Drink it if you can

di Kiki87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


prologo
Una premessa prima di lasciarvi alla lettura: tra gli avvisi non ho ritenuto necessario inserire “OOC”. Considerando che ci troviamo in un diverso contesto (anche se non mancheranno dei riferimenti alla storia originale), Sebastian, Kurt e gli altri personaggi hanno anche un diverso passato. Si sono conosciuti in modi e tempi differenti e, di conseguenza, spesso non interagiscono come è usuale in Glee. Inoltre, avviso fin da adesso per gli amanti della Klaine, che Blaine sarà spesso oggetto di critiche, epiteti e commenti ben poco lusinghieri, ma il tutto, naturalmente, non avverrà gratuitamente (non ci sono intenti diffamatori :D).
Vi rimando ai saluti finale, buona lettura! :)





Drink it if you can1
( fall in love with him).

Sono qui con te,
non potrei essere più vicino.
Fingendo di star vivendo quest’istante,
quando sono solo un fantasma.

Ascolto le parole che stai dicendo,
parole a cui stento a credere.
E’ come se vivessi molto lontano,
quando tu sei fuori portata.

E mi sento così lontano, così lontano da tutto.
Al di fuori, chiedendomi quando mi sono perso.
Alzo le braccia al cielo, perché sono scomparso?

Non voglio sprecare tempo,
vivendo una mezza vita.
Mi stai ascoltando?
Ricordo com’era prima,
ridammi la mia vita.
Sento la tua voce,
ma dentro sono perso.

So far away - Red2






Prologo.


Era il momento della giornata che preferiva: quando la sera calava sul profilo maestoso della città e le luci creavano un gioco di colori in perenne movimento. I raggi del sole morente si riflettevano sulla superficie dello skyline di New York, tingendolo di una sfumatura aranciata. Un panorama che lasciava col fiato sospeso, un paesaggio che, per quanto urbano e artificioso, sembrava avere ancora una sua anima e concedersi di estraniarsi da se stesso e confondersi nella folla, quando ne sentiva il bisogno.
Il suo passo era regolare quella sera, la mano era conficcata nella tasca del soprabito, mentre dalle labbra sgorgavano sporadicamente nuvole di fumo. Con un movimento pigro e naturale, di tanto in tanto, abbassava la mano e abbandonava il braccio lungo il fianco.
Non erano molti a passeggiare in quel vicolo del dedalo che il Dumbo3 rappresentava e l'eco dei suoi passi era l'unico sottofondo ai suoi pensieri.
Il ragazzo aveva una figura allampanata, i capelli castani, i cui ciuffi più lunghi erano spesso sollevati a lasciarne la fronte libera, in una pettinatura che ben si confaceva al volto ovale e al sorrisino impertinente che spesso ne increspava le labbra e ne faceva dardeggiare gli occhi.
Si volse ad osservare il paesaggio, Sebastian Smythe, un monito a ricordarsi che, a dispetto della sicurezza ostentata in ogni dialogo o situazione affrontata fino a quel momento, lui non fosse altro che un puntino nel caos delle infinite possibilità.
Spense la sigaretta contro una delle mura più antiche del quartiere, su cui erano impressi dei graffiti, e s’insinuò in un vicolo illuminato e decisamente più affollato.
Lo sguardo di smeraldo sfiorò l'insegna stucchevole dell'uccello acquatico che così poco sembrava affine agli abituali avventori del locale, tanto meno agli spettacolini più accattivanti delle ore notturne.
Spinse la porta del Penguin Pub4, ma già dalla soglia fu investito dall'odore di birra e dall'alone dei profumi misti al sudore degli avventori disseminati sulla pista da ballo.
Vi si era imbattuto per puro caso, una delle prime sere in cui era uscito in ricognizione, dopo essersi trasferito nel proprio loft.
Brooklyn era stata una scelta immediata: si era assicurato che uno stretto marino lo separasse da Manhattan (gloriosa da osservare a distanza di sicurezza), dalla famiglia e dai lussi dell'Upper East Side.
In quell'occasione, si era detto che un posto sarebbe valso l'altro pur di bere qualcosa di abbastanza forte da procurarsi una sbornia che potesse giustificare l'ennesima assenza al corso di legge alla Columbia University. Non che dubitasse che, se si fosse applicato, sarebbe stato un eccellente studente, ma era poco incline allo stare chiuso in un'aula e sorbirsi una lezione accademica. Soprattutto dopo essersi costretto ad attraversare la città in metro e arginare a piedi il traffico che, già dalle prime ore del mattino, era il flagello dei newyorchesi. In compenso la sua memoria fotografica lo facilitava nell’apprendere nozioni e il fascino riusciva a compensare le incertezze di fronte ad un’esaminatrice, specialmente se neolaureata.
Ma aveva presto scoperto, e non certo per merito del suo inetto barista, che al Penguin vi era un'atmosfera del tutto particolare: un ambiente nel quale rifugiarsi per una piacevole distrazione, talvolta persino utile a trovare qualche sporadico appuntamento (un “tromba e getta” rispettabile e non da matricole di coming out che affollavano i locali notoriamente frequentati da gay). O per avere la sua “ora d’aria libera”, da che aveva avuto la brillantissima idea di affittare l'altra camera da letto disponibile.
Si fece largo tra la folla, gettò uno sguardo al palco e allo spettacolino serale dedicato presumibilmente a Lady Gaga, a giudicare dai costumi vistosi, fino a quando non riuscì a raggiungere il bancone. Si sedette sullo sgabello e allentò i bottoni del cappotto, cercando di incrociare lo sguardo del barista che stava discutendo con una moretta dallo sguardo quasi strabico. Probabilmente ciò era una conseguenza di quella stupida treccia laterale e la frangetta che le arrivava fino agli occhi, spesso sgranati in un'espressione da pazzoide mestruata.
Sì, doveva riconoscersi una dote da minuzioso osservatore (anche di futili dettagli), soprattutto quando si trattava di soggetti che ostacolavano i suoi propositi ed intenzioni.
Osservò il ragazzo con aria scettica, Sebastian: doveva concedergli una buona “faccia da stronzo”, quando riusciva ad ostentarla. Una discreta capacità di simulare l'aria da bravo ragazzo, il ragazzo della porta accanto e asessuato che bussava soltanto quando aveva finito il sale; ma in realtà nascondeva manie da arrapato e disperato studente di medicina. Non aveva nulla a che vedere con i barman che improvvisavano piacevoli coreografie con lancio di bottiglie ed affini, piuttosto quell'attività era una scelta quasi obbligata (e non apprezzata) per pagarsi gli studi.
Contò mentalmente, Sebastian e, come prevedibile, allo scoccare del cinque, la moretta si voltò con aria furiosa, facendo ondeggiare la borsa e sgomitando per guadagnarsi l'uscita.
Emise un fischio di finta sorpresa e finalmente il barista si accorse della sua presenza. Tutt'altro che incoraggiato, sembrò afflosciarsi. Si passò una mano tra i capelli in un gesto di reale stanchezza, prima di avvicinarsi con lo stesso incedere di un condannato al patibolo. Improvvisò un finto sorriso di cordialità che ben avrebbe dovuto accompagnarsi al suo ruolo.
“Sempre al posto giusto al momento giusto”, lo accolse, Hunter Clarington, con improbabile allegria.
“Frena l'entusiasmo: la vista di Johanna, Jolanda-”, finse un'espressione concentrata nel tentativo di rammentare il vero nome della ragazza.
Jenna”, lo corresse l'altro in una sorta di ringhio.
“Di solito ha effetto sgonfiante”, continuò come se non fosse stato interrotto. Si puntellò con il gomito sulla superficie del bancone e sorrise con aria affettata: “Dammi il solito”.
Non lo stava neppure ascoltando, Hunter, che osservò l'uscita con aria afflitta: “Credo che stavolta sia finita sul serio”.
“Non ti sto ascoltando”, specificò Sebastian, sollevando gli occhi al cielo, prima di lasciar vagare lo sguardo sugli altri clienti. Fino a quando le note della canzone più ritmata non si dispersero e osservò, con aria evidentemente disgustata, la coppietta diabetica che stava ostentando un repertorio fin troppo vasto di romanticherie strazianti e gratuite. Soprattutto considerando che la ragazza si stesse cimentando in un brano di Céline Dion, senza averne assolutamente l’estensione vocale.
“Credeva che le avrei chiesto di venire a vivere da me”, stava continuando letteralmente il suo soliloquio, Hunter, scuotendo la testa con aria da cane bastonato.
“Il suono delle tue lamentele mi offusca la vista: non te lo sto chiedendo”, precisò Sebastian con voce sarcastica fino a quando non lo vide, con aria rassegnata, riempirgli il bicchiere che afferrò di malagrazia. Un sorrisetto insolente sulle labbra: “Comunque ci avrei scommesso che non sareste arrivati alla quinta uscita, sesso incluso”, ingollò la bevanda avidamente prima di scrutarlo di nuovo.
“Un altro”.
Nulla sembrava poter consolare il barista, se non improvvisare quell'aria da allegro chirurgo5 e cominciare a farfugliare i nomi di qualche patologia che neppure si sarebbe preso la briga di googlare per verificarne l'attendibilità o meno. “Preliminari modesti,” sentenziò con un'inarcata di sopracciglia e le braccia incrociate al petto, “dovrei preoccuparmi”.
“Fossi in te, scriverei la tesi su un laureando in medicina e il sostegno dimostrato ai suoi pazienti desiderosi di abbandonarsi ai fiumi dell'alcol e alla ricerca di piacere. Un bonus per ogni cirrosi e/o gravidanza involontaria di cui ti sei sporcato il bisturi”.
Si concesse un vago sorriso, Hunter, che scrollò le spalle. “Dovrebbero aggiungerlo al giuramento di Ippocrate”, gli concesse con aria vagamente divertita, prima di guardarlo intensamente: “Che succede, Sebastian?”.
Sbuffò, facendo roteare il bicchiere con aria pensierosa. “Non vorrei dirtelo, ma tu insisteresti e andremmo avanti allo sfinimento. O fino a quando non sarei abbastanza sbronzo da spifferare tutto, perché nel frattempo tu mi avresti versato dieci bicchieri. Quindi, saltiamo i preliminari e aspetta che sia sbronzo, ” gli porse di nuovo il bicchiere con un gesto secco, “ versa e sta zitto”.
“Bene”, obbedì l'altro con aria incurante.
Sebastian si avvicinò il bicchiere alle labbra in un movimento fluido, ignorando il bruciore in gola, lo tracannò come se gli fosse vitale per la sopravvivenza. Fissò nuovamente disgustato la coppia che, all’apice dell’intensità del ritornello, aveva ben pensato di tenersi per mano e guardarsi come due poveri allupati senza sesso da sei settimane.
Si voltò nuovamente verso il bancone, lo sguardo perso in un punto indefinito.
“Kurt si sposa”, si sentì dire, dopo aver rilasciato il respiro.
Non era stato volontario, ma bastò pronunciare quelle parole perché fluttuassero tra loro così perentorie. Dannatamente reali. E definitive.
Quella parte di sé che sembrava galleggiare, tornò a pulsare dolorosamente, da qualche parte al centro del suo petto. Rilasciò il respiro.
La bottiglia quasi sfuggì dalle mani di Hunter. “Che cosa?”, domandò con tono incredulo e l'espressione da cane randagio lasciò spazio al meravigliato stupore: “Con CHI?”.
Avrebbe quasi potuto ridere del modo in cui quella seconda domanda, proferita con tono esterrefatto e la voce stridula, fosse indice dell'evidente ed assoluta incoerenza che si celava dietro la decisione. Ne incrociò lo sguardo, Sebastian, un sorriso appena accennato, prima di stringersi nelle spalle: “Mezza SegAnderson”.
Ci vollero evidentemente pochi secondi perché Hunter decifrasse il reale nome, camuffato dall'epiteto, ma lo vide aggrottare le sopracciglia, con aria ancora più perplessa. Sembrò ricordare qualcosa, perché la sua fronte s’increspò: “Non mi è nuovo questo nome”.
Allungò la mano a prendere la bottiglia, Sebastian, per versarsi un altro bicchiere con uno scrollo di spalle. Lo sollevò e fissò il liquido al suo interno: “Neppure a me”.
Non fu certo di esser riuscito a simulare indifferenza.


Un anno prima.

Un sorriso soddisfatto ne increspava le labbra, come ogni volta che tornava da una serata interessante, con annesso un bonus da ottima prestazione. Avrebbe dovuto incassare la scommessa con lo sfigato barista per l'ennesima conferma che il suo istinto era infallibile. Non che si sarebbe tirato indietro, in caso opposto, ma confidava che il suo arsenale potesse “confondere” un etero abbastanza da concedergli una buona soddisfazione.
Insinuò le chiavi nella toppa: avrebbe dovuto premunirsi di non fare troppo rumore o Kurt avrebbe avuto un'altra spropositata reazione isterica, alludendo al suo bisogno categorico d’otto ore di sonno, degli impegni tra tirocinio, scuola e lavoro, nonché della sua pelle e tutta una serie di ciance che sarebbero state reputate inutili da una persona normale.
C'era da sperare, inoltre, che non fosse proprio lui costretto ad assistere a qualche parodia di bassa lega della riconciliazione tra i due innamorati, nello stile di “Le pagine della nostra vita”.
Schiuse l'uscio e cercò a tentoni l'interruttore (scampato pericolo!), ma la lampada sul comodino del soggiorno fu azionata da Kurt stesso.
Il suo volto era pallido e i capelli sembravano aver ceduto alla forza di gravità: si era persino tolto quei pantaloni rossi che così deliziosamente ne sottolineavano il fondoschiena. Indossava una tenuta sportiva e piuttosto trasandata rispetto al pigiama che solitamente era coordinato al cambio di lenzuola e di piumone. Stava seduto sulla poltrona e, prima che entrasse, completamente al buio.
Mi stavi aspettando?”, chiese con le sopracciglia inarcate e l'aria divertita.
Non riuscivo a dormire”, sussurrò Kurt in risposta.
Insonnia post attacco glicemico?”, gli chiese distrattamente, riponendo il cappotto all'attaccapanni e avanzando in sua direzione, le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni e il sorrisetto beffardo e compiaciuto. Cercò di spiare nella camera del ragazzo, alla ricerca delle tracce del suo storico fidanzato.
Scosse il capo, Kurt: “Gli ho chiesto di andarsene”.
Inarcò le sopracciglia a celare la reale sorpresa, ma fu lesto a sorridere. “E' andato così male? Fammi indovinare: il suo usignolo si è incastrato nella zip e-”.
Sebastian”. Sembrava esserci una nota d’ammonimento e solo allora si soffermò con più attenzione sul viso emaciato e gli occhi gonfi, leggermente arrossati che gli erano sfuggiti di primo acchito, probabilmente perché ancora un po’ brillo e ingannato dalla sua pacatezza.
E' finita”, dichiarò e un grave silenzio riempì la stanza.
Aggrottò la fronte, Sebastian, memore del suo canticchiare irritante e il depennare i giorni dal calendario di Vogue.com, nonché la cura con cui si era preparato a quell'appuntamento tanto atteso con aria così beata e felice da apparire insulso. Sentì la mascella serrarsi, mentre si fermava di fronte a lui, le braccia incrociate al petto e il viso inclinato di un lato:
Quindi lo stronzo è venuto fin qua per mollarti?”, il tono di voce ne tradiva l'indignazione e la stizza, nell’attesa di una conferma.
Potremmo far scendere gli altri passeggeri e dirottare il suo volo”. Un sorrisetto diabolico ne aveva increspato le labbra, come sempre pragmatico nel cercare una soluzione immediata.
“Io l'ho lasciato”, la sua voce era stanca ed era evidente che non fosse entusiasta di affrontare l'argomento. Si mosse verso la zona cucina e Sebastian lo seguì.
La prima cosa intelligente che tu abbia fatto, dopo aver accettato la mia proposta di vivere qui, ovviamente”, si compiacque, neppure cercando di celare il sorriso.
Seppur non avesse (ancora) incontrato di persona il ragazzo (limitandosi a disprezzarlo in foto), il solo modo in cui Kurt ne aveva prolissamente descritto il loro incontro, il loro primo bacio (e lì Sebastian era collassato per il sonno e Kurt non gli aveva rivolto la parola per i tre giorni successivi), glielo aveva fatto detestare poco cordialmente dal giorno in cui ne aveva scoperto l'esistenza. Ossia da quando aveva appurato che un fidanzato esisteva davvero e Kurt non lo aveva inventato, in risposta al suo malcelato tentativo di abbordaggio.
E io che credevo che fossi felice di rivederlo: evidentemente in te si nasconde un bastardo incallito, perverso e-”.
Si era voltato bruscamente, Kurt, l'aria stremata e sconvolta: “Ho dovuto farlo”, pareva supplicarlo di non costringerlo ad affrontare quella conversazione.
Lo scrutò stranito. Si era evidente che la decisione non fosse stata pianificata (e fosse stato sinceramente impaziente di rivederlo), non riusciva a capire che cosa fosse cambiato nell'arco di poche ore.
Parve un silenzio lungo quello in cui Kurt si richiuse, prima di abbassare le braccia lungo i fianchi, in una posa d’evidente arresa. “Mi ha tradito”, sussurrò e la sua voce strozzata era colma di pure e semplice vergogna.
Sgranò gli occhi, Sebastian, parvero lunghi istanti quelli in cui cercò di assimilare quelle parole. Non conosceva molto delle attitudini del suo fidanzato, tanto meno se fossero ben assortiti per carattere, ma dal modo in cui Kurt, anche a distanza, coltivava quel sentimento, persino lui aveva creduto che fosse qualcosa di reale. E destinato ad essere eterno soprattutto.
Lo stupore lasciò spazio ad una tiepida rabbia e al disgusto. Non tanto l’atto di per sé (non si era mai tirato indietro, quando un suo amante occasionale aveva dichiarato di essere fidanzato), quanto l’idea che ciò fosse avvenuto alle spalle di Kurt. Che lui osservava giorno dopo giorno, che era divenuto una presenza costante e spesso scomoda e fastidiosa. Ma pur sempre desiderata.
Che figlio di puttana”, commentò in tono squillante che sembrò spezzare violentemente il silenzio.
Trasalì, Kurt, ma scosse il capo, l’aria contrita e sofferente. “H-Ha detto che credeva che tra noi fosse finita: i nostri contatti erano diminuiti, da quando ho iniziato il tirocinio a Vogue. L’ho trascurato e la distanza non era più solo fisica e-”, esordì con voce tremante.
Sebastian detestò come, persino in quel momento, stesse cercando di giustificarlo, di delineare un quadro che non mettesse il suo (ex) ragazzo troppo in cattiva luce. Se anche ciò fosse stato un modo di lenire il suo amor proprio, Sebastian non avrebbe tollerato ulteriore buonismo, soprattutto a beneficio di chi non meritava alcuna clemenza.
E il dolore lo ha spinto a eiaculare?”, chiese in tono pungente, prima di scuotere il capo. “Oh, povero Blaine”, soggiunse con tono evidentemente sarcastico.
Potresti dimostrare un minimo di-”, abbassò le mani lungo i fianchi e scosse il capo. “Lascia perdere: non so neppure perché te l'ho detto”. Si voltò e sembrò soltanto voler scappare verso la propria camera e trincerarsi nel dolore e nella solitudine.
Perché la tua visione idilliaca dell'amore è appena stata infranta e forse cominci a pensare che la mia filosofia di vita non sia la cosa più disgustosa al mondo”, fu la sua rapida analisi, avvicinandosi perché non potesse sfuggire all'intensità del suo sguardo.
Perché di fatto lo sai che per quante giustificazioni lui possa trovare e tu concedergliele, non potranno cancellare quello che è successo. E se vuoi che io te lo ricordi-”.
Si voltò bruscamente, Kurt, il viso contratto in una smorfia rabbiosa: “Vorrei solo un po' di pace e di comprensione, ma è evidente che mi sia rivolto alla persona sbagliata”.
Non farlo”, sollevò le mani ad interromperlo, Sebastian, la cui voce, per contrasto, era un sussurro tranquillo.
Cosa? Piangermi addosso?”, chiese a mo’ di sfida, le mani adagiate ai fianchi, quasi si stesse proteggendo da Sebastian stesso. “ Non ho più intenzione di-”.
Smettila di pensare che tu non sia stato sufficiente”.
Lo vide sbattere le palpebre, evidentemente spiazzato e ridotto al silenzio per un lungo istante. Sorrise amaramente, Kurt, ma parve sorpreso per come ne aveva brillantemente compreso lo stato d'animo. “Ma i fatti sembrano dirlo chiaramente, se è bastato un estraneo mai conosciuto che-”, si era interrotto, la mano premuta alle labbra a trattenere il singhiozzo di cui si era già intrisa la sua voce. Stava tremando e sembrò vacillare, evitandone lo sguardo.
Era stato un movimento quasi involontario quello con cui Sebastian si era avvicinato ulteriormente, inclinando il viso di un lato e appoggiandogli la mano sulla spalla.
Ci sono due motivi per fare sesso con un estraneo: non volere alcun coinvolgimento emotivo, ” e sorrise con aria ironica ad indicare se stesso, prima di sospirare e rimirarlo con più intensità,“o non essere più in grado di averne uno. Non è stata colpa tua, Kurt”. Aggiunse, cercando di conferire alla propria voce un'intonazione più dolce.
Gli occhi di zaffiro traboccavano delle lacrime che quella notte sarebbero ancora scivolate sul suo cuscino, all'insaputa del mondo. Le labbra si schiusero per quel verso strozzato che ne sgorgò, ma fu con slancio quasi infantile che si rifugiò contro il suo petto. Ne strinse la t-shirt impregnata dall'odore di fumo e d’alcol, ma cercò di trattenere i singhiozzi che ne facevano tremare il corpo esile.
Sussultò, Sebastian, sorpreso che fosse lui quel punto saldo a cui aggrapparsi in un momento simile. Qualcosa che sembrava andare oltre lo stringersi alla prima persona che poteva fornire un po’ di calore umano: il solo fatto che non si fosse ritratto al suo ritorno, che avesse raccontato ciò che era realmente accaduto e che fosse stato Kurt stesso a ricercare quel contatto, sembrava suggerire che stesse cercando proprio la sua presenza.
Ne inspirò il profumo di vaniglia, e quella penetrante fragranza sembrò stordirlo, ma lo pressò contro di sé, senza commentare. A quel punto la cosa migliore che avrebbe potuto fare, si era detto, era tacere e permettergli soltanto di restargli vicino. Senza altre elucubrazioni ciniche e spassionate, senza giudicarlo o farlo sentire ulteriormente fragile e insignificante.
Era curioso, lo realizzò molto tempo dopo, nessun abbraccio intimo con un partner occasionale, aveva mai mantenuto una traccia. O un minimo ricordo significativo. O dato la parvenza di serbare ancora quell'alone, anche a distanza di tempo, sorprendendolo quando tutto era buio e il sonno faticava ad avvolgerlo.
Quasi fosse divenuto un tutt’uno con l'idea di Kurt: la consapevolezza che facesse parte della sua realtà quotidiana, fino a divenire un complemento di sé. In modo naturale, indesiderato e silenzioso. E per questo più insidioso.
Non è colpa tua, ricordalo sempre”, sussurrò contro il suo orecchio, lasciando che le dita ne sfiorassero i capelli ancora impasticciati della lacca con cui doveva averli fissati poche ore prima.
Non aveva risposto, Kurt, ma si era rifugiato maggiormente contro il suo petto, rinsaldando la pressione con cui le dita ne stavano stringendo la maglia. Lo interpretò come un silenzioso ringraziamento e, al contempo, la richiesta di non lasciarlo ancora andare. Non lo avrebbe fatto comunque, si era sorpreso a pensare.
Solo dopo molto tempo si addormentò sul divano in un sonno apparentemente tranquillo. Sebastian lo aveva osservato a lungo, allungando la mano a scostarne quel ciuffo più sbarazzino che sovente scivolava sulla sua fronte, ma aveva scosso il capo.
Quella notte sembrò confermare la sua filosofia di vita: se Kurt non era stato amato quanto avrebbe meritato o quanto era in grado d’amare, non sarebbe stato proprio lui, Sebastian, a credere nell'amore. O esigerlo per sé.



Appoggiò il bicchiere sul bancone: l'aria cominciava a diventare soffocante e il cicaleccio fastidioso e assordante tra i brindisi improvvisati, le comitive che festeggiavano e gli schiamazzi d’apprezzamento alle ballerine sul palco.
Si sfiorò la tempia nel tentativo di recuperare una parvenza di lucidità. Neppure sembrava avvedersi dello sguardo prolungato del barista che pulì la superficie per l'ennesima volta e la liberò dei bicchieri vuoti.
Si fermò, infine, Hunter, appoggiandosi con i gomiti al bancone per osservarlo. “Sei turbato”.
Aggrottò le sopracciglia, Sebastian, rifilandogli un'occhiata di sbieco: “Non me ne frega niente, se vuole rovinarsi la vita”, nonostante lo sguardo rabbuiato e la dichiarazione inflessibile, la voce tradiva una nota d’ilarità per l'effetto distensivo dell'alcol.
“Sei qui da mezzora e ancora non ho sentito commenti su come la canottiera nera mi dia un'aria da gay”, fu la replica dell’altro, le sopracciglia inarcate a testimoniarne un’osservazione arguta.
Un vago sorrisetto ne increspò le labbra e lo sguardo baluginò del consueto divertimento nell'umiliare il prossimo: “E' una verità risaputa Mr Non-Sono-Bicurioso”.
Ma l’effetto benefico sembrò non durare a lungo e nuovamente distolse lo sguardo.
Sospirò, Hunter, e si sollevò. Incrociò le braccia al petto, osservandolo con il viso inclinato di un lato: “Dovresti dirlo a Kurt”.
“Che ha un complesso d'inferiorità per una mezza sega che usa il gel come lubrificante?”, rispose quasi di riflesso.
“Che lo ami”, ribatté l'altro, le sopracciglia inarcate, quasi a sfidarlo a sostenere il contrario.
Questo fece tacere Sebastian. Schiuse le labbra e le richiuse l'attimo dopo, sembrò vacillare come se fosse stato colpito inaspettatamente. O forse era l’effetto di qualche bicchiere di troppo che gli dava l’erronea impressione di trovarsi di fronte a tre facce da idiota, con la conseguente difficoltà di individuare quale fosse quella giusta a cui rivolgersi.
Aggrottò e sopracciglia, un verso prolungato d’incredula ilarità: “Clarington, non sono abbastanza sbronzo da prendere consigli da un segaiolo seriale, ma se proprio insisti”, aveva inclinato il viso di un lato con fare sardonico, “sarò lieto di suggerirti dei posti originali nei quali ficcarteli”.
Si era stretto nelle spalle, l'altro, evidentemente abituato a quel tipo di turpiloquio. Aveva persino sollevato l'ennesima bottiglia per versarne il contenuto in due bicchieri: uno scivolò verso Sebastian e tenne stretto l’altro per sé. “Questo lo offro io, ” sollevò il drink, “alla mezza SegAnderson e ad un felice divorzio, salute!”.
Aveva emesso un verso di divertimento, Sebastian, facendo cozzare il bicchiere contro il suo (dopo che Hunter parve avere pietà e allungare il proprio, visto che non riusciva ancora a capire chi fosse il vero barista tra quelli che vedeva). Bevve di un fiato, ma gli rivolse un’occhiata scettica. Non soltanto il barista sfigato non aveva avvicinato il calice alle labbra, ma lo aveva scrutato quasi a sincerarsi che bevesse interamente dal suo. “Se credi di potermi indurre ad una sbornia triste che mi faccia tornare da Kurt e supplicarlo di non sposarlo-”.
Si strinse nelle spalle, l'altro. “Chiamami pure romantico: solo perché la mia vita privata va a pezzi, non significa che lo auguri anche a te”.
Sembrò soppesare quelle parole: “Sei davvero sicuro di non essere gay?”.
Non sentì la risposta alla domanda, ma crollò con il capo contro la superficie del bancone.

~

La brezza fredda era un conforto: scansò i tentativi di Clarington di accompagnarlo, lo insultò pesantemente alla proposta di telefonare a Kurt per avvisarlo del suo imminente ritorno.
L'andatura era decisamente più goffa di quella che lo aveva visto giungere al bar poche ore prima, ma camminava lentamente. I suoi piedi sembravano ormai conoscere il percorso, anche se la sua mente era un colabrodo d’immagini, suoni e di una strana euforia, mista alla sensazione sempre più netta di una nausea crescente.
Avrebbe dovuto capirlo fin da quando era rientrato e lo aveva sorpreso a canticchiare. Aveva intuito che qualcosa doveva esser successo, qualcosa più emozionante della semplice visita al padre per il weekend nella squallida cittadina dell'Ohio. Era stato un momento folle e incredibile quello nel quale Kurt si era voltato e, con un sorriso che mai aveva visto impresso sul viso, aveva indicato con orgoglio l'anello di fidanzamento al dito.
“Io e Blaine ci sposiamo”, erano state le sue parole e c'era voluto qualche istante perché Sebastian le assimilasse. Soprattutto perché riuscisse a convincersi che stesse parlando dello stesso Blaine che, solo pochi mesi prima, gli aveva spezzato il cuore. Colui che, così aveva ripetuto a lungo, non avrebbe più voluto avere nella propria vita.

Poche ore prima.

Il tuo senso dell'umorismo non è affatto migliorato, ma apprezzerò il tentativo: devo esserti mancato”, fu il suo bentornato.
Non è uno scherzo”, aveva ribattuto prontamente, Kurt, e quel sorriso più stucchevole ne aveva fatto scintillare lo sguardo, mentre gli si avvicinava a mostrare il brillante al dito.
Aveva sollevato la mano, Sebastian, per tenerlo a distanza, la mascella serrata: “Che cosa cazzo significa? Fino a due giorni fa non meditavi neppure di incontrarlo di nuovo”, c’era una nota accusatoria nel suo tono. Ricordava perfettamente quanto era sembrato allarmato all’idea che suo padre si fosse lasciato sfuggire la notizia del suo ritorno con gli ex compagni del liceo e che qualcuno prontamente avesse avvisato l’ex fidanzato.
Aveva continuato a sorridere, Kurt, in maniera irritante: sembrava provare divertimento al suo evidente sdegno e al legittimo sconcerto. “Lo so che è inaspettato-”, aveva esordito con lo stesso tono pacato con cui gli avrebbe spiegato la differenza tra una crema idratante e una rassodante per il viso.
Inaspettato?”, ripeté con voce grondante di sarcasmo, “vorrai dire totalmente insano, inspiegabile ed incoerente, a meno che tu non abbia subito una lobotomia durante il volo”.
Lascia che ti spieghi”, lo aveva trattenuto per il braccio con aria più dolce. Lo sguardo sembrò nuovamente perdersi nei ricordi, data l'espressione sognante: “Avresti dovuto assistere alla sua dichiarazione alla Dalton davanti ai nostri amici, mio padre, gli avversari storici del Glee Club-”.
Dimmi, Kurt, esattamente che cosa mi sono perso?”, lo incalzò con espressione provocante.
Il modo narcisistico in cui persino una personale proposta di matrimonio è diventata lo spettacolo di un nano da giardino, o il modo in cui il tuo senso di inferiorità questa volta potrebbe fotterti per tutta la vita?”.
Boccheggiò, Kurt, per l'intensità con cui quelle parole furono pronunciate, ma l’effetto fu breve. Sembrava che quella nuova serenità gli permettesse di sopportare qualsiasi opinione contraria alla propria. O qualsiasi reazione negativa. “Apprezzo che tu ti preoccupi, ma Blaine è stato... Blaine è l'amore della mia vita”, si corresse. “Anche le coppie più felici hanno momenti di fragilità ma-”.
Ma cosa?”, lo sfidò Sebastian, alzando ulteriormente la voce. “E' così, Kurt? Basta una performance pubblica per far vacillare tutte le tue convinzioni e prendere una decisione del genere?”.
E' una decisione seria”, ribatté a denti stretti, per la prima volta ostentando un reale fastidio. Ma che ciò fosse riconducibile al dover proteggere Blaine e il loro rapporto (e non un’accusa di superficialità) fu persino più insopportabile agli occhi di Sebastian.
A me sembra solo l'ennesimo capitolo del Blaine Show a cui ti sei chinato per l'ennesima volta”.
Non è così!”, ribatté, Kurt, la voce più stridula e l'aria esasperata nel tentativo di farsi comprendere.
Se non altro era riuscito a lanciare una brezza in quello stato d’ilarità impenetrabile.
Certo, ci sarà molto di cui discutere, prendere altre decisioni per la nostra vita insieme e-”.
Sollevò ulteriormente la mano, Sebastian, interrompendolo. “Non resterò qui ad ascoltarti farneticare sul vostro matrimonio perfetto, mentre cerchi di giustificare la più grande cazzata della tua vita”.
Lo aveva scrutato ancora a lungo, le labbra strette in una smorfia e lo sguardo più fosco: sembrò stentare a riconoscere il giovane che aveva di fronte. Quasi rassegnato, scosse il capo e si voltò bruscamente.
Sebastian!”.
Non aveva risposto, aveva infilato il cappotto ed era uscito, sbattendo l'uscio alle sue spalle.


Non occorreva controllare l'orologio per immaginare che fosse molto tardi: non lo sorprese vedere che ogni luce era ormai spenta. Si tolse il cappotto e camminò a tentoni.
Era tentato di lasciarsi cadere sul divano e abbandonarsi al sonno (se mai le tempie avessero smesso di ballare il tip tap), ma puntò lo sguardo alla camera di Kurt. Sembrò essere ancora abbastanza lucido da riuscire a raggiungerla.
Barcollò sulla soglia, ne osservò il volto illuminato dai raggi di luna, la mano con l'anello che scintillava e che gli fece storcere le labbra. Si accomodò sul letto, attento a non sbilanciarsi e ruzzolare sul pavimento (quello sì che sarebbe stato divertente!) e ne ascoltò a lungo il respiro.
Era come se, in quel momento, potesse congelare il tempo: tutte le parole che erano state pronunciate poche ore prima, erano sospese. Così tutto ciò che avrebbero dovuto affrontare dal giorno dopo. Tutto in una dimensione distante e lontana.
Probabilmente per effetto del tasso d’alcol nel sangue, la rabbia e la reazione esacerbata che aveva ostentato, sembravano spropositate. Uno strano ottimismo sembrava dirgli che non tutto fosse finito. Era ancora in tempo per cambiare le cose.
Sospirò e ne rimirò il viso pallido.
“Coglione”, borbottò in sua direzione.
Si chinò fino a quando non poté contare le efelidi sotto l'occhio, allungò le dita a sfiorare la pelle morbida e fresca.
Sentì qualcosa contrarsi dolorosamente dentro di sé. “Non farlo”, si sentì dire e si sorprese della flessione più rauca della sua voce, della difficoltà di respirare alla sola idea che quella camera fosse nuovamente vuota e fosse privato della sua presenza.
Non avrebbe saputo dire da quanto tempo fosse rimasto in quella posizione: fino a quando avesse continuato a sfiorarlo. Fino a quando avesse potuto sottrarre persino a Kurt quegli istanti soltanto per sé, tutto il resto avrebbe potuto attendere.
Almeno fino a quando la stanchezza non lo fece letteralmente crollare sul suo stesso materasso, abbarbicandosi di un fianco, cercando di lottare contro il sonno, per continuare ad osservarne il viso. Si era sentito serrare le palpebre, ma aveva stretto istintivamente il corpo dell'altro.
Lo sentì muoversi, come se anche dormendo, ne avesse percepito la presenza. Ne sussurrò il nome con intonazione confusa, prima di emettere un verso disgustato: “Puzzi di alcol”, disse con voce alterata, evidentemente quando si era coricato, era ancora arrabbiato per il loro litigio.
Sorrise per risposta, non offeso da quelle parole: “Mhm, tu sai di vaniglia e di creme da gay”, constatò, anche se ormai quella fragranza gli era familiare e non occorreva verificarlo. Affondò il volto contro la sua spalla, gli occhi chiusi e il suo respiro pesante a riversarsi sul collo di Kurt.
“Sei ubriaco”, era ancora rigido tra le sue braccia, seppur non lo avesse scostato a forza o spinto giù dal letto, come si sarebbe aspettato, ma la voce era ancora fredda.
“Non tanto”, ribatté e rafforzò la pressione con cui ne cingeva la vita, affondando maggiormente contro il suo corpo, incurante della sua apparente indifferenza a quella vicinanza.
“Non ti ho perdonato”, precisò Kurt con tono da moglie permalosa, premunendosi tuttavia di non parlare con voce troppo alta o quell'incrinatura stridula che gli avrebbe trapanato i timpani nella quiete della notte. “Sei stato villano e precipitoso”.
“E tu resti un idiota”, borbottò per risposta, quasi risentito, ma senza la benché minima intenzione di sciogliere quell'abbraccio a cui lo stava costringendo.
“Ti convincerò del contrario”, sospirò Kurt e Sebastian sorrise perché cominciò a scorgere un segnale d’apertura e di riavvicinamento. “Ma, anche se nel tuo più che discutibile modo, è dolce che ti preoccupi per me”.
Rafforzò la pressione del contatto, con aria compiaciuta, strusciando appena le labbra contro la sua mascella, nell'imitazione di un bacio. Rise del verso di disgusto causato da un alito tutt'altro che fresco e piacevole su quella pelle soffice e levigata. Sono tenero dentro e duro all'esterno”, precisò con voce più suadente al suo orecchio.
“Da ubriaco sei anche più volgare”, sbuffò l'altro, cercando di divincolarsi. “Potresti almeno girarti dall'altra parte: ricordi che hai una tua camera?”.
Ridacchiò vagamente divertito ma, malgrado Kurt fosse riuscito a dargli le spalle, si pressò contro la sua schiena. Affondò il volto contro l'incavo del suo collo: “Sì”, rispose con una traccia di divertimento nel baciarne la nuca.
Lo sentì trasalire. Sospirò l’attimo dopo: “Dormi, Sebastian: non ti attende un bel risveglio”, cercò di scioglierne la pressione con cui lo aveva cinto all'altezza dello stomaco. Per qualche motivo, quella previsione non sembrava riguardare soltanto il post sbronza.
Mugugnò, Sebastian, ma lo cinse con entrambe le braccia ad incastrarlo contro il proprio petto, con intensità quasi angosciante per il modo in cui si chinò al suo orecchio, con voce più rauca: “Non farlo, Kurt”.
Lo sentì emettere un verso di sorpresa: probabilmente domandandosi se si stesse riferendo al matrimonio o a quel tentativo di allontanarsi da lui.
“Non farlo”, ripeté con tono impregnato di reale timore.
Kurt aveva cercato di voltarsi nella stretta morsa del suo abbraccio, ma non aveva forza di schiudere gli occhi, Sebastian. Era consapevole che guardarlo in quel momento avrebbe potuto significare perdere tutto o lasciare che Kurt scorgesse qualcosa d’insopportabile.
Sospirò di beatitudine, invece, al tocco delicato della sua mano fresca ed esile lungo la guancia, lo sentì scostargli i capelli dal volto e lo trattenne, il volto affondato nel cuscino e il sorriso ad incresparne le labbra.
“Kurt”, ne sussurrò il nome, quasi ciò potesse contenere tutti i pensieri inespressi.
Gli sfiorò nuovamente la gota, l’altro: “Sebastian”, sussurrò per risposta, la voce così delicata che sembrò cullarlo con amorevole dedizione.
O poteva fingere che fosse così: fino a quando fossero rimasti soli, fino a quando le luci del nuovo giorno non avrebbero di nuovo gettato lo scompiglio nella sua vita.
“Adesso dormi: affronteremo tutto quanto”, aveva sussurrato, Kurt, carezzandone i capelli in un moto regolare che lo aveva indotto ulteriormente a sospirare e rilassarsi. La fragranza di vaniglia sembrò inondare tutto il resto, persino la nausea sembrò sciogliersi.
Lo strinse ulteriormente a sé, affondando il volto contro la sua spalla: soltanto quando Kurt si rilassò e si abbandonò al suo abbraccio, riuscì finalmente a cadere nel sonno.
Sebastian dubitava che le parole sarebbero servite, ma Blaine Anderson avrebbe dovuto stare attento: non avrebbe lasciato andare Kurt tanto facilmente.


To be continued…


Ed eccoci alla conclusione :)
Spero che l’alternanza tra narrazione presente e passata non vi risulti confusionaria: dal primo capitolo i flashback saranno riferiti ad un solo episodio, ma qui era importante focalizzarsi sulla fine della storia tra i Klaine (ho rispettato la versione originale) e il momento in cui Sebastian apprende del fidanzamento.
Prima di salutarvi, una sbirciata al prossimo capitolo (quanto mi era mancato scriverlo *-*):


Non puoi provare ad essere felice per me?” “Me lo chiederesti, anche se ti vedessi con una pietra e una fune attaccata al collo, mentre ti getti dal ponte di Brooklyn?”.
Grazie, Kurt” “Ti porto altro?” “Se vuoi saltare i preliminari, puoi sempre portarmi il tuo numero”.
Scusa dolcezza, temo che il tuo amico sia già impegnato in un’altra squadra” “Porco!” “Bene, ora che ti sei liberato, passiamo alle cose serie”.

Fin da adesso, ringrazio di cuore chiunque si appresterà a leggere questo racconto, spero di sapervi intrattenere. Un particolare pensiero alla mia Sebastian che ha atteso tra spoiler provocanti e previsioni catastrofiche sul mio modus operandi narrativo :P
Come sempre, sarò più che disponibile ad uno scambio di opinioni o qualora si necessitino chiarimenti, non esitate a contattarmi :)

Non mi resta che augurarvi buon weekend e darvi appuntamento al prossimo capitolo :)
Kiki87
 


1Il titolo fa naturalmente riferimento al verso tratto da “Glad you came” dei “The Wanted”. In verità ne avevo scelto un altro ma il mio iPod (che sospetto essere un Kurtbastian shipper più pazzo della proprietaria), ha voluto che le mie sinapsi si soffermassero sulla voce di Grant in quel preciso istante e fossi colta dalla folgorazione :)
2 Per ascoltare il brano e vederne il testo originale (purtroppo la traduzione non è sempre bellissima a leggersi), cliccare QUI
3Acronimo di: "Down Under the Manhattan Bridge Overpass”, letteralmente indica il passaggio sotto il ponte di Brooklyn, si tratta di un caratteristico quartiere con un'atmosfera del tutto antica e molte strade a ciottoli dalle cui angolazioni si può ammirare il ponte. Per avere un'idea più precisa, vi allego un'immagine: DUMBO
4Ovviamente il nome è di mia invenzione, dopo aver rinunciato a scandagliare pagine di google per cercare un locale effettivamente esistente. Ma un piccolo tocco “kurteggiante” era decisamente dovuto :P
5 Fa riferimento al famoso gioco da tavola. Il nome originale è “Operation” ma perché avesse senso la frase, ho dovuto lasciare la traduzione italiana.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


capitolo 1
Ti conosco,
ma chi sei tu adesso?
Guardami negli occhi, se non lo ricordi.

Non sarò più lo stesso,
sono perso dentro i ricordi.
Non posso semplicemente andarmene,
perché dopo averti amato,
non sarò più lo stesso.

Come potrei fingere,
di non averti mai conosciuto?
Come se fosse stato solo un sogno.
So che non dimenticherò mai,
il modo in cui mi sono sempre sentito
con te accanto.

Mi lasci qui,
ti guardo scomparire.
Lasci questo vuoto dentro,
e non posso tornare indietro
(nel tempo).

Non posso lasciarti andare.1

(Never be the same – Red)



Capitolo 1.


Al suo risveglio, le tempie pulsavano come se tanti piccoli martelli stessero cercando di penetrare nella scatola cranica. Emise un mugugno, gli occhi ancora serrati spasmodicamente e qualche pensiero suicida nel vano tentativo di recuperare il pieno possesso delle sue facoltà mentali.
Allungò pigramente il braccio verso l’altra estremità del letto: un’espressione di disappunto apparve sul volto, quando si rese conto che Kurt si era già alzato. La breve parentesi, ottenuta in virtù della sbronza da record del mese, era terminata.
Sbuffò e schiuse gli occhi lentamente: si scostò i capelli scombinati dalla fronte, imprecando contro il figlio gay di Ippocrate (perché avessero tirato in ballo Ippocrate non riusciva a ricordarlo), prima di rimettersi in piedi.
Si sostenne la fronte, lo stomaco sottosopra (se per fame o per nausea non era ancora comprensibile), uscì dalla camera la cui essenza di vaniglia sembrava ancora dominante, malgrado la sua personale aggiunta di una goccia di “colonia da osteria”.
Con gli occhi nuovamente semichiusi, cercando di schermarsi dai raggi del sole (“Fanculo alle tende gay”), camminò verso il soggiorno.
Kurt era già vestito di tutto punto nel suo look formale ed elegante (sì, nella sua cabina armadio i vestiti erano catalogati con etichette per distinguerli per tessuto, occasione d’uso, colore e stagione ideale) da studente e tirocinante di Vogue.com.
Lo aveva sorpreso in più di un’occasione, mentre affrontava dilemmi da Amleto/Valentino su quale foulard, camicia, pochette (il fatto che Sebastian sapesse che "pochette" era solo una parola snob per indicare il fazzoletto da taschino, doveva interpretarsi come un segno nefasto della presenza di Kurt nella sua vita) abbinare alla mise del giorno.
Se non altro, ed era un parere spassionato il proprio, quei pantaloni gessati di quella tonalità di grigio (ma valeva anche per i red hot pants, nonché quelli color vomito) rendevano il suo fondoschiena una meraviglia da contemplare e la migliore garanzia per un buon risveglio.
Stava tranquillamente cicalando al telefono, Kurt, mentre allineava dei pancakes, anche se poi lui si sarebbe limitato ad un tost o ad uno yogurt (doveva solo trovare la foto del suo passato da obeso perché la propria teoria fosse confermata), ma lo fece sorridere soddisfatto l’idea che stesse cucinando per lui. Un compiacimento che ne fece scintillare le iridi e increspare le labbra del suo tipico sorrisetto beffardo, tanto più che la piacevole fragranza stava risvegliando un discreto languorino. Dunque il suo sistema immunitario era ormai avvezzo a domare la nausea post sbronza.
Era da tempo che il suo coinquilino non sorrideva così, constatò dopo aver preso posto di fronte al bancone della cucina.
Kurt, evidentemente ancora ascoltando l’interlocutore, si limitò a passargli un bicchiere d’acqua nella quale si stava sciogliendo l’aspirina effervescente, oltre ad un piatto con una pila di frittelle. Continuò ad annuire per poi emettere quella risatina più vezzosa (e Sebastian aveva alzato gli occhi al cielo, improvvisamente immusonito nell’avere una conferma più che palese sull’identità del chiamante) ma si voltò nuovamente, dandogli così una gratuita panoramica del “bel paese”.
Ma l’effimero diletto lasciò spazio ad un nuovo irrigidimento, mentre, molto lentamente, la sua mente processava ciò che era accaduto la sera precedente.
Il bicchiere d’aspirina restò fermo a metà traiettoria, mentre Kurt rideva nuovamente e allungava la mano sinistra davanti a sé: “Oh, non smetterò mai di guardarlo”, cinguettò. Quasi come una macabra conferma (con tanto di musica horror in sottofondo) la luce del sole illuminò il brillante al dito e Sebastian si accigliò.
Si schiarì rumorosamente la gola a ricordargli d’essere, suo malgrado, innocente spettatore di quella stucchevole conversazione telefonica.
Dovette aver raggiunto il suo intento perché Kurt si premunì di abbassare la voce: “Adesso devo andare”, annunciò, “Sì, ti amo anche io: ci sentiamo questa sera, buona giornata”, aveva concluso con lo stesso tono più delicato, quello con cui aveva pronunciato il suo nome poche ore prima, inducendolo a rilassarsi.
L’appetito sembrò dimentico all’idea che quell’unico momento piacevole fosse appena stato smentito ed annullato. No, non era stato un sogno ai limiti dell’insulsa romanticheria, realizzò.
Ingoiò il contenuto del bicchiere con la stessa foga con cui si era stordito di alcol la sera precedente. Fissò la parete di fronte a sé, mentre cercava di ricostruire gli eventi e quel dialogo tra le lenzuola del letto di Kurt, quasi cercando una promessa di quest’ultimo, una frase che potesse lasciargli l’appiglio ad una speranza. Un gesto o un vezzo che potesse tradursi con qualcosa di personale e volto soltanto a lui.
Non si era accorto del movimento con cui Kurt, invece, un sorrisino più furbo, dopo aver circumnavigato il tavolo ed essergli arrivato alle spalle, si era sporto al suo orecchio. Emise, in un falsetto incredibilmente stridulo, un allegro: “Buongiorno!”.
Trasalì, gli occhi sgranati, il cuore in gola e la tempia pulsante per il suono acuto ed improvviso che gli aveva appena trapanato il timpano.
“Fanculo”, borbottò, mentre il ragazzo ridacchiava con aria fintamente innocente, scivolando sullo sgabello accanto al suo, ma appoggiando la schiena al bancone.
“Ops”, simulò un’espressione contrita, “vuoi che parli più piano perché hai mal di testa?”, lo chiese con tono beffardo che sembrava equivalere al famigerato « te lo avevo detto ».
Non gli concesse risposta, ma infilzò la prima frittella come se desiderasse accoltellarla.
Le labbra erano ancora contratte in una smorfia: “Già sente la tua mancanza?”, gli chiese e si odiò perché il suo tono sembrò tradire una reale stizza, malgrado stesse cercando di apparire ironico.
“Non ha pensato ad installare una web cam nell’anello?”, aggiunse, rivolgendogli un sorriso impertinente che cancellò quello sul viso di Kurt.
Questi sospirò, ma accavallò le gambe e lo guardò di sottecchi: “Non raccolgo provocazioni dopo un’intensa pulizia del viso”, ribatté con aria pacata che infastidì persino di più Sebastian.
“Ma ti ricordo,” si era premunito di alzare leggermente la voce, ad attirarne l’attenzione, quasi ne intuisse lo sdegno interiore, “che è il tuo turno di fare la spesa e, per favore, questa volta presta attenzione alle etichette degli ammorbidenti e… mi stai ascoltando?”.
No, non lo stava ascoltando. Che lui, Sebastian Smythe, fosse propenso ad evitare un argomento, era più che comprensibile per il naturale riserbo (che aveva lo spessore della muraglia cinese) entro cui celava i suoi reali sentimenti; ma che Kurt svicolasse così palesemente, sembrava soltanto confermare che la decisione era presa, a prescindere dalla sua opinione.
Il riferimento a qualcosa di così quotidiano, come le spese per la convivenza, aveva un sapore dolce amaro. La sua mente, tuttavia, era ancora troppo annebbiata per cercare di trarne una conclusione piacevole.
Si era sporto verso di lui, Kurt: gli occhi dal sottostrato azzurro e di sfumature fuggevoli e variegate, lo stavano contemplando con tale attenzione che Sebastian si riscosse.
Un sorriso ne increspò le labbra nell’avvicinarsi lui stesso al suo volto: “No, ” rispose con una scrollata di spalle, “ma il mio coinquilino al piano di sotto si è appena svegliato”, lo informò in tono suadente, le labbra increspate in quella piega più sardonica e maliziosa.
Sgranò gli occhi, Kurt, e un delizioso color pesca ne tinse le guance, ma si scostò con quell’aria imbarazzata e sdegnata da "verginello" che non si sarebbe mai stancato di contemplare. Tanto meno di provocare ed esserne artefice.
“Vorrà dire che ti tempesterò di telefonate, mentre sarai al supermercato, peggio per te”, si era sforzato di recuperare quella verve polemica. Evidentemente non contento, le braccia incrociate al petto in quella postura difensiva (quasi non potesse rilassarsi di fronte alle sue provocazioni neppure dopo un anno di convivenza), aggiunse anche: “Stasera cucinerai tu!”.
“Sì, amore”, sospirò con aria teatralmente afflitta, perfetta imitazione di un marito succube delle angherie di una moglie nevrotica ed in perenne fase premestruale.
Scosse nuovamente il capo, Kurt, prima di aggiungere, il tono guardingo nello scrutarlo di sottecchi: “Così… potremmo riprendere la conversazione di ieri”.
Una sorta d’allarme risuonò nella mente di Sebastian. Dunque l’intenzione di Kurt non era stata quella di evitare del tutto l’argomento, quanto piuttosto concedergli una pausa che gli donasse un falso senso di sicurezza, prima di tornare a sferrare un attacco. Che potesse usare la sua sbronza a proprio vantaggio, gli era insopportabile, soprattutto con lo svantaggio di non ricordare quanto si fosse reso patetico.
“Se con ciò intendi che io assaggerò il vino e insulterò Mezza SegAnderson, mentre tu ti lamenterai della spesa e del take-away e poi mi ricorderai quanto lo ami, con tanto di ricordi e descrizioni che mi indurranno ad insultarlo ancora di più e quindi a farti andare via indignato; allora sì, non vedo l’ora”, concluse senza neppure cercare di celare il sarcasmo di cui grondavano quelle parole.
Aveva sospirato, Kurt, l’espressione più contrita. “Non puoi provare ad essere felice per me?”, gli aveva chiesto in un sussurro che normalmente avrebbe innescato in Sebastian un automatico (ed insensato) self control e un conseguente limite alle dosi d’ironia d’ogni risposta.
Ma non in quel frangente.
“Me lo chiederesti, anche se ti vedessi con una pietra e una fune attaccata al collo, mentre ti getti dal ponte di Brooklyn?”, chiese con un sorriso affettato.
Kurt s’irrigidì e si alzò in piedi. Sollevò le mani in segno di resa e scosse il capo.
“Hai ragione: è ottimistico fino allo svenevole sperare che tu invochi il romanticismo”, si voltò a guardarlo, le mani ai fianchi e il viso inclinato di un lato.
Aggiunse: “Io ti sosterrei e cercherei di farti sentire la mia vicinanza, se tu provassi il desiderio di cambiare la tua vita con una relazione stabile. Mi fiderei di te, malgrado i tuoi precedenti”.
Aveva simulato un’aria sorpresa, Sebastian, finendo di ingoiare la frittella, prima di guardarlo con il viso inclinato di un lato e le sopracciglia inarcate: “Sembra quasi che tu non mi conosca”.
Se soltanto Kurt avesse avuto il minimo sospetto che non si riferisse alla conclusione più ovvia.
Aveva roteato gli occhi al cielo, Kurt: “Non ho tempo adesso”, aveva abbassato le mani lungo i fianchi in un gesto di momentanea amnistia, mentre si affrettava ad indossare il cappotto per poi ordinare i fogli e i libri nella sua borsa a tracollo.
“Hai visto le mie chiavi?”.
Sospirò, Sebastian, non molto soddisfatto di quel primo approccio, ma accettando di buon grado di poter sospendere la conversazione (se proprio fosse stata ripresa), nella speranza che le prossime ore gli riportassero un po’ di lucidità.
Allungò la mano a prendere il portachiavi abbandonato su una pila di riviste che Kurt era solito leggere, mentre sorseggiava il caffè.
Lo sguardo fisso sull’iniziale del nome del ragazzo, costellata di strass. Fece tintinnare le chiavi, un vago sorriso, mentre la mente vagava già nei meandri del ricordo che era sovvenuto.


Non era stato difficile trovare un locale che avrebbe potuto accontentare le sue esigenze. Era piuttosto soddisfatto della scelta: il loft era ampio, in una zona tranquilla ed aveva una buona visuale dello skyline di Manhattan. Vi era persino un’altra camera da letto che avrebbe potuto facilmente convertire in una sala giochi, inserendo un tavolo da biliardo o una sala tv personale.
Aveva già collocato gran parte dei suoi bagagli, restava soltanto l’incombenza di arredare il posto (non che fosse particolarmente esigente: aveva ben altri e più piacevoli modi di passare il tempo) e di riempire il frigorifero, anche se già sapeva che avrebbe passato molte serate ricorrendo al take-away o cenando fuori, soprattutto se ciò gli avrebbe permesso di trovare un dessert particolarmente interessante per i suoi canoni.
Stava ancora rimuginando al riguardo, quando si fermò alla vista di una caffetteria di fronte al Prospect Park.
Sì, era decisamente il momento adatto per una pausa, si disse, ed entrò. Tra le voci della lista di cose da fare a Brooklyn, vi era decisamente quella di trovare una caffetteria che non gli avrebbe fatto (troppo) rimpiangere il caffè parigino, corretto col cognac.
Lasciò scorrere lo sguardo sulla clientela e scelse uno dei posti liberi: era di fronte alla vetrata che dava l’ampia visuale del parco. Un posto come un altro per cominciare a conoscere il sobborgo e integrarsi completamente in quella nuova vita.
Sfilò il cappotto e si accomodò con aria svogliata, cercando di intercettare lo sguardo di qualche cameriere: probabilmente attratto da un fondoschiena particolarmente piacevole alla vista e stretto nei pantaloni della divisa, ne scorse uno intento a sparecchiare il tavolo alla sua sinistra.
Il rumore che stava producendo, riponendo le stoviglie sporche in un catino per piatti, era un sottofondo appena percepibile alla chiacchierata che stava intrattenendo con la ragazza seduta al tavolo. Dal grado di confidenza, intuì che era una cliente abituale.
Credevo che il tuo progetto fosse di convivere con Rachel a New York”, disse la giovane, scrutandolo con espressione confusa.
Lo so”, replicò l’altro con un sospiro.“E adoro Rachel, soprattutto quando dorme e quando non provo il desiderio di raderle la testa per le sue manie da diva, ma da quando Finn è tornato e vivono insieme-”.
E’ tuo fratello, ” ribatté dolcemente l’altra, guardandolo con il viso inclinato di un lato, ma lo sguardo acceso di divertimento. “Non credi di potergli parlare apertamente e trovare un compromesso che vada bene per tutti?”.
Il ragazzo scosse il capo, ma le sorrise con aria paziente: “Si vede che non conosci i loro trascorsi, Tiffany. In confronto l’amore tormentato tra Peter Bishop e Olivia Dunham2 è stato soltanto una serie di piccoli equivoci, con la modesta aggiunta di una scorribanda continua tra diverse linee spazio temporali”. Lo sguardo azzurro si perse in un punto indefinito e annuì tra sé, quasi stesse cercando di motivarsi e convincersi: “Devo trovare un altro loft, possibilmente in una zona meno famigerata e che possa permettermi senza vendermi il sangue o-”.
I prodotti di bellezza!”, conclusero all’unisono e si concessero una risatina complice.
Chiedo scusa”, esordì Sebastian, schiarendosi la gola con tono tutt’altro che dispiaciuto, a giudicare dal sorrisetto sferzante e dallo sguardo di smeraldo che stava ancora analizzando quel meraviglioso fondoschiena, dondolandosi sulle gambe posteriori della sedia.
Mi rincresce interrompere una storia dagli evidenti risvolti drammatici, ma vorrei ordinare”.
Le gote del cameriere sembrarono tingersi di una tonalità più scura: se l’imbarazzo fosse causato dalla realizzazione del suo mancato dovere o dal sospetto di essere stato ascoltato, era difficile a dirsi.
Sebastian lo sentì sospirare, ma fu lesto a voltarsi in sua direzione e premunirsi di non apparire seccato dall’interruzione e, soprattutto, fingersi affabile con un nuovo cliente.
Il primo pensiero di Sebastian fu che aveva qualcosa di elfico: forse era la sua corporatura sottile e slanciata, forse la purezza e il candore della sua pelle (sì, se si era amanti di Legolas3 insomma) o forse le sfumature indefinite di quegli occhi che parevano catturare la luce del giorno e farne rilucere diversi riflessi.
I capelli erano color mogano con qualche ciocca più chiara a lasciar intendere che dedicasse non poco tempo alla cura di se stesso, persino rivolgendosi saltuariamente ad un parrucchiere. Aveva un’aria così genuina da apparire quasi finto, anch’egli un personaggio tratto da chissà quale romanzo fantasy.
Evidentemente riuscì a placare quel moto di stanchezza che aveva notato nel suo irrigidimento iniziale, perché si schiarì la gola: “Che cosa posso portarle?”. Estrasse dal taschino della camicia una penna, il block notes già in mano.
Un caffè con una goccia di cognac”.
Assunse un’aria di rimprovero, il cameriere, (aveva persino avuto l’ardire di controllare l’ora, suscitando a Sebastian un verso di divertimento e uno scintillio sbarazzino nelle iridi, mentre scriveva l’ordine. “Qualcosa da mangiare?”, gli chiese con tono perfettamente neutrale.
No”, scrollò le spalle.
Per la gioia del tuo fegato”, aveva borbottato (oh, se solo avesse saputo quanto avrebbe cantato il suo fegato da quella sera in poi!) per poi sorridere con la stessa aria professionale e formale: “Torno subito”.
Attendo”, gli aveva rivolto un sorriso insolente e l’aveva scrutato con aria interessata, appoggiandosi sul gomito per osservarne l’incedere verso il bancone. Evidentemente attirato dal suo sguardo, il cameriere si volse e si avvide che lo stava osservando tanto minuziosamente. Arrossì, ma distolse il proprio sguardo e tornò ad occuparsi della macchina del caffé.
Il sorriso di Sebastian sembrò persino ampliarsi. Timido ed incerto, se solo avesse potuto sperare che fosse ancora vergine (che fosse gay sembrava implicito per il suo radar, ma comunque non era necessario: non sarebbe stata in quell'occasione che avrebbe assunto un atteggiamento discriminante).
Si abbandonò a quei piacevoli pensieri fino a quando non tornò al suo tavolo, premunendosi di non incrociarne lo sguardo, mentre depositava la tazza di fronte a lui: “Ecco qua”.
Grazie, Kurt”, si premunì di pronunciarne il nome (che aveva letto dalla targhetta sulla camicia) con intonazione morbida ed allusiva, accompagnata dallo stesso sorriso impertinente che lo fece ulteriormente irrigidire.
Le porto altro?”, chiese soltanto per trarsi d’impaccio ed avere una scusa legittima per allontanarsi, senza rischiare di offenderlo o contrariarlo.
Scrollò le spalle, Sebastian, che parve rifletterci sopra, prima di schioccare la lingua sul palato, l’aria evidentemente compiaciuta: “Se vuoi saltare i preliminari, puoi sempre portarmi il tuo numero”.
Sbatté le palpebre, Kurt, le labbra schiuse, quasi non riuscendo a credere di aver davvero sentito una simile e beffarda proposta. Evidentemente non doveva essere abituato ad avere a che fare con il pubblico, o forse non era neppure consapevole di poter essere oggetto di quel tipo di attenzioni. Aveva la vaga idea che oltre ad essere introverso e poco sicuro di sé, non fosse originario di New York.
Tuttavia, di fronte al suo sguardo sfacciatamente prolungato, strinse le labbra e assunse una postura più rigida, incrociando le braccia al petto: “Sono fidanzato e se anche non fosse, sappia che questo non è quel tipo di locale. Ora se vuole scusarmi, ho clienti più educati da servire”.
Non attese una risposta e si voltò, camminando con aria più impettita verso la zona opposta del locale.
Ridacchiò, Sebastian, ignorando volutamente lo sguardo di rimprovero di quella Tiffany. Continuò a studiarlo durante lo svolgimento delle sue mansioni mentre, appoggiato indolentemente allo schienale della sedia, sorseggiava lentamente il suo caffè.
Malgrado avesse ostentato quell’aria scandalizzata, il cameriere non aveva mancato di voltarsi in sua direzione di tanto in tanto (evidentemente sperando di coglierne il tavolo vuoto) e prontamente, ogni singola volta, Sebastian aveva sollevato la tazzina quasi a dedicargli un brindisi.
Consumata la sua ordinazione, si alzò e lasciò una banconota per pagare (mancia inclusa) e un piccolo involucro.
Sorrideva con evidente trepidazione, mentre, in ampie falcate, percorreva il salone: “Arrivederci, Kurt”, lo salutò e lo scrutò con la coda dell’occhio, mentre si dirigeva alla sua postazione (senza rispondere al saluto).
Ghignò a vederne la reazione sconvolta, ma s’incamminò con gelida calma.
Contò mentalmente: cinque, quattro, tre, due, uno…
Ehi, ehi, aspetta!”.
Ne ignorò il richiamo, un sorriso ancora più soddisfatto ad incresparne le labbra, ma si voltò soltanto quando lo sentì arrancare alle sue spalle.
Si voltò con lentezza, fingendosi sorpreso. “Oh, ciao, Kurt”, lo salutò nuovamente, il viso inclinato di un lato e le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni. Sorrise con aria piuttosto lusingata, quasi il ragazzo lo avesse volontariamente seguito per propria iniziativa: “Non riuscivi proprio a resistere all’attesa del mio ritorno?”, gli chiese con voce modulata in una tonalità più rauca e sensuale.
Ricevette di nuovo uno sguardo colmo di disapprovazione, mentre estraeva dalla tasca una sigaretta che s’insinuò tra le labbra.
Che significa?”, aveva schiuso il pugno a rivelare una chiave d’ottone, contenuta nella busta che aveva lasciato sul tavolo.
Scrollò le spalle, Sebastian, quasi la risposta fosse ovvia e sperasse in tutt’altra conversazione, ma accese la sigaretta e rilasciò una nuvola di fumo.
Ho una camera in più e un affitto può far comodo, così qualcuno che mi sappia preparare un buon caffè”. Dall’aria allusiva con cui aveva pronunciato quelle parole, sembrava che facesse riferimento a ben altre qualità.
Sì, vivo a Brooklyn, ” aggiunse nel ricordare la sua speranza di trovare una nuova sistemazione in un quartiere più sicuro. “Ma è una bella zona e non mi piacciono i pregiudizi4”.
Lo scrutò incredulo, Kurt, boccheggiando e sbattendo le palpebre, quasi si aspettasse di scoprire che si trattasse di uno strano scherzo: “Ma non ha senso, non sai nulla di me”, lo specificò con voce più stridula.
Oh”, Sebastian assunse un’espressione fintamente contrita, “e io che speravo che quello di prima potesse definirsi un appuntamento platonico”. Inclinò il viso di un lato ad osservarlo con aria piuttosto esplicita: “E qualcosa in te mi ha colpito dal primo sguardo”, precisò con la stessa intonazione. Omettendo che stesse parlando del suo dèrriere. Meglio mantenere un po’ di mistero.
Un rossore ancora più diffuso sul volto di Kurt che sembrò indietreggiare.
Scosse il capo: “Ho un ragazzo”, ripeté, quasi ciò fosse un dettaglio vincolante.
Scrollò le spalle, Sebastian: “Non importa a me, se non importa a te”, lo disse con l’aria di chi aveva già usato quell’argomento a proprio vantaggio, in molteplici occasioni dai risvolti ben più accesi.
Ciò, anziché farne desistere le resistenze, sembrò persino offenderlo perché strinse il pugno libero contro il fianco, l’altra mano ancora aperta per rendergli la chiave. “Non verrò a vivere con un estraneo”, lo pronunciò con la stessa gravità con cui lo avrebbe definito un maniaco sessuale. Probabilmente rientrava nella sua definizione di “estraneo”, a ben pensarci.
Continuò a sorridere, Sebastian. “Una settimana di prova: prendere o lasciare. Ti farò un buon prezzo, a patto che pensi tu al caffè, questo non è negoziabile”.
Qualcosa sembrò vacillare nel ragazzo: riuscì a comprendere dal cipiglio sulla fronte che l’offerta lo stava, nonostante i suoi principi, tentando. Evidentemente era davvero esasperato della sua condizione attuale. Scosse il capo e si morsicò il labbro: sembrò quasi cercare di convincere se stesso nell’una o l’altra risoluzione possibile.
Non so neppure come ti chiami”.
Lo interpretò come un segnale d’evidente cedimento. Sorrise e si scostò la sigaretta dalle labbra: “Sebastian”, rispose di riflesso per poi indicargli con un cenno del mento la busta che teneva tra le mani, “non perdere l’indirizzo. Ci vediamo, Kurt”.


Stava ancora cercando le chiavi tra le suppellettili con movimenti agitati e l’aria afflitta: “Perderò la metro”, piagnucolò, perlustrando anche le tasche laterali ed interne della borsa.
Sebastian sorrise e si drizzò dallo sgabello per poi raggiungerlo: gli prese la mano e vi lasciò cadere il portachiavi con un tintinnio.
“La tua voce stridula mi sta violentando i timpani e ora sparisci”, gli aveva indicato l’uscio, ma c’era un sorriso complice sulle labbra.
Evidentemente sollevato, Kurt l’aveva subito riposta al sicuro (non c’era da meravigliarsi che rischiasse l’infarto ad ogni momentaneo smarrimento: il mazzetto capiente comprendeva anche le chiavi dell’ufficio della sua datrice), ma prima di uscire, lo aveva ammonito con lo sguardo. “Ricordati la spesa e cucina qualcosa di commestibile”.
Ridacchiò, Sebastian, l’aria beffarda: “Sai benissimo che non farò né l’una né l’altra cosa”.
“Sebastian!”, lo sgridò nuovamente sulla soglia dell’uscio.
Stava ancora ridacchiando, quando la porta si chiuse alle sue spalle. Sbadigliò e si strofinò il viso: era decisamente necessaria un’altra siesta. Ignorò il letto intatto della propria camera e si gettò su quello ancora sfatto del coinquilino, aspirandone il profumo alla vaniglia (che sembrava ormai aver intriso ogni oggetto in quella camera) e ricadde nell’oblio.
Solo una lieve contrazione delle palpebre, un ultimo pensiero nefasto alla constatazione che al suo risveglio, sarebbe dovuto tornare a riflettere su una questione di vitale importanza. Ma, soprattutto, cominciare ad imbastire un piano d’azione.

~

Controllò un'ultima volta la disposizione del tavolo: per quanto spesso lo si potesse accusare di essere fin troppo indolente e pigro, doveva essergli riconosciuta non poca cura nei dettagli e nello stile, quando di buon umore. Aveva persino collocato un mazzo di fiori a centrotavola.
Stava ancora finendo d’impiattare con il cibo tratto dalle scatole del fast food, quando sentì la chiave girare nella toppa e Kurt fece la sua comparsa.
Si fermò sulla soglia ad inspirare il profumo, un dondolio di spalle puerile a sancirne un'aria soddisfatta, mentre si spogliava del soprabito: “Che buon profumino”, commentò. Sbottonò i polsini e si rimboccò le maniche della camicia prima di avvicinarsi alla zona pranzo.
Sebastian scrollò le spalle: “Almeno non mi bercerai contro perché non sono andato a fare la spesa”, replicò in tono suadente.
Sollevò gli occhi al cielo, Kurt, indicando una busta di nylon lasciata sul divano insieme alla borsa: “L'ho fatto io. Non voglio rinunciare al mio latte di soia, ma non ho comprato nulla per te”.
Sogghignò, Sebastian, le braccia incrociate al petto. “Così meschino e vendicativo: dove ti sei nascosto finora?”, chiese, portandosi stoicamente una mano al petto.
Ridacchiò, Kurt. “Mi lavo le mani e sono subito da te: odio la metro e chi crede che emanare un buon profumo sia un optional”.
Raggrinzò il naso, Sebastian, per l'immagine tutt'altro che allettante prima della consumazione del pasto. Inclinò il viso di un lato, l'aria sardonica: “Non tutta New York va in giro con un arsenale da parrucchiere e centro estetico incorporato in borsetta”.
“Touché”.
Quando si avvicinò per aiutarlo a finire di deporre le posate, Sebastian notò l'aria stanca sul suo volto.
“E' stata una giornata infernale”, confermò i suoi pensieri e si lasciò scivolare alla sua postazione.
Aveva inarcato le sopracciglia, Sebastian, imitandolo: “E tu stai per raccontarmi ogni singolo ed insignificante dettaglio. Per fortuna non manca mai il vino”.
“A meno che tu non preferisca cenare coi tuoi libri di diritto ancora incartati”, replicò con aria sferzante e le sopracciglia inarcate in un'espressione di pacato rimprovero.
Si strinse nelle spalle, evidentemente non preoccupato. “Supererò la sessione estiva: ho un'ottima memoria fotografica e le insegnanti mi adorano”.
Aggrottò le sopracciglia, Kurt: “Credevo ti piacesse l'idea di passare la tua vita pronunciando arringhe machiavelliche, smontando la difesa altrui con ogni cavillo o mezzo al limite della legalità”.
Sorrise. “Mi piace, infatti”, non aveva battuto ciglio mentre cominciava a servirsi, “ma odio memorizzare articoli su casi improponibili e noiosi”.
“Non c'entra nulla il fatto che tuo padre ti abbia... incoraggiato?”.
“Tutti mi ritengono un raccomandato, Kurt, puoi dirlo: non mi scandalizzerò e non scoppierò in lacrime”, commentò, come sempre divertito dalla pacatezza, persino in quell'ambito.
“Non lo penso”, lo guardò intensamente, “credo che diventerai un brillante avvocato, se è ciò che desideri davvero”.
“Mi hai abbastanza ammorbidito e indurito altrove”, rise della sua espressione schifata e del rossore che gli aveva colorato le guance, mentre ne pronunciava il nome con tono stridulo.
“Allora, cosa succede nel mondo di Lady Hummel?”.
E così Isabelle Wright lo aveva chiamato per informarlo di essere rimasta impressionata da una sua bozza e che aveva deciso di includere le sue idee nella stagione autunnale (evento più che raro per un tirocinante), poi avrebbe dovuto preparare un monologo shakespeariano per la Nyada e infine...
“Rachel è venuta in caffetteria a tormentarmi”, raccontò con aria rassegnata, “avrei preferito trovarmi di fronte cinque copie di te”.
Schioccò la lingua sul palato, Sebastian, sorseggiando il vino dopo aver fatto roteare il calice. “Buongustaio insaziabile”, ammiccò, guadagnandosi un'altra occhiataccia di rimprovero. “Allora, che cosa voleva Berrysterica?”.
Si era fatto serio, Kurt e si era raddrizzato sulla sedia: sembrò soppesare quegli istanti di silenzio, quasi le parole successive sarebbero state decisive per il tipo d’atmosfera che si sarebbe creata per la conclusione della cena. Quasi fosse consapevole che ciò avrebbe potuto compromettere tutto e volesse prima comprenderne lo stato d'animo.
Inarcò le sopracciglia con aria interrogativa, Sebastian, esortandolo silenziosamente a rispondere alla domanda.
“Mi ha chiesto se Blaine ed io abbiamo già pensato ad una data per il matrimonio”.
Puntuale e silenziosa, percepì una stretta all'altezza del petto: sembrò che il suo cuore fosse stritolato e che il respiro gli mancasse per un breve istante. Distolse lo sguardo, serrò la mascella, ma non fece alcun commento. Lo sguardo cadde nuovamente sull'anello che aveva ignorato fino a quel momento. Inutilmente.
Avrebbe quasi desiderato essersi sgolato qualcosa di più forte di un vino da tavola, qualcosa che gli annebbiasse abbastanza la mente da non fargli cogliere le implicazioni in tutta la loro serietà e, soprattutto, che lo lasciasse agire senza rimpianti. E senza ricordi nitidi di un'eventuale umiliazione.
“Sarà meglio che lavi i piatti”, si sentì dire dopo un lungo e teso silenzio. Si drizzò in piedi e percepì chiaramente il sospiro dell'altro.
“Eviteremo l'argomento fino al giorno stesso?”, chiese senza biasimo. La sua voce era soffice e modulata, quasi volesse premunirsi che le parole che sarebbero sgorgate dalle sue labbra non dovessero arrecargli qualsivoglia fastidio. Un alone di premura e di delicatezza che era parte di sé, ma che non facilitava affatto le cose.
Si strinse nelle spalle. Dopo aver impilato le stoviglie sporche, camminò verso il lavello, senza voltarsi: “Soltanto fino a quando non capirai di star facendo una cazzata, dipende da te”.
Non avrebbe faticato ad immaginare l'espressione stanca di Kurt, ne sentì i passi alle sue spalle, ma finse di concentrarsi sulla lavastoviglie che cominciò a riempire, giusto per tenere le mani occupate. Curioso come, persino in un'azione tanto banale, riuscisse a ricordare ogni ammonimento della versione “desperate housewife” di Kurt: dal non sovrapporre le stoviglie allo scrostare a mano i piatti più sporchi, prima di inserirli nell'elettrodomestico. Sembrava una conferma che ormai era presente in ogni singolo aspetto della sua vita, anche il più irrilevante, e quell’evidenza cozzava con naturale bisogno di evitare coinvolgimenti emotivi.
“So che Blaine non ti è mai piaciuto e di sicuro il vostro primo incontro, dopo la nostra rottura, non ha giovato, ma-”.
Si era voltato, Sebastian, le braccia incrociate al petto: “Ma cosa?”, seppur si sforzasse di non alzare la voce ed evitare una reazione esacerbata come quella della sera precedente, non poté evitare di sentire nuovamente quell'arsura farne alterare i battiti, irrigidire le membra. Già pronto a difendersi da ogni parola che sarebbe sgorgata dalle labbra di Kurt e contrattaccare, demolendo la presunta logicità delle sue convinzioni.
Allargò le braccia. “Sei partito per andare a trovare tuo padre e sei tornato con un anello di fidanzamento: piuttosto improvvisa come decisione, soprattutto dopo l'ultimo anno post rottura”.
“Lo so”, aveva sospirato Kurt, annuendo. “E hai ragione: ero sorpreso più di chiunque altro, credimi”.
Sollevò gli occhi al cielo, Sebastian: se avesse osato propinargli un filmato o una fotografia della brillante proposta di matrimonio, non sarebbe stato certo di poter controllare le proprie reazioni. “E ciononostante non ti sei preso molto tempo per pensarci sopra”.
Avrebbe voluto che la sua voce non avesse quel tono risentito, quasi tale reazione fosse stata un torto personale. Avrebbe voluto mostrargli il futuro e brillante avvocato di cui avevano discusso poco prima e poter argomentare la sua causa con la stessa arguzia.
Si era morso il labbro, Kurt, ma lo aveva guardato intensamente: “Non si smette d’amare qualcuno come io ho amato Blaine, neppure se lo si desidera”.
Un sorriso amaro serpeggiò sulle labbra di Sebastian che distolse lo sguardo e scosse il capo tra sé e sé. Era consapevole che, per quante ragioni potesse addurre (e non avrebbe neppure dovuto sforzarsi di elencargliele), quello era un punto che nessuno avrebbe potuto negare. Neppure lui, neppure per l'intensità di tale desiderio.
“Forse”, si strinse nelle spalle perché ammetterlo sarebbe equivalso ad una resa anche da parte sua.
“Si può comunque scegliere se stessi ma, come sempre, tu hai scelto Blaine e d’essere chi lui vuole che tu sia”.
Aveva aggrottato le sopracciglia, Kurt e sembrò essere sbiancato: “Questo non vero!”, aveva ribattuto con voce più stridula. “Lui mi ama per come sono e-”.
“Non sei lo stesso che è partito per l'Ohio, lo stesso che si era giurato che non avrebbe commesso lo stesso errore per un capriccio romantico o lo stesso che aveva perso totalmente la fiducia in lui!”.
“E' vero”, aveva levato le mani, Kurt, in gesto di resa. “Mi ha ferito come nessun altro, ma ciò non significa che non siamo in grado di superarlo o che io non l'abbia già perdonato”.
Scosse il capo, Sebastian. Dubitava che, al posto di Blaine, sarebbe stato in grado di perdonarsi tanto facilmente o anche solo pretendere di poter vincolarlo a sé per tutta una vita e in modo ufficiale e definitivo. Ciò che sarebbe sempre stato un mistero ai suoi occhi, era il modo in cui Kurt non riusciva a contemplare seriamente l'idea che qualcuno potesse amarlo come e più di quanto la mezza SegAnderson fosse in grado di fare. Perché, per quanto si ostinasse a difendere il loro rapporto (soprattutto l'idilliaco passato), la motivazione più profonda, sarebbe sempre stata la sua infondata paura di restare solo.
Corrugò le sopracciglia: “Perché tanta fretta, in ogni caso?”. Inclinò il viso di un lato, recuperando una parvenza d’arroganza: “Ha paura che tu possa svicolare troppo dal suo controllo?”.
Parve colpito da quelle parole, Kurt. Lo vide sbattere le palpebre e le labbra ebbero un tremito che lo fece pentire silenziosamente di quell'atteggiamento più sferzante. Ebbe la certezza di essersi spinto oltre, persino prima di sentirne la voce più rauca:
“Credi che io valga così poco?”, aveva chiesto in un sussurro quasi angosciato.
Si era affrettato a scuotere la testa, Sebastian e si era avvicinato rapidamente: “No, Kurt”, sentì la sua voce assumere una tonalità più morbida, quella che soltanto lui sapeva strappargli, persino contro la sua volontà. “Sei tu che non credi in te stesso ed è proprio per questo che non posso fingermi felice per la tua decisione”.
Seppur in qualche modo il suo dolore fosse stato placato dalla certezza che non volesse ferirlo, Kurt non poté che sospirare. Era evidente che, nonostante tutto, avrebbe desiderato riuscire ad ottenerne l'appoggio o un voto di fiducia che da lui si estendesse alla certezza della giusta decisione.
“D'accordo”, sembrò voler cercare un compromesso ragionevole, “forse con il tempo, quando Blaine verrà a New York, potreste-”.
“Sarà mia premura evitarlo”, la sua voce assunse nuovamente quell'intonazione più beffarda, quasi soltanto a voler nuovamente alleggerire l'atmosfera.
“Sebastian”, Kurt ne aveva trattenuto il braccio, “vorrei soltanto sapere che ci sarai per me”.
“A raccogliere i tuoi cocci?”, indagò con un'occhiata eloquente.
Sorrise, Kurt, scuotendo appena il capo, ma continuando a stringerne la pelle sotto il proprio palmo: “Ad essere te stesso”, lo rassicurò per poi osservarlo di sottecchi, quasi a voler nuovamente prevederne le possibili reazioni.
“E poi sarebbe carino se il mio testimone mi desse il suo consiglio non richiesto su ogni cosa che riguardi il matrimonio e la mia vita”.
Uno strano singulto in petto e boccheggiò per l'eccezionale richiesta. Ci vollero diversi secondi perché sembrasse riprendersi.
Sorrise amaramente, l'attimo dopo. Pur consapevole che quella nomina doveva corrispondere ad un grande onore, frutto dell'affetto e della stima dell'altro, ciò non rese quell'idea dissimile ad una beffa.
Scosse il capo: “Non si suppone che i testimoni debbano essere favorevoli all'unione?”.
“Voglio una persona di cui mi fidi e che non abbia remore a dirmi ciò che pensa. Sei mio amico e la persona che voglio vicino in tutte le mie decisioni, anche se non approvi quella più importante”. E non vi erano dubbi sulla veridicità di tali parole, su quanto lo sentisse vicino e quanto intenso fosse il legame che avevano instaurato e che Kurt non si faceva cruccio di dichiarare.
Lo osservò a lungo, Sebastian. Provò ad immaginare come avrebbe potuto accogliere quelle parole, quell'attestato di fiducia, quel bisogno esplicito della sua presenza nei momenti più importanti. Come tutto sarebbe stato perfetto, senza quel matrimonio che sembrava essere sempre più reale e incombente.
“Non lo farò, Kurt”, sussurrò e parve lui stesso addolorato nel pronunciare quelle parole: “O sarò io a non poter più guardarmi allo specchio, sapendo ciò che ti ho fatto”.
Contrasse le labbra, Kurt, che ne strinse maggiormente il braccio: “Neppure per me?”.
“Soprattutto per te”, fu l’apatica risposta, evitandone di incrociarne lo sguardo, le braccia serrate al petto.
Aveva sospirato, Kurt, ma aveva mollato la presa, a testimonianza della sua evidente intenzione di non insistere.
Avrebbe voluto rassicurarlo, Sebastian, promettergli che non prendere apertamente parte a quella follia, non sarebbe equivalso a trarsi fuori da ogni cosa. Che sarebbe stato più che mai presente ed attento ad ogni fase di quel fidanzamento. Che non lo avrebbe lasciato andare come credeva che fosse possibile.
Ma nessuno di quei pensieri si tradusse in suono.
“Allora, avete deciso la data alla fine?”, si sentì invece chiedere, quasi stesse contemplando la scena dall'esterno.
“Marzo”, rispose Kurt con voce ovattata ma anche lui sembrava ormai distante.
“Primavera?”, indagò con un sopracciglio inarcato.
Un vago rossore sulle gote di Kurt che probabilmente avrebbe preferito non rispondere: “Primo bacio5”.
“Meraviglioso”, si odiò per quella decantata formalità.
Odiò il modo in cui Kurt sembrò non cogliere la frecciatina, nonostante lo stesse scrutando attentamente, ma colse il pretesto della fine dell'argomento per preparare il caffè.
Odiò guardarlo entrare nella sua camera, mentre accennava all'idea di gettare su carta qualche schizzo nuovo per Isabelle, prima di andare a dormire.
Odiò non riuscire a non pensare che stesse allontanandosi volontariamente da lui.
Odiò restare dall'altra parte dell'uscio e non fare assolutamente niente.

