentì una risata, roca e piacevole, che le riecheggiò nelle orecchie.


Abigail aprì di scatto gli occhi, con quella risata che le rimbombava ancora nella testa, notando che la ragazza-senza-nome, che prima se ne stava sulle sue, la fissava attentamente con un sopracciglio sollevato.
“Che ti prende, qualcosa non va?” chiese monotona la ragazza, ricevendo in risposta una scrollata di spalle.
“N-no, nulla. Mi è solo sembrato di sen...” ma venne zittita da una terza persona che improvvisamente aveva fatto capolinea nella sua visuale, munita di una chioma bionda e due splendidi occhi color ghiaccio e di un accento davvero bizzarro.
“Oh, ma Edith! Non sapevo che fossi, finalmente, riuscita a stringere amicizia con qualche essere vivente. Pensavo seriamente che questo giorno non potesse mai arrivare” sghignazzò il ragazzo passandole un braccio sulle spalle. Che lui fosse il suo ragazzo? No, impossibile. E non fu solo lo sguardo truce di Edith a farglielo capire.
“Horan, sei intimato di togliere quella tua zampa dalla mia spalla prima che te la spezzi” disse impassibile, con un viso che non lasciava trapelare nessuna emozione, ed il ragazzo levò subito il braccio per poi stringerselo al petto con una finta smorfia di dolore.
“Ouch, Ed! Dovresti smetterla di essere così dolce nei miei confronti. Potrei commuovermi sai?” ghignò divertito scuotendo la testa. Secondo lui, unico e solo sulla faccia della terra, Edith era davvero uno spasso, un qualcosa che solo lui riusciva a capire a pieno.
“Comunque sono Niall James Horan, e non solo Horan” sorrise per poi fare un breve cenno del capo verso Abigail il tutto seguito da un occhiolino amichevole.
Edith sbuffò scocciata. Quel ragazzo era davvero un'idiota del cazzo, senza preoccupazioni e un cervello grande quanto una nocciolina, e se l'aveva trovata dolce fino a quel momento doveva assolutamente sapere che stava per diventare super amorlevole.
“Senti un po', Niall James Horan, hai finito di rompere le palle? Il signorino Styles non si preoccuperà se il suo cucciolo scondinzola un po' troppo lontano da lui?” disse Edith senza mezzi termine mentre Abigail fissava la scena letteralmente immobile e con leggero stupore.
“No, mi ha lasciato senza guinzaglio 'sta volta. Sa benissimo che non riesco a fare pipì se mi tiene legato” ridacchiò prendendo una sua ciocca di capelli e rigirandosela fra le dita, provocando in Edith un'ulteriore nervoso.
“Ma va bene, se proprio ci tieni tanto trottellerò dal mio padroncino. Non piangere quando andrò via, mi raccomando. A dopo Edith e...” lo sguardo del biondo si posò su Abigail la quale arrossì completamente, provocando un sorrisino di Niall.
“Abigail” balbettò completando la sua frase e Niall, dopo essere stato schiaffeggiato alla mano da Edith, si congedò definitivamente e a passo spedito si diresse verso un tavolo completamente vuoto. Fatta ad eccezione per un unico ragazzo riccio.
Tra le due ragazze calò un silenzio che la bionda occupò tentando di osservare il ragazzo riccio – che avrebbe dovuto chiamarsi Styles – dal posto in cui si trovava allungando il collo e senza che nessuno se ne accorgesse. Ma nessuno se ne accorse, a parte Edith la quale prese a parlare.
“Senti” aveva detto, catturando l'attenzione di Abigail che scattò sul posto, rossa in viso dall'imbarazzo “per il tuo bene: sta lontano da Styles.”







Angolo autrice:

Scusate l'increscioso ritardo ragazze
ma spero che questo capitolo soddisfi - anche un minimo -
le vostre aspettative!
Ringrazio soprattutto elidirectioner2010 per aver person anche quei 2 minuti 
per recensire e spero almeno che qualcun'altro lo faccia.
Al prossimo capitolo.
niallssweetsmile c:

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