~

Si era fatto largo tra la folla, una smorfia sul volto nel sentirsi travolgere da una nube nauseabonda d’odori e fragranze miscelati tra loro.
Si fermò di fronte al bancone, gettando un'occhiata annoiata al barista che, avendo evidentemente smaltito l'abbandono, aveva atteggiato il viso in quel sorrisetto flirtante, mentre chiacchierava con quella che aveva l'aria di essere una di quelle avventrici non troppo difficili da sbottonare.
Alzò gli occhi al cielo e si avvicinò ad entrambi, accomodandosi sullo sgabello e sorridendo alla giovane con aria affettata.
“Sebastian!”, lo aveva accolto Hunter. Lo conosceva abbastanza da sapere che quel tono enfaticamente entusiasta corrispondeva ad un più esplicito: “Fuori dalle palle”.
Finse di non coglierne l'allusione e sorrise ad entrambi, tambureggiando con le dita sul bancone: “Buonasera”, improvvisò un sorriso amabile.
La ragazza ne ricambiò il sorriso, guardando il barista quasi aspettandosi le dovute presentazioni. Quest'ultimo si premunì di mantenere il sorriso sferzante, parlando senza scandire le parole con le labbra e continuando a guardare la ragazza: “Serviti da solo, arrivo subito”.
All'immobilità di Sebastian, aveva sollevato gli occhi al cielo per poi sorridere alla squinzia con aria di scuse: “Torno subito”.
Fu allora che Sebastian allungò la mano verso la giovane: “Sebastian”.
“Lindsay”, si presentò la ragazza, sbattendo vezzosamente le palpebre.
Sorrise, Sebastian, con aria piuttosto compiaciuta (classificandola come “zoccola facile che la svende al primo offerente”), prima di inclinare il viso di un lato: “Scusami se mi sono avvicinato sfacciatamente, ma il tuo cappotto è di un rosa così delizioso che sembrava quasi che mi chiamasse”, aveva cercato di imitare il tono entusiasta di Kurt di fronte ad una sfilata alla tv.
La ragazza parve subito perdere l'interesse civettuolo (era comunque una conferma che se fosse stato etero, il povero barista avrebbe avuto ancora meno probabilità di riuscita), ma continuò a sorridere: “Ti ringrazio, è di Chanel”, lo disse come se ciò spiegasse tutto.
Sebastian si finse incapace di distogliere l'attenzione, mentre lei parlava del suo guardaroba, evidentemente convinta di essersi appena conquistata “l'amico gay” che ogni donna avrebbe dovuto avere. Sì, come il cucciolo di chihuahua nella borsetta.
Aveva sospirato per poi aggiungere: “Lo dico sempre al mio ragazzo che « il gusto è di tutti, ma il buon gusto è di pochi »”, recitò sfacciatamente uno dei motti preferiti di Kurt. Si volse verso il barista che li stava guardando con aria interrogativa (probabilmente domandandosi quali imbarazzanti aneddoti stesse raccontando su di lui) e gli rivolse con un saluto enfatico con la mano, prima di voltarsi verso la giovane. Lo indicò con aria trasognata.
“Glielo dico sempre che quella canottiera accentua troppo l'aria da muratore, mai che mi desse ascolto: non capisco questo bisogno di mettere in mostra le sue spalle”, sospirò con aria fintamente melodrammatica. “Insomma”, si sporse in sua direzione con fare confidenziale, “è evidente che sia ben dotato, non so se mi spiego”.
Fu soltanto grazie alla sua innata abilità, se non scoppiò a ridere alla reazione della giovane e al modo in cui era letteralmente sbiancata. Aveva sgranato gli occhi, boccheggiando e guardando da lui al barista e dal barista a lui per non meno di trenta secondi. Gli sembrò quasi di percepire il suono degli ingranaggi del suo cervello in movimento. Un colorito rossastro si diffuse sul suo volto, ma sbatté le palpebre, evidentemente nel tentativo di tornare in sé.
Gli sorrise, cercando di celare lo strano tic all'occhio e il tremito delle mani.
“Il tuo ragazzo?”, riuscì a chiedere con voce evidentemente stridula che Sebastian finse di non notare, mentre annuiva.
Cercando di ignorare lo sbuffo ironico che Santana Lopez aveva soffocato nel suo drink, aveva improvvisato un'espressione sognante, il gomito puntellato sul bancone e la mano a sostenersi il mento.
“Un anno insieme, chi l'avrebbe mai detto”, aveva sospirato, mentre Hunter ricompariva con un sorriso tutto dedicato alla giovane.
“Ecco qua”, gli porse una birra senza neppure guardarlo.
Scemotto”, lo aveva blandito Sebastian, dandogli una pacca sul braccio, premunendosi di carezzarlo con eccessiva stucchevolezza. “Non scherzare! Dov'è il mio Shirley Temple con la cannuccia rosa?”, aveva chiesto in tono cinguettante.
L'espressione perplessa sulla faccia del barista, lasciò presto spazio alla comprensione: boccheggiò e si scostò bruscamente. Già pronto a formulare chissà quale mirabolante autodifesa, si voltò verso Lindsay.
Giusto in tempo perché la ragazza, i cui capelli rossi sembrarono prendere letteralmente fuoco, allungasse la mano a colpirlo con un sonoro schiaffo che sembrò risuonare come uno sparo nel silenzio attonito degli avventori vicino al bancone.
Porco!”, gridò con voce stridula. Si voltò e camminò con incedere furioso verso il tavolo intorno al quale erano sedute le amiche.
Sebastian ridacchiò, sollevando la mano a ricevere l'high five offertogli da Santana Lopez che, seduta in grembo al ragazzo dall'aria da golden retriever, aveva assistito alla scena e stava ora sottolineando con un fischio la camminata della ragazza.
“Povero MasturbHunter”, lo blandì con aria fintamente dispiaciuta: “Ti mostro cosa sia una vera donna”, gli aveva proposto a mo' di consolazione e, dopo aver baciato il ragazzone di cui Sebastian ignorava/dimenticava puntualmente il nome, si avviò verso il palco per il suo numero.6
L'espressione inebetita, la mano appoggiata sulla guancia lesa, Hunter sembrò incapace di distogliere lo sguardo dal suo bersaglio mancato. Sembrò non riuscire a metabolizzare cosa era esattamente accaduto da quando Sebastian era arrivato.
“Bene, ora che ti sei liberato, passiamo alle cose serie”, commentò quest'ultimo con aria pragmatica, una volta che il suo divertimento sembrò esaurito.
Soltanto allora lo sventurato sembrò tornare in sé, perché gli scoccò un'occhiata rabbiosa, la mascella serrata: “Sei un gran bastardo, lo sai?”, stava letteralmente ringhiando.
Cercò di non scoppiare impietosamente a ridere di fronte alla vena che stava pulsando sul collo o il modo in cui le iridi verdi erano sgranate, facendolo somigliare ad una caricatura da cartone animato.
Si strinse nelle spalle, Sebastian, che con aria non curante afferrò la birra che gli aveva portato e ne bevve un sorso dalla canna: “Non hai bisogno di me per fare cilecca, credimi”.
Ci vollero diversi secondi perché il barista sembrasse tornare in sé: lo aveva visto appoggiare le mani sul bancone e socchiudere gli occhi, probabilmente recitando qualche mantra o facendo ricorso a qualche tecnica di rilassamento imparata in qualche altro patetico tentativo d’abbordaggio di uteri.
“Ti stai disintossicando?”, gli chiese poi con aria serafica, osservando la bottiglia, probabilmente sperando che il karma gli concedesse una rivincita. “O hai la sclera gialla? Perché in quel caso il tuo fegato-”.
Aveva sollevato la mano, Sebastian. “Tieniti i tuoi discorsi d’anatomia per le donne, sempre che tu riesca ad avvicinarne una, dopo che la notizia si sarà diffusa”. Indicò con un cenno del mento la ragazza dai capelli rossi che stava parlando con le altre giovani al suo tavolo: quasi come una coreografia, una alla volta si volsero tutte a lanciare al barista occhiate sprezzanti. Sebastian sorrise, lanciando un bacio enfatico al tavolo.
Si fece scuro in volto, Hunter, ma fissò Sebastian, le braccia incrociate al petto e l'aria disgustata: “Ricordami perché ti rivolgo ancora la parola”.
“Non tempo per compiacermi di me stesso”, aveva estratto dal soprabito una voluminosa agenda che aveva poi posato sul bancone. Dalle estremità sbucavano almeno una ventina di segnalibri colorati.
Lo fissò accigliato, l'altro: “Qualunque cosa sia, la risposta è no”.
“Parli come se avessi scelta”, lo canzonò Sebastian prima di tornare serio. “Questa è l'agenda di Kurt: l'ha comprata per il matrimonio presumo, visto che oggi è apparsa per la prima volta. C'è una lista di stronzate per colore diverso. Invitati, bozze dei menù, idee per l'abito, fiori, location, partecipazioni. Sembra che lo stia progettando da tutta una vita”, aggiunge tra sé e sé e l'intensità di quella credenza gli tolse il respiro.
“Tralascerò l'inquietante immagine di te che fai l'inventario degli oggetti personali di Kurt”, esordì il barista che si strofinò la mano sulla tempia, “oddio, dimmi che non lo stai facendo”, pareva realmente sconvolto.
“Tecnicamente non sto ancora facendo nulla, ma fotocopierò tutto e la controllerò settimanalmente. Visto che non vuole ascoltarmi, a mali estremi...”.
“Quale sarebbe il tuo piano? Mandare a tutti lettere di scuse per il matrimonio annullato? Cancellare la prenotazione al ristorante, quando lo avrà scelto, oppure il più semplice: sparare al tuo rivale? Altrimenti ci sarebbe anche il trucco piuttosto vecchio ma efficace: rapire Kurt in occasione della festa d’addio al celibato e magari nel frattempo sposarlo in un altro stato, così che il precedente matrimonio gli impedisca di sposarsi con il fidanzato”.
Lo aveva scrutato con aria evidentemente perplessa, Sebastian: “Tu guardi troppe commedie romantiche e scommetto che neppure ti fruttano nulla”, sospirò quasi fosse realmente dispiaciuto per le sue condizioni.
Scosse il capo. “Fingerò di apprezzare lo sforzo. In realtà pensavo di complicargli un po' le cose, mentre rinsavisce. Se sono fortunato penserà che il destino gli stia mandando dei segnali nefasti: è così melodrammatico che potrebbe funzionare”.
“Temporeggiare, quindi”, ribatté Hunter sollevando a sua volta una bottiglia di birra con l'aria di chi ne avrebbe bevuta parecchia per dimenticare l'infausto avvenimento. “Sperando che il suo fidanzato finisca giù da un dirupo?”, precisò poi asciugandosi le labbra con il palmo della mano.
“Willy il coyote?”, gli chiese senza neppure sollevare lo sguardo dalla grafia di Kurt.
“Quello che voglio dire, ” sospirò il barista con aria evidentemente stanca, “è che per quanto ti sorrida l'idea di torturare Kurt in modo subdolo ed anonimo, sai che dovrai fare alla fine, no?”.
“Potrei corrompere l'officiante”.
Sollevò gli occhi al cielo, Hunter. “Sebastian perché non gli dici semplicemente la verità?”.
“Se stai per ripetere un discorso alla Hugh Grant, sappi che t’infilerò questa bottiglia su per il canale e ti farò un filmato in cui i tuoi gemiti sembreranno di piacere per ben altra penetrazione e lo renderò di dominio pubblico entro stanotte. Sono stato chiaro?”.
Seppur evidentemente schifato dalla proposta, Hunter sospirò e scosse il capo, ma non parve prenderlo sul serio. Non troppo almeno. Non dopo aver già ricevuto un assaggio della sua perfidia. Neppure Sebastian poteva essere così subdolo, non in una sera soltanto almeno.
“E' evidente che Kurt sia convinto della sua decisione. Quindi, anziché sperare che le cose tra lui e il suo fidanzato vadano male o boicottare ogni fase dell'organizzazione, ” esordì con insopportabile tono calmo e razionale, “non sarebbe più efficace dargli qualcosa di più serio e concreto su cui riflettere? Per qualche motivo che l’umanità non è pronta a conoscere, tu sei importante per lui: non resterà indifferente”.
Un cenno distratto della mano. “Non ti sto ascoltando: nessuna idea per la location o per il ristorante,” constatò sfogliando le pagine, “scommetto che sarà la mezza sega a mettere la proboscide nella scelta, magari facendosi qualcuno tra una cosa e l'altra”.
Sbuffò, Hunter che ingollò un altro sorso di birra e schioccò la lingua sul palato, scuotendo il capo. “Tu e Kurt vi meritate a vicenda: vi aggrappate all'idea di fare qualcosa per non esplorare il vostro stato d'animo, illudendovi che il resto si risolverà da solo”, sentenziò con aria rancorosa.
“Se avessi voluto sentire una predica, sarei rimasto da Kurt: i tuoi bicipiti non mi eccitano quanto il suo culo”.
Sollevò gli occhi al cielo, Hunter: “Come se ci fosse una parte del corpo di Kurt che non ti eccita”, ribatté con aria annoiata. Stava osservando Santana Lopez ricongiungersi (letteralmente) al suo biondino scodinzolante e ciò parve affliggerlo ancora di più.
“Fottiti”, rispose Sebastian senza neppure guardarlo.
Sorrise con aria affettata, Hunter, contemplando la bottiglia che ancora teneva in mano. Le labbra si contorsero in un sorriso diabolico, probabilmente immaginando di spaccargliela sulla nuca e guardarlo contorcersi sul pavimento.
Sbatté le palpebre, serrando la mascella: “Me lo hai impedito”, sottolineò con voce melliflua.
“E a questo proposito”, ignorando gli sguardi delle ragazze al solito tavolo, si appoggiò con il gomito al bancone e si sporse al suo orecchio: “continuerai a sabotare la mia vita privata?”.
“Se eviterà a Kurt di sposare mezza SegAnderson, sì”, rispose distrattamente.
“Dammi quell'agenda”, tagliò corto e, con aria evidentemente risentita, gliela prese senza tanti complimenti. Un cipiglio perplesso nell’osservare i post it e i segnalibri, ma aggrottò la fronte nello scorgere la data del matrimonio che Kurt aveva appuntato sulla prima pagina a matita. “ Tra dieci mesi? Ma è pazzo?”.
“Alle non nozze”, sogghignò Sebastian sollevando la propria bottiglia.
Sospirò, Hunter e la fece cozzare contro la propria: “Un giorno mi darai ragione”.
“Un giorno ti farai una ballerina e non una Jenna qualsiasi”, commentò Sebastian a paragonare la probabilità delle sue ipotesi idilliache.
“Ora ricordi il suo nome”, borbottò Hunter.
“Quando ti mollano, passano da 'totalmente inutili' a 'quasi del tutto inutili'”.
Lo fissò schifato, ma scosse il capo.“Quasi ti preferisco da ubriaco”.

~

Si premunì di muoversi il più silenziosamente possibile e depositò nuovamente l’agenda sul comodino accanto al letto. Sulla scrivania vi erano ancora dei disegni lasciati incompiuti e diversi fogli di carta appallottolati e gettati nel cestino.
Il suo respiro era lieve e regolare e un sorriso soffuso ne sfiorava le labbra: ironico come, da quando indossava quell’anello, lo sentisse lontano e distante, esattamente come se immerso in un mondo onirico prolungato che gli era precluso. Indugiò ad osservarne la figura addormentata e allungò la mano a scostarne il solito ciuffo dalla fronte. Le dita, quasi conoscessero quel percorso, scivolarono lungo la gota del ragazzo, sfiorandone le labbra con il pollice.
Si mosse nel sonno, quasi stesse ricercando quel contatto e Sebastian si ritrasse.
“Fidati di me”, sussurrò nel silenzio della camera buia.
Quelle parole, tuttavia, sembravano soprattutto dirette a se stesso: un modo di forgiar
si nella convinzione di poter affrontare tutto a modo suo.

To be continued…


Well, well, well, eccoci alla conclusione del capitolo. Spero che l'aneddoto del primo incontro abbia saputo divertirvi: questo viaggio nel passato, oltre ad alleggerire la tensione del presente, vorrebbe essere un modo di ricostruire quell'anno di convivenza e mostrare, tra le righe, l'evoluzione del rapporto tra Kurt e Sebastian.
Siamo soltanto all'inizio, ma una sbirciatina al prossimo capitolo:


Evidentemente sei solo tu ad avere fretta di trovare una nuova casa” “Blaine si sta diplomando e… credevi che avremmo convissuto tutti e tre, più qualche amante occasionale che fai entrare di soppiatto?” “In realtà la mezza seg… Blaine non è mai stato contemplato: non ho voglia di rovinarmi la digestione pensando a lui”.
E’ passata una settimana” “Sapevo che non te ne saresti andato” “Non hai capito, non ho ancora detto che accetto”.
Oh sì, l’alcol ti renderà più sicuramente più capace di ragionare lucidamente” “Versa e sta zitto” “Sta andando così male?”.

Vorrei ringraziare di cuore tutte le persone che hanno aggiunto questa fanfiction tra le seguite e le preferite. Soprattutto chi mi ha lasciato una graditissima recensione: è stato davvero molto emozionante tornare su queste pagine, parlando di Kurtbastian, dopo più di un anno e leggere entusiasmo ed aspettative nelle vostre parole. Compresa la preoccupazione di un alto potenziale di angst: qualcuno direbbe che “angstara” lo sono di professione, ma cercherò sempre di smussare i toni ora con un flashback, ora con la comparsa di qualche personaggio secondario.
Spero di continuare ad entusiasmarvi ed emozionarvi in tutto il percorso insieme :)
Come sempre non può mancare un abbraccione alla mia Sebastian, un pensiero per la mia Blaine (… sì, lo so, fa effetto anche a me scriverlo, ma siamo l'unica Klaine che potrei shippare, considerandomi una Kurt :D), e che questo capitolo sia un bentornato degno per la mia Nolanator preferita.

Buon weekend a tutti e buon 4 Luglio a tutti i fan di ACITW ;)

Kiki87




1 Per ascoltare la canzone e leggerne il testo originale (talvolta per mia comodità modifico i tempi verbali nel tradurre), cliccare qui
E se ve lo state chiedendo, sì, è probabile che da qui all’epilogo vi faccia conoscere una buona selezione della discografia del gruppo :P
2 Personaggi e protagonisti della serie tv “Fringe”.
3 Personaggio del romanzo di Tolkien “Il Signore degli Anelli” che nei film tratti della saga letteraria, è interpretato da Orlando Bloom.
4 Come di certo saprete, Brooklyn non gode di una fama molto lusinghiera. Personalmente da quel che ho letto e intravisto in foto, mi sono realmente persuasa che sia una zona molto caratteristica, con una sua identità che ben si differenzia dalle località ben più rinomate di New York.
5 Per amore di precisione, non ho sinceramente ben chiara la cronologia di Glee se non per le puntate legate alle competizioni o alle festività. Quindi facendo qualche approssimazione, credo che il primo bacio risalga a quel periodo. In caso contrario chiedo venia per la distorsione dalla versione canon e il mio avvocato Smythe farà appello alla clausola: “AU” :)
6 Chiedo venia alle eventuali fan Brittana che stanno leggendo per il mancato avviso. Trattandosi di una AU questa è stata un'altra delle modifiche rispetto alla versione canon. Spero che questo non vi renda “intollerabile” la lettura. In tal caso, prendetevi pure la libertà di immaginare un'altra persona :D
Ps: se non si fosse capito dal riferimento canino, il ragazzo in questione è il nostro Sam Evans ;)

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


capitolo 2
Dove sei tu, quella, è casa.
(Emily Dickinson).



 Capitolo 2.
Giugno
(meno nove mesi al matrimonio).


Era passato quasi un mese (e quattro leggendarie sbornie settimanali) dal fatidico annuncio e Kurt non sembrava affatto propenso a rinsavire. La sua agenda continuava a riempirsi di annotazioni, le telefonate e le videochiamate skype col fidanzato divenivano sempre più frequenti.
La situazione rischiava seriamente di divenire ufficiale, a mano a mano che più persone erano coinvolte (e tra queste l’odiosa ciabatta di Broadway che si era proclamata damigella d’onore, ma che lui aveva prontamente ribattezzato “d’orrore”) e venute a conoscenza dell’evento dell’anno.
Era anche il momento in cui Kurt aveva fatto del suo meglio per “kurteggiare” intorno a questioni e decisioni che divenivano sempre più impellenti.
Nella sua ispezione quotidiana, a parte qualche cartamodello e bozze del suo abito da sposo (sì, se lo sarebbe cucito da solo: quale occasione migliore di un madornale errore per dare ufficialmente inizio alla sua carriera d’aspirante stilista?), era comparso un catalogo con annunci su affitti e vendite d’appartamenti e loft. Alcuni erano stati persino cerchiati.
Era stato piuttosto facile per Sebastian cancellare i messaggi in segreteria di sedicenti agenti immobiliari, convincere (con tanto di mazzette) gli avventori del Penguin Pub a spacciarsi per loro e informare “con gran rincrescimento”, che l’ennesimo appartamento dei sogni era stato acquistato da qualcun altro. Persino liberatorio strappare le pagine pubblicitarie dei giornali, prima che Kurt stesso potesse visionarle anche solo per errore.
Ma ogni volta che osservava quel gigantesco programma affisso alla parete, con gli stessi colori delle etichette nella sua preziosa agenda, con la lista delle cose da fare per ogni singola voce, nonché il countdown al matrimonio, una dolorosa fitta allo stomaco sembrava paralizzarlo. Doveva voltarsi bruscamente, allora, ed uscire da quella camera e affrettarsi a lasciare quella casa, perché incapace di respirare.
“Sensi di colpa?”, lo incalzo Hunter, con il sorrisetto di chi per primo dubitava delle proprie parole. Non certo quello del MasturbHunter che da più di un mese non copulava allegramente.
Un solco apparve tra le sopracciglia di Sebastian: era di fronte a quell’espressione saputa che il suo diabolico piano di rapirne il gatto, bruciarlo vivo e gettarlo nell’East River prendeva sempre più forma.
“Non dire cazzate”, scrollò le spalle e tracannò la sua prima birra. “Mi ringrazierà un giorno: è soltanto questione di tempo”.
Non sembrava mai particolarmente impressionato dalle sue teorie o dalla sua presunta e affermata conoscenza di Kurt, o su come la sua storia d’amore fosse morbosa e degenerante di un'autostima fin troppo modesta.
“Te l’ho detto, prendi il problema dal lato sbagliato”.
Per qualche motivo, a Sebastian ancora ignoto, sembrava che il dottorino non riuscisse a fare a meno di esprimere la sua opinione, anche quando ovviamente non richiesta, soprattutto alla luce di quanto vuota e triste fosse la sua vita privata. E non soltanto in virtù dei suoi “suggerimenti” su quale squinzia del giorno evitare.
Ma quando una sua imbeccata iniziava con il polemico: “Te l’ho detto”, l’udito di Sebastian finiva con il censurare istantaneamente ogni parola successiva.
“Dovrei andare in Ohio e investire Mezza SegAnderson”, rifletté ad alta voce.
“O magari, anziché mostrarti scontroso come una moglie gelosa”, davvero credeva che sarebbe stato proprio lui la parte “femminile” della coppia? Oltre ad essere un modo di pensare superficiale e tipicamente da sfigato etero, era evidente non avesse la benché minima idea di quali sarebbero state le dinamiche di coppia tra lui e Kurt.
“Potresti aiutare Kurt, incoraggiarlo o-”.
Sgranò gli occhi, Sebastian, e l’idea che sembrò letteralmente fulminarlo, lo fece sorridere trionfante e scintillarne gli occhi di smeraldo.
“E così avrei un controllo più diretto e potrei influenzarlo, con la scusa di fare tutto per il suo bene, come qualsiasi buon amico farebbe, tanto più se contrario al matrimonio”.
“… e trovare il momento giusto di confessargli i tuoi sentimenti”, aveva concluso Hunter con aria sgomenta nell’osservarne il repentino cambiamento d’espressione. “Non dirmi che ti ho appena suggerito qualcosa di machiavellico, contorto e perverso, ti prego”. Sembrò letteralmente supplicarlo con la stessa aria rassegnata di chi era consapevole di star per assistere ad un disastro epocale.
Sogghignò, Sebastian, porgendogli una bottiglia di birra che l’altro prese prontamente (sì, stava conducendolo verso il lato oscuro, ma doveva riconoscergli una resistenza invidiabile. Almeno fino a quel momento). “Esattamente: potrei quasi ringraziarti”.
Aggrottò le sopracciglia, Hunter: “Mi basterebbe che tu pagassi quello che bevi”, borbottò in risposta. Lo guardò intensamente: “Un giorno mi darai ragione”, sorseggiò la bibita si pulì le labbra con il dorso della mano.
“Un giorno!”, ripeté con voce più altisonante.
Si concesse uno sbuffo divertito, Sebastian: “E’ quello che ti ripeti, mentre palpeggi il tuo gatto nelle notti solitarie?”.
In fondo la palla di pelo non era così male, soprattutto da quando, grazie al suo modesto intervento, non sembrava più riconoscersi in un nome tanto banale come “Clarence”, ma in quello molto più intrigante di “Mr Pussy”. Che poi il padrone non potesse proprio considerarsi il “Signore delle Vagine”, quello era soltanto imputabile al suo essere un cronico incapace.
Si accigliò, Hunter, ma aveva ormai sviluppato abbastanza anticorpi da riuscire ad incassare le sue frecciate senza scomporsi più di tanto: “Davvero, ancora non capisco come Kurt possa anche solo immaginare di separarsi da te”, recitò con finta aria stucchevole che lo fece ridacchiare.
“Glielo chiederò dopo che avrò annullato le nozze, ho ancora un cuore dopotutto”.
“Sono commosso”, borbottò l’altro, sollevando gli occhi al cielo per poi sollevare le mani, evidentemente avendo raggiunto la dose quotidiana tollerabile di Sebastardate.
Aveva rapidamente digitato un messaggio, Sebastian, e poco dopo il cellulare aveva vibrato: sogghignò nel leggere la pronta risposta.
“Un nuovo tromba e getta?”, chiese l’altro con aria annoiata.
“Non struggerti troppo, forse un giorno sarò abbastanza ubriaco da prenderti in considerazione”, lo schermì Sebastian per poi sorridere con aria soddisfatta. “Mi sono appena offerto di accompagnare Kurt a vedere un appartamento: ho finto di sentirmi in colpa per non aver fatto la spesa, di nuovo”.
“I miei bambini crescono in fretta”, sospirò il barista con finta aria melodrammatica.
“E il tuo seme diventa rancido”, fu la distratta replica, mentre faceva vagare lo sguardo, come di consueto, sul locale per osservare distrattamente gli avventori.
Incrociò lo sguardo con quello di un ragazzo con cui aveva flirtato poco prima sulla pista da ballo: al suo silenzioso invito verso le porte del bagno, scosse il capo. Era meglio restare lucidi per il giorno dopo.
Inarcò le sopracciglia alla vista del proprietario del locale che sembrava avere tutta l’aria di star improvvisando un colloquio con un viso sconosciuto.
“Nuova ballerina?”, chiese a Santana Lopez che si era appena abbarbicata sullo sgabello accanto al proprio.
Gettò un’occhiata nella stessa direzione, la giovane latina: “Purché stia lontana dal mio microfono e dal mio Trouty”.
“E dal microfono del Trouty”, precisò Sebastian con aria provocatoria.
Quasi di comune accordo, si voltarono verso il barista fino a quel momento impegnato a servire altri avventori. Porse a Santana il suo solito drink, ma allo sguardo eloquente dei due, sollevò le mani.
“No, non pensateci neppure: ho chiuso con le ballerine”, sancì prima che potessero anche soltanto esprimere a voce i loro pensieri.
Scrollò le spalle, Santana, pur cercando di reprimere un sorrisetto ad un ricordo particolarmente divertente: “Te l’avevo detto che era lesbica”.
“Avrebbe potuto unirsi al festino”, sogghignò Sebastian più che divertito dal comune ricordo dello shock del barista alla rivelazione infausta.
“Con quella faccia da MasturbHunter, era più probabile lo facesse Sam se una delle due si fosse vestita da Principessa Leila1”.
“Non sei neppure curioso?”, lo pungolò Sebastian, “una ballerina che ancora non pensa che tu sia gay”, parlò con voce enfatica e lo scintillio malizioso dello sguardo.
Un rivolo di sudore scivolò dalla tempia del suo interlocutore: sembrava quasi volersi arrischiare a gettare un’occhiata in quella direzione (sia mai che al primo sguardo fosse subito etichettato come un segaiolo seriale da evitare), ma con notevole autocontrollo vinse la propria curiosità.
“Belle gambe, potrei odiarla per questo”, aggiunse Santana anch’ella impegnata in una minuziosa osservazione della potenziale collega.
“Se intendi che è senza tette”, replicò distrattamente Sebastian il cui occhio allenato coglieva le concavità del corpo umano con rapido sbattere di ciglia.
“Non vi sto ascoltando!”, dichiarò l’altro e si voltò bruscamente. Cominciò a ricollocare le bottiglie sui giusti scaffali, ma la fronte era ancora aggrottata. Sembrò fermarsi, la bottiglia di tequila (mezza vuota per grazia di Sebastian) tra le mani: “… belle gambe?”, chiese come se avesse metabolizzato soltanto in quel momento.
“Troppo tardi”, cinguettò Santana perché la giovane era appena uscita.
Il barista serrò la mascella, borbottò qualcosa sulle bottiglie vuote da gettare nel cassonetto della spazzatura e si allontanò.
“Cinquanta dollari che se Murphy2 l’assume, se la porterà a letto entro un anno”, propose la latina allungando la mano verso Sebastian.
Quest'ultimo la fissò scettico per poi sorridere con aria intrigata, come ogni volta che si prospettava un’occasione di divertimento, soprattutto se sfavorevole al barista: “Non ce la farà, è di lui che stiamo parlando”, scrollò le spalle, ma la fissò intensamente, quasi a capire che cosa stesse complottando.
“Ci sto, ma non userai la scusa del « ci sono stata una volta e non è affatto male »”.
Apparve inorridita al pensiero, Santana, ma annuì: “Non dovrai farle credere volontariamente che sia gay, tanto ci penserà da solo prima o poi”, ribatté con una scrollata di spalle.
“Non dovrai minacciarla o ricattarla”, aggiunse Sebastian, le sopracciglia aggrottate.
“O pagarla”, concluse per lui Santana, quasi si leggessero la mente. “Vale anche per te”.
Sogghignò, Sebastian, ma ne strinse la mano in cenno d’intesa. “Cosa ti dice che sarà assunta?”.
“E’ venuta soltanto per ritirare il costume: inizierà domani, ma non dirlo a MasturbHunter”, commentò con risposta con uno scrollo di spalle.
Si accigliò, Sebastian, consapevole che quella sorta di sua versione al femminile poteva essere diabolica e piena di risorse almeno quanto lui, ma non diede adito a particolare preoccupazione sull’esito della scommessa.
“Salutami Lady Hummel”, si era allontanata con un cenno della mano per raggiungere il suo golden biondo.
Ingollò il resto della birra e si alzò a sua volta: la bevanda aveva decisamente un sapore più intenso, quando era gratuita.
“Sebastian!”, sentì la voce stridula di Hunter, quando fu tornato alla sua postazione e, come da programma, non trovò alcuna banconota lasciata sulla superficie.
“Scusa, tesoro, sono troppo stanco”, recitò con voce in falsetto: sollevò la mano in segno di saluto senza neppure voltarsi e si diresse verso casa, le mani affondate nelle tasche della giacca.

~


Già dopo mezzora la voce dell’elegante agente immobiliare gli era apparsa insopportabile: avrebbe potuto meglio tollerarne la presenza se si fosse trattato di un ragazzo prestante alla Stephen Amell. Dovettero accontentarsi della versione petulante e quarantenne abbruttita e zitella di Felicity Smoak3 nel peggiore dei suoi completi che soltanto la versione liceale (e senza utero) di Rachel Berry avrebbe potuto tentare di defraudarle.
Persino Kurt sembrava averne subito l’impatto, a giudicare da quell’impercettibile tic all’occhio, ma l'effetto era stato temporaneo. Cominciò, infatti, a bersi letteralmente ogni singola parola sul loft che stavano perlustrando: dall’ubicazione con vista su Prospect Park (particolarmente appetibile per la vicinanza con la caffetteria), fino al numero e all’ampiezza dei vani disponibili, nonché i possibili progetti e modifiche da apportare per rendere l’ambiente il più possibile personalizzabile.
Sebastian continuò a far vagare lo sguardo tutto attorno con aria scettica, mentre Kurt si fermava, le mani sui fianchi, e dal sorriso svenevole immaginò che stesse già immaginando ogni singolo istante che avrebbe vissuto in quella casa, probabilmente con tanto di piccole (ed inquietanti) copie della Mezza SegAnderson.
Rabbrividì impercettibilmente. Per quanto potesse dirsi geniale l’idea di operare a contatto più diretto con l’organizzazione vera e propria (e poterla sabotare da più vicino), non riusciva a scacciare il pensiero che un giorno avrebbe potuto di nuovo disporre della camera che gli aveva affittato. Che sarebbe semplicemente scomparso ogni oggetto che lo riguardasse, quasi non fosse mai stato parte di quelle stesse mura.
Scosse il capo, Sebastian e strinse il pugno: non sarebbero mai arrivati fino a quel punto. Non lo avrebbe permesso.
“Come vi dicevo, questo è uno dei loft più confortevoli ancora disponibili, ma purtroppo devo consigliarvi di rifletterci nel più breve tempo possibile. Non vi nascondo di aver già ricevuto diverse offerte”.
Sebastian sollevò gli occhi al cielo, più che persuaso che si trattasse di uno di quei tradizionali pretesti per incutere pressione nel potenziale acquirente e farlo decidere in fretta, senza un'analisi accurata. Doveva esserci qualche fregatura, ne era più che convinto.
“Vi ho già detto che è compreso un accesso al tetto?”, aggiunse l’agente immobiliare con l’aria di chi stava sferrando la carta vincente.
Sembrò esserci riuscita a giudicare dal verso di giubilo che Kurt si era lasciato sfuggire (dopotutto aveva davvero bisogno che qualcuno evitasse che finisse spennato, non aveva il benché minimo senso degli affari!): “Meraviglioso, potrei pensare ad una serra o un giardino, o una zona relax in cui ammirare lo sfondo di Manhattan, mentre sorseggiamo il the e… possiamo vederlo?!”
“Scommetto che si sente un delizioso fetore al piacevole soffio del vento primaverile”, recitò Sebastian con intonazione evidentemente sarcastica, ignorando lo sguardo di rimprovero di Kurt.
Il sorriso sulle labbra della donna si congelò, ma si sforzò di assumere la sua espressione più professionale: “Immagino che lei e il suo fidanzato dobbiate pensarci. Vi lascerò un po’ di privacy, mentre telefono ad un altro cliente”, commentò con voce dolciastra che doveva ammonirli dell’esistenza d’altri clienti interessati allo stabile.
“Lui non è il mio-”.
“Perfetto”, Sebastian improvvisò il suo sorriso più affascinante, attirando Kurt a sé, cingendone la spalla, “il mio fidanzato ed io chiariremo le nostre posizioni”.
Appena la donna si fu allontanata, Kurt sgusciò dalla sua stretta, l’espressione stizzita: “Si può sapere cosa ti è preso? Questo posto è una meraviglia e c’è poco tempo per decidere”.
“E’ solo meno mediocre degli altri e ti sta mettendo pressione per farti cedere prima e alle sue condizioni”.
“Starai scherzando”, commentò incredulo, Kurt evidentemente già conquistato. “Non hai notato l’eleganza della struttura? O l’adattabilità di ogni vano? Riesco già ad immaginare come potrei facilmente cambiare disposizione dei mobili, rendendola sempre più moderna ma versatile e-”.
“E’ un loft, non una casa delle Barbie”.
Sembrò accigliarsi, Kurt, le mani sui fianchi nell’osservarlo con aria piuttosto stizzita, prima di incrociare le braccia al petto. “Se devi essere così ipercritico, non capisco proprio perché tu ti sia disturbato a venire”.
Sorrise, Sebastian, tutt’altro che divertito, il viso inclinato di un lato: “Evidentemente sei solo tu ad avere fretta di trovare una nuova casa”, puntualizzò.
“Blaine si sta diplomando e… credevi che avremmo convissuto tutti e tre più qualche tuo amante occasionale che fai entrare di soppiatto?”. Pronunciò quella domanda con evidente aria ironica, incredulo lui stesso della remota possibilità di simile equivoco.
Immaginò che precisare di non averne mai condotto nessuno tra quelle mura non cambiasse la realtà dei fatti. Tanto meno l’idea che per lui sembrava così semplice impacchettare le sue cose e andarsene da un giorno all’altro e cambiare semplicemente indirizzo.
“In realtà la mezza seg… Blaine non è mai stato contemplato: non ho voglia di rovinarmi la digestione pensando a lui”, fu la sferzante replica.
In fondo era una mezza verità: anche se la mezza SegAnderson non era mai stata nei suoi pensieri (se non a causa del suo coinquilino), non avrebbe accettato l’idea che l’altro potesse impacchettare le sue cose e trasferirsi nuovamente. Magari con la stessa esasperazione e sollievo con cui si era allontanato dal domicilio in comune con la Berrysterica e il fratello.
Scosse il capo, Kurt, ma ancora una volta riuscì a sorprenderlo. Ancora una volta, a dispetto del suo tono e del suo atteggiamento evidentemente ostile, sembrò cogliere qualcosa che avrebbe voluto celargli. Qualcosa che non sarebbe dovuto trapelare nonostante i suoi subdoli intenti.
“Mi mancherai anche tu, non pensavo che lo avrei mai detto”, sussurrò con voce più dolce nell’avvicinarsi a lui, inducendolo a specchiarsi in quelle iridi dalle sfaccettature fuggevoli, almeno quanto quelle emozioni che le facevano scintillare.
Improvvisò un sorriso più complice, quasi a cercare di smussare la tensione: “Se non altro riavrai la tua casa e le tue regole”.
Ma non lo stava ascoltando, Sebastian, quella parte della sua vita sembrava appartenere ad un’altra realtà.


Allora sei arrivato: sapevo che non mi avresti resistito”, lo salutò con la sua migliore espressione trionfante (ed era un campionario molto vasto) e si scostò dalla soglia della porta perché potesse entrare.
Sospirò, Kurt, con l'aria di chi stava già vivendo un profondo conflitto interiore, ma entrò e trascinò il suo trolley, il mento sollevato in un atteggiamento altezzoso. “Non ho ancora detto che accetto, ma sei stato gentile a concedermi un tour”.
Non replicò, Sebastian, ma scoccò un'occhiata ironica al bagaglio e Kurt si strinse nelle spalle: “Se non mi convincerai, pernotterò in albergo”, precisò.
Incrociò le braccia al petto, Sebastian, il sorrisetto sfrontato: “Una settimana di prova, questi erano i patti”.
Sei pur sempre un estraneo, questa è la realtà”, rimarcò Kurt con un sorrisetto soddisfatto.
Sembrò essere un'obiezione accettabile (ed era divertente vederlo imputarsi con l'espressione di chi riteneva di potergli resistere).
Indicò il soggiorno con un braccio: “Se vuoi seguirmi, il tuo giuro turistico sta per cominciare”.
Ignorò ogni sua critica sul colore della moquette, sull'esistenza stessa della moquette, sulle tende (non aveva cambiato nulla della mobilia e neppure aveva ancora completato il proprio trasloco per preoccuparsi di diventare un arredatore d’interni), la disposizione dei mobili, lo stato pietoso in cui versavano le piante decorative, i dipinti d'arte astratta e persino i lampadari (seriamente, chi si soffermava sullo “stile” dei lampadari se facevano il loro dovere?).
Non smise di sorridere, tuttavia, Sebastian e si soffermò sull'attenzione che quello sguardo dedicava ad ogni vano nel suo insieme e nei dettagli che sembravano tanto fare la differenza tra un sì e un no.
Certo, avrò delle modifiche da apportare, se questo diventerà il mio mondo”, esordì Kurt ed attraversò la soglia della futura camera da letto.
Si strinse nelle spalle, Sebastian: “Mi casa es tu casa, letteralmente. Occorre solo un sì”.
Sospirò, Kurt. Le mani sui fianchi e lo sguardo azzurro che continuava a vagare tra quelle pareti, probabilmente immaginandole con tutte le migliorie e le sciocchezze di cui aveva blaterato fino a quel momento. Ebbe la sensazione che fosse parte della sua natura, che quel viso elfico dai lineamenti delicati nascondesse un estro artistico e stravagante, e si sarebbe potuto ben dire soltanto dall'abbigliamento: era un bustino quello che indossava?
Chissà come sarebbe stato arduo ma appagante sfilarglielo.
Una settimana di prova”, fu la sua voce a distoglierlo da quelle piacevoli fantasie, il tono era ancora formale. Lo stava scrutando come aspettandosi qualche fregatura, magari un cadavere nascosto nell'intercapedine della stanza.
Gli porse la mano a siglare il patto e Sebastian sorrise. Già aveva capito che non se ne sarebbe più andato e ciò era esattamente il suo obiettivo.

-

Non era rientrato a casa quella notte e ancora stava sorridendo del tempo più che piacevole che aveva trascorso nell'appartamento del bellimbusto che aveva rimorchiato la sera precedente. Era ormai divenuto facile alzarsi e uscire prima che l'amante occasionale si svegliasse con il pretesto di offrirgli la colazione. Era divenuto insofferente alle richieste pietose di chi si era illuso di qualcosa di più di una piacevole e distesa SSN (scopata senza noie).
Senza contare, e lo constatò con uno scintillio malizioso delle iridi, che aveva un cuoco più che qualificato che lo avrebbe atteso al suo ritorno, soprattutto quando così generoso da offrirgli un'eccellente visuale del suo sodo e armonico fondoschiena, stretto in jeans tanto aderenti e sfacciatamente esposti ad uno sguardo per nulla innocente.
Buongiorno, o per te è ancora notte?”, si era voltato, Kurt, la padella in mano e lo sguardo di pacato rimprovero che gli rivolgeva ogni volta che lo vedeva dopo una notte brava o facevano riferimento alla sua « vita sregolata ».
E' sempre un buongiorno, quando il tuo culo è la prima cosa che vedo al mio ritorno”, aveva risposto con voce roca, lo scintillio voglioso nello sguardo che indusse Kurt a sollevare gli occhi al cielo, con l'aria di chi era ormai più che avvezzo a commenti così sfrontati. Persino pronunciati come altisonanti parole d’amore.
Sospirò quasi stancamente, ma appoggiò il piatto di pancakes sul tavolo e Sebastian notò la ben più selezionata colazione che si era riservato a base di tost, marmellata e burro.
Aveva un'espressione decisa, mentre si accomodava, facendogli cenno di imitarlo: “Dobbiamo parlare”, esordì infatti.
Sebastian ignorò lo sciroppo d'acero – troppo stucchevole per i suoi gusti – per poi cominciare a degustare la colazione. A quella premessa, inarcò le sopracciglia con aria interrogativa.
Abbassò il suo bicchiere di caffè decaffeinato, Kurt, ed annuì: “E' passata una settimana”, gli ricordò.
Sebastian sorrise con aria allusiva: “Sapevo che non te ne saresti più andato”.
Non hai capito”, ribatté Kurt, mentre dispiegava un tovagliolo da porsi sulle gambe, “non ho ancora detto che accetto”.
Il sorriso non scomparve dalle labbra di Sebastian che sembrò persino più divertito: quasi quel modo di contenere il suo entusiasmo, fosse una prova evidente di uno stato d'animo opposto a quello ostentato. “Se vuoi che ti convinca in natura, non hai che da chiedere, anche se potresti non lasciarmi più andare e sarebbe scomodo cercare di andarmene da casa mia”.
Scosse il capo, Kurt: “Mai mescolare amanti e quotidianità”, sembrò recitare ironicamente una delle regole del suo quieto vivere.
Tu l'hai detto”, commentò l'altro sollevando il proprio bicchiere di caffè, a mo' di brindisi, anche se Kurt si premuniva di evitare la correzione con il cognac di primo mattino. “Allora?”, lo esortò comunque a spiegarsi meglio.
Si schiarì la gola, Kurt, e schiuse il suo blocnotes dai fogli azzurri, inforcò un paio d’occhiali da lettura che, stranamente, non avevano alcun effetto inibitorio sulle immagini mentali che Sebastian stava proiettando tuttora. “Ho stilato delle regole per una pacifica convivenza comune”, lo informò come se gli stesse illustrando il piano d’evacuazione in caso d’incendio o calamità naturale.
Soffocò una risata nel suo caffè: “Sei serio?”.
Regola numero 1, ” lo ignorò Kurt e cominciò a leggere con voce altisonante, “non si entra nella camera dell'altro senza permesso o senza aver bussato, se il proprietario la sta occupando in quello stesso momento”.
Perfetto, avrebbe continuato a farlo di nascosto: sapeva dove nascondeva la chiave.
Incrociò le braccia al petto, ma si rilassò maggiormente sullo schienale, con l'aria di chi non vedeva l'ora di ascoltare tutto il resto. Sogghignò, il viso inclinato di un lato: “Paura che ti rubi le spille o che mi masturbi con le foto del tuo ragazzo, perché in tal caso posso assicurarti-”.
Il che mi conduce alla regola numero 2”, Kurt ne sovrastò la voce, le guance arrossate per l'indignazione. “Niente più epiteti sul mio ragazzo o sulla mia relazione e niente più riferimenti alla mia vita sessuale, tanto meno tutto ciò che concerne la mia persona e le tue perversioni”.
Aggrottò le sopracciglia, Sebastian.“Sai già che ignorerò questa regola, ma se hai bisogno di continuare questa pantomima, non ti fermerò”, gli concesse con un cenno distratto della mano.
Lo fissò stizzito, Kurt, ma tornò a leggere.
Numero 3: non spostare i prodotti che si trovano sul mio scaffale, hanno un loro ordine ben preciso. Se per qualche strano impulso ti passasse per la testa di usarli, dovrai chiedermi il permesso”, lo scrutò con occhio critico. “Non che una ritoccata alle sopracciglia non ti gioverebbe”, aggiunse tra sé e sé.
Rise della precisazione: “Questo mi ricorda un sogno recente. Il mio letto, un tuo foulard, tu sopra di me con una pinza per sopracciglia e-”.
Numero 4, ” alzò la voce ancora una volta, “non portare i tuoi amanti qua”.
Non parve impressionato, Sebastian che si strinse nelle spalle. “Non lo farei comunque, ma vale anche per il tuo barboncino”.
Quell'obiezione parve riscuoterlo e abbandonò il taccuino per guardarlo con aria incredula: “Io e Blaine abbiamo una relazione seria e se diventerà anche casa mia-”.
Non è un valido motivo per cui dovrei rovinarmi la digestione”, replicò prontamente Sebastian, l’aria trionfante ne fece scintillare le iridi.
Aggrottò le sopracciglia, Kurt, ma sospirò. “Giungeremo ad un compromesso: ne parleremo quando e se Blaine verrà in città. In fondo la mia è soltanto una sistemazione temporanea, finché non si stabilirà a New York anche lui”, lo precisò come se ciò fosse di vitale importanza.
Ora sì che mi stai spezzando il cuore”, sospirò con aria stoica.
Numero 5: ci divideremo la gestione domestica. Turni per cucinare, lavare i piatti, usare la lavatrice, fare la spesa”.
Ti accontenterai del take-away e non esiste che io perda ore in un negozio a cercare il tuo ammorbidente per la seta o quell'intruglio che chiami latte”.
Bene”, decantò l'altro con un sorriso saccente, “allora farai a meno della mia cucina che adori tanto”.
Oh, tesoro”, lo blandì Sebastian dopo aver spazzolato via anche le briciole delle frittelle. “Non è una guerra che puoi vincere: è meglio che ti abitui”, gli sorrise con aria affettata.
Lo vedremo, la smetterai di sottovalutarmi”, ribatté l'altro con aria piccata.
Sorrise, Sebastian: “Oh, no, tu sottovaluti l'impatto che ho già nella tua vita. Non ti allontanerai mai, anche se ignorerò le tue stupide regole”, dichiarò ed inclinò il viso di un lato ad osservarlo con aria suadente, quasi aspettandosi di vederlo capitolare.
Lo vedremo”, sibilò in risposta, l'aria di sfida che non stonava affatto coi lineamenti tanto delicati da sembrare finti. Riprese la lettura: “Numero 6: chiudersi a chiave in bagno”.
Rise di gusto, Sebastian. “Come se ti fosse dispiaciuto trovarmi soltanto con un asciugamano addosso”, ricordò con aria gongolante, prima di inarcare le sopracciglia. “In realtà stavo progettando di farlo cadere, prima che tu urlassi come una donnicciola e scappassi via come una povera vergine”, ripensò a quel momento con un sospiro sognante, lo sguardo perso in un punto indefinito.
Sì, quell’episodio lo avrebbe ricordato per molto tempo e avrebbe potuto modificarlo a piacimento, aggiungendo dettagli più interessanti e una conclusione opportuna. Sì, decisamente amava il modo in cui Kurt gli ispirava simili pensieri e senza neppure provocarlo intenzionalmente. Anche se non poteva negare che sarebbe stato piacevole conoscerne anche la sfaccettatura “flirtante”.
E' stato un incidente e puoi star certo che non si ripeterà”, borbottò per risposta, le guance di un colorito più acceso, evidentemente ancora imbarazzato al pensiero.
Seppur si conoscessero da poco, aveva idea che quel pudore era parte della sua personalità e che neppure una maggiore e reciproca conoscenza platonica avrebbe potuto scalfirlo. Non che ciò lo disturbasse, in ogni caso. Anzi.
Ripensandoci, però, tu saresti in debito: dovrebbe essere il mio turno di vederti déshabillé”, commentò con finta aria casuale, osservando quel foulard che ne stringeva il collo, immaginando di cominciare a sfilarlo lentamente, mordicchiando la pelle diafana del collo, fino a farla arrossare.
Continua a sognare Sebastian”, sorrise sferzante. Quasi ne avesse colto i pensieri, lisciò il tessuto azzurro.
Non mancherò”, lo rassicurò tornando ad incrociarne lo sguardo e umettandosi le labbra.
Sospirò, Kurt, ma scosse il capo. “E numero 7: basta commenti sul mio abbigliamento o la mia scrupolosa pulizia del viso”.
Non potrai mai controllare la mia mente”, sogghignò Sebastian, osservandolo con aria evidentemente eloquente.
Mi sembra che ci sia tutto: in caso emergessero altre questioni, ne riparleremo”, si sfilò gli occhiali dal naso. “Allora?”.
Si scostò dallo schienale della sedia, Sebastian, e si drizzò fino ad appoggiare il mento sotto le mani intrecciate tra loro, i gomiti a puntellarsi sul tavolo: “Devo firmare con il sangue o con un altro liquido?”, chiese con aria cospiratrice.
Aveva emesso un verso stridulo, Kurt: “Sei disgustoso”.
Rise, Sebastian, evidentemente compiaciuto: “Non puoi fare a meno di me”, decantò con aria arrogante perché in fondo, checché Kurt trovasse ancora pretesti per giustificare quella convivenza (e rimarcare fosse solo temporanea), non dubitava del fatto che sarebbe riuscito a farsi spazio nella sua quotidianità. Fino a conquistarsene l’affetto, perché Kurt Hummel non era il tipo che si serviva delle persone o che si circondava di conoscenze futili. Il che spiegava perché avesse clienti abituali, i suoi negozi preferiti (e di ognuno ricordasse il nome del titolare e dei commessi) e conoscesse il nome e l’aroma di caffè preferito da tutti i collaboratori di Vogue.com.
Lo guardò con aria critica, la parvenza di considerarlo soltanto un coinquilino e proprietario scomodo: “Abbiamo un accordo?”.
Finse di rifletterci sopra, Sebastian, lo sguardo saettò all’uscio della camera del ragazzo che sembrava un portale d’accesso ad un mondo fatto di tutte quelle piccole cose che lo rendevano Kurt. Dal colore pastello delle pareti, i busti che si divertiva a vestire (chissà se le sue mani erano altrettanto agili nello svestire), gli oggetti d’uso quotidiano, fino a quel profumo di lui che sembrava aleggiare su ogni cosa.
Tutto sommato, era stata quella punta di novità e d’originalità che sembrava dare un nuovo significato alla sua stessa quotidianità tra quelle mura.
E sia, abbiamo un accordo: benvenuto a casa”, sorrise con aria trionfante.
Parve soddisfatto, Kurt, ma si concesse di guardarlo con aria sospettosa: “Spero di non pentirmene”.
Schioccò la lingua sul palato con aria saccente: “Oh, succederà: ogni singolo giorno”, sancì dondolandosi sulle gambe posteriori della sedia, “ ma non te ne andrai comunque”.
Difficile dirsi se volesse minacciarlo o stesse facendogli una promessa.
E' solo momentaneo”, ribatté quasi a negargli la possibilità di una reale conoscenza.
Se ti piace crederlo”, scrollò le spalle ma il sorriso non sfumò.


Sorrise con aria quasi ironica, Sebastian: dopotutto era riuscito a far ricredere Kurt, fino anche a fargli ammettere che fosse divenuto importante e che ne avrebbe sentito la mancanza.
Ma non era sufficiente.
Si riscosse, quando l'impiegata dell'agenzia fece ritorno e chiese loro se erano giunti ad una decisione definitiva.
Kurt lo stava ancora osservando con un misto di dolcezza e di comprensione che lo fece soltanto incupire maggiormente.
Scrollò le spalle, Sebastian, a lasciarlo prendere in maniera autonoma quella decisione. A quel gesto, Kurt fu lesto a voltarsi verso la ragazza ed annuire. Il suo sguardo azzurro dardeggiò d’autentico entusiasmo: “Lo prendiamo”.
Sebastian sentì qualcosa rimescolarsi nelle sue viscere: stava lentamente perdendo il controllo e i suoi tentativi d'ostruzionismo stavano soltanto incoraggiando Kurt ad essere ancora più risoluto nelle proprie decisioni.
Non soltanto. A differenza sua, sembrava non ricordare tutto ciò che avevano vissuto in quell'anno, non quando si trattava di Blaine Mezza SegAnderson. Quasi fossero due scompartimenti diversi della sua vita che non avrebbero potuto convivere.
Non sembrava più essere il Kurt che aveva incluso nella sua vita e che, soprattutto, gli aveva concesso di entrare nella propria. O forse era lui a non essere lo stesso Sebastian che aveva proposto ad un perfetto sconosciuto di affittare la camera a disposizione.

~

“Oh, sì, l'alcol ti renderà sicuramente più capace di ragionare lucidamente”, lo accolse Hunter Clarington quando, senza neppure parlare, indicò un calice vuoto.
“Versa e sta zitto”, borbottò per risposta, tutt'altro che propenso ad incoraggiarne lo spirito da dottorino/terapeuta di coppia.
“Sta andando così male?”.
Lo sguardo bieco che gli lanciò sembrò una risposta più che adeguata.
Sbuffò e si guardò attorno, un'espressione di disgusto verso le coppiette che stavano ballando sulle note di “I will always love you”, intonata magistralmente da una donna cannone con la voce di Aretha Franklin. La vista degli occhi lucidi di alcuni avventori rimasti seduti lo fece ulteriore incupire.
Il suo malumore non migliorò quando il biondo golden umano si avvicinò al bancone con aria beata e il sorriso più gigantesco che mai, oltre ad un bouquet di rose rosse.
“Ho bisogno di bere qualcosa”, esordì come se a qualcuno fosse importato, gettando persino un'occhiata a Sebastian: “Voglio chiedere a Santana di sposarmi”.
Poco mancò che Hunter si strozzasse con il suo bicchiere d'acqua, gettò un'occhiata preoccupata a Sebastian, quasi aspettandosi che lo assalisse alla giugulare, ma si affrettò ad ostentare il suo sorriso più accattivante.
“Wow! Congratulazioni, prendo subito lo champagne, dobbiamo festeggiare”.
Evidentemente non accortosi dell'occhiata gelida che gli era stata rivolta da Sebastian, il cui pugno era serrato spasmodicamente e la mascella serrata, Sam si volse al barista con aria evidentemente agitata: “Non ha ancora detto di sì”, rise nervosamente per poi sgranare gli occhi nel vuoto. “Oh mio Dio, e se mi dicesse di no?”, esclamò rimettendosi in piedi con aria sconvolta, quasi stesse valutando se fosse il momento giusto per quella proposta.
Se c'era una cosa che il barista avrebbe dovuto riconoscergli quella sera era un'ottima capacità d’autocontrollo: Sebastian brandì il bicchiere (che lui questa volta riempì senza alcuna obiezione: in fondo era un momento d’estrema tensione) e lo ingollò interamente. Lo appoggiò sul bancone, lo sguardo schifato ancora rivolto al biondino per poi commentare tra i denti: “Allora continuerai a scopartela a cuor leggero e non avrai obblighi legali nei suoi confronti”.
Allo sguardo contrito del biondino (somigliava davvero ad un golden retriever sgridato le cui orecchie si erano afflosciate per il dolore), Hunter si affrettò a versare dello champagne in tre calici puliti: “Offre la casa e ancora auguri”.
Accettò di buon grado, Sebastian, ma ignorò il bicchiere proteso del futuro sposo per un brindisi. Sam Evans ne bevve il contenuto tutto di un fiato. Le guance più arrossate, sembrò essere leggermente più disteso, quando la latina fece la sua comparsa e le porse le rose, prima di condurla all'esterno, salutando con un cenno della mano il barista e il suo abituale cliente.
“Felice divorzio”, cantilenò Sebastian, levando ironicamente il suo bicchiere, quando si furono allontanati per poi appoggiarlo con un sordo tonfo sulla superficie di legno.
“Perché cazzo la gente non può scopare, senza che qualcuno la obblighi a cedere un cazzo di cognome? Che cazzo di fissazione è quella del matrimonio?”.
Parve rifletterci sopra l'interlocutore, probabilmente intenzionato ad arrischiare una risposta sincera, ma che non suscitasse reazioni spropositate. Sospirò. “Immagino per che alcuni conti l'intento: una promessa per sempre”.
Lo fissò disgustato, Sebastian: “Perché lo chiedo ad un segaiolo incallito? Chissà quante squinzie sarebbero potute diventare Mrs Clarington”.
Serrò la mascella, Hunter, ma non ribatté alla provocazione e gli rivolse un sorriso sarcastico: “Ogni giorno mi ricordi perché adoro la tua presenza”.
“Fanculo”, borbottò in risposta Sebastian, passando il dito sul bordo del bicchiere, “E' più probabile che gayzzi te che Kurt riesca a liberarsi di quella zavorra al gel di mirtillo”.
L'altro scosse il capo con aria quasi stoica. “Questa è la parte in cui solitamente dissento e ti ricordo che non sono gay, ma puntualmente m’ignori. Poi cerco di dirti dove condurranno i tuoi subdoli intenti e tu m’imprechi contro, perseverando soltanto per non darmi soddisfazione. Quindi”, abbassò le mani in segno di resa, “se non ti dispiace ho un esame tra cinque giorni”.
Si sedette sul suo sgabello, un tomo aperto di fronte a sé le cui pagine erano state sottolineate a matita ed inforcò gli occhiali, cercando di concentrarsi nonostante il sottofondo tutt'altro che tranquillo.
“Non dovrebbe essere compito di un barista decente quello di ascoltare? Per non parlare del tuo cronico bisogno di criticare il mio atteggiamento, per non ricordarti quanto tu sia vicino all'estinzione dei tuoi stessi geni”.
Non alzò neppure lo sguardo, Hunter, che mosse la mano come a scacciare una mosca molesta: “Sai già come la penso”, replicò distrattamente e voltò pagina con le sopracciglia aggrottate per lo sforzo di memorizzare le nozioni.
“Sai già dove infilarti il tuo romanticismo da fallito”.
Annuì, Hunter, l'aria stoica e ricadde il silenzio, interrotto soltanto dagli sbuffi che Sebastian si lasciava sfuggire di tanto in tanto o il guizzo rapido con cui il barista allontanava il libro, prima che potesse chiuderglielo.
“Gliel'ho detto: il mio gatto ha ingoiato le chiavi e me ne serve un'altra copia”, si sentì il trillo di una voce femminile.
Un profumo stucchevole aveva invaso le narici di Sebastian che, con la coda dell'occhio, aveva intravisto un paio di lunghe gambe familiari e un guizzo dei capelli biondi. “No, non l'ho visto, mentre le mangiava, ma crede che sia stupida?”.
Suo malgrado, Sebastian, si era degnato di voltarsi appena per scrutare la ragazza, riconoscendo con certezza la nuova arrivata al Penguin. Curiosa la domanda posta al suo interlocutore, considerando che il modo di parlare cantilenante, il pestare il piede a terra e la smorfia sul volto la facessero somigliare ad una bambina in un corpo da ballerina che avrebbe potuto accontentare qualche perversione.
Gettò di sbieco un'occhiata al barista che, come prevedibile (e qui Sebastian sollevò gli occhi al cielo), si era riscosso quasi magicamente e stava fissando la giovane con espressione stolida. Qualcosa (il fatto fosse disperatamente senza donne da più di un mese) gli suggerì che avrebbe potuto sorvolare su aspetti futili quale il quoziente intellettivo o le scarne rotondità strette nel corpetto ricoperto da strass.
“Oh, certo”, stava ribattendo la ragazza con aria impaziente, il broncio persino più visibile, mentre cercava di apparire sarcastica, somigliando ad una Barbie in versione mestruata (analogia resa ancora più palpabile dai lunghi capelli biondi e dagli occhi azzurri). “E chi altro avrebbe preso le chiavi del mio diario segreto?”, chiese con la stessa baldanza con cui una Sherlock Holmes al femminile avrebbe inchiodato il potenziale assassino.
Sogghignò, Sebastian. Se normalmente si sarebbe ritenuto dall'infierire su un evidente caso malato di Madre Natura, la tentazione fu fin troppo seducente. Doveva pur sempre presentarsi in qualche modo, se doveva evitare che finisse tra le grinfie del barista (e quindi perdere cinquanta dollari). “Magari i folletti del bosco?”, chiese con aria fintamente shockata, portandosi teatralmente una mano alle labbra.
Si riscosse la biondina che sbatté le palpebre, allontanò il telefono dall'orecchio un solo istante per rivolgergli un'occhiata scettica: “Ma non esistono, lo sanno tutti”, sollevò gli occhi al cielo, “che tonno!”. Scosse il capo con aria stoica, prima di avvicinare nuovamente il telefono all’orecchio: “Ehi, no, aspetti, non parlavo a lei! Non riattacchi, la prego!”. Si era allontanata (incespicando sui tacchi alti) per poter parlare con maggiore tranquillità.
Schioccò ripetutamente le dita di fronte al barista: l'intento parve funzionare perché si schiarì la gola, ma non gli sfuggì il sorrisetto dei suoi migliori tempi che si allargava da una mascella all'altra (il che era piuttosto inquietante).
“Non so cosa pesi meno: se il suo cervello o le sue tette”, scosse il capo con aria meditabonda.
Era meglio iniziare subito la propaganda anti “scervellata bionda”, senza contare che in quel momento rappresentava la distrazione più plausibile.
“Shhh”, lo zittì Hunter, con aria enfaticamente trasognata, sollevando la mano con l’espressione di un fedele di fronte ad una divina apparizione. “Ti ha messo a tacere senza cattiveria e senza schiaffi: questa è classe”, sancì con enfasi, annuendo e continuando a scrutare la direzione intrapresa dalla ragazza.
Sbatté le palpebre, Sebastian, aspettandosi che ridesse sarcasticamente, ma di fronte alla realizzazione che non stesse scherzando (senza contare i cinquanta dollari in paio), gli chiuse il libro con uno scatto e glielo gettò sul pavimento.
Boccheggiò, Hunter Clarington, guardandolo perplesso e fissando poi il libro a terra.
Scosse il capo. “Stronzo”, commentò con voce scandalizzata, prima di chinarsi a recuperarlo.
Sebastian si alzò con aria stoica: “Ho già un coglione di cui occuparmi”, borbottò con aria evidentemente rassegnata, rimettendosi in piedi, troppo infastidito persino per sbronzarsi quella sera.
“Ehi! Non hai pagato!”, sbottò l'altro, quando lo vide rimettersi il soprabito. “Non lo farò di nuovo io per te!”, lo minacciò.
“Così impari ad ignorarmi”, aveva sorriso con aria trionfante.
Sì sentì subito meglio.


Era rientrato e aveva assaporato il silenzio della casa addormentata. Si era spogliato del soprabito, ma aveva indugiato dall'entrare nella propria camera. Con un sospiro, come gli era ormai naturale anche quando era presente, entrò nella camera di Kurt.
Lo sguardo cadde sul piano appeso alla parete e avvertì una ormai familiare stretta allo stomaco, quando si avvide che la voce “trova casa” era stata cancellata. Una delle tante incombenze che da lì ai prossimi mesi avrebbero riempito la sua quotidianità. Una delle tante occasioni che se non colte opportunamente, lo avrebbero allontanato sempre più.
Si volse ad osservare quell'espressione completamente beata e persa nel suo sogno: di fronte a quel sorriso sembrava difficile ricordare perché stesse cercando mille espedienti che lo avrebbero inevitabilmente cancellato.
Per quanto si ripetesse che fosse la cosa giusta da fare, per quanto fosse ancora certo che stava rischiando di gettare la sua vita, il pensiero di ferirlo era un'implicazione scomoda. Un dolore temporaneo avrebbe potuto essere giustificabile per un fine più grande?
Soprattutto, ed era il pensiero che Sebastian cercava di ignorare spasmodicamente, se anche Kurt non si fosse sposato, si sarebbe accontentato di mantenere il loro status quo?
Protese la mano a sfiorarlo, ma la ritrasse prima che avvenisse il contatto. Scosse il capo e lasciò bruscamente la camera.
Si lasciò cadere sul proprio letto e fissò il soffitto, rimpiangendo la mancanza di una sbornia che lo avrebbe indotto a potersi perdere nell'oblio. Tastò il materasso per dispiegare le coperte, ma aggrottò le sopracciglia nel toccare qualcosa di sconosciuto.
Accese la lampada sul comodino e osservò il foglio azzurro piegato su se stesso: lo dispiegò e lesse le parole vergate nell'elegante e tondeggiante calligrafia di Kurt.
Regola numero 57. Sì, ne erano state aggiunte diverse in quell'anno insieme
Anche se un giorno uno dei due o entrambi abbandoneremo questa casa, non smetteremo di sentirla nostra. E non dimenticheremo tutto ciò che abbiamo condiviso.
Un sorriso aveva increspato le labbra di Sebastian: probabilmente SfinterHunter non aveva tutti i torti. Forse non stava considerando tutte le possibili prospettive, forse non stava soppesando quanto Kurt aveva effettivamente bisogno di lui.
Aveva aggiunto un post scriptum e sentì una piacevole morsa all'altezza del petto:
Mi manchi già adesso.
In quel momento neppure il suo orgoglio gli avrebbe fatto notare quanto il suo stato d'animo potesse essere variabile, quanto persino uno stupido bigliettino potesse cambiarne l’umore e il modo di guardare al futuro.
Sospirò e si lasciò cadere sul proprio letto, rimase a lungo a riflettere: piacevole che proprio Kurt, e a sua insaputa, gli stesse dando lo stimolo a perseverare.
Non avrebbe dovuto sentirne la mancanza, non lo avrebbe perso, si era ripetuto abbracciando il cuscino nel cercare una comoda posizione.
Fu con quella convinzione, il fogliettino appallottolato tra le dita, che cadde finalmente nell'oblio, un sorriso impercettibile sulle labbra e la consapevolezza che avrebbe soltanto dovuto accettare che Kurt gli stesse vicino. Più che mai.

To be continued…


Ed eccoci qua, finalmente posso considerarmi a mia volta in vacanza.
Spero che questo racconto possa essere un buon modo di riempire le vostre, o un piacevole momento di distensione dal lavoro o dallo studio.
Ringrazio di cuore tutte le persone che stanno continuando a seguirmi, soprattutto coloro che non mancano di lasciarmi una loro recensione. E' sempre un piacere poter confrontare le mie opinioni con le vostre o esservi fonte di chiarimento. O, perché no, ricevere le parcelle per la dose di angst propinata, a detta di più di una persona, anche se l'angstwhore è stato coniato dall'immancabile @therentgirl.
Mi arrogo la speranza di esser stata clemente quest'oggi, ma come sempre la parola spetta a voi :)
Vi lascio anche i miei contatti TwitterAsk (sì, potrei rispolverarlo, se proprio insistete :D), se siete amanti dei social network.

Ma adesso diamo una sbirciata al prossimo capitolo:

D'accordo, Mezza SegAnderson, ti spiego come andranno le cose”.
Siamo gli antipodi” “Fino a quando non ti innamorerai di nuovo” “O tu deciderai di passare al lato oscuro”.
Se ti aspetti una dichiarazione d'amore-” “Sebastian”.

Bene, credo di aver stuzzicato abbastanza la vostra curiosità :)
Non mi resta che ringraziarvi nuovamente della vostra attenzione, vi auguro buon weekend.
Kiki87


1 Una delle protagoniste della prima trilogia di “Star Wars”, interpretata da Carrie Fisher.

2 Sì, il cognome del proprietario è puramente casuale :P

3 Stephen Amell è l’attore che interpreta Oliver Queen nella serie tv “Flash” in cui Grant è stato guest star in qualche episodio della seconda stagione. Felicity Smoak è una dei personaggi della suddetta serie tv.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


3
L’oscurità si insinua nella luce del giorno,
te ne stai andando.
Tesori nascosti nelle nostre menti,
i ricordi.
Il tempo che abbiamo avuto è stato fugace,
la forza è solo nel crederci adesso.

Il mondo che conosco, potrà odiarti,
il mondo che conosco, potrà spezzarti.
Ma mentre te ne vai, ricordati che sono al tuo fianco.
L’amore che hai dentro
potrà guarire queste lacrime che bruciano.
E attraverso tutto questo ricorda che sono al tuo fianco,
mentre te ne vai.

Non ti lascerò mai andare.
Mentre te ne vai, non ti lascerò mai andare.
(As you go – Red)1.


Luglio
(meno otto mesi al matrimonio).


Capitolo 3.


L’arrivo dell’estate non aveva portato alcuna novità eclatante. Tuttavia la situazione si sarebbe potuta ulteriormente complicare, tanto da richiedere interventi estremi e più rapidi.
Sì, la Mezza SegAnderson, dopotutto, era riuscita a diplomarsi e Kurt aveva passato un weekend a Lima per quell'occasione. Non c’era stato molto di concreto da fare, a parte scarabocchiare alcune riviste a tema matrimoniale che egli nascondeva inutilmente sotto il suo letto. Particolarmente soddisfacente quando le figure (che fossero uomini o donne gli era indifferente) avevano capelli scuri e riccioli. O quando i modelli maschili esibivano acconciature ottenute con litri di gel.
Non era ancora stata stabilita la location (sia mai che Kurt decidesse da solo persino il colore di una partecipazione che sarebbe stata dimenticata in un cassetto) e l’arrivo del tappo “brillantinato” era un’ulteriore insidia da non sottovalutare.
Specialmente in mancanza di qualche aggancio per introdursi alla Nyada e corrompere la commissione per la valutazione dei candidati del semestre che si sarebbe aperto alla fine dell’estate.
Avrebbe dovuto capirlo già dal risveglio, mentre Kurt sostava di fronte al bancone della cucina, gli occhiali sul naso e la matita sul cartoncino, impegnato a disegnare uno schizzo del futuro abito da sposo.
Sebastian avrebbe di gran lunga preferito che non lo facesse di fronte a lui (ovviamente che non lo facesse proprio: tanto non sarebbero arrivati a quel punto), perché il suono del tratteggio era paragonabile al ticchettare del detonatore di una bomba per i suoi nervi.
“Buongiorno”, lo salutò Kurt e Sebastian notò che, diversamente dagli altri giorni, non sembrava avere alcuna fretta di fare la sua colazione nutriente ma non ipercalorica. Neppure stava cambiandosi d’abito per stabilire quale outfit da ufficio avrebbe indossato quel giorno.
Grugnì per risposta (non che riuscisse a formulare molte parole: aveva urgente bisogno di prendere un’aspirina e lavarsi i denti, dopo l’ennesima sbronza da record) ma aprì il frigorifero alla ricerca di qualcosa di commestibile e la cui vista non lo ripugnasse.
“Non pensarci neppure!”, lo aveva rimproverato Kurt, prima che attaccasse le labbra alla bottiglia.
Sbuffò, Sebastian, ma si costrinse a compiere lo sforzo di camminare verso la credenza e prenderne un bicchiere. La voce stridula di Kurt non sarebbe stata l’ideale in quelle condizioni. E non aveva neppure avuto la premura di preparargli la colazione.
“Porco Anderson”, borbottò tra sé e sé e si lasciò cadere sullo sgabello, il viso pallido e lo stomaco sottosopra, le occhiaie evidenti e i capelli afflosciati sulla fronte. Forse non aveva del tutto torto, il suo caro coinquilino, nel suggerirgli che era giunto il momento di spuntarli.
“Altra notte brava?”. Gli chiese senza neppure sollevare lo sguardo dal suo disegno e Sebastian gli lanciò un’occhiata di sbieco per quel tono tra il compiaciuto e il saccente che gli riservava ogni volta e che era estenuante, almeno quanto i « te l’ho detto » del barista.
Tuttavia gli fu anche grato perché sembrò aver intuito che non era il momento ideale per una predica. Il che confermò che stesse rimuginando su qualcosa e che ciò lo avrebbe, suo malgrado, coinvolto. E ciò, in ultima istanza, spiegava la sua presenza a quell'ora e la mancanza di fretta per timore di perdere la metro.
“Blaine sta arrivando”, annunciò Kurt quasi senza prendere fiato, come se gli stesse comunicando l’esito negativo di qualche controllo medico. Quasi il farlo più rapidamente, lo rendesse più indolore. “Vuole vedere l’appartamento e si fermerà per il weekend”, aggiunse, guardandolo attentamente.
Il corpo di Sebastian si era irrigidito ed era riuscito a tenere gli occhi aperti abbastanza a lungo da inarcare le sopracciglia: “Sto fremendo dalla gioia”, aveva commentato in tono sarcastico e Kurt gli aveva rifilato un’occhiata di rimprovero. Ma non poteva essere finita lì e Sebastian ne era più che sicuro.
Inarcò le sopracciglia con aria interrogativa e Kurt rilasciò un sospiro stoico, prima di aggiungere: “Stavo pensando che potrebbe passare la notte qui: naturalmente non ti disturberà, ma mi sembrava corretto parlartene”.
Un ghigno increspò le labbra di Sebastian e lo sguardo scintillò d’evidente soddisfazione, prima di schiarirsi la gola e sollevare il busto. La stanchezza e il sentore di nausea parvero totalmente dimentichi.
“Cito testualmente la regola 4 che mi hai costretto a firmare, quando hai deciso di trasferirti qua, dopo la regolare settimana di prova”, aveva assunto quel tono da avvocato, specificando anche la data e dando sfoggio di quella che sarebbe stata la sua futura professione.
« Non portare i tuoi amanti qua ».
Arrossì con aria indignata, Kurt: “La regola parlava esplicitamente della tua vita promiscua, io sono fidanzato”, sottolineò come se fosse necessario ricordarglielo. “E avevamo stabilito che ne avremmo riparlato qualora si fosse presentata l’occasione, come sta succedendo proprio in data odierna”.
“Credimi, l’idea di te e del tuo nano da giardino mi sconvolgerebbe più che vederti in un’orgia con estranei. Anzi, in quel caso sarei felice di farti gli onori di casa”. Sembrò realmente rifletterci visto il sorrisetto allusivo a fior di labbra.
“Sei disgustoso, ” lo interruppe Kurt con voce stridula, sollevando le mani, “quindi mi stai dicendo che se lo facessi entrare, non potremmo sperare in una benché minima dose d’educazione da parte tua?”.
Sorrise, Sebastian, con aria affabile: “Precisamente, ragion per cui, molto altruisticamente, vorrei evitare a tutti noi situazioni imbarazzanti”, aveva abbandonato il sorriso affabile e inclinato il viso di un lato. “Non lo voglio in casa mia”, dichiarò in tono perentorio e inequivocabile.
“Benissimo”, commentò Kurt in tono stridulo, “anche se immagino che qualsiasi neo-avvocato sosterebbe, nella sua arringa difensiva, che chi paga l’affitto dovrebbe almeno avere diritto d’audizione per questioni di vita domestica. Ma va benissimo”, ripeté con tono evidentemente polemico, alzandosi in piedi. “Vorrà dire che dopo il ristorante, dovrò prenotare anche una camera d'albergo”.
Non parve affatto rammaricato, Sebastian. “Credi che riuscirà a slacciarsi i pantaloni da solo o dovrai fargli vedere un tutorial su youtube?”, gli chiese con le sopracciglia inarcate, fingendosi interessato alla risposta.
Kurt gli lanciò un'altra occhiata risentita. “Preferisco il tuo post sbornia triste”.
“Mai avuto”, sorrise con aria provocatoria.
“Non che tu lo ricordi”, sibilò Kurt, con tono altrettanto serafico che lasciò Sebastian basito.
Oh, cazzo. Doveva chiedere a Clarington.
Ma c'era ancora qualcos'altro di cui occuparsi, prima che Kurt si cimentasse nella sua teatrale uscita di scena.
“Dove andrete a cena?”, cercò di assumere un tono il più possibile indifferente e casuale. “Sai, non vorrei rischiare di bloccarmi le funzioni vitali, incontrandovi per puro caso, si intende”.
Si volse soltanto per lanciargli un'altra occhiata indignata: “Non te lo dirò mai e adesso, se vuoi scusarmi, ho una pulizia del viso che non ho intenzione di rimandare ulteriormente, soprattutto immaginando tutte le rughe che mi farai venire prematuramente”.
“Come se qualcuno ti guardasse in faccia con quel culo in pantaloni stretti”, considerò con voce flautata, quasi gli stesse facendo un complimento nel tentativo di rabbonirlo.
Rise al sentirlo sbattere la porta, ma attese qualche istante, fino a quando non percepì l’acqua erogare dal rubinetto del bagno.
Scattò rapidamente in piedi (cercando di ignorare quel capogiro che gli oscurò la vista per qualche secondo) e prese il telefono di casa. Entrò nella propria camera e si chiuse la porta alle spalle, prima di premere il tasto per ripetere l’ultima chiamata effettuata.
A rispondere fu una voce maschile che, dal tono professionale, decantò il nome di un rinomato ristorante di Brooklyn.
Aggrottò le sopracciglia, Sebastian.
Brutto stronzetto, quello è il mio ristorante.
“Pronto?”.
“Buongiorno, sto chiamando per assicurarmi che il mio fidanzato abbia prenotato per stasera. Può ripetermi cortesemente l’ora?”, recitò senza alcuna esitazione nella voce. “Purtroppo è già uscito e non sono riuscito a contattarlo prima di prendere l’aereo. Dovrebbe esserci una prenotazione a nome Hummel”.
“Naturalmente, resti in linea”, lo sentì sfogliare le pagine di un quaderno, prima che riprendesse la cornetta: “Alle 19.30, signore2”.
“Molto bene, a stasera”.
A Mezza SegAnderson estrema, estreme Sebastardate: mai sottovalutare l’effetto sorpresa.

Resti per lo spettacolo?”, gli chiese il barista, avvitando nuovamente il tappo della bottiglia di tequila.
No, grazie: ho avuto la mia dose indesiderata di tette e di culi per oggi”, risposte distrattamente. Ma c'era un altro motivo per cui aveva premura di uscire: sulle labbra comparve un sorriso piuttosto soddisfatto. “Porto Kurt fuori a cena”, raccontò distrattamente.
Un fischio prolungato da parte del barista e l’accenno di un sorrisetto: seppur i due avessero cominciato a convivere da poco tempo (esclusa la settimana di prova), Sebastian non aveva mancato di farne un’esauriente descrizione, soffermandosi sugli episodi più eclatanti. Ciò avveniva soprattutto quando l'alcol lo rendeva più loquace o si divertiva a confrontare i fondoschiena dei potenziali amanti notturni con quelli del coinquilino.
Ti sono cadute le tonsille in gola?”, gli chiese l’altro, il sopracciglio inarcato con aria scettica di fronte a quel verso cameratesco.
Mi sorprendi: credevo che la tua tattica fosse separare il sesso dalla vita domestica”, osservò Hunter con aria incuriosita.
Infatti,” ribatté prontamente, le sopracciglia inarcate, “è soltanto una cena e, a differenza delle tue squinzia, dubito che si sfili la camicia prima del dessert o mi faccia piedino da sotto il tavolo”.
Finse di non aver sentito il riferimento ironico alla propria ragazza, ma incrociò le braccia al petto e lo scrutò nuovamente con aria sardonica. “Se non gli offri la cena per portartelo a letto”, finse di rifletterci sopra, per poi improvvisare un'espressione meravigliata.
Oh, questo ti piace!”, lo additò con aria eloquente, il sorriso che si allargava sul volto, facendone scintillare lo sguardo. “O almeno lo rispetti, non so cosa sia più straordinario da parte tua”.
Sai cosa lo sarebbe?”, sussurrò Sebastian con aria casuale, “se tu riuscissi a rimorchiare anche fuori da un obitorio”.
Un vago colorito rosato sfiorò le gote del barista, la cui mascella si tese. Ribatté a denti stretti: “Fa parte dello studio d’anatomia ed è successo solo una volta!”.
Il cipiglio scettico sembrò persino estendersi ulteriormente, ma scosse il capo: “Fossi in te punterei sull’omosessualità repressa, qualcuna potrebbe impietosirsi, ma se si eccitasse, ti consiglierei di starne alla larga”.
Un vago cenno di saluto e si era già voltato per uscire dal locale.
Ehi!”, aveva fissato il bancone con sguardo incredulo, prima di richiamarlo: “Non hai pagato!”.
Te l’ho detto”, allargò le braccia con aria d’ovvietà, voltandosi con un ghigno: “Devo pagare il ristorante”.
Strinse i pugni, Hunter Clarington.
Tanto lo so che ti piace!”, gli urlò dietro a mo' di minaccia.

~

Il locale era esattamente come Sebastian lo ricordava: un ambiente tranquillo, dalle luci soffuse che si sarebbero potute definire anche romantiche (e dovette storcere il naso). Ma non era state quelle caratteristiche a convincerlo a farlo diventare una delle sue preferenze.
Piuttosto era la vetrata all’angolo più appartato che offriva la vista del profilo scintillante di Manhattan. A quell’ora non sembrava esserci differenze tra il sobborgo che un tempo era rifugio d’immigrati e il cuore sfarzoso e scintillante della città, quasi le ombre potessero celare tutto. La notte sembrava ricondurre ad una quiete e ad un nuovo fascino che rendeva tutto migliore. O quasi.
Gettò uno sguardo di puro disprezzo al giovane con il suo ridicolo papillon: sembrava un piccolo barboncino scuro e neppure di quelli che ispiravano carezze e tenerezze.
“Buonasera, signore: ha prenotato?”, gli chiese il maître.
Sorrise con aria beffarda, Sebastian, facendo un cenno del capo: “Ho già trovato il mio tavolo, la ringrazio”.
Prima ancora che potesse rispondergli, aveva attraversato rapidamente la sala, le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni, mentre si avvicinava alla Mezza SegAnderson.
La sedia di Kurt era vuota, ma il suo cappotto era appoggiato allo schienale: gettò un’occhiata rapida verso il bagno, proprio mentre Blaine si accorgeva della sua presenza ed inarcava le sopracciglia, le labbra schiuse in un’espressione di pura sorpresa.
Sorrise con aria fintamente affabile, l’attimo dopo, e si alzò in piedi per porgergli la mano: “Sebastian, ” lo chiamò con tono gioviale, “che sorpresa vederti qui”.
Non particolarmente lieta. Non che vi fosse di che stupirsi, soprattutto considerando il loro precedente ed unico incontro.
“D’accordo, Mezza SegAnderson”, ne aveva ignorato la mano protesa e si era accomodato al posto di Kurt, guardandolo con aria schifata, “ti spiegherò come andranno le cose”.
Evidentemente avendone intuito le intenzioni tutt’altro che pacifiche, dopo un attimo di puro smarrimento, Blaine tornò a sedersi, le sopracciglia aggrottate. “Lieto anche io di rivederti”, fu la sua ironica replica, prima di gesticolare in direzione del bagno.
“Se hai bisogno di parlare con Kurt-”.
“Devi lasciare Kurt”, dichiarò in tono lapidario.
Sorrise divertito di fronte all’espressione sbigottita che aveva ostentato, tanto palese da renderlo persino più ridicolo e il papillon e le sopracciglia triangolari erano già un buon punto di partenza.
Continuò ad osservarlo ed incrociò le braccia al petto: “Anche in fretta: prima che questa follia dilaghi. Ma sarò generoso. Ti lascerò scegliere il sottofondo musicale, anche se sarei più che felice di proporti un motivetto che mi sembra proprio la tua canzone, a meno che tu non abbia già esaurito tutto il repertorio di Katy Perry”.
Prima che Blaine potesse replicare, aveva sollevato la mano, estratto il cellulare per fargli ascoltare la canzone in questione. La voce femminile intonò:
« You change your mind
Like a girl changes clothes
Yeah you PMS
Like a bitch... 3».
Mise fine alla riproduzione, soddisfatto che quei versi si concludessero con un epiteto.
Gli sorrise affabile, indicando l’uscita. “Non andiamo oltre: sono certo che Central Park ti offrirà un bello scenario per dimenarti ed esprimere al meglio i tuoi sentimenti”.
Se la faccia di Blaine era apparsa dapprima sconvolta ed incredula, a poco a poco il viso aveva assunto un colorito rossastro, tendente al prugna. La sorpresa aveva lasciato spazio all’indignazione e al disgusto, fissandone il cellulare con espressione stizzita.
Sollevò le mani, le labbra serrate e la mascella tesa, ma sospirò con aria stoica. “Posso comprendere la tua preoccupazione e le naturali remore che tutti hanno dimostrato per la nostra età e i miei trascorsi con Kurt. So anche che il nostro primo incontro non mi ha affatto messo in buona luce e che vuoi proteggere Kurt, cosa che apprezzo molto-”.
“… arriverà la conclusione di questo monologo intriso di vittimismo, finta cortesia, accondiscendenza e narcisismo, perché sto facendo uno sforzo immane a sopportare la tua vista”, chiese Sebastian, dondolandosi sulle gambe posteriori della sedia, fissando il soffitto.
“So di aver fatto qualcosa d’imperdonabile”, incalzò Blaine.
Ridacchiò, Sebastian, lasciandosi nuovamente cadere in avanti, evidentemente essendo giunti ad una svolta interessante. “Evidentemente no: è questa la parte divertente e/o preoccupante”, allungò la mano al cestino del pane per prendere un grissino. “Ma forse sono io quello all’antica che crede che il sesso con un estraneo sia eccitante solo in assenza di legami ancora in corso”, gli sorrise con aria eloquente.
Serrò la mascella, Blaine, lo sguardo torvo e sembrò ringhiare le parole successive: “Io amo Kurt”.
“Stronzate”, fu la pronta replica, mentre si sporgeva in sua direzione, lo sguardo torvo. “Forse hai creduto di amarlo, ma di certo non l’ami adesso”, parlò in tono composto.
“Come puoi dire una cosa del genere?”, chiese Blaine che parve impallidito. “Che cosa credi di sapere di me o di Kurt?”.
Sorrise trionfante, Sebastian, quasi avesse atteso quella domanda esplicita.
“Tu ami il fatto che smarrisca la sua personalità, ad eccezione di qualche sporadico fuoco di paglia, ami il fatto che non sia mai capace di scegliere se stesso e sia pronto a sacrificare la sua vita per te, anziché rassicurarlo e spronarlo a realizzare i suoi sogni”, prese fiato, prima di continuare.
“Ami che si stupri la mente al pensiero che nessuno potrebbe amarlo quanto te, perché, quando gli hai preso la mano la prima volta che lo hai incontrato, il vostro destino è stato segnato”, recitò con voce enfaticamente trasognata, portandosi una mano al petto.
Era parso senza parole, Blaine. Si sarebbe aspettato che ribattesse con la stessa indignazione, che sbraitasse, rinunciando a quella falsa cordialità. Che difendesse la sua relazione con Kurt, cercando di smontare le sue argomentazioni, una alla volta.
Nulla di tutto questo.
Sospirò, invece, e lo osservò come se lo stesse vedendo per la prima volta, come se soltanto in quel momento riuscisse realmente a capire chi avesse di fronte.
Scosse il capo, quasi lui stesso stentasse a crederci: “Gli hai mai detto che ne sei innamorato?”.
Era stato il momento di Sebastian di serrare la mascella.
Per la prima volta, sembrò cedere alla collera che ne fece scintillare le iridi: “Stiamo parlando di Kurt”, ribatté con voce tagliente nel fissarlo minacciosamente.
Non certo intenzionato a lasciare che tra tutti, fosse proprio quell’abominio a cercare di psicanalizzarne le emozioni e lo stato d’animo.
Blaine scosse il capo: “E’ una scelta di Kurt, Sebastian. Anche se potrai non crederci, mi dispiace sinceramente che tu ne debba soffrire”.
Il fatto che sembrasse realmente sincero, non ne stemperò l'irritazione. Se non si fossero trovati in luogo pubblico, avrebbe voluto togliergli quell’espressione dal volto, colpendolo violentemente: non soltanto sembrava svicolare dalla propria esamina precisa ed accurata, ma persino cercando di girare le tavole perché fosse lui quello sottoposto a giudizio.
“Puoi infilarti su per il culo il tuo dispiacere, come hai fatto con il faro4 del tuo amico virtuale”, gli sorrise nuovamente con aria suadente, prima di scrollare le spalle. “Bene, ti ho dato l’occasione di ritirarti con una parvenza d’onore e rispettabilità, o quello che ne restava”, gli annunciò, appoggiando le mani sul tavolo per alzarsi.
Aveva incrociato le braccia al petto, Blaine: “Sto tremando di paura”.
“Sebastian”, gli giunse la voce sorpresa di Kurt. Elegantissimo nello smoking che aveva indossato per l’occasione, stava guardando dall’uno all’altro con aria evidentemente confusa. “Cosa ci fai qui? Non dirmi che mi hai seguito”, aveva sospirato con aria quasi stoica.
Non aveva distolto lo sguardo da Blaine, Sebastian, ma aveva scrollato le spalle, un vago sorriso: “Sono venuto a congratularmi di persona per il lieto evento, naturalmente”.
Si era infine alzato e aveva fatto cenno a Kurt perché tornasse a sedersi, spostandogli la sedia.
Lo aveva osservato a lungo, Kurt: probabilmente ben intuendo cosa si celasse dietro quella parola sottolineata in modo non casuale, ma si sedette con un confuso ringraziamento per il gesto cavalleresco.
Ancora dietro la sedia, si era chinato al suo orecchio, Sebastian, inspirandone il profumo, ma continuando ad osservare Blaine con aria di sfida: “Ma vorrei anche aggiungere che questi pantaloni ti fasciano perfettamente il fondoschiena”.
Sorrise nel sentire Kurt trasalire, le guance accalorate dall'imbarazzo e la cute che sembrava intirizzirsi al suo respiro.
Ne baciò la gota con un’innocenza che stonava incredibilmente con quanto aveva appena sussurrato, prima di ergersi nuovamente ad osservarne il fidanzato. “Blaine”, pronunciò il suo nome come un’ingiuria.
Un ultimo sguardo e si volse rapidamente per lasciare il locale.
Come aveva immaginato, la Mezza SegAnderson non avrebbe ceduto facilmente: ciò che era illuminante era constatare che era talmente pieno di sé da non poter neppure ipotizzare d’essere corrosivo alla vista e alla personalità del fidanzato. Purché avesse potuto continuare a vincolarlo a sé, nel suo narcisismo che celava (sotto strati e sottostrati di gel ammuffito al mirtillo) la consapevolezza di non valere niente.
Una cosa era certa, tanto più alla luce di quella domanda che gli era stata posta: avrebbe dovuto agire con ancora più cautela ma rapidità, se il suo trasferimento a New York era imminente.


~


Il locale era piacevolmente illuminato e non sembravano esservi molti avventori.
Non aveva mai amato i luoghi particolarmente affollati e probabilmente era per quel motivo che evitava le strade e i quartieri più rinomati della città.
Sorrise con aria di scherno di fronte all’espressione evidentemente sorpresa di Kurt che si stava guardando attorno, come se fosse entrato in una diversa dimensione spazio-temporale.
Tutto bene?”, gli chiese, le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni.
E’ davvero un bel posto”, commentò Kurt senza celare una reale sorpresa.
Il sorriso di Sebastian si ampliò: “Credevi che ti avrei portato in uno streap club?”, gli chiese con una nota di malizia nella voce.
Le sue guance si tinsero di un colorito acceso, ma scosse il capo, Kurt: “Non ho detto questo, ma se anche lo avessi pensato”, le mani sui fianchi e le sopracciglia inarcate, “mi biasimeresti tenendo conto del tuo curriculum?”.
Inarcò le sopracciglia, Sebastian: “Fingerò di non notare che la tua sorpresa implica anche una previa accettazione all’idea che ti portassi in un posto del genere”.
Arrossì di indignazione, Kurt, ma incrociò le braccia al petto: “Fingerò che tu non ricordi che ho già un ragazzo”.
Lo sfolgorio nello sguardo di Sebastian si fece persino più evidente: “Suona quasi come una proposta”.
Sollevò gli occhi al cielo, Kurt, indicando la sala con un cenno del mento: “Adesso possiamo andare a sederci, per favore?”. Evidentemente consapevole che fosse una sfida ardua già pareggiare con Sebastian, ed impossibile prevalere su di lui, sembrò preoccuparsi di poter cenare insieme come due persone normali.
Schioccò la lingua sul palato con aria compiaciuta, Sebastian, ma si avvicinò al maître e gli ricordò la prenotazione. Lo seguì poi, con camminata fluida, verso l’angolo più appartato del locale, di fronte ad una vetrata.
Spostò una delle sedie e osservò Kurt con aria eloquente: sembrò ancora più sorpreso ma, con un breve dondolio delle spalle e uno sguardo più compiaciuto, prese posto con un ringraziamento.
Lo imitò e si sedette davanti a lui.
Quasi istantaneamente un cameriere porse loro dei menù e versò dell’acqua ad entrambi, attendendo che fossero pronti per l’ordinazione.
Alla nostra convivenza: perché sia sempre… interessante”.
Propose il brindisi, sollevando il bicchiere e Kurt lo fece cozzare contro il proprio, ma lo osservò con aria quasi stoica.
Possibile che ogni tua frase abbia sempre qualche sottinteso lascivo?”.
Ridacchiò, Sebastian: “Oserei sostenere che proietti su di me le tue pulsioni inconsce verso il sottoscritto”, lo schernì con tono sicuro, quasi stesse pronunciando un’asserzione inconfutabile.
Illuminante, Freud”, sospirò Kurt, scuotendo leggermente il capo e aprendo finalmente il menù.
Fatta l’ordinazione, Sebastian seguì il cameriere con lo sguardo: fondoschiena davvero niente male, ma fu di nuovo a Kurt che volse completamente la sua attenzione.
Come hai conosciuto il tuo ragazzo?”, gli chiese a bruciapelo.
Parve sorpreso e spiazzato, Kurt: fino a quel momento non avevano mai alluso alla sua relazione, se non quando Sebastian voleva ironizzarvi sopra o fare commenti (non richiesti) sulle fotografie disseminate nella sua camera, per non parlare della celebre provocazione di non curarsi della sua esistenza, se lui avesse fatto altrettanto.
Prese tempo, Kurt, e dispiegò il tovagliolo per poi appoggiarselo con cura sulle ginocchia, prima di tornare ad incrociarne lo sguardo, per rispondere con sussiego.
Mi sono trasferito nella sua scuola privata per un breve periodo e lui è stata la prima persona che mi è letteralmente venuta incontro, sulla rampa delle scale”, ricordò con quel sorriso più emozionato.
Dovette compiere un notevole sforzo d’autocontrollo, Sebastian, per non roteare gli occhi, ma continuò a studiarlo, le sopracciglia inarcate: “E state insieme da allora?”.
Più o meno”, rispose prontamente, Kurt, che stava sentendosi più a suo agio a mano a mano che la conversazione prendeva forma, evidentemente compiaciuto di condividere quelle perle di romanticismo che avrebbero fatto impallidire persino Nicholas Sparks. “Beh, all’inizio gli piaceva un altro a dire il vero ed era il mio migliore amico, e lo è tuttora”.
Ed è stato la tua prima volta”.
Non era sembrata una domanda, perché Sebastian avrebbe saputo indovinarne la risposta, anche soltanto basandosi su quanto aveva osservato da che si erano conosciuti.
Arrossì, Kurt, restava da capire se fosse per mero pudore o per il fatto che avesse intuito senza particolare sforzo.
Non è una domanda molto discreta: ancora non ti conosco abbastanza”, tergiversò, sorseggiando del vino per evitarne lo sguardo.
Tipico di Kurt. Avrebbe potuto tediarlo per ore raccontando aneddoti personali sul primo incontro, sul primo appuntamento e sul primo bacio, ma senza mai valicare quel confine più intimo.
Scrollò le spalle, Sebastian: “Lo prendo come un sì. E scommetto anche che sei sinceramente convinto che starete insieme anche a distanza, o almeno fino a quando non verrà a vivere qui e inizierete la luna di miele”.
Non risposte, Kurt, ma lo guardò di traverso. Non sembrava offeso e neppure indisposto dalla sua curiosità, piuttosto c’era un alone di curiosità nel modo in cui lo stava studiando, probabilmente lui stesso ponendosi delle domande.
Sei mai stato innamorato?”, gli chiese infatti.
Rise, Sebastian, un vago scuotimento del capo piuttosto eloquente: “Ho superato la favola del vero amore”.
Lo sguardo di Kurt parve persino più concentrato: “Quindi sei stato ferito e questo ti ha reso diffidente, preferisci vuote relazioni di piacere, senza alcun coinvolgimento emotivo”.
Gli concesse un sorriso, Sebastian, che parve imperturbabile a quella sua esamina neppure così lontana dalla realtà. Dopotutto, doveva ammettere tra sé e sé, l’essere umano sembrava crogiolarsi nel vivere dei cliché. E lui non era un’eccezione, ma almeno ne era consapevole.
Adesso chi è che psicanalizza l’altro?”, chiese con aria provocante, malgrado si sentisse compiaciuto di essere oggetto della sua totale attenzione.
Ti piace sapere tutto di chi hai attorno, ma non altrettanto sbottonarti”, gli fece notare Kurt con aria divertita.
Un guizzo furbesco nello sguardo e Sebastian si scostò dallo schienale per osservarlo dritto negli occhi, sporgendosi in sua direzione: “E a te piace… farti sbottonare?”, chiese con un’evidente incrinatura maliziosa.
Sbuffò, Kurt. Se era ormai quasi del tutto avvezzo al suo umorismo ed impertinenza, sembrava sinceramente poco lieto che quel dialogo fosse interrotto per la poca partecipazione dell’altro. O per il modo in cui travisasse appositamente ogni sua parola.
Lasciò che il cameriere depositasse gli antipasti di fronte a loro e lo ringraziò.
Per qualche istante si udirono soltanto le posate cozzare contro i piatti.
Sebastian allungò il braccio a versare ad entrambi del vino. “Com’è lui?”.
Inarcò le sopracciglia, Kurt.
Non ironizzerò più”, aprì le braccia Sebastian con un sorriso innocente, “almeno non ad alta voce”, aggiunse tra sé e sé.
Blaine è… fantastico”, fu la risposta quasi sospirata da Kurt. “E’ pieno di talento (non dirlo neppure, sai cosa intendo!), è un ottimo ballerino, ha una voce dal timbro indimenticabile, gli occhi sembrano leggerti dentro e non smetteresti mai di cercare di coglierne tutte le sfumature e… che c’è?”, interruppe la descrizione e lo fissò di sbieco per il sorrisetto che serpeggiò sulle labbra dell’interlocutore.
Niente, ho promesso che non avrei commentato ad alta voce, no?”. Scrollò le spalle, Sebastian, facendogli cenno perché continuasse.
Sebastian”, lo incalzò.
Sorrise. A dispetto del modo idilliaco con cui soleva descrivere il ragazzo e la loro relazione, sembrava comunque particolarmente sensibile al suo giudizio.
D’accordo”, si sforzò di celare il suo autocompiacimento, “si può rispondere in molti modi a questa domanda”, esordì e le posate di Kurt rimasero ferme, perché completamente assorbito dalle sue parole. “C’è chi enfatizza sulle dinamiche di coppia, chi sul modo in cui la propria vita sia cambiata, o su come era vivere senza di lui o come non riuscirebbero più a farlo.
Tu ti limiti a descriverlo come una meraviglia terrena, quasi tu stessi cercando… l’approvazione per i tuoi sentimenti nei suoi confronti. Quasi ognuno non potesse fare a meno di credere che sia impossibile non innamorarsene”.
Sembrò realmente colpito da quelle parole. Sbatté le palpebre, ma si irrigidì, il viso inclinato di un lato: “Lo amo”, dichiarò come se ciò spiegasse tutto.
Tu lo veneri”, replicò Sebastian, le sopracciglia inarcate. “E ciò che è ancora più grave è che chiunque capirebbe che non ti senti alla sua altezza. Magari ancora ti domandi come mai qualcuno di così fantastico abbia scelto proprio te. Eri già rassegnato ad esserne l’amico fedele ma rifiutato: non avrai creduto possibile che lui ricambiasse i tuoi sentimenti e da allora vivi un idillio in gran parte creato da te, ancora prima che ti degnasse di sguardo”.
A mano a mano che sciorinava con voce flautata e composta il suo breve discorso, le emozioni che guizzarono nello sguardo di Kurt furono le più disparate: dalla mera sorpresa e l’imbarazzo, fino alla vergogna e allo sgomento.
Non è affatto vero”, replicò e la sua voce parve tremare, malgrado si sforzasse di apparire altrettanto tranquillo e composto. “Non ci amiamo e tu non puoi giudicare: non mi conosci e non sai nulla di noi”, si era inevitabilmente messo sulla difensiva.
Forse”, gli concesse Sebastian, seppur la sua reazione apparisse fin troppo eloquente, ma inclinò il viso di un lato.
Quasi in segno di tacite scuse ne cinse la mano che aveva appoggiato sul tavolo e si sorprese per quanto fosse fredda. Quasi ne avesse spento le emozioni con quel suo parlare spesso intriso di cinismo.
Ma onestamente, ti sei mai chiesto se lui era degno di te?”.
Non ritrasse la mano, Kurt, ma parve sorpreso da quella domanda. Sbatté le palpebre, ma scosse il capo, quasi a dimostrazione che, in quell'ambito, vivevano in due dimensioni opposte.
Non si tratta d’orgoglio ma d’amore”, replicò in tono più delicato.
Scosse il capo, Sebastian: “L’amore per un altro essere umano non dovrebbe soffocare l’amore per se stessi”, ribatté con aria d'ovvietà.
Io ho rispetto di me stesso!”, fu la strozzata replica, la voce più alta che attirò lo sguardo di qualche avventore vicino.
Non si scompose, Sebastian, ma inarcò le sopracciglia con aria scettica.
Così tanta da venire a New York per vivere con la tua amichetta di liceo e tuo fratello. Non soltanto lasciandoti sfrattare dal vostro progetto in comune (senza contare che tu non sembri capace di poter pensare esclusivamente a te stesso), ma anche se dichiari di cercare la tua indipendenza, sarai comunque pronto a gettare via tutto per la tua luna di miele con Blaine”.
Parve colpito da quelle parole, soprattutto da quell'esamina tanto accurata e persino pertinente per una persona conosciuta in tempi così recenti.
Scosse il capo, ma non sembrava né offeso né indignato. Piuttosto rassegnato dal fatto che non potessero giungere ad un compromesso tra due visioni della vita e dell'amore totalmente diverse e radicate in due modi di vivere altrettanto differenti.
Ritieni davvero che schifare le relazioni attorno e illudersi di stare bene, senza lasciarsi coinvolgere emotivamente, sia uno stile di vita migliore?”.
Se anche avesse voluto lasciarsi passare per una sorta di cinico che, in virtù del proprio disinteresse, amasse guardare gli altri e schematizzarne comportamenti e attitudini, Kurt sembrava voler credere che in lui vi fosse qualcosa di più.
Io scelgo me al primo posto”, fu la pronta replica che sembrava confermare il precedente ragionamento.
Scosse il capo, Kurt e parve persino dispiaciuto. “E fin quando non sarai disposto a mettere questo in discussione, non potrai avvicinarti davvero a qualcuno”.
Sorrise, Sebastian, un cenno d’assenso: “Esattamente”. Lo osservò ancora, la stessa aria quasi divertita: “Siamo agli antipodi”.
Suo malgrado anche Kurt parve rilassarsi e la tensione parve smorzata, ma continuò ad osservarlo con un alone di curiosità e… preoccupazione?
Fino a quando non t’innamorerai di nuovo”, commentò e pareva realmente sperare che ciò sarebbe accaduto a scuoterlo dal suo modus vivendi.
Inarcò le sopracciglia, Sebastian, l’aria scettica: “O tu deciderai di passare al lato oscuro”.
Non succederà”, asserì Kurt con uno scuotimento del capo.
Potrei dire lo stesso della tua proiezione idilliaca sul futuro del sottoscritto”, replicò con uno scrollo di spalle.
Lo vedremo”, fu il momento di Kurt di assumere un’espressione supponente.
Sebastian non avrebbe saputo spiegarsi da cosa nascesse quella sicurezza: se si trattasse soltanto di un augurio o se avesse intuito qualcosa che persino a lui era sfuggito.
Sì, lo vedremo”, asserì Sebastian con poca convinzione.

Pensandoci anche in quel momento, scosse il capo e maledisse le sue profezie sull’amore e il modo in cui soltanto quello sguardo riuscisse a farlo sentire spoglio di difese e della sua sicurezza.

~


Stava rimirando il proprio bicchiere con espressione meditabonda, quando Kurt rientrò molto prima di quanto si sarebbe immaginato. Levò lo sguardo giusto in tempo per vederlo appoggiare le chiavi sul mobile vicino alla porta d’ingresso e togliersi cappotto e sciarpa.
Aveva gli occhi arrossati, come ogni volta che aveva pianto o era in procinto di farlo.
Non pronunciò parola, Sebastian, ma lo guardò avvicinarsi al frigo e prenderne la cheesecake rimasta dall’ultimo spuntino.
Il fatto che non lo sgridasse per non aver comprato il latte o che ignorasse i piatti sporchi nel lavello (sì, quel giorno sarebbe toccato a lui lavarli, ma preferiva lasciarli accumulare fino a quando l’esasperazione di Kurt e la sua mania di pulizia, lo inducessero a lavarli con quelli del giorno successivo) doveva essere il segnale che qualcosa non andava.
Kurt si portò una piccola porzione di dolce alle labbra e Sebastian cercò di reprimere il pensiero pornografico su come talvolta si succhiava il dito con fare maledettamente provocante. E il fatto che il tutto fosse involontario, rendeva il gesto persino più sensuale.
“Guai in paradiso?”, si sentì chiedere, quando il silenzio divenne insopportabile. Dopotutto, se Kurt avesse voluto evitarlo completamente, avrebbe potuto portarsi il piatto in camera propria.
“Non abbiamo litigato”, gli rispose, ma la voce era rauca, nonostante si sforzasse di apparire tranquillo e di sostenerne lo sguardo.
Avrebbe voluto percepire la stessa soddisfazione di quando riusciva a sabotare un appuntamento del barista, ma non poteva sentirsi compiaciuto di se stesso nello scorgere quel turbamento, al pensiero che la propria apparizione avesse messo in luce i tentativi manipolatori della Mezza SegAnderson.
Sospirò: forse era troppo sobrio, ecco il problema.
“Allora perché non sei affatto sull’orlo di una crisi di pianto?”.
Lasciò cadere il cucchiaio sul piatto in un tintinnio e scosse il capo: “Blaine si è letteralmente innamorato del loft”, esordì.
“… e questo ti darebbe la conferma che non sia adatto?”.
“Lui… vorrebbe che cominciassimo a viverci fin da subito”.
Sgranò gli occhi, Sebastian, e sembrò che gli mancasse il respiro. Troppo impegnato nel cercare di stare al passo con i preparativi e anticipare o coordinarsi alle azioni di Kurt, non aveva minimamente considerato quella possibilità. L’idea che il sospetto di Blaine lo avesse persino indotto ad affrettare le cose, lo fece deglutire a fatica.
Non riuscì a formulare una risposta sferzante e il suo viso tradì una reale preoccupazione.
Si accigliò nel tentativo di ragionare lucidamente. Il bastardo voleva impedirgli di esercitare la sua influenza su Kurt, era ovvio. Quanto prima avessero cominciato a comportarsi come una coppia di sposini, tanto più semplice sarebbe stato controllare Kurt e separarli.
Ma se Kurt era pronto a sposarlo, dopotutto, perché sembrava così turbato all'idea?
Inarcò le sopracciglia, scrutandolo. Ancora una volta sovvennero le parole di Clarington circa la sbagliata prospettiva con cui guardava il suo piano.
“Spero che tu non gli abbia detto che preferisci vivere con me. In realtà, sì, lo spero”, aggiunse con un pallido alone della consueta ironia e il sorriso sulle labbra che, tuttavia, non si estese alle iridi.
Scosse il capo, Kurt, l’aria stanca.
“E’ così irragionevole?”, sembrò chiedergli una conferma. “Lui avrà un letto dove dormire nei prossimi mesi, contribuirò alle spese, all’arredo ma… in fondo perché affrettare le cose? Avremo tutta una vita per stare insieme”, sembrò annaspare nel tentativo di rendere a Sebastian tutto comprensibile. E persino riuscire a carpirne un'approvazione.
Sebastian ignorò quelle parole, come se fossero superflue. “Io ti mancherei troppo e vuoi restare con me finché puoi”, cercò di smorzare la tensione, simulando l’espressione più mordace e narcisistica, seppur sentisse già un nodo in gola al pensiero che la situazione potesse tutto sfuggirgli di mano. Da un momento all’altro, mentre ne discutevano in cucina.
Sorrise, Kurt, ma lo guardò intensamente. “Mi mancherà la mia vita qui, ” disse semplicemente, “le nostre discussioni, tu che non fai quello che ti chiedo o ciò che abbiamo stipulato. Tu che torni a casa ubriaco e vaneggi. Tu che mi accogli, quando sono io a rientrare e ti comporti come se ancora dovessi convincermi che mi sarebbe impossibile andarmene, dopo la settimana di prova”.
Sorrise, Sebastian, il viso inclinato di un lato, nel sentirlo tratteggiare con quella voce più dolce quegli aspetti della loro vita comune. Sorprendendosi di come tutto sembrasse più intenso e reale, quando era lui a cercare di spiegarlo, quasi riuscisse a dare un tocco del tutto personale, all'essenza di vaniglia e illuminato dalle sfumature del suo sguardo.
Sospirò, infine, ma sembrò riuscire a soppesare tutto ciò che aveva detto: seppur fosse piacevole comprendere quanto la propria presenza fosse importante nella sua quotidianità, era certo che ci fosse anche qualcosa di più personale ad averlo ferito.
“Quindi, dopo il tuo rifiuto, ha messo in dubbio la tua volontà di sposarlo?”.
Il lampo di dolore nello sguardo di Kurt fu così evidente ed improvviso che Sebastian digrignò i denti e desiderò poter occuparsi personalmente di Blaine, questa volta senza neppure aprir bocca. Serrò le labbra, ma cercò di restare calmo e mantenersi lucido.
Sarebbe stato perfetto: avrebbe soltanto dovuto fare pressione perché Kurt riflettesse e si concentrasse su se stesso, perché potesse almeno concedersi il beneficio del dubbio e potesse scorgere in quella reazione un segno evidente della sua inconscia insicurezza. E del modo in cui il loro loft fosse divenuto un surrogato di casa che non riuscisse a lasciarsi facilmente alle spalle.
Sospirò, ma allungò il braccio per prendere la mano dell’altro: “Lui non ti lascerà andare così facilmente, o sarebbe persino più coglione di quanto credo e ti assicuro che non sono generoso nei suoi confronti”. Ironico che quelle parole che per Kurt potevano costituire un conforto, fossero per Sebastian una vera e propria minaccia.
Lo guardò intensamente: “Dipende tutto da te e da quello che senti”.
Lo osservò, Kurt, se aveva sbuffato a quella definizione poco lusinghiera del fidanzato, non allontanò la mano di Sebastian. La cinse con quella libera e la trattenne. Quasi avesse reale bisogno di sentirsi ancorato a lui, a quell'unica certezza in quei cambiamenti repentini nella sua vita.
Abbassò lo sguardo e disegnò con il dito sul dorso della mano di Sebastian, un vezzo così semplice che sembrava indispensabile per riflettere in quel momento. Cercò di nuovo i suoi occhi e qualcosa nel petto dell'altro si contrasse nuovamente.
“Promettimi che anche tu non lo farai”, di fronte al suo sguardo confuso, Kurt aggiunse: “Promettimi che non mi lascerai andare, prima delle nozze”.
Quella morsa sembrò persino più intensa: avrebbe voluto sporgersi ed annullare semplicemente quella distanza per sentirlo realmente vicino, per interrogarsi su come potesse pretendere di fermare il tempo in quell’istante e volgere tutto a proprio favore.
Un solo semplice istante che avrebbe potuto ridefinire tutto.
Un semplice istante per provare a capire cosa significasse davvero pretendere che Kurt fosse completamente e totalmente suo.
Serrò le labbra. “Se ti aspetti una dichiarazione d’amore-”.
“Sebastian”, sembrò richiamarlo a sé con voce più intensa. Quasi volesse scavare oltre le spesse mura che ne proteggevano l’orgoglio e il riserbo, quasi il suo solo sguardo e il suono della sua voce fossero la chiave d’accesso a quella parte di sé che lui stesso stentava a conoscere.
Sebastian si odiò per come fu naturale trattenerne la mano, lo guardò negli occhi e fu altrettanto spontaneo schiudere le labbra e dargli ciò di cui disperava. La sicurezza e la promessa di essere per lui quella certezza a cui aggrapparsi in ogni istante. Senza timore di affrontare l’ignoto o il rischio di un cuore spezzato.
“Non lo farò, Kurt”, sussurrò intensamente.
Non fu così difficile. Bastava ignorare che Kurt non sospettasse che lui potesse alludere ad un periodo ben più lungo.
Sembrò ritrovare la serenità, Kurt, perché sorrise più apertamente ed annuì.
“Ti ringrazio”, sussurrò e Sebastian annuì appena.
Lasciò che si scostasse, pur desiderando che la traccia di calore delle dita sul dorso, non dovesse scomparire altrettanto rapidamente.
“Ho bisogno di dormire: è stata una giornata lunga”, sussurrò, Kurt, e si rimise in piedi per deporre il piattino nel lavello, un sospiro di disapprovazione alla vista della pila di piatti sporchi, ma non commentò.
“Buonanotte”, si era chinato impercettibilmente a posare le labbra sulla sua gota e Sebastian si sentì invadere da quella dolce e stucchevole fragranza. Un solo istante in cui socchiuse gli occhi e desiderò cingerne la vita e trattenerlo, spostare appena il volto e coglierne le labbra.
“Buonanotte”, si sentì dire e lo osservò dirigersi verso la propria camera.
Sapeva che non si sarebbe addormentato subito, ma probabilmente avrebbe speso gran parte del suo tempo a riflettere su tutto ciò che era accaduto.
Sapeva che promettendogli di restargli al fianco, lo stava lasciando andare ogni istante di più.
Infilò la giacca di pelle e uscì, quando ormai il respiro di Kurt si era fatto pesante e una flebile carezza sulla gota era stato il suo ultimo saluto per quella notte.


To be continued…


Buon Venerdì e buon Agosto a tutti :)
Spero che le vostre vacanze stiano procedendo meravigliosamente (non state troppo nei pub se non c'è un Hunter a controllarvi :P), che vi siate divertiti o che siate in procinto di una meritatissima trasferta in qualche bella località.

Voglio ringraziare di tutto cuore tutti voi che mi dedicate parte del vostro tempo leggendo, soprattutto coloro che si soffermano anche a lasciarmi una recensione, intrisa d’entusiasmo, di nefasti presagi e d’aspettative per momenti Kurtbastian più idilliaci. Spero sempre nelle risposte di farvi capire quanto mi delizi questo scambio d’opinioni e quanto non dia mai per scontato ricevere qualche feedback. Quindi, ancora, di tutto cuore, grazie infinite <3


Ma come vorrebbe Sebastian, non dilunghiamoci troppo nella parte emotiva, e vediamo qualche spoiler del prossimo capitolo:

Ti dispiace? Io e Kurt staremmo discutendo di questioni private”. “In casa mia”. “Chiarissimo, dovremmo comunque tornare al nostro loft”.
Non ti sembra di aver avuto una reazione da non Sebastian?” “Se spogli le donne con la stessa abilità con cui parli, mi domando quando ti deciderai a fare coming out”.
Non ho intenzione di spogliarmi in pubblico”. “Su una spiaggia” (…) “Non abbiamo questa confidenza” “Quindi puoi stare in spiaggia con perfetti estranei in costume e non con me? Sì, ha molto senso”.

Trascorrete uno splendido Ferragosto, vi aspetterò Sabato 16 per l'aggiornamento.
Un abbraccione e buon weekend ;)

Kiki87


1 Ebbene sì, sono tornate le colonne sonore che tanto apprezzate :D Per ascoltare la canzone e leggerne il testo originale:  As you go
2 Dalle mie frequenti visioni di “Cucine da Incubo” non ho potuto fare a meno di notare che spesso i ristoranti americani aprono intorno alle 18, 18.30 (se non prima!), riflettendo il loro modus vivendi e la frenesia della loro tipica giornata, anche i pasti hanno una loro tradizione. Quindi se alle 21 mi pareva troppo “italiano” (forse per chi legge, sono convinta che mia madre sia angloamericana nel DNA), ho preferito una soluzione intermedia ;)
3 Si tratta dei versi di “Hot and cold”, canzone di Katy Perry nel cui esilarante video lei interpreta una ragazza che viene abbandonata sull’altare. Considerando la passione di Blaine per l’artista, sembrava un segno del destino. Qui potete vedere la traduzione del brano da cui ha tratto questi versi:  traduzione
4 Ricorderete sicuramente che Eli C aveva un faro come immagine di profilo :') Non chiedetemi come Sebastian lo sappia, è pur sempre Sebastian e neppure io posso controllarlo del tutto.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


capitolo 4
Dottoressa Marcia Fieldstone: "Sam, mi dica in cosa sua moglie era così speciale".
Sam Baldwin: "Quanto dura il suo programma? Lo era. Lo era in milioni di piccole cose
che messe tutte insieme significavano che eravamo fatti l'uno per l'altra.
 Tutto qui. E io lo capii. Lo capii la prima volta in cui la toccai.
Toccarla era come entrare in casa, ma in una casa che non avevo mai conosciuto.
 Le presi la mano per aiutarla ad uscire dalla macchina e lo capii. E' stata come-".
Annie Reed: "Una magia"
Sam Baldwin: "... una magia".


"Il destino è una cosa che ci siamo inventati per non affrontare il fatto che
 tutto succede in modo assolutamente casuale".
(Nora Ephron).
(Dal film "Insonnia D'amore".)


Luglio
(meno otto mesi al matrimonio).




Capitolo 4
A Stella,
alle nanne impossibili,
ai suoi “Plotto” e al più recente
Biaccaneve: stlega, paula!”,
buon compleanno, cucciola.





La casa era silenziosa a quell'ora: tutto sembrava fluire via nell'oscurità, nascondendo ogni traccia di consapevolezza, ogni ritorsione e dubbio, ogni rimorso e dissidio. O così sarebbe stato se l'oblio del sonno lo avesse finalmente accolto, se tutto fosse stato facilmente alienabile da sé.
Schiuse gli occhi per l'ennesima volta ed osservò il soffitto, quasi sperando di trovare una risposta a tutti quei pensieri che sembravano formicolare e farne scoppiare le tempie.
Meditò anche di darsi un pugno, ogni volta che la sua voce interiore assunse un timbro simile a quella di un promesso (e sfigato) dottorino.
Scostò le coperte, quando si stancò persino di provarci e si mise lentamente in piedi, dopo aver acceso l'abat-jour.
Sente, aveva una gran sete.
Entrò in cucina, le sopracciglia contratte, e lasciò scorrere lo sguardo sulla casa addormentata: si concentrò sul respiro di Kurt che percepiva in sottofondo, grazie alla porta lasciata aperta.
Sembrò essere l'unica certezza di quella notte insonne, attraversò il salotto e si avvicinò alla camera. Osservò come i raggi di luna si posavano sui contorni della stanza. La scrivania di mogano che aveva scovato in qualche negozio d'antiquariato, i busti maschili e femminili intorno ai quali drappeggiava delle stoffe per le sue creazioni che tanto spesso lo inorridivano. E poi quel piano affisso alla parete e la sua minaccia silenziosa, un pugno nello stomaco ogni volta che vi posasse sopra lo sguardo e le righe sbarrate aumentavano con il passare dei giorni, rendendo tutto ancora più concreto e reale. Ancora più evidente l'avvicinarsi della fine di tutto ciò che gli era divenuto familiare e quotidiano.
E necessario.
Kurt, nonostante il rientro poco felice, dormiva beatamente ed era una visione così dolce e struggente che avrebbe desiderato che restasse impressa nella sua mente, prima di provare lui stesso ad abbandonarsi al sonno.
Sembrò indugiare: sulle labbra sempre fresche per l'idratazione della sua pelle e il burro cacao, era impresso un sorriso sognante, quasi stesse sfiorando l'universo di dolcezza e di amore, quale doveva essere il suo riflesso interiore. Le lunghe ciglia proiettavano un'ombra sul suo volto e la scia delle efelidi era celata dall'ombra.
Si avvicinò lentamente, si appoggiò al materasso che si abbassò sotto il suo peso. Restò ad osservarne la figura, un misto d’emozioni e persino la tentazione di irrompere bruscamente nel suo riposo per aprire una nuova discussione con lui. Scrutarne gli occhi azzurri, fissi su di sé, osservarne le espressioni rilucere nei suoi lineamenti delicati che tanto spesso aveva reso oggetto di scherno.
“Sei un idiota”, si sentì dire nel silenzio della stanza.
Non si mosse, Kurt, il suo respiro regolare ne faceva sollevare e abbassare ritmicamente il petto.
Non era sembrato neppure premeditarlo: la mano si era spostata al suo volto e ne aveva appena tratteggiato la gota, scivolando lungo lo zigomo e disegnando e tastando la delicata morbidezza, giungendo alle labbra. Si sorprese di quanto familiare sembrasse quel contatto, quasi le dita avessero serbato una traccia che non avrebbe potuto imprimersi su un altro volto.
Si sollevò bruscamente e Kurt si mosse, volgendo il capo in sua direzione.
Trattenne il respiro, Sebastian: il corpo del ragazzo si era teso come se fosse stato consapevole di una presenza nella sua stessa stanza. Quasi come se, persino nel mondo dei sogni, Kurt cercasse sempre quel qualcosa di più in lui.
“Sei un idiota”, ripeté tra sé e sé. Ma non stava più parlando del giovane addormentato.


Quando schiuse gli occhi, molte ore dopo, desiderò non essere neppure in grado di alzarsi dal letto. Un tipico mal di testa post sbornia ma senza sbronza: probabilmente l'alcol aveva ormai così invaso il suo organismo da produrre effetto anche senza una sua assunzione recente. Avrebbe potuto suggerirlo allo SfigHunter come possibile argomento di tesi di laurea, se mai fosse riuscito ad ultimare tutti gli esami.
La doccia attenuò quel sentore d’apatica insofferenza e ascoltò i suoni provenienti dalla cucina: sperava che Kurt fosse impegnato nella preparazione di una degna colazione (magari indossando i leggendari pantaloni rossi) ma quando, in accappatoio, lo scorse impegnato in qualche diabetica conversazione con la Mezza SegAnderson, le sue labbra si contrassero come se avesse appena ingoiato del cianuro.
Evidentemente sensibile all'ondata d’odio cancerogeno diretto ai suoi settanta chili d’inutilità (settantacinque contando il gel), il moretto sollevò lo sguardo e lo scorse. Si raddrizzò sul suo sgabello ed improvvisò un sorriso così falso che Sebastian desiderò schiacciargli la faccia contro il tavolo. Ripetutamente.
Corrugò le sopracciglia al ricordo dello stato pietoso in cui Kurt era rientrato: possibile che avessero risolto quella crisi mistica prima che avesse il tempo di vestirsi? E con tutte le ansie e le paranoie con cui Kurt alimentava il suo fabbisogno giornaliero di piagnistei, com'era possibile che tutto fosse tornato alla normalità? Il sonno, oltre al riposo, poteva aver fatto luce su ogni dubbio?
“Buongiorno Sebastian”, lo salutò Blaine, quando ormai anche Kurt si era accorto del suo arrivo e gli aveva rivolto un sorriso.
Cercò di ignorare quella stretta al petto, Sebastian. Ignorò bellamente il suo rivale e si avvicinò al fornello di fronte al quale Kurt stava finendo di preparare la colazione. Allungò speranzoso la mano verso la padella, ma il cuoco virò l'attacco con la stessa abilità con cui Han Solo sarebbe riuscito a sfuggire ad una tempesta d’asteroidi alla guida del suo amato Millenium Falcon.
Kurt depositò qualche frittella nel piatto di Blaine e il restante in quello vuoto.
Sebastian allungò la mano, ma Kurt spostò il piatto: “Vestiti”, gli intimò.
“Non sembrava molto importante ieri mattina, così come tutte le altre mattine che abbiamo trascorso insieme”, sussurrò in tono provocante al suo orecchio, ma guardando la Mezza SegAnderson, compiacendosi del suo volto corrucciato.
“Sebastian”, lo rimproverò Kurt, sollevando gli occhi al cielo.
“Preferisco quando lo urli”, replicò con una scrollata di spalle e si allontanò, dopo essersi premunito di rubare una frittella intatta dal piatto dell'ospite sgradito.
“Sebastian!”, la voce di Kurt si era sollevata di una mezza ottava in quel rimprovero.
“Mhm”, si fermò sulla soglia della propria camera, degustando con enfasi quell'anticipazione della sua colazione. Si lambì le labbra: “Proprio come piace a me”, commentò in tono così osceno che Kurt arrossì e Blaine sgranò gli occhi e non parve in grado di reagire.
Stava rientrando nella propria camera, quando Blaine parve riaversi. Ne sentì la voce mentre, con tono stoico, si rivolgeva al fidanzato: “Colazione in caffetteria, domani?”.
Sorrise tra sé e sé: adesso poteva anche pensare a vestirsi.


Se avesse osato sperare nell'estinzione della Mezza SegAnderson, nel tempo necessario ad indossare qualcosa, ne sarebbe stato amaramente deluso. Al contrario, seppur la sua preziosa presenza avrebbe dovuto limitare i momenti di diabetica dolcezza, i due sembravano nuovamente sostare in una loro bella (e disgustosa) bolla di sapone che li separava dal resto dell'umanità. Colse qualche frammento della conversazione: Kurt aveva indossato gli occhiali e stava prendendo qualche appunto nell'agenda che aveva comprato recentemente. L'ingellato pigmeo aveva già terminato la sua dose di pancakes, ma Sebastian sorrise compiaciuto nel vedere la pila intatta che lo attendeva.
“Central Park?”, chiese Kurt, quasi a volere una conferma.
Il fidanzato annuì. “Potremmo scambiarci le promesse di fronte al fiume e avere persino lo spazio per allestire un piccolo podio e-”.
Un verso strozzato di divertimento e si volsero entrambi verso Sebastian che sorrise affabile. “Sperando che Katy Perry riesca a far uscire un altro singolo vagamente orecchiabile nel frattempo”, parlò con voce flautata. “L'idea di vederti con un gonnellino da Tarzan sarebbe traumatizzante1”, fu la sua pronta risposta e sorrise soddisfatto d'aver interrotto il delirio della feccia, la cui espressione rese palese il suo fastidio.
“Ti dispiace?”, lo incalzò con tono evidentemente risentito. “Io e Kurt staremmo discutendo di questioni private”, sottolineò le ultime due parole, non curandosi più di nascondere lo scontento per la sua presenza.
“In casa mia”, fu la replica sferzante, pur mantenendo un sorriso amabile.
“Chiarissimo”, aveva sollevato le mani Blaine. “Dovremmo comunque tornare al nostro loft”, si era rivolto a Kurt.
Sollevò la testa di scatto, Sebastian, memore della discussione con il suo coinquilino: allora era ufficiale. Blaine aveva effettivamente deciso di stabilirsi nel loft che avevano visitato insieme, il che implicava che nei prossimi mesi sarebbe stato maledettamente vicino, tanto più se fosse riuscito a farsi ammettere alla Nyada, dandogli ulteriore possibilità di controllare Kurt.
Se non altro quest'ultimo si era dimostrato abbastanza risoluto sul non voler instaurare una convivenza pre-matrimoniale, dovette ricordarsi per alleviare quella fitta al petto di pura apprensione.
Cercò di ignorare lo sguardo evidentemente soddisfatto della mezza cartuccia per osservare Kurt che sembrava indugiare con lo sguardo sul foglio, ancora scribacchiando.
“Che cos'è questa storia di Central Park?”, chiese Sebastian, cercando di apparire incurante e comprendere quanto la situazione stesse degenerando.
“Io e Kurt stiamo scegliendo la location”, rispose prontamente Blaine con la stessa aria soddisfatta di un tacchino del Ringraziamento che camminava impettito, ovviamente prima di essere spennato, strangolato ed infilato nel forno. Un sorriso serafico sfiorò le labbra di Sebastian nell'immaginare un volatile con la faccia del suo rivale, ma parve illuminarsi.
Si schiarì la voce. “Eppure giurerei che Kurt mi avesse detto esplicitamente di aver sempre immaginato un matrimonio senza eccessi, perché siano il suo abito e l'anello ad essere i veri protagonisti”.
Seppe di aver colto nel segno ancora prima di scorgere il rossore sul volto di Kurt o il boccheggiare incredulo di Blaine: chiunque conoscesse abbastanza il giovane, infatti, avrebbe potuto comprendere che una simile asserzione potesse essere frutto dei suoi pensieri.
Si volse verso il fidanzato, Blaine, quasi cercandone un'implicita conferma, ma quest'ultimo stava ancora scrutando Sebastian, lo sguardo che sembrava velato, quasi stesso richiamando lo stesso ricordo. Quasi fosse in corso una discussione soltanto loro.
Si strinse nelle spalle, Sebastian, ma gli sorrise con aria complice: “Anche se Tom Hanks lo preferisco in Salvate il soldato Ryan, non significa che abbia dimenticato ciò che hai detto quella sera”.
“Cioè?”, s’intromise di nuovo Blaine, per poi scuotere il capo e volgersi a Kurt, l'aria evidentemente delusa. “Credevo che saresti andato pazzo per Central Park: è il cuore di New York”.
“E' vero”, gli concesse Kurt quasi con un sorriso di scuse, dopo che parve riprendersi dalla sua solitaria riflessione. “Ma ho scoperto che Brooklyn ha il suo stile e la sua personalità: più nascosti ma non meno caratteristici o speciali”, spiegò e Sebastian sorrise tra sé.
Ma non ne ricambiò il gesto, Kurt. Era parso illuminarsi per un’improvvisa ispirazione.
“Potremmo sposarci sulla spiaggia di Coney Island: sarebbe perfetto al tramonto e... Sebastian, dove stai andando?”.
Non gli diede tempo di richiamarlo nuovamente. Attraversò la stanza in rapide falcate e sbatté con violenza la porta alle sue spalle, non prima di aver borbottato un: “Come se facesse una cazzo di differenza”.


~


Stava riordinando le bibite sullo scaffale con aria così meditabonda che avrebbe potuto sospettare che vi fossero immagini di modelle nude riprodotte sulle etichette. O quasi ci avrebbe sperato per la sua sanità mentale.
Quando lo scorse, Hunter Clarington assunse un'espressione di stoica insofferenza. Con la fronte corrugata fissò l’orologio e sgranò gli occhi.
“Cazzo, Sebastian, non è neppure ora di pranzo”, lo accolse con aria incredula.
“Sta zitto e versa”, fu la replica secca, da copione, mentre prendeva posto al suo solito sgabello.
Scosse il capo, Hunter, e si strofinò una mano sul viso con aria rassegnata, prima di pronunciare le seguenti parole, quasi lui stesso dubitasse che fossero di reale utilità: “Teoricamente saremmo chiusi”.
“Teoricamente, ” replicò l’altro sollevando il primo bicchiere vuoto che trovò sul bancone, “non dovresti lasciare la porta aperta”.
“Che succede?”, domandò e lo guardò con il viso inclinato di un lato.
“L’invasione delle coppie gay di Katy Perry con un litro di gel ai mirtilli come guest star e il fantasma del mio coinquilino”, elencò con uno scuotimento del capo, la mascella serrata.
“Sei già sbronzo?”, gli domandò il barista con le sopracciglia inarcate. “Potrei quasi offendermi”.
“No, ma spero che adempierai il tuo dovere”.
Sembrò indeciso e lo scrutò a lungo, prima di scuotere le spalle: “Uno in più non cambierà di certo il tuo quadro clinico, salute”, si unì all’improvvisato brindisi.
Fecero cozzare i bicchieri e l’alcol rese più semplice rilasciare le parole, come sempre. O probabilmente era soltanto l’illusione di indossare un paravento che non lo faceva sentire troppo esposto e vulnerabile. Si ritrovò a raccontargli del risveglio (omettendo la parte dedicata alla sua visita notturna) e della conversazione in corso tra i due fidanzati, nonché il suo provvidenziale intervento che, ben lungi dal demolire la Mezza SegAnderson, era persino riuscito a risolvere uno dei piccoli intoppi di Kurt, anziché sabotarlo.
L’espressione del dottorino era indecifrabile (probabilmente faceva parte del tirocinio: imparare ad informare un paziente del suo cancro in metastasi ed inoperabile o comunicare cinque decessi ai familiari prima della pausa pranzo e senza perdere l’appetito), ma ascoltò tutto in silenzio e si prese altro tempo per ripulire il bancone, prima di commentare.
“Scusa se te lo dico, ” esordì e Sebastian già intuiva che non avrebbe affatto gradito le parole successive, “ma non ti pare ti avere avuto una reazione da non Sebastian?”.
Schioccò la lingua sul palato, Sebastian, e scosse il capo con aria quasi stoica. “Se spogli una donna con la stessa abilità con cui parli, mi domando quando ti deciderai a fare coming out”.
Non parve averlo udito (o aveva sviluppato un anticorpo specifico a simili allusioni), ma inclinò il viso di un lato e lo osservò con la stessa insopportabile pacatezza: “Intuisco che la sua scelta debba esserti sembrata una mancanza di rispetto e tu l’abbia presa sul personale, ma non mi aspettavo che compromettessi la tua posizione, rischiando di farglielo capire”.
Di fronte all’espressione circospetta e stizzita dell’altro, aggiunse rapidamente: “Non fraintendermi. Penso che sia un bene che inizi ad esternare emozioni umane, ma tanto valeva cercare di farlo fino in fondo e raggiungere il tuo scopo primario”.
“Non mi ha ferito”, dovette specificare Sebastian in una sorta di ringhio, ma scosse il capo. “E’ inutile parlarne in ogni caso, soprattutto quando il suo cervello è completamente blainizzato”.
“Perché è tanto importante quel posto, se è lecito chiederlo o se posso illudermi in una risposta che non sia un insulto?”.
Sospirò, Sebastian, lo sguardo perso nel vuoto.


Fu con un sorriso compiaciuto che entrò nella camera del coinquilino: le braccia incrociate al petto mentre lo scrutava. Kurt era chino sulla sua scrivania, intorno al busto che usava come modello era drappeggiata della stoffa di una bella tonalità di blu.
Era assorto nel suo disegno, teneva tra le dita una matita colorata con cui stava ripassando l’ennesimo modello di quello che sarebbe stato un abito da diversamente gay o checca elegante, come descriveva alcuni suoi outfit, soltanto per osservarne l’espressione risentita.
La temperatura della giornata stava inficiando la sua pettinatura e i ciuffi che solitamente erano sollevati, scivolavano sulla fronte, fino alla punta del naso. La brezza che penetrava dalla finestra schiusa li sfiorava e dava sollievo al volto pallido per le troppe ore trascorse al chiuso. Lo stereo stava riproducendo soavi note di pianoforte dalla playlist rilassante a cui faceva ricorso, quando aveva bisogno di concentrarsi e creare.
Se non hai nulla da dire, ti pregherei di andartene: stai corrompendo il feng shui2 della stanza e la mia ispirazione”.
Emise una risata divertita e si avvicinò con aria critica al busto inanimato per poi tastare la morbidezza della stoffa: “Qualcuno è fissato con l’azzurro, pensavo che il rosa shocking fosse il vostro colore, principessa”. Si prese del tempo per contemplare (non furtivamente una volta tanto) tutti cambiamenti che aveva apportato per rendere quella stanza il suo habitat ideale.
Sorrise dell’occhiataccia che gli aveva rivolto per risposta, ma ciò non lo fece desistere dall’avvicinarsi e sporgersi in direzione della scrivania.
Lesto, Kurt sollevò il foglio e lo ripose con cura nella cartella in cui raccoglieva tutte le proprie bozze e progetti: “Che cosa vuoi, Sebastian?”, chiese con un sospiro. “A parte infrangere le regole che prevedono che tu sia invitato o quanto meno bussi, prima di entrare”.
Regole di cui ho preso visione, secondo la firma, ma che non ho mai ratificato ufficialmente”, recitò come se avesse risposto ad una domanda del corso di diritto per matricole del primo anno.
Allora ogni tanto ti ricordi di essere iscritto alla Columbia”, lo punzecchiò l'altro.
Sorrise, Sebastian: “Ho un brillante futuro da avvocato”.
Con pessimo rispetto della privacy, a meno che non esista una clausola ancora ignota ai cittadini americani, secondo cui tale emendamento non si applica al tuo caso”, rimarcò in tono polemico.
Eserciterò il mio diritto di proprietario di questo appartamento: devi fare una pausa”, disse in tono perentorio. “Hai finito i corsi da una settimana e hai passato tutto il tempo chiuso qui dentro o in salotto a guardare repliche di fiction ad alto contenuto d’estrogeni”.
Il tuo interessamento sarebbe quasi commovente, se non fosse offensivo e potenzialmente omofobo. E poi te l’ho detto: devo lavorare a questi bozzetti, se voglio sperare che Isabelle mi dia un’occasione”, fece riferimento alla referente del suo tirocinio, nonché alle sue ambizioni che sembravano il perfetto cliché del grande sogno americano.
Scosse il capo, Sebastian. “Smettila di Kurteggiare: ti porto fuori”.
Lo vide sillabare l’utilizzo del proprio nome a mo’ di predicato verbale, ma scosse il capo: “Non sono il tuo cane”.
Somigli più ad un gattino a dire il vero, ma se scodinzoli in mia presenza-”.
Chi perderebbe mai l’occasione di farsi insultare gratuitamente per un’intera serata?”, domandò in tono ironico.
Non puoi considerarti cittadino di Brooklyn, fino a quando non visiti Coney Island”, illustrò ancora con un sorrisetto ad incresparne le labbra, il volto inclinato di un lato.
La spiaggia?”, chiese sgomento. “Ma non ho comprato costumi da bagno, non mi sono neppure rifornito di creme abbronzanti e quelle per la protezione solare e-”.
Sollevò gli occhi al cielo, Sebastian. “O ci vieni spontaneamente o ti trascinerò di persona e sai perfettamente che potrei farlo”.
Se per colpa tua mi scottassi-”, iniziò con aria minacciosa, quando fu evidente che non sarebbe riuscito a farlo desistere.
Ti farò personalmente impacchi di latte”, lo sussurrò al suo orecchio con voce così insolente che Kurt fu scosso da un brivido e deglutì a fatica.
Sghignazzò, Sebastian, con aria soddisfatta prima di voltarsi. “E sbrigati: i giochi migliori hanno sempre la fila con i mocciosi in vacanza”.
-

Stavano passeggiando sulla piattaforma di legno che si snodava per dare una bella panoramica del la spiaggia. Era stato soddisfacente osservare il giovane le cui guance erano colorate o il modo in cui serrava le palpebre al tocco del vento.
Si tolse la maglia e scorse il guizzo con cui lo sguardo dell’altro saettò su di lui, prima che lo distogliesse rapidamente. Di riflesso, il rossore si fece persino più intenso.
Mhm, qualcuno ha dei complessi da vergine o la mia magnificenza t’intimidisce?”, domandò con tono compiaciuto del suo disagio. “Non ti chiederò di spogliarti: in realtà non ho mai dovuto chiedere”, specificò in tono allusivo, ma lo osservò senza celare un reale apprezzamento.
Aggrottò le sopracciglia, Kurt, l’espressione indignata nell’incrociare le braccia al petto: “Non ho intenzione di spogliarmi in pubblico”, replicò in tono quasi indignato.
Su una spiaggia”, ribatté l’altro prontamente, il sorriso persino più esteso.
Non è questo il punto”, replicò rapidamente, come a voler svicolare da quell'argomento.
Peccato”, schioccò la lingua sul palato, inducendo l’altro a tornare ad osservarlo per poi distogliere rapidamente lo sguardo, quasi soltanto in quel momento si ricordasse che stava camminando a torso nudo.
Se pensi che arrossire ti renda meno accattivante, hai decisamente sbagliato compagnia”, si era chinato al suo orecchio per sussurrarlo.
Si scostò, Kurt, esalando un sospiro.
Non abbiamo questa confidenza”. Malgrado si fosse sforzato di apparire composto e pacato, non poté non notarne la voce incrinata per l'imbarazzo.
Quindi puoi stare in spiaggia con perfetti estranei in costume e non con me? Sì, ha molto senso. O hai paura che sia la mia visione prolungata a destarti altri pensieri?”.
Sbuffò e si fermò, Kurt, quasi stesse meditando. Si volse e lo contemplò volontariamente: lasciò vagare lo sguardo sulla sua figura, nonostante le guance arrossate. Non batté ciglio e neppure arrischiò commenti, nessuno scintillio nelle iridi e nessuna particolare reazione.
Si strinse nelle spalle, simulando perfetta compostezza: “Ti credevo più muscoloso”.
Un verso gutturale di divertimento sgorgò dalle labbra di Sebastian: “Magari saresti più fortunato al piano inferiore”.
Arrossì, un verso stridulo d’indignazione, prima di guardarlo con la stessa aria severa di una suora in un convento di clausura. Scosse il capo e si allontanò rapidamente, senza più guardarsi alle spalle e camminando con postura rigida ed evidentemente risentita.
Attese, Sebastian, concedendogli un equo vantaggio, prima di raggiungerlo e issarlo sulla propria spalla. Abbandonò lo zainetto sulla sabbia e corse verso l'acqua per poi gettarvisi dentro con Kurt, ridendo dei suoi strilli acuti e dei tentativi di liberarsi.
Attese che Kurt riemergesse con un ghigno. I capelli bagnati gli incorniciavano il viso, era completamente fradicio e sembrava persino più mingherlino e fragile, una visione innocente e pura, in perfetto contrasto con lo sguardo furente.
Hai ragione”, commentò Sebastian con finta aria pensierosa, “non abbiamo abbastanza confidenza per spogliarci”.
Gli scoccò un’occhiata di puro odio, prima che avanzasse in sua direzione. Sebastian ne scrutò la camicia bianca e bagnata che lasciava intravedere il torso nudo e si umettò le labbra al pensiero dei pantaloni dello stesso colore, ma non commentò nulla, già pregustando quel momento.
Avevi ragione tu: non occorreva di certo un costume”, sentì dire a Kurt, sorprendentemente con un timbro più rauco e lo sguardo fisso sulle sue labbra.
Seppur avesse un fondato sospetto sulle sue reali intenzioni, percepì un noto calore a contrasto con l’acqua fresca e si prestò volentieri a quella provocazione, sporgendosi al suo volto senza alcuna esitazione.
Gli si gettò addosso, Kurt, spingendogli la testa sott’acqua e Sebastian lo lasciò fare, divertito. Si divincolò con non troppa fatica, ma il coinquilino sembrò non voler prolungare la sua vendetta, quanto piuttosto allontanarsi da lui.
Sorrise, in risposta, Sebastian. “Sai che prima o poi dovrai uscire… bell’idea quella del completo bianco per respingere il sole”.
Sembrò riflettere sulla medesima questione, Kurt.
Un peccato che tu non abbia voluto portare un ricambio o un asciugamano”, infierì ulteriormente Sebastian.
Sei… un maniaco spregevole”.
Rise del suo tono stridulo, Sebastian, ma gli si avvicinò nuovamente e si sforzò di tornare serio: “Insonnia d’amore non è uno dei tuoi film preferiti?”, chiese in finto tono casuale. “Potrei essermi informato prima di proporti di uscire: sembra che lo proiettino tra mezzora”, fece riferimento al tradizionale festival di cinema all’aperto, una delle attrazioni estive dell'isola.
Una scintilla di desiderio nello sguardo di Kurt: aveva avuto ben ragione di sospettare che simili iniziative ne riscontravano l’approvazione.
Aveva gettato uno sguardo disperato alla spiaggia per poi osservare la propria mise inevitabilmente compromessa.
Lo sguardo di Sebastian seguì quell’esamina: la luce del tramonto disegnava il percorso delle gocce d’acqua che sembrarono ipnotizzarlo. La seta riluceva, lasciando scorgere il torso magro, ma ben disegnato, la sua pelle sembrava soffice e delicata. Si domandò quanto fosse morbida e calda al suo tocco. Le spalle rotonde e le braccia molto più toniche di quanto si sarebbe mai aspettato.
Arrossì, Kurt, alla sua contemplazione ed incrociò le braccia al petto in un atteggiamento così femmineo che Sebastian non poté che riderne.
Sei spregevole”, sibilò Kurt la cui voce era divenuta più rauca.
Capì di essersi spinto troppo oltre: lo scherzo andava oltre il confine instaurato tra loro di frecciatine complici, ma intaccava quella sfera più intima e quel candore che tanto facevano parte di Kurt. Uno degli aspetti che più lo avevano colpito.
Sentì qualcosa sussultare in petto nel percepirne l’evidente umiliazione e il pensiero di essergli fonte di un simile disagio.
Sollevò gli occhi al cielo, simulando un’espressione di stoica sopportazione: “Aspetta qui”.
Incurante degli sguardi degli astanti e di un gruppo di ragazzine che lo osservavano ridendo tra loro e lanciandogli occhiatine d’apprezzamento (cui si premunì di rivolgere il suo sorriso migliore, soltanto per sentirle schiamazzare più forte), uscì dall’acqua a petto nudo, i jeans fradici che sembravano aderirgli addosso come una seconda pelle. Estrasse dallo zaino un accappatoio che aveva sgraffignato dal bagno, con le iniziali di Kurt.
Potreste cortesemente voltarvi tutti?”, si rivolse ai pochi bagnanti che erano rimasti sulla spiaggia e non si erano già disseminati verso il proiettore o le giostre. “Il mio amico indossa vesti poco decorose”, alluse a Kurt con un cenno del capo.
Ignorò il rossore di quest’ultimo, le occhiate perplesse e/o divertite che la sua richiesta innescò ed attese che facessero quanto aveva chiesto.
Avanti, Kurt”.
Volse il viso di lato (garantendogli quella privacy di cui tanto avevano discusso) e, con la coda dell’occhio, lo vide correre in sua direzione.
Sorrise, Sebastian, e lo avvolse nell’accappatoio, sfregandone la spugna contro i suoi vestiti bagnati. Il profumo di vaniglia sembrava quasi soffocante, quasi l'acqua lo avesse reso persino più intenso, ma non gli dispiacque.
Stai tremando”, constatò con aria incredula.
Si strinse nelle spalle, Kurt, allacciandosi la cintura in vita: “Sto bene”.
C’è un negozio di abiti”, indicò la direzione degli esercizi commerciali che erano attrazione dei turisti, soprattutto alla ricerca di souvenir. “Ma dovrai sbrigarti: dobbiamo cenare prima di andare a vedere il film”, aggiunse con un sorrisetto accattivante.
Boccheggiò, Kurt: “Avevi detto che sarebbe iniziato tra-”.
Non concluse la frase: quando lo vide ghignare, lo colpì con un pugno chiuso sul petto e si diresse verso il negozio, senza voltarsi, attirando non pochi sguardi incuriositi. Sebastian aveva il sospetto che non fosse soltanto per l’asciugamano, a giudicare dal suo viso arrossato e dall’incedere rigido.
Si affrettò a raggiungerlo, dopo essersi asciugato il viso con la maglia che indossò nuovamente. “Non vorrai entrare in negozio così?”, lo canzonò con le braccia incrociate al petto. “Hai bisogno di me, lo sai, vero?”.
Strinse la mascella, Kurt, indicando la vetrina con un cenno del mento. “Quel completo andrà bene”.
Storse le labbra, Sebastian. “Sì, per il Carnevale di Rio: lascia fare a me”.
Disse dopo che lo aveva gettato in acqua a tradimento”. Lo stava fissando di sbieco, le braccia incrociate al petto.
Te ne ho tratto fuori”, replicò osservandolo e lambendosi le labbra. “E vestito decentemente mio malgrado”. Lo sguardo guizzò ai lembi aperti dell’accappatoio che Kurt strinse maggiormente, cercando di avvicinarli perché gli coprissero anche il collo.
Sbuffò. “Va’ dentro”, gli intimò con aria ancora offesa.
Sorrise, Sebastian, ma scosse il capo e si chinò al suo orecchio: “Per la cronaca, il bianco mette ancora più in risalto il tuo rossore”.
Si scostò, un sorriso compiaciuto nel vederne l’imbarazzo. Ne spiò il riflesso dalla vetrina: lo vide scrutarlo, ma lentamente il suo volto si trasfigurò in un reale sorriso.


Fischiò d’apprezzamento, quando uscì dalla cabina con gli abiti che gli aveva comprato: una camicia di un rosso tendente al bordeaux che ne metteva in risalto il viso pallido. I bottoni slacciati ne lasciavano intravedere la pelle chiara del petto. Un paio di jeans aderenti al punto giusto a disegnarne le lunghe gambe magre e il meraviglioso fondoschiena. Niente fronzoli particolari, nessuna spilla con improbabili animali o un foulard che ne legasse il collo. Soltanto i suoi lineamenti elfici e la sua silhouette slanciata in un completo semplice. Si compiacque di se stesso e del risultato.
Un Kurt Hummel senza particolari eccessi, ma la cui dolcezza dei lineamenti si combinava ad un vestiario più sobrio, ma che sembrava conferirgli un'aria più virile e, sì... affascinante. Il fascino di chi avrebbe potuto entrare al Penguin Pub con la pretesa di attirare l'attenzione e persino cercarsi una compagnia piacevole.
Sì, niente male”, si era stretto nelle spalle, Kurt, lisciando la camicia e probabilmente dovendo convincersi di poter sopravvivere senza i suoi preziosi accessori. E senza una cravatta.
Forse dopotutto dovrei essere io lo stilista”, sancì con aria compiaciuta. “Non c’è di che”, aggiunse con aria ironica.
Non ti ringrazierò per avermi umiliato, esserti sentito in colpa e aver rimediato in modo accettabile”, replicò l'altro distrattamente, indossando nuovamente l'orologio.
Aveva già pronta una sferzante replica, ma l’espressione di Kurt si addolcì: “Ma potrei farlo per avermi costretto ad uscire. Avevi ragione: mi stavo perdendo molto”, abbracciò la spiaggia con un sorriso rilassato, il vento che cercava di scompigliarne i capelli che doveva aver acconciato con l’asciugamano elettrico della cabina e l’acqua del rubinetto.
Andiamo”, si strinse nelle spalle, “sto morendo di fame". Si era scostato dalla balaustra con un sorriso.
Annuì, Kurt, ma lo scrutò di sottecchi: “Mi dovrai pagare la lavanderia”, precisò in tono polemico, ripiegando il completo umido che ripose nello zaino del coinquilino.
Scordatelo: avrei potuto farti uscire com’eri ridotto”, parve rifletterci ed emise un sospiro. “Sarebbe stata un’immagine perfetta per una nuova fantasia sotto la doccia”, aggiunse in tono evidentemente smanioso.
Arrossì, Kurt, ma lo fissò schifato. “Sei un pervertito”.
Un gentiluomo pervertito”, lo corresse con un sorriso. Ne cinse le spalle per condurlo in uno dei ristoranti dell'isola.
Sospirò con aria stoica, Kurt, ma non si scostò e Sebastian ne inspirò il profumo di vaniglia per tutto il tempo di quel breve tragitto.


-


Non riusciva a capire come una simile e melensa messa in scena potesse tanto emozionare Kurt, soprattutto considerando che doveva essere la milionesima volta che la vedeva, tanto da sapere esattamente a quale minuto della pellicola fosse opportuno estrarre i fazzoletti o saper recitare a memoria (col labiale) le battute più celebri.
Soprattutto non riusciva a credere che una trama così inverosimile non soltanto fosse piaciuta all'epoca, ma continuasse a rendere il film una sorta di cult. La celebrità della pellicola andava oltre la mera attrazione turistica, incoraggiando gli stranieri a salire sull'Empire State Building o gli stessi cittadini autoctoni a farvi un pellegrinaggio. Possibilmente con l'avvicinarsi di San Valentino.
Una giornalista prossima alle nozze con un tale anonimo e di dubbia utilità, s’invaghiva di un uomo senza neppure averlo mai incontrato, ma per averne ascoltato la stucchevole confessione radiofonica sul dolore della perdita della moglie (alla menzione del toccarla e sentirsi a casa, « una casa dove non ero mai stato », Kurt aveva emesso un singulto, e asciugato il naso già arrossato). Non contenta, la giovane decideva di diventare una sorta di stalker con tanto d’appostamenti alla casa dello sventurato vedovo e incontri ravvicinati con conseguente fuga, nel disperato tentativo di fingere che nulla fosse accaduto. La situazione era salvata (e quello era il colmo) dal figlio rompiscatole che aveva speso il suo tempo telefonando ad una sedicente dottoressa (e vendendogli il dolore familiare come in un talk show moderno), facendo supposizioni sulla vita sessuale del padre, fino ad elaborare teorie strampalate sulla reincarnazione.
Ma era alla scena finale che la commozione di Kurt (e l'assurdità del film) aveva raggiunto l'apice: un solo scambio di sguardi e i due sembravano aver compreso di essere destinati l'uno all'altro (il tutto dopo che la giornalista aveva ben pensato di lasciare il fidanzato, convinta che una decorazione puramente commerciale sull'Empire State Building fosse un segno del destino).
Scosse il capo, Sebastian: avrebbe avuto bisogno di una sbornia e possibilmente di una scopata da record per poter smaltire quell'eccesso di estrogeni.
Sei davvero uno squallido stereotipo, Lady Hummel: torniamocene a casa”.
Quest'ultimo si scostò dalla stretta del suo braccio, gli occhi ancora lucidi che, tuttavia, lo raggelarono sul posto. “Come puoi essere così insensibile?”, lo accusò aspramente.
Sorrise, Sebastian, scrollando le spalle ed insinuando le mani nelle tasche dei jeans: “Te l'ho già detto. Ho smesso di credere alle favole, ma almeno per definizione quelle devono essere illogiche e senza fondamento”. Lo aveva guardato con aria incredula.
Come si può davvero credere che una persona possa capire o avere una conferma soltanto da un tocco? E se anche la sua convinzione fosse stata fondata, quanto sarebbero realisticamente durati, una volta che la suggestione e l'idillio iniziale fossero finiti? Ti sei mai chiesto perché nessuno scrive mai i sequel di questi film?”.
Parve offeso, Kurt. Quasi, ancora una volta, si fosse sentito criticare per l'entità della sua relazione, soprattutto per la sua fondata certezza che lui e Blaine fossero destinati a vivere insieme per il resto delle loro vite.
Scosse il capo, il naso sollevato con aria altezzosa. “Evidentemente non hai mai provato qualcosa di simile: il vero amore che si manifesta anche solo con uno sguardo o un tocco, sì!”. Dichiarò in tono pregno di gravità e di convinzione.
Sollevò gli occhi al cielo, Sebastian: “E adesso mi dirai che è quello che è successo con il tuo Tom Hanks”.
Suo malgrado, Kurt, dondolò le spalle: segno di compiacimento e soddisfazione. “Se proprio vuoi saperlo, sì. Quando l'ho visto... qualcosa stava succedendo, anche se non avrei saputo subito comprendere che cosa esattamente. Non subito, ma quando mi ha preso la mano-”.
Oddio, sto per vomitare”, simulò un'espressione disperata.
Affrettò il passo, Kurt, evidentemente desiderando porre fine a quel tragitto al più presto, per poter chiudersi nella propria camera. “Non mi sorprende che tu non abbia la benché minima nozione di cosa sia il romanticismo”.
Ti prego, quella robaccia è soltanto la fiera dell'irrealtà che ti fa illudere di poter vivere qualcosa di simile, offuscandoti la razionalità. Credi davvero che se fosse stata una storia reale, quei due sarebbero ancora una coppia?”.
Sollevò gli occhi al cielo, Kurt. “Non è questo il punto: non hai capito il messaggio del film. Per quanto ci sforziamo di trovare qualcuno che per noi incarni il nostro ideale, l'amore agisce per sue ragioni, indipendenti dalla nostra volontà. In modo spontaneo e semplice, creando delle opportunità che non avremmo neppure potuto immaginare: è destino magia, comunque tu voglia chiamarlo. Il punto è che ogni situazione che affrontiamo può apparentemente non avere significato, ma è tutto guidato da un filo conduttore che ci porterà ad un'altra persona. E soltanto alla fine di questo percorso capiremo che quella persona è l'altra metà che stavamo cercando, anche senza rendercene conto”. Pronunciò quel discorso come se lo avesse imparato a memoria, come se fosse parte stessa del continuare a vedere e rivedere quella pellicola, quasi fosse l'ulteriore conferma della predestinazione della sua relazione.
Ne sei davvero convinto? Credi che in ognuno di questi passaggi la ragione non abbia il benché minimo controllo? Che noi ci lasciamo davvero sorprendere dal destino, o piuttosto agiamo nella speranza che sia così, giustificando così gesti irrazionali o azioni che non avremmo mai immaginato, fino a quando il pensiero di qualcosa che potrebbe essere, non diventa un tarlo?”, obiettò con aria scettica che, suo malgrado, riuscì ad impensierire Kurt.
Ci mise qualche istante per elaborare una risposta.
Non sto dicendo che la ragione sopperisca al sentimento, ma che ci sono questioni che non possiamo affrontare soltanto con il gelido raziocinio”.
Scosse il capo, Sebastian: “Posso dire razionalmente che stai cercando di procurarmi un coma diabetico”.
Sospirò, Kurt. “Ti auguro soltanto di provare la stessa cosa, un giorno, con la persona giusta”, lo guardò negli occhi, il viso inclinato di un lato e un'espressione quasi accattivante.
Uno sbuffo divertito e ironico: “Credevo di piacerti, Lady Hummel”.
Alzò gli occhi al cielo, Kurt, lieto di essere tornato al loro loft e schiuse l'uscio.
Sebastian lo seguì, ma prima che potesse raggiungere la cucina per il consueto bicchiere d'acqua prima, ne artigliò il polso e lo attrasse a sé.
Sgranò gli occhi, Kurt, guardandolo con aria confusa.
Sebastian ne sfiorò la gota lentamente, lo sguardo perso nel suo, ne osservò il sangue fluire alle gote, ne ascoltò il respiro farsi più rapido, percepì la rigidità del suo corpo, ma continuò a trattenerlo, come se null'altro fosse necessario in quel momento.
Allora?”, sussurrò sul suo volto, le sopracciglia inarcate e il sorriso suadente.
C-Cosa?”, balbettò, Kurt, che era rimasto immobile tra le sue braccia, quasi tentando di capire che cosa stesse effettivamente accadendo. Senza tuttavia respingerlo, ma continuando a sondarne le iridi smeraldine, quasi cercandone una risposta.
Il sorriso di Sebastian lasciò spazio ad un'espressione più maliziosa e divertita: “Non ti senti a casa?”, domandò in tono enfatico, lo sguardo che scintillava nell'imitare il tono sospirato e sofferente di Tom Hanks, durante l'intervista radiofonica.
Fu come se lo avesse schiaffeggiato. Lo vide trasalire e poi irrigidirsi. Si scostò, Kurt, guardandolo con aria quasi sprezzante, sicuramente rimpiangendo di aver condiviso con lui uno dei suoi film preferiti con annesse riflessioni sull'amore.
Gli impedì ancora una volta di allontanarsi e sorrise tra sé al pensiero di averlo fatto per l'intera giornata, rincorrendolo e trattenendolo a sé.
Lo cinse da dietro, Sebastian, e affondò il mento contro la sua spalla. “Dai,” lo esortò in un sussurro contro il suo orecchio, “non andartene arrabbiato”. Si sorprese lui stesso di quel tono meno scherzoso ed addolcito, quasi di goffe scuse, di quella flessione particolare delle sue corde vocali che sembrava persino a lui sconosciuta, nel tentativo di accattivarsene il perdono.
Suo malgrado, Kurt non oppose resistenza e parve rilassarsi, osservandolo con la coda dell'occhio: “Perché devi sempre sminuire tutto?”, gli chiese, tuttavia. Sembrò che l'offesa avesse lasciato spazio alla delusione, al constatare che non riuscissero a trovare un compromesso e Sebastian non sembrava poter apprendere il suo modo di vedere le cose, troppo restio e ancorato alla sua visione razionale della realtà.
Sorrise.“Magari sto soltanto aspettando che tu mi faccia sentire a casa”, commentò in risposta. Seppur dovesse, ancora una volta, ironizzare sul contenuto del film, cercando di apparire scherzoso piuttosto che sprezzante, non fu certo di esservi riuscito.
Se non altro il giovane sembrò essersi addolcito, abbastanza da voltarsi per osservarlo, approntando lui stesso un'espressione più accattivante, le mani sui fianchi: “Allora ratificherai le mie regole?”.
Non credo proprio”, si strinse nelle spalle, ma malgrado lo avesse lasciato, continuò ad osservarlo. Lo studiò con aria meditabonda, il viso inclinato di un lato.
Sei davvero convinto che tu e Blaine vi siate trovati per tutta la vita?”.
Pur sorpreso da quel nuovo argomento di discussione, ma che sembrava ricalcare una precedente discussone, Kurt sorrise. Gli mostrò l'osceno anello con papillon che Sebastian scrutò con aria disgustata. “E' una promessa”, gli disse.
Sebastian sollevò gli occhi al cielo. “Matrimonio in pompa magna, orchestra sinfonica, assoli di Blaine, tu che arrivi in carrozza?”, domandò con le braccia incrociate al petto, l'aria evidentemente sarcastica.
Sbatté le palpebre a quella descrizione, Kurt, scuotendo appena il capo.
Non ci ho mai pensato, o meglio non ho mai pensato nello specifico a come sarebbe stato sposare Blaine”
Ah, quindi stai dicendo che da bambino non immaginavi il tuo matrimonio?”, lo incalzò in tono scettico.
Scosse il capo, Kurt, ma arrossì con aria colpevole. “Sto dicendo che ho sempre pensato che i matrimoni più significativi fossero quelli semplici: quando si ama qualcuno così intensamente, il sentimento dovrebbe essere esaltato, non il cerimoniale”.
Di fronte allo sguardo incredulo dell'altro, sbuffò: “Oh, va bene: gli eccessi sono parte del matrimonio. Sai quanto amo i vestiti: lì peccherò di notevole eccentricità, quando sarà il mio momento e riguardo l'anello-”.
Sottogonne di crinolina? Corpetto stretto, velo?”, lo provocò Sebastian, di nuovo un sorriso impertinente a fior di labbra.
Buonanotte, Sebastian,” replicò Kurt con aria sdegnata, voltandosi rapidamente per dirigersi, con incedere rigido, verso la propria camera.
Kurt?”.
Suo malgrado si era voltato, l'espressione ancora esasperata: “Allora?”, lo incalzò, battendo con il piede sul parquet e inarcando le sopracciglia, nell' attesa che parlasse. Perché per quanto potesse offenderlo con il suo atteggiamento cinico, per quanto potesse disprezzarne i gusti o le teorie romantiche, per quanto si allontanasse, non sembrava riuscire a lasciarlo definitivamente.
Sì, mi sento a casa, fu il suo fulmineo pensiero.
Scosse il capo, improntando il suo miglior sorriso ironico: “Buonanotte, Meg Ryan”.


“Allora?”.
Si riscosse, quando la voce del barista riuscì a far breccia tra i propri pensieri.
Non rispose subito, lo sguardo vacuo, il bicchiere mezzo pieno ancora a mezz'aria. Quel giorno aveva cominciato a capire realmente quanto Kurt fosse già parte della sua vita, quanto fosse naturale intrattenere con lui quel genere di conversazioni, pur consapevole che avrebbero condotto ad un inevitabile divario tra i loro modus vivendi, tra le loro personalità. Eppure avevano continuato a vivere l'uno accanto all'altro, trovando un loro equilibrio e stabilità, fino a quando quel folle fidanzamento non aveva compromesso tutto.
Scrollò le spalle, tornando ad incrociare lo sguardo dell'altro.
“Sono stato io a fargli scoprire Coney Island, non l'avrebbe mai visitata senza di me”.
Parve deluso, Hunter. Ma lo conosceva abbastanza da immaginare che vi fossero altre ragioni taciute, o che fosse soltanto uno degli espedienti con i quali Sebastian volesse intralciare il matrimonio per sentimenti che non era disposto ad esternare.
“Non sei il proprietario di quel luogo e se anche l'hai condiviso con Kurt per primo, ciò non ti dà diritto, a meno che tu non sia disposto a parlargliene”, replicò in tono odiosamente razionale.
Non parve averlo sentito, Sebastian, che depositò il bicchiere sul bancone, improvvisamente nauseato dal contenuto stesso. “E tu sei inutile, come sempre”, gli disse a mo' di saluto, scuotendo il capo e rimettendosi in piedi.
Sospirò con aria stoica, Hunter: “Il consiglio è sempre lo stesso: parla con Kurt!”.
Le sue parole echeggiarono nel locale vuoto, seguendo il giovane e il suo percorso verso la porta.
Sbuffò, Sebastian, sollevò appena il braccio a mo' di saluto e si chiuse l'uscio alle spalle.




~
Aveva osservato a lungo le onde infrangersi contro la spiaggia, lo sguardo perso nel vuoto e quelle parole che sembravano ancora riecheggiare nella sua mente. Avrebbe soltanto desiderato potersi disfare di quel peso all'altezza del petto, persino lasciare che Kurt rovinasse la sua vita e poter fingere che ciò non lo toccasse minimamente. Poter tornare alla sua vera quotidianità, prima che Kurt ne diventasse parte. Realizzò fin troppo semplicemente che non sembrava possibile neppure immaginarlo.
Quando rientrò, a sera tardi, si aspettava che tutte le luci fossero già spente e di trovarlo già addormentato, seppur non si sarebbe avvicinato alla sua camera, non quella notte e probabilmente non più.
Si sbagliava: probabilmente coricarsi ancora irrequieti doveva compromettere la salute delle proprie cellule, o qualcosa del genere.
Avrebbe voluto poter continuare a canzonarlo almeno interiormente, ma vederlo sul divano con la vestaglia da camera, il volto pallido e le occhiaie evidenti, gli diede la stupida illusione che tutto sarebbe tornato al suo posto.
Si drizzò dal divano, Kurt, mimandone il nome con espressione evidentemente preoccupata e timorosa, mentre, in tutta calma, si chiudeva la porta alle spalle.
Fece appena in tempo a voltarsi (stava optando per rivolgergli un cenno del capo e chiudersi in camera), quando lo sentì slanciarsi contro il suo corpo e, in un solo istante, fu invaso dall'essenza di vaniglia, mentre Kurt, il corpo tremante, si stringeva a lui, come se non potesse fare altro. Come se gli fosse persino necessario per tornare a respirare.
Sospirò, Sebastian, chiuse gli occhi e desiderò poterlo scostare freddamente da sé, ma era ironico constatare che, alla sua vicinanza, si sentiva realmente come se fosse tornato in sé, come se tutta la giornata assumesse un nuovo significato e dovesse condurlo a quel momento. Si sentì adagiare il mento contro i suoi capelli, inspirandone il profumo e lo avvinse contro di sé con altrettanta foga, socchiudendo gli occhi per celare tutto quanto. Persino a se stesso.
Lasciò scivolare il volto contro l'incavo del suo collo, quasi disperando di scoprire di star vivendo un lungo incubo e che nessun Blaine avrebbe turbato la loro vita insieme.
Si scostò l'attimo dopo, Kurt, gli occhi lucidi ma la mascella serrata e lo colpì con il pugno chiuso sul petto.
“Ahia”, pronunciò più per rompere il silenzio che per un reale dolore, un modo come un altro per affrontare quel momento di stallo.
“Sei un idiota”, borbottò Kurt con tutta la dignità consentitagli dall'evidente turbamento che aveva provato per l'intera giornata. “Ho provato a chiamarti, ho telefonato persino in quella battola che frequenti: almeno ti avrei saputo sbronzo ma quasi del tutto in salute. Temevo che ti fosse successo qualcosa, mi sentivo in colpa, ignoravi le mie chiamate, i miei messaggi, ho provato a cercarti e-”.
Lo interruppe prendendogli le spalle e stringendole: “Kurt”, lo richiamò, quasi volendo farlo tornare in sé. “Sto bene”, lo sottolineò, guardandolo dritto negli occhi. “Non ho risposto al telefono perché non lo avevo con me, quando sono uscito di casa , e pensavo avessi ben altro a cui pensare”.
“Infatti”, borbottò con aria ancora offesa ed indignata per poi scuotere il capo. “Ma non potevo dimenticare a quello che è successo... e mi dispiace da morire, credevo che... non mi ero reso conto di quanto quel posto fosse speciale per te”, cercò di spiegarsi con voce tremante.
Si strinse nelle spalle, Sebastian, serrando le labbra. Era proprio quello il punto, sorrise ironicamente tra sé ed era inutile indugiarvi.
“A me sta bene, se volete sposarvi lì: la vita va avanti”, si sentì dire in tono così formale che ebbe quasi disgusto di se stesso.
“No, non lo faremo”, fu il sussurro di Kurt i cui occhi sembrarono, ancora una volta, poter scorgere ciò che si celava dietro quella patina di compostezza ed orgoglio. “Quella è stata la nostra prima gita ed è un nostro momento. Non pensavo ricordassi tutto così perfettamente”, ammise scrutandolo attentamente.
“Oh, andiamo: pantaloni bianchi e bagnati”, replicò in tono sferzante, suo malgrado sentendo che quella stretta al petto sembrava essersi alleviata. Almeno quel poco in grado di farlo respirare.
Scosse il capo, Kurt, ma non sembrò indignato al ricordo, soltanto ancora mortalmente serio e dispiaciuto. “Sai cosa voglio dire: non volevo ferire i tuoi sentimenti”, sussurrò con voce tremante, ma lo sguardo fisso nel suo, quasi disperasse che riuscisse a credergli.
Il viso di Sebastian si contrasse in una smorfia. Si strinse nelle spalle a voler sminuire il tutto. “Ok, da quando sono io il portatore d’estrogeni qui dentro?”, chiese con la consueta ironia.
“Sebastian”, sembrò il suo turno di riscuoterlo e gli si avvicinò. “Non potrei dimenticare un solo giorno con te: sei il mio migliore amico e il mio unico appiglio da quando sono arrivato a New York”, commentò con enfasi.
Friendzonato. Ora sì che si sentiva davvero uno sfigato. Arrivati a quel punto, tanto valeva iscriversi a medicina, cominciare ad indossare un paio di occhiali da nerd, sbavare su qualche ballerina senza tette e/o cervello. Rabbrividì.
Scosse il capo e lo guardò intensamente. “Voglio solo che tu decida, Kurt, che non ridimensioni i tuoi sogni o i tuoi ideali per colpa di Blaine. Voglio che tu sia la stessa persona che ho di fronte, anche quando sei con lui. Non compiacerlo sempre e comunque: dovrebbe amarti per ciò che sei”, si concesse un sorriso, il viso inclinato di un lato. “Una spina nel fianco troppo umorale, con tutte le sue fantasie da film in bianco e nero, ossessionato dalla pulizia e da stupide regole per avere sempre il controllo su tutto. Fiero di sé e pieno di sogni sulla sua vita futura. Niente di più e niente di meno”.
“E' il discorso più lungo che ti abbia mai sentito pronunciare senza insulti o parolacce. Sei sicuro di stare bene?”, gli chiese nel pallido tentativo di imitarne l'aria ironica e non curante. Non ci riuscì a giudicare dallo sguardo più intenso dell'altro.
“Kurt”, lo ammonì, quasi fosse lui a dover sottolineare che non si trattava del momento ideale per sminuire i loro reali stati d'animo.
Sospirò, Kurt, e continuò ad osservarlo con aria incerta del significato di tali parole o di quanto potesse ritenere reali i sospetti dell'altro.
“Fallo per me: se devi essere felice con lui, assicurati di esserlo davvero e che lui ti renda tale”, sembrò quasi supplicarlo nel modo in cui gli occhi smeraldini non sembravano riuscire a distogliere lo sguardo.
A quelle parole, il giovane deglutì a fatica, ma sembrò voler temporeggiare. “Da quando sei così protettivo nei miei confronti?”, domandò invece, la voce ancora smorzata.
Si concesse un sorriso ironico e scrollò di nuovo le spalle, Sebastian. “Ho i miei momenti”.
Scosse il capo, Kurt, lo guardò quasi cercasse le risposte e le parole mai proferite, quasi le avesse comunque comprese, ma qualcosa lo trattenesse dal concretizzarle. Sembrò voler pronunciare motto, ma dovette cambiare idea, perché gli si avvicinò. Lo cinse di nuovo e stavolta Sebastian fu lesto a stringerne i fianchi e trattenerlo contro di sé, scoprendo ancora una volta quanto il suo corpo più esile sembrasse nato per essere avvinto dal proprio.
“Mi mancherai, Sebastian”, sussurrò con voce rauca e non era necessario specificasse l'ulteriore riferimento al matrimonio. Ma non parve volerlo guardare negli occhi perché affondò il volto contro la sua spalla, quasi a volersi lui stesso nascondere.
“Io resterò, Kurt”, avrebbe voluto suonasse come una promessa formale, ma non poté celare quella nota più amara, all'idea che sarebbe stato lui a subire l'abbandono.
“Lo so”, e la sua voce parve rompersi, quando dovette averne compreso i reali pensieri.
“Non starai di nuovo piangendo?”, Sebastian lo scostò da sé e ne scrutò gli occhi arrossati. Qualcosa dentro di sé sembrò spezzarsi. Qualcosa d’acuminato che gli strinse la gola e ne bloccò il respiro. Non lo aveva detto esplicitamente, Kurt, ma sembrava scontato che tutto sarebbe cambiato, che probabilmente avrebbe soltanto dovuto ritrarsi da lui, a beneficio di Blaine e della loro vita insieme. Ogni giorno di più. E il pensiero che potesse farlo volontariamente, era semplicemente insopportabile.
“No”, scosse il capo, Kurt, improvvisando un sorriso di scherno e cercando di simulare tranquillità, mentre asciugava le ultime lacrime. “Perché mi guardi così?”, gli chiese in tono quasi timoroso.
Scosse il capo. “Non ti sto guardando in alcun modo particolare”, si sentì dire con voce che a stento riconobbe come la propria.
“A cosa pensi davvero?”, gli chiese in un sussurro, ma sembrò supplicarlo. Se di una risposta sincera o di lasciarlo andare, questo non avrebbe saputo dirlo.
Quello avrebbe potuto essere il momento, ma tale consapevolezza sembrò spezzarlo, come se improvvisamente sentisse totalmente il peso che portava silenziosamente con sé. Come se ogni respiro fosse un soffio rubato all'eternità, un'occasione persa che non si sarebbe ripresentata. Come se ogni nuovo passo per raggiungerlo, fosse l'ulteriore prova che stesse svanendo. E lui non potesse fermarlo.
Non disse nulla, Sebastian, sospeso in quel fervore interiore: l'eventualità che sembrava fermare il tempo, almeno un istante nel quale tutto sarebbe stato possibile e soltanto lui avrebbe deciso come si sarebbe conclusa quella serata.
Sarebbe stato semplice, avrebbe potuto cambiare tutto senza piani contorti, senza altro che se stesso, se Kurt lo avesse altrettanto desiderato. Se avesse potuto essere proprio, quel tocco di cui disperava.
Sbatté le palpebre e si ritrasse.
“Sono stanco”, si sentì dire e gli parve di essersi risvegliato da un lungo torpore.
Ne ignorò il richiamo, gli augurò la buonanotte in un sussurro e si chiuse la porta della camera alle spalle, prima di lasciarsi cadere sul proprio letto.
Non riuscì a dormire quella notte: consapevole che quel momento avrebbe potuto cambiare tutto, ma qualcosa glielo impediva. Lo stesso qualcosa di cui si sarebbe incolpato, da quel giorno in poi.




To be continued...



Buon Sabato :)
Spero che abbiate trascorso un piacevole Ferragosto :)

Spero anche che questo capitolo vi sia piaciuto, anche se è stato più concentrato sul passato di Kurt e Sebastian ma lo ritengo altrettanto importante per poter meglio comprenderli nel futuro e poter avere un quadro più completo :)
Ma ancora molte cose dovranno affrontare prima che si avvicini il famigerato matrimonio.

Una sbirciatina al prossimo capitolo:

"Che cosa hai fatto?" "E dire che volevo proporti un brindisi, vado in vacanza". "Oh, stai rapendo Kurt?".
"Kurt e Blaine sono destinati, non illuderti" "Disse colei il cui primo matrimonio fallì a sedici anni" (…) "Perché hai dovuto portarlo con te?!".
"Non mi considererei mai un superficiale se dovessi innamorarmi di te".
"Conduco io" "Non calpestarmi le scarpe, sono italiane".

Prima di congedarvi, come sempre, vorrei ringraziarvi per il tempo che mi dedicate alla lettura, soprattutto quando mi date l'occasione di rendermi partecipe delle vostre sensazioni, congetture o volete semplicemente scambiare due parole con me :) Grazie di dimostrarmi la vostra stima inserendo questa storia tra le vostre preferite/ricordate/seguite.
Niente mi gratifica maggiormente come fanwriter e come persona, di condividere con voi i miei sentimenti Kurtbastian e scorgere in voi altrettanto entusiasmo. Grazie infinite, di tutto cuore!
Vi abbraccio e vi auguro un buon weekend <3
Kiki87


1 Riferimento al video di “Roar” di Katy Perry che è stato tra l'altro, come sapete, uno dei brani interpretati nella quinta stagione di Glee.

2 Antica arte cinese in ausilio all’architettura e che contempla anche studi d’astronomia secondo cui, nell’ambito domestico, la disposizione di mobili e il flusso di energie “positive” e “negative” influenzerebbero la qualità della vita in quello stesso ambiente.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


5
Questa è l'ultima volta
che dirò queste parole.
Ricordo la prima volta,
la prima di molte bugie.
Accantonala in un angolo,
o nascondila sotto il letto.

Questa è l'ultima volta
che mostrerò il mio viso.
Un'ultima tenera bugia
e poi sarò fuori di qua.
Calpestala sul tappeto,
o nascondila sotto le scale.
Dicono che certe cose non muoiono mai.
Beh, io ci ho provato e provato.

(The Last Time – Keane). 1

Agosto

(meno sette mesi al matrimonio)


Capitolo 5

Mezza SegAnderson stava tramando qualcosa. Riusciva a capirlo dal modo in cui, di tanto in tanto, consultava il suo cellulare per poi sorridere con quell'espressione di puro compiacimento, che era capace di innestargli desideri omicidi. Non era la soddisfazione dell'essere riuscito ad ottenere l'attenzione altrui (soprattutto quella del fidanzato), ma l'espressione di chi stava architettando qualcosa d’interessante. Qualcosa che presumibilmente non doveva aver a che fare con Kurt.
Malgrado sfinterHunter continuasse a tormentarlo con un fastidiosissimo countdown, cercando di inculcargli che la soluzione più efficace e “banale” fosse alla sua portata, quel piccolo mistero poteva rivelarsi qualcosa d’utile ai propri fini. In un'unica mossa avrebbe potuto screditare il suo rivale, senza che questo lo mettesse in cattiva luce o lo facesse apparire come lo squallido cliché da ragazzo friendzonato e senza alcuna possibilità di successo.
L'occasione propizia sembrò presentarsi, quando lo scorse di fronte alla porta del loro loft. Stava per palesare la propria presenza al fidanzato, prima che il cellulare suonasse. Parve illuminarsi alla vista del chiamante e si affrettò ad allontanarsi dalla porta per poter rispondere e garantirsi un po' di privacy.
Brutto figlio di una vacca ingellata.
Era evidente che i suoi peggiori timori (?) si stessero avverando e stesse tuttora intrattenendo una tresca, magari con lo stesso faro con cui aveva avuto l'ardire di tradire Kurt, a pochi mesi dalla sua partenza da Lima.
Si appiattì contro la parete dell'edificio accanto, cercando di origliarne la conversazione.
“Buongiorno!”, lo sentì salutare con voce lieta. “Sì, sono io. No, Kurt non sa ancora nulla”.
Strinse il pugno, Sebastian, che si affrettò ad azionare il registratore del suo iPhone: era meglio premunirsi di avere una prova inconfutabile di ciò che stava avvenendo alle spalle di Kurt.
“Quindi è tutto confermato? Due biglietti di prima classe?”.
Ah, pure una gita romantica, magari inventando qualche scusa sui familiari a cui il fidanzato avrebbe abboccato senza la benché minima esitazione.
“Grazie infinite! Sarà una splendida fuga romantica: Kurt ha sempre desiderato visitare Parigi”.
Fuga romantica. Kurt. Parigi.
Non avrebbe saputo dire quale fosse stato il pugno più forte all'altezza dello stomaco. La mano che reggeva il cellulare ricadde lungo il fianco e si scoprì incapace di respirare per un lungo istante.
Parigi: la propria città natale sarebbe divenuta lo scenario per una smielata vacanza di coppia e l'ulteriore suggello della loro perfetta vita sentimentale.
Figlio di una barboncina incrociata ad un hobbit. Oh, Mezza SegAnderson non sai che in che guaio ti sei appena cacciato.
Attese che la telefonata fosse conclusa per poi fare la sua apparizione, le chiavi tra le mani e un'espressione di puro disgusto, quando ne incrociò lo sguardo.
L'altro ripose frettolosamente il telefono nei pantaloni, gli lanciò un'occhiata circospetta, e biascicò un saluto, dovendo sempre nascondersi dietro quella falsa educazione.
Sebastian si limitò ad infilare la chiave nella toppa ed aprire l'appartamento.
“Grazie”, mormorò Blaine con voce evidentemente sorpresa, ma prima che anch'egli potesse varcare la soglia dell'ingresso, Sebastian sbatté l'uscio alle proprie spalle.
Incurante del suo bussare insistente, appoggiò le chiavi sul mobile accanto alla porta, sul quale il cellulare di Kurt stava vibrando per la chiamata in arrivo. Lo ripose furtivamente nel cassetto (dopo averlo impostato sulla modalità silenziosa) e si affrettò ad accendere lo stereo, prima che i suoni attutiti alla porta attirassero l'attenzione del coinquilino.
“Amore”, intonò con tono flautato, premunendosi di alzare la voce, rifilando un sorrisetto sardonico alle sue spalle, quasi aspettandosi che Blaine potesse vederlo. “Sono a casa”, si annunciò e percorse rapidamente il soggiorno per giungere alla sua camera.
Non parve insospettito da quel saluto, Kurt, probabilmente troppo concentrato a decidere quale foulard indossare, ma si limitò ad osservarlo con un sopracciglio inarcato: “Spero che tu abbia comprato il latte biologico”.
“Certo che no”, recitò ancora con tono affettato, le braccia incrociate al petto.
“Sapevo che non mi avresti deluso, ignorando il mio promemoria”, rispose in tono di stoica rassegnazione, prima che le sue dita agili si muovessero a comporre un nodo così che i lembi della sciarpina scivolassero morbidamente sul bavero della camicia.
Chissà quanti usi interessanti avrebbe potuto avere quel foulard, pensò distrattamente tra sé, uno sguardo d’apprezzamento con cui ne analizzò la silhouette, soffermandosi volutamente su un ben noto pendio.
“Hai per caso visto Blaine, mentre rientravi?”, gli domandò e Sebastian lo osservò indugiare di fronte allo specchio, studiando la propria figura in diverse angolazioni, riflettendoci sopra. Tipico di Kurt: necessitare di un lasso di tempo spropositato dallo scegliere l'outfit fino a convincersi che fosse presentabile ed essere quindi pronto a mostrarsi al mondo esterno.
“No”, si strinse nelle spalle, mentendo con la stessa naturalezza di un respiro. “E il tuo culo è grandioso come sempre: quei jeans gli stanno benissimo”.
Scosse il capo, Kurt, ma gli lanciò un'occhiata più penetrante e parve dimentico delle proprie preoccupazioni. “Non ti ho sentito rientrare questa notte”.
Inarcò le sopracciglia, sorpreso da quella rivelazione inaspettata, ma non cercò neppure di celare quanto fosse stato gratificante per il suo ego.
“Adoro quando resti sveglio ad aspettarmi: pensi a me sotto le coperte?”, la sua voce si abbassò volutamente per vezzeggiare quelle parole con un'intonazione rauca e lasciva.
“Riesci a comporre una frase di senso compiuto senza riferimenti sessuali? E da quando sei un fan di Adele?”, alluse con il capo al volume spropositato dello stereo che sembrava quasi distorcere la naturale (e lodevole) estensione vocale della cantante.
Si strinse nelle spalle, ma si affrettò a svicolare. “Hanno riaperto il festival del film all'aperto a Coney Island”, annunciò ed inclinò il viso di un lato per osservarlo. “Voglio rapirti un Sabato, solo noi due, a patto che indossi di nuovo quei pantaloni bianchi”.
Suo malgrado, Kurt sorrise, l'aria addolcita. Evidentemente, oltre i suoi commenti pornografici, riusciva sempre a cogliere quel qualcosa in più. E sembrava sinceramente lieto della prospettiva e dell'idea di creare insieme un nuovo ricordo in quello stesso scenario.
“Quando vuoi, tranne il prossimo weekend: Blaine sta complottando qualcosa, ma pensa che non me ne sia accorto”, confidò con tono evidentemente elettrizzato alla prospettiva.
“Perfetto”, sbuffò come sarebbe stato naturale in tali circostanze.
Kurt gli aveva appena ristretto il campo temporale di ricerca del volo prenotato, era un buon inizio.
“Hai visto il mio cellulare?”, domandò Kurt uscendo dalla propria camera per poi sgranare gli occhi, quando sentì i tonfi alla porta.
“Arrivo, Blaine!”, lo sentì correre verso la porta. “Perché hai alzato così tanto il volume?”.


~

Non era stato difficile, con il proprio spirito d’intraprendenza, scoprire le altre informazioni utili al viaggio. Certo, scovare i biglietti nella tasca della giacca di Blaine (con tanto d’indicazioni relative a numero di volo e orario di viaggio) era stato più che utile, ma la sfrontatezza e la furbizia avevano fatto tutto il resto. Doveva soltanto sperare che il fattore “casa” giocasse a proprio favore, ma se così non fosse stato, avrebbe avuto una Mezza SegAnderson impegnata a giocare il ruolo del fidanzato perfetto, e ciò avrebbe potuto renderlo più vulnerabile al sabotaggio del matrimonio.
Fu con aria particolarmente compiaciuta che entrò al Penguin Pub quella sera e lo sguardo saettò subito in direzione del dottorino che, con la sua migliore espressione da bifolco, serviva i clienti, sbirciava il proprio libro di testo e di tanto in tanto gettava occhiate al palco, nella speranza che la bionda ballerina senza tette si accorgesse della sua dubbia utilità tra gli esseri umani.
Prese posto al proprio sgabello, ma quando il suddetto barista si volse ad osservarlo, aggrottò le sopracciglia con espressione sospettosa, dietro le lenti degli occhiali da lettura.
“Che cosa hai fatto?”, chiese a mo' di saluto.
Sorrise, Sebastian, evidentemente lusingato dalla propria fama che sembrava precederlo, persino prima che condividesse il suo ultimo piano. “Assolutamente niente”, scrollò le spalle. “Dammi una birra, per favore”. Aggiunse l'inconsueta formula di cortesia.
Continuò a scrutarlo, Hunter, e il cipiglio s’incupì ulteriormente, mentre incrociava le braccia al petto. Non aveva mosso sopracciglio a quel modo di parlare desueto, evidentemente era una conferma che qualcosa stava accadendo.
“Manchi da cinque sere di fila e stai gongolando, eppure non ho letto nessun Blaine Anderson tra gli annunci recenti di morte, quindi-”.
“Credimi”, si sporse sul bancone, puntellandosi sui gomiti e rivolgendogli il suo sorriso più convincente. “Per quanto sia esaltante vederti ignorato da una bambina di 7 anni nel corpo di una ballerina da bettola, ” alluse al palco con un cenno del mento e sorrise del lieve rossore sul volto dell'altro, “ho interessi al di fuori di te. Molto piacevoli anche”.
Non batté ciglio. “Che cosa hai fatto?”, ripeté la domanda, trattenendo il boccale e spostando il braccio dalla sua portata, a mo' di velata minaccia.
Si strinse nelle spalle, Sebastian. “E dire che volevo proporti un brindisi a Parigi: vado in vacanza”, lo informò con la stessa voce flautata.
“Oh”, parve vagamente spiazzato. Avvicinò il bicchiere, ma lo trattenne ancora tra le dita.
“Stai rapendo Kurt?”. Tutt'altro che intimorito all'eventualità, sembrava piuttosto curioso di vedere appurata una propria teoria. Probabilmente qualche basilare nozione di neurologia gli dava la (illusoria) speranza di riuscire a capire una mente manipolatrice e subdola come la propria.
Roteò gli occhi. “No, nostalgia di casa, per così dire”, aggiunse in tono evidentemente divertito, prima di prendersi la bibita.
Suo malgrado, il barista partecipò al brindisi: si versò a sua volta un bicchiere che fece cozzare contro quello del suo cliente più fedele. Sorseggiò lentamente, ma l'espressione perennemente sospettosa parve affievolirsi. Sembrò persino rilassarsi.
“Ti farà bene cambiare aria: magari vedrai le cose in modo diverso”.
“E' quello su cui conto”, recitò Sebastian che non parve, tuttavia, riuscire a condurre ulteriormente quella recita, perché ghignò. “Non vedo l'ora di godermi la faccia della Mezza SegAnderson: si è tanto impegnato perché Kurt non lo sapesse”.
Poco mancò che Hunter non gli sputasse addosso la propria birra. “Tu hai fatto cosa?”.
Non urlava mai Hunter Clarington (o almeno non da sobrio), ma era esilarante il modo in cui il suo cipiglio, perennemente guardingo e rigido, poteva scomporsi e così la sua voce assumere una tonalità più stridula. In verità avrebbe dovuto persino offendersi per come si fosse bevuto la scusa della nostalgia della madre patria.
A giudicare dal pulsare della vena sul collo e dal modo in cui la sua mascella stava fremendo, sembrò essere in procinto di una sfuriata.
“Qualcuno ha visto le mie chiavi?”.
Provvidenziale fu l'intervento di Brittany Pierce: Sebastian osservò come l'espressione dell'altro mutò tanto repentinamente da dare l'impressione che fosse posseduto da chissà quale entità trasudante testosterone. Sospetto più che legittimo, a giudicare da come si era impettito e come un repentino sorriso ne avesse increspato le labbra, con un effetto piuttosto inquietante, quasi stonasse coi suoi lineamenti.
Così preso da quella visione, neppure si era avveduto che Santana Lopez, con la scusa del prendersi da sola la bottiglia di vodka, gli aveva rifilato tra le mani il mazzo di chiavi incriminato, mentre la biondina cominciava a cercare sul bancone.
Con aria stolida, il barista sollevò il portachiavi, fissando con aria perplessa la chincaglieria di
statuine, perline e ciondoli con cui era stato arricchito l'anello intorno a cui erano avvolte le chiavi, ma fu quel tintinnio ad attirare l'attenzione della ballerina.
Batté le mani con un sorriso entusiasta e saltò agilmente per sedersi sul bancone a pochi millimetri da Sebastian che si scostò come se temesse di essere contaminato dalla stupidità della scena.
Era come osservare un bulldog, impegnato fino a pochi secondi prima ad abbaiare e ringhiare contro una volpe (modestamente meritava di essere paragonato ad un animale così intelligente e sensuale), e il suo repentino ammansirsi allo scodinzolare di una femmina di volpino2.
Rifilò un'occhiata risentita alla latina che sorrideva alla biondina con aria stucchevole, quasi materna, come se le avesse appena confidato di essere scampata ad una gravidanza indesiderata.
Brittany si sporse verso il barista che schiuse le labbra come un pesce prima d'agganciarsi all'amo e Sebastian chiuse gli occhi, come se la visione fosse fonte d’indicibile dolore, ignorando volontariamente le occhiate sardoniche che gli stava lanciando Santana.
“Sei il mio angelo”, trillò la ballerina che, prese le chiavi, gli baciò rumorosamente la guancia, lasciando così un'impronta ben visibile di rossetto. “Ops!”, aveva riso prima di sporgersi a cancellarla con la mano. A quel punto, fortunatamente, anche Santana Lopez doveva aver raggiunto il livello massimo di glicemia tollerabile. “Ben fatto, zucchero, andiamo: mi serve qualcuna che balli sullo sfondo, mentre canto per Trouty”.
“Ciao”, aveva fatto ondeggiare la mano. “E ancora grazie mille!”.
“Ciao”, fu la risposta, mormorata con voce flebile, prima che si schiarisse la gola, cercando nuovamente di darsi un contegno, esibendo nuovamente (e invano) il sorriso più affascinante di cui fosse in dotazione. “E' stato un piacere”.
Sollevò gli occhi al cielo, Sebastian, mentre la latina artigliava malamente Brittany per il braccio, facendola scendere dal bancone e conducendola verso il palco.
“Banale e scontato, mi deludi Lopez”, borbottò Sebastian al loro passaggio.
Sorrise, Santana, la mano libera puntellata sul fianco: “Non sarà la tua unica delusione, Ciuffo Disney”, lo blandì e Brittany parve trovare il paragone particolarmente calzante, tanto da ripeterlo tra sé, battendo le mani, pur ignorata da entrambi.
“Preparati a pagarmi le scarpe con cui prenderò Lady Hummel a calci in culo, se non ti farà tornare il sorriso”, gli pizzicò il naso, inducendolo a scostarsi con uno scuotimento del capo.
Soltanto in quel momento Hunter Clarington sembrò ricordarsi di respirare. Sbatté le palpebre, come se si fosse appena riavuto da un sogno.
Si volse al barista, Sebastian, quasi tentato di sventolargli davanti una mano (e poi usarla per colpirlo sulla mascella con la macchia rosata, che gli dava un'aria ancora più gay), ma si schiarì la gola e sollevò gli occhi al cielo. “Beh, ti saluto: dovrò svegliarmi presto domattina”.
“Frena, frena, frena!”, dal modo in cui lo ripeté, la voce sempre più stridula, capì che era tornato in sé finalmente. Anche se sembrava faticare a mettere insieme le parole per l'ennesima predica, mentre lo fissava con occhi sgranati.
Avrebbe dovuto far analizzare il profumo e gli agenti chimici del cosmetico della svampita per accertarsi che non ne avessero ridotto l'ossigenazione al cervello.
“Mi stai dicendo che sei serio?”, gli chiese inorridito. “Ti aggregherai al loro weekend di coppia?”, lo pronunciò quasi sperando che il suo stesso tono potesse rendergli palese l'assurdità del proposito.
“Non sarebbe certo la prima volta che Kurt ed io viaggiamo insieme”, sorrise con espressione soddisfatta. “Allora la Mezza SegAnderson era il dettaglio sgradito, gran bei tempi”.


Ricordami perché dovresti tornare in quello sputo di città che chiami casa, per vedere uno scandaloso riadattamento di Grease, in cui ci sarà quel porco traditore del tuo ex ragazzo”, fu l'asciutta richiesta di Sebastian, guardandolo con le braccia incrociate al petto, sulla soglia della sua camera.
Sospirò, Kurt, interrompendosi per un solo istante dal riporre gli abiti piegati nella propria valigia. “Non sto tornando là per vedere Blaine. Mio fratello ha sostituito Schuester nel dirigere lo spettacolo, voglio essere là per sostenerlo”, spiegò con voce paziente, ma l'aria di chi avesse già affrontato quella discussione.
Quindi non ti farà alcun effetto rivederlo?”, lo squadrò con le sopracciglia inarcate, per nulla convinto da quella sconcertante novità.
Kurt sospirò, interrompendosi nuovamente per osservarlo.
Non posso escluderlo sinceramente, ma di certo non cambierà ciò che provo o il fatto che la nostra storia sia finita”.
Di fronte allo sguardo penetrante dell'altro, si affrettò ad aggiungere: “E poi potrò rivedere mio padre e questa è la cosa più importante”.
Parve soddisfatto, Sebastian. O almeno più tranquillo, seppur ancora nettamente contrario all'idea. “Mi auguro per te che ci sia una caffetteria decente”, commentò in tono suadente.
Se pensi che ti porti un souvenir-”, non aveva neppure sollevato lo sguardo, Kurt.
Alzò gli occhi al cielo, Sebastian. “A che ora parte il volo?”, chiese in tono esplicito.
Sbatté le palpebre, Kurt, fissandolo con occhi sgranati. “Non starai pensando di-”
Scrollò le spalle. “Non ho niente di meglio da fare e sono curioso di vedere chi hai mollato per me”, illustrò con tono incurante, come fosse qualcosa di perfettamente naturale e la sorpresa di Kurt fosse inopportuna.
Sospirò, quest'ultimo. “Non sei divertente ma... grazie, è un bel gesto. Anche se ci sarà Rachel”, lo disse a mo' di avvertimento.
Motivo in più per venire: potrei gettarla dal finestrino dell'aereo”, ma si avvicinò e si sporse al suo viso, malgrado fossero separati dal letto.“E poi ti mancherei troppo”, aggiunse con voce più lasciva.
Gli gettò addosso il proprio maglione, Kurt, e Sebastian rise con aria sorniona. Lo osservò con aria meditabonda, prima di ammiccargli. “Sto per farmi una fantasia indecente su di te e questo”, lo indicò con aria trionfante. Uscì dalla stanza, senza alcuna intenzione di restituirlo al proprietario.
Sei disgustoso... e ridammelo! E' puro cachemire!”, Kurt abbandonò la valigia e circumnavigò il letto per seguirlo.
Mhmmm, le cose pure che diventano sordide: sembra la storia della nostra convivenza”, sospirò Sebastian nell'affondare il viso contro la morbidezza del tessuto, ad inspirarne il profumo dolce e penetrante.
Sebastian!”.


“Hai già deciso, vero?”, sospirò Hunter con aria sconfitta, più che consapevole che le sue parole ne avrebbero soltanto rafforzato la risoluzione.
“Assolutamente”, incrociò le braccia al petto con un sorrisetto accattivante.
“Ti raccomanderei di non fare stronzate, ma chi voglio prendere in giro? Questa storia non mi piace per niente, Sebastian”. Sospirò con aria grave.
“Peccato, stavo pensando di mandarti a pezzetti una ballerina del Moulin Rouge, anche se di plastica sicuramente servirebbe al tuo scopo”, sminuì il tutto con uno scrollo di spalle.
Aveva sollevato la zip della giacca e si era rimesso in piedi.
“Sebastian”, lo richiamò Hunter, evidentemente avendone ignorato l'ultima provocazione.
“Buona fortuna e... torna intero”, parve ammonirlo con le sopracciglia inarcate.
Qualcosa gli diceva che non era la salute fisica quella a cui stava alludendo in quel momento e che era davvero preoccupato che quel viaggio gli causasse ben altra sofferenza. Ma dopotutto, era comprensibile (e quasi degno di compassione) che con le sue bassissime percentuali di successo in ogni ambito, vedesse sempre tutto nero.
Accostò la mano aperta alla fronte, imitando un saluto militare e si confuse tra gli avventori.
“Sebastian!”, lo richiamò in tono aspro, dopo trenta secondi.
“Lo so che mi ami, ma devo andare: lo sai anche tu che è meglio per entrambi”, gridò prima che Santana Lopez potesse avviare la base per il suo assolo, profittando del silenzio che era sceso nella locanda, attirando su di sé tutti gli sguardi.
Ghignò, quando la ballerina bionda rischiò di perdere l'equilibrio, dopo aver passato gli ultimi minuti a volteggiare su se stessa. La vide boccheggiare e avvicinarsi a Santana, come a chiederle spiegazioni. Quest'ultima rifilò un'occhiata di fuoco a Sebastian che sembrava promettergli vendetta, ma coprì il microfono e assunse nuovamente una pseudo espressione materna, nell'appoggiare la mano sulla spalla della biondina.
Hunter, più rigido che mai e cercando di ignorare le occhiate divertite che stava ricevendo, serrò la mascella: entrambe le guance erano ugualmente arrossate. “Paga la birra, bastardo”, ringhiò.
Rise, Sebastian, il viso appena inclinato di un lato. “Adieu mon ami!”, con un ultimo cenno di saluto, si volse ed uscì dal locale.

~

“Non posso crederci che tu abbia organizzato tutto senza dirmi nulla!”, il tono di Kurt lasciava trapelare tutto il suo entusiasmo e incredulità. Il sorriso si espanse sul suo volto e il luccichio delle iridi ne rivelò persino un moto di commozione. “Parigi”, sospirò con tono sognante, “la città dell'amore!”.
“La nostra città non potrebbe che essere...AHI!”.
Si erano voltati entrambi mentre Sebastian, la sua migliore espressione di sorpresa e di finto dispiacere, riponeva una sacca da viaggio nel vano al di sopra dei sellini. Si era tuttavia premunito di colpire Blaine nel farlo.
“Ops!”, si scusò portandosi teatralmente una mano alle labbra.
“Cosa ci fai qui?!”, chiese la coppia all'unisono.
Sebastian, l'aria incurante, si lasciò cadere sulla propria poltrona, lato finestrino, collocata esattamente dietro il posto del coinquilino. Si stravaccò con aria indolente.
“Non te l'ho detto, Kurt?”, simulò un'espressione confusa. “I miei nonni festeggeranno le nozze d'oro... o quello che sono”, un vago cenno della mano a testimoniarne la totale indifferenza, mentre socchiudeva gli occhi con l'aria di chi avrebbe approfittato del viaggio per un sonnellino.
“Ma non li vedi da Natale!”, replicò l'altro con voce stridula per l'indignazione.
“Troppo tempo, hai ragione”, si finse realmente rammaricato.
“Di cinque anni fa”, puntualizzò, incrociando le braccia al petto e rifilandogli un'occhiata sospettosa. Seppur fosse sempre stato abile a comprendere quando la sua ironia celava volontariamente il suo reale stato d'animo, sembrava non sospettare assolutamente che le sue intromissioni potessero avere origine da qualcosa di più dell'avversità nei confronti del fidanzato. Se anche si fosse bevuto la storia dei parenti, a volte sembrava aver dimenticato tutto di sé, da quando Blaine era tornato nella sua vita.
“Tu ci stai sabotando!”, fu l'accusa incredula di Blaine. “Non so come abbia fatto a scoprirlo, Kurt!”, aggiunse in tono lamentoso e risentito.
“Sei persino più egocentrico di quanto credessi, se pensi che voglia farvi da stalker”, sospirò Sebastian, schiudendo gli occhi soltanto per osservarlo con aria schifata.
“Non ci rovinerai la vacanza!”, lo additò, Blaine, con aria accusatoria, sporgendosi dal proprio sellino per fissarlo dall'alto al basso.
Si strinse nelle spalle, Sebastian, un ghigno divertito. “Basta guardarti per rovinarsi il divertimento”.
“Ok, basta tutti e due”, sancì Kurt che sollevò le mani come ad esortarli a tacere.
“Parigi è una città grande per tutti e tre e Sebastian ha impegni familiari, anche se mi offende che non mi abbia chiesto consulto per un regalo appropriato per l'occasione”, aggiunse con tono stridulo.
Sebastian avrebbe desiderato credere che stesse reggendogli il gioco per evitare di insospettire il fidanzato. Che vi fosse un complice segreto e quel weekend fosse stato progettato soltanto per loro. Che tutto fosse sotto gli occhi di Blaine, ma lui fosse incapace di accorgersene.
Sì, sarebbe stata una fantasia eccitante per la prossima doccia.
Guardò entrambi, Kurt, e sorrise come se già si sentisse partecipe dell'atmosfera parigina, vicinissimo a sfiorare un sogno a cui Sebastian (e doveva ammetterlo con rincrescimento) non aveva mai pensato fino a quel momento. “Non roviniamoci il soggiorno ancora prima di arrivare”.
“Hai ragione, amore”, gli sorrise Blaine con aria stucchevole, quasi le sue parole bastassero a mutarne completamente lo stato d'animo. Ne strinse la mano, prima di sedersi, per poter ignorare lo sgradito passeggero alle loro spalle.
Lo scimmiottò, Sebastian, a mezza voce, ma scosse il capo e sorrise al finestrino: c'era tempo sufficiente per tutto.


Salutò enfaticamente la coppietta, quando giunsero all'aeroporto (aveva già fotocopiato gli itinerari di viaggio di Mezza SegAnderson, davvero molto poco furbo lasciare tutto quel materiale prezioso nella giacca) ed era uscito con incedere sicuro, insinuando gli occhiali da sole e sorridendo.
Dopotutto si trovava a casa. E non aveva la benché minima intenzione di sprecare tempo con un giro turistico. Inoltre sarebbe stato meglio concedere alla coppia un po' di spazio, così che la prossima mossa potesse essere studiata accuratamente.
Non era certo necessario che sapessero che aveva prenotato una camera nel loro stesso albergo e ringraziò la sua naturale riservatezza sulle questioni familiari, così che Kurt non potesse minimamente avere un'idea di dove abitassero i parenti, se mai avesse voluto controllare.
Suo malgrado, aveva già contemplato quanto ridotte fossero le probabilità che i due si separassero, ma sarebbe stato pronto per ogni evenienza.
Non gli mancava particolarmente Parigi: quell'aria elegante e sofisticata che gli americani invidiavano, era sopravvalutata per i suoi gusti. La Tour Eiffel tanto decantata come “la stella di Parigi”, era soltanto una rozza costruzione in ferro.
Per quanto la capitale europea fosse lodata in ambito artistico, letterario, gastronomico e persino per la moda, aveva sempre saputo di volerne fuggire. Soprattutto da quando aveva accettato la sua verità più intima.
Scosse il capo al pensiero e l'aria parigina sembrò soffocarlo, proprio come allora.
Era da molto che non si confondeva tra la folla, sentendo quel brusio nella sua lingua madre come sottofondo, ma lasciò vagare la mente, come si era abituato nelle lunghe passeggiate per le strade di Brooklyn.
Se una parte di sé, con intonazione che ricordava fastidiosamente un certo barista, sembrava pungolarlo sulla potenziale inutilità di quel viaggio, la più reattiva e pragmatica si scrollò di dosso le preoccupazioni.
“Parfait”, mormorò tra sé e sé, giunto di fronte all'agenzia di viaggi.



Come aveva immaginato, lo spettacolo era stato pietoso in misura tale da fargli desiderare di andarsene dopo i primi minuti.
Non lo stava più realmente seguendo: il suo sguardo era tutto per il giovane al suo fianco che sembrava completamente partecipe dell'atmosfera. Un solo istante aveva ridestato Sebastian, quando il giovane vestito interamente di bianco, nella parte del Teen Angel, apparve nella visione della ragazza (in uno spezzone di musical che aveva sempre ritenuto inutile) e non ci volle molto a capire che si trattasse proprio di lui.
Il modo in cui Kurt si era irrigidito all'improvviso, muovendosi sulla poltrona come desiderasse nascondervisi e la repentinità con cui l'altro lo aveva scorto dal palco, furono eloquenti.
Il moretto sgranò gli occhi con evidente sorpresa che quasi lo deconcentrò abbastanza da ritardare il canto.
Beh, pur essendo consapevole di essere unico nel suo genere e sessualità, si era aspettato qualcuno di più... interessante. L'idea che fosse Kurt “l'attivo” della relazione era abbastanza da farlo sogghignare. Unendo a ciò le sopracciglia triangolari e cespugliose del ragazzo, doveva supporre che il cervello ( per non parlare delle retine) di Kurt si fosse totalmente offuscato, durante la loro travagliata relazione.
Quando il suddetto giovane gli lanciò un'occhiata in tralice, ne approfittò per chinarsi all'orecchio di Kurt, un sorriso suadente, come se stessero amoreggiando.
Credevo avessi gusti migliori”.
Il suo coinquilino arrossì o almeno lo immaginò visto che la penombra gli nascondeva il colorito del viso, ma non gli era sfuggito quel verso strozzato d’imbarazzo e di sorpresa. “Niente giudizi”, sibilò in risposta.
Mi togli tutto il divertimento: non vorrai che guardi il naso della puffetta rosa?”, domandò in tono sarcastico.
Scosse il capo, sollevando la mano. “Sta zitto”.
Seriamente, ti credevi inferiore a quello?”, lo indicò con un cenno del mento, continuando a parlare nel suo orecchio. “Scommetto che soffrivi sempre di torcicollo per baciarlo, oddio che schifo”, aveva storto le labbra in una smorfia disgustata all'immaginarsi una simile scena.
Si irrigidì, Kurt. “Io... non è il momento”, farfugliò a disagio, come ogni volta che Sebastian si sentiva in dovere di giudicarne le scelte di vita o la relazione. Soprattutto adesso che poteva, in prima persona, osservare chi aveva ritenuto l'amore della sua vita.
Scosse il capo, Sebastian, ma si premunì di cingergli le spalle. “Il tuo culo è molto più sodo alla sola vista”, aggiunse e ne baciò la guancia in un gesto delicato che stonò con l'elogio sfacciato.
Sebastian!”.
Era un complimento”, ribatté con una scrollata di spalle, tornando a sedersi composto, senza comunque degnare di sguardo gli attori sul palco. “Spero almeno che non facesse cilecca, quando lo facevi star sopra”.
L'ennesima pacca ammonitrice sul braccio e Sebastian ridacchiò tra sé e sé, ma si puntellò con il gomito sul bracciolo della poltrona, senza smettere di scrutarlo.
Sollevò gli occhi al cielo, Kurt, pur evitandone lo sguardo. “Che c'è?”.
Sei stato coraggioso a venire qua e con me fai un'ottima figura”, gli disse con quello che sembrava un orgoglio cameratesco.
Sospirò con aria stoica, Kurt, ma un sorriso più dolce ne aveva increspato le labbra. “Non sono solo”, gli ricordò e i loro sguardi si fusero, come se il resto del mondo fosse scomparso in quel momento. Perché, malgrado passassero le giornate a punzecchiarsi, sembrava sempre esserci un momento in cui realizzavano di essere insieme. E di gradirlo.
Ignorò lo “Shhhh!”, di Rachel. La Berrysterica doveva avere una cotta per il gelatinoso ex. O forse sognava di spodestare la protagonista ed infilarsi nel costume di pelle con il suo troll personale che, con qualche movimento scomposto, avrebbe rischiato di distruggere il palco.
Sorrise tra sé. “Spero che, oltre al caffé, ci sia un ristorante degno di tale nome: muoio di fame”.
Cercò di nascondere il sorriso, Kurt, evidentemente molto più rilassato all'idea di concludere la serata con una cena per due. Sospirò, tuttavia, notando l'espressione insofferente degli spettatori che li fissavano con aria di rimprovero e sorrise loro con aria di scuse.
Riesci a stare zitto per trenta secondi di fila?”, lo rimproverò.
Lo sguardo di Sebastian parve scintillare, sporgendosi maggiormente al suo viso e sorridendo per come la pelle delicata del collo si intirizzì al suo respiro. “Solo se uso le labbra in un modo più interessante: vuoi scegliere tu?”.
Sbuffò nuovamente Rachel ma, con sguardo minaccioso, costrinse Kurt a fare cambio di posto, suscitando in Sebastian uno sbuffo e un roteare gli occhi.
La sua nuova vicina gli rifilò un'occhiata ammonitrice, ma fu lei sorprendentemente a valicare il confine del bracciolo per sussurrare, quasi senza muovere le labbra, una frase lapidaria. Il tutto senza sbattere le palpebre o perdere di vista lo spettacolo.
Kurt e Blaine sono destinati: non illuderti”, tutt'altro che dispiaciuta, lo disse come ne fosse certa, persino come se la notizia le fosse fonte di personale serenità.
Disse colei il cui primo matrimonio fallì a sedici anni”, le ricordò con voce flautata, fissandone il naso che probabilmente avrebbe tormentato i suoi incubi.
Non è fallito”, suo malgrado dovette interrompere la visione per rivolgergli un'occhiata di puro odio. “E' stato soltanto rimandato”, commentò con voce più stridula, prima di volgersi verso il palco e sorridere alla vista del Teen Angel. “Non avrai mai neppure la metà della sua classe, romanticismo o fascino”.
Roteò gli occhi, Sebastian. “Kurt lo sa che sognavi di infilarti nel letto tra loro?”, le chiese in tono provocante.
Boccheggiò, Rachel, con aria scandalizzata, ma fu a Kurt che rifilò una gomitata, facendolo sussultare visibilmente. “Perché diavolo hai dovuto portarlo con te?”.
Scosse il capo, Kurt, cercando di nascondere il sorriso, mentre si strofinava il braccio con aria mite. “Si è auto-invitato”.
Incrociò le braccia al petto, Rachel, affondando contro la poltrona con aria mortalmente offesa, le sopracciglia aggrottate e lo sguardo rivolto al palco. Evidentemente non era il caso che continuasse a parlargli, rischiando che la sua volgarità ne intaccasse la sensibilità e il suo talento ne restasse scandalizzato, tanto da non accorgersi di come la protagonista avesse ansimato in maniera inopportuna, tra una canzone e una coreografia.
Sorrise, Sebastian, sporgendosi verso il suo orecchio.
Non essere Berrysterica: anche se non ti ho infilato la lingua in bocca, so essere carino”, al sentirla sussultare con evidente disagio, proseguì. “Ma se fossi io a sbronzarmi a quel punto, ho già promesso a qualcun altro che sarebbe stato il primo della lista, mi dispiace”.
Non posso credere che tu glielo abbia raccontato!”, evidentemente dimentica del luogo in cui si trovavano e degli sguardi stizziti degli altri spettatori, si volse verso Kurt, pronunciando quelle parole in una sorta di piagnucolio strozzato.
Shhhh!”.


“Che squallido cliché: la Tour Eiffel di sera, Kurt?”, gli domandò in tono sardonico, uscendo dall'ascensore per avvicinarsi, dopo averne riconosciuto la sagoma, con un sorriso.
Fu lieto che non potesse vederne il viso in quel momento: si sentiva così insulsamente galvanizzato che al confronto le sue sbronze leggendarie sembravano soltanto una vaga euforia. Avrebbe voluto che il suo cuore smettesse di battere così intensamente, rimbombandogli nelle orecchie.
Prese un profondo respiro e si impose di tornare in sé, quasi quel sorriso non fosse naturale sulle proprie labbra.
“Fammi indovinare: Blaine avrebbe dovuto raggiungerti entro la mezzanotte, per coronare il vostro sogno d'amore”, recitò con voce altisonante, lieto che la sua voce non tradisse una particolare emozione.
Non si volse, Kurt: stava ancora rimirando il paesaggio parigino, il soprabito che ondeggiava al soffio del vento, ma ne immaginò l'espressione stoica.
“Qualcuno si sta affezionando a Tom Hanks?”, gli domandò in tono altrettanto ironico, volgendosi appena per scoccargli un'occhiata divertita.
Rilasciò il respiro, Sebastian. Scrollò le spalle e gli si avvicinò, inclinando il viso di un lato.
“E qualcuno è così gay stereotipo che sta diventando uno pseudo francese di gay stereotipo”, commentò in risposta e lo sguardo scivolò sulla scelta del vestiario che, nei canoni americani, corrispondeva al tipico parigino in una serata elegante. Lo divertiva il fatto che il vestiario fosse tanto importante per lui, uno scudo con cui meglio adattarsi all'ambiente circostante.
“Si suppone che questa sia una tappa romantica e sono in compagnia dell'anti-romanticismo in persona”, sospirò Kurt con aria quasi affranta.
Ma sentiva che non era la propria presenza ad indurne quello stato d'animo ma che, al contrario, lo stesse riscuotendo da ben altri pensieri.
Si impose di sorridere con aria compiaciuta. “Ne sono lusingato”, si guardò attorno, quasi per precauzione, prima di porre la domanda più importante.
“Dov'è Blaine?”, inarcò le sopracciglia nella sua tipica espressione supponente.
Scosse il capo, Kurt, evidentemente poco lieto di rispondere. Sospirò, ma abbassò le braccia, con aria sconfitta. “Intossicazione alimentare”.
Cercò di apparire sorpreso, Sebastian.
Sì, doveva un gran bel favore alla cameriera del servizio in camera. Non mancò, tuttavia, di emettere uno sbuffo divertito (come sarebbe stato naturale) che suscitò un lampo di fastidio nello sguardo di Kurt.
Gli assestò una gomitata. “Non è divertente! Si è dato tanta pena per organizzare qualcosa di speciale, non posso credere che ci debba rinunciare”, scosse il capo con aria esasperata. “Avrebbe dovuto essere il nostro weekend romantico!”, protestò con voce stridula, scuotendo nuovamente il capo.
Cercò di ignorare il pensiero che non potessero condividere l'idea di quale fosse la compagnia ideale per una notte come quella.
“Tenergli la testa mentre vomita non è romantico?”, si finse serio nel provocarlo.
Scosse il capo, Kurt. Il suo fastidio sembrava non riguardare soltanto la sfortuna (?) del caso.
“Volevo restare con lui, ma evidentemente essere fidanzati non ci rende ancora abbastanza intimi”, commentò con voce stanca.
Sebastian si compiacque che, una volta tanto, non esaltasse il lato “eroico” della Mezza SegAnderson. Soprattutto se tutto volgeva a proprio favore.
“Ti prego, ho le lacrime agli occhi”, simulò una reale tristezza, ma ne cinse le spalle in una silenziosa consolazione.
Sospirò, Kurt. “Che ci fai qua, comunque?”, lo incalzò con le braccia incrociate al petto. “A parte rovinarmi l'atmosfera e impedirmi di fingere che questo sia davvero un momento romantico”.
“Se ho interrotto un solitario, non resta che-”, rise della seconda gomitata e lo osservò a lungo, prima di avvicinarsi e sporgersi al suo viso.
Ne guardò intensamente gli occhi: era certo che tra i suoi sogni parigini vi fosse un bacio di fronte ad uno scenario simile. Ma ignorò completamente il paesaggio, tutta la propri attenzione era rivolta a quelle iridi zaffiro, cercando di non fissarne le labbra.
Si schiarì la gola enfaticamente, il sorriso provocante. “E se ti dicessi che sto per cambiarti la serata?”, domandò, inspirandone il profumo di vaniglia.
Inarcò le sopracciglia, Kurt: “Se hai in mente un locale gay parigino, allora-”.
“Sono serio”, allungò la mano, guardandolo con evidente attesa.
Era come se il tempo si stesse fermando in quel momento, sospendendo tutte le possibilità in quella che sarebbe stata la decisione di Kurt. La sua volontà.
“Disposto a fidarti e lasciarti condurre?”, lo invitò con aria suadente. Ma erano la trepidazione e l'impazienza che scintillavano nelle sue iridi smeraldine.
“Onestamente?”, lo osservò con le sopracciglia inarcate.
Inclinò il viso di un lato, Sebastian, ma non abbassò la mano.
Un nervo vibrò sulla sua gota.
“Kurt”.
Fu forse il modo in cui ne pronunciò il nome con flessione più modulata della voce, chiedendogli implicitamente di concedergli fiducia. Ancora una volta. Di non escluderlo da quel momento e di non lasciarlo ai margini della sua vita
O il fatto che, anche se cercasse di celarlo, Kurt cominciava a sentire freddo. Un gelo interiore nel sentirsi solo come non mai e in un luogo come quello.
O il fatto che, se anche non lo avesse ammesso, era piacevole scorgere un viso familiare in una situazione che n’aveva acuito la delusione e lo sconforto.
“Non sarebbe un cliché gay tenersi la mano?”, sembrò cercare di voler nascondere il suo nervosismo, ironizzando.
Era come se riuscisse a percepirne la tensione sotto pelle, come se fossero sempre in equilibrio precario e si spiassero l'un l'altro con aria guardinga e timorosa.
Roteò gli occhi, Sebastian, ma ne cinse la mano e non la lasciò. Cercò di ignorare quel brivido che si diffuse lungo la spina dorsale e l'istinto di attrarlo a sé, semplicemente. Senza porsi più domande o farsi assillare dal dubbio.
Controllò l'orologio e si affrettò a raggiungere l'ascensore, quasi trascinandolo.
“Abbiamo poco tempo”, lo informò con evidente fretta.
“Non sono certo che Cenerentola fosse francese”, commentò divertito in risposta, ma lasciandosi condurre docilmente. Come se tutte le sue remore si fossero dissolte alla presa salda della mano di Sebastian.
“Per quanto m’intrighi che tu ti paragoni ad una principessa, sta zitto e cammina o ci perderemo la serata”, lo istruì e, malgrado il tono perentorio, il sorriso non ne aveva lasciato le labbra.
Sembrava dannatamente giusto tenerlo per mano, sotto il cielo parigino, consapevole che quella sera sarebbe stato soltanto suo. E che quell'occasione era troppo preziosa perché potesse essere sprecata.
Dovette ricordarsi di respirare: tutto stava andando come non avrebbe osato sperare.
“Di cosa stai parlando?”, gli chiese l'altro invano.


Lasciato che Rachel potesse ricongiungersi al suo storico fidanzato, i due si erano incamminati verso l'uscita, dopo che Kurt aveva salutato il fratello e gli ex compagni del gruppo di disadattati del cosiddetto Glee Club.
Quindi dove sarebbe questo Breadsticks?”, lo incalzò Sebastian, molto più interessato a lasciare l'edificio e poter concedersi una cena tra coinquilini, senza dover abbassare la voce.
Kurt”.
Il ragazzo al suo fianco si irrigidì: non occorreva che si voltasse per capire chi lo avesse appena chiamato.
Kurt, ti prego, ho bisogno di parlarti!”, si era affrettato ad avvicinarsi, Blaine, con ancora addosso gli abiti di scena.
Sospirò il suo coinquilino. Notò i lineamenti più rigidi sul volto, il tremore delle labbra, ma guardò l'ex fidanzato di sottecchi e si sforzò di parlare con tono composto. “Ma io non voglio parlare con te, scusami ma dobbiamo andare”, aveva indicato a Sebastian l'uscita con un cenno del mento.
Ma l'altro non parve propenso ad arrendersi facilmente, perché ne artigliò il polso, come se non potesse permettersi di lasciarlo andare. “Ti prego”, sussurrò intensamente.
Fu troppo per Sebastian che si volse con espressione minacciosa. “Ha detto chiaramente di no”, indicò la mano. “Lascialo subito”.
Lo ignorò, Blaine, il sorriso mesto nell'osservare Kurt che si era irrigidito. “Sei tornato”, lo disse come se fosse quella speranza a cui potersi ancora aggrappare.
Emise uno sbuffo ironico, Sebastian, ma fu Kurt ad inarcare le sopracciglia, con aria insofferente. “Per sostenere mio fratello, non certo per te”, esplicitò in tono chiaro e altisonante che compiacque non poco il coinquilino e parve una coltellata in petto per il suo ex.
E non da solo”, fu la beffarda aggiunta di Sebastian.
Sebastian, per favore”, sospirò, Kurt, come ad invitarlo a non coinvolgersi in una situazione già piuttosto complicata.
Dammi il tempo di spiegare”, lo esortò nuovamente, Blaine, continuando a scrutarne il viso. “Soltanto cinque minuti”, parve supplicarlo.
Sollevò gli occhi al cielo, Sebastian: “Il tempo per farti montare dal faro?”.
Un lampo di rabbia nello sguardo di Blaine che lasciò Kurt, ma si avvicinò minaccioso al terzo incomodo, i pugni stretti lungo i fianchi, prima di additarlo con espressione schifata. “Non hai alcun diritto di giudicarmi”.
Si trattenne dal ridergli sguaiatamente in faccia per quella pseudo minaccia, ma si strinse nelle spalle con la sua migliore smorfia d’indifferenza. “Conosco abbastanza Kurt da capire che ti sei sempre sopravvalutato”.
Sebastian”, parve supplicarlo Kurt, evidentemente desideroso soltanto di allontanarsi da quel corridoio.
No, Kurt”, sorrise l'altro senza smettere di guardare Blaine. “E' giunto il momento che qualcuno gli dica la verità”.
Non ci provare”, ringhiò letteralmente il nanetto.
BASTA!”, fu l'esclamazione esasperata di Kurt che lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, prima di frapporsi tra i due. “Blaine, non ho voglia di rovinarmi la serata o alleggerirti la coscienza con le tue scuse”, disse in tono freddo e distaccato. “E ora andiamo, Sebastian, sono stanco di stare qui”.
Un sorriso amaro sulle labbra di Blaine nella scrutarlo, mentre Sebastian ne cingeva le spalle per condurlo via. “Non credevo che mi avresti dimenticato così in fretta”.
Scorse il sussulto di Kurt e Sebastian dovette reprimere l'istinto di colpirlo per deturpargli quel sorriso arrogante. Lo fissò disgustato, quando fu evidente che Kurt non sarebbe riuscito ad articolare una risposta a tono.
Non riesco ancora a credere che tu sia durato così a lungo”, replicò, squadrandolo con evidente disgusto.
Ma era stato lo scintillio fugace nello sguardo di Kurt a lasciarlo senza fiato. “Non ho più niente da dirti, Blaine”, sussurrò con voce tremula, ma in tono deciso.
Si era allontanato in fretta, prima che potesse nuovamente fermarlo.
Sebastian gli lanciò un'ultima occhiata torva: “Addio, Mezza SegAnderson”, proclamò con un sorrisetto trionfante, ma si affrettò a seguire Kurt.
Lo raggiunse all'esterno: sembrava ancora ansimare, appoggiato al furgoncino dell'officina paterna.
Sospirò, Sebastian, e si chinò in sua direzione. “Stai bene?”.
Scosse il capo, Kurt, cercando di celare gli occhi umidi. “Non dovrebbe importarmi”, ammise con voce incrinata.
Ma non saresti tu: l'essere più kurteggiante che io conosca”, commentò con tono addolcito.
Emise uno sbuffo ironico, Kurt. “Come può pensare che io sia così superficiale?”.
Malgrado tutto sembrava che l'opinione di Blaine avesse ancora impatto su di lui.
Abbastanza da innamorarti di me”, aggiunse Sebastian, lui stesso ironizzando sulla situazione con uno scuotimento del capo, a sottolineare quanto fosse inutile quel turbamento, considerando chi ne fosse l'autore.
Parve sussultare, Kurt. “Non intendevo questo”.
Sollevò la mano, Sebastian che scrollò le spalle. “Chiunque mi conosca resterebbe altrettanto sconcertato, ma non è un mio problema”, spiegò semplicemente. “Conosci meglio di chiunque altro il mio stile di vita e non sarebbe la sua opinione a sconvolgermi, ma non mi piace che abbia questo effetto su di te”. Ammise con uno scuotimento del capo.
Non è facile dimenticare quello che abbiamo vissuto, lui resterà sempre parte di me”, sospirò Kurt, lo sguardo volto al terreno, come se si sentisse sopraffatto dai ricordi e dal dolore ancora troppo recente per poterlo affrontare serenamente.
Si trattenne dallo storcere le labbra in una smorfia risentita.
Ma non significa che non troverò qualcun altro... un giorno”, aggiunse, dopo un lungo istante di silenzio in cui Sebastian non parve trovare un modo di consolarlo.
Aveva sollevato lo sguardo in sua direzione, quasi richiedendone una conferma.
Sorrise, Sebastian. “Spero che sia qualcuno senza sopracciglia triangolari”.
E che non ti giudichi ad una prima occhiata come qualcuno che non è degno di essere amato”, continuò Kurt con tono grave, osservandolo come lui stesso volesse scusarsi di quelle parole.
Suo malgrado, Sebastian, serrò la mascella, ma fu abile a simulare il suo sorrisetto sferzante.
Aspetta, perché adesso stai parlando di me? Credi che m’importi davvero del suo giudizio?”, sottolineò con aria evidentemente schifata.
Kurt scosse il capo. “Era ferito all'idea che io potessi superare tutto così rapidamente”, sussurrò, quasi a sottolineare che non si fosse trattato di un giudizio personale ai suoi danni.
Ma rese evidente quanto si fosse sentito umiliato per la presunta superficialità di cui Blaine lo accusava.
Se lo pensa seriamente, è persino più coglione di quanto è apparso a me, ad una prima occhiata”.
Ma a scanso di equivoci”, si era avvicinato, Kurt, osservandolo più dolcemente, il viso inclinato di un lato. “Non mi considererei mai superficiale, se dovessi innamorarmi di te”.
Boccheggiò, Sebastian, realmente senza parole. Qualcosa nel suo petto sembrò contrarsi. Fu come se il suo cuore si fosse improvvisamente fermato.
Una verità apparentemente spontanea e sconclusionata, soprattutto alla luce di quell'ultimo e sgradevole scontro.
Eppure qualcosa ne fece scintillare le iridi smeraldine. Qualcosa che non era disposto ad ammettere molto facilmente. Non così presto.
Si strinse nelle spalle: “Sapevo che dopo esserti trasferito da me, la tua scala dei valori e del gusto sarebbero nettamente migliorati”.
Scosse il capo, Kurt, un vago sorriso, ma ne strinse la mano, quasi a trattenerlo, ancora un istante, in quell'atmosfera più intensa. “Grazie di non avermi lasciato solo”.
E perdermi tutto questo?”, indicò l'edificio con un cenno del mento. “Ero curioso”, aggiunse a mo' di spiegazione, a sminuire il tutto.
Sai cosa intendo”.
Lo so”, rafforzò lui stesso la pressione di quella stretta e gli sorrise più dolcemente.
Ma ora andiamo: muoio davvero di fame”.


Si sarebbe detto, se fosse stato un tipo romantico o tendente a pensieri glicemici, che sarebbe valsa la pena correre il rischio e presentarsi a Parigi cercando di organizzare qualcosa di speciale, soltanto per scorgere quell'espressione sul volto di Kurt.
L'autentica sorpresa e lo stupore di fronte ai bateaux-mouches, l'orchestra che avrebbe accompagnato la cena di tutti i passeggeri in quel tour notturno della città, il momento in cui Parigi mostrava il suo volto migliore.
Sorrise con aria compiaciuta quando, lo sguardo ancora incredulo, seguì il maître che li condusse al tavolo prenotato a nome Smythe.
“Come... come facevi a sapere?”.
Si era stretto nelle spalle, Sebastian, e con elegante disinvoltura gli spostò la sedia affinché potesse accomodarsi. “Ho prenotato per due sere consecutive, in caso avessi trovato qualcuno d’interessante: casa ha sempre un suo fascino”.
Scosse il capo, Kurt, il sorriso ancora sulle labbra: era come se riuscisse a capire le sue reali intenzioni. Come queste lo emozionassero, anche se non era sempre in grado di esprimerlo, malgrado le iridi fossero pessime complici.
E come se, al contempo, volesse risparmiargli il disagio di fargli comprendere quanta attenzione e cura riponesse in ogni gesto che gli era dedicato.
Lo scorgeva dal modo in cui osservava ogni monumento con sguardo velato, spalancando gli occhi, da come sorrideva al suono di una melodia familiare, accennandola con le labbra. Persino nel modo in cui osservava le coppie che avevano cominciato a volteggiare, suscitandogli un sospiro d’impazienza. Era sereno in quel momento e quella serenità era solo propria. E lo allettava come non avrebbe creduto possibile.
Sembrò quasi fremere, Kurt, guardandolo. Si alzò in un impeto d’entusiasmo che gli suscitò uno sguardo circospetto.
Parve capirne il desiderio, perché sollevò gli occhi al cielo: “Oh, no, non ci contare”, lo anticipò.
Ridacchiò Kurt, l'aria incredula. “Ti prendi la briga di organizzare tutto questo e mi lasceresti guardare gli altri ballare sotto le stelle ed invidiarli?”.
Sorrise, Sebastian, il solito accenno d’ironia. “Esattamente”. Neppure si prese più la briga di fingere che non fosse stato architettato soltanto per lui.
Scosse il capo, Kurt, ne cinse la mano e Sebastian, suo malgrado, osservò quelle dita affusolate. Sospirò per il modo in cui quel tocco appena accennato, riuscì a fargli scorrere un brivido familiare lungo la spina dorsale. Come ogni dannata volta.
Sbuffò, gettò il tovagliolo sul piatto, ma si lasciò trascinare verso la pista. “Conduco io”, sancì con voce perentoria.
“Non calpestarmi le scarpe: sono italiane”, lo ammonì Kurt fingendo altrettanto sussiego, ma non potendo celare il sorriso sognante.
E, dopotutto, seppur non lo avesse previsto, lo strinse, premendolo contro il proprio petto come se fosse qualcosa di naturale. Senza porsi altre domande, senza anticipare i possibili scenari, soltanto vivendo quel momento come se fosse l'ultimo.
Il modo in cui le braccia di Kurt gli cinsero il collo, restando sulla sua nuca e il modo in cui i loro sguardi si fusero, sembrava tratteggiare una sequenza soltanto loro. Come se quel momento fosse stato stabilito, a prescindere dalla loro volontà, e lo stessero capendo soltanto vivendolo.
Si costrinse a parlare, Kurt, quando tornò tra le sue braccia dopo una piroetta.
“Avresti dovuto essere con la tua famiglia... non che mi dispiaccia averti qui”, aggiunse in tono più dolce.
Notò quello scintillio del suo sguardo, lo stesso che lo attraversava nei momenti che lo rendevano più felice, più partecipe di quell'atmosfera romantica che tanto sognava nella sua quotidianità.
“Non ci sarei andato, neppure se mi avessero invitato”, fu l'arrogante risposta, probabilmente un espediente per rompere il silenzio, anche se sarebbe bastato continuare a stringerlo. A dispetto di tutto, compreso quel calendario nella camera di Kurt.
“Cosa?”, parve sinceramente spiazzato, ma rinsaldò la pressione intorno al suo collo.
Si strinse nelle spalle. “Non hanno ancora digerito l'idea che non mi piaccia Brigitte Bardot”, ironizzò su come il proprio coming out non fosse stato universalmente accettato.
Parve atterrito e mortificato, Kurt, che boccheggiò. “Oh, Sebastian, io-”.
“Non devi dire nulla: non sarei andato comunque”, si sorprese a dirlo esplicitamente, pur consapevole che stesse rischiando di avventurarsi in un terreno insidioso.
Parve irrigidirsi, Kurt, e Sebastian lo attrasse più vicino a sé, quasi sentisse lo strappo che sarebbe potuto conseguire a quella possibile declinazione del loro dialogo.
Non sembrava volerlo chiedere, Kurt, altrettanto consapevole che fossero in un precario equilibrio: quasi quel silenzio di parole in sospeso fosse una zona grigia che impedisse ad entrambi di sbilanciarsi oltre il legittimo. Come se non pronunciando espressamente quelle parole, esse non esistessero neppure nelle loro menti.
“Hai fatto tutto questo per me”, sussurrò con sorpresa più simile alla confusione che alla lusinga. Alla pura e semplice paura di scoprire che cosa vi fosse tra loro.
“Affatto”, si schermì con uno scrollo di spalle. “Domani rimorchierò qualcuno”.
“Perché?”, pareva turbato, Kurt.
Lo strinse più forte, Sebastian, ne inspirò il profumo di vaniglia, seppur si sentisse in trappola, non riusciva a pensare di lasciarlo andare. Non in quel momento, anche se era probabilmente dannatamente vicino al non ritorno. Al punto che avrebbe potuto rovinare tutto, se Kurt non avesse... non riuscì neppure a pensarlo.
Deglutì a fatica, ma lo trattenne e si sforzò di continuare a sondarne le iridi.
“Perché ti sconvolgerebbe l'idea?”, fu la semplice domanda, cercando di dissimulare i suoi reali intenti.
Kurt rimase senza fiato, immobile, gli occhi sgranati e le labbra tremanti. Ma non aveva fatto alcun cenno a volersi allontanare da lui, non pareva intenzionato a porre fine a quel contatto e quell'atmosfera, prima che uno dei due pronunciasse parole che non fossero più rimandabili.
“Sebastian”. Se una dolce esortazione a parlare o una supplica al non farlo, non lo avrebbe saputo dire.
“Kurt”, sussurrò di rimando, la voce ferma e sicura, quasi domandandosi se, dopotutto, la soluzione non fosse sempre stata tanto evidente. Persino palese agli occhi del giovane di fronte a sé.
Lo squillo del telefono sembrò provenire da un'altra realtà.
Sbatté le palpebre, Kurt che, quasi per istinto, trasse fuori il telefono dalla tasca della giacca.
“E' Blaine”, sussurrò, quasi fosse la risposta implicita ad una domanda che non era ancora stata posta.
Sebastian lo sentì scivolare dalla propria presa con uno sguardo di scuse.
Contò i propri passi, quelli necessari a tornare al proprio tavolo e sedersi come se nulla fosse accaduto. Contò i propri battiti, quelli necessari a comprendere che era tutto finito, ancora prima di poter iniziare.
Non attese che Kurt tornasse a sedersi, lasciò delle banconote sul tavolo e scese alla prima fermata del battello, perdendosi nel buio di Parigi.
Senza mai guardarsi dietro.

~

Ne ignorò lo sguardo sorpreso e l'aria stolida, cercò di domare quella voglia di colpirlo.
“Credevo che tornassi domani”, commentò soltanto, osservandolo con la stessa espressione circospetta con cui si sarebbe guardato il detonatore di una bomba.
“Dammi una tequila, Clarington”, il tono secco, ma non ne incrociò lo sguardo.
In verità, Sebastian in quel momento si trovava esattamente in quello stato d'animo in cui si sarebbe soltanto voluto fuggire dallo sguardo altrui e, al contempo, si disperava di non restare soli ed in balia dei propri pensieri. Non senza aver bevuto in quantità sufficiente a confonderli e renderli più sopportabili.
Sentì il telefono vibrare nella propria tasca, ma ignorò l'ennesima chiamata. Non era neppure necessario che controllasse il display, ma lo estrasse soltanto per spegnerlo.
Sorseggiò il drink, ignorando lo sguardo preoccupato e spiazzato del barista e lasciò vagare lo sguardo sulla sala affollata.
Ricambiò il sorriso del ragazzone di fronte al biliardo che stava sfregando del gesso sull'estremità dell'asta, con sguardo eloquente.
Forse, dopotutto, aveva appena trovato un modo interessante per smaltire il jet lag.



To be continued...

Ed eccoci alla fine di questa settimana, siamo anche agli sgoccioli del mese, ma non certo a quelli di questa fanfiction, anche se il finale non lasciava presagire nulla di particolarmente positivo. Ma mancano ancora sette mesi e mooooolte altre cose devono accadere :D
Quindi, lungi dall'angst, e sbirciamo il prossimo capitolo:

Almeno adesso mi parli ancora” “Io non ho mai smesso” “E' la prima vera conversazione che abbiamo da quella notte”.
Non essere melodrammatico” “Va' via”. “Kurt”.
Buona sbronza!” “Fottiti”.
Ti scarico a letto e torno al pub, sempre che non mi abbiano licenziato nel frattempo”. “Solo le zoccole scappano prima che sia giorno: come me”. “... vieni qua, zoccoletta”.


Prima che mi arrivi addosso qualche pomodoro, ci tengo a sottolineare che sto ancora ridacchiando, dopo aver riletto le bozze del prossimo capitolo. Contiene alcune di quelle che sono state le scene più divertenti da scrivere, specie se si simpatizza per un certo barista :)

Grazie come sempre a tutti coloro che mi stanno seguendo, siete voi che leggete i veri protagonisti. Adoro trovare i vostri commenti e struggimenti (in senso buono ovviamente u_u) e scambiare con voi qualche parola, speranza o supposizioni su come si svolgeranno gli eventi :)
Grazie di tutto cuore, spero di continuare a trattenervi per molto altro tempo.

Buon weekend a tutti :)
Kiki87



1Era da un po' che non citavo una delle mie band preferite, anche se non è proprio il testo più allegro del loro repertorio :D Per ascoltarne il brano e vederne il testo originale qui
2 Sebastian fa riferimento alla razza canina denominata appunto “volpino”, sia mai che si paragoni a Brittany. Ecco una fotografia per farvi un'idea. Ho scelto un cane di piccola taglia ma agile e scattante, per creare un contrasto coi bulldog (perdonami Nolan :D). volpino meticcio

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


6
Sono di nuovo qui.
A migliaia di chilometri da te.
Un disordine interrotto, solo pezzi sparpagliati
di ciò che sono.
Ho provato così tanto.
Ho pensato che avrei potuto farcela da solo.
Ho perso così tanto lungo la strada.

Sono qui annullato.
Ma tu dai un senso a ciò che sono.
Come pezzi di puzzle nelle tue mani.

Quando vedo il tuo viso,
so che sono finalmente tuo.
Trovo tutto ciò che ho creduto di aver perso.
Pronunci il mio nome,
vengo da te a pezzi,
così puoi completarmi.
(Pieces – Red1).


Settembre
(meno sei mesi al matrimonio)

Capitolo 6

Schiuse gli occhi con un mugugno e si passò una mano tra i capelli. Ci vollero diversi istanti perché si potesse abituare alla penombra, abbastanza da accorgersi di essere a casa di un perfetto sconosciuto. O almeno lo conosceva abbastanza da aver stabilito che poteva rappresentare una valida compagnia per una notte senza pensieri.
Si sfiorò la tempia, laddove il sangue pulsava ad una maniera quasi violenta. La penombra sembrava suggerire che il sole non era ancora sorto e fu rapido a sgusciare fuori dalle coperte per rivestirsi.
Gesti meccanici e abituali, un copione comune in quell'ultimo mese: dopotutto la fine dell'estate era stata più che gradevole.
Si abbottonò i pantaloni, insinuò la maglia e raccolse la giacca di pelle.
Il ragazzo ancora immerso nel torpore, si volse appena e ne sentì il lieve respiro, mentre abbracciava il cuscino su cui era appoggiata la sua testa pochi istanti prima. L'ennesimo volto che avrebbe dimenticato.
Sgattaiolò senza alcuna intenzione di incontrarne di nuovo lo sguardo e leggervi il biasimo o il giudizio. Dannati occhi azzurri.
Scosse il capo, storse il naso al percepire un profumo estraneo addosso e desiderò soltanto poter rientrare presto, lavarselo via ed iniziare l'ennesima giornata uguale alle altre.
Cercò di ignorare, ancora una volta, il pensiero che una notte di piacere non avrebbe annullato quella sensazione pungente. Anche quando il suo corpo fosse stato perfettamente lindo, avrebbe continuato a sentirsi sporco. Nel profondo. Laddove nessuno sguardo umano sarebbe mai riuscito a coglierne l'essenza.
Insinuò la chiave nella toppa ed entrò nell'appartamento addormentato. Lasciò cadere la giacca sul divano, ma lo sguardo fu attratto all'uscio chiuso della camera di Kurt, come se fosse qualcosa di naturale, non appena varcata la soglia di quello che a lungo aveva considerato il loro mondo.
Coprì rapidamente la distanza e indugiò di fronte alla superficie di legno, attendendo di percepire il suono ovattato del suo respiro. Con cautela, schiuse la porta a controllare, ma fu un letto vuoto quello che gli restituì lo sguardo.
Restò immobile per diversi istanti.

Quasi di comune accordo, non avevano più parlato di quella notte a Parigi.
Dopo molteplici chiamate ignorate, aveva risposto al telefono e all'angosciata ed esasperata domanda: “Perché mi hai ignorato? E' da ieri sera che provo a chiamarti”, aveva replicato in modo bieco.
Non volevo che fosse il telefono a vibrare, mentre stavo con uno”.
Kurt aveva trattenuto il fiato e quel lungo momento di silenzio, Sebastian lo avrebbe ricordato probabilmente per tutta la vita. Era stato quello l'istante che aveva cambiato tutto e aveva innescato quella distanza tra loro.
Probabilmente, e il pensiero non era consolatorio, ciò sarebbe comunque accaduto ed inevitabilmente, ma non avrebbe mai desiderato potersene dire il responsabile e tanto meno poter stabilire quale fosse stato l'inizio.
Scusa il disturbo”, era stata la seccata replica di Kurt. “Sono lieto che tu sia tornato a casa”, era certo che si riferisse alla promiscuità che tanto gli era oggetto di biasimo.
Aveva ignorato il nodo in gola, Sebastian. “Non credo di essermene mai andato”, aveva detto con estrema formalità, prima che Kurt riagganciasse.
Non aveva quasi più visto Mezza SegAnderson da allora, ma Kurt sembrava divenuto un ospite abituale del suo (loro) appartamento.
Ogni mattina apriva quell'uscio e si diceva di essere pronto a scorgere una camera vuota e tutti i suoi oggetti scomparsi, come se il suo mondo fosse stato soffiato via. Probabilmente sarebbe stato preferibile alla vuota cordialità di cui erano pregne le loro parole, in quei momenti in cui si sorprendevano a casa contemporaneamente.

Si guardò attorno e si lasciò cadere sul letto dell'altro. Rimirò lo stupido piano affisso al muro: lesse il numero impresso al countdown dei giorni e lo attanagliò una sensazione di nausea persino più intensa di quella percepita al proprio risveglio.
Si drizzò quasi bruscamente.
Non era più affar suo se Kurt voleva rovinarsi la vita in quel modo o se la sua sola missione di vita fosse diventare la mogliettina fedele e devota di Blaine Anderson.
Avrebbe soltanto dovuto continuare a ripeterselo, fino a quando non fosse stato più necessario e avrebbe finalmente tradotto quel pensiero in azione.
~

Ci sarebbe probabilmente voluta una scopata da record per smaltire la lezione di diritto di famiglia di quel pomeriggio: il fatto che si parlasse di matrimoni non ne aveva certamente giovato l'umore, almeno fin quando non si era introdotto il tema del divorzio.
Controllò l'orologio: c'era tempo di cambiarsi e mettere qualcosa sotto i denti, prima di avviarsi al pub e cercare un intrattenimento piacevole per scrollarsi di dosso l'ennesima pessima giornata.
Lo percepì appena varcò la soglia: il suono attutito dei movimenti dalla camera di Kurt. Nessuna giacca da hobbit in giro, lo constatò guardandosi attorno.
Si chiuse l'uscio alle spalle e ogni rumore cessò, come se Kurt si fosse congelato al sentire quel suono attutito.
Si fermò a sua volta, Sebastian, quasi nell'attesa di qualcosa. Qualcosa che facesse cessare quel silenzio insopportabile.
Sembrarono istanti lunghissimi di vana aspettativa, prima che scuotesse il capo.
Si avvicinò alla credenza per prenderne un bicchiere. Schiuse il frigorifero, quando i passi di Kurt ne attirarono l'attenzione.
Si volse: la pacata indifferenza (che Sebastian ostentava in quei casuali incontri domestici) era stata sostituita dall'inarcata delle sopracciglia, quando ne scorse il volto.
Sembrava tremare per l'agitazione, Kurt, ma gli occhi erano arrossati, come quando era vicino alle lacrime: che si trattasse di una crisi di nervi o un litigio col fidanzato, non avrebbe saputo dirlo.
La mascella era serrata, gli occhi lucidi, ma le labbra erano strette. Con un gesto secco, depositò sul bancone le riviste da sposa che nascondeva sotto il letto.
La mente di Sebastian parve spegnersi: ricordò perfettamente quel giorno di due mesi prima, quando si era premunito di pennarello e si era divertito a sfregiare visi di modelli in abiti nuziali.2
Non sembrarono necessarie parole: il bicchiere che aveva avvicinato alle labbra, fu presto depositato sul bancone e Sebastian trattenne il fiato.
Occorsero diversi istanti perché riuscisse a stirare le labbra nel suo sorriso più impudente, malgrado sentisse la gola secca.
“Abiti da sposa, Kurt, mi nascondi qualcosa?”, aveva gettato un'occhiata alla cinta con espressione allusiva, ignorando quell'improvvisa incapacità di sostenerne lo sguardo e le lacrime che sapeva che l'altro stava trattenendo a stento. Probabilmente per Blaine che avrebbe avuto l'ennesima prova del fatto che avrebbero dovuto cominciare a vivere insieme ed attendere non sarebbe servito a nulla. Soltanto, al contrario, a distruggere ciò che di buono avevano vissuto in quell'anno di convivenza, prima che lui ricomparisse nella vita di Kurt.
Strinse i pugni, Kurt, quasi a volersi dominare: avrebbe preferito che urlasse con la sua solita voce stridula o persino che abbandonasse la sua naturale attitudine per colpirlo fisicamente.
“Come hai potuto?”, lo sentì dire, la voce gutturale pregna di collera e di puro e semplice dolore. Nuovamente non riuscì a trattenersi dal rispondere con la medesima arroganza, quasi il suo parlare, per difendersi e schermirsi dall'esprimere i propri sentimenti, fosse indipendente dal vorticare confuso dei propri pensieri o da quei battiti convulsi.
“Semplice, una penna e un pennarello, trovi il viso che ti ispira e-”.
“Sono stanco, Sebastian”.
Sembrava esserlo davvero, al di là dell'indignazione per quell'episodio specifico, sembrava celarsi tutto ciò che non era mai stato detto. Tutto ciò che Sebastian non credeva di essere in grado di sopportare.
Si era stretto nelle spalle: “Devi pagare fino alla fine del mese, se vuoi andartene”.
Neppure sbatté le palpebre, Kurt, quasi quelle parole non fossero neppure state pronunciate, quasi non fosse stato interrotto, mentre lo guardava con viso mortalmente serio.
“Sono stanco che nonostante tutto, tu non abbia ancora il benché minimo rispetto per me e sono stanco di provare a giustificarti o ignorarti, sperando che tutto si risolva, quando finalmente ti deciderai a parlare con me”, si era allontanato dopo aver sollevato le mani in un gesto di resa.
Lo vide avvicinarsi all'attaccapanni per insinuare il soprabito, ma le dita gli tremavano troppo per riuscire ad abbottonarlo.
“Almeno adesso mi parli ancora”, si sentì dire con voce sferzante. Circumnavigò il bancone per avvicinarsi in rapide falcate, perché non se ne andasse così facilmente.
Lo vide irrigidirsi e aggrottare la fronte. “Io non ho mai smesso”, replicò con tono accusatorio, voltandosi bruscamente per osservarlo con le sopracciglia aggrottate.
Sorrise amaramente, Sebastian. “E' la prima vera conversazione che abbiamo da quella notte”, gli fece presente, il viso inclinato di un lato, a voler sondare tutto ciò che il solo ricordo sarebbe riuscito ad innescare.
Parve sbiancare, Kurt, ma ne sostenne lo sguardo. “Non ne hai diritto, non dopo che hai rovinato il mio weekend!”, fu la stridula risposta, additandolo con il viso arrossato per la rabbia e quel tremore diffuso.
Boccheggiò, Sebastian, i cui occhi s’ingrandirono in una frazione di secondo. Il suo cuore parve fermarsi e lo guardò incredulo, mentre cercava di cogliere il vero significato di quelle parole. Quanto la propria presenza, allora, fosse stata di troppo e come il ricordo di un momento tanto intenso fosse stato corrotto. Il solo pensiero era intollerabile.
Sentì qualcosa rompersi dentro di sé e se anche quell'epilogo fosse inevitabile, non era pronto ad accettarlo.
Cercò nuovamente di approntare il suo sorriso sarcastico, ma strinse i pugni lungo i fianchi, fin quando non sentì le unghie conficcarsi nel palmo della mano, quasi quel dolore fisico potesse mantenerlo lucido. “Se cenare e ballare con me-”.
Aveva scosso il capo, Kurt e parve altrettanto ferito alla sola idea che fraintendesse il suo pensiero.
“Non sto parlando di quello!”, fu l'aspra precisazione, prima che scuotesse il capo, cercando di ripercorrere quella serata.
“Non rispondevi alle mie chiamate, non ti sei neppure preoccupato del fatto che abbia passato un'intera notte angosciato per te”, cominciò con voce tremante, a rivelare quanto fosse stata terribile quella sua dipartita e tutto ciò che ne era seguito. “E poi sentirmi dire, con tanta arroganza, che te ne eri andato, lasciandomi tutto addosso”, terminò con pari angoscia ed incredulità.
Ignorò quel desiderio di ricoprire le distanze, stringerlo tra le braccia e lasciare che guardasse dentro di sé e potesse comprendere, quanto lo avesse ucciso trarsi indietro nel momento più importante della propria vita.
Scosse il capo. “Senso di colpa?”, lo incalzò con espressione trionfante. “Per non essere stato accanto a Blaine a sollevargli la fronte, mentre vomitava?”, indagò con le sopracciglia inarcate perché, per quanto si stesse odiando in quell'istante, non poteva non pensare che da allora si fosse allontanato ancora di più.
“Non si tratta di Blaine!”, era stato l'ennesimo urlo esasperato, le braccia che ricadevano lungo i fianchi.
Un verso d’incredulità e scosse il capo, additandolo. “Tutto riguarda Blaine, da quando hai quell'anello al dito”, si sentì dire e a stento riconobbe la sua stessa voce amareggiata e distorta. Cercò di ignorare quel nodo in gola. Ignorare quel bisogno di trattenerlo, ma continuando ad inondarlo della propria rabbia e risentimento, soltanto in parte destinate proprio a lui.
Che lo intuisse o meno, Kurt parve più indifeso che mai, ma scosse il capo. “N-Non tirarlo in ballo”, pareva una supplica.
“Sia mai che la coppia felice debba avere contatti con il mondo esterno e uscire dal proprio idillio”.
Si irrigidì, Kurt: sembrava sull'orlo del pianto, ma scosse il capo aspramente. “Non hai mai avuto il benché minimo rispetto per me”, la voce era ormai roca e quel velo di lacrime era in sospeso sulle lunghe ciglia, ma nessuna scivolò sul volto diafano. “E sono stanco di fingere che questo non mi ferisca”.
Aveva scosso il capo, aprendo la porta, quasi non riuscisse più a sostenerne neppure la vista.
Sentì la mascella contrarsi, Sebastian, ma ne osservò le scapole: “Quindi adesso scappi?”.
Si volse appena, Kurt, un ultimo sguardo colmo di rassegnazione, di esasperazione e di delusione. Scosse il capo: “Magari ho imparato dal migliore”, sussurrò soltanto e la porta si richiuse con un lieve tonfo alle sue spalle.
Qualche attimo di silenzio nel quale cercò di respirare normalmente. Si allontanò dall'ingresso e si lasciò cadere sullo sgabello, continuando ad osservare un punto indefinito.
Le ultime parole di Kurt continuarono a riecheggiare nella sua mente ma, con un gesto pigro, prese la prima rivista dalla pila abbandonata sul bancone, le sopracciglia aggrottate.
Il suo cuore sembrò fermarsi, quando lesse la firma in calce sulla prima pagina che non aveva mai visto prima.
Elizabeth Hummel,
Wedding Planner.
Sentì il respiro mancargli e dovette sostenersi il viso, ravviandosi i capelli, mentre la nausea lo assaliva nuovamente.

~


Non aveva sentito Kurt rientrare: la musica pulsava ad un volume assordante. Reggeva in mano l'ennesima bottiglia di birra ed osservava con un ghigno gli invitati sbronzi, tra i quali spiccava Santana Lopez letteralmente avvinghiata a Sam Evans, a cui piedi vi era un tipo coi capelli alla Justin Bieber (chi era a proposito?) che stava facendosi trascinare, attaccato alla sua caviglia.
Soltanto quando si sentì picchiettare alla spalla, si volse, già pronto a respingere l'ennesima avance di Dave, quando incontrò lo sguardo ricco di disappunto di Kurt. Aveva incrociato le braccia al petto in quella proverbiale attitudine di rimprovero e sarebbe stato comico l'espediente del vederlo muovere le labbra senza coglierne le parole, se non fosse stato certo che il melodramma era imminente.
Non ti ho sentito”, cercò di sovrastare la musica e le minacce spagnole di Santana ai danni del terzo incomodo.
Alzò gli occhi al cielo, Kurt, e quando gli allungò la bottiglia di birra con evidente significato, si allontanò senza più guardarlo. Sospirò, Sebastian, che si affrettò a seguirlo, mentre camminava impettito verso la sua camera. Si sarebbe sicuramente chiuso tra quelle pareti, se non avesse trovato la coppietta, più che impegnata sul suo letto.
Scattò all'indietro, Kurt, con un urletto da donna isterica, che riscosse i due amanti. Le guance rubiconde, con un gesto imperioso, indicò il salotto: “Fuori”.
Come hai detto, amico?”, fortunatamente lo sconosciuto spaccone indossava ancora i boxer, quando gli si avvicinò per torreggiarlo.
Fuori dal mio letto”.
Al sorriso sferzante dell'altro, fu Sebastian a frapporsi tra i due e ripetere l'ordine. Scosse il capo, il ragazzo, sollevando le mani e facendo un cenno alla giovane che, le guance in fiamma, si era ricomposta abbastanza in fretta per uscire.
Come hai potuto?”, lo additò Kurt con voce ancora incredula, fissando il proprio letto con aria nauseata.
Non sapevo che fossero qui”, si giustificò, cercando di non lasciarsi sfuggire un sorrisino.
Dovrò... disinfettare tutto, anzi, no, sarò costretto a bruciare le mie lenzuola di seta e tutto per colpa tua!”, lo additò con aria esasperata.
Alzò gli occhi al cielo, Sebastian, ancora una volta sembrava evidente che Kurt Hummel non aveva idea di cosa significasse essere giovani e spensierati. “Te le comprerò nuove, rilassati”.
Il consiglio parve stizzirlo persino maggiormente. “Rilassarmi?”, ripeté con voce grondante di sarcasmo e di incredulità. “Ho trovato due a fornicare sul mio letto!”, gridò con voce stridula.
Inarcò le sopracciglia, quasi non cogliesse l'implicazione per poi sollevare le mani, con aria pacata. “Puoi dormire nel mio, senza me dentro”, un sorrisino voluttuoso nell'osservarlo. “Anche se il bonus è molto a tuo favore”.
Un'occhiata sprezzante, le braccia incrociate al petto: “E rischiare un numero maggiore di fluidi corporei?”.
Molto lusinghiero”, gli sorrise affettato. “Ma dovresti saperlo che non amo condividere il mio materasso”.
Scosse il capo, Kurt, evidentemente esasperato da quello scambio d’opinioni irrilevanti, rispetto alla questione principale. “Come ti è saltato in testa?”.
Era una festa, Kurt”, ripeté, sollevando gli occhi al cielo. “Ti farebbe bene rilassarti, sempre che tu ne sia capace”, commentò ironicamente, pensando alle molteplici attività che gli riempivano la giornata, dai corsi alla Nyada, al tirocinio fino al lavoro in caffetteria.
Gente ubriaca, che fa sesso in ogni antro, sporca la casa, fa rumore e rischia di distruggere le nostre suppellettili ballando, tu lo chiami relax?”.
Un sorriso soddisfatto. “Vedo che apprendi rapidamente”.
Avresti dovuto chiedermelo!”, fu l'esasperata replica di Kurt, ormai tremante per la rabbia.
Cioè avrei dovuto chiederti di fare quello che voglio nel mio appartamento, ho capito bene?”, gli domandò con la baldanza di un futuro avvocato alle prese con un soggetto al banco dei testimoni, incapace di difendersi.
Pago l'affitto e ho diritto di dire la mia, contribuisco alle spese, senza contare che sono sempre io che mi assicuro che sia tutto in ordine e pulito”.
Se hai manie ossessivo-compulsivo per la pulizia, non puoi accusarmi di-”.
Tu non mi rispetti! E andiamo oltre il non fare la spesa o lasciare lo specchio sporco di condensa, non asciugare la doccia, lasciare i tuoi abiti sporchi sul pavimento del bagno e-”.
Sospirò, Sebastian e sollevò gli occhi al cielo, con aria evidentemente annoiata per il prolungarsi della conversazione e con simili toni polemici. “Non essere melodrammatico”.
Fremette, Kurt, le cui labbra tremarono, ma si incupì. “Va' via”, sussurrò soltanto, indicando il soggiorno.
Sbatté le palpebre, Sebastian, sorridendo incredulo. “Kurt”, lo richiamò, sollevando le mani.
Fino a prova contraria questo è il mio spazio: torna alla tua festa e nel resto della tua casa”, continuò con voce ancora più stridula, ma lo sguardo dardeggiante.
Strinse la mascella, Sebastian. “Bene, chiamami quando il tuo ciclo sarà finito”, lasciò cadere le braccia sui fianchi ed uscì rapidamente.
Non rispose, Kurt, ma si sedette sulla poltrona di fronte alla scrivania, le braccia incrociate al petto e lo sguardo accigliato.
Sebastian sbuffò e si chiuse la porta alle spalle.
Sorseggiò la birra, più che deciso a riprendere la festa. Anche se tutto il suo buon umore si era appena dissolto. Anche se una parte di sé continuava ad osservare la stanza da cui era appena uscito.

~

Entrò nella confusione generale, ignorando volti noti e qualche sorrisino malizioso. Scansò, con un gesto secco, chiunque avesse cercato di cingergli il braccio, alludendo ad una notte trascorsa insieme nell'ultimo mese.
Si diresse verso il bancone: la vista del dottorino impegnato a cicalare, munito della sua migliore (peggiore) espressione flirtante, con la biondina appollaiata sulla superficie di legno, gli fece stringere le labbra.
Si sedette di malagrazia sullo sgabello, facendoli sussultare entrambi.
“Dammi un whisky”, sbottò in direzione del barista a mo' di saluto.
Sbatté le palpebre, Hunter, sorridendo alla giovane con aria di scuse, prima di rivolgersi all'altro, dopo che sembrò scendere nuovamente nella terra dei comuni mortali. Inarcò le sopracciglia, con aria stranita, nell'osservare il proprio orologio: “Sono appena le 20”.
“Non ti ho chiesto l'ora, SfinterHunter: dammi quel cazzo di whisky”, scandì ogni parola con voce secca e lo sguardo truce.
Trasalì, Brittany, che assunse un cipiglio scandalizzato, le mani appoggiate sui fianchi, nella pallida imitazione di una mammina o di un'insegnante d'asilo. “Non si dicono le parolacce: chiedi scusa”, lo ammonì come avrebbe fatto con un bambino scapestrato.
Socchiuse gli occhi, Sebastian, emettendo un sospiro pesante, ma si limitò a gettarle un'occhiata sprezzante, le sopracciglia aggrottate: “Non hai un costume succinto in cui strizzare quel poco che hai da offrire? E non sto certo parlando della tua carente materia cerebrale”, aggiunse con un sorrisetto perfido.
“Sebastian!”. Fu il richiamo di Hunter, la mascella serrata e lo sguardo irritato.
Sbatté le palpebre, Brittany, ma scosse il capo e scese dal bancone con un sorriso gentile nei confronti del barista. “Non fa nulla”, ribatté in tono tranquillo, pur guardando Sebastian con aria mortalmente offesa. Sospirò e scosse il capo.
“Sembra Lord Tubbington, quando è stitico da una settimana”, commentò con leggerezza, quasi gli stesse facendo una grande confidenza. Ondeggiò la mano in segno di saluto e si allontanò.
Attese qualche istante, Hunter, perché la ragazza raggiungesse l'amica latina, prima di rivolgere un'occhiata glaciale al nuovo arrivato. “Passi prendersela con me, ormai ci sono abituato”, si era stretto nelle spalle, ma il cipiglio era più furioso che mai. “Ma potresti usare un minimo di tatto almeno con Brittany”.
Lo fissò con aria persino più schifata, Sebastian. “Risparmiami la morale: saresti il primo a deriderla, se non volessi scopartela”, fu la secca risposta.
Si contrasse pericolosamente la mascella di Hunter, la carnagione assunse una tonalità rosata e parve doversi controllare, a giudicare da come strinse i pugni e parve voler sbriciolare la bottiglia che teneva ancora tra le mani. Con un notevole sforzo, l'appoggiò sul bancone e trasse un profondo respiro, ma incrociò le braccia al petto e lo guardò accigliato.
“Che cosa è successo?”, domandò con voce più rigida.
“Le tue psicanalisi puoi infilartele su per il culo, dammi un bicchiere di whisky e torna ad amoreggiare con la capoclasse della quarta elementare”.
Era stato un gesto fulmineo quello con cui Hunter lo aveva preso bruscamente per il colletto, i lineamenti del suo volto parevano granitici e lo sguardo era animato di un'inusuale ira che lo rendeva stranamente inquietante. Improvvisamente la vista dei bicipiti nudi non era più soltanto un pretesto per considerarlo omosessuale.
“Cominci a stancarmi, Sebastian”, lo avvertì in tono glaciale.
“Mi sto quasi eccitando, vuoi colpirmi?”, lo provocò con un sorrisetto di sbieco.
“Sarebbe farti un favore”, lo lasciò andare con una smorfia, ma prese una bottiglia dallo scaffale alle sue spalle e l'appoggiò sul bancone con un calice vuoto. “Serviti pure: non ho intenzione di farti da complice o tanto meno da psicologo. Buona sbronza”.
“Fottiti”.
Lo ignorò, Hunter, la mascella ancora serrata.


Il mondo sembrava diventare molto più piacevole dopo qualche bicchiere: decisamente era tutto più divertente e bello. Non sapeva esattamente quando la bottiglia fosse finita (e aveva provato più volte a reclinarla per farne uscire le ultime gocce), ma era la testa non era mai sembrata così leggera. Forse di quel passo avrebbe anche cominciato a galleggiargli in aria. L'idea lo fece sorridere persino più divertito. Avrebbe potuto persino pensare di unirsi agli altri e sculettare sulle note di Lady Gaga o qualsiasi altra cosa stesse facendo a gara con le sue tempie per pulsare qualcosa simile ad un costante “tunz tunz tunz”.
Almeno fino a quando non si ritrovò chino sul bancone, la nausea ad attanagliarlo e il mondo che cominciava a diventare in 3D a giudicare dalla tripla visione di ogni oggetto. Cercò di rimettersi eretto, quasi cadendo di peso sulla superficie.
Stava ripulendo il bancone, Hunter Clarington, l'aria placida nel rimuovere il boccale e gettare la bottiglia vuota nel cestino del vetro. Gli scoccò appena un'occhiata in tralice: “Dovresti svenire entro un'ora”, lo informò dopo aver controllato l'orologio da polso.
Rise, Sebastian, sollevando lo sguardo e cercando di capire quale dei tre volti fosse quello giusto. Allungò il braccio sotto lo sguardo scettico dell'altro. “Ha a che fare con Kurt, vero?”, gli chiese, scostandosi per non essere sfiorato dalla mano protesa.
Rise ancora, Sebastian: “Lo so che vuoi sbottonarmi... sei un porco”, aveva commentato con voce più languida, sporgendosi in sua direzione.
Sospirò, Hunter, sollevando gli occhi al cielo con l'aria di chi aveva sentito ben di peggio e probabilmente non soltanto da lui. “Sei venuto in auto?”.
L'imitazione del motore (“Bruuuuum, Bruuummm, Bruuuuuum!”) parve una risposta eloquente e il barista allungò la mano vuota.
“Dammi le chiavi”, lo esortò con lo stesso tono incoraggiante con cui un genitore avrebbe convinto il figlio che la vaccinazione fosse qualcosa di positivo e persino di salutare.
“Cercale da solo”, rispose con voce ridente. “Lo so che non vedi l'ora di frugarmi tra le tasche”, aggiunse con la stessa aria maliziosa, ammiccando voluttuosamente.
Sembrò a stento trattenere l'espressione di puro disgusto, Hunter, ma sospirò e circumnavigò il bancone, borbottando qualcosa come: “Se lo fermano o si schianta, sarai licenziato e dovrai vivere sotto il ponte di Brooklyn”. Sembrò ripeterselo come un incentivo per completare la sua buona azione quotidiana.
Lo studiò come se fosse un caso clinico, prima di cercare nella giacca che aveva lasciato su uno sgabello vuoto.
Rise, Sebastian, scoccandogli un'occhiatina languida: “Acqua”.
Strinse le labbra, Hunter, ma sospirò e, con l'aria di chi si stava preparando ad esaminare la prostata di un perfetto estraneo, allungò la mano verso la tasca dei jeans. Sospirò con aria disperata, probabilmente invocando qualche divinità, prima di insinuarla all'interno.
“Oh, sì, più a fondo, così!”, non si curò neppure di abbassare la voce, socchiudendo gli occhi ad imitare l'appagamento in ben altro contesto.
“Smettila, coglione”, borbottò con voce contraffatta dall'imbarazzo, le guance visibilmente colorate. “Non ti sto neppure toccando!”, specificò come se l'altro fosse in procinto di eccitarsi per qualche film mentale nel quale non voleva essere una sgradita comparsa.
Rise più forte, Sebastian, dimenandosi e costringendolo a cingerne il fianco.
“Sta fermo un dannato secondo”.
“Mhm... sì, sei vicino”, aggiunse con voce enfatica.
“Quanto vorrei spaccarti la faccia”, ringhiò per risposta.
“Ti piace violento, lo sapevo”, sussurrò al suo orecchio, schivando il colpo che aveva mirato al suo viso.
Sorrise, Sebastian, l'aria voluttuosa, prima di incrociare lo sguardo della biondina che si era avvicinata alla postazione del bar con aria allegra. Si era immobilizzata alla visione dei due ragazzi, gli occhi sgranati nel guardare Sebastian contorcersi, mentre l'altro era ancora chino a cercare di tastarne l'altra tasca.
“Non credi che quel neo sia sexy?”, le chiese Sebastian con aria confidenziale, alludendo alla macchiolina sulla porzione di collo nudo, sotto la nuca. “Lo sai? Ne ha parecchi altri, ma non ti dico dove”, ammiccò con aria complice.
“Finalmente!”, mormorò trionfante, Hunter, un mazzo di chiavi tra le mani e l'espressione compiaciuta di sé.
Sebastian sogghignò. “Questo dovrei dirlo io, non credi?”.
Non lo stava ascoltando, Hunter. Gettò un'occhiata a Brittany, quasi avesse notato soltanto in quel momento d’essere oggetto della sua sconcertata e confusa espressione. Alternò occhiate da Sebastian a Brittany, da Brittany a Sebastian per almeno trenta secondi.
“Cazzo”, commentò, per poi affrettarsi a scostarsi dal ragazzo. “Non è come sembra!”, esclamò per poi inorridire delle sue stesse parole. “Oddio, è la frase peggiore che si possa dire in queste situazioni”.
Gli sorrise dolcemente, Brittany, l'aria candida e serena nel sollevare le mani. “Non devi dire nulla: scusami Sebastian, non avevo capito che non sei uno scorbutico cattivo. Sei solo uno scorbutico innamorato”, aveva sospirato con aria trasognata. Uno sguardo intenerito nell'osservarli come se li scorgesse solo in quel momento, battendo le mani con aria serena.
Dall'altra parte del salone, sul palco, Santana Lopez imprecò in spagnolo nel bel mezzo del suo assolo, suscitando non pochi sguardi interdetti tra gli astanti.
“Io non sono innamorato”, sembrò ridestarsi Sebastian, appoggiandosi a Hunter nel tentativo di rialzarsi e il viso si contrasse in una smorfia. “Smettetela di dirlo!”, aggiunse in tono lamentoso. Si appoggiò alla spalla dell'amico per non cadere riverso sul pavimento.
“Non lo è”, si era affrettato ad aggiungere Hunter che cercò di scrollarselo di dosso perché si appoggiasse al bancone. “Cioè, lo è, ma del suo coinquilino, è una storia lunga”.
“Me la racconterete, ora devo tornare sul palco”, lo indicò, senza evidentemente notare che Santana Lopez era a stento trattenuta alla vita dal fidanzato (una fortuna che fosse un giocatore di football professionista) e si stava sbracciando, quasi volesse raggiungere il bancone e intervenire violentemente.
Ciao delfini”, trillò come saluto finale.
Si levò dal bancone, Sebastian, ridendo con aria sguaiata.
Hunter si volse, il viso rubicondo ma la mascella serrata. Incrociò le braccia al petto con aria impettita che lo rendeva stranamente più infantile. “Che cazzo hai da ridere?”, borbottò in sua direzione, la testa che sembrava gonfiarsi come un buffo cartone animato, rendendola sproporzionata rispetto al corpo.
“Ti ho fottuto”, replicò Sebastian. “Senza fotterti: ti ho fottuto senza fotterti”, rise lui stesso del suo gioco di parole di scarsa intelligenza, quasi inciampando. “L'hai capita, eh?”.
Cadde di nuovo con la faccia sul bancone e un gemito di dolore per l'impatto della mano del barista sulla propria nuca.
Si pulì le mani con aria chirurgica e compiaciuta, Hunter, prima di stringersi nelle spalle. “Ne valeva la pena”, commentò tra sé e sé per poi gettare uno sguardo disperato in direzione della biondina e strofinarsi una mano sulla fronte.
Avrebbe dovuto rimandare il proprio dramma personale. Ancora una volta.
“Stillman”, richiamò il ragazzo impegnato a cicalare con il buttafuori e gli indicò il bancone. “Sostituiscimi”.
Sgranò gli occhi il ragazzo che non si era mai avvicinato, se non per qualche ordinazione. “Ma-”.
“Fallo e basta”, gli ringhiò contro e l'altro lo guardò interdetto, evidentemente non avvezzo ad una simile espressione truce, ma neppure volenteroso di sfidarne la pazienza.
Prese il braccio di Sebastian per appoggiarselo dietro al collo e lo issò con la mano sul suo fianco, lieto che fosse ancora privo di sensi. “Andiamo, wiskeycomane”.
“Kurt”, mugugnò Sebastian tra la veglia e il sonno.
“E poi ti stupisci se vuole sposare Blaine”, borbottò con aria polemica, sollevando gli occhi al cielo e facendosi largo tra la persone in pista da ballo.
“Ehi, ti ho sentito”, mugugnò con tono puerilmente offeso, gli occhi socchiusi.
Si strinse nelle spalle, un vago sorriso compiaciuto per la piccola soddisfazione. “Mi hai fottuto con Brittany”, sussurrò.
Il viso di Sebastian si contrasse. “Ho avuto threesome migliori”, borbottò con aria disgustata. “Ahia!”, piagnucolò di nuovo.
“Sì, ne valeva ancora la pena”.

~

Il vortice della festa era ormai dimenticato: Sebastian osservò il biondo dalle labbra di scorfano (ma pettorali notevoli, come aveva appurato, quando Santana Lopez aveva cercato di spogliarlo), portare via la fidanzata, coricandosela in spalla. Soltanto allora lasciò vagare lo sguardo sul caos del soggiorno, ma fortunatamente nessuno degli oggetti di Kurt era stato oggetto di un'improvvisata partita di football tra ubriachi, organizzata dal buttafuori del locale.
Osservò la camera del giovane con le sopracciglia aggrottate, impiegò qualche istante a trovare la giusta risoluzione ma, finalmente, si avvicinò all'uscio. Sollevò la mano per bussare: sai mai che fosse motivo di un'altra melodrammatica reazione da donna mestruata.
Puoi entrare: è casa tua”, fu la polemica autorizzazione di Kurt.
Sogghignò, Sebastian, ma fu lesto a mascherare il divertimento ed assumere un'espressione indifferente.
Non era preparato, tuttavia, a ciò che vide, appena schiuse l'uscio: Kurt aveva riordinato tutte le suppellettili in una mezza dozzina di scatole e stava tuttora piegando degli abiti da riporre nelle valigie.
Sbatté le palpebre, le sopracciglia inarcate: “Vai in vacanza?”.
Non lo guardò neppure, Kurt, continuando ad occuparsi dei vestiti, stringendosi nelle spalle. “Me ne vado, ma tranquillo: pagherò l'affitto del mese”.
Un verso di divertimento e scosse il capo, con aria incredula. “Un po' melodrammatico”.
Voglio evitare i veri drammi: abbiamo fatto il nostro periodo di prova ed è evidente che non siamo compatibili”, sancì Kurt senza neppure guardarlo, continuando ad ordinare i propri abiti con aria evidentemente stanca.
Torni a fare il figlioletto prediletto di Rachel?”.
Sollevò il capo solo per riservargli lo stesso sguardo glaciale del giorno in cui si erano conosciuti. “Se anche fosse, non sarà più un tuo problema”.
Sbuffò, Sebastian, prima di avvicinarsi e togliergli di mano un pullover. Ne scrutò i disegni geometrici e gli orli ridefiniti, inarcando le sopracciglia come a chiedere: “Sei serio?”.
Incrociò le braccia al petto, Kurt: “Chi di noi è l'esperto di moda?”.
Scrollò le spalle, Sebastian, che gettò il maglione sul letto, prima di rovesciare la valigia già colma d’abiti.
Cosa... Sebastian!”, strillò con quell'odiosa voce in falsetto. “Lascia le mie cose: è evidente che non mi vuoi con te, perché dovrebbe importarti?”, gli chiese, recuperando il proprio bagaglio.
Incrociò le braccia al petto, Sebastian: “Tu non andrai da nessuna parte”.
E' evidente che mi consideri un coinquilino solo quando si tratta di cucinare, fare la spesa e non far sesso con me”, l'ultima istanza l'aggiunse a chiarire che, tuttavia, era dovuto alla propria imposizione in merito.
Sorrise, Sebastian, il viso inclinato di un lato: “Ti sei appena descritto come mia moglie”.
Arrossì, Kurt, ma con uno sbuffo recuperò i propri abiti già piegati.
Sebastian lo cinse, attirandolo a sé. Gli occhi azzurri di Kurt erano sgranati, le labbra schiuse, il ridicolo anello a forma di papillon al dito3 e la fragranza stucchevole alla vaniglia parve inondarlo. Ma non lo lasciò.
Non voglio che tu te ne vada”, sussurrò guardandolo dritto negli occhi.
Perché?”, domandò Kurt a mo' di sfida, malgrado ancora le sue guance fossero di un colorito più acceso a quell'intima vicinanza.
Sapeva che da quella risposta sarebbe dipeso tutto. Altrettanto bene che non avrebbe mai pronunciato parola su come tutto di lui fosse divenuto... familiare. Quanto avesse condiviso con lui in poche settimane, come mai con nessun altro, da che aveva lasciato Parigi.
Quanto, pur non avendolo mai sfiorato, conoscesse di lui: i rituali prima di dormire, il modo in cui si allacciava la cravatta con sguardo perso, già cercando di fare una lista mentale delle cose da fare. Il suo canticchiare sotto la doccia o in cucina, quando era particolarmente di buon umore. Lo scegliere gli abiti a seconda dello stato d'animo, il criticare le sue abitudini alimentari, il suo stile di vita e il suo gusto nel vestire.
I commenti pungenti di fronte ad un lavello pieno di stoviglie sporche o i vestiti abbandonati sul pavimento del bagno.
Tutto ciò che era divenuto casa. Il sapere che avrebbero discusso sulle stesse stupide cose, che lo avrebbe trovato a piangere il Venerdì sera su qualche film, in attesa che il fidanzato lo contattasse su skype. O i momenti in cui dormiva e quel sorriso ne sfiorava le labbra.
Mi sono abituato a te”, ribatté in tono sferzante, stringendosi nelle spalle. “Sei il peggio che mi potesse capitare”.
Sollevò gli occhi al cielo, Kurt e strinse le labbra con espressione risentita. Più per il fatto che non potessero affrontare seriamente una discussione, che per la risposta di per sé.
Lasciami andare”.
Ma non voglio nessun altro”, aggiunse Sebastian con sguardo più intenso, quasi volesse fermarlo e farlo desistere dalle sue intenzioni iniziali.
Lo guardò sospettoso, Kurt, quasi aspettandosi un'altra frase a trabocchetto. Parve non trovarla, ma sospirò: “Organizzerai un'altra festa a mia insaputa?”.
Non potrei comunque scopare nessuno per il tuo udito delicato”, replicò in tono incurante, ma il sorriso che già ne increspava il viso alla realizzazione che non se ne sarebbe davvero andato.
Rispetterai i turni di spesa, lavaggio e-”.
Non esageriamo”.
Sbuffò, Kurt, facendo per scostarsi, ma Sebastian lo trattenne: “Lo sai che ti mancherei troppo”. C'era un'incrinatura più dolce nella piega delle labbra. Un modo del tutto personale di fargli comprendere che sarebbe stato lui per primo a non sentirsi più a casa, in sua assenza.
E ciò che era paradossale, era che Kurt sembrava capirlo. Sospirò, infatti: “So già che me ne pentirò... di nuovo”.
Bene, disfai tutto: fingerò di riordinare il salotto e poi andremo a cena fuori”, sorrise tra sé, per poi chinarsi a baciarne la guancia. Un modo più semplice e meno goffo di porgergli delle silenziose scuse. Un ottimo pretesto per inspirarne nuovamente il profumo e saggiare con le labbra la sua pelle soffice e delicata.
Visto? Abbiamo appena fatto pace senza sesso: come marito e moglie”, sussurrò, indugiando contro il suo orecchio.
Lo spintonò via, Kurt, ma sostava un sorriso sulle sue labbra, prima che assumesse un'espressione risentita: “Mi hai stropicciato il pullover”.
Credevo fosse una camicia da notte”.
Pervertito”, lo ammonì.
Rise divertito in risposta, prima di scrollare le spalle:“Travestito”.
Arrossì con aria sdegnata, Kurt:“Idiota”.
Assunse una finta espressione esasperata e stoica: “Sì, amore”.


~

Il mondo sembrava moooolto più leggero, anche se aveva una vaga sensazione di nausea. Tutta colpa del dopobarba di SfigHunter. Oh, che carino quel nuovo nomignolo, doveva aggiungerlo alla lista. Rise tra sé, ignorando l'occhiata tra lo scettico e lo schifato dell'altro.
Era riuscito ad estrargli l'indirizzo e stava cercando di orientarsi nella zona residenziale, per trovare il suo appartamento.
Quello sembrò rianimare Sebastian che guardò l'edificio familiare: “Kuuuuuurt”, cominciò a piagnucolare, cercando di scostarsi dall'altro, barcollando in quella direzione come uno zombie sbronzo. “Le luci sono spente!”, piagnucolò con voce risentita, tirando su con il naso, come se si fosse appena profuso in un lungo pianto. “Deve essere da Sega, Seghetto, Seghobbit”.
Hunter si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, pur tornando a sostenerlo, per evitare che si spalmasse contro il muro di una delle case circostanti. “Ti scarico a letto e torno al pub, sempre che non mi abbiano licenziato nel frattempo”, aggiunse tra sé. In realtà una parte di sé cominciava seriamente a sperarlo.
“Solo le zoccole scappano prima che sia giorno: come me”, s’indicò e riprese a ridere.
Sospirò per l'ennesima volta, Hunter. “Vieni qua, zoccoletta”.
“Sono la tua sporcacciona”.
Alzò gli occhi al cielo, Hunter, ma riuscì ad afferrarlo nuovamente e trascinarlo fino all'ingresso. Studiò con aria clinica la serratura e cominciò a cercare tra il mazzo di chiavi, imprecando di fronte all'esagerata quantità: “Sono le chiavi di tutti gli amanti dell'ultimo mese?”, gli abbaiò contro.
“Kuuuuurt”, riprese a lagnare, Sebastian, appoggiando il capo contro l'uscio e bussando.
“Fossi in lui cambierei serratura”, borbottò l'altro, sistemandosi meglio gli occhiali e provando ad inserire la terza chiave.
Fu in quel momento che l'uscio si schiuse e Kurt apparve in vestaglia: evidentemente risvegliatosi, aveva gli occhi ancora gonfi di sonno e i capelli scarmigliati.
“Kurt!”, si rianimò, Sebastian, che barcollò verso di lui con le braccia tese.
Inarcò le sopracciglia, Kurt, quando si appiattì contro la porta, continuando ad invocare il suo nome.
“Tu devi essere Kurt”, commentò il barista con aria ironica, osservando Sebastian che stava ancora cercando di avvicinarsi all'altro, senza accorgersi che il proprio piede era d’ostacolo all'apertura totale della porta. “Hunter Clarington, piacere”, allungò la mano e gli porse il mazzo di chiavi.
“Mi inquieta che uno dei suoi amanti conosca il mio nome”, lo accolse Kurt con le sopracciglia inarcate e l'aria tacita di rimprovero per aver tratto vantaggio da un ragazzo sbronzo. “Ma sei anche il primo che almeno lo riporta a casa”, aggiunse a mo' di concessione.
“Io non sono gay!”, sbottò Hunter, le guance colorate. “E probabilmente da stasera non sarò più neppure un barista per colpa sua”, fu la scandalizzata replica, prima che Sebastian trovasse il Kurt giusto per affondare contro la sua spalla, continuando a ripeterne il nome, come fosse indispensabile per sentirsi nuovamente in pace con se stesso.
Sospirò quest'ultimo, quasi schiacciato contro il suo peso morto, le labbra contratte in una smorfia per l'odore che emanava, tutt'altro che piacevole. Si rivolse all'altro: “Ti dispiacerebbe aiutarmi?”.
Lo condussero alla sua camera e Sebastian si gettò sul proprio letto, abbracciando il cuscino e restando immobile, probabilmente dopo aver perso nuovamente i sensi.
“Posso offrirti un caffè?”, chiese Kurt con insolita dimestichezza, considerando le circostanze tutt'altro che usuali nelle quali si erano trovati invischiati.
“No, grazie”, ribatté il barista che pareva ansioso di uscire. “Non vederlo fino a domani sarà già una ricompensa”, aggiunse con un sorriso ironico.
Ne ricambiò il sorriso, Kurt. “Beh, grazie ancora, Hunter: sei stato molto gentile”, l'aveva accompagnato all'ingresso, trattenendo i lembi della vestaglia con la mano.
“Non ti conosco, ma da quel poco che so di Sebastian o sei un santo-”.
“Sto rivalutando la mia immagine”, ribatté Kurt vagamente divertito.
Non ne ricambiò il sorriso, Hunter, ma lo scrutò con espressione pensierosa, le sopracciglia inarcate e le braccia incrociate al petto: “O sai ciò che prova davvero per te”.
Parve senza parole, Kurt. Doveva essere particolarmente shockante essere giudicato da una persona estranea che, tuttavia, sembrava conoscere molto di sé.
Distolse lo sguardo, le guance più rosate, ma l'espressione rigida nel fissare la camera in cui avevano abbandonato il ragazzo ubriaco.
Hunter si affrettò a sollevare le mani, con atteggiamento neutrale, dopo aver occhieggiato una sua foto con Blaine, affissa alla parete. “A proposito, auguri per il fidanzamento”, aggiunse in tono gentile.
Si sforzò di sorridere con la stessa naturalezza, Kurt. “Grazie e... Hunter?”.
“Sì?”, ancora sulla soglia, si era voltato ad osservarlo, con aria colma d’aspettativa.
Probabilmente sperava in un ulteriore e accorato ringraziamento, magari persino la proposta di rimborsargli il disturbo, le bibite che Sebastian aveva bevuto a scrocco (con tanto di mancia per la sua sopportazione storica), o una confessione con cui avrebbe potuto ricattare Sebastian a vita.
“Per esperienza personale: negare di essere gay non aiuta, specie con una canottiera del genere”, la indicò con un cenno del mento e scosse il capo. Un ultimo sorriso di ringraziamento e aveva chiuso l'uscio di fronte ad uno shockato barista.
“Io non sono gay!”, sbottò di nuovo contro la porta, prima di scuotere il capo e abbandonare le braccia lungo i fianchi.
Per quella sera aveva decisamente sopportato fin troppo.

~
Non seppe quanto tempo fosse passato, Sebastian, prima che l'odore di vaniglia lo inducesse a schiudere gli occhi. Era ancora tutto buio, ma riusciva a scorgere il volto di Kurt, mentre lo girava per poi rimboccargli le coperte, dopo avergli tolto le scarpe.
“Kurt”, sussurrò con voce più rauca e, con un gesto impacciato, lo attrasse a sé, trascinandoselo addosso e affondando il viso contro il suo collo.
“Sebastian”, lo sentì agitarsi, in evidente imbarazzo. “Lasciami”.
Ignorò quei tentativi di dimenarsi e continuò a stringerlo: “Non andare”, sussurrò nel primo barlume di lucidità, sfiorandone la gota e godendo della sua pelle fresca e soffice, profumata e pura.
Lo sguardo di smeraldo era striato di un velo di lacrime che non avrebbe mai versato di fronte a lui.
“Puzzi e sono ancora arrabbiato con te”, lo rimproverò Kurt, ma evitandone lo sguardo, quasi volesse continuare a crogiolarsi del proprio risentimento, piuttosto che appurarne il turbamento.
“Odio”, bofonchiò Sebastian, “Odio quando ti allontani”.
Lo strinse più intensamente, quasi disperato, cercando l'anfratto del suo collo, dove il suo profumo era persino più intenso e delicato. Serrò gli occhi e desiderò nascondersi in quell'angolo di beatitudine, allontanando il resto del mondo.
“Sebastian”, c'era una nota impaziente e seccata nella sua voce.
“Non andartene, mi dispiace, non andartene!”. Pareva quasi rauco e sentiva le lacrime pungergli gli occhi, ma nascose maggiormente il viso contro il suo collo, aggrappandosi con le mani alla sua vestaglia, quasi timoroso che gli sgusciasse dalle braccia.
Sospirò, Kurt, scostandosi appena per osservarlo e un sorriso intenerito ne increspò le labbra, malgrado tutto. Come ogni volta che aveva la sensazione di poter entrare in contatto con la parte più sincera di Sebastian, nascosta sotto strati e strati di sarcasmo.
“Sbronza triste?”, domandò in tono quasi divertito, suo malgrado.
“Kurt”, lo richiamò ancora, quasi fosse vitale pronunciarlo, sentirne la presenza.
E le ultime muraglie di Kurt parvero infrangersi, tutto ciò che si erano gridati addosso quella mattina, il risentimento e la rabbia trattenuti in quelle settimane, quel silenzio e quella formalità vuota con cui si erano rivolti l'un l'altro. Lo rimirò con nuova tenerezza.
Sentì la sua mano affondare contro i propri capelli, Sebastian, e sorrise.
“Stai qui”, sussurrò in tono implorante.
Le dita di Kurt ne sfiorarono il viso, in una lenta carezza, quasi suo malgrado, in quel momento, non riuscisse a scostarsi da lui. Quasi disperando, pur nel delirio della sbronza, di riuscire a coglierne i reali pensieri e poterlo trattenere a sé.
“Shhhh, ora dormi”.
Lo avrebbe fatto, se fosse rimasto. Continuò a stringerlo, socchiuse gli occhi al suo tocco sul viso, lasciandosi cullare in quell'ondata di vaniglia e nel soffice calore della sua pelle.
“Sono qui”, lo sentì dire, con voce melodiosa.
Si rilassò soltanto quando fu Kurt a cingerlo, affondando il viso contro la sua spalla, così che potessero perfettamente incastrarsi l'uno contro l'altro, come non avessero fatto altro fino a quel momento. Come se, a dispetto di loro stessi e del mondo esterno, si appartenessero, anche quando le parole e le loro azioni sembravano convergere in direzioni opposte.
Quasi fosse quello il motivo per cui non si sarebbe allontanato da lui, non prima di aver detto “sì” a Blaine.
“Sono qui”, lo sentì sussurrare di nuovo.
Sebastian cadde addormentato, il sorriso finalmente sereno.



To be continued...

Niente come un temporale in corso, ispira meglio l'ultima revisione di questo capitolo. Spero di essermi fatta perdonare l'angst con i siparietti Huntbastian, personalmente questi sono stati tra i miei preferiti tra quelli proposti finora.
Soprattutto laddove la presenza di Kurt è così esigua, ma era necessario che si superasse lo stallo del precedente capitolo, ma ancora dovranno affrontare molto altro, quindi spero che continuerete a seguirmi :D

Non mi stancherò mai di ringraziare tutti coloro che seguono gli aggiornamenti, soprattutto chi mi dedica sempre il suo tempo condividendo i propri pensieri, osservazioni e, perché no?, anche qualche protesta :P

Ma diamo un'occhiata al prossimo capitolo:

Stai davvero cercando di far passare la tua idea come qualcosa di normale?”.
Sembravano molto diversi i tuoi” “Lo erano: lei elegante e sognatrice, lui burbero e grossolano, ma erano anime gemelle”.
Con tutto rispetto, signor Anderson, non credo che lei possa definirsi un esperto”.
Hai finito?” “Non so, se mi gettassi dal ponte di Brooklyn forse riusciresti ad allontanare Kurt da Blaine per cinque minuti”.

Non mi resta che augurarvi buon weekend ma anche buona ripresa delle lezioni scolastiche/universitarie :)
Un abbraccio a tutti :)
Kiki87




1 Per ascoltare il brano e vederne il testo originale: qui
2 Esattamente nel capitolo 3 :)
3Forse è meglio sottolineare che i flashback, rispetto alla narrazione presente, non sono sempre in ordine cronologico, ma ho cercato di descrivere dei ricordi che avessero qualche affinità con il presente. In questo caso, due situazioni nelle quali Kurt non si sente rispettato da Sebastian. Nella fattispecie, qui la convivenza tra i Kurtbastian è iniziata da poco, quindi ancora non era avvenuto il tradimento di Blaine ;)

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


7
Il tramonto, chiudo gli occhi.
Fingo che vada tutto bene.
Affogando nella rabbia per tutte queste bugie.
Non posso fingere che vada tutto bene.
Per favore, non farmi cadere per sempre.
Puoi dirmi che è finita?

Mi affido a te, non ti lascerò mai andare.
Ho bisogno di averti con me, mentre entro nelle ombre.

Preso dall’oscurità, cammino cieco.
Ma puoi aiutarmi a trovare un’uscita?
Nessuno mi sente, il silenzio mi fa soffrire.
Puoi dirmi adesso che è finita ?1

(Shadows - Red)

Settembre
(meno sei mesi al matrimonio)

Capitolo 7


Quando schiuse gli occhi, molte ore dopo, sentì un dolore lancinante trapassargli le tempie. Emise un mugugno e desiderò soltanto poter morire o annullare tutto il resto. Ci sarebbe stato tempo per ricordare (ma forse era meglio di no) tutto ciò che era accaduto la sera precedente, ma poté subito appurare che la sensazione dominante (a parte la nausea) non era quel vuoto interiore che aveva provato nell'ultimo mese.
Fu quando sentì il materasso piegarsi sotto ad un altro peso e il profumo di vaniglia espandersi che cercò di fuoriuscire da quel torpore. Coraggiosamente, schiuse gli occhi per scorgere il profilo familiare di Kurt, avvolto nella vestaglia e coi capelli umidi, evidentemente reduce di una doccia.
Fu la più dolce conferma che tutto sarebbe andato bene, in un modo o nell'altro e a quell'ora del mattino, in cui persino da sobrio ricordare il suo nome di battesimo era ardua impresa, nulla poteva essere più auspicabile.
Il suo coinquilino gli sorrideva con la tipica supponenza di chi abituato a dire: « Te lo avevo detto », ma si limitò a porgergli un vassoio con una buona colazione e un bicchiere d'aspirina. Era persino più premuroso del solito: sbronzarsi sembrava avere qualche effetto benefico nelle sue relazioni sociali (quelle che contavano) dopotutto.
“Dubito sia un buongiorno, vero?”, gli chiese Kurt con un sospiro, premunendosi di mantenere la voce ad un livello di decibel desiderabile.
Sentì un sorriso increspargli le labbra, mentre si sollevava con il torso per osservarlo ad una minore distanza. “Oh, lo è invece: sei nudo e seduto sul mio letto con la colazione per me, come una brava moglie devota”, sussurrò in tono più languido.
Roteò gli occhi, Kurt. “Che potrebbe cantare Memory interamente in falsetto ”.
Emise una smorfia al solo pensiero e socchiuse gli occhi, cercando di ignorare gli spiacevoli movimenti dello stomaco, appoggiandosi alla testiera del letto con aria esausta.
“Mi prometti che ti controllerai maggiormente?”, lo incalzò Kurt con tono preoccupato. “O devo chiedere a quel povero barista di chiamarmi, quando bevi troppo?”.
Allora non era stato un incubo quello del dottorino che lo riportava a casa e approfittava del suo pessimo stato fisico per assestargli due scappellotti. Ovviamente l'avrebbe pagata cara.
“Non devi preoccuparti”, recuperò la sua aria più suadente per osservarlo con una buona dose di malizia che ne fece scintillare le iridi smeraldine. “Anche se lo trovo eccitante”.
Kurt sollevò gli occhi al cielo, ma si drizzò, come se per quel mattino avesse adempiuto ai suoi doveri del buon coinquilino. “Devo andare al lavoro”.
“Kurt”, lo richiamò, prima che potesse valicare la soglia della porta.
Si fermò e si voltò, il viso inclinato di un lato e l'espressione interrogativa.
C'erano tante cose che Sebastian avrebbe potuto dirgli: un « mi dispiace » per le riviste e il ricordo della madre, inevitabilmente compromesso, seppur non fosse mai stata sua intenzione.
Un « grazie » per tutto ciò che si prodigava a fare ogni giorno per lui. O un semplice « non andare » che il giorno prima, nel mezzo del delirio, era stato tanto semplice pronunciare. O ribadire un « non farlo » , come alla prima sbronza dopo la notizia del fidanzamento.
Lo osservò soltanto, il respiro più pesante e le immagini del loro anno insieme che si accavallavano a quelle degli ultimi mesi, alternando i momenti più struggenti a quelli più speciali.
“Stai bene?”, chiese Kurt, le sopracciglia inarcate in evidente attesa.
Scosse il capo, dopo un lungo istante, cercando un pretesto qualsiasi.
“Rientrerai a cena, stasera?”.
Parve sorpreso dalla domanda, ma un sorriso più ironico apparve sulle labbra nello scrutarlo come se quell'ultima sbronza avesse effetti duraturi sulla sua tipica condotta. “Hai intenzione di cucinare?”.
Emise un verso d’ironico divertimento. “Potrei ordinare qualcosa”.
Sorrise, Kurt, quasi altrettanto divertito prima che un pensiero ne facesse balenare lo sguardo ed assumere un'aria mortificata: “Oh, io e Blaine dovremmo-”.
Si scurì in volto, ma scrollò le spalle, prima che potesse terminare la frase: “Sarà per un'altra volta”, lo rassicurò con l'aria di chi voleva soltanto porre fine a quell'imbarazzante momento, a quello sciocco pretesto che aveva trovato per dissimulare nuovamente le sue emozioni.
“Ci sentiamo”, gli sorrise con quella curvatura più dolce delle labbra. “Chiamami, se hai bisogno di qualcosa”, aggiunse con un cenno della mano.
Ma Sebastian già lo sentì lontano, prima ancora che lo vedesse far capolino nella sua camera per vestirsi. Prima ancora che uscisse dal loft.
Si lasciò cadere sul materasso.
Si era promesso di non ferirlo più e di cercare di proteggerlo persino nell'azione più ignobile che avrebbe compiuto alle sue spalle, con la presunzione che il fine avrebbe giustificato i mezzi.
Ma il tempo scorreva fin troppo rapidamente e non stava compiendo alcun progresso e una parte di sé cominciava a temere di aver perso la battaglia fin dall'inizio e per la mancanza di una reale convinzione.

~


Ottobre
(meno cinque mesi al matrimonio)


Era incredibile come un mese tanto anonimo potesse scorrere così rapidamente: seppur mancassero ancora quattro settimane al Ringraziamento, già sentiva l'incombenza del Natale, della fine di quell'anno disastroso e l'inizio di un altro che avrebbe annunciato la più grande catastrofe dell'umanità.
I giorni si susseguivano gli uni agli altri in una lunga fase d’impasse che trovava intollerabile: seppur fosse stato lieto che lui e Kurt fossero riusciti a ristabilire una convivenza pacifica, era come se il giovane fosse completamente risucchiato nel suo universo, dalla frequentazione della Nyada, alle ore di tirocinio e di lavoro in caffetteria. Come ciò non bastasse, il suo “tempo libero” lo trascorreva disegnando modelli per Isabelle Wright e/o occupandosi dell'organizzazione del matrimonio. Si domandava fin troppo spesso che fine avesse fatto la proverbiale isteria di Kurt, conseguenza della sua smania di controllo. A parte il fatto che apparisse spesso con occhiaie visibili e persino più magro, non sembrava esservi nulla d’insolito.
Ostentava persino uno stato di serenità che gettava Sebastian nello sconforto più totale nel capire che, di fatto, era come se già la loro convivenza fosse finita da che, anche quando presente fisicamente, il ragazzo sembrava distante. E neppure sembrava rendersene conto.
Gli aveva persino raccontato entusiasticamente, mentre riordinava convulsamente la scrivania prima di uscire, del progetto del prossimo Ringraziamento: una cena a casa Anderson con il clan Hummel-Hudson per festeggiare i fidanzati.
L'unico modo in cui quella ricorrenza (assai inutile) avrebbe potuto giovargli, quell'anno, sarebbe stato quello di ricevere una notizia d’annullamento, magari proprio in seguito a quella cena familiare, sperando che Mr Hummel recuperasse il senno e costringesse il figlio a realizzare in quale dannato guaio si stesse cacciando.
Ma, dopotutto, se era il Natale il periodo dei “miracoli” (e solo con una sbronza poteva cedere all'illusione), era il momento di aiutare il fato affinché il suo piano si realizzasse.
Controllò l'orologio e sorrise alla vista del giovane in tenuta sportiva (canottiera e pantaloncini corti) malgrado il vento e il gelo che stava attanagliando New York come promessa di un rigido inverno.
Inarcò le sopracciglia, Hunter, alla vista del suo abbigliamento che contemplava un paio di jeans nuovi e un lungo cappotto.
“Non dovevamo andare a correre?”, chiese con aria evidentemente perplessa, le mani sui fianchi.
“A volte sembra quasi che tu non mi conosca”, scosse il capo con aria stoica, Sebastian. “Ho mentito al telefono: mi servi”.
“E perché non-”. Non finì la domanda: un lampo di comprensione ne fece sgranare gli occhi. “Oh, no!”, lo additò con aria sconvolta. “Di qualunque cosa si tratti, la risposta è no: ti saluto, andrò a correre da solo”.
Sollevò gli occhi al cielo, Sebastian: “Aspetta di sentire il mio piano geniale, almeno”, indicò il loft alle loro spalle.
“E' un covo segreto di disadattati a cui chiederai di occuparsi di Blaine, in cambio di soldi per le anfetamine? Perché non posso farmi espellere per aver rubato dalla farmacia universitaria per i tuoi intenti”.
Simulò un'espressione shockata, Sebastian. Però, in ultima istanza, correggere il caffè di quello schifoso barboncino umano con un cocktail di medicinali non era un'idea da scartare a priori.
Scosse il capo. Troppo banale.
“No, idiota, è la casa dei due piccioncini, ma al momento ci vive solo Mezza SegAnderson”.
Incrociò le braccia al petto, Hunter Clarington, l'aria di chi già si stava pentendo di aver risposto al telefono quel mattino. O di non aver cambiato numero, domicilio ed identità. “E me lo stai dicendo perché...?”. Lo fissò con aria clinica, già immaginando nefaste conseguenze.
“Che ne diresti di dare un'occhiatina in giro?”, domandò con un sorriso accattivante. “Scommetto che ha un cassetto di stupidi papillon”.
Il cipiglio sulla fronte del barista parve persino più esteso. “Il feticismo è un nuovo sintomo della tua dipendenza dall'alcool? Preferisco quando vaneggi, la maggior parte delle volte almeno”, le sue labbra si contorsero al ricordo dell'ultima storica sbronza che aveva ridotto ai minimi storici le sue possibilità di successo con la nuova ballerina del Penguin Pub.
“Quante storie, voglio solo controllare che non abbia altri amanti”, sospirò Sebastian, improvvisando uno sguardo più contrito e preoccupato, persino concentrandosi affinché il suo sguardo apparisse più lucido.
Sollevò gli occhi al cielo, Hunter: “Stai davvero cercando di far passare la tua idea per qualcosa di normale?”, gli chiese con aria evidentemente esasperata per la sua cinica e distorta visione del mondo e delle relazioni sociali. Dimostrando, inoltre, di conoscerlo abbastanza da sapere che non si sarebbe lasciato andare alla commozione di fronte a lui.
“Bene, resta qui fuori: Mezza SegAnderson è a lezione, se lo vedi, fammi uno squillo”.
“Sebastian”, si avvicinò all'altro con aria sgomenta, quando realizzò che stava davvero per entrare nel locale. “E' un'effrazione!”, sibilò, guardandosi nervosamente attorno.
“Tecnicamente no”, mostrò le chiavi con un sorriso soddisfatto. “L'agente immobiliare crede che io sia il fidanzato. Davvero una bella idea quella di accompagnare Kurt a visitare gli appartamenti. Mi è bastato inventare uno scippo tragico della mia valigia, mentre il mio fidanzato è all'estero”.
Sembrò senza parole, Hunter, suo malgrado colpito dalla lucidità del piano. Ma ancora non convinto, le sopracciglia inarcate: “Cosa mi nascondi? Anzi, no, non voglio saperlo”, sollevò le mani con aria pragmatica. “Se ci arresteranno, sembrerò meno colpevole, se non so davvero nulla”.
Sollevò gli occhi al cielo, Sebastian: “Bene, buona guardia. Fai un po' di stretching: sarai più credibile”. Si volse, insinuando la chiave nella toppa.
Gemette, il barista, le mani tra i capelli.
“Sebastian!”, boccheggiò. “Non lo starai facendo seriamente?!”.
Lo ignorò, un'occhiata casuale in giro e schiuse la porta per inoltrarsi con aria tranquilla e sinceramente incuriosita all'interno del loft.

~

Maledettissimo Sebastian.
Come aveva potuto essere così incredibilmente stupido e ingenuo? Avrebbe dovuto capire, fin dall'intonazione troppo gagliarda di quel mattino, che stava tramando qualcosa.
Soltanto in caso di promessa di un rave party con tanto d’orge come premio, sarebbe stato capace di proporgli coscientemente qualche ora di jogging.
Fissò la porta chiusa con la fronte imperlata di sudore, per poi guardarsi nervosamente attorno: persino i cani che passeggiavano con i loro padroni sembravano fiutarlo con aria circospetta, evidentemente riconoscendo un odore estraneo. O forse riuscivano a percepire la paura di essere colto sul fatto?
Forse dopotutto fare qualche esercizio di riscaldamento poteva essere una buona idea. Un modo di apparire perfettamente normale e poter distendere i nervi, nell'attesa che quell'idiota mostrasse nuovamente la faccia.
Decisamente molto meglio, constatò tra sé e sé, già sentendo i benefici di qualche esercizio.
Nessuno avrebbe sospettato di un amante dello jogging. Non che ciò giustificasse quello stronzo.
Gettò un'occhiata speranzosa alla porta d'ingresso e si apprestò ad allungarsi con il busto verso le punte dei piedi.
Quasi trasalì, quando scorse un viso femminile a pochi centimetri di distanza, mentre in ginocchio recuperava il suo mazzo di chiavi, reso incredibilmente pesante dalle chincaglierie con cui era stato ornato.
“Brittany!”, esclamò, la voce strozzata prima di prendere un respiro profondo. Inclinò il viso di un lato, improvvisando la sua migliore espressione flirtante, dopo essersi rimesso in posizione eretta. Si schiarì la gola così che la sua voce apparisse più profonda e suadente. “Ciao, che bella sorpresa”.
Aveva creduto che il tempo gli avrebbe fatto smarrire rapidamente il ricordo di quel bel paio di gambe, quegli occhioni azzurri e quell'espressione infantile. Ormai rassegnato alla pessima reputazione che si era costruito per grazia di Sebastian, aveva accettato quasi con sollievo il licenziamento del mese precedente, per aver abbandonato il suo posto di lavoro per riaccompagnare l'ubriacone a casa. Aveva quindi lasciato l'incarico a Stillman che era stato coinvolto in una rissa da bar (ancora era da chiarirsi come fosse accaduto, considerando la sua esile stazza, rispetto a quella del buttafuori intervenuto in sua difesa) che aveva causato non pochi danni al locale e fatto infuriare il proprietario. Non avendolo mai avuto in particolare simpatia (come non aveva mancato di dirgli esplicitamente) lo aveva identificato come responsabile principale e accusato di negligenza.
Fino a quando una buona parte dello staff (doveva ancora capire che cosa stesse tramando Santana Lopez le cui espressioni erano diaboliche quanto quelle di Sebastian) non aveva protestato e preteso la sua riassunzione, minacciando persino rassegnazioni di dimissioni collettive. Il suo cuore si era fermato in petto, quando la latina aveva commentato che anche la biondina si era risentita della sua mancanza e dell'assenza degli ombrellini rosa che le elargiva generosamente nei suoi frullati di fragola.
Ancora più soddisfacente era stato vederla venirgli incontro e saltargli al collo al suo ritorno dietro il bancone, prima che Sebastian palesasse la sua presenza, mandando alle ortiche ogni possibilità di nuovo approccio. Tanto più che la giovane si premuniva di allontanarsi, alla vista di Ciuffo Disney, con aria complice.
Anche Brittany sembrava lieta di quel fortuito incontro e soltanto in quel momento notò l'abnorme felino che teneva sollevato e che socchiudeva pigramente gli occhi al tocco della sua mano. Aveva un'aria parecchio imbronciata e si domandò distrattamente come riuscisse a tenere tra le braccia qualcosa il cui peso sembrava superare la metà del proprio.
“Ciao, Hunter”, ne ricambiò il sorriso e ne baciò affettuosamente la guancia (e il cervello del ragazzo si spense per un lungo istante) per poi sgranare gli occhi azzurri con aria sorpresa. “Abiti qua?”, indicò il loft alle sue spalle.
“Eh? Oh, no, no”, si affrettò a distogliere lo sguardo dalla porta, quasi timoroso che il solo osservarla potesse compromettere il suo alibi. “Sto aspettando Sebastian, ci siamo dati appuntamento qui”.
“Oh”, sorrise persino più allegramente. “Certo, andate a fare una passeggiata romantica?”, chiese con tono più complice, ammiccandogli con aria confidenziale.
Sbatté le palpebre, Hunter, sentendo uno sgradevole calore salirgli lungo il volto ed ebbe la conferma che la giovane era ancora seriamente convinta che avesse stretto una relazione con l'altro ragazzo.
Scosse il capo e si grattò la nuca, quasi a stimolare le sue sinapsi per trovare una valida giustificazione.
Sorrise con aria impacciata. “Temo che ci sia stato un equivoco”, esordì con la stessa cautela con cui avrebbe illustrato alla professoressa più intransigente tutti i meccanismi alla base dell'omeostasi, per dimostrarle una buona preparazione in merito.
“Siete una bellissima coppia”, cantilenò ancora, Brittany, senza neppure ascoltarlo.
“Io non sono gay!”, si sentì dire con voce strozzata. “E poi Sebastian è innamorato di qualcun altro, te lo assicuro”.
“Oh”, lo scrutò con aria mortificata e Hunter notò come esprimeva le sue emozioni con una semplice sillaba, accompagnandola ad un'espressione di compiacimento o di rammarico, a seconda del contesto. “Mi dispiace molto”, e lo sembrava realmente, elemento che rendeva quella bizzarra conversazione ancora più esasperante. “Ma sono sicura che anche tu troverai qualcuno”.
Difficile capire se si stesse riferendo ad un uomo o una donna, ma probabilmente non era il momento consono per indagare. Avrebbe soltanto dovuto evitare Sebastian nel prossimo secolo, il più possibile in sua presenza. Meglio svicolare.
“E tu?”, le domandò con un sorriso. “Abiti da queste parti?”.
“No, no”, scosse il capo, facendo ondeggiare i capelli sciolti. “Devo portare il mio gatto dal veterinario: saluta Lord Tubbington”.
Aveva allungato la mano verso il micione per poi ritrarla con uno scatto fulmineo, quando quest'ultimo soffiò minacciosamente e sguainò gli artigli dove pochi secondi prima vi era il suo volto proteso.
Trasalì, Brittany, che prese a cullarlo come una madre con un bambino in preda ai capricci dopo il risveglio. “Scusalo”, gli rivolse uno sguardo contrito. “E' sempre nervoso, quando inizia la nuova dieta, specie da quando ha smesso di fumare”, aggiunse in un sussurro, quasi preoccupata che il gatto potesse capire che stavano parlando di lui. E in termini poco lusinghieri.
Sbatté le palpebre, Hunter, indeciso se ridere di fronte a quella battuta (?), per poi optare per una dignitosa accondiscendenza. “Certo, non è facile liberarsi dei vizi”, roteò gli occhi pensando a qualcun altro.
“Non fare l'antipatico”, si rivolse di nuovo al micio. “Hunter è sempre gentile con me, te l'ho detto”.
“Gli hai parlato di me?”, si vergognò lui stesso di quel tono speranzoso e dovette ringraziare che Sebastian e Santana Lopez non fossero a tiro d'orecchio. Si schiarì la gola, improvvisando nuovamente quel sorriso più sicuro di sé. “Sono lusingato”.
“Oh, io gli parlo sempre di tutti, specialmente i miei amici”, sembrò sminuire con uno scrollo di spalle, neppure rendendosi conto di quanto quella precisazione potesse risultare offensiva. Con un'ingenuità che ben si combinava alla sincerità sfacciata di un bambino e a quei lineamenti angelici.
Friendzonato. Di nuovo. E in modo anche pesante.
“Spero non sia geloso, quando esci con qualcuno”, si sentì dire, cercando di trarre vantaggio da quello spirito d’iniziativa. “Magari potremmo-”.
“Ha già perso due etti, ti faccio vedere le foto dello scorso mese: secondo il veterinario sarebbe dovuto morire almeno tre anni fa”, spiegò in tono allegro.
“Ti dispiace tenerlo un attimo?”, gli mise il gatto tra le braccia, prima che potesse sbattere le palpebre e prese a cercare convulsamente il telefono. “Ma dove l'ho messo?”.
Osservò il felino che aveva gonfiato il pelo e ne schivò per un soffio l'ennesimo attacco, tenendolo ad una distanza di sicurezza dal volto, mentre Brittany continuava a cercare.
Sorrise con aria trionfante nell'estrarre un mini-album che cominciò a sfogliare, compiacendosi di fotografie nel quale il gatto alternava un'espressione stizzita (somigliava ad una versione tigrata del famigerato grumphy cat) ad una da suicida, specie in quella nella quale sembrava rimirare mestamente il paesaggio, appoggiato alla finestra della camera.2 In pochi istanti, si ritrovò completamente sommerso nel fiume di parole che la ragazza lasciò sgorgare nel raccontare l'ennesimo aneddoto, il tutto mentre era costretto ad evitare gli artigli e alternare sorrisi e frequenti cenni con il capo perché capisse che la stava ascoltando.
Distolse appena lo sguardo, quando scorse una figura familiare e le labbra si contrassero in una smorfia incredula, mentre il suo respiro rallentava e il puro panico n’annebbiava la mente.
La sagoma che aveva scorto in lontananza stava assumendo una fisionomia sempre più familiare e fu con sgomento che si accorse che si trattava proprio dell'ultima persona che avrebbe voluto scorgere in quel momento (e considerando la pessima performance da corteggiatore ancora miserabilmente in atto, era tutto un dire).
“Oh, no”, gemette con aria sofferta.
“Infatti!”, annuì Brittany, sorridendogli con aria compiaciuta. “E' quello che ho detto anche io: non potevo credere che il mio Tubby avesse-”.
Il suo cicalare si spense in un angolo remoto della sua mente, quando i lineamenti di Blaine Anderson parvero più nitidi. La stessa espressione allegra che esibiva nella fotografia che aveva visto nel loft di Sebastian e di Kurt.
Sebastian che era ancora chiuso nella casa alle loro spalle a fare chissà cosa.
Avrebbe voluto estrarre il cellulare per contattarlo, un peccato che quel gatto malefico gli avesse appena piantato le unghie nell'avambraccio, cercando di scorticarlo, probabilmente premunendosi di rintracciare una vena con accuratezza chirurgica.
“Ed ecco la mia foto preferita!”, esultò Brittany, allungando l'album l'ennesima volta verso il suo volto.
“Brittany”, gemette e cercò di ricacciare le lacrime di dolore, tendendole il gatto che si abbarbicò sulla spalla della padrona con un miagolio placido. “Scusami ma adesso non ho davvero tempo”, sancì con tono deciso.
Friendzonamenti a parte, Brittany Pierce doveva cominciare a vedere in lui una persona degna di rispetto e non soltanto un comune conoscente, utile per qualche drink con ombrellino rosa annesso o un amante dei gatti a cui raccontare la biografia del proprio adorato piccolo mostro.
Se ne pentì subito dopo. Sembrò averla schiaffeggiata: la giovane boccheggiò, gli occhi azzurri erano sgranati, persino lucidi per la mortificazione e il viso pallido.
L'attimo dopo serrò le labbra in un'espressione che fin troppo spesso Hunter aveva colto sul viso di una donna, seppur, in questo caso, il broncio aveva molto di teatralmente infantile.
“Scusa se ti ho disturbato”, pronunciò con voce insolitamente seria e formale che tanto stonava con il suo timbro naturale, molto più tintinnante e vezzoso.3 “Lo capisco, sai, quando non sono gradita”.
Sentì il cuore fermarsi, Hunter e la mascella rischiò di slogarsi per come schiuse la bocca con aria incredula. Deglutì a fatica. “Non è assolutamente così, Brittany”, annaspò, cercando di trattenerla. “Anzi, è da quando sei venuta a lavorare che-”.
“Credevo fossi diverso!”, lo additò con aria altrettanto grave, la voce che diveniva più stridula e autoritaria.
Un ultimo sguardo tra il deluso, il risentito e l'offeso e si volse, prendendo a camminare impettita (malgrado il tacco le si fosse impigliato in un tombino e avesse dovuto strattonare la gamba per liberarsi), la borsa che le pendeva di un fianco. E il felino che pareva osservarlo, da sopra la sua spalla, con aria soddisfatta.
Merda.

~

Aveva lasciato che lo sguardo verde vagasse sugli arredi e fu facile riconoscere l'orrido gusto di Kurt: dai colori in tinta unita per le tende, di una sfumatura pastello non troppo invadente, fino alla proverbiale e pessima scelta delle suppellettili (dai quadri appesi alle pareti fino alla lampada dalla forma non ben identificata sulla scrivania).
Era come entrare in un reparto della mente di Kurt che gli era stato volontariamente precluso. Un pensiero che gli fece aggrottare le sopracciglia, ma si costrinse a riscuotersi.
Aveva dedicato un'occhiata distratta alla cucina e aveva presto abbandonato il salotto: tutte le foto che lo ritraevano con Blaine (persino dell'Accademia che avevano frequentato insieme, il luogo dove si erano conosciuti) gli avevano solo fatto accrescere l'insofferenza.
Nulla di rilevante. Non vi erano molti oggetti di Kurt e ciò lo fece rilassare: dopotutto il centro della sua quotidianità era il loro loft. In quell'ambiente sembrava essere solo un ospite arredatore.
Scrutò il letto a baldacchino con le sopracciglia inarcate: un'altra romantica fantasia di Kurt, probabilmente indotta dai film in costume per cui aveva una (non tanto) segreta passione. Tanto per non pensare alle notti in cui si coricavano insieme in quella stanza, si avvicinò al comodino accanto al letto e ne aprì i cassetti.
Emise un verso gutturale tra il divertito e l'esasperato, quando scorse un intero reparto dedicato ai papillon. Sollevò gli occhi al cielo, prendendone alcuni con aria disgustata, fino a quando non scorse un cofanetto blu che gli fece fermare il cuore in petto.
Lo sollevò e, con un gesto brusco, lo schiuse a rivelare l'anello nuziale.
Aggrottò le sopracciglia, quasi deluso: un banale striscia dorata. Lo sollevò per rimirarne l'incisione: courage.
“Bel coraggio a sposarti, Mezza SegAnderson”, commentò tra sé e sé.
Studiò ancora l'anello, le sopracciglia aggrottate di fronte all'ulteriore prova che, pur avendo avuto una relazione per anni, non lo conoscesse davvero. Non in ciò che era davvero importante.


La vista del temporale lo aveva scoraggiato dall'uscire quel Venerdì sera. Aveva scrutato la finestra con un cipiglio stizzito, soprattutto quando, per l'ennesima volta, la corrente saltò.
Sbuffò, camminando a tentoni per raggiungere il corridoio: avrebbe dovuto premunirsi di avere il cellulare in tasca per farsi luce con il display.
Temo che sia un blackout”, convenne Kurt con insolito tono tranquillo per chi era capace di strillare alla vista di un ragno più grande di un granello di polvere.
Al contrario, sembrava quasi compiaciuto, alla luce del lume che teneva in mano e soltanto allora Sebastian notò che si era già preparato il giaciglio sul divano e aveva disposto delle candele dall'essenza di vaniglia sul tavolino di legno. Evidentemente si era organizzato per un'eventuale serata senza luce elettrica.
Inarcò le sopracciglia, Sebastian, un sorriso suadente: “Se stai pensando di allestire un set da film porno, potrei lasciarmi tentare”, commentò con uno schiocco di lingua sul palato.
Sollevò gli occhi al cielo, Kurt: “Ti piacerebbe”.
Vuoi sentirmelo dire in modo esplicito?”, gli chiese alle sue spalle.
Sorrise quando lo sentì trasalire e la pelle della nuca sembrò intirizzirsi alla pressione del suo respiro. Era tentato di indugiare su quella porzione di cute e poi spostarsi sul collo, magari togliendogli quel foulard con cui si ostinava a coprirsi.
Io sto organizzando la mia serata dei ricordi: vino, lasagne, album fotografici e coperta”, spiegò Kurt con aria compiaciuta di sé e della propria organizzazione impeccabile.
Perché ogni cosa che ti riguarda fa tanto cliché gay o donna in sindrome pre-mestruale?”, chiese con aria divertita.
Ti sto guardando male perché tu lo sappia”, fu la polemica risposta.
Si era diretto in cucina e Sebastian, le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni, si avvicinò al divano. Aveva pensato di sbirciare tra qualcuno di quegli album, prima che tornasse, ma quando ne sentì i passi, si affrettò ad accomodarsi, le braccia strette al petto.
Lasagne e vino: potrei accontentarmi”, pronunciò con l'aria di chi gli stava concedendo l'enorme privilegio della sua compagnia, persino in modo spontaneo.
Sorrise con aria soddisfatta, Kurt: “Lo immaginavo”. Si era seduto al suo fianco, appoggiando la coperta sulle gambe e aveva aperto il primo album: non c'era voluto molto perché Sebastian gli si avvicinasse e non soltanto per godere lui stesso del tepore della coperta.
Tra bocconi, sorsi di vino, avevano cominciato a sfogliare i libricini e Sebastian si era dimostrato non poco divertito alla sua versione più paffuta e con il taglio a caschetto e la frangetta sulla fronte.
Grazie pubertà”, sospirò Kurt, ma Sebastian scrutò a lungo la fotografia.
Un vago sorriso sul volto, dopo una lunga contemplazione silenziosa.“Non eri così male”.
L'espressione così poco sicura di sé e più infantile ne sottolineava la purezza e la sincerità dei sentimenti. Appariva più fragile, inesperto, ma non per questo meno appetibile ai suoi occhi, nonostante il fondoschiena non avesse ancora quella fisionomia tanto lodata. E nonostante quel taglio non ne valorizzasse il viso diafano, tanto meno i lineamenti elfici ma meno fini e cesellati di come apparissero attualmente. Nonostante la frangetta ne nascondesse l'incredibile colore delle iridi. Ma riusciva ancora a scorgere il Kurt con cui aveva iniziato quella convivenza e una parte di sé non poté non domandarsi come sarebbe stato conoscerlo allora, prima di Blaine. Essere il primo ad entrare nella sua vita.
Sentì lo sguardo del giovane addosso, le sopracciglia inarcate: “Tutto qua? Nessuna battuta perfida o ricatto?”.
Sogghignò, ma si strinse nelle spalle. “Sono di buon umore, anche se il tuo culo adesso è molto più sodo”.
Kurt borbottò qualcosa, evidentemente cercando di nascondere l'imbarazzo
Fu lieto che avesse omesso le fotografie del liceo con Blaine, ma si divertì a scorgere il bambino che indossava camicie di seta, foulard e improvvisava un the all'aperto. Rise dell'espressione del padre di Kurt. “Doveva amarti molto”.
Non voleva che sentissi troppo la mancanza di mia madre: era lei che giocava con me”, spiegò e notò come la voce apparisse attutita. Come se tuttora soffrisse di quel distacco che ne aveva turbato l'infanzia, probabilmente costringendolo a maturare anzitempo e dover contare sulle proprie forze.
Ne contemplò le foto, Sebastian, con un sorriso sincero: riusciva a scorgere lo stesso sguardo del ragazzo che aveva di fronte, il candore della sua pelle, nonché la delicatezza dei lineamenti. “Era bellissima”, disse senza alcuna esitazione.
Sorrise, Kurt, fiero di quel commento: “Secondo mio padre ne sono l'essenza”.
Solitamente non si sarebbe lasciato sfuggire quell'occasione per una battuta che ne rimarcasse il suo lato femmineo. Ma non in quel momento: non credeva di averlo mai sentito così disposto ad aprirsi a qualche confidenza così intima.
Sembravano molto diversi i tuoi”, indicò la fotografia del loro matrimonio.
Annuì, Kurt, il sorriso intenerito “Lo erano: lei elegante e sognatrice, lui burbero e grossolano, ma erano anime gemelle. Mia madre sognava un incontro da film e di certo non avrebbe mai immaginato di sposare il meccanico apprendista che le aveva riparato l'auto”.
Sfogliò le fotografie della celebrazione, fino al primo piano dell'anello nuziale: una banda in oro bianco con un delicato bocciolo al centro di un bell'azzurro intenso.
Ho sempre amato il suo anello”, sospirò, Kurt, con aria sognante. “Mio padre aveva messo da parte i risparmi per anni perché fosse perfetto: voleva che gli ricordasse i suoi occhi. Lo zaffiro rappresenta la purezza e la fedeltà e sembrava adatto a lei”.
E a te, fu il pensiero inconscio di Sebastian. Si era sorpreso di quella spontaneità d'associazione per poi dirsi che fosse naturale, poiché tutti scorgevano in lui l'essenza della donna, come aveva detto lui stesso pochi istanti prima.
Lo lasciò parlare a lungo, ma quando finirono di conversare, il temporale sembrava divenuto un piacevole sottofondo. Lo aveva avvolto nella coperta, Kurt, e Sebastian aveva sorriso impercettibilmente, alludendo scherzosamente ad un tentativo di sedurlo.
Ma fu lui ad osservarlo cadere nel sonno, il capo appoggiato contro la propria spalla. Lo attirò maggiormente a sé, facendo meglio scivolare la coperta su entrambi, cedendo presto al torpore, cullato dal suo calore e dal profumo di vaniglia.


Si riscosse alla vibrazione del proprio cellulare e si affrettò ad estrarlo dalla tasca: vi era un messaggio da parte di Hunter.

[SMS] [ (Sfig)Hunter]
Esci subito, sta tornando!!

Osservò il cofanetto e decise in un battito di ciglia.


~


Si era costretto a mettere da parte il pensiero della biondina (facilitato dal fatto che fosse completamente scomparsa dalla sua vista, senza mai voltarsi) e osservò il proprio cellulare con ansia crescente, aspettando una qualche risposta e sperando che Sebastian fosse abbastanza abile da trovare un'uscita secondaria. Era tuttavia evidente che avrebbe dovuto temporeggiare e cercare di allontanare il proprietario del loft il più a lungo possibile.
Maledetto Sebastian, perché mi trovo sempre nel mezzo? Non vale la pena rischiare la galera per scrivere una tesi sperimentale sulla sua dipendenza dall'alcol.
Cercò di riflettere rapidamente e, all'avvicinarsi di Blaine Anderson, gli si parò di fronte per evitare che procedesse, assumendo un'aria austera e seria, facilitato (e compiaciuto) dalla differenza d'altezza.
“Blaine Anderson, giusto?”, lo chiamò con aria professionale.
“Sì?”, rispose il giovane, guardandolo curiosamente, le sopracciglia inarcate, mentre giocherellava con il proprio mazzo di chiavi.
“Lei abita nel loft alle mie spalle, vero?”.
Aggrottò le sopracciglia, Blaine, ma annuì. “Lei chi è?”.
Si schiarì la gola, Hunter, mentre un'idea prendeva forma nella sua mente, sorprendendosi lui stesso di essere riuscito a restare lucido.
“Sono un impiegato della ditta del gas: ho ricevuto l'ordine di far evacuare la zona. Dovremmo fare un controllo in seguito ad una segnalazione anonima: molto probabilmente uno scherzo di cattivo gusto”, si affrettò a dire con un sorriso accattivante, “ma non possiamo correre rischi”.
Sbatté le palpebre, Blaine, evidentemente incredulo. “La ringrazio della premura, ma sono sicuro che non ci sia pericolo, non ho riscontrato nessun problema nell'impianto, da quando ci vivo e-”.
Non dovette fingere un'aria di stoica impazienza. Sospirò, Hunter. “Con tutto il rispetto, Signor Anderson, non credo che lei possa definirsi un esperto” gettò una rapida occhiata all'ingresso, quasi aspettandosi che Sebastian uscisse da un momento all'altro.
Ne cinse le spalle con fare cameratesco, cercando di allontanarlo, con un sorriso accattivante: dopotutto se era vero che secondo Sebastian aveva un fascino equivoco per il proprio sesso, tanto valeva approfittarne in una situazione d'emergenza come quella presente.
“Mi rendo conto che si tratta di un increscioso disturbo e mi dispiace molto: le assicuro che io e il mio collega saremo molto rapidi. Perché nel frattempo non va a fare una passeggiata? Mai fatto il tour in battello fino a Liberty Island?”, continuò con un sorriso amichevole.
Sembrava quasi persuaso, Blaine (o probabilmente si stava trastullando di quel contatto ravvicinato: oddio, lo stava davvero pensando?), ma fu alla vista della sua vicina, che usciva dalla propria abitazione senza alcuna evidente preoccupazione, che lo fissò con aria accigliata.
Si scostò, le braccia incrociate al petto, quasi a volerlo fronteggiare con evidente stizza, malgrado fosse l'altro a torreggiarlo. “Credevo che l'esperto”, sottolineò con voce ironica, “dovesse far evacuare l'intera zona”.
Continuò a sorridere, Hunter, ignorando la dolorosa contrazione della mandibola: “La signora sta giusto lasciando l'edificio”, rispose in tono serafico. “Le ho concesso di entrare soltanto per prendere-”.
“Quel ragazzo è appena entrato!”, additò un'altra casa sulla stessa fila.
“Signor Anderson”, assunse un'espressione di stoico rimprovero, senza neppure voltarsi, ma incrociando le braccia al petto. “Lei sta compromettendo il mio lavoro”.
“Quale impiegato non si presenta con la sua uniforme?”, indicò i suoi pantaloncini corti con espressione sdegnata. “E non vedo alcun furgone della fantomatica ditta del gas”.
Strinse i pugni, Hunter, tentato di imitare la classica reazione di un film d'azione nel momento in cui l'infiltrato si vede vicino all'essere colto sul fatto. Sarebbe stato più semplice colpirlo con un pugno per tramortirlo (dopotutto l'aggressione sarebbe stata una buona aggiunta all'accusa di complicità nella violazione di domicilio e qualunque altro reato si stesse consumando tra quelle mura ad opera di Sebastian) e poi darsela a gambe e magari cambiare davvero città e identità. Dovette trattenersi, seppur il pulsare della vena sulla tempia cominciasse a rivelarle l'evidente stizza.
“Le sto solo chiedendo di tornare tra cinque minuti”, si schiarì la voce con tono mortalmente pacato. “Mi lasci fare il mio lavoro”.
“Bene”, lasciò cadere le braccia sui fianchi, Blaine. “Attenderò”, gli sorrise con la stessa aria ironica, restando immobile di fronte a lui.
Si passò una mano tra i capelli, Hunter, asciugando anche il sudore freddo che ne imperlava la fronte. “Quale sillaba del verbo « evacuare » le risulta incomprensibile?”.
“Per quale ditta ha detto di lavorare?”, chiese in risposta, Blaine, estraendo il cellulare con aria minacciosa.
Per la prima volta, Hunter Clarington, sentì l'occhio pulsare per quel tic nervoso di cui era affetto nei momenti di particolare stress (che coincidevano comunemente con la presenza di Sebastian nel locale), ma l'incombenza di trovare una risposta gli fu risparmiata dalla vibrazione del cellulare.

[SMS] [Sebastard]
Sono uscito dal retro. Smettila di improvvisare, cazzone.

Maledetto bastardo, ringhiò tra sé e sé nel vedere l'epiteto, ma non era mai stato così lieto di ricevere una sua notizia. O di saperlo vivo.
“Molto bene”, lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. “Sa cosa le dico?”, si rivolse a Blaine, additandolo con aria di sfida. “Rientri pure nella sua bellissima casa: le auguro una splendida giornata e se dovesse bruciare per una perdita di gas nel vicinato, non chiami la mia ditta e non dica che non l'avevo avvertita”, concluse con voce corrotta dalla rabbia, quasi isterica.
Ignorando lo sguardo interdetto e sbigottito del moretto (probabilmente domandandosi se non dovesse rivolgersi alla polizia) si affrettò ad allontanarsi, sollevando il cappuccio della felpa che aveva indossato, nella speranza che il suo volto non fosse visibile a troppe persone.
Contrasse la mascella nello scorgere Sebastian appoggiato ad un albero, la sigaretta accesa e il sorriso suadente, indicando la strada da cui si era appena allontanato.
“Impiegato del gas?”, lo apostrofò con evidente ironia.
Lo ignorò, deciso ad andarsene prima che quel formicolio alle mani diventasse irresistibile e non si volse neppure quando cominciò a camminare al suo fianco.
“Ho trovato il cassetto dei papillon”, lo informò con voce intrisa d’evidente divertimento e soddisfazione.
“Fantastico”, ringhiò in risposta.
“E non solo quello”, giocherellò con il cofanetto e fu allora che Hunter ruppe il suo dignitoso sciopero della comunicazione.
Sgranò gli occhi e boccheggiò. “Sei impazzito?!”, pronunciò con voce stridula, premunendosi di abbassare la voce. “Avevi detto che avresti solo curiosato”, additò la scatolina come se si fosse trattato di un ordigno esplosivo che l'altro stava maneggiando con troppa superficialità.
“Non era premeditato”, gli concesse Sebastian, scrollando le spalle. “Ma sono un mago dell'improvvisazione”.
“IO MI SONO ESPOSTO!”, gridò Hunter con voce quasi rauca per lo sforzo eccessivo di parlare con una tonalità più alta del suo naturale timbro. “Chi pensi che sarà il primo sospettato, quando si accorgerà che è scomparso?!”.
“Rilassati e prendi un bel respiro”, gli suggerì con aria clinica, sollevando le mani. “Non ci sono segni d’effrazione e non ha motivo di rimirare il suo anello ogni sera”, scrollò le spalle. “E riguardo alla tua pessima improvvisazione avrà pensato che tu fossi un gay disperato che ha usato una scusa banale per abbordare. Basterà che m’inventi qualcosa e lo dica a Kurt: con ogni probabilità gli racconta anche il numero di volte in cui è in bagno”, aggiunse roteando gli occhi.
“E se si rivolgesse all'agenzia immobiliare?!”, lo incalzò l'altro e Sebastian notò come la vena sulla fronte stesse pulsando sempre più rapidamente. “Quanto ci metterebbero a collegare il furto al tuo scambio d’identità?”.
“Perché mai dovrebbe farlo?”, gli chiese Sebastian con irritante tranquillità. “Sa che tutte le pratiche sono state svolte da Kurt e se provasse ad accusarmi per pregiudizio”, lo sottolineò con aria beffarda, “gli dirò che ero a lezione: pagherò qualcuno perché mi copra, semplice”.
“L'agente immobiliare-”.
“Non ha mai visto la Mezza SegAnderson, crede che io sia il ragazzo di Kurt dall'inizio: non c'è nulla di strano nel fatto che le abbia chiesto una copia delle chiavi, dopo averle dato una scusa credibile”, concluse con aria ancora più soddisfatta della sua proverbiale abilità di creare piani controversi ma, in qualche modo, lineari.
Non sembrò trovare altra replica, Hunter, non in quel momento. Nessuna falla evidente, ma non gli concesse di mostrarsi sollevato (e se Blaine avesse avuto qualche strana abitudine feticista di indossare la fede ogni sera o avesse voluto mostrarla a Kurt alla fine di una serata romantica?), ma si limitò a fissarlo con aria risentita.
“Lieto che almeno una persona ci possa credere”, fu la replica asciutta.
Serrò la mascella, Sebastian, non tanto per l'impatto di quella frecciatina il cui livello di perfidia era davvero notevole, quanto la consapevolezza che doveva esserci un motivo radicato per simile astio. “Qual è il tuo problema?”, gli chiese infatti.
Quasi rise istericamente, Hunter e si fermò da quella marcia rapida.
“Fammi pensare”, si portò una mano sul mento con aria fintamente meditabonda. “Sono in bolletta, sono stato rimandato per la terza volta ad un esame, devo lavorare ogni sera per un dittatore che mi sfrutta con la scusa degli straordinari che ho saltato per il mio licenziamento (ancora grazie a proposito, già che c'eri potevi cambiare pub, anziché farmi riassumere!) e in un locale in rovina la cui clientela e staff è convinta che io sia gay e innamorato di te, come se non potessi avere gusti migliori in quel caso”.
“Hey”, borbottò Sebastian in risposta, quasi quel giudizio fosse l'unica parte degna della sua attenzione.
“E tra il personale c'è anche Brittany il cui gatto ha cercato di recidermi l'arteria branchiale: non solo mi ha friendzonato con tanta grazia, ma adesso mi crede anche uno stronzo insensibile che l'ha cacciata in malo modo, giusto per pararti il culo e impedire che Blaine ti scoprisse, mentre rubavi l'anello nuziale!”, continuò Hunter, gesticolando con aria evidentemente agitata e la voce che diveniva sempre più stridula, in corrispondenza dello sgranare gli occhi in maniera folle.
In effetti era quasi divertente vederlo lontano dal bancone del bar e con quella stessa aria da sfigato cronico e disperato di femmine.
Scrollò le spalle, Sebastian, per nulla impressionato. “E tu regalale un pacchetto di colori a cera: il suo cervello pesa quanto le sue tette, si dimenticherà tutto in tre minuti”.
Non parve averlo udito, Hunter, che sembrava adesso ansioso di rigettare tutta la frustrazione e la rabbia accumulate da che aveva conosciuto Sebastian.
“E come se tutto questo non bastasse, quando si accorgerà del furto sarò il primo sospettato. E ti assicuro che se non ci penserà Kurt a collegare le cose, quando mi riconoscerà dalla descrizione, ti trascinerò io nel baratro con me”, ringhiò additandolo.
“Hai finito?”.
“Non so”, proclamò con aria ironica, allargando le braccia. “Se mi gettassi dal ponte di Brooklyn, forse riusciresti ad allontanare Kurt da Blaine per cinque minuti”, continuò con voce ancora più grondante di acidulo sarcasmo.
Sbatté le palpebre, Sebastian, il viso inclinato di un lato e l'espressione vagamente incuriosita. Di una curiosità clinica e scientifica. “Da quanto non fai sesso?”.
Sbatté le palpebre, Hunter, e serrò i pugni, ma parve doversi controllare per non mettergli le mani addosso.
“Cazzo, Sebastian!”, esplose con aria esasperata. “Per una volta nella tua vita, sii uomo”, parve supplicarlo. “E ammetti che tutti questi stratagemmi sono solo una copertura per paura di essere ferito”.
Sollevò gli occhi al cielo, la mascella serrata con aria evidentemente infastidita. Più per quelle ultime parole che per tutto lo sfogo a cui aveva passivamente preso parte.
“Parlerò con Tontittany, ma adesso sta' zitto”, borbottò con voce stizzita. “Mi stai facendo venire l'emicrania”.
“Non si tratta di Brittany o di me o di Blaine”, continuò Hunter che parve tornato in sé, dopo la sfuriata e assunse nuovamente quel tono più composto. “Come se poi te ne importasse qualcosa in quel caso”, aggiunse tra sé e sé con aria polemica, prima di riprendere il filo del discorso più serio.
“Si tratta soltanto di te e del modo in cui pretendi di manipolare le persone e i loro sentimenti. Sai bene che hai una sola possibilità con Kurt e che tu riesca o fallisca a fargli capire cosa provi, dipenderà soltanto da te”.
Serrò la mascella, Sebastian: non era soltanto l'ennesima predica non richiesta, ma il modo in cui riusciva a far sembrare le sue parole dotate di senso, fino a ridicolizzare tutto ciò che stava brillantemente orchestrando. E la cosa peggiore era che una parte di sé, quella costantemente soffocata dall'alcol e dall'ironia, gli dava ragione.
“Esattamente quanto credi che un tuo consiglio possa essere credibile, dopo che persino quella ti ha dato il benservito?”, domandò con un sorriso beffardo.
Sorrise, Hunter, l'aria esasperata e abbassò le mani. Quella risposta ironica fu un evidente segnale che sarebbe stato inutile perseverare in quel folle tentativo di persuaderlo, almeno fino a quando non fosse stato anche solo disposto a considerare l'idea di star sbagliando approccio. O ammetterlo soltanto a sé stesso.
“Libero di continuare ad insultarmi. Io almeno ci provo a buttarmi”, scrollò le spalle, per poi osservare l'orologio e sbuffare. “Devo andare a cambiarmi, ho lezione tra un'ora”, un vago cenno del capo e si allontanò rapidamente, lasciando Sebastian immobile ad osservare il punto da cui era scomparso.
Il cofanetto che teneva nella tasca del soprabito parve improvvisamente pesare come un macigno.

~

Stava ancora imprecando contro SfinterHunter, quando valicò la soglia di casa, ma fu sorpreso nel sentire la familiare voce di Kurt, mentre canticchiava con aria rilassata. Inarcò le sopracciglia, ma si affrettò a riporre il cappotto e nascondere l'anello nel cassetto della biancheria.
Soltanto dopo aver chiuso la porta della propria camera, lo raggiunse in cucina, osservandolo con le mani immerse nell'impasto e il grembiule a coprire la camicia e il foulard abbinato.
“Ciao”, lo accolse con aria allegra.
Continuò ad osservarlo, Sebastian, cercando di non apparire glicemico ai propri occhi nel costatare che, dopo quella notte a Parigi e quell'ultimo periodo surreale, sembrava un sogno vederlo di nuovo cucinare per entrambi. Quasi timoroso che si potesse trattare di un'allucinazione (ma non era neppure ubriaco!) e persino guardingo per timore dell'ennesima delusione.
“Non sapevo che saresti tornato per cena”, commentò con voce asciutta.
“E' stata una decisione improvvisa: mi mancava cucinare”, spiegò Kurt con la stessa allegria.
Suo malgrado un sorriso ne sfiorò le labbra, ma si affrettò a chiedere, con aria sospettosa: “Tutto bene?”.
Inarcò le sopracciglia, Kurt, evidentemente sorpreso della domanda. “Certo”.
Allo sguardo prolungato di Sebastian, parve arrendersi e capitolare.
“Mi sono accorto che in questo mese sono stato quasi sempre assente, non ricordo neppure l'ultima volta che abbiamo cenato insieme”, ammise con tale semplicità e sincerità che l'altro non poté non sorridere nuovamente.
Se quello era un segnale dell'universo, allora avrebbe dovuto far rimangiare al barista tutte le stronzate che gli aveva gettato addosso. Evidentemente quella era la strada giusta, considerò tra sé, mentre uno scintillio compiaciuto ne faceva scintillare le iridi.
“Sapevo di esserti mancato”, sussurrò, quasi stesse affermando che era stato lui, Kurt, a percepire quel vuoto interiore.
“Da morire”, replicò con tono enfatico. “E ora vieni ad aiutarmi: vedremo se questa pizza in casa batterà tutte le schifezze che compri, quando sei solo”, lo incoraggiò con un cenno del mento.
“Che moglie devota”, lo sussurrò al suo orecchio, dopo essersi mosso silenziosamente come un predatore notturno. Sorrise nel sentirlo trasalire, ma si era scostato, Kurt, e dovette simulare indifferenza a quel gesto.
Ma non aveva smesso di sorridere, Kurt, e lo esortò con un cenno del capo: “Vediamo se hai davvero le mani d'oro, ma conoscendoti sarà meglio che tu prima le lavi”.
“Posso mostrartelo”, sorrise Sebastian, ponendole al di sotto del lavello ma senza smettere di osservarlo con aria maliziosa.
“Ora sì che sono intrigato”, fu la sferzante replica.
Sorrise, Sebastian, suo malgrado: “Devo davvero... toccarla?”, indicò l'ammasso informe che sembrava in attesa di essere maneggiato.
Curioso come la sola presenza di Kurt e quell'espediente così insolito gli avessero completamente estraniato la mente da pensieri ben più gravosi.
Roteò gli occhi, Kurt: “Non ti accuserà di molestie”.
Sogghignò, ma aveva assunto un'espressione dubbiosa, prima di allungare le mani e immergerle nell'impasto: era qualcosa d’umidiccio e flaccido ma, superata quella prima sensazione di appiccicaticcio, era quasi rilassante rigirarvi le dita e cercare di comporre una forma solida.
“Così”, sentì le mani di Kurt sfiorare le proprie ad aiutarlo, fino a guidarlo nel giusto movimento che coinvolgeva anche il torso, inducendolo a sporgersi verso la propria schiena e sfiorarla. Seppur fosse qualcosa di assolutamente casuale ed innocente, si ritrovò a socchiudere gli occhi, quasi volendo fissare quegli sporadici istanti.
Si era voltato ad osservarlo, oltre la propria spalla, un sorriso beffardo: “Hai una macchia”.
“Dove?!”.
Rise del modo in cui appariva allarmato, ma levò la mano a sfiorarne lo zigomo, lasciandogli una striscia di farina sulla faccia. Ne osservò le gote tingersi di un delicato rossore, prima che sbattesse le palpebre: “Sebastian!”.
“E' un lifting naturale”, replicò e rise del suo tentativo di scostarlo da sé e indietreggiare, fin quando non si ritrovò premuto contro il lavello al cui interno vi erano ancora le stoviglie sporche della colazione e del pranzo.
“Sei mio”, sussurrò con aria minacciosa.
Cercò di non pensare che fosse così semplice pronunciare, ad una maniera così arrogante, quella frase, quando quotidianamente non avrebbe potuto ardire simile pretesa. Cercò di non soffermarsi su quanto fosse meraviglioso poter giocare con lui ad una maniera così sciocca e infantile, quanto persino quelle schermaglie fossero parte di una quotidianità la cui mancanza gli aveva spezzato il fiato.
“Non senza combattere”, precisò l'altro, tastando il bancone alle proprie spalle, cercando la salsa di pomodoro.
“Lo scontro mi eccita sempre”, sussurrò al suo orecchio, indugiando nel ricercarne quel profumo intenso e delicato, quasi desiderò serbarne una traccia, anche in quel momento, che gli fosse sufficiente a sentirlo vicino, anche quando sembrava distante come non mai.
Ma non pareva ascoltarlo, Kurt: lo stava osservando con aria curiosa e concentrata, quasi quegli occhi riuscissero a scavare nel suo inconscio. Più di una volta Sebastian si era domandato se non fossero davvero in grado di percepire i suoi pensieri e se di proposito volesse ignorare le sue reali intenzioni, per restare aggrappato a Blaine.
“Mi sei mancato davvero in questi ultimi mesi”, sussurrò con voce più flebile e l'aria di chi doveva dirlo senza troppo rifletterci, prima che le remore glielo impedissero. Consapevole che lui stesso avesse percepito uno strappo nel loro rapporto e convivenza, da quando gli aveva dato notizia del fidanzamento. Che non si trattava soltanto della spaccatura dopo la vacanza parigina, ma di come la loro quotidianità si fosse trasformata in sporadici incontri nei quali la distanza tra loro non faceva che alimentarsi di parole in sospeso, pensieri segreti e un reciproco lasciare che l'altro si allontanasse. Ma era sorprendente che lo stesse ammettendo con tanta semplicità.
La mano sollevata per disegnare sul suo volto ne ancorò il fianco a trattenerlo, quasi volendo sopperire a parole che non avrebbe pronunciato o non lo avrebbe fatto con la giusta intensità.
Scosse il capo, Sebastian, un sorriso amaro sulle labbra perché ciò che stava per dire, non fosse percepite come un'accusa, ma un mero dato di fatto.
“Non sono io ad essermene andato”.
Parve volergli ricordare la promessa di vivere quegli ultimi mesi di convivenza e di non rinunciare al loro rapporto, neppure di fronte ad un matrimonio che non avrebbe mai accettato.
“Una parte di te, sì”, replicò Kurt con medesima tranquillità e una traccia d’amarezza. “E mi dispiace pensare che sia a causa mia”.
“Tua?”, lo incalzò Sebastian, la voce a tradirne quel rimescolio interiore, ma aveva distolto lo sguardo. Avrebbe dovuto cogliere quel momento per cercare di strappare a Kurt altre verità sopite, per cercare di comprendere ciò che stava loro accadendo in quel momento.
“E di Blaine”, sussurrò Kurt.
Si era irrigidito, Sebastian. “Ti assicuro che Blaine non è nei miei pensieri”.
“Non farlo di nuovo”, sussurrò con aria quasi angosciata che costrinse Sebastian a tornare ad osservarlo in viso, malgrado lo ferisse constatare quanto Blaine fosse presente anche in quel momento, sospeso tra loro.
“Insultarlo?”.
“Non chiudermi fuori”, sembrò pregarlo e quella consapevolezza spezzò il fiato a Sebastian.
Sarebbe bastato un solo attimo e probabilmente avrebbe dovuto smettere di ingannare se stesso e realizzare che qualsiasi istante potesse essere decisivo. Che quello stupido anello non avrebbe potuto fare la differenza, non quanto i sentimenti che premevano per uscire.
“Kurt”, ne cercò il viso, trattenendone lo sguardo e sfiorandone il volto e l'altro parve indifferente all'umidità e alla vischiosità insolite del contatto.
“Sono qui, devi solo parlarmi”, sembrava che fosse Kurt, in quel momento, a doverlo rassicurare, a cercare di fargli comprendere che poteva ancora fidarsi di lui ed esserne un sostegno.
Si domandò se potesse avere la benché minima idea di come quell'invito avrebbe potuto effettivamente cambiare le cose, ma in un modo che, a cinque mesi dal matrimonio, non avrebbe mai contemplato.
Lo sentì affondare contro il suo petto, aggrappandosi alla sua camicia, a dimostrazione di quanto quel bisogno era reciproco e ugualmente sentito.
“Ho bisogno di te: ho bisogno della tua ironia, che tu finga di non ascoltarmi mai, ma sappia esattamente di cosa ho bisogno. Voglio restare con te in questi ultimi mesi, perché so che mi mancheranno da morire”, pronunciò quelle parole con voce sussurrata e melodiosa, come una dolce nenia alla quale abbandonarsi. Come una promessa e una struggente richiesta di perdono. Come un dolce dolore cui non avrebbe rinunciato, in nome di ciò che avevano condiviso in quell'anno.
Sentì la dolorosa contrazione all'altezza del petto, ma rafforzò la pressione del contatto, affondando contro la sua spalla esile, respirandone il profumo e socchiudendo gli occhi.
A prescindere da quanto era accaduto e da quanto sarebbe potuto accadere in futuro, quel momento era soltanto lì per lui e nessuno glielo avrebbe strappato. Non fino a quando non avrebbe rovinato tutto di nuovo.
“Sarai sempre importante per me”, pareva essere sincero nel modo in cui ne sfiorò la gota e lo guardò con gli occhi lucidi e le labbra tremanti.
Non abbastanza, fu il repentino pensiero.
“Sebastian”, sussurrò di nuovo, quasi un silenzioso rimprovero alle parole che non aveva pronunciato, quasi un'ulteriore preghiera per indurlo a lasciarsi andare.
“Mi sei mancato”, sussurrò in risposta prima che le sue labbra si contrassero. “Ma questo non cambia le cose e non lo farà mai”.
Vi era pacata rassegnazione nella propria voce, il tentativo di dissipare le prediche di Hunter, la consapevolezza che non sarebbe mai stato la ragione per cui Kurt sarebbe rimasto.
Si era divincolato, la mano di Kurt ancora salda sulla sua. Sembrava la promessa di ciò che sarebbe accaduto, ciò che non avrebbe potuto evitare, anche desiderandolo con tutto se stesso. Perché provarci allora?
“Sebastian, ti prego”.
Si voltò, un sorriso mesto, ma coprì nuovamente le distanze, tracciando una linea di farina lungo lo zigomo dell'altro, seguendo la scia delle efelidi.
Lo sentì trattenere il fiato e lo vide teso e febbrile.
Ne baciò la gota: “Finiamo la nostra pizza”.
Attimi soltanto loro, si disse, quelli glieli doveva. Almeno quelli sarebbero rimasti nella propria memoria e probabilmente sarebbero stati sufficienti, come ogni tentativo possibile perché non si allontanasse. Non troppo.
Perché non avrebbe saputo mai davvero trattenerlo e quella sarebbe sempre e solo stata una sua colpa.


To be continued...


Buon Venerdì a tutti,
è il primo capitolo che posto dopo la ripresa delle lezioni universitarie e sono felice, da amante delle buone abitudini, di non aver dovuto cambiare il giorno della pubblicazione ;)
E' stato un capitolo un po' sofferto in fase di revisione, soprattutto per la tempistica che ho cambiata rispetto alla bozza iniziale, ma sono riuscita a giungere ad un compromesso con me stessa (e non è stato facile u_u Fate conto che in me c'è un po' di Kurt, un po' di Sebastian e un po' del “dottorino”, quindi potete immaginare le lotte interiori).

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, il countdown al matrimonio è sempre più esiguo e credo sia ormai evidente che, sabotaggi più o meno riusciti, la vera lotta di Sebastian è contro se stesso, piuttosto che contro i due piccioncini. Mi rendo conto di quanto può apparire contraddittorio nel suo agire, sempre vicino al momento risolutivo, eppure sempre a ritrarsi. Ma cercherò di delineare nel miglior modo possibile il suo inconscio, a poco a poco, per quanto lui lo conceda, essendo molto meno “kurteggiante” persino con se stesso :)

Ma diamo una sbirciatina al prossimo capitolo:


“Si prospetta un gran bell'anno di merda” “Già, almeno lo scorso Natale non eravamo qui”. “Se stai per rievocare l'ennesimo flashback in bianco e nero su di te e Jenna” […].
“Vuoi smetterla di parlare? Voglio vedere il tuo culo rimbalzare sul ghiaccio” “Sfortunatamente per te, sono un buon pattinatore” “Tanto meglio, mi insegnerai tu”.
“Non so se dovrei lasciarti partire. A meno che al tuo ritorno tu non annunci un altro fidanzamento, o non ti sia trasformato in una Kate, o-”. […]


Come sempre grazie alle meravigliose persone che continuano a seguirmi, è sempre una gioia e un grande piacere leggere i vostri commenti ed osservazioni. Sono sempre disponibile anche per chiarire dubbi o perplessità :)
Non mi resta che augurarvi un buon weekend,
un abbraccio a tutti,
Kiki87



1 Per ascoltare il brano e vederne il testo originale:  qui
2 Mi sono imbattuta per caso in questa foto e non posso non condividerla, mi diverte ed intenerisce insieme e non ho resistito a spacciarlo per il famigerato Lord Tubbington XD gatto
3Quando provo ad immaginare Brittany in simili scene, mi piace associarle un'altra doppiatrice, rispetto a quella di Glee. Gemma Donati, che alcuni di voi conosceranno come doppiatrice di Bernadette di “Bing Bag Theory” o Hannah Marin di Pretty Little Liars. Ma è stata anche la doppiatrice (tra le molte altre cose!) di Ashley Tisdale e di Candace del cartone “Phineas and Ferb”. Adoro le inflessioni diverse con cui arricchisce i personaggi più comici (come Sharpay di HSM o Bernadette) da quella più autoritaria e civettuola, fino al lato più tenero, isterico e puerile :) Per farvi un’idea del tono che sta usando, ecco una piccola clip inserita da una ragazza che ha provato a doppiare Brenda Song, ma la doppiatrice di Ashley è l'originale. Saltate pure al 50° secondo per sentirla arrabbiata, purtroppo non ho trovato di meglio. Gemma Donati doppia Ashley Tisdale

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***



E quando ho bisogno di te
tu sei quasi qui.
E io so che
non è abbastanza.
E quando sono con te
sono vicino alle lacrime
perché tu sei soltanto “quasi qui”.

Cambierei il mondo
se ne avessi la possibilità.
Non me lo lasceresti fare?
Trattami come un bambino,
prendimi tra le braccia.
Oh, per favore, proteggimi.

E quando ti stringo
tu sei quasi qui.
E ora che sono con te,
sono vicino alle lacrime,
perché so che sono solo quasi qui.
Solo quasi qui.

Almost Here – Brian McFadden
feat Delta Goodrem1

(Dicembre
meno tre mesi al matrimonio)


Capitolo 8


Sollevò lo sguardo dal libro di diritto penale: si lasciò sfuggire un vago sospiro ai suoni provenienti dal soggiorno e sollevò gli occhi al cielo all'udire il volume esagerato dello stereo che stava riproducendo brani natalizi.
Natale a New York quell'anno non prometteva nulla di entusiasmante, constatò tra sé e sé giocherellando con la matita che teneva tra le dita. La cosiddetta magia del Natale per Sebastian si era esaurita più o meno all'età in cui si smetteva di credere alle favole, tanto meno ad un pittoresco e fantomatico Santa Clause. Con gli anni era decaduta in una sterile tradizione di riunire i parenti (compresi quelli che avrebbe volentieri reciso dai rami dell'albero genealogico, fino a un tentativo di porre maggiore distanza possibile tra lui e la casa familiare nell'Upper East Side). Probabilmente soltanto l'ultimo Natale si era potuto definire degno di nota.
Scosse il capo, più che mai deciso a immergersi nella lettura del paragrafo, armato di evidenziatore per rimarcare le parole chiave che avrebbero solleticato la sua memoria fotografica.
Si riscosse al suono attutito alla porta, ma non ci fu bisogno di invitare il coinquilino ad entrare.
Si volse ad osservare Kurt, il sorriso sulle labbra e l'aria spensierata, mentre entrava nella stanza con una tazza che depositò attentamente sulla sua scrivania, attento a non urtarne il libro: “Ho preparato lo zabaione”, lo informò in tono beato.
La sua dose di stress era inevitabilmente diminuita alla sospensione temporanea delle lezioni alla Nyada, nonché del tirocinio per Vogue.
Come se non fossero già stati immersi in un'atmosfera tutta zucchero e “Klainestere2, pensò Sebastian occhieggiando la tazza. Ma era comunque piacevole osservarlo in quell'alone di serenità e non gli dispiaceva (troppo) che Kurt fosse una di quelle persone che tanto si allineassero all'atmosfera stucchevole di quel mese. Senza contare quanto fosse lusinghiera la naturalezza con la quale sembrava volerlo riempire di premure. Era certo che vederlo sui libri lo stesse condizionando, ma accettò di buon grado e sorseggiò la bevanda con gusto, leccandosi le labbra a rimuoverne le ultime tracce. Kurt era fermo di fronte alla sua scrivania, le mani sui fianchi e lo sguardo che già cercava di immaginare come avrebbe decorato l'intero loft. La sua camera compresa, se glielo avesse concesso.
“Stavo pensando di fare l'albero più tardi”, esordì quando il suo viaggio mentale parve riportarlo alla realtà. “ E poi disporre le decorazioni e le lucine nel loft, partendo dall'ingresso, il soggiorno-”.
“Se il fantasma dei Natali passati di Kurt Hummel a Lima?”, lo rimbeccò Sebastian, sollevando lo sguardo. Seppur, grazie anche agli album fotografici, conoscesse alcune delle tradizioni degli Hummel (soprattutto quando Elizabeth, con il suo estro artistico, era in vita), non poteva non paragonare il ragazzo che aveva di fronte con quello che l'anno precedente aveva indossato una coltre di depressione, in quello stesso periodo.
Sorrise, l'altro, dondolandosi nelle spalle esili: “Avevi ragione: il Natale a New York è davvero magico”, lo informò e lo sguardo azzurro parve persino più luminoso.
Superfluo era chiedere perché quell'anno quel calore e quella svenevolezza fossero ancora più sentiti.
Non era così che lo avevo pensato, fu lo spontaneo pensiero di Sebastian.
Scoprendosi infastidito dalla gola secca, ingollò il restante della sua bevanda, quasi sperando che quel sapore stucchevole potesse alleviare quell'amarezza interiore e placarne il sarcasmo che avrebbe solo guastato la bella bolla in cui Kurt era tuttora immerso.
“Ti andrebbe di aiutarmi, quando avrai finito?”, fu proprio l'altro a riportarlo alla realtà e, dal sorriso entusiasta, sembrava che lo desiderasse davvero.
“Se insisti, piccolo elfo”, ritrovò un vago sorriso ironico ad increspargli le labbra e suscitare un certo rossore sulle gote di Kurt e fu la conferma che stesse sovvenendo in loro lo stesso ricordo.
“Buono studio”, gli augurò, aprendo la porta per tornare in soggiorno.
Appoggiò la matita sul libro, Sebastian: “Kurt?”.
“Sì?”, si era voltato sulla soglia.
Sorrise, Sebastian, il viso inclinato di un lato: “Sarà il tuo Natale, ricordi?”, si sorprese lui stesso a chiederglielo esplicitamente. Quasi una conferma che tutto ciò che avevano vissuto, fino a quel momento, non fosse scomparso. Sapeva che Kurt stava già delineando il suo futuro, ma non avrebbe rinunciato al proprio ruolo, almeno in passato.
Un sorriso più dolce parve illuminare il viso di Kurt, facendone risplendere gli occhi di zaffiro e lo contemplò per un lungo istante.
Mortalmente lungo perché Sebastian, ancora una volta, si maledicesse per non compiere quel passo in avanti. Perché ancora una volta si sentisse lui stesso trattenere il fiato, quasi timoroso di ciò che avrebbero potuto scorgere quegli occhi, di ciò che desiderava vi fosse in lui, oltre il sarcasmo e le apparenze.
Restò ad osservare a lungo la porta ormai chiusa alle sue spalle.

Il centro commerciale era stipato di gente: uno dei motivi per cui Sebastian ne avrebbe ignorato permanentemente l'esistenza, soprattutto nel periodo precedente ad una festività, quando tutti sembravano ricordarsi di avere una famiglia, visto l'ingombro di pacchi con cui rendevano complicato passeggiare senza sentirsi urtare inevitabilmente.
Ciononostante, stava sorridendo, mentre osservava il giovane alle prese con una bambina particolarmente vivace, circondato dalle due colleghe e sarebbe stato al quanto difficile capire quale delle due fosse più insofferente alla situazione. Nonché alla sgradita presenza dell'altra.
Miaaaaaa! Renna mia!”, stava gridando la bambina che, per quanto minuta, dimostrava una testardaggine lodevole, quasi stessero cercando di strapparle un rene, piuttosto che uno stupidissimo elemento scenico di decorazione.
Tesoro, piccolina”, la richiamò Kurt con voce volutamente gentile. “Devi scendere: rischi di farti male”, cercò di convincerla con aria accattivante.
Che ne diresti se
Zia Snix ti mostrasse cosa si fa nei quartieri diffamati di Brooklyn3 alle bambine che non obbediscono?”.
Non è il modo di parlare ad una bambina”, gemette Kurt, guardandola con aria atterrita, seppur la piccola in questione li stesse bellamente ignorando, continuando a muoversi sulla renna come un'amazzone esperta.
Scusa, Lady Hummel”, lo apostrofò la latina, il sorrisetto sardonico. “Dimentico sempre chi abbia l'utero tra noi due”, replicò serafica.
Scosse il capo, Kurt, ma fu l'altra moretta ad assumere un cipiglio indignato, le mani piantate sui fianchi, l'atteggiamento arrogante, nonostante fosse persino più bassa dell'altra.
Non parlargli in questo modo!”, l'additò con una smorfia.
Sollevò gli occhi al cielo, Santana. “Devi sempre mettere il tuo naso da pellicano in faccende che non ti riguardano?”, le chiese con un sorriso strafottente. “E' una deformazione fisica, o ti illudi che la tua opinione conti qualcosa?”.
Tesorino, ti prego, fallo per me”, cercò di sovrastare le voci delle due litiganti, Kurt, per risolvere il problema principale.
No!”, gridò la bambina, continuando a dondolarsi sul posto, totalmente incurante della fila di bambini che avrebbero voluto godere a loro volta della giostra. “Gli elfi non sono i padroni della slitta di Babbo Natale!”, aggiunse in tono ammonitore, guardandoli come se avessero abusato delle loro prerogative, interrompendo persino la discussione tra le due ragazze.
Non perse il suo sorriso, la latina, che dondolò la testa con aria vagamente minacciosa. “Sai cosa sanno fare bene gli elfi che si chiamano Santana?”, le domandò, chinandosi verso di lei con la stessa aria gradevole, ma in qualche maniera inquietante. “Le cosas malas: ti va di provarle?”.
Non credo che il mondo sia pronto, zia Snix”, fu la serafica replica di Sebastian il cui sguardo ridente era tutto per il giovane, un vago compiacimento interiore nell'averlo paragonato silenziosamente ad un elfo, ancora prima che indossasse quella mise. “Ciao Kurt, la tenuta ti dona molto”, commentò con voce suadente.
Il suo sguardo indugiò su come quella casacca di quel rosso acceso e i pantaloni verdi, come il risvolto del colletto, fossero piacevolmente attillati in un contrasto davvero interessante tra l'innocenza che dovevano far trasudare e i suoi licenziosi pensieri.
Sollevò gli occhi al cielo, Santana, prima che il coinquilino potesse rispondergli.
Speravo che mi mandassi qualcuno con un bel paio di bicipiti, MasturbHunter è troppo impegnato a farsi portare le palle a spasso dalla sua ragazza?”, gli abbaiò contro.
Pareva shockata, Rachel Berry, che guardò Sebastian come se lo vedesse soltanto in quel momento, prima di tornare a fissare la giovane. “Adesso si spiega tutto: il parlare da ghetto, il dubbio senso della moralità e dell'umorismo, la prepotenza e l'arroganza”, prese ad elencarne tutti i difetti sulla punta delle dita. “Avrei dovuto capirlo che era una tua amica!”, accusò il nuovo arrivato.
Schioccò la lingua sul palato con aria soddisfatta, Santana Lopez. “Io avevo capito che Lady Hummel è il suo scopagiocattolo perverso e che tu dovevi essere la nana coi complessi da Diva e la risata da iena”, dondolò il capo con aria innocente al rossore che infiammò il viso di Rachel. “Quando ho visto il nasone è stato tutto chiaro”, replicò con lo stesso tono, premunendosi di abbassare la voce ad una tonalità più leziosa.
Non la sopporterò un minuto di più: pretendo la mia pausa, sto perdendo la pazienza e le mie ore di riposo”, sancì, Rachel, appoggiandosi le mani ai fianchi, prima che il direttore del negozio le scoccasse un'occhiata ammonitrice.
Tornò sui suoi passi, sbuffando con aria stoica: “Da questo momento vi ignoro!”, sollevò il braccio, quasi a tenere a distanza gli altri due che si scambiarono un'occhiata divertita.
Cercherò di sopravvivere al dolore”, la informò distrattamente Sebastian.
Si chinò di nuovo verso la bambina, Rachel, con un falso sorriso radioso. “Allora, tesoro, ti decidi a lasciare quella renna o vuoi che te lo canti?”.
Oppure potrei staccarti io le dita, una ad una: sarà molto divertente”, aggiunse Santana.
Gli elfi dovrebbero essere gentili”, si lamentò la bambina con cipiglio corrucciato, incrociando le braccia al petto. “E tu non lo sei!”, l'additò con aria polemica.
Ha ragione”, convenne, Kurt, che fino a quel momento era parso nascondersi dietro le due ragazze, per evitare di incrociare lo sguardo del coinquilino.
Si chinò stoicamente per un ultimo tentativo. “Che ne diresti se tu lasciassi la renna e io ti dessi un posto in prima fila per vedere Babbo Natale?”, le propose con un sorriso luminoso, cercando di nascondere la fronte imperlata di sudore.
Lo studiò con aria quasi meditabonda: “Poi posso avere la mia renna?”.
Stecchita e imbalsamata”, rispose per lui, Santana.
Sorrise la bambina, scendendo con aria soddisfatta e porgendole la mano: “Abbiamo un accordo”.
Ci volle tutta l'arte persuasiva e la voce petulante di Rachel Berry, perché Santana Lopez non staccasse le dita della mano che le veniva porta.
Con un sospiro di sollievo, Kurt si diresse verso il tavolo coi viveri, versandosi un bicchiere d'acqua con la stessa disperazione con cui molti avventori del Penguin Pub languivano di fronte ad un bicchiere di whisky.
Lo aveva seguito, Sebastian, continuando a squadrarlo con espressione sorniona e si chinò verso il suo viso. “A che ora stacchi?”, gli chiese languidamente, rimirando il cappello che indossava. “Non ho mai rimorchiato un elfo”, sussurrò con aria confidenziale.
Sollevò gli occhi al cielo, Kurt: “La prossima volta che ti chiedo aiuto per un lavoretto extra, uccidimi”.
Scusa,non ti ho sentito: le tue calze a strisce mi confondono, oppure è questo ricciolo”, aveva allungato la mano verso la sua fronte, laddove quel ciuffo elaborato ad arte sfuggiva dal copricapo intonato al completo.
Sospirò, Kurt, scostandone la mano: “Sono serio”.
D'accordo, mi farò perdonare”, suo malgrado si sorprese per come la sua voce suonasse sempre più dolce e rauca, parlando con lui.
Questo sarà il tuo Natale, promesso”.
Lo guardò con aria scettica, Kurt: “Mi basterà togliermi questo costume: pizzica”, commentò in tono lamentoso, sfregandosi il fianco. “E poi le strisce mi fanno le gambe grasse”, aggiunse con una sorta di broncio, guadandosi al di sotto della vita.
Non lo avevo notato”, convenne Sebastian con lo sguardo rivolto altrove. “In effetti una parte di te sembra persino più grande del solito”, fu il suo spudorato commento, lambendosi le labbra e ignorandone il rimprovero scandalizzato.
Si suppone che io sia un aiutante di Babbo Natale”.
Vuoi che ti faccia un inventario di tutti i film porno che implicano Babbo Natale e i suoi elfi?”, lo provocò Sebastian con il suo sorriso più baldanzoso, giocherellando con la frangetta a punte della casacca. “Potrei aiutarti a sfilarlo”, soggiunse con uno sguardo più languido.
Scosse il capo, Kurt, depositando il bicchiere con intenzione di andarsene.
Ci vediamo dopo”.
Sorrise tra sé, Sebastian, ma si volse quando ebbe la sensazione che qualcuno lo stesse fissando intensamente. Non si era sbagliato: alle sue spalle Santana Lopez lo stava rimirando con aria divertita, a giudicare dal sorrisetto supponente sulle labbra. “Non te lo sei ancora portato a letto, vero?”.
Nella mia mente sì, svariate volte e in molteplici posizioni e ambienti”, ammise senza alcun pudore, continuando a scrutarne la figurina, mentre faceva disporre i bambini in una fila ordinata, all'ingresso di un vecchiaccio obeso, travestito da Babbo Natale.
Sei fottuto, Ciuffo Disney, ma non nel modo in cui speri”, fu il commento della ragazza, rimirando a sua volta il suo coinquilino.
La guardò di sottecchi: “La strizzata alle tette ti toglie ossigeno al cervello?”.
Zia Snix ha visto abbastanza e ne è nauseata, adios”, un vago cenno della mano e, totalmente incurante dei richiami del datore di lavoro, gettò il cappellino alle sue spalle in un'evidente ed implicita rassegnazione delle proprie dimissioni.
Rimase lì, Sebastian, osservando il suo coinquilino alle prese con i bambini, ne osservò i sorrisi più formali, quelli più sinceri. Lo sentì intonare stupide canzoncine natalizie, accompagnandole con una coreografia del tutto improvvisata, mentre la solita Ciabatta Berry cercava di catalizzare su di sé riflettori invisibili.
Non credevo che saresti rimasto”, convenne Kurt alla fine del suo lunghissimo e sofferto turno. “Dov'è finita Santana?”.
Avrà infilato il suo « labbra di pesce » sotto una piantagione di vischio”, ribatté con uno scrollo di spalle, prima di osservarlo e lambirsi le labbra. “ E poi te l'ho detto: non ho mai rimorchiato un elfo, prima d'ora”, ne baciò la gota.
Sospirò, con aria stoica, dirigendosi verso gli spogliatoi: “A tra poco”.
Inarcò le sopracciglia, pochi minuti dopo, quando si sentì cingere il braccio da Kurt stesso:
Andiamocene”, gemette con aria sconvolta che gli fece inarcare le sopracciglia. “Ho appena visto un topo, non ho intenzione di spogliarmi lì dentro o restare qui un minuto di più”.
Rise, Sebastian, per poi tornare a squadrarlo: “Oh, ti prego, dimmi che lo terrai per tutta la sera”.
Sebastian, non sei divertente: dimmi che sei venuto in auto!”, parve supplicarlo con aria disperata che lo fece persino ridere più intensamente.
Custodirò questa immagine per sempre”, gli sussurrò all'orecchio in tono complice, facendogli strada verso il parcheggio.
Non tornerò mai più in questo centro commerciale”, borbottò l'altro con tono evidentemente scandalizzato, attendendo che aprisse l'auto per sedersi al lato passeggero.
Lo osservò durante la guida e non ci volle molto perché Kurt sembrasse nuovamente perdersi nei propri pensieri, abbastanza insidiosi perché lo sguardo si adombrasse. Lo osservò sfregarsi il dito che sembrava ancora orfano dell'anello che aveva indossato fino a poco tempo prima.
Pensi ancora a lui, vero?”, si sentì chiedere, Sebastian.
Inarcò le sopracciglia, Kurt, ma non parve voler negare: ne osservò il profilo con aria stanca.
Lo scorso Natale mi aveva regalato un anello: lo aveva definito il primo Natale di molti altri da passare insieme come coppia”, spiegò e la sua voce ancora era impressa dell'umiliazione e del dolore sofferto da quella separazione.
Natale non è solo un fidanzato stucchevole”, commentò in risposta, inarcando le sopracciglia. Non riusciva a comprendere come si potesse davvero permettere che qualcuno si insinuasse nella propria vita ad una maniera così morbosa. Tanto persino da poter ancora avere presa a distanza di tempo, persino rovinando l'atmosfera particolare da cui avrebbe voluto lasciarsi immergere.
No, ma non è neppure sentirsi soli”, replicò Kurt in risposta, il sorriso amaro. Era stata una coincidenza sfortunata che il padre non avesse potuto raggiungerlo e non desiderava affatto tornare in Ohio.
Inarcò le sopracciglia, Sebastian, il viso inclinato di un lato: “Sono diventato trasparente per caso?”.
No”, sorrise Kurt e parve davvero sollevato per l'implicita conferma che non lo avrebbe lasciato solo in quel loft e in balia di sé stesso e dei propri tormenti. “Dubito potresti mai esserlo, ma grazie”.
“Potresti ringraziarmi continuando a tenere questo costume per tutta la sera”, rimarcò in risposta, allungando la mano a sfiorarne il ginocchio, suscitando un'inarcatura di sopracciglia da parte di Kurt.
Sei un maniaco”, ma ne strinse la mano un breve istante.
Forse”, ribatté in tono distratto, ma ringraziò che la flessione della sua voce non tradisse quell'improvvisa aritmia, dovuta a quella stretta inaspettata.

Si drizzò, un sorriso sul volto e schiuse l'uscio per annunciargli il suo contributo. Fin quando non lo vide con Blaine di fronte al camino: quest'ultimo aveva sollevato un ramo di vischio sopra le loro teste e si era proteso per baciarlo.
Stupido Natale.

~

Storse le labbra quando notò che, persino nel suo rifugio dal mondo esterno, le decorazioni natalizie erano sparse ovunque. Imprecando tra i denti, si fece largo tra la solita fiumana di frequentatori: persino le ballerine esibivano costumi di un rosso vivace e con risvolti bianchi e cappelli da Babbo Natale.
Fu lieto (quasi) che il look natalizio non fosse stato contemplato anche per il barista la cui espressione da “disperato smanettatore”, lasciava intuire che il suo umore non fosse esattamente idilliaco. Non che la cosa lo preoccupasse. Alla sua vista vi fu solo un solco tra le sopracciglia a mo' di saluto ma, raddrizzando gli occhiali sul naso, sfogliò il tomo di medicina con la stessa aria schizzinosa degli studenti di legge che sedevano in biblioteca e lanciavano occhiate incendiarie al minimo suono diverso dal grattare di una penna.
Si accomodò al solito sgabello, premunendosi di servirsi da solo, prendendosi una bottiglia di birra.
Il solco tra le sopracciglia di Hunter si accentuò, ma non commentò e si limitò a leggicchiare l'ennesima pagina, mentre Sebastian faceva vagare lo sguardo attorno con vaga curiosità.
Tontittany in rosso sembra la versione porno soft di Cappuccetto Rosso”, pronunciò con aria indifferente, tanto per punzecchiarlo.
Notò un fremito all'altezza della mascella, ma il barista non parve voler interrompere (ancora) il suo dignitoso silenzio.
Roteò gli occhi, Sebastian: “Hai le spalle troppo larghe per fare il gioco del silenzio”.
“Le sue sono perfette per guardarmi come se le avessi impiccato il gatto, cosa che, tra parentesi, non sarebbe poi un'idea tanto malvagia”, specificò con tono polemico. “Lo sono anche per farsi accompagnare a casa da quel coreano coi suoi addominali scolpiti e il suo perfetto stile di ballo”, aggiunse sfogliando l'ennesima pagina con un'energia tale da procurare uno strappo alla stessa, probabilmente immaginando di poter così eliminare la concorrenza.
Si concesse un vago sorrisetto, Sebastian: “L'angry sex è sempre meglio di niente, dovresti pensarci”.
Alla sua occhiata gelida, si strinse nelle spalle: “Non ti ho detto io di rovinare tutto con lei”, scrollò le spalle. “O di rovinare quello che non c'è mai stato al di fuori della tua mente perversa. Che poi tu sia visto da tutti come un gay, è ancora più-”.
“Sei stato il primo a diffondere la voce!”, fu la scandalizzata accusa e la vena sulla fronte parve pulsare soltanto per ricordare la sua esistenza.
“A volte dimentico quanto io sia influente”, dichiarò Sebastian con aria piuttosto compiaciuta di sé, prima di tracannare nuovamente un sorso di birra dalla canna della bottiglia.
“Non ce l'ho con te”, ammise Hunter che chiuse il libro con aria stoica. “Ce l'ho con me stesso perché ancora ti permetto di rovinarmi l'esistenza”, precisò con la stessa aria risentita.
Emise un fischio fintamente impressionato: “Non è che a forza di sognare le tette, ti stanno spuntando, vero?”, domandò con aria fintamente preoccupata. “Però potrebbero esserti utili sotto la doccia”, aggiunse con espressione provocante.
Lo fissò con aria disgustata: “Non sono in vena, Sebastian”.
Scosse il capo, lo sguardo di nuovo diretto al palco. “Odio il Natale”, parve parlare con se stesso e Hunter sorrise con aria ironica.
“Odi il Natale condito al gel di mirtillo, odi il Natale con Kurt felice e innamorato, nella sua meravigliosa favola e il miracolo di Natale che scalda tutti i cuori di quelli che ti stanno attorno”, recitò tutto di un fiato, prima di incupirsi. “Che sembrano sbatterti in faccia le loro vite perfette, le loro perfette relazioni, le loro perfette carriere e i loro conti in banca grondanti”.
Prodigioso come il sorriso ironico con cui aveva iniziato quel soliloquio (con l'intento di rigirare il dito nella piaga) avesse lasciato spazio ad un'espressione di puro disgusto e di reale autocommiserazione. Si versò un bicchiere di tequila che ingollò come stesse facendo i gargarismi in bagno.
“Fanculo al Natale”, borbottò tra sé e sé, facendo cozzare l'ennesimo bicchiere contro la bottiglia di birra dell'altro.
“Pranzo coi tuoi?”, chiese Sebastian, come se fosse stata la risposta a quell'improvvisata invettiva autobiografica.
Un vago cenno d'assenso. “Sto pensando di propormi per il doppio o triplo turno”, lo informò distrattamente. “Sempre che quel tiranno creda che si presenti qualche accattone per cui valga la pena aprire”.
“Sapevo che non avresti resistito una notte senza di me”, ammiccò Sebastian.
“Sta zitto”, borbottò.“E che faranno i tuoi piccioncini?”.
Una smorfia schifata. “Partiranno domani: pranzo dai futuri suoceri che sono rimasti entusiasti dei progetti di Kurt per il matrimonio”, spiegò, sollevando gli occhi al cielo, cercando di non farsi venire un'ulcera al ricordo dell'entusiasmo di Kurt mentre glielo riferiva. “Per l'occasione si presenterà anche il brillante fratello, un fallito di Hollywood che si crede Matt Bomer”.
“E' anche lui gay?”, chiese vagamente incuriosito l'altro.
“Ci stai facendo un pensierino?”, lo rimbeccò automaticamente.
Roteò gli occhi, Hunter, lo sguardo saettò nuovamente al palco in occasione del primo assolo a tema natalizio della bionda ballerina. “Si prospetta un gran bell'anno di merda”, sussurrò tra sé e sé, Sebastian.
“Già”, borbottò l'altro, tornando a fissare il proprio bicchiere, come se stesse valutando se fosse il caso o meno di lasciarsi sedurre da quell'opportunità. Lo ingollò l'attimo dopo, senza battere ciglio. “Almeno lo scorso Natale non eravamo qui”, aggiunse quasi a mo' di consolazione.
“Se stai per rievocare l'ennesimo flashback in bianco e nero su te e Jenna-”.
“E tu?”, lo incalzò con aria ironica. “Ricordo ancora l'espressione che avevi il giorno successivo al tuo non-appuntamento con Kurt”, rimbeccò, incrociando le braccia al petto, le sopracciglia inarcate con la stessa espressione di chi attende una confessione inevitabile.
“Avrei dovuto scoparmelo quella sera, almeno mi sarei tolto lo sfizio”, borbottò in risposta. Ma si sentì persino peggio per aver pronunciato quelle parole, quasi una parte di sé volesse ancora convincersi che Kurt potesse essere soltanto un corpo su cui lasciar sfogare fantasie e desiderio. Quasi potesse davvero illudersi di sminuire in quel modo i suoi sentimenti o, peggio ancora, insozzare volgarmente tutto ciò che il giovane rappresentava, a partire da quel decoro e candore che lo avevano colpito fin dal primo incontro. “Grazie, Pablo Neruda”, commentò sarcastico, Hunter. “Ora il sesso natalizio ha un nuovo significato”.
Ma non lo stava più ascoltando, Sebastian.


Bussò alla porta del ragazzo e schiuse l'uscio, quando ne sentì la risposta dall'interno: era meglio dimostrare di avere buone intenzioni, una volta tanto, così da evitare che lo assordasse con uno di quegli strilli da donna. Come aveva immaginato, era ancora perso nel suo melodramma rosato, mentre contemplava un cofanetto. Si avvicinò al letto sul quale era seduto e scrutò all'interno della scatolina: aggrottò le sopracciglia alla vista di quell'orrido esemplare di pacchiano romanticismo, ma si sforzò di mordersi la lingua e non pronunciò commenti, o meglio non tradusse in suono i suoi pensieri.
Si mise in ginocchio di fronte al giovane, glielo tolse di mano e appoggiò le mani sulle sue ginocchia: “Se proprio vuoi kurteggiare, non lo farai da solo e senza un bicchiere di whisky”, proclamò con tono autorevole.
Non sono un alcolizzato”, borbottò con voce indignata, ma si lasciò cadere sul proprio letto. “Scusami, ma oggi non sono affatto di compagnia”, continuò con l'aria di chi avrebbe preferito passare la serata fissando il soffitto e piangendosi addosso.
Fa niente”, si strinse nelle spalle e affondò sul materasso, sporgendosi pericolosamente verso il suo viso. “Posso fare tutto io”, sussurrò al suo orecchio con un luccichio malizioso nello sguardo.
Boccheggiò, Kurt, le guance più rosate che fecero sorridere Sebastian con voluttuosa soddisfazione.
Vedi? Ora sei anche più natalizio”, ne baciò la guancia accaldata per poi ergersi in piedi, tirandolo per il braccio. “Andiamo”, lo esortò ad alzarsi.
Sospirò, Kurt, evidentemente poco propenso ad uscire dalla propria camera, soprattutto da quella mentale nella quale racchiudeva il suo dramma broadwayiano personale.

Sorrise soddisfatto, Sebastian, aspettandosi che la vista del tradizionale albero natalizio a Rockefeller Center lo avrebbe fatto tornare alla sua tipica espressione sognante.
Credevo che vivessi a Brooklyn per evitare tutta New York”, commentò Kurt con aria ironica, seppur lo sguardo azzurro non potesse non restare incantato di fronte alla monumentale visione.
Si concesse un sorriso ironico, Sebastian. “Di solito è così, ma sei fortunato: passerai il tuo primo Natale a New York come da tradizione”, dichiarò con espressione risoluta.
Inarcò le sopracciglia, Kurt, il viso inclinato di un lato:“E da quando tu seguiresti le tradizioni?”.
Vuoi smetterla di parlare?”, lo incalzò, indicando la pista. “Voglio vedere il tuo culo rimbalzare sul ghiaccio”.
Sfortunatamente per te”, e Sebastian si ritenne già fortunato perché aveva recuperato quel brio nello sguardo più complice ed ironico con cui si scambiavano battutine all'ordine del giorno, “sono un buon pattinatore”.
Tanto meglio”, si finse per nulla impressionato. “Mi insegnerai tu”.
Parve realmente sorpreso dalla proposta, Kurt, evidentemente non aspettandosi che potesse ammettere, pur indirettamente, una propria lacuna. Ma sorrise, con quell'alone più fanciullesco e sereno. “Potrebbe essere divertente”.
Sì, potrebbe”.
Ed era stato davvero così: non gli era dispiaciuto osservarlo pavoneggiarsi con qualche giro in tondo o sorridere con aria accattivante, anche dopo uno scivolone, ma in posa per una fotografia ricordo. Non gli era dispiaciuto fingere di non saper muoversi per avere un pretesto ideale per trattenerlo o lanciarsi su di lui, facendolo ruzzolare a terra, deliziato dalla risata che si era lasciato sfuggire all'ennesimo impatto contro la pista di ghiaccio.
Ne aveva contemplato il viso da vicino, Sebastian, quel sorriso a farne scintillare gli occhi, mentre i fiocchi di neve turbinavano loro attorno in uno sfondo banalmente natalizio ma piacevole. Era stato allora che lo sguardo ne aveva sfiorato le labbra, meditando seriamente di sfruttare quel pretesto per strapparne un bacio sfiorato, un tocco fuggevole per fissare quel momento nella memoria di entrambi.
E sarebbe stato così semplice, se lo sguardo di Kurt non fosse stato attratto dal capitombolo di una sagoma gigantesca quanto goffa.
Ci sono Rachel e Finn”.
Si era costretto a drizzarsi in piedi, Sebastian, scuotendo il capo a volersi liberare di quel momento di insana follia, aiutando il coinquilino a rimettersi in piedi.
Ma si premunì di far cadere uno dei due piccioncini, ogni volta che gli fosse stato possibile urtarli e farlo passare per un incidente dovuto alla poca esperienza.
Se non altro era stato un buon modo per distrarsi e non continuare a pensare all'occasione mancata.

Gli aveva procurato uno strano contorcimento guardarlo di fronte ad una cioccolata calda, mentre immergeva un dito nella panna per poi portarselo alle labbra con aria golosa, senza neppure realizzare quanto potesse essere dannatamente provocante. Ancora una volta si domandò come potesse faticare a capire che non aveva affatto bisogno di ostentare un atteggiamento sexy o (come nel caso di qualcuno di ben più ridicolo) di indossare litri e litri di gel.
Era semplicemente essendo se stesso, lasciando scorgere quell'anelito innocente e delicato che Kurt Hummel sapeva essere irresistibile ai suoi occhi.
Forse non nell'accezione comune, ma era proprio ciò a destabilizzarlo e intrigarlo, come nessun avventore del Penguin Pub sarebbe riuscito, senza che qualunque seduzione potesse definirsi forzata e improvvisata, in vista di una possibile notte di passione.
Cosa c'è?”, chiese al suo sguardo prolungato.
Sarebbero state almeno una decina le battute più o meno volgari da rivolgergli per risposta.
Si strinse nelle spalle: “Hai una macchia”.
Cosa?”.
Rise della sua faccia sconvolta, ma allungò il dito a cogliere una minuscola porzione di panna dalla gota e ne imitò il gesto, portandosela alle labbra.
Un vago rossore sfiorò le gote di Kurt, probabilmente domandandosi se non lo stesse provocando. Scosse il capo, tuttavia, un sorriso complice e sbarazzino nel far tintinnare la tazza contro quella del coinquilino.

Avevi ragione”, dichiarò, quando furono rientrati. “E' stata una bellissima serata”.
Di slancio gli gettò le braccia al collo e per Sebastian fu spontaneo e naturale avvincerlo a sé. Appoggiò il capo contro al suo e sorrise.
Si era scostato dal suo petto, Kurt, ma aveva fatto l'errore di guardarlo troppo a lungo, alle luci dell'albero, gli occhi ancora sgargianti di serenità.
Era stato un attimo incredibilmente lungo, quello in cui entrambi sembrarono consapevoli di quanto intima fosse quella vicinanza e di ciò che avrebbe potuto scaturirne.
Sbatté le palpebre, infine, e Sebastian avrebbe dato qualsiasi cosa per poterne sondare i pensieri in quel preciso frangente.
Vado... vado a farmi la pulizia del viso”, balbettò con le gote rosate, quasi timoroso.
Annuì distrattamente, Sebastian. Mezzora dopo, aveva già dispiegato le coperte con un sospiro, domandandosi se non avesse dovuto uscire per prendersi un drink.
Fu allora che Kurt bussò timidamente ed entrò, avvolto nel pigiama di seta azzurro che, seppur non ne lasciasse intravedere un centimetro di pelle, riusciva a risultare stranamente intrigante.
Almeno fino a quando non ne scorse il viso e quello sguardo che scintillava di un'emozione del tutto nuova: un misto di speranza e di timore. Di bisogno e di solitudine.
So che potrà apparire puerile”, esordì con una reale esitazione che ne rese la voce più flebile.
Scosse il capo, Sebastian, scoprendo che non aveva bisogno di sentirglielo chiedere esplicitamente.
Scostò ulteriormente le coperte e il gesto sarebbe valso soltanto per osservare la gratitudine e l'autentico affetto scintillare in quelle iridi, in quel sorriso che contava più di un ringraziamento accorato, mentre copriva rapidamente la distanza. Si insinuò al di sotto delle coperte, Kurt, ma si premunì di rannicchiarsi oltre la linea immaginaria che avrebbe diviso in due il letto.
Non vedevi l'ora”, lo canzonò, Sebastian, ma in tono poco convincente perché potesse risultare un invito malizioso.
Sorrise persino l'altro, ma per qualche motivo quella frase scherzosa sembrò essere il pretesto perché abbattesse quelle ultime difese. Quel velo di riservatezza e quelle remore più romantiche, prima di avvicinarsi al suo corpo per accoccolarsi contro il suo petto, dopo un'implicita richiesta con lo sguardo. Sembrò trovare la perfetta collocazione nell'incavo della sua spalla e Sebastian si sorprese a trattenere il fiato, come mai era accaduto in un intimo abbraccio con un amante occasionale.
Restò ad osservarlo per qualche istante, quasi desiderando che il suo corpo potesse serbare una traccia del suo calore, quasi potesse lasciarvi un'impronta per continuare a sentirlo così vicino.
Lo strinse a sé, Sebastian, con un solo rimpianto quella notte: non averlo baciato.


Si riscosse e tornò ad osservare il palco, prima di schiarirsi teatralmente la voce, quando si rese conto che il barista era già tornato alla sua lettura.
“Che sta facendo quello?”, chiese con tono enfaticamente sorpreso.
Sollevò gli occhi al cielo, quando l'altro non reagì e gli tolse bruscamente il tomo di fronte.
Fu allora che egli, l'espressione scocciata, seguì il suo sguardo, mentre un ragazzo dai capelli simili ad un groviglio di fil di ferro intrecciato e gli occhiali scuri saliva sul palco.
Strappò il microfono di mano alla biondina e l'avvinse a sé, protendendo il viso per baciarla, mentre la musica continuava a risuonare inascoltata.
Non ebbe neppure il tempo di chiedersi perché il buttafuori non fosse intervenuto, Hunter Clarington: con un guizzo atletico scavalcò il bancone per dirigersi verso il palco con un'inaspettata fluidità di movimenti. Afferrò il brufoloso ragazzino per il colletto della giacca e spintonarlo via dalla ragazza, tra il clamore generale.
Soltanto dopo qualche minuto, Sebastian, sorseggiando la sua birra con vago interesse, fece un cenno pigro al buttafuori. Quest'ultimo si fece avanti per esortare il barista a riprendere il suo lavoro e cacciare l'avventore, mentre le altre ballerine si riversavano giù dal palco, squittendo impaurite. Ad eccezione di Santana Lopez, l'unica che sembrò capire cosa stesse realmente accadendo e che guardò Sebastian come se non riuscisse a credere ai propri occhi.
Pochi istanti dopo, un fazzoletto a tamponarsi il naso, Jacob Israel si avvicinò furtivamente a Sebastian nell'angolo appartato vicino alle slot machine, l'aria afflitta e risentita.
“Bel lavoro”, si complimentò, Sebastian, aprendo il portafoglio e porgendogli una banconota senza batter ciglio, con la stessa espressione altezzosa con cui avrebbe chiesto ad un senzatetto di andare ad elemosinare altrove.
La prese con la mano libera, lo sventurato, guardandolo risentito: “Non mi avevi detto che il tuo amico era il doppio di me”, borbottò con voce distorta dal colpo inferto.
Strinse le labbra, Sebastian, non particolarmente allenato alla vista del sangue, ma si strinse nelle spalle. “Non ti avevo detto di infilarle le mani nell'imbottitura, ma apprezzo lo spirito di iniziativa”, commentò in tono serafico.
Non ebbe tempo di replicare, perché il buttafuori (dopo aver preso la banconota che Sebastian gli aveva porto) lo spintonò via e gli intimò, con voce teatralmente alta, di non azzardarsi a infiltrarsi di nuovo nel locale.
Il sopracciglio inarcato, osservò il barista ritrovare la sua espressione più spavalda (incredibile come adesso fosse oggetto d'attenzione di quasi tutte le ballerine, comprese quelle che lo avevano sempre bellamente ignorato, se non usando una scollatura come pagamento di una bibita tra un numero e l'altro), mentre la sua Tontittany si premuniva di appoggiargli il ghiaccio sulla mano che aveva usato per colpire il maniaco, con espressione da crocerossina natalizia.
Gli rivolse un cenno del capo: non aveva dubbi che quella sera non avrebbe protestato per il pagamento non pervenuto (per così dire).
“Buon Natale, Clarington”, sussurrò tra sé e sé, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
In fondo, come aveva detto lui a suo tempo, non gli augurava una vita privata catastrofica quanto la propria.
Senza contare che quell'opera buona avrebbe dovuto compensare un altro anno di bevute gratis, sopperendo la sua scarsa abilità di psicologo.
Tanto ci avrebbe pensato da solo, nel corso del nuovo anno, a mandare tutto all'aria e fargli riscuotere la scommessa con la Lopez.

~

Quando schiuse gli occhi quel mattino, non ebbe alcun desiderio di alzarsi dal letto: sarebbe stata la peggiore vigilia di Natale di tutti i tempi e dubitava che l'arrivo del nuovo anno avrebbe portato qualche piacevole novità o un nuovo inizio a lui favorevole.
Dubitava che quei tre mesi sarebbero stati all'insegna della sua rivalsa: cominciava a dubitare di molto a quel punto e il fatto che non si fosse sbronzato la sera prima, non appariva affatto a suo vantaggio. Restò in ascolto dei suoni provenienti dal soggiorno, laddove riusciva ad immaginare Kurt già vestito di tutto punto, mentre controllava le ultime cose, cedeva alla paranoia e riapriva ogni singola valigia a fare un inventario e controllo mentale per assicurarsi di non aver dimenticato il phon, il beauty-case con le creme o i suoi foulard a tema natalizio.
Sarebbe stata una buona occasione per imparare a vivere la sua assenza, si disse, rigirandosi nel letto e desiderando cadere nuovamente nel torpore del sonno.
Riusciva quasi a sentire la voce di ClisterHunter e il suo cipiglio severo a ricordargli che Kurt era ancora lì e se anche avesse potuto accusarlo di essersene andato, lui stesso sarebbe stato responsabile per averlo lasciare andare senza reagire.
Si sfregò gli occhi e uscì dalla camera: Kurt, come aveva previsto, era già vestito per uscire e lo sguardo era perso nel vuoto, rimuginando chissà su cosa.
Si volse, quando Sebastian entrò in soggiorno e lo sguardo scintillò per il sorriso che ne increspò le labbra, sinceramente lieto di vederlo.
“Speravo che ti alzassi in tempo: stavo già pensando di lasciarti un biglietto di saluto, ma-”.
Inarcò il sopracciglio a fermarne il fiume di parole e Kurt sorrise, comprendendone il significato: “Non sei mai eloquente di mattina e neppure completamente vestito”.
Il sorriso si fece più suadente, non avendo affatto remore ad uscire dal letto soltanto con un paio di boxer e una t-shirt. “Non so se dovrei lasciarti partire”, incrociò le braccia al petto. “A meno che al tuo ritorno tu non annunci un altro fidanzamento o non ti sia trasformato in una Kate o-”.
Non aveva finito di formulare la frase che aveva percepito il contatto con il suo corpo: gli aveva avvolto le braccia al collo, Kurt, e aveva affondato il viso contro la sua spalla.
“Sei sicuro di non voler venire?”, gli chiese in tono quasi supplicante.
Scosse il capo, Sebastian, pur nascondendo il volto contro i suoi capelli, inebriato dal loro profumo e dalla morbidezza al tatto, cercando di ignorare il pensiero che quella separazione aveva già il sapore di un addio prematuro.
“Non sarò il testimone, ma neppure il terzo incomodo”, mormorò in risposta, ma Kurt non parve risentirsi. Era come se cogliesse quel qualcosa oltre il sarcasmo di cui erano intrise le sue parole. Come se volesse colpirlo e destabilizzarlo in modo meno appariscente ma più efficace.
“Mi chiamerai, o meglio, risponderai alle mie chiamate?”.
Si lasciò sfuggire uno sbuffo ironico, ma lo trattenne contro di sé: “Forse, se non sarò troppo ubriaco”.
“Se dovessi scoprire che resterai solo-”.
Scosse il capo, Sebastian, scostandolo da sé: “Non devi preoccuparti per me, mi troverai qui al tuo ritorno... e ora sparisci, vai”.
Parve indugiare, Kurt, continuando ad osservarlo con aria indecisa: ne scorse il movimento con cui si sollevò sulle punte per sfiorarne la gota con le labbra fresche e morbide, intinte del suo burro cacao preferito. Socchiuse gli occhi, Sebastian, suo malgrado rilassato al contatto, ruotando appena il volto fino a quando i loro sguardi non si fusero, a pochi centimetri dalle sue labbra.
Le guance di Kurt erano rosate, gli occhi parvero sfavillare, gli tremarono le labbra e sembrò trattenere il respiro.
Un solo battito e avrebbe potuto carpirne le labbra con le proprie. Indugiò in quell'attimo di sospensione nel quale si aprivano infinite possibilità, quello necessario a cambiare davvero le cose o perderlo per sempre.
Sbatté le palpebre, Kurt, e fu istintivo per Sebastian trattenerne i fianchi, osservandone lo sguardo interrogativo. Era parso irrigidirsi.
“Kurt”, quasi non riconobbe il suono della propria voce, quasi ne pronunciasse il nome per la prima volta, quasi ogni volta che lo facesse, potesse illudersi che fosse quella decisiva.
“Sono qui”, sussurrò lui in risposta ad un'implicita domanda e ne percepì la pressione delle mani sul suo petto.
No, si disse Sebastian ancora una volta, non era vero. Non del tutto.
Si scostò quasi bruscamente, scuotendo il capo: “Farai tardi”.
“Sebastian”.
“Va'”, si sforzò di sorridere ma quell'imperativo parve la supplica di non dargli ulteriore tempo per poter agire. Per poter realizzare che, ancora una volta, non ne sarebbe stato in grado e più tentava di avvincerlo a sé e più lo spingeva tra le braccia di Blaine.
Ne baciò la gota e ne inspirò il profumo quasi disperasse di poterlo sentire sulla propria pelle, anche ad ore di distanza.
Sospirò, Kurt, che si costrinse ad indietreggiare: “Ti chiamerò appena sarò arrivato”.
Un cenno del capo: “Sarò qui”.
Contò i passi che parvero necessari perché Kurt uscisse dal loft, quelli che occorsero a fargli di nuovo percepire l'inevitabile strappo all'altezza del petto.

~

Il Natale era solo sopravvalutato in fondo ed era un'opinione diffusa, seppur in pochissimi fossero disposti ad ammetterlo. Ma non riuscì a trovare lo stesso appagamento nel passeggiare e cercare di confondersi tra la folla, non lo consolava neppure il fatto che avrebbe evitato inutili convenzioni sociali e il dover essere sottoposto ad un interrogatorio da parte dei propri familiari.
Più volte il suo pensiero corse al giovane e all'ultimo Natale, il primo che ne aveva scosso l'animo dopo così tanto tempo, ma che sembrava ormai soltanto vivere nelle proprie reminiscenze, rendendo soltanto più amaro ed insopportabile il presente.
Avrebbe soltanto voluto che il tempo scorresse più rapidamente, superare quella simbolica data e poter tornare ad una parvenza di quotidianità, consapevole che quel countdown non avrebbe smesso di beffarlo.
Indugiò in quel momento, osservando la porta d'ingresso del loft, quasi così facendo potesse cambiare ciò che lo attendeva. Il silenzio e quattro pareti a circondarlo.
Ironico che fosse il motivo stesso per cui aveva deciso che Brooklyn sarebbe divenuta la sua casa. Ironico che, ancora una volta, Sebastian Smythe si scoprisse cambiato e contro la sua stessa volontà.
Sarebbe stato rapido, si disse a mo' di sprono, sarebbe entrato per prendere il portafoglio, magari anche premunendosi di lubrificante e preservativi e avrebbe lasciato che l'alcool e il sesso ne riempissero il vuoto. Almeno qualche ora. Prima di svegliarsi e sguazzare nell'odio di se stesso.
“Ciao”.
Sbatté le palpebre, quasi timoroso che quel suono soffice e ben conosciuto fosse soltanto una bieca proiezione del suo udito o della sua speranza.
Osservò Kurt che, per contrasto, appariva perfettamente a suo agio: come se fosse stabilito fin dall'inizio che, al suo ritorno, sarebbe stato lì a cucinare per entrambi la cena della Vigilia.
Il piacevole aroma di tacchino sembrò l'ulteriore conferma che fosse tutto reale.
Aveva indossato il grembiule ed era apparso più che concentrato nella farcitura e nelle ultime decorazioni del piatto, tanto da non alzare neppure lo sguardo in sua direzione.
“Spero che tu sia affamato, credo di essermi superato quest'anno”, annunciò con tono evidentemente orgoglioso di sé, a giudicare da come dondolò le spalle.
Si guardò attorno, Sebastian, quasi aspettandosi che svanisse o che scoprisse Mezza SegAnderson, Rachel e Finn già seduti a tavola: i primi due guardandolo con aria schifata per la sua molesta presenza in un quadro in cui sarebbe stato normalmente escluso. “Allora?”, lo incalzò il suo coinquilino: le mani sui fianchi e il sopracciglio inarcato, quasi fosse Sebastian quello fuori posto.
“Togliti il cappotto e lavati le mani, è quasi pronto”, lo esortò.

Scosse il capo, l'altro, con aria diffidente: “Cosa ci fai qui?”, gli chiese esplicitamente.
Non gli sfuggì come Kurt, fino a quel momento, avesse evitato di guardarlo in viso, malgrado i gesti e le posture ne denotassero tranquillità, come se non fosse venuto meno ad impegni precedentemente stabiliti.
“Stavo pensando che dopo cena potremmo-”.
“Kurt”, lo richiamò perché ponesse fine a quella pantomima, malgrado la sua parte più egoistica lo stesse ammonendo perché si limitasse ad obbedirgli e godersi quell'inaspettata ma piacevolissima sorpresa.
“Non ha importanza”, rispose frettolosamente Kurt, ancora non guardandolo, ma con la voce lievemente più insistente. “Non adesso”.
Lo ignorò, Sebastian, si avvicinò a passi rapidi e ne cinse delicatamente, ma con aria decisa, il mento perché finalmente potesse incrociarne lo sguardo. Sentì il suo cuore stringersi in una morsa e un'improvvisa furia attraversarlo: gli occhi apparivano ancora piuttosto gonfi e la punta del naso arrossata, malgrado avesse ostentato una reale allegria al suo ritorno.
“Hai pianto”, cercò di contenere l'ira, la voce soffusa e l'aria realmente preoccupata nel trattenerne il viso.
Scostò delicatamente la sua mano, Kurt, cercando di improvvisare un sorriso, mentre scuoteva il capo. “Stavo affettando le cipolle”.
“Cazzo, Kurt, che cosa ti ha fatto stavolta?”, gli chiese in tono secco, senza neppure più crucciarsi di apparire calmo.
Scosse il capo e le labbra tremarono, ma si appoggiò al suo petto con lo stesso slancio con cui lo aveva fatto alla partenza, a mo' di congedo.
“Non adesso, ti prego”, parve supplicarlo, quasi ne temesse le reazioni o, probabilmente, che una volta dato sfogo a quel dolore, non sarebbe più riuscito a frenarsi senza rovinare inesorabilmente quella parvenza di compostezza. Si strinse più forte al suo petto, quasi ne comprendesse, dalla rigidità, l'intenzione contraria.
“Poi ti racconterò tutto, ma adesso pensiamo soltanto a cenare, ti prego”, la voce si era smorzata, ma persino quel gorgoglio finale parve una stilettata nel petto di Sebastian.
Serrò la mascella, Sebastian. “Non credo di poterlo fare senza prima avergli disfatto i connotati”, gli fece presente, quando il tremore del suo corpo lo indusse, in un gesto istintivo e non meditato, a cingerne la vita e trattenerlo contro di sé. Malgrado una parte di sé volesse scuoterlo con maggiore energia perché reagisse all'ennesima prova che non l'avrebbe mai reso realmente felice.
Si scostò, Kurt, le mani adagiate al suo petto e lo sguardo tremulo, ma parve ritrovare il sorriso: più dolce e soffuso nell'osservarlo.
“Voglio solo passare con te questa Vigilia di Natale”, sussurrò e Sebastian si odiò per come il suo corpo parve letteralmente afflosciarsi, per come fu quasi lui a necessitare di un sostegno per il solo modo in cui la flessione della voce di Kurt riusciva a renderlo così suggestionabile. Ad una maniera che non avrebbe mai sopportato, neppure per lui.
Persino più insidioso quel sorriso più dolce nell'osservarlo attentamente: “Lui non ha nulla a che vedere con questo”.
Un verso di ironico divertimento, appoggiandogli le mani sulle spalle, guardandolo attentamente negli occhi: “Lui non ha a che fare con questo?”, ripeté in tono incredulo, neppure sforzandosi di controllare la propria voce e il tono alterato.
“Vi sposerete tra tre mesi e tu hai rinunciato ai vostri progetti, dopo che io stesso ti ho visto uscire di casa questa mattina e senza alcun preavviso”, articolò con voce sempre più incredula, cercando di celare l'amarezza all'idea di essere soltanto un ripiego. “Sei sicuro di non aver altri ripensamenti?”, lo incalzò, cercando di celare l'autentica speranza che racchiudeva quella provocazione.
Sorrise, suo malgrado, Kurt, scuotendo il capo. “Sicuro, Sebastian, di non essere tu a ritenerti inferiore a Blaine?”, cercò di sviare la reale domanda, provocandolo con quel sorrisetto supponente sulle labbra.
Lo osservò ancora a lungo, Sebastian, in quel momento chiedendosi se fosse più opportuno baciarlo o schiaffeggiarlo perché smettesse di fingere. Dopotutto Clarington coi suoi quattro occhi poteva aver scorto un assioma inconfutabile: entrambi in fuga da qualcosa, incapaci di parlarsi chiaramente, sembravano perfetti l'uno per l'altro, quando l'unica cosa che contava, in certi momenti, era restare insieme. A dispetto del mondo esterno, a dispetto della loro coscienza e della consapevolezza che tutto fosse ancora in sospeso.
Scosse il capo, quasi combattuto.
“Ti prego”, sussurrò nuovamente, Kurt, quasi avesse mentalmente seguito il suo stesso percorso, i suoi stessi interrogativi e le sue stesse considerazioni.
Sospirò, Sebastian, ma lo trattenne contro di sé e ne baciò la guancia: “Vado a mettermi i boxer rossi”, sussurrò a mo' di provocazione, indugiando con le labbra lungo la sua gota.
Lo sentì emettere un verso di divertimento e di esasperazione insieme: “Idiota”.
Indugiò in quel momento, Sebastian, sfregando le labbra lungo la sua gota e ne osservò attentamente il volto, quasi ancora mancasse qualcosa per fissare quel momento. Quasi qualcosa dovesse essere detto, malgrado la loro personale crociata nell'incapacità di affrontare loro stessi. “Sono felice che tu sia qui”.
Percepì il lieve tremito del corpo di Kurt, l'aritmia del suo cuore contro il proprio petto.
“Anche io”, sospirò in risposta e non era stato necessario guardarlo in viso per capire che era sincero.

La cena era stata perfetta: era come se, di comune accordo, nulla avesse inficiato la loro quotidianità negli ultimi mesi e in quello strano anno che stava per concludersi. Non era facile scacciare l'idea che qualcosa doveva realmente averlo turbato, ma continuava ad osservarne i sorrisi, il dardeggiare del suo sguardo, quell'autentica serenità di cui si sentiva contagiato, soprattutto all'idea di esserne l'unico artefice e beneficiario.
“Ho qualcosa per te”, commentò Kurt e Sebastian lo seguì con lo sguardo mentre trottava verso la sua camera. In realtà non vi era nulla che già non conoscesse al suo interno, a meno che Kurt non disponesse di ripostigli segreti, ma si era scoperto a fare la stessa azione, un sorriso ad incresparne le labbra. Persino recuperando un alone di serenità e di tranquillità che avevano qualcosa di fanciullesco.
“Prima io”, sussurrò Sebastian che gli porse un pacchetto rivestito di una carta azzurra che Kurt prese tra le dita con espressione entusiasta e febbrile. Sgranò gli occhi alla vista della spilla dorata per poi studiarne il simpatico uccello rappresentato.
“Ha a che fare con il tuo pub o qualcuno – Finn – ha parlato troppo del mio soprannome al liceo?”, domandò con voce lievemente alterata per l'imbarazzo, continuando a rigirare la spilla tra le dita.
“Rilassati, baby penguin”, sorrise con aria piuttosto compiaciuta “Ho già visto le tue foto del passato”, ma Kurt non sapeva che una di quelle fotografie gli era stata sottratta la sera stessa del blackout e che la custodiva gelosamente nel portafoglio, nascosta tra le carte di credito.
Prese la spilla dalle sue dita e l'appuntò al suo petto, indugiando contro la camicia di raso di quel rosso acceso che ne metteva deliziosamente in risalto i lineamenti. Sentì Kurt trattenere il fiato e ne scrutò gli occhi.
“E' un animale sottovalutato, ironizzato per la sua goffaggine, ma pochi sanno che sa amare come nessun'altra specie e sceglie un compagno per tutta la vita, a dispetto di tutto e di tutti ed è questo a renderlo speciale4”, cercò di controllare la flessione della propria voce, continuando ad osservarne le iridi cerulee per poi smorzare la serietà del paragone con uno sguardo più ironico. “ Anche se si ritiene impacciato o poco attraente”, concluse e non vi erano dubbi su chi fosse il destinatario di quelle parole.
Un lieve rossore aveva colorato il viso di Kurt, ma lo osservò con sguardo più lucido e un reale sorriso ad incresparne le labbra. Emozionato e colpito per come sembrava averne scorto quell'attitudine ad amare ad una maniera sincera e pura, pari soltanto al bisogno di essere toccato da un affetto altrettanto intenso.
“E' bellissima”, sospirò, “e credo che nessuno farebbe mai sentire un pinguino speciale come faresti tu, anche se è una frase strana da dire”, cercò a sua volta di smorzare la serietà di quel momento con un sorriso più ironico.
Scrollò le spalle, Sebastian, compiacendosi di quell'alone più frivolo: “Sarò l'avvocato dei pinguini”.
Si era nuovamente fatto serio, Kurt, che gli aveva porto un involucro in carta verde con un fiocco dorato.
“Spero non sia un'altra pochette”, sospirò Sebastian con aria stoica, ma esaminò la forma dell'involucro e cominciò a stracciarne la confezione, impaziente di scorgerne il contenuto.
Ridacchiò, Kurt, ma lo esortò dolcemente ad aprire: pareva anche lui incapace di attendere e Sebastian stesso si ritrovò a sorridere.
Schiuse il cofanetto e sbatté le palpebre di fronte al bracciale placcato in oro bianco e rimirò il ciondolo, inarcando le sopracciglia quando realizzò che cosa simboleggiava.
“Una stella?”.
“La stella polare”, sussurrò Kurt in risposta e Sebastian lo guardò attentamente, mentre cercava di comprenderne il significato.
Sorrise, Kurt, glielo prese delicatamente di mano per appuntarglielo al braccio: “So che non stai vivendo un bel periodo e so anche che sei restio a parlarne e mi dispiace di cuore che io stia contribuendo a renderlo poco lieto”, esordì a mo' di spiegazione.
“Kurt”, ne sussurrò il nome, rimirando il bracciale al proprio polso con un misto di timore e di reverenza, prima di incrociarne nuovamente lo sguardo.
“Voglio solo che ogni volta che lo guardi, tu possa ricordare che puoi venire da me: non ti farò domande e non pretenderò risposte fin quando non sarai tu a desiderarlo”, sussurrò Kurt, indugiando a pochi centimetri da lui, il viso reclinato di un lato ad osservarlo attentamente.
Sorrise, un lieve tremito delle labbra e un baluginio commosso nello sguardo: “Ma sarò sempre con te, anche se non ci credi”, rivelò con voce più rauca.
Sebastian percepì qualcosa di simile ad uno strappo all'altezza del petto e indugiò nell'osservarlo, quasi la verità fosse celata in ogni parola, quasi tutto fosse proteso perché si avvicinasse a coglierlo. Ne aveva ripetuto il nome, quasi a volerlo descrivere con una sola parola. Trovare un modo di riassumere e simboleggiare quel dolce dolore che era diventata la sua presenza. Quel molesto ticchettio interiore a ricordargli che quelli sarebbero stati tra gli ultimi istanti di cui avrebbe tessuto ricordi che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita, che lo desiderasse o meno.
Ne sfiorò la gota quasi devotamente e Kurt ne trattenne la mano dolcemente: “Sono qui”, sussurrò, quasi a mo' di incoraggiamento. E per quella sera parve bastargli: lo trattenne a sé, senza pensare al domani o a ciò che sarebbe accaduto nei prossimi tre mesi.
Lo trattenne a sé, quando si accoccolò contro la sua spalla per uno di quei classici film natalizi strappalacrime che avrebbe sempre detestato. Lo trattenne anche quando si addormentò.
Lo prese tra le braccia e lo condusse nella propria camera, un sorriso ironico nel realizzare che era l'unico ad averla valicata. Chissà che il dormire insieme non potesse davvero diventare una loro tradizione, a dispetto della minaccia del tempo che stava scorrendo troppo rapidamente.
Socchiuse gli occhi contro il suo capo, nel momento in cui lo sentì adagiarsi contro la sua spalla: persino immerso nel torpore, Kurt riuscì a trovare quel riparo nel quale accoccolarsi.
Era tra le sue braccia, in quel momento, seppur fosse già perso nei suoi sogni. Probabilmente, almeno in quella realtà onirica, avrebbe potuto sentirlo suo.
Per quelle ore, a discapito del mondo esterno, avrebbe ignorato che fosse soltanto in parte con sé.
Mai completamente, non del tutto. Soltanto quasi lì.


To be continued...



Spero che abbiate passato una bella settimana, certamente per noi fan di Grant è finalmente giunto il tanto atteso pilot di “The Flash” *-* Assolutamente sublime, se purtroppo con Sebastian non ha potuto tornare per qualche frangente davvero significativo, non si può che essere orgogliosi e felici per il suo nuovo ruolo con il quale potrà dimostrare il suo innegabile talento :)

Ma tornando a noi, è stato bello immergersi in un'atmosfera natalizia, il nuovo anno si avvicina e così il famigerato matrimonio, ma vediamo come lo inaugureranno i nostri eroi :D.

Stai avendo dei dubbi?” “Credo che mi nasconda qualcosa”.
Quando hai capito di amarlo?” “Credo che non ci sia un momento preciso, non per tutti. Ma guardarlo la prima volta è stato speciale...”.
Cosa diavolo stai facendo?” “Non dovevi ispezionare cadaveri oggi?” “Sei al telefono con Brittany?!”. “No”. “Ciao Hunter!”.
Il che conferma il tuo bisogno patologico di accudire, a discapito di te stesso”. “Stai sebastianando, è un buon segno”.
Sei passato dal voler sabotare ogni fase del matrimonio a lasciare a Blaine campo libero... da quando lo chiami per nome, a proposito?
(…) Ti sei arreso, Sebastian?”.


Credo di avervi incuriosito abbastanza e ora posso (ahimé) tornare ai miei appunti universitari.
Ma prima ci terrei ancora una volta a ringraziare tutti voi che mi state seguendo con tanto affetto e dedizione da strapparmi sempre un sorriso emozionato con le vostre parole e osservazioni.
Anche solo leggere le cifre di chi segue, gradisce fino a seguire o segnalarla tra le fanfiction preferite, è un'immensa gioia, quindi grazie di cuore :)

Al prossimo capitolo,
buon weekend a tutti :)
Kiki87


1Per ascoltare la canzone e vederne il testo originale: qui
2Graficamente non si intuisce molto ma sarebbe la sovrapposizione tra i suoni “Klaine” e “clistere” :)
3Mi si perdoni la licenza poetica rispetto alla storyline originale, ma per ragioni di coerenza con il resto della narrazione, Santana non poteva essere cresciuta nella storica Lima Heights.
4Per essere precisi sembra che sia una caratteristica di alcune specie di pinguini, come “L'imperatore”.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Non riesco a ricordare come fosse
la mia vita prima di te, e non
so neppure come siamo giunti qui
ma forse questo è esattamente
ciò di cui avevo bisogno. Qualcuno che
mi facesse dimenticare
da dove vengo e qualcuno che
mi potesse far amare senza sapere
come ci si innamora.
R.M.Drake 1

Dicembre
(meno tre mesi al matrimonio)


Capitolo 9


Il profumo di vaniglia lo cullò in quello stato tra il sonno e la veglia: Sebastian non ricordava di aver mai dormito così bene. O in maniera così spensierata, senza che a ciò seguissero i postumi di una sbornia e il suo effetto obliante. C'era ancora un sorriso sulle sue labbra, quasi quella sensazione piacevole non lo stesse abbandonando, neppure con la consapevolezza che tutto stava finendo.
Allungò il braccio per avvolgerlo intorno all'esile figura al suo fianco. Non aveva mancato di notare (e complimentarsi con quel sorriso più lascivo) che l'esercizio fisico ne aveva temprato il corpo, rendendolo più tonico ma, per qualche motivo, appariva ancora minuto ai suoi occhi. Fragile e delicato, come doveva averlo conosciuto la Mezza SegAnderson, nonostante avesse già esperito momenti d’intenso dolore che dovevano averlo fatto maturare anzitempo.
Sebastian avrebbe voluto che il tempo si potesse fermare in quell'istante di completa pace e serenità. Avrebbe voluto poter sostare in quella bolla di sospensione nella quale vi era soltanto quel calore e quella pace e tutto il resto era distante e ridimensionato.
Socchiuse gli occhi, quando sentì Kurt stringersi al suo petto e strofinare il viso contro l'incavo del suo collo e, totalmente rilassato, sprofondò nuovamente nel mondo dei sogni.

Depose il vassoio accanto al letto, mentre Kurt schiudeva gli occhi e lentamente batteva le palpebre: sembrò impiegare qualche istante per mettere a fuoco la camera del coinquilino e ricordare perché si fosse addormentato lì.
Sebastian gli porse la tazza di caffè: “Decaffeinato”, lo informò con un accenno di sorriso, con ancora indosso i pantaloni del pigiama.
Kurt prese la bevanda con un sorriso: “Buongiorno e grazie”, sussurrò con voce ancora impastata di sonno, ma l'espressione completamente rilassata. Parve riflettere, mentre sorseggiava, a giudicare dalle sopracciglia inarcate. “E' la prima volta che lo prepari tu”, convenne.
“E sarà anche l'ultima”, replicò Sebastian con un sorrisetto. “Faceva parte delle condizioni per affittarti la camera”, ricordò ancora una volta il giorno in cui si erano conosciuti. “E poi hai soltanto dormito in questo letto”, aggiunse con un'occhiata più languida.
“Molto comodo”, ribatté l'altro, ignorandone volutamente l'allusione sessuale.
Sebastian annuì e ne osservò i capelli scarmigliati: un alone sbarazzino che, tutto sommato, non stonava, ma sembrava persino risaltarne i lineamenti cesellati del viso.
Sostarono in silenzio per qualche istante e Sebastian si domandò se fosse quella la quotidianità di coppia: piccoli momenti di per sé ripetitivi, banali e scontati ma che, tutti uniti, creavano quel sapore di familiarità e di appartenenza reciproca a qualcosa da considerare soltanto loro.
Per quanto volesse sguazzare in quel piacevole stato d'animo, era consapevole di non poter soffocare il dubbio: la sua parte razionale preferiva una risposta esplicita (per quanto potesse risultare poi sgradita) all'ambiguità.
“Cos'è successo con Blaine?”, si sentì chiedere.
Kurt parve sorpreso per la tempestività della domanda, ma intuì che era finito il tempo di tergiversare e che Sebastian meritava una risposta esplicita. “Abbiamo discusso”, esordì.
“A causa mia?”, chiese con altrettanta sfacciataggine, ma Sebastian sapeva che l'eventuale risposta positiva non gli sarebbe stata di conforto. Non quanto avrebbe sospettato superficialmente fino a pochi mesi prima.
Il suo coinquilino sospirò, ma l'osservò a lungo e le labbra si ammorbidirono in un sorriso dolce. “Ti assicuro che questo non cambia le cose: a prescindere dal nostro litigio, non avrei voluto passare altrove la Vigilia di Natale, devi credermi”.
Malgrado la voce di Kurt fosse stata un sussurro, quelle parole parvero toccarlo in petto, laddove il suo cuore sapeva contrarsi ad ogni gesto che andava oltre l'ordinaria e reciproca ironia. Quella morsa al petto parve allentarsi, ma seppe che non avrebbe potuto crogiolarsi di un'effimera soddisfazione. “Non hai risposto”.
Perché sembrava allontanarlo, anziché profittare di quelle parole per avvincerlo maggiormente a sé? Quale strano e masochistico meccanismo d’autodifesa stava attivandosi nelle sue interazioni con Kurt?
“Anche”, ammise Kurt, infine. “In realtà questo periodo è pieno di alti e bassi”, sorrise con evidente amarezza. “Alcune coppie sembrano ritrovare più armonia che mai, mentre si avvicina il giorno delle nozze, ma noi sembrano emergere i dissapori o le questioni in sospeso”, concluse con tono quasi stanco e rassegnato.
“Stai avendo dei dubbi?”, cercò di celare il modo in cui si fosse teso sul materasso e si scoprì a trattenere il fiato. Contò i battiti del proprio cuore, prima di riuscire a sentirne la risposta.
“Credo che mi nasconda qualcosa”, fu la dolorosa ammissione e gli occhi cerulei parvero farsi più lucidi: un velo di lacrime trattenuto tra le ciglia.
“Posso seguirlo o farlo seguire”, propose istantaneamente.
“Non credo che occorra nulla di così drastico”. Kurt sorrise, suo malgrado. “Ma è spesso nervoso”, continuò a parlare con il cipiglio corrugato. “L'altro giorno, quando sono arrivato, ho trovato a soqquadro la camera da letto. Mi sono offerto di aiutarlo a rimettere in ordine, ma si è rifiutato con una certa foga che ho trovato fuori luogo e senza darmi una plausibile spiegazione su cosa stava facendo. Mi ha praticamente buttato fuori dalla camera”. La sua voce lasciò trapelare l'indignazione, seppur fosse evidente che ancora si crucciava nel cercare di comprendere la natura di quell'insolito comportamento.
Non si rese conto di come lo sguardo dell'altro, al contrario, dardeggiò alla palese realizzazione.
L'anello.
Sebastian sentì il respiro farsi pesante e lo sguardo vagò nell'armadio in cui lo aveva riposto, nascosto in una scatola di scarpe. “E sospetti che questa sia una prova... di cosa, esattamente?”, s’impose di apparire razionale e calmo, una persona alleata con cui confidarsi in un momento di crescente ansia e confusione.
“Non lo so, mi sento orribile a pensarci e ti giuro che l'ho davvero perdonato per il tradimento e ho di nuovo riposto in lui la mia fiducia”, sembrava disperare di riuscire a convincerlo, così da sentirsi lui stesso più sicuro di sé e del loro rapporto.
Sebastian ancora una volta si sorprese dell'ascendente che sembrava avere su di lui e sulle sue certezze. “Ma hai dubbi sulla sua onestà e ti senti in colpa per questo”, concluse la frase al suo posto.
Kurt annuì e si avvicinò per cingerne il braccio: nel suo sguardo vi era una silenziosa supplica che indusse Sebastian a distogliere il proprio, mentre lo sgradevole senso di colpa dilagava in sé.
Sarebbe stato fin troppo semplice approfittare di quel momento, fare pressione e manipolarlo, affinché riuscisse a disintegrare completamente ogni residuo di lealtà e di fiducia nei confronti del fidanzato. Ma la voce da “dottorino” gli chiese beffarda se si sarebbe potuto ritenere migliore di Blaine o se fondare il suo successo su un raggiro non fosse poi così dissimile dal tradimento carnale.
“Sei la persona di cui più mi fido e so che saresti l'unico a parlare in modo spassionato, anche se la risposta dovesse ferirmi”.
Sebastian lo guardò e desiderò riuscire ad essere il solito menefreghista ed opportunista, lo stratega egoista che avrebbe alimentato i suoi timori fino a spingerlo a cadere tra le proprie braccia. Scosse il capo e parve quasi supplicarlo: “Non posso”.
Difficile capire se stesse parlando tra sé o al giovane stesso.
“Sebastian, so che non ti fidi di lui”, lo incalzò Kurt, come a volerlo spronare ad essere sincero e diretto, come in qualsiasi altro ambito nel quale voleva imporre il suo giudizio.
Sebastian scosse il capo e sollevò la mano a cingerne la gota: “Kurt”. Indugiò nel suo sguardo, in quell'attimo di sospensione e rilasciò il respiro, mentre cercava di raccogliere quel nugolo di pensieri che premevano dolorosamente sulle tempie.
Si riscossero entrambi allo scampanellio quasi irruente: percepirono la voce attutita di Blaine e il suo richiamo accorato.
Il tempo parve protrarsi in quel lunghissimo istante nel quale la realtà esterna sembrò richiamarli e ammonirli affinché quella breve parentesi fosse interrotta.
Kurt si alzò dal materasso, guardando l'altro come un'implicita richiesta di perdono, e si mosse verso il soggiorno.
Sebastian lo seguì con lo sguardo, ma lo raggiunse prima che potesse schiudergli l'uscio e lo avvinse a sé. Sospirò ed ignorò l'ennesimo tonfo alla porta, ma lo guardò dritto negli occhi e la sua mascella parve contrarsi. “Qualunque cosa tu decida, ti prego: non sposarlo perché temi di restare solo”, fu la semplice ed accorata richiesta. Un sorriso consapevole, quasi amaro, nello sfiorarne il viso.
“Sebastian”, gorgogliò l'altro in risposta, il viso inclinato di un lato e un verso di rauca sorpresa: quasi realizzando quanto l'altro lo conoscesse a fondo.
“Non sarò io ad andarmene da te”, ne baciò la gota, ma si scostò rapidamente, schiuse l'uscio d’ingresso ed uscì, senza guardare la Mezza SegAnderson.

Ripose l'anello al suo posto e uscì rapidamente dal loft: una parte di sé seppe che non vi sarebbe più entrato, qualunque cosa fosse accaduta.
Se Kurt si fosse tirato indietro e avesse sofferto per quella decisione, rifletté tra sé e sé, non avrebbe voluto esserne il responsabile.

~

“Il tuo caffè fa schifo”, ruppe così il silenzio sceso tra loro.
Hunter Clarington gli lanciò un'occhiata di sbieco. “Dovrò sopravvivere alla consapevolezza”, replicò con aria distratta, carezzando le orecchie del micio che teneva in grembo. Sembrò voler aggiungere altro (e in tono polemico), ma probabilmente il fatto che, durante la fantomatica sera di Natale, fossero entrambi soli coi loro personali crucci, lo fece desistere.
Il trillo del telefono parve riscuoterli e Sebastian osservò l'icona con il nome del mittente del messaggio. Non occorreva aprirlo per immaginare cosa fosse successo in sua assenza. Ma lo fece comunque e il ringraziamento accorato di Kurt per il suo agire come un « vero amico » , gli fece ribaltare lo stomaco.
Sospirò, ma ripose il telefono in tasca senza commenti.
Il padrone di casa lo aveva osservato per tutto il tempo e sembrò facilmente intuire l'evolversi della situazione. “So che non vuoi sentirtelo dire”, esordì con tono cauto, guardandolo di sottecchi. “Ma hai fatto la cosa giusta o te ne saresti potuto pentire”, continuò, scrutandolo con le sopracciglia inarcate.
“Non mi sembra di star facendo esattamente i salti di gioia”, fu la replica secca, senza neppure incrociarne lo sguardo.
“Se il loro matrimonio è destinato a fallire, lo farà che tu intervenga o meno”, ribatté Hunter con insopportabile raziocinio e lucidità, persino in quel frangente. “Se invece Kurt ti guarderà in modo diverso da qui alla data stabilita, dipenderà solo da te”.
“Già”, ribatté l'altro in tono asciutto, fissando il soffitto con le braccia incrociate al petto. Allungò i piedi verso il tavolo da caffè (ignorando lo sguardo di sbieco dell'altro) e sprofondò maggiormente nel divano.
“Lo sai perché lo hai fatto?”, insistette Hunter.
Inutile mandarlo a quel paese: scoprì di non averne la voglia e l'energia. Ed inutile ribadire che non fosse proprio dell'umore adatto ad un dialogo, quando si metteva in testa di filosofeggiare o si compiaceva del ruolo di consulente di coppia.
“Lo ami davvero, più di quanto credessi possibile, anche se questo ti spaventa a morte”.
“Falla finita, Clarington, sono venuto per il caffè e per vederti solo e fallito”.
Hunter scosse il capo, ma sospirò e riprese a carezzare il persiano, come fosse un conforto a cui aggrapparsi. “Sono lusingato”, borbottò ironicamente, ma non insistette e Sebastian gliene fu più che grato.
No, l'idea di amarlo così intensamente non era decisamente una consolazione.



Ciao coinquilino”.
Niente di più bello che giungere alla sua caffetteria ed osservarne l'espressione di stoica rassegnazione o, come in quel caso, sentirlo trasalire, mentre era impegnato a servire una tazza di caffè alla sua amica.
Sebastian, hai già preso il caffè”, lo rimproverò Kurt. “E non dovevi andare a lezione?”, indagò con quell'espressione più sospettosa.
Attraversare il traffico di New York di primo mattino per due ore di diritto di famiglia, o venire qua a guardarti lavorare”, sollevò le mani, come a voler soppesare le due opzioni a confronto, lo sguardo fintamente pensieroso.
Il cameriere sollevò gli occhi al cielo e, senza guardarlo, si sedette al tavolo. “Sono in pausa, chiedi a Samantha”.
L'allupata che vuole portarmi a letto?”, chiese con aria oltraggiata, ignorando le occhiate languide che quest'ultima gli stava lanciando, premunendosi di sistemare meglio la camicetta.
No, grazie, attenderò”, lo scrutò con le braccia incrociate al petto. “Anche se la tua mancanza di professionalità mi delude non poco”, aggiunse per il puro gusto di infastidirlo.
Cambia caffetteria”, gli propose con un sorriso affettato, togliendosi dal grembiule la targhetta con il nome impresso sopra, a rimarcare la sua temporanea indisposizione.
Bene”, scrollò le spalle. “Oh, Ciao Tracy”, aggiunse a beneficio della giovane che aveva seguito il loro battibecco con aria incuriosita.
Mi chiamo Tiffany”, ribatté la giovane con le sopracciglia inarcate.
Come ti pare”, si lasciò cadere al suo tavolo preferito (ad efficiente distanza d'orecchio) e aprì il giornale con aria stoica.
Scusami”, sospirò Kurt. Sorrise poi con evidente soddisfazione, come ogni volta che era in procinto di ascoltare qualche nuovo e succulento pettegolezzo. “Stavi dicendo?”.
Joe mi ha detto che mi ama”, ribatté Tiffany tutto di un fiato, come se non potesse resistere ulteriormente dal riportare quella notizia.
Oh mio Dio”, esclamò l'altro, portandosi le mani alle labbra, come se stesse seguendo una delle sue fiction strappalacrime. “E tu? Come hai risposto? Eravate in un posto romantico? Come eri vestita?”.
La ragazza scosse il capo e parve mortificata, tutt'altro che nell'idilliaco stato d'animo che ci si sarebbe potuto aspettare in simile situazione. “Era tutto perfetto, ma mi ha presa alla sprovvista e... non sono riuscita a dire nulla”, ammise in tono contrito.
La delusione era ben visibile sul volto di Kurt che, tuttavia, non esitò a prenderle delicatamente le mani con un sorriso più dolce e rassicurante.
Capire d’amare qualcuno è uno dei momenti più dolci e al tempo stesso difficili, soprattutto se questo qualcuno non lo sa o non abbiamo il coraggio di confessarglielo. Ma ti capisco”, le disse con tono quasi professionale, per poi sporgersi in sua direzione, come stesse per rivelarle un segreto.
La prima volta che Blaine me l'ha detto, mi sono quasi strozzato con il mio caffè”, confessò e la ragazza ridacchiò, ma lo incalzò perché si spiegasse meglio. Superfluo dire che ciò lo compiacque particolarmente, visto come ondeggiò le spalle.
Eravamo alla nostra caffetteria preferita e gli stavo raccontando di come Rachel e Finn avevano distrutto la nostra possibilità di vittoria alle Nazionali di New York. Ho quasi rischiato di soffocarmi, ma ho capito che era da molto che lo aveva capito, ma in quel momento non aveva potuto fare a meno di dirlo. Siamo soliti attendere il cosiddetto momento perfetto e ci dimentichiamo che qualunque istante potrebbe diventarlo, purché lo desideriamo davvero”.
Sebastian si sarebbe normalmente allontanato anni luce da simili e gratuite dosi di romanticismo soporifero, ma vi era qualcosa nello sguardo di Kurt, nel suo tono di voce che, suo malgrado, lo indussero a restare dov'era, fingendo di leggere con cipiglio annoiato. Qualcosa che andava oltre la mera curiosità su quel suo ostentato sentimentalismo, le sue teorie sull'amore su cui si erano già confrontati in più occasioni. Non seppe spiegarsene il motivo (non in quel momento), ma restò immobile, fingendosi concentrato sulla lettura e continuò ad ascoltare.
Prima di pensare a quando o come dirlo, cerca di capire che cosa provi davvero”, suggerì Kurt con aria meditabonda.
La ragazza annuì, ma non ne lasciò la mano: la scintilla di curiosità ancora non sembrava aver smesso di dardeggiare nel suo sguardo. “E tu? Quando hai capito di amarlo?”.
Kurt sospirò, lo sguardo perso nel vuoto, ma il sorriso sognante.“Credo che non ci sia un momento preciso, non per tutti. Ma guardarlo la prima volta fu speciale. Imparare a conoscere le sue caratteristiche, i suoi difetti, come quegli orribili papillon in serie che sembrano rubati ad un circolo di pensionati e amanti del bingo”.
Sebastian inarcò le sopracciglia e la ragazza rise al suo tono.
Alla fine sono proprio i difetti che si fanno amare di più. Tutte le sue abitudini o tutto ciò che è la sua quotidianità, tutto diventa parte di lui ed è ciò che conosci più d’ogni altra cosa, ciò che riesce a cambiarti la giornata, ciò che sai attenderti dopo ore passate lontani l'uno dall'altro. Ciò che sa farti sentire a casa, qualunque cosa accada. E in qualche modo, quando sei pronto ad ammetterlo a te stesso, capisci che è già tuo, che lui lo sappia o meno”.
Sebastian non avrebbe mai saputo spiegare la semplicità con cui Kurt sembrò delineare un sentimento tanto complesso ed astratto. Soprattutto per come sembrava accettarlo con una pace interiore che gli sembrava altrettanto misteriosa.
Si rimise in piedi, rivolse loro un breve cenno del capo e s’incamminò verso l'uscita.
Ma non volevi un caffè?”, sentì la voce interdetta di Kurt alle sue spalle.
Sollevò appena la mano, ma non si volse: affondò le mani nelle tasche ed accese una sigaretta, passeggiando per le strade familiari del quartiere.
Ancora non ne capiva il motivo, ma sapeva che quelle parole lo avrebbero tormentato a lungo.



Gennaio
(meno due mesi al matrimonio).


Il suono del liquido che scivolava nel bicchiere era quanto di più seducente quella sera: ne osservò il colore alle luci al neon e sentì la gola secca. Desiderò sentirne il sapore sul palato e quel bruciore all'altezza dello stomaco, sciogliendo completamente tutti i propri tortuosi pensieri.
Scosse il capo e lo porse al cliente, prima di passarsi una mano tra i capelli. Lo sguardo torvo saettò ancora una volta in direzione del tavolo della coppia più strana ed inverosimile al mondo. E non perché uno dei componenti era gay.
Sebastian, la bottiglia di birra tra le dita, stava parlando con la sicurezza di sempre. La giovane indugiava con la cannuccia del suo frappé alla fragola, facendola tintinnare contro il calice e osservando il suo interlocutore come se si stesse completamente bevendo le sue parole.
“Cosa diavolo succede?”. Santana Lopez sembrò dare voce ai suoi stessi dubbi. Usò la pochette che teneva tra le mani, dopo essersi tolta i costumi di scena, per indicargli lo stesso punto.
Hunter serrò le braccia al petto: “E' da un quarto d'ora che confabulano e lei non se n'è ancora andata urlando”, spiegò con altrettanto sconcerto. “Si direbbe che Sebastian non la stia insultando”.
Per qualche motivo, ciò sembrò indispettire la ragazza: “Sta giocando sporco, me lo sento nelle tette”.
Il ragazzo sbatté le palpebre, fissandola incredulo, probabilmente più per la personalissima diagnostica che per il sospetto di per sé. Non era la prima volta che percepiva una certa tensione tra Santana e Sebastian: aveva il vago sospetto di un complotto di cui era stato tenuto all'oscuro. Di ciò si era detto grato, per puro spirito di sopravvivenza.
“Prego?”, le chiese con le sopracciglia inarcate.
La ragazza scacciò la domanda con un cenno della mano: “E' colpa tua”, gli abbaiò contro e ciò non fece che accentuare il cipiglio perplesso del barista. “Le ho dato le fragole, la panna, un vestito succinto, un reggiseno imbottito: dillo che sei gay e facciamola finita”, la sua voce si era alzata in quel tono più aggressivo. “Ho perso fin troppo tempo con te”.
Ma non la stava ascoltando, Hunter, un rivolo di sudore freddo gli scivolò lungo le tempie al ricordo di quel particolare episodio. Si era detto che fosse illegale che una giovane ostentasse cotanta voluttuosa provocazione, senza neppure rendersene conto. Bastò ripensare all'abitino rosso e striminzito, in perfetto contrasto con il colore dorato dei capelli. Di una tonalità cremisi, abbinata al rossetto e al colore dello smalto mentre con le dita affusolate prendeva le fragole, una ad una, immergendosele tra le labbra con evidente soddisfazione, dopo averle spolverate nella panna. E senza neppure realizzare quanti sguardi si fosse attirata addosso, soprattutto dopo aver accavallato le lunghe gambe, lasciandone penzolare una. Mangiucchiava con aria assorta, muovendo la testa a tempo con il brano musicale, facendo ondeggiare i capelli e mimando le parole della canzone con le labbra. Una sorta d’innocente e maldestra Afrodite: contraddizione fin troppo suggestiva.
Dovette sbattere le palpebre per riuscire a sottrarsi a quei ricordi fin troppo nitidi, deglutendo a fatica.
“Tu... hai...”, parve lentamente comprendere. Sgranò gli occhi all'idea che dietro l'ingenuità puerile della biondina, si fosse celato un subdolo raggiro dell'ispanica. Sentì un fastidioso calore fargli avvampare il viso solitamente pallido. Sollevò la mano, come ad invitarla ad attendere ed ingollò un bicchiere di tequila, come se ciò fosse utile a distendere i nervi. Si pulì le labbra con il dorso della mano.
“Ti sarei molto grato se evitassi di darle altri suggerimenti”, si sentì dire poco dopo, cercando di apparire composto, articolando le parole una ad una.
Santana lo squadrò con aria evidentemente disgustata e non di meno risentita. “Va' al diavolo, un vestito rovinato per nulla”, sollevò gli occhi al cielo al ricordo di come la sua distratta protetta fosse riuscita a sgualcirlo. Tornò ad osservare l'incredibile coppia, una mano sul fianco.
“Ora ci pensa zia Snix”.
Ma prima che potesse avanzare in loro direzione, Sebastian si era alzato. Non rivolse che un cenno distratto alla ragazza, impegnato a digitare qualcosa al cellulare.
Ancora con il suo calice e la cannuccia con l'ombrellino rosa, Brittany Pierce continuò a degustare la sua bevanda, prima di essere agguantata per il braccio dalla latina che la trascinò con sé con aria battagliera.
Sebastian, l'aria calma, si sedette sullo sgabello che occupava solitamente.
“Allora?”, lo incalzò il barista con la mascella serrata.
“Ah, sì: un'altra birra”, rispose distrattamente, lo sguardo ancora volto al display del proprio telefono.
“Si può sapere che cosa sta succedendo?”, trattenne la birra lontana dalla sua portata, come incentivo a parlare.
Sebastian scrollò le spalle, guardandolo con teatrale sorpresa. “Nulla”.
“Cosa le hai detto?”, insistette Hunter. “Non mi ha guardato male e non è fuggita offesa o piangendo, quindi-”.
Sebastian sbuffò con aria evidentemente annoiata: “Clarinton, il mondo non ruota attorno a te”.
Il barista non si prese la briga di replicare alla provocazione, ma continuò a studiarlo con il cipiglio corrugato: “Quindi non le hai raccontato cose orribili sul mio conto?”.
“Anche volendo, sono sicuro che ci penserai da solo”, gli sorrise Sebastian con aria perfida, dopo avergli strappato di mano la bottiglia che si portò alle labbra.
“Mi stai dicendo che voi due, tu e Brittany, avete avuto una... conversazione normale?”, insistette l'altro, ripetendo quelle parole lentamente, come a voler consentirgli di assimilarle con più semplicità.
“Più o meno”. Sebastian sollevò gli occhi al cielo in un'espressione che gli era più consueta.
“Hai cambiato idea su di lei?”, il tono di Hunter era persino più incredulo.
“Al contrario”, sbuffò con aria ironica. “Continuo a credere che sia una bambola gonfiabile con una vocina insopportabile e che respira”, ribatté senza battere ciglio, per poi sorridere suadente. “La tua donna ideale, insomma”.
Il barista si irrigidì nuovamente, come se finalmente stesse cominciando a farsi largo tra i suoi processi neuronali. “Hai in mente qualcosa”.
“Come sempre”, gli sorrise diabolicamente. “E non sprecare tempo a chiederglielo: abbiamo fatto giurin giurello”, mosse il mignolo con fare eloquente.
Quell'informazione parve offendere Hunter persino più degli epiteti poco lusinghieri. “Lo scoprirò, non so ancora come, ma ti prometto che lo scoprirò”.
Sebastian scrollò le spalle. “Lo so, ma è divertente vederti andare fuori di testa, sapendo in anticipo che non ti sarà cosa gradita e vederti logorare nelle tue congetture malate”.
“Bastardo”, borbottò Hunter in risposta.
Ammiccò con aria divertita. “Ci vediamo, Clarington”, lo salutò con un cenno militare e scomparve tra la folla, il sorrisetto soddisfatto ad incresparne ancora le labbra.


~
Un suono fastidioso, come una frequenza di una radio mal sintonizzata, ci vollero diversi minuti, prima di riuscire a percepire la voce della giovane, seppur distorta dai rumori in sottofondo del traffico newyorchese. O probabilmente (non era un'ipotesi da escludere) per un mal assestamento dell'auricolare da parte della sua assistente tutt'altro che brillante.
“Alice allo Stregatto, mi senti?”, Brittany cantilenò a voce così alta che Sebastian imprecò e si scostò il telefono dal padiglione auricolare.
“Stiamo parlando al telefono: non c'è bisogno che urli”, ringhiò in risposta. “E da quando abbiamo stabilito dei nomi in codice per noi due?”.
“Mi sembrava un'idea carina”, ribatté la giovane con tono ridente. “E poi quando sorridi, sembri davvero lo Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie e io invece-”.
“Non è il momento: concentrati”, dovette ricorrere a tutta la sua pazienza per non rimproverarla aspramente, consapevole che così facendo l'avrebbe offesa al punto da perderne la complicità. “Dimmi che sta succedendo, per favore”, aggiunse con un notevole sforzo.
“Puffo Cattivo è entrato in un negozio di vestiti, Puffo Cattivo è entrato... non mi ricordavo che ci fossero puffi cattivi coi capelli ricciolini”, ribatté poco dopo, con aria evidentemente confusa.
Sebastian sollevò gli occhi al cielo: “Non ti distrarre, leggi il nome del negozio e fai in modo che non ti veda”.
“Ok”, rispose Brittany con aria allegra e Sebastian si domandò se fosse una di quelle persone che sembravano sempre e insopportabilmente di buon umore. Così tanto da destare istinti omicidi a chiunque incontrassero. “S-a-i-n-t L-a-u-r-e-n-t”, lo lesse come scritto e Sebastian sentì che la sua parte francofona stava premendo per gettarsi dal ponte di Brooklyn.
Lo pronunciò come da lingua madre.
“No, non è scritto così!”, insistette l'altra, pronta a riprendere lo spelling.
“Vai avanti”, la esortò con un ringhio appena celato. “Entra nel negozio e comportati normalmente”.
Già sapeva in partenza che si sarebbe pentito di essersi rivolto a Tontittany, ma non voleva essere in debito con la latina ed era l'unica disposta a farlo gratuitamente. L'unica a bersi una balla colossale con cui attirarne l'attenzione, facendo leva sui suoi principi morali.
“Oooh!”, data la dubbia capacità oratoria della ragazza era difficile comprendere la natura di tale esclamazione.
“Che c'è?”, le chiese stringendo la balaustra, come a ricordarsi perché non potesse perdere la pazienza.
“Quel vestito è carinissimo: è tutto rosa!”, esclamò con voce grondante di genuino entusiasmo.
“Non sei lì per fare davvero shopping: tieniti a distanza di sicurezza”, la istruì, massaggiandosi le tempie per il mal di testa che sarebbe sicuramente giunto.
“Altrimenti verrà davvero a rapire Lord Tubbington?”, gli chiese con voce evidentemente angosciata.
Ci volle qualche istante perché Sebastian collegasse il titolo nobiliare all'obeso gatto la cui unica utilità era stata quella di tentare di sfregiare il barista. Un sorriso diabolico gli increspò le labbra: quella se non altro era la parte divertente. “Oh, sì, scommetto che ci farà uno zerbino per la sua nuova casa”, simulò un'intonazione altrettanto angosciata.
“Sta parlando con un signore grasso e pelato”, lo informò con tono nuovamente cospiratore.
“Qualche segno particolare?”, le chiese, scribacchiando distrattamente su uno dei block notes che aveva sgraffignato dalla camera di Kurt, con tanto di logo della sua caffetteria.
“E' grasso?”, ribatté con aria evidentemente confusa.
Sebastian sospirò e parve contare mentalmente fino a dieci, prima di replicare: “Ha un metro in mano? Una targhetta su una giacca elegante?”.
“Oh, sì! Come fai a saperlo? Mi stai guardando?”, gli chiese in tono sospettoso e la immaginò restare immobile nel centro del negozio, facendo un giro su se stessa con gli occhi azzurri socchiusi nell'atto di cercarlo. Evidentemente a metà della sua piroetta, si fermò: “Si allontanano! Sono usciti da una porta sul retro!”.
“Ok, devi seguirli”, la istruì. “Cerca di intrufolarti, ma se ti vedono, fingi di star cercando il bagno e-”.
“Posso aiutarla?”, fu la voce professionale di una commessa ad irrompere nella comunicazione e Sebastian imprecò mentalmente.
“No, grazie”, sentì la biondina rispondere con nonchalance davvero lodevole. “Sono qui in missione segreta, per cui mi ignori, io fingerò di fare shopping”, aveva abbassato la voce e probabilmente doveva persino aver ammiccato.
Sebastian si sbatté la mano sulla fronte.
“Come, prego?”, sentì chiedere dalla commessa.
“Non devi dirlo a nessuno!”, le gridò Sebastian.
“Scherzavo! Volevo... volevo, ecco-”, annaspò.
Sebastian immaginò la contrazione dolorosa degli ingranaggi poco oliati di quel cervello paragonabile ad un uovo. Sospirò, ma si affrettò a suggerirle: “Dille che sei amica di Blaine”.
“Volevo fare una sorpresa al mio amico, quello che è andato da quella parte con il signore grasso”, specificò.
“Oh, quindi è una parente dello sposo?”.
Sebastian tirò un sospiro di sollievo, evidentemente quell'aria angelica riusciva a supplire la poca materia grigia e la commessa non doveva aver motivo di sospettare. “Sorridi ed annuisci”.
“Sorrido e annuisco”, ripeté prontamente Brittany.
“Non devi dirlo”, ringhiò Sebastian tra i denti.
“Cioè...”.
Sebastian immaginò, dal silenzio successivo, che stesse effettivamente esibendo il suo sorriso migliore, dopo aver annuito con foga. Decisamente non invidiava la donna che l'aveva di fronte in quel momento.
“Allora, prego, mi segua: le mostro il reparto di sartoria”, evidentemente la commessa era abbastanza ben pagata e il negozio abbastanza di classe da poter continuare ad assecondare i potenziali clienti, anche quando evidentemente pazzoidi.
“Non deve vederti o tutta la copertura salta e puoi dire addio al tuo gatto”.
“Ma lui non deve vedermi!”, balbettò la ragazza in tono preoccupato, la voce più stridula. “Cioè sono qui per dare una sbirciatina e poi gli farò cucù”.
“Certo”, rispose la commessa dopo quello che a Sebastian parve un lungo silenzio sospettoso. Avrebbe voluto poter coglierne l'espressione del viso: sarebbe stato tutto piuttosto comico, se non ne fosse andato del suo piano. “Attenda qui, torno subito”.
“Si è girata?”, le chiese.
“Sì”, ribatté Brittany in tono sorpreso. “Ma dove sei? Come fai a sapere cosa sta succedendo? Hai poteri magici?”, gli chiese ancora più meravigliata.
“Dimmi esattamente che cosa sta facendo”, ribatté in tono asciutto, ignorandone le farneticazioni.
“Parla con un'altra ragazza e mi guardano strano: forse avrei dovuto mettere un'altra gonna”.
“Ascoltami bene: dille che hai cambiato idea ed esci dal negozio in fretta, ma fingendo di farlo tranquillamente. Continua a sorridere come se sapessi esattamente che cosa stai facendo... o come se avessi un cervello”, aggiunse tra sé e sé, ormai rassegnato.
Sapeva di non poter pretendere troppo da quella dubbia partner in crime, ma l'informazione più importante era stata raccolta, avrebbe agito da solo per la seconda parte del piano.
“Ho cambiato idea!”, la sentì strillare così forte che dovette allontanare il telefono dal proprio orecchio un'altra volta. “Grazie lo stesso!”.
“Ti stanno guardando?”, le chiese in tono vagamente preoccupato. Se si fosse messa nei guai, avrebbe dovuto affrontare l'ira funesta del barista.
“Hanno chiuso la porta e continuano a fissarmi. Oh, ora una delle due ha preso il telefono”.
“Credo che stiano chiamando la sicurezza”, replicò e, suo malgrado, vi era una nota di esasperato divertimento nella voce.
“Oh!!”, esclamò nuovamente e finalmente parve realmente preoccupata. “Quindi adesso sanno anche loro del complotto malvagio di Blaine?”.
“Sì, certo”, ribatté in tono sarcastico, sollevando gli occhi al cielo.
“Allora devo andare a dire loro quello che so!”.
Sebastian sgranò gli occhi. “Non pensarci neppure: trova una panchina nelle vicinanze, apri il giornale che ti ho dato e fingi di leggere, ma continua a guardare il negozio fino a quando lui non-”.
Ma è lui!”, lo interruppe la ragazza, in tono angosciato. “Sta uscendo adesso dalla stanza misteriosa: mi sta guardando. Oh, no, adesso rapirà anche il mio Lord Tubbington!”.
“Sta calma e fai esattamente quello che ti dico: passeggia e non girarti a guardarlo. Allontanati il più possibile”.
“Ok, passeggio, passeggio, passeggio”, ne sentì distintamente i passi, prima che uno dei due piedi sembrasse sprofondare in qualcosa di morbido. “Oh no, è una cacca di cane!”, gemette in tono puerile.
“Continua a camminare!”, la ridestò in tono perentorio: la faccenda sarebbe divenuta ancora più complicata se Mezza SegAnderson avesse cominciato ad interrogarla: dubitava che sarebbe stata in grado di improvvisare meglio del suo spasimante.
“Ma ho la scarpa sporca!”, fu la sofferta protesta.
“Cammina o Lord Tubo sarà in pericolo!”, si sentì quasi urlare.
“Ok”, ribatté con l'aria di chi si stava facendo coraggio, anche se pareva in procinto di piangere.
“Cosa diavolo stai facendo?”, sentì una voce alle sue spalle.
Fu forse la prima volta in vita sua che Sebastian Smythe trasalì al punto di rischiare di far cadere il cellulare nel fiume. Si riscosse alla vista di MasturbHunter le cui braccia erano incrociate al petto. Evidentemente la sua corsa mattutina includeva anche il ponte di Brooklyn. Oppure aveva una sorta d’allarme che si attivava ogni qualvolta qualcuno insidiasse il cervello o le tette della biondina (avevano la stessa consistenza dopotutto).
“Non dovevi ispezionare cadaveri oggi?”, lo accolse con tono seccato.
“Sei al telefono con Brittany?!”, ringhiò letteralmente la domanda.
“No!”, ribatté in tono indignato, scrollando persino le spalle, quasi offeso.
Forse non avrebbe dovuto sottovalutare i bicipiti del ragazzo che gli torse il braccio per mettere il vivavoce alla telefonata ancora in corso.
“Ciao Hunter!”, la giovane parve aver ritrovato la sua consueta allegria. “Ho sentito la tua voce”.
“Sta zitta e cammina”, ribatté Sebastian.
Sbatté le palpebre, Hunter, fissando da lui al telefono per qualche istante, prima che il cipiglio sulla fronte si accentuasse. Ringhiò la domanda successiva: “Ha a che fare con Kurt, vero?!”.
“Chi è Kurt?”, sentirono la domanda provenire dal cellulare.
“Zitta e cammina!”, la istruì nuovamente Sebastian.
Parve respirare a fatica. “Si sta avvicinando, mi sta seguendo!”, sentirono i passi farsi ancora più rapidi.
Hunter boccheggiò, guardando il telefono come se stesse trattenendo un ordigno in procinto di esplodere sul suo palmo. Fissò Sebastian incredulo: “Chi diavolo la sta seguendo?”, chiese in tono mortalmente serio.
“La Mezza SegAnderson”, ribatté con uno scrollo di spalle. “ Ma non è in pericolo!”, si affrettò ad aggiungere, mentre l'altro assumeva un colorito sempre più tendente al violaceo.
“L'hai coinvolta nei tuoi casini”, lo additò con aria feroce e soltanto in quel momento Sebastian dovette riconoscere che aveva mani enormi. “Come hai potuto?”.
“E' stato semplice: si beve ogni cosa”, ribatté in tono sferzante.
Hunter sollevò la mano come a dirgli di attendere di essere gettato dal ponte, ma trasse un respiro profondo e si portò il telefono all'orecchio. “Brittany, dimmi dove sei, per favore”, si intuì che stesse cercando di mantenere il controllo, malgrado le iridi verdi parvero trafiggere Sebastian sul posto. “Vengo a prenderti subito”.
“Non lo so”, gemette la biondina, la voce che sembrava ancora incrinata per la voglia di piangere. “Non conosco questa strada, ho solo seguito Puffo Cattivo e non mi ricordo a quale fermata della metro sono scesa”, ribatté in tono evidentemente angosciato.
“D'accordo, stai calma”, la incoraggiò Hunter, ancora fissando Sebastian come se gli avesse confessato un efferato crimine, malgrado il cipiglio interdetto al nome in codice.
“Smettila di fare il paranoico, mi ha dato l'informazione che mi serviva, è tutto apposto”, ribatté con uno scrollo di spalle. “E ora posso riavere il mio telefono?”.
“Tutto apposto un accidenti! Non volevo arrivare a questo punto, ma sono stanco di tutte le tue... stronzate”.
Sebastian trovò incredibilmente patetico che, persino in quel momento di tensione, abbassasse la voce perché la biondina non lo sentisse ricorrere a termini più volgari. Se mai le sue minacce potessero avere una qualche fondatezza, il suo essere semplicemente se stesso facevano scemare l'effetto in pochi secondi.
“O parli tu con Kurt o lo farò io!”, aggiunse Hunter in tono perentorio.
“Non oseresti”, replicò Sebastian con la consueta arroganza.
“Anche Kurt rapisce gatti?”, chiese Brittany, evidentemente ancora ascoltando la loro conversazione, un espediente per non lasciarsi andare al panico.
Ehi, tu, biondina!”.
I due contendenti parvero immobilizzarsi nel riconoscere la voce di Blaine Anderson.
“Chi, io?”, ribatté, Brittany, in tono di genuina confusione.
“Non rispondere”, ribatté prontamente Sebastian, prendendo di nuovo il proprio cellulare tra le dita. “Continua a camminare e se lui continua a seguirti, comincia a gridare e chiedere aiuto”.
Il barista parve imprecare tra i denti e Sebastian sapeva che parte della rabbia era dovuta al fatto di non poter soccorrerla neppure volendo, rischiando di esporsi nuovamente alla vista del fidanzato di Kurt, soprattutto dopo la questione dell'anello momentaneamente scomparso.
“Tu, ragazzina, fermati!”, la voce di Blaine ne tradiva la crescente irritazione e la prossimità guadagnata.
“Non posso”, ribatté la ragazza caparbiamente. “Devo andare e se continui a seguirmi, mi metto a chiedere aiuto”. Un netto contrasto tra il tono puerile e le implicazioni di una simile minaccia.
“Si può sapere chi diavolo sei?”, doveva essersi parato di fronte a lei, perché non li sentirono più camminare.
“Jennifer”, rispose Sebastian per lei.
“Chi è Jennifer?”, chiese evidentemente confusa, mentre Hunter si sfregava una mano sulla fronte, come ad invocare la pazienza.
“Digli che ti chiami Jennifer... Jennifer Brown ”, la istruì nuovamente, cercando di trattenersi dall'urlarle contro, con il rischio che la Mezza SegAnderson riuscisse a sentirlo.
“Cioè, io sono Jennifer. Jennifer Brown”, spiegò in tono fintamente allegro. “Ciao”.
“Bene, Jennifer Brown, posso sapere per quale motivo mi hai seguito fino in negozio? Non ricordavo che fossimo amici, tanto meno parenti”, fu la domanda sferzante di Blaine Anderson con intonazione fortemente sarcastica.
“Digli che sei una modella e-”.
“E' tutta colpa tua, smettila di creare problemi!”, inveì Hunter, quasi non fosse più in grado di contenere la sua rabbia.
La risposta bieca di Sebastian non arrivò ed ascoltarono la biondina ripetere esattamente la frase del barista, con la stessa intonazione seccata ed irritata.
“Come hai detto, scusa?” le chiese Blaine in tono evidentemente incredulo.
“Stai rovinando tutto!”, ringhiò Sebastian e la biondina lo ripeté, cercando ancora una volta di riprodurre lo stesso timbro.
“Di cosa stai parlando?”, insistette, Blaine che parve persino preoccupato. “Ci conosciamo?”.
“Non avresti neppure dovuto iniziare!”, ribatté Hunter senza ascoltarlo e la biondina parve attuare uno sforzo persino maggiore nel cercare di imitare nuovamente il barista.
“Sta zitto, coglione, sta ripetendo tutto!”, borbottò Sebastian.
“Ehi, io non dico le parolacce!”, fu la protesta della biondina che era giunta a ripetere soltanto la parte che non era necessario censurare.
“Con chi stai parlando?”, le chiese Blaine Anderson, evidentemente sconcertato. Ed evidentemente essendosi accorto soltanto in quel momento dell'auricolare all'orecchio della ragazza.
Sebastian ringraziò la propria mente lucida, persino in situazioni d'emergenza e improvvisazioni. “Digli « sorpresa! » e sorridi. Poi ripeti esattamente tutto quello che dico io, soltanto io”. Sottolineò nel modo più chiaro ed esplicito possibile.
“Sorpresa!”, la sentì ripetere.
“Sto cominciando a stancarmi: o mi dice subito che cosa sta succedendo o andremo insieme alla polizia”.
“Lei è su Candid Camera: un sorriso per la telecamera!”, ripeté fedelmente le parole di Sebastian.
“Non vedo cineprese”, ribatté il moretto e Sebastian lo immaginò guardarsi attorno con aria persino più stolida della sua presunta inseguitrice.
“Bene, scappo, addio!”, fu la frettolosa risposta della biondina.
“Aspetti!”, la incalzò nuovamente Blaine. “Chi mi ha fatto lo scherzo? Su quale canale andrà in onda?”.
Sebastian sollevò gli occhi al cielo: quell’overdose di Tontittany e della versione attention whore di Blaine Anderson era stata decisamente superiore alla propria capacità di sopportazione.
Non ebbe neppure il tempo di compiacersi dello scampato pericolo, perché Hunter Clarington non sembrava affatto aver superato la questione. “Non posso crederci che tu l'abbia coinvolta! Tra tutte le persone-”.
Sospirò, con aria evidentemente stanca. “Un faccino angelico come il suo, chi la crederebbe pericolosa?”, roteò gli occhi, come se la spiegazione fosse del tutto superflua.
Lo additò di nuovo con aria torva. “Sta lontano da lei o racconterò tutto quanto a Blaine e Kurt”.
“Le tue minacce non mi spaventano”, rimarcò con uno scrollo di spalle.
La mascella di Hunter si contrasse pericolosamente: “Non mettermi alla prova”.
“Sebastian?”, intervenne la voce di Brittany, in tono mite e preoccupato.
“Che c'è?”, le rispose brusco, non immaginando che fosse rimasta in linea.
“Non so come tornare a casa”, confessò in tono contrito.
Passò il telefono al barista con aria stoica. “Va' a trarla in salvo: non ti rinfaccerò l'appuntamento che ti ho appena procurato”, aggiunse con un sorriso suadente.
Hunter prese il telefono, ma gli riservò un'altra occhiata di sbieco: “Spero che tu sia soddisfatto”.
“Ho l'informazione che mi occorreva e non coinvolgerò più la tua adorata, hai la mia parola”, ribatté con uno scrollo di spalle. E come avrebbe potuto sopportare un'altra disastrosa missione come quella?
“Pronto?!”, insistette la ragazza. “Qualcuno mi vuole aiutare? Per favore!”.
“Sto arrivando, Brittany: cerca il nome dell'incrocio e ti raggiungerò subito”, le rispose Hunter in tono conciliante.
La ragazza gli fornì l'indirizzo (dopo averlo chiesto ad un passante) e il ragazzo annuì, ma ella parve voler aggiungere qualcosa: “Non essere arrabbiato con Sebastian, ha solo qualche problema a contenere la rabbia ed essere gentile, ma non è cattivo-cattivo”.
Nonostante tutto, sembrò che sentirne la voce avesse un effetto benefico su Hunter Clarington, perché la mascella sembrò ammorbidirsi dalla contrazione assunta negli ultimi dieci minuti. Abbozzò persino un sorriso e la sua voce si fletté in un timbro più vellutato: “Arrivo subito”.
Porse di nuovo il telefono al proprietario.
“Sentito? Non sono cattivo-cattivo”, ripeté quest'ultimo in tono provocatorio.
“Mai più”, lo avvisò, sollevando un dito con aria ammonitrice.
“Va' a fare il Principe”, ribatté insofferente.
Hunter sospirò e scrollò il capo.
“Sebastian, non so cosa tu abbia in mente”, si volse dopo pochi secondi. “Ma ricordati che la soluzione ce l'hai sempre di fronte e non hai davvero bisogno di sotterfugi. Sei la ragione per cui Kurt non dovrebbe sposarlo, lo sei sempre stato, ma non capisco perché fatichi tanto a crederlo”.
Sospirò e lasciò cadere le mani lungo i fianchi. Non parve, tuttavia, cercarne una risposta: dopo un'ultima occhiata esasperata, si allontanò rapidamente.


~

Quando Sebastian schiuse gli occhi, quel mattino, ebbe l'impressione di esser stato investito ripetutamente da un camion in retromarcia. Forse aveva persino sognato quella scena con tanto di Mezza SegAnderson al volante, durante una sua pessima imitazione dei Queen, mentre SfinterHunter e la sua biondina ballavano una sorta di valzer.
No, non era un buon segno. La gola secca e la vista appannata, avrebbe voluto alzarsi, ma ricadde stancamente sul cuscino e si addormentò poco dopo, malgrado il martellare doloroso delle tempie.
Schiuse gli occhi quando, dopo quelli che parvero pochi minuti, Kurt spalancò le tende della sua camera. “Sebastian!”, lo rimproverò, le mani sui fianchi. “E' quasi mezzogiorno! Rachel e Finn verranno dopo pranzo, devo aerare la casa e-”.
Di fronte al silenzio dell'altro, che a stento sembrava riuscire a tenere gli occhi aperti e mettere a fuoco la sua sagoma, si avvicinò al letto come se volesse testarne la sobrietà.
Allungò la mano verso la sua fronte e Sebastian emise un sospiro di puro piacere nel percepirne la temperatura fresca sulla pelle che pareva ardere.
“Ma hai la febbre!”, gemette Kurt che parve andare in iperventilazione, dando sfoggio ad un mix complicato tra moglie devota, inflessibile dottore e sgomento visitatore.
“Ok, niente panico”, parve ammonire se stesso, mentre teneva le mani sollevate, quasi a voler contenere le proprie paranoie. “Dobbiamo abbassare la temperatura e devi bere acqua, molta acqua, torno subito”.

Non amava sentirsi vulnerabile, soprattutto se ciò avveniva in presenza di Kurt. Ma, al contempo, persino il bruciore era sopportabile, se significava avere un pretesto valido per sentirne la mano sul viso. O il timbro più dolce della sua voce (anche quando continuava a farneticare circa l'importanza vitale dell'idratazione, soprattutto in quel momento), percepire il suo profumo o i suoi passi leggeri sulla moquette, quasi timoroso di disturbarne i brevi momenti di riposo.
La temperatura si era già abbassata nel pomeriggio, ma solo a sera si arrischiò a rimettersi in piedi, pur percependo la debolezza muscolare e le vertigini che neppure la migliore delle sue sbronze gli aveva mai procurato. Si era avvolto in una vestaglia da camera (“Una fortuna che te ne abbia comprata una”, era stato il commento compiaciuto di Kurt) e si era sgranchito le gambe, prima di lasciarsi cadere sul divano, giunto in tempo perché il coinquilino potesse assistere alla sua fiction serale.
“Non doveva venire la Berrysterica?”, gli chiese Sebastian, la voce più roca del solito e le sopracciglia inarcate, domandandosi se non avesse sognato anche quel dettaglio.
“E rischiare che i tuoi germi le contaminino il talento?”, non era inverosimile che quelle fossero state le testuali parole della ragazza. Sorrise e scrollò le spalle: “No, ho disdetto tutto”.
“Se devi vedere Blaine-”.
“Te l'ho detto: ho disdetto tutto”, ribatté in tono fin troppo tranquillo.
“Non era necessario”, bofonchiò, non riuscendo a celare del tutto un alone più compiaciuto.
“Forse”, gli concesse Kurt, pur guardandolo con aria dubbiosa. “Ma non sarei andato comunque”.
“Il che conferma il tuo bisogno patologico di accudire il prossimo, a discapito di te stesso”.
Kurt sorrise di quelle parole. “Stai sebastianando: è un buon segno. Ma se vuoi che me ne vada-”
“No”, fu la replica spontanea.
Kurt si specchiò nel suo sguardo, quasi stesse scavando e cercando le motivazioni più profonde che si celavano dietro quella risposta più frettolosa.
“Chi mi passerebbe l'acqua?” aggiunse Sebastian, quasi a voler correggere il tiro, dopo essersi schiarito la gola, l'ombra del suo sorriso più ironico.
Kurt scosse il capo, ma continuò a sorridere e si limitò a sollevare la coperta su entrambi.
L'altro lo guardò con il sopracciglio inarcato: “E al tuo talento non pensi?”, alluse alla vicinanza, cercando di nascondere quella nuova aritmia e il sospiro con cui avrebbe voluto lasciarsi sommergere dall'essenza di vaniglia.
“Correrò il rischio”.


“Ecco che cosa succede, quando Kurt Hummel corre un rischio”, neppure si premunì di cercare di nascondere il ghigno divertito, mentre estraeva il termometro dalle labbra dell'altro. Inarcò le sopracciglia: “Mhm, niente male, potrei cuocerci un pancake sulla tua fronte”.
Kurt emise un rantolo: “Non parlare di cibo”, gemette e si lasciò cadere sul proprio cuscino.
“Hai bevuto abbastanza acqua?”, gli chiese, imitandone il tono vellutato, le mani sui fianchi. “Oh, ma è un brufolo quello che vedo?”, si portò una mano alle labbra a simulare un'espressione di sgomento.
“Smettila!”, piagnucolò il malato in tono puerile.
Sebastian sorrise ma si sedette sul materasso e scostò i ciuffi dalla sua fronte: “Prendo la bacinella d'acqua”, sussurrò con voce più dolce.
“Non hai una lezione da saltare questa mattina?”, gli chiese l'altro con aria fintamente offesa.
“Forse”, gli concesse Sebastian con un sorriso. “Torno subito”.
Stava prendendo la stessa bacinella che Kurt aveva usato con lui, quando sentì bussare alla porta d'ingresso. Si irrigidì alla vista di Mezza SegAnderson.
“Come sta?”, gli chiese con la stessa foga con cui si sarebbe informato in seguito ad un incidente stradale.
Dovette trattenersi dal sollevare gli occhi al cielo, immaginando il tono dei messaggi del suo prezioso fidanzato, conoscendone la proverbiale drammaticità. “Ha la febbre”, replicò con voce secca, ancora la mano sulla porta, quasi a volergli celare l'interno.
“Posso entrare?”, chiese Blaine con aria estremamente formale.
“Chi è?”, chiese Kurt dalla sua camera.
Sebastian serrò la mascella, ma si costrinse a schiudere la porta e, con un gesto secco, lasciò tra le mani del nuovo arrivato la bacinella e la spugnetta.
“Pensaci tu, ho di meglio da fare”, fu il commento irritato, prima di sbattersi la porta alle spalle.


“Scusa se te lo dico, ma certe volte sei davvero un coglione”, commentò il barista, dopo aver allineato tutte le bottiglie dello scaffale dei liquori. Il tutto con un sopracciglio inarcatissimo, mentre ascoltava il breve resoconto del suo cliente più fedele.
Sebastian inarcò un sopracciglio. “Non mi sembra che tu sia così dispiaciuto”.
“Perché te ne sei andato?”, lo incalzò con un sospiro, incrociando le braccia al petto, il cipiglio persino più corrugato, quasi il torto fosse stato fatto a lui.
“Ha il suo Blaine, no?”, rimarcò Sebastian con tono enfatico, quasi a volersene scollare di dosso la responsabilità. E il senso di colpa.
Hunter sospirò. “Sei passato dal voler sabotare ogni fase del matrimonio a lasciare a Blaine campo libero... da quando lo chiami per nome, a proposito?”, lo chiese con la stessa aria con cui un commissario avrebbe posto la domanda trabocchetto che gli avrebbe fatto accertare la colpevolezza o meno dell'indagato.
Sebastian distolse lo sguardo, un nervo guizzò all'altezza della mascella.
“Ti sei arreso, Sebastian?”, gli chiese esplicitamente.
“Da quanto ti interessa, a meno che tu o la tua bambola gonfiabile non siate coinvolti in prima persona?”, ribatté in tono pungente. Quasi il suo reale interessamento fosse gravoso da sopportare, quando in prima persona stava cercando semplicemente di evitare la questione.
Un modo puerile, tuttavia, di evitare di rispondere alla domanda che lui stesso si era posto più volte, soprattutto quando il sonno tardava a giungere e i suoi pensieri non erano confusi dall'alcol.
“Solo perché non approvo i tuoi metodi, non significa che io non creda che sareste felici o che siate così stupidi da meritarvi a vicenda”, malgrado l'ironia, si poteva intuire quanto Hunter Clarington, suo malgrado, credesse fermamente in un loro possibile futuro insieme.
“E la Mezza SegAnderson?”, ribatté in risposta, a mo' di provocazione, da che probabilmente tra i due contendenti, normalmente si sarebbe schierato da quella del legittimo fidanzato.
“Tra i due mali preferisco quello che si sbronza di più e manderà in fallimento il locale con il crescere del suo debito”, rispose con la medesima semplicità, ma non mancando di sorridere.
Sebastian scosse il capo, cercando di non ricambiarne il ghigno. “Versa e sta zitto”.
“No”, rifiutò in tono pacato ed incrociò le braccia al petto. Gli indicò l'uscita con un cenno del mento: “Va' da lui o te ne pentirai”.
“Di fare il terzo incomodo? Non credo proprio”, sbuffò senza tuttavia incrociarne lo sguardo.
“Kurt sarebbe felice di vederti, a prescindere dalle mezze seghe in circolazione. E, incredibilmente, proprio perché sei tu nelle tue centinaia di sfumature di malvagità e di manipolazione”, spiegò con la stessa praticità con cui avrebbe risposto ad una domanda di un esame. “E Messa Sega non può farci nulla”.
Sebastian sorrise, quasi quelle parole lo avessero davvero colpito, o probabilmente era l'effetto del giocherellare con la piastrina affissa al bracciale che non si era mai tolto dall'ultimo Natale.
“L'astinenza dal sesso ti fa bene ai neuroni”, lo informò a mo' di apprezzamento.
Il barista inarcò il sopracciglio con aria perplessa: “Era un complimento?”.
“Una non offesa nonché un triste dato di fatto per la tua cosiddetta mascolinità”, sollevò le mani come a dire che era stata la sua domanda ad indurgli quella precisazione poco lusinghiera. “Ci vediamo”.


Sebastian non avrebbe dimenticato il momento in cui aveva realizzato quella verità.
Era entrato di soppiatto nella sua camera e lui già dormiva, probabilmente dopo aver pianto per l'ennesima volta, pensando a quel coglione.
L'anello che gli aveva regalato a Natale era stato lasciato sul comodino e, per quanto cercasse di spronarlo e farlo reagire, sembrava che quel dolore non avrebbe trovato presto pace.
Suo malgrado, Sebastian non aveva potuto fare a meno di constatare di non aver mai esperito, neppure per esperienza indiretta, un amore intenso e totalizzante come quello che Kurt aveva nutrito per molto tempo. E dalle cui cicatrici, probabilmente, non si sarebbe mai del tutto ripreso.
Restò ad osservarlo dormire, quasi così facendo potesse impedire che quelle immagini oniriche gli procurassero altro dolore.
Ricordò la prima volta che quel viso d'elfo aveva incrociato il suo sguardo. Cercò di pensare obiettivamente a tutti i suoi difetti: l'insicurezza cronica, l'isteria, la fissazione inutile per gli arredi e lo stare chiuso in bagno per ore intere per i suoi trattamenti al viso. Il suo essere permaloso, polemico, il suo ironizzare sulla sua vita promiscua e su come dovesse perseguire un vero amore che gli riempisse la vita.
E poi pensò a quanto di buffo celasse: la paura del vuoto, il sostare di fronte all'armadio e cambiarsi d'abito almeno due volte al giorno, la lacrima facile davanti ad un film o durante la lettura di un libro, il tono stridulo quando era arrabbiato o triste. La paura di non essere mai abbastanza.
E poi vi era quel suo mondo fatto di musical, cheesecake, cartamodelli, nastro da sarta, i ricordi di sua madre e della vita stretta in Ohio, la vaniglia di cui era impregnata la sua pelle e la passione per i dolci da cucinare e con cui accoglierlo di tanto in tanto.
Il sorriso che ne increspava le labbra, quando era realmente sereno e le miriadi di sfumature delle sue iridi di zaffiro, ognuna con una sfaccettatura diversa, a comporre l'intensità di un suo sguardo con il quale fin troppo facilmente sembrava scavare nella sua anima.
Il tremito interiore che aveva sorpreso più volte Sebastian, da ragazzino ai primi approcci sessuali, quando percepiva la pressione della sua mano o la foga con cui si era stretto al suo petto, alla ricerca di un conforto, scoprendosi lui stesso quasi tremante.
Lo amava. Ed era già troppo tardi per negarlo.


Entrò in casa quasi di soppiatto, avvicinandosi alla camera di Kurt con circospezione, guardandosi attorno e cercando segni della presenza o assenza del fidanzato.
Kurt era steso sul letto e sembrava assopito, i capelli umidi e le labbra screpolate, le guance più rosate del solito.
Fu sorpreso di constatare che Blaine se ne era davvero andato, ma si sedette sul letto e allungò la mano verso la fronte del dormiente.
Parve destarsi al contatto, gli occhi azzurri erano lucidi e lievemente arrossati, i suoi lineamenti si contrassero in un'espressione confusa.
“Ehi”, lo salutò, cercando di simulare un'espressione tranquilla. “Dov'è Blaine?”.
“Doveva andare”, commentò con voce rauca, prima che un attacco di tosse lo sopraffacesse. “Avrà un esame importante domani, non voleva e ho dovuto insistere parecchio”, spiegò tra un colpo di tosse e l'altro.
“E perché non mi hai chiamato?”, si sentì chiedere con voce irritata, più con se stesso che con il malato in verità. “Non saresti dovuto restare solo”, aggiunse con voce più calma.
Kurt lo osservò attentamente, prima di rispondere in modo pacato. “Pensavo che tu ne avessi bisogno, visto come te ne sei andato”. Curioso come, persino in quel momento, fosse lui a guardarlo come riuscisse a leggergli dentro e strapparne il respiro. Non vi era stata alcuna traccia di biasimo nella sua voce, la semplice e pura constatazione che fece sentire Sebastian persino più sporco ed indegno di stargli vicino in quell'istante. Ma, come gli aveva promesso in occasione dello scambio di regali natalizi, non fece domande scomode.
Sebastian sospirò pesantemente e scosse il capo. “Hai bevuto?”.
“Ho la gola secca”, ammise, alludendo alla brocca ormai vuota sul comodino.
Tornò pochi istanti dopo e versò l'acqua nel bicchiere, lo aiutò a sollevarsi con il torso e lo osservò bere con evidente foga e sollievo, prima di stendersi nuovamente, con aria stanca.
Sebastian ne scostò il ciuffo scombinato dalla fronte, percependone la pelle umida, ma il bruciore si era decisamente attenuato. “Cerca di dormire”.
Kurt annuì, ma ne trattenne la mano: “Puoi restare?”, chiese senza indugio o senza imbarazzo, e Sebastian dovette controllarsi perché il suo viso non lasciasse trasparire l'emozione di quel contatto improvvisato. “Non mi è mai piaciuto dormire da solo, quando ho la febbre”.
Sentì il sorriso sfiorarne le labbra, ma annuì. Si tolse rapidamente le scarpe per stendersi a sua volta sul materasso, appollaiandosi di un fianco, sostenendosi il viso con il gomito. “Ma non provarci con me”, lo ammonì, strappandogli uno sbuffo divertito.
“Mi tratterrò”, sussurrò Kurt per risposta, ponendosi a sua volta di un fianco.
Sebastian seppe che era soltanto il disagio delle sue condizioni fisiche ad impedirgli di valicare quella distanza per accoccolarsi contro il suo petto.
Fu lui a muoversi in sua direzione e attrarlo a sé, perché potesse trovare quel piacevole rifugio, affondando il viso contro la sua spalla esile, strofinandovi il naso.
Poteva immaginare il sorriso sul volto di Kurt, anche se appoggiò debolmente le mani al suo petto: “Non profumo di rose”, protestò con tono evidentemente mortificato che indusse, tuttavia, Sebastian a stringerlo più forte e baciarne la guancia.
“E perché dovresti cambiare profumo?”, domandò in tono casuale, quasi fosse quello il reale significato dell'osservazione. Sorrise nel sentirlo rilassarsi contro il suo corpo, abbandonandosi docile, facendo pressione sulla sua camicia, non per scostarlo ma per trattenerlo. “Non me ne sarei dovuto andare”, sussurrò dopo qualche istante di silenzioso torpore, carezzandone delicatamente i capelli sulla nuca.
“So che non sopporti di stare nella stessa stanza con Blaine”, nonostante la voce rauca, Kurt parlava con evidente consapevolezza dei fatti e una tranquillità che doveva attribuirsi alla stanchezza.
Sebastian si domandò quanto effettivamente capisse di quell'inevitabile antagonismo.
“Ma adesso sei qui e finalmente posso dormire tranquillo”, sembrò parlare tra sé e sé con tono che ne tradì il sollievo, la gratitudine e il semplice ed evidente bisogno.
Sebastian continuò a sfiorarne i capelli, osservando come il bracciale riluceva al chiaro di luna: aveva detto che sarebbe stato il simbolo del loro legame e che lo avrebbe ricondotto a lui. Perse lui stesso la cognizione del tempo, trattenendolo a sé e realizzando che, malgrado le circostanze poco idilliache, quello era uno dei momenti più intensi della loro quotidianità.
“Non farlo”, si sentì dire e il suo cuore parve fermarsi, mentre quelle parole ne sfioravano le labbra. “Non sposarlo”.
Sembrò che il silenzio circostante lo assordasse. Si scostò quasi timorosamente, consapevole che non avrebbe potuto fuggire, ma avrebbe dovuto affrontarlo.
Ne cercò il viso, ma soltanto allora si accorse che si era profondamente assopito.
Sospirò amaramente, ma quel nodo in gola sembrò placarsi nell'osservarne l'espressione beata e pacifica, nello sfiorarne la pelle vellutata.
Vi era un'amara dolcezza nel capire che quel sorriso fosse proprio, che erano state sue le braccia che, finalmente, lo avevano condotto al riposo di cui disperava.
Si chinò sulle sue labbra per un tocco sfiorato, quando non fu più capace di resistere a quella vicinanza. Erano screpolate e ruvide per la febbre. Il suo profumo di vaniglia era soffocato dagli intrugli alla menta che doveva essersi propinato in sua assenza. Ma sapeva, in cuor suo, che quello sarebbe stato l'unico bacio che non avrebbe mai dimenticato.
Silenzioso, segreto ed egoistico.
Perfetto. Ma solo proprio.


To be continued...


Salve a tutti :)
Spero che abbiate avuto una buona settimana: la mia è sembrata particolarmente lunga, ma finalmente siamo arrivati al weekend e potrò recuperare sonno ed energia.
Una fortuna che ci siano fiction e fanfiction ad accompagnare le giornate di studio e di lezioni universitarie.
Il matrimonio è decisamente alle porte, ma diamo una sbirciatina al prossimo capitolo:

Dimmi che non stai per farlo”. “D'accordo: pensavo alle rose rosse, ma considerando quanto ama il rosa”.
Per quand'è?” “Il 14” “San Valentino?” “E' una festa commerciale, no?” “Blaine è troppo superiore?” “Non ha un bel ricordo di quel giorno”.
Nessuno ha mai fatto qualcosa di simile per me”. “Non avrai intenzione di commuoverti? Non ho ancora cominciato a usare il mio charme: ci vogliamo sedere?”.
Che cosa provi per Sebastian?”.


Come sempre, un ringraziamento di tutto cuore a voi che seguite, le cifre sono davvero molto lusinghiere e non posso che esserne fiera. Come sempre disponibile per chiarimenti, critiche od osservazioni e grazie di cuore a tutte le mie splendide recensitrici, che rendono i miei weekend Kutbastian ancora più piacevoli.
Un abbraccione a tutti, al prossimo capitolo!

Kiki87





1 Non avendo trovato la traduzione ufficiale, ne ho fatta una a mia discrezione (come per la maggior parte delle canzoni che ho usato). Se volete consultare il testo originale:  qui
Come noterete la traduzione letterale dell'ultimo rigo sarebbe “senza sapere come cadere /come si cade”, ma credo dal contesto che si riferisca al “fall in love”. Ma potreste interpretarlo anche come una caduta in senso metaforico, a vostra discrezione :D In ogni caso lo ritengo un estratto molto Kurtbastian :)

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


10
Vivi in un posto che ti sei lasciato alle spalle.
Cammini in cerchi per tutto il tempo.
Non riesci a vedere il sentiero che hai di fronte,
è come se fossi cieco.
Allora apri gli occhi in tempo.

Il tempo, ti fa realizzare cosa hai avuto,
cosa hai quasi avuto e cosa vuoi.
Ti sei intorpidito e il momento è passato.
Allora apri gli occhi in tempo.

Non sprecare tempo.
Non sprecare tempo, guardandoti indietro.
Sembri sempre guardare indietro.
E' come se la tua mente fosse sempre altrove.
Guardi sempre dietro le tue spalle.
Allora apri gli occhi in tempo.
(Looking Back – Keane1).

Febbraio
(meno un mese al matrimonio)

Capitolo 10


Sebastian si rimirò allo specchio con aria piuttosto soddisfatta: non che fosse qualcosa di nuovo gradire il proprio riflesso, ma cominciava quasi a capire certe manie per i dettagli, da parte di Kurt. Per la prima volta (da che aveva sempre ritenuto, non a torto, che il fascino gli fosse cosa perfettamente naturale) apprezzava che fosse la combinazione di diversi elementi a risaltare l'effetto complessivo.
Sorrise tra sé, al pensiero di poter sorprendere il coinquilino in quelle vesti, ma tutto a suo tempo, come sempre.
"Molto bene", commentò il sarto tra sé, appuntando qualche nuovo spillo e rimirandolo con espressione gratificata, passando in rassegna la sua figura. Gli sorrise: "Sembra fatto a pennello per lei".
Sebastian si domandò distrattamente se il complimento fosse per lui o per l'outfit di sua creazione, ma non era un dettaglio che lo interessava davvero dopotutto.
"Abbiamo finito per oggi", lo ringraziò e gli fece cenno al camerino, prima di volgersi al fotografo per osservare l'anteprima degli scatti nei quali era stato immortalato.
Sebastian stava indossando la maglietta, quando sentì l'arrivo di una delle commesse che con voce concitata, ma dal tono inequivocabilmente preoccupato, si rivolgeva al suo superiore. Si mise immediatamente all'ascolto e si aprì un piccolo varco nella tendina per osservare i due interlocutori.
"Si tratta dello sposo”, pigolò la giovane, con aria evidentemente mortificata. “Di nuovo", sottolineò con una nota di esasperazione.
Il proprietario sospirò, togliendosi gli occhiali per pulirne le lenti con un fazzoletto: esibiva un'aria d’evidente disapprovazione, seppur raramente il suo volto si scomponesse. Scosse il capo: "Certe persone non hanno il minimo controllo di sé", parve riflettere a voce alta.
Sebastian ghignò.
"Non si tratta soltanto del peso". La commessa sembrava letteralmente sgomenta, ma si fece coraggio per spiegarsi meglio, avvicinandosi e parlando con la stessa aria cospiratoria. "I pantaloni si sono lacerati sul didietro, mentre cercava di abbottonarli", aggiunse e, per la prima volta, il proprietario schiuse le labbra per lo shock, mentre il fazzoletto cadeva a terra.
Sebastian si morse le nocche per non ridere, ma lo sguardo verde sembrò letteralmente sfolgorare: il suo piano stava riuscendo alla perfezione. In più, la vicinanza e la simpatia che si era conquistato, lo avevano facilitato in qualche piccolo ritocco poco professionale allo smoking. Doveva avere qualche talento innato nell'individuare le cuciture principali ed indebolirle.
"Me ne occupo io”, commentò l'uomo, appoggiando la mano sulla spalla della sua dipendente, quasi ne comprendesse l'esasperazione. “Congeda tu il signor Smythe, per favore".
Si prese qualche altro istante, premunendosi di far sentire il suono della zip dei pantaloni che veniva sollevata. Uscì e non mancò di sorridere all'evidente occhiata di approvazione della giovane che lo aiutò ad indossare nuovamente la sua giacca.
"Non ha mai pensato di farlo per professione?”, gli chiese con le guance infiammate, quasi si fosse trovata di fronte un divo dello spettacolo. “Sembra nato per le passerelle", lo lodò con voce trasognata.
"Mhm", finse di rifletterci. "Forse. Molto meglio di essere un barista con clienti narcisisti che non pagano e vogliono persino raccontarmi delle loro vite, come se avessi conseguito un dottorato in psicologia", sospirò con aria teatralmente sofferta. Cercò di imitare l'espressione frustrata di Clarington. Seppur fosse cosa assai difficile senza un paio di occhiali da nerd e quella sua naturale espressione da babbeo con istinti suicidi.
La giovane rise della battuta, sembrò in procinto di voler aggiungere qualcosa, almeno fino a quando non fu richiamata dal suo superiore, con tono imperativo. Si morsicò il labbro e osservò Sebastian con aria rammaricata: "Mi perdoni, uno dei nostri sposi ha di nuovo un problema con il suo smoking", il tono ne tradì i sentimenti poco concilianti.
"Non solo quello", le rispose il ragazzo con tono consapevole, sistemandosi il bavero della giacca, senza più degnarla di uno sguardo.
"Prego?".
"Arrivederci", la superò rapidamente e si affrettò ad uscire, insinuando una sigaretta tra le labbra.


"Che cosa hai fatto?", lo accolse Hunter Clarington appena prese posto, mentre agitava uno shacker con aria quasi clinica. Immaginò che ci volesse una certa fermezza per poter impugnare un bisturi e fare incisioni, esplorazioni interne, cuciture e altre “cose” al cui solo pensiero sentiva un conato di vomito.
"Buon pomeriggio a te", salutò con aria serafica.
"Sei in anticipo e sorridi”, ribatté il barista con le sopracciglia ancora più inarcate, il viso sospettoso. “Che cosa hai fatto?", ripeté, quasi ciò fosse sufficiente a strappargli una risposta sincera. Si guardò attorno come se si aspettasse l'irruzione della polizia o il crollo dell'edificio sopra di loro.
Sebastian continuò a sorridere, ma si strinse nelle spalle: "Sono diventato un modello", lo informò, senza neppure cercare di nascondere il proprio orgoglio al riguardo.
Hunter emise uno sbuffo ironico. "D'intimo?", domandò come se fosse l'unica deduzione logica.
Sebastian ne imitò l'espressione perplessa: "Ora cominci ad inquietarmi".
"Mai quanto il tuo sorriso inquieta me", rispose di riflesso, porgendo la bevanda al cliente e tornando ad osservarlo con le braccia incrociate al petto.
"Come sei romantico, potrei arrossire", lo canzonò Sebastian che seguì con lo sguardo il proprietario del locale e alcuni inservienti che stavano appendendo stucchevoli decorazioni in tinta rosa shoking. La visione gli procurò una smorfia schifata: "E' la serata a tema Hello Kitty?”.
"Domani sarà San Valentino", gli ricordò il barista in tono distratto.
Sebastian sollevò gli occhi al cielo, prima di ghignare: "Indosserai una canottiera rosa con gli strass e un boa coordinato?", la sola idea parve stemperare la tipica insofferenza nei riguardi dei sentimentalismi gratuiti.
"No", replicò l'altro in tono secco, quasi la sola domanda lo indisponesse. Almeno fino a quando la ballerina bionda, le braccia piene di decorazioni e il viso punteggiato dai glitter che si era applicata, come se fossero stati cosmetici, non gli rivolse un sorriso che parve scioglierne il cipiglio cupo.
Santana Lopez sembrava persino più gongolante di lui, a giudicare dallo sguardo vittorioso che rivolse a Sebastian.
Quest'ultimo fissò il ragazzo di fronte con aria disgustata: "Dimmi che non stai per farlo”. Non sembrò necessario che completasse la frase, supplicandolo di non utilizzare la scusa tanto banale e stucchevole della festività per tentare un qualsivoglia approccio che potesse farlo uscire dalla friendzone.
"D'accordo", sospirò Hunter con aria rassegnata. "Pensavo alle rose rosse, ma considerando quanto ama il rosa...".
Una smorfia schifata, per risposta, quasi sofferente: "Ho bisogno di bere, sono troppo sobrio per ascoltarti". Allungò il braccio a prendere una bottiglia di birra che si portò alle labbra con un gesto fluido.
Il barista scosse il capo, ma un sorriso impertinente ne curvò le labbra carnose: "Disse l'ammiratore segreto", carezzò volutamente quelle parole.
"Mi stai davvero sfottendo?”, ridacchiò Sebastian. “Tu? Ti ricordo che quella notte ho ottenuto più di quanto tu riceverei in dieci anni con quella", alluse alla ragazza con un cenno del capo.
Brittany, nella fattispecie, stava mostrandosi più un impiccio che un reale aiuto nella decorazione del locale, soprattutto constatando il numero di tonfi, gemiti dei malcapitati sulla sua traiettoria e dei suoi pigolati: “Scusa!”.
"Come direbbe Sam Evans”, recitò Hunter con il viso inclinato di un lato, un sorrisetto trionfante. “Se non fai touchdown, l'azione è stata inutile".
"E come ti direbbe chiunque abbia a cuore l'orgoglio maschile: se neppure Tontittany ti si concede, puoi dichiararti gay senza sentirti in colpa", rispose in tono serafico, concedendogli un sorriso adorabile che stonava perfettamente con l'odiosa provocazione.
La mascella del barista si contrasse, parve in procinto di replicare, ma Sebastian lo zittì con un cenno della mano, quando il telefono squillò.
Sospirò nell'osservare il mittente, ma fu lesto a rispondere: "Che cosa c'è?”, abbaiò al suo interlocutore. “Non mi interessa se li rifiuta, gli dica che ho minacciato di rubargli il gel e non presentarmi all'altare, se non accetta il mio cadeau”, cercò di imitare il tono stridulo di Kurt.
“Bene, mi richiami per confermarmi che li ha mangiati tutti".
Se il barista era parso perplesso all'inizio, sembrò ben presto collegare gli indizi e un fremito nelle labbra sembrò annunciare un sorriso che cercò di nascondere. Si schiarì la gola, ma scosse il capo, come ad imporsi di mantenere un certo contegno. E dimostrarsi contrario a qualsiasi altro sciocco espediente Sebastian avesse utilizzato. "Non può essere".
"Non so di cosa tu stia farfugliando”, rispose Sebastian, appoggiando distrattamente il telefono sul bancone e tornando a bere un sorso di birra.
"Fare il modello significa cambiarsi d'abito, che solitamente avviene in un negozio... che vende anche vestiti da sposo. Abbiamo uno sposo e cibi misteriosi che devono essere consegnati e consumati obbligatoriamente”, sembrò parlottare tra sé, collegando i vari indizi, prima di tornare a guardarlo, il viso inclinato di un lato. “Lo stai... mettendo all'ingrosso”, commentò in tono incredulo.
Gli concesse uno sguardo di sorpresa ammirazione per quella brillante riesamina, prima che un ghigno gli increspasse le labbra, sporgendosi in sua direzione, con aria complice. "Gli si sono lacerati i pantaloni, proprio sul culo".
Suo malgrado, Hunter Clarington si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito, ma cercò di recuperare rapidamente la sua serietà e scosse il capo. Era evidentemente necessario che almeno uno dei due si mantenesse il più possibile razionale, soprattutto in vista di un matrimonio alle porte e di sentimenti che Sebastian s’intestardiva a non esprimere. "Che programmi hai per questo San Valentino, piuttosto?”, domandò con aria guardinga.
Sebastian abbassò la bottiglia e gli rivolse un'occhiata risentita: "Non continuare la frase o dovrò cambiare pub".
Il barista sollevò gli occhi al cielo: "Sai cosa intendo, il tempo stringe!”, gli ricordò con aria ansiosa.
L'altro scrollò le spalle, a mo' di sfida, simulando perfetta indifferenza. "Niente".
Hunter sgranò gli occhi: "Ma mancano tre settimane!", gli ricordò con tono concitato.
"Lo so", gli rispose, senza neppure guardarlo, ma fissando il display, evidentemente aspettando l'ennesima telefonata.
"Sebastian, il tempo dei trucchi sta finendo”, si era sporto in sua direzione. “Non puoi rimandare e questa potrebbe essere un'ottima occasione. Lo sai benissimo che Kurt è un romantico e considerando che già l'anno scorso, tu-".
Sebastian si alzò, quasi non fosse più in grado di ascoltarne l'ennesima predica. "Ti saluto, Clarington”, non lo guardò neppure e si volse, dopo aver lasciato una banconota sul bancone.
“Cerca di non rovinare tutto", alluse alla biondina con un cenno del capo, ne ignorò i richiami e si diresse rapidamente verso l'uscita.
Ma nel farlo, si premunì di passare accanto a Santana Lopez, per dirle: "Non è ancora finita".
Parve non voler riferirsi soltanto al termine della loro scommessa.

~


"Odio San Valentino", pigolò Tiffany in tono sofferto, guardando quasi risentita le coppie presenti nel locale.
Kurt, l'aria altrettanto mesta, sospirò in risposta, ma lo sguardo azzurro parve scintillare, animato da un nuovo fervore. Ripose il block notes delle ordinazioni nel taschino della casacca. "Noi non ci faremo buttare giù, Tiffany: siamo single e in una grande città, usciamo e andiamo a ballare", le propose con una determinazione tale che parve persino stupire se stesso.
"Il mio bambino cresce", s’intromise Sebastian, con tono infervorato, portandosi una mano al petto. Era seduto al suo solito tavolo, quello che gli consentiva una buona partecipazione indiretta alle loro conversazioni.
Kurt trasalì e parve sbigottito: evidentemente neppure si era accorto della sua presenza. "Stai pensando di venire a vivere qui?", gli chiese con un filo d’ironia, cercando di nascondere l'imbarazzo all'idea che avesse assistito alla loro conversazione.
"Forse", Sebastian scrollò le spalle e sollevò il bicchiere con aria eloquente.
L'altro sospirò e vi verso del caffè appena preparato, prima di sedersi al tavolo con l'amica: “Allora?”, la incalzò, sperando evidentemente in una risposta positiva.
"Posso invitare anche delle amiche?", chiese Tiffany e Kurt dondolò le spalle e batté le mani.
"Sarà come un pigiama party liceale!", trillò con evidente entusiasmo.
Sebastian scosse il capo: non riusciva davvero a capire che cosa ci fosse di tanto allettante in una festività tanto banale e melensa.

Sollevò gli occhi al cielo, qualche ora dopo: avrebbe dovuto immaginarlo che la sicurezza ostentata da Kurt fosse soltanto un'apparenza. Persino da brillo, quando rientrò e lo vide addormentato sul divano, con un album sulle ginocchia, capì che cosa celasse in cuor suo. Scosse il capo e si avvicinò per prendere il libricino, premunendosi di chiuderlo con un gesto secco alla pagina delle fotografie che lo ritraevano con Blaine in uniforme scolastica.
Kurt sussultò e si svegliò di soprassalto.
Sebastian gli sorrise con aria serafica, conficcando le mani nelle tasche dei pantaloni: "E' stato un gesto carino aspettare che rientrassi", sussurrò.
Il suo coinquilino sbatté le palpebre, guardandosi confusamente attorno, prima di strofinandosi le palpebre. "Mi sono addormentato", commentò con voce impastata di sonno.
"Sulle foto del tuo ex", precisò Sebastian con le sopracciglia inarcate, indicando l'album con un cenno del mento.
Kurt arrossì, ma scosse il capo: "Sto bene”, borbottò.
"Certo", replicò Sebastian con aria ironica, ma lo spronò a sollevarsi e lo scortò verso la sua camera. "Si supponeva che fossi io quello che avrebbe avuto bisogno d’aiuto”, gli fece presente con aria quasi risentita per quello stato di evidente prostrazione che sembrava debilitarlo persino fisicamente.
"Si supponeva che tu non mi vedessi ridotto così”, fu la lamentosa risposta.
"Sei più prevedibile di quanto tu pensi".
"Tu no e non mi piace", ribatté Kurt in risposta, accettandone tuttavia l'aiuto e appoggiandosi a lui per camminare più stabilmente.
"Mhm, non provocarmi", gli sussurrò all'orecchio, osservandolo arrossire con un guizzo di soddisfazione a farne scintillare le iridi smeraldine.
Lo aiutò a stendersi e Kurt si rannicchiò in posizione fetale, abbracciando il cuscino e rilasciando un lungo sospiro. Fissò un punto indefinito nella parete di fronte, imbronciandosi e scuotendo il capo: "Sono patetico, lo so".
"Io bevo e tu hai la sbornia triste: se non è questa intimità", ironizzò Sebastian con aria serafica e un sorriso divertito. Tuttavia si sedette sul materasso e lo guardò con il volto inclinato di un lato. "E' solo una stupida festa commerciale", aggiunse, cercando di celare il proprio disprezzo perché quell'intonazione più dolce potesse compensare parole ciniche per chi sguazzava nei sentimentalismi.
"Che mi ricorda, anno dopo anno, quanto io sia stupidamente romantico”, borbottò Kurt con aria melodrammatica che gli era tanto naturale in quel tipo di giornate. “E' stato a San Valentino che si è dichiarato a Jeremiah", aggiunse con un mugugno sofferto, quasi ancora dovesse smaltire quella delusione, persino prima che gli facesse dono di un bel paio di corna.
"Oh, ti prego”, protestò Sebastian, sollevando gli occhi al cielo. “Non sono abbastanza sbronzo per le 50 sfumature di una Mezza Sega".
Il viso di di Kurt si contrasse, ma scosse il capo. "Buonanotte", lo congedò bruscamente e si accucciò sull'altro fianco, dandogli le spalle.
Sebastian sospirò, ma spense la luce. A quel punto sarebbe stato semplice compiere quei pochi passi che lo separavano dal soggiorno e lasciarlo cuocere nel suo brodo. Ma non avrebbe sopportato di sentirne i singhiozzi trattenuti a stento. Ne osservò la figura che appariva tanto esile, così racchiusa in se stessa. Si stese alle sue spalle e allungò le braccia per avvolgerlo contro il proprio petto.
Kurt parve trasalire, ma non si scostò, quando Sebastian lo attirò al proprio petto.
Sebastian sentì la sua mano appoggiarsi alla propria, laddove ne cingeva il ventre. Lo sentì rilassarsi.
"Grazie", sussurrò Kurt. Dopo pochi istanti, si volse per rannicchiarsi contro il suo petto, come aveva fatto la notte di Natale, aggrappandosi alla sua t-shirt, senza alcuna protesta per l'odore di sigaretta, mischiato a quello del profumo e del luppolo.
"Di cosa?”, gli domandò con un sorrisetto provocante. “Di ricordarti quanto io sia-".
"Di essere qui", fu il delicato sussurro.
Sebastian sentì il cuore fermarsi in petto. Si chinò e gli scostò il ciuffo di capelli dalla fronte. Indugiò nel suo sguardo di zaffiro, ricordando quanto, l'ultima volta che erano stati così vicini, avesse desiderato baciarlo. E quanto si fosse pentito di non averlo mai fatto.
"Cerca di dormire", sussurrò e si sorprese lui stesso di quel tono delicato che era sgorgato dalle sue labbra.
Non occorse molto perché scivolasse nel torpore con un sorriso sereno sulle labbra.

~


Inarcò le sopracciglia quando, al suo ritorno, si trovò di fronte un salotto in disordine. Pezzi di tela e bozze di disegni sparsi ovunque e un Kurt più emaciato che mai che si dimenava attorno ad un busto maschile, prendendo nota e tornando a misurare, trattenendo degli spilli tra le labbra. Il foulard al collo era quasi slacciato dalla foga e i capelli erano spettinati per la tensione o per i momenti di profondo stress nei quali v’immergeva le mani. Evidentemente ciò faceva parte del lungo e tortuoso “processo creativo”, ma dubitava che quella musica strumentale si stesse rivelando molto utile per il suo umore o per placarne la febbrile agitazione.
"Io non pulisco", asserì con le braccia incrociate al petto, guardandosi attorno con un sorriso divertito, prima di ammiccare in sua direzione.
Kurt si scostò gli spilli dalle labbra e lo guardò con aria risentita. Non l'aria di rimprovero di quando consumava tutta l'acqua calda sotto la doccia, o quella esasperata quando mancava di lavare i piatti o fare la spesa. Vi sembrò di cogliere un misto d’offesa e d’amarezza. "Ah, sei tornato", lo accolse, i pugni stretti lungo i fianchi e i suoi occhi azzurri parvero volerlo trafiggere, come la prima volta che gli aveva rivolto lo sguardo.
Non cercò neppure di nascondere la propria confusione, di fronte a quel trattamento, ma increspò le labbra nel suo sorriso più provocante, inclinando il viso di un lato. "Stiamo per fare del buon sesso riparatore, senza aver litigato?". gli chiese con evidente ironia, di fronte ad un gelido trattamento che non sapeva di essersi meritato.
"Quando avevi intenzione di dirmelo?!”, gli chiese Kurt in tono aspro, la voce che diveniva stridula al suo udito, le mani appoggiate sui fianchi con fare autoritario.“Ho dovuto scoprirlo nel peggiore dei modi!", aggiunse e le sue labbra tremarono per l'agitazione che lo animava, presumibilmente non soltanto causata dal proprio estro artistico.
Sebastian sentì il suo cuore fermarsi in petto, ma cercò di non tradire la propria sorpresa. Cercò rapidamente di fare mente locale ed analizzare tutte le possibili opzioni e i possibili colpevoli che potevano averlo smascherato volontariamente o meno. Continuò a sorridere, seppur i battiti del suo cuore sembrarono farsi più radi, ma avanzò in sua direzione, quasi istintivamente dovesse già premunirsi che Kurt non sarebbe sparito, non prima di averlo esortato ad ascoltarlo.
"Temo che dovrai essere più specifico: ad oggi ho compiuto molti crimini che ancora non conosci". Era ironico come, in un momento di simile tensione, potesse azzardarsi a pronunciare quella verità.
Un moto di stizza sul viso di Kurt, evidentemente poco propenso a quei giochi di parole. "Mi hai tradito!”, gli inveì contro, portandosi le mani al viso. “Io non posso crederci!".
Sebastian boccheggiò, ma fu lesto ad avvicinarsi, allungando le braccia, ma Kurt si scostò istintivamente e dovette cercare di celare lo scintillio improvviso nelle iridi smeraldine.
"Non posso crederci che tu mi abbia fatto questo".
"Kurt", riconobbe a malapena il gorgoglio della propria voce: qualcosa sembrò spezzarsi lentamente dentro di lui, dilaniandolo dall'interno e rendendogli quasi impossibile respirare. Ma non si curò del suo tentativo di sottrarsi, perché gli si parò di fronte, disposto persino a costringerlo a restare con la forza, perché potesse sapere tutto, prima di decidere di abbandonare per sempre la loro vita insieme.
"Come puoi sfilare per la concorrenza?", gli chiese con voce ancora più stridula.
Sebastian sbatté le palpebre a più riprese e sentì quel peso sul petto affievolirsi in un solo istante e tutta l'adrenalina disperdersi, come un palloncino sgonfiato.
Scosse il caso e lo guardò attentamente, con aria realmente sconcertata. "Cosa? La concorrenza?", ripeté, come se avesse avuto bisogno di una conferma.
"Credevi che non l'avrei scoperto?", Kurt accennò un sorriso quasi sferzante, mentre recuperava qualche foglio sul tavolo da caffè, porgendogli delle copie dei suoi scatti. Evidentemente l'anteprima di una locandina dedicata alla nuova collezione di abiti del prestigioso marchio.
Sebastian sospirò di sollievo, ma gli occorse qualche istante perché potesse recuperare un naturale respiro. Di fronte all'occhiata incredula dell'altro, si schiarì la gola ed assunse un'espressione di finto stupore, prima che un sorriso ironico gli increspasse le labbra. Soltanto una predilezione naturale per il melodramma, come quella di Kurt Hummel, avrebbe potuto giustificare quell'uso improprio della parola “tradimento”.
"Sono venuto bene, vero?", lo provocò e desiderò abbracciarlo soltanto per assicurarsi che non fosse ben altro il motivo di tanta rabbia.
Kurt scosse il capo e lo guardò scandalizzato. "Non è questo il punto!", ribatté con voce stridula, lasciando di nuovo cadere le fotografie sul pavimento, suscitando in Sebastian uno sguardo quasi offeso. "Anche se è stato piacevole vederti con uno smoking decente addosso”, precisò, sollevando le mani, prima di additarlo con aria ancora oltraggiata. “Tu lo sai quanto la moda sia importante per me!”, gemette. “E' stato come se tu non credessi in me”.
“Woah!”, esclamò Sebastian, con aria ironica. "Ho solo fatto qualche scatto per rimediare qualcosa, non ho firmato un contratto col sangue”, gli si avvicinò e gli concesse un sorriso più dolce. “Credo in te, credo che tutte quelle tue bizzarre e stravaganti creazioni siano uniche, proprio perché sono tue”, aggiunse con un buffetto sulla sua guancia, indugiando tuttavia con la mano contro la pelle vellutata dello zigomo.
Il gesto parve trasmettere a Kurt un'ondata di serenità. “Davvero?”, domandò in un bisbiglio e fu sorprendente come il suo umore sembrò repentinamente cambiare e non soltanto per uno sbilanciamento di estrogeni, a detta di Sebastian nei primi giorni della loro convivenza.
“Davvero”, ribatté Sebastian in tutta sincerità. Sorrise quando l'altro dondolò le spalle e seppe di essere stato perdonato.
Lo sguardo di Kurt, tuttavia, sembrò animarsi, mentre lo guardava con aria scalpitante. "Nessun contratto, hai detto?”, sembrò dover controllare il proprio respiro. “Erano soltanto degli scatti per questo servizio, giusto? Non sei una loro icona ufficiale”.
"Ti prego”, Sebastian scrollò le spalle con evidente indifferenza. “Non ho bisogno di riflettori per avere una conferma su quanto io sia fantastico", affermò in tutta sicurezza. Se soltanto avesse saputo quale fosse il reale motivo di quell'avventura nel mondo del fashion.
Lo sguardo azzurro guizzò, le mani protese, quasi in atto di preghiera. "Quindi, tecnicamente e legalmente parlando, sei libero?".
Sebastian inarcò le sopracciglia, cercando di comprendere che cosa stesse macchinando, ma un guizzo malizioso ne fece dardeggiare lo sguardo di smeraldo. "Hai paura che qualcun altro mi penetri con i suoi spilli?", carezzò volutamente quel verbo.
Kurt non parve neppure aver udito quella battuta squallida, ma gli si avvicinò e lo guardò con aria quasi supplichevole: "Sebastian Smythe, vuoi essere il modello della mia prima sfilata per Vogue.Com?", domandò in tono così ufficiale e accorto che rivelava quanto, nel contesto della moda, ciò fosse importante quanto una proposta di matrimonio.
Nonostante il suo proverbiale egocentrismo e la sua vanità, non poté non dimostrarsi sorpreso e spiazzato da una simile richiesta. Anzitutto per la rivelazione di una sfilata dedicata proprio al suo coinquilino. Certo, ricordava quanto fosse elettrizzato dall'occasione più unica che rara offertagli da Isabelle Wright e si era spesso stupito di come riuscisse ad occuparsi di così tante attività, oltre all'organizzazione del matrimonio. Ebbe la spiacevole sensazione di essersi perso troppe cose della loro vita quotidiana, guardando al passato e scongiurando il futuro.
"Lo so che queste cose non fanno per te”, continuò Kurt in tono febbrile, ma cercando di apparire convincente. “Il fatto è che mentre disegnavo ed immaginavo gli abiti, avevo bisogno di immaginare un viso, un'espressione, una camminata e un certo carisma che avrebbero risaltato gli outfit. Quasi fossero loro stessi a sprigionare charme e sicurezza”. Dallo sguardo velato s’intravedeva quanto spesso si fosse soffermato su simili fantasie e quanto avessero reso il processo creativo persino più emozionante. “Mi sono accorto che quella persona... eri tu, soltanto tu", ammise e la voce si fece più flebile, mentre le guance si coloravano.
Sebastian sorrise, cercando di celare quanto si sentisse scalpitante dalla prospettiva di esserne stato la fonte d’ispirazione, anche soltanto per essere un suo fantoccio a cui dare nuova vita. Emozionato all'idea di avere un ruolo di prima linea per un momento tanto importante che sarebbe potuto divenire soltanto l'ouverture della sua futura carriera. Si chinò al suo volto: "Lo voglio", disse con tono enfatico che fece arrossire ulteriormente l'altro, probabilmente notando soltanto in quel momento che la risposta era parsa ufficiale come quella che avrebbe dovuto pronunciare il giorno del suo matrimonio.
Superato l'imbarazzo, Kurt batté le mani con aria evidentemente entusiasta: “Grazie, grazie di cuore!”. Cercò di recuperare i suoi modi più pragmatici e si volse verso lo stender porta abiti. "Allora devi provare tutti questi vestiti", li indicò.
Sebastian si avvicinò alla rassegna d’outifit, le sopracciglia inarcate e una smorfia sospettosa:
"Spero che non ci sia nulla di troppo kurteggiante".
"E' una linea sportiva”, sospirò, Kurt come se ciò gli avesse tolto gran parte del gusto e del divertimento. “Ci sono soltanto un paio di smoking", ma dal sorriso si comprendeva quanto ne era fiero.
Fu forse ciò che insospettì Sebastian, mentre carezzava i tessuti con aria clinica. "Foulard compresi?", indagò con un'occhiata guardinga.
L'altro si dondolò nelle spalle, con aria accattivante: "Sono il mio marchio di fabbrica"
Sebastian sospirò con aria stoica: "Mi devi una cena”, lo informò e lasciò andare gli abiti, evidentemente soddisfatto di quella prima esamina. “Per quand'è?", domandò, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
"Il 14".
Suo malgrado, Sebastian sentì un guizzo all'altezza del petto: "San Valentino?", chiese con le sopracciglia inarcate.
Kurt distolse rapidamente lo sguardo, prendendo la sua agenda personale per scribacchiare qualcosa con il lapis, rispondendo soltanto distrattamente. "E' una festa commerciale, no?", ripeté esattamente le parole che gli erano state propinate l'anno precedente, seppur con intenti completamente diversi.
Sebastian non parve soddisfatto della risposta: seppur fosse il primo a denigrare simili smancerie, non occorreva un particolare acume per capire che si trattava una di quelle occasioni che potevano rendere Kurt tanto incline a sguazzare nel romanticismo. E che quella replica sferzante non era nelle sue corde. "Blaine è troppo superiore?", domandò con voce più fredda del suo naturale intento.
"Non ha un bel ricordo di quel giorno", ammise, Kurt, ma scrollò le spalle e sorrise, come a testimonianza che ciò non lo toccasse particolarmente.
"Ah, sì, il ragazzo del centro commerciale", commentò tra sé e sé e scosse il capo.
Dopotutto, ragionò tra sé, ciò avrebbe potuto costituire un dono del destino e la sua occasione: una giusta ricompensa dopo essersi sottoposto ad una tortura immane, indossando abiti scomodi.
Gli avvicinò, dopo aver preso dal carrello un primo completo. "Cominciamo? Adoro l'idea che tu mi vesta", sussurrò al suo orecchio con voce suadente, sorridendo per il rossore che ne colorò il volto.
“Non farò niente di simile”, commentò con aria di stoica rassegnazione per quelle provocazioni superflue, ma gli sorrise. "Vediamo la tua miglior espressione da modello".

~


"Non tenermi sulle spine!", Tiffany parlò con aria cospiratoria, facendogli cenno perché si accomodasse di fronte a lei, come in uno dei loro tête-à-tête, durante l'orario lavorativo di Kurt.
Evidentemente il giovane le aveva chiesto di raggiungerla per qualche succulenta novità, a pochi giorni dalla famigerata data di San Valentino.
"Mi ha scritto di nuovo!”, le disse Kurt in tono entusiasta, le guance arrossate e gli occhi scintillanti d'emozione. “E ha accluso un mazzo di nontiscordardimé!", rivelò, mostrando quello che si era messo all'occhiello della giacca.
Tiffany emise un verso di giubilo. "Ma sono i tuoi fiori preferiti!", squittì con aria incredula.
"Lo so!", ribadì Kurt con lo stesso entusiasmo, battendo le mani. “Credo che mi conosca, o ha corrotto qualcuno per avere tutte queste informazioni su di me!”, si guardò attorno, quasi si aspettasse che il giovane in questione fosse presente, proprio in quel momento.
"Nessuna firma, però”, replicò l'amica.
"No, ma mi ha invitato in un locale dell'Upper East Side”, annunciò e lo sguardo dardeggiò più che mai nel giungere alla parte più saliente della confidenza. “E' un posto assolutamente delizioso, non ci sono mai entrato, ma sembra molto rinomato da quello che ho letto su internet e dalle fotografie degli arredi”, lo sguardo assunse un'aria trasognata, quasi stesse per immergersi in un'atmosfera simile alle fiction in costume che tanto adorava. “Deve essere anche parecchio costoso", aggiunse e ciò rendeva l'identikit del misterioso ragazzo persino più colorato.
"E ci andrai?", chiese la ragazza in tono febbrile.
Soltanto allora il ragazzo parve rifletterci seriamente sopra e si passò una mano tra i capelli: "Non dovrei?", le chiese con aria quasi intimorita.
"Ma certo che devi!”, ribatté l'altra, quasi incredula per il dubbio che stava manifestando.
Kurt si agitò sulla sedia: "Insomma, i primi biglietti tipo: « ti sto guardando » o « bel foulard » sembravano un po' da stalker”. Ammise, come cercasse di fare una lista di pro e contro il più possibile oggettiva. “Ma è evidente che sia più romantico di quanto non voglia dare a vedere. Ma se fosse un serial killer?", domandò con aria più agitata.
Sebastian soffocò la risata nel suo caffè, pur continuando ad ostentare una studiata indifferenza, persino aprendo con aria svogliata il tomo di diritto penale, senza mai sollevare lo sguardo in loro direzione, per non tradire il fatto che stesse ascoltando tutto.
"E' un luogo pubblico”, ribatté Tiffany in tono convincente, stringendogli la mano. “Ma se non ti convince, puoi liquidarlo con una scusa e chiedere a Sebastian di venirti a prendere".
Kurt scosse il capo, mordendosi il labbro: "E' una follia".
"Una follia romantica”, ribatté la giovane, come se quel dettaglio fosse particolarmente importante per giungere alla decisione giusta. “Magari sarete come Tom Hanks e Meg Ryan in Insonnia d'Amore un solo sguardo e-”, si interruppe, scuotendo la testa. “Oppure ancora come loro due, ma in C'è posta per te, quando lui la corteggiava sotto false spoglie e-".
"Non dovrei farlo", commentò il ragazzo, scuotendo il capo, un guizzo nervoso delle labbra.
"Kurt, sei a NY da sei mesi”, ribatté la giovane in tono fermo, ma dolce. “Non si può sempre vivere sotto una campana di vetro, per una volta nella tua vita buttati e basta!”, gli consigliò con vigore.
Il ragazzo parve ritrovare il sorriso ed annuì, prima di portarsi le mani al viso, con aria sgomenta.
Cosa c'è?, gli chiese la ragazza preoccupata.
"Non so ancora cosa mettermi!", ammise con voce stridula.


Kurt si stava guardando attorno: l'aria trepidante ma timorosa, come se una parte di sé volesse imboccare l'uscita e allontanarsi, prima di realizzare quanto stesse sbagliando.
Arrivò alle sue spalle con un movimento fluido e sollevò la mano per porgergli un altro bouquet di nontiscordardimé.
Lo sentì trasalire, ma prese i fiori tra le dita e si voltò, probabilmente trattenendo il fiato.
Sebastian gli sorrise, osservandone gli occhi sgranati e le labbra schiuse nel fissarlo con aria sbigottita. "Ciao Kurt".
"Sebastian”, ne sussurrò il nome, con aria incredula. “S-Sei tu?".
Non rispose alla domanda esplicita: non sentiva il bisogno di confermare che proprio lui, così denigratore di occasioni e festività tanto frivole e smancerose, si fosse nascosto dietro misteriose sembianze, perché potesse vivere qualcosa di nuovo e di diverso dall'ordinaria routine. Perché si sentisse apprezzato, anche dopo aver detto addio a quello che riteneva l'amore della sua vita.
"Non dovrei sorprendermi che siano i tuoi preferiti”, alluse ai fiori e ricordò le parole della commessa del negozio, fin troppo desiderosa di condividere le sue perle di saggezza sul significato e l'origine delle piante, anche senza invito. “Fedeltà e amore eterno, non è ciò che desideri?”.
Kurt sembrò non ascoltarlo, lo stava contemplando come se soltanto in quel momento riuscisse davvero a cogliere qualcosa nel suo sguardo smeraldino. "Eri tu fin dall'inizio", non c'era più sorpresa nella sua voce, parve una logica deduzione che fece sorridere Sebastian.
Si strinse nelle spalle: "Non puoi continuare a sentirti solo o non credere di poter avere qualcuno accanto", commentò in risposta.
Un guizzo nello sguardo azzurro e seppe che si stava emozionando, ancora prima di sentirne la voce flebile. Quasi la rivelazione della sua identità fosse persino più suggestiva dell'idea di un sedicente ammiratore segreto che lo osservava, senza esser visto. "Nessuno ha mai fatto qualcosa di simile per me".
"Non avrai intenzione di commuoverti? Non ho ancora cominciato ad usare il mio charme”, commentò in tono gioviale, quasi volendo stemperare quell'improvvisa tensione, perché potessero semplicemente essere loro due, in un'occasione come un'altra, ma rendendola loro. “Ci vogliamo sedere?", gli indicò il tavolo che aveva prenotato, contraddistinto anch'esso da un fiore azzurro.
Kurt lo cinse, attento a non schiacciare il bouquet tra loro e affondò il viso contro il suo petto, nascondendosi in quel piacevole rifugio.
Sebastian si sentì invadere dal suo profumo alla vaniglia, ma sorrise contro il suo orecchio: "Non ho ancora ordinato e già pensi a saltarmi addosso?”, lo incalzò in tono ridente, cercando di celare quell'improvvisa aritmia.
Si sentì stringere persino più forte, quasi Kurt non volesse lasciar andare quel momento per le loro schermaglie ironiche.
"Da quando ti conosco, non sono più solo", ammise con voce flebile.
Sebastian sospirò, ma ne baciò la gota e ne sfiorò il volto, con tocco vellutato: "Neppure io”, ammise, adagiando la fronte alla sua. “ Non che mi importasse, prima di te".
I signori vogliono ordinare?”.
Naturalmente”, Sebastian si scostò prontamente e spostò la sedia perché Kurt, gli occhi ancora lucidi, potesse accomodarsi.

~

Kurt era nel mezzo di un suo tipico melodramma: sembrava incapace di formulare un'intera frase di senso compiuto senza strillare di aver dimenticato qualcosa. Continuava a fare e disfare il nodo al foulard, ad assicurarsi che fosse ben stretto, forse inconsciamente premeditando il proprio suicidio o cercare di sfogare (inutilmente) tutta la tensione accumulata fino a quel fatidico San Valentino.
Sebastian uscì dal camerino ed osservò il proprio riflesso: malgrado la fissa di Kurt per le giacche a doppio petto e quel suggerimento sul porre all'indietro il ciuffo caratteristico a dargli un'aria più elegante e meno sbarazzina, beh... doveva ammetterlo, era proprio uno schianto. Anche con un vestito pensato da Kurt. Gli altri modelli messi a disposizione da Vogue.Com sembravano scomparire al confronto. Non era un caso se Kurt avesse scelto proprio lui per gli abiti a cui aveva dedicato più tempo e che sembravano ben adattarsi ad uno stile senza troppi fronzoli ma sexy, con quella punta di classico a cui l'aspirante stilista non sapeva rinunciare.
Stava ancora controllando l'ordine d’ingresso dei suoi vestiti, dando indicazioni ai modelli, spazzolando abiti e riassettando colletti e asole, quando Sebastian si schiarì la gola per attirarne l'attenzione.
Attese che si voltasse in sua direzione e fu allora che i loro sguardi si incrociarono. Non avrebbe dimenticato quel momento: il suo cuore sembrò essersi fermato, mentre Kurt sgranava gli occhi, le labbra schiuse in un'espressione di muta sorpresa e di mero incanto.
Sebastian esibì il suo miglior sorriso arrogante e allargò le braccia ad indicarsi con falsa modestia. Fu come se tutto il mondo loro attorno fosse scomparso e Kurt deglutì, prima che un sorriso trasognato ne sforasse le labbra e ne facesse rilucere gli occhi. Gli si avvicinò con quel passo leggero, quasi non sfiorasse neppure il pavimento e le mani si posarono sulla giacca a lisciarla da pieghe immaginarie, prima di circumnavigarlo.
"Sei perfetto", sussurrò come se il coinquilino incarnasse il sogno di essere un vero stilista. Come se rappresentasse la sua idea di moda.
Sebastian sorrise con aria compiaciuta: "Te ne accorgi solo ora?", sussurrò suadente, sporgendosi pericolosamente al suo viso.
Forse fu la suggestione del momento tanto atteso, forse la vicinanza così spontanea e la naturalezza di quel tono flirtante.
Kurt non gli aveva risposto: lo sguardo era perso nel proprio, quasi la domanda si riferisse a qualcosa di ben più profondo. Quasi ancora una volta volesse far emergere ciò che era celato e seppellito e che Sebastian non avrebbe pronunciato.
"Cinque minuti all'inizio", annunciò uno degli organizzatori e Kurt si riebbe. Sbatté le palpebre e gli sorrise nuovamente, con nuova dolcezza nello stringergli il braccio. "Grazie di tutto".


Farsi immortalare per Saint Laurent era stato un optional aggiuntivo al suo piano malefico, ma sfilare per Kurt andava oltre il mero compiacimento personale. Era la conferma che sarebbe stato partecipe dei momenti più importanti e che era un desiderio di entrambi.
Lo aveva osservato prendersi i meritati applausi, gli occhi velati di lacrime di commozione e di pura gioia alle lodi di Isabelle Wright e dei giornalisti in sala.
Blaine sostava sul fondo della sala, un bouquet di rose in mano, ma l'aria corrucciata che aveva balenato sul suo viso, fin da quando lo aveva visto sfilare.
Sebastian seguì Kurt dietro le tende che coprivano la passerella e ne osservò lo sguardo ancora pregno di gioia, prima che gli gettasse le braccia al collo, ridendo con una spensieratezza che raramente lo aveva coinvolto così nel profondo.
Si sentì lui stesso invadere da quell'euforia, prima che lo scostasse dolcemente: ne cinse le mani e l'osservò con quel sorriso più beffardo. "Dopotutto non sembro una prostituta portoricana", commentò come se quella fosse stata la sua preoccupazione principale, da che aveva accettato di sfilare con le sue creazioni.
Kurt rise suo malgrado, trattenendo le mani del coinquilino tra le proprie. Scosse il capo: "No, sei il mio Valentino", sussurrò con voce più flebile, scrutandolo negli occhi e sorridendo, come se i loro pensieri fossero lineari. "Come l'anno scorso", aggiunse in un flebile bisbiglio, quasi stesse sfiorando quel ricordo con una nuova consapevolezza.
Sebastian sentì il cuore fermarsi in petto: era come se quell'anno non fosse mai davvero trascorso e ci fossero soltanto loro due, così vicini da poter cambiare tutto. Si sentì protendere il viso in sua direzione. O forse era stato Kurt a farlo per primo. Non avrebbe saputo dirlo.
Fu il gelido richiamo di Blaine a riportarli alla realtà e Kurt trasalì: la stessa espressione smarrita e delusa di chi è stato interrotto nel mezzo di un sogno.
Sebastian lo guardò da sopra la sua spalla, nello stesso istante sentì il coinquilino sottrarsi alla stretta delle sue mani.
Blaine si avvicinò, il bouquet tra le mani che porse al fidanzato, ma il sorriso forzato che spesso esibiva in presenza di Sebastian. "Congratulazioni e... buon San Valentino", si era sporto per baciarlo.
Sebastian non si curò neppure di riservargli un'occhiata astiosa: non si era davvero illuso che quella serata avrebbe potuto concludersi come avrebbe desiderato. Si voltò per lasciarli soli e chiudersi nel camerino. Non ci volle molto per cambiarsi: era desideroso di cancellare quella serata al più presto, magari con una bella sbronza.
Kurt e Blaine si erano allontanati ed immaginò che fossero già usciti. Sospirò, pronto a scendere dal palco innalzato per la sfilata, quando percepì il suono attutito delle loro voci. Si avvicinò al sipario e sollevò gli occhi al cielo: sia mai che la Mezza SegAnderson perdesse l'occasione di stare su un palco, anche se coi riflettori spenti.
"Era la mia serata, non riesco a credere che tu sia così egoista!", la voce di Kurt era fastidiosamente alta e stridula. Conoscendolo doveva essere vicino a lacrime rabbiose, evidentemente perché Blaine stava cercando di metterlo sotto pressione.
"E sono davvero orgoglioso di te, come tuo amico e come fidanzato. Ma non posso credere che tu abbia chiesto a Sebastian di sfilare per te e che, soprattutto, tu me lo abbia tenuto nascosto!", fu la risposta del ragazzo, la cui voce era più altisonante e rivelava tutta l'esasperazione accumulata, oltre quel singolo episodio.
Kurt s’irrigidì in uno di quei rari moti di orgoglio che lo facevano impuntare sulla propria posizione. "Vorresti per caso dirmi che, in quanto fidanzato, hai diretto di veto su chi possa indossare o meno le mie creazioni?".
Blaine scosse il capo, contrariato. "No, ma in quanto tuo fidanzato, a tre settimane dal nostro matrimonio, ho diritto di sapere perché lui ha avuto un simile ruolo nel tuo primo ingaggio e perché, malgrado non abbiamo parlato d'altro negli ultimi tempi, tu non abbia mai pronunciato il suo nome e io abbia dovuto scoprirlo così!". Indicò la passerella a rimarcare quanto l'omissione di quell'informazione fosse persino più grave della richiesta in sé.
Kurt scosse il capo, con aria incredula, a testimonianza di quanto fosse stato naturale reclamarne la presenza, anche nelle vesti di modello. "Lui c'è sempre stato nella mia vita, da quando lo conosco".
"A differenza mia, è questo che vuoi dire", Blaine aveva incrociato le braccia al petto, mettendosi sulla difensiva.
Kurt sospirò, esasperato all'idea che l'altro cogliesse sempre un confronto implicito con il proprio coinquilino. "E' un dato di fatto e mi dispiace che tu pensi che in un momento tanto importante per me, io abbia voluto ferirti volontariamente", la sua voce s’incrinò per la mortificazione.
"No, Kurt”. Blaine lasciò cadere le mani lungo i fianchi, scuotendo il capo con vigore. “E' diverso: tu non hai proprio pensato a me!".
Le sue parole parvero soltanto far irrigidire ulteriormente il fidanzato. "Dovrei scusarmi se per una volta nella mia vita, ho pensato soprattutto a me e ciò che ritenevo meglio per la mia carriera, sfilata di Sebastian inclusa?”.
Blaine sorrise con aria amara, scuotendo il capo. "Tra tre settimane non ci sarà più un « me », saremo solo un « noi », sempre che tu abbia ancora intenzione di sposarmi”.
Kurt indietreggiò come se lo avesse appena schiaffeggiato. "Credi che mettere in dubbio i miei sentimenti con continue allusioni, non ferisca me, a tre settimane dal matrimonio?”.
"No. Non quanto dovrebbe almeno". Blaine non abbandonò quel sorriso più amaro e le sue labbra furono percosse da un tremito, ma lo guardò con aria determinata. "Che cosa provi per Sebastian?".
Kurt arrossì e boccheggiò, prima di scuotere il capo. "Non posso credere che tu me lo stia davvero chiedendo”, mormorò con voce flebile e rauca.
"Non posso credere che tu non lo capisca", fu la replica di Blaine in un sussurro altrettanto amaro.
Sebastian arretrò istintivamente.
"Allora, Kurt ?”. Blaine avanzò di un passo come a volergli impedire qualsiasi possibile fuga. “Che cosa è Sebastian per te?".
Una parte di Sebastian era consapevole che quella risposta avrebbe segnato la sua vita, da quel momento in poi. Ma era tutt'altro che pronto a conoscerla, tutt'altro che sicuro di ciò che Kurt avrebbe risposto e di come avrebbe potuto affrontare gli istanti successivi.
Sembrò un momento mortalmente lungo quello in cui Kurt non riuscì a guardare il fidanzato negli occhi e lo sguardo diafano si perse in un punto indefinito, mordendosi il labbro, le braccia strette al suo corpo, quasi a proteggersi.
L'attesa sembrava rendere tutto persino più surreale, evidentemente non era una risposta scontata quella che avrebbe fornito.
"Lo sai”, mormorò Kurt con voce rauca, quasi vicino alle lacrime. “E' mio amico, il più caro che abbia mai avuto qui a New York". Ogni parola sembrò pesare come un macigno e assestargli una coltellata in petto.
Sebastian non volle sentire altro: si allontanò come se quella definizione fosse il suo punto di arrivo. La dimostrazione ultima del fallimento in una battaglia persa dall'inizio.
"E?", lo incalzò Blaine.
"E' parte di me”, sussurrò Kurt, mentre Sebastian lasciava l'edificio senza guardarsi alle spalle. “L'unica di cui sono certo".


Sebastian non era avvezzo agli appuntamenti, ma neppure riusciva ad immaginarsi in quel tipo di situazione o nell'atto di corteggiare qualcuno. Passarci del tempo insieme per appurare che vi potesse essere una buona compatibilità o che si sarebbe stancato nell'arco di due settimane al massimo.
In realtà non poteva davvero figurarsi che qualcuno, ad eccezione di Kurt, potesse tirare fuori qualcosa di nuovo da lui. Di nascosto e poco scontato.
Erano due mondi diversi, due diverse concezioni dell'amore e del sesso, della vita e delle relazioni. Probabilmente era la premessa di tale divario a ridurre la pressione. O la sicurezza che, qualunque cosa fosse accaduta, sarebbero tornati a casa insieme. Proprio in nome di quella familiarità con un'altra persona che aveva voluto evitare da sempre.
Sorrise tra sé al pensiero, osservando il modo in cui Kurt contemplava i ballerini.
Si sorprese a sollevarsi in piedi: "Non abituarti, perché non sono solito chiederlo, ma ti va di ballare?".
Kurt sorrise, una reale emozione ad illuminarne lo sguardo: stranamente quella premessa non aveva sminuito l'importanza di quel gesto. Al contrario, sembrò renderlo persino più prezioso. Allungò la mano che Sebastian strinse, come fosse qualcosa di perfettamente naturale.
Ne cinse la vita esile, ebbe la sensazione che le proprie braccia fossero perfette per incastonarlo contro di sé e trattenerlo. E che il corpo esile dell'altro fosse destinato a cercare un rifugio contro di sé: quasi ne avesse intuito i pensieri, Kurt affondò il viso contro la sua spalla.
Sebastian lo sentì appoggiare la gota contro il suo petto, quasi a tastarne i battiti. Si scostò per osservarlo, inclinando il viso di un lato e rimirandone gli occhi che sembravano rilucere come un cielo scintillante: "A cosa pensi?".
Kurt sorrise. "Ancora non riesco a credere che tu abbia architettato tutto questo per me".
Si strinse nelle spalle, quasi a sminuire. "So quanto ti piacciono queste cose", sollevò gli occhi al cielo. "Ancora ho incubi su Tom Hanks", aggiunse come se il ricordo di quella trasferta a Coney Island fosse incancellabile.
Kurt rise, ma si strinse più forte contro di lui e Sebastian rinsaldò la pressione delle braccia attorno alla sua vita, tenendolo ancora più vicino. Scoprendo che non soltanto era piacevole sentirselo accanto, ma che non avrebbe mai desiderato allontanarlo da sé.
"Sei il mio Valentino", sussurrò Kurt con un misto di divertimento e di tenerezza.
"Credo di essermi appena sgonfiato", gli rivelò Sebastian con un sorrisetto divertito.
Kurt assunse un'aria scandalizzata. Gli diede una pacca sul braccio, a mo' di ammonimento, ma affondò nuovamente contro la sua spalla. "Non roviniamo questo momento", parve una supplica.
Sebastian si scoprì a trattenere il fiato, ma si sporse al suo orecchio: "Non ne ho intenzione", sussurrò in risposta. Appoggiò la gota alla sua, socchiudendo gli occhi, neppure curandosi di volteggiare a tempo, limitandosi a dondolare con lui sul posto.
"Rachel", bisbigliò Kurt poco dopo, l'aria confusa.
Sebastian aggrottò le sopracciglia. "Non è il momento adatto per dirmi che credi di essere bisessuale e poi, Rachel, davvero?", domandò con aria incredula.
"No, intendevo dire che Rachel è qui", replicò il ragazzo, indicando con il mento la giovane moretta che si stava slanciando in loro direzione, dopo averli individuati con occhi simili ad un radar.
Sebastian imprecò tra i denti, prima che la ragazza li raggiungesse, gettandosi su Kurt con un piagnucolio da mestruata isterica: "Io e Finn abbiamo litigato!”, singhiozzò sulla sua spalla, evidentemente non resasi conto di aver interrotto un momento piacevole. Ma il suo dolore non era abbastanza forte, da toglierle la tempra polemica: “Non sai quanto ci ho messo a farmi dire da quella Tiffany dove ti eri cacciato, neppure fosse un segreto di stato!”,
"Mi dispiace", mimò Kurt da sopra la spalla dell'amica, guardandolo con aria mortificata.
"Anche a me".
Gli rivolse un cenno del capo e si allontanò, prendendo nota mentale di sferrare un calcio nei “paesi bassi” di Hudson alla prima occasione utile.

Sorrise ironico tra sé: non aveva mai creduto nel destino, ma cominciavano ad esserci troppe nefaste coincidenze nel loro cammino. Ed era stanco di coltivare la speranza che veniva puntualmente delusa.

~

Hunter Clarington si drizzò, dopo aver passato l'ultima mezzora a scrutare sotto il bancone e sotto tutti i mobili, con aria alquanto perplessa. Si ripulì le lenti degli occhiali con l'orlo della t-shirt che indossava.
"Niente chiavi", annunciò ad un'affranta Brittany Pierce che, con il vestito rosa guarnito di strass e persino finte alucce decorative sulle spalle, somigliava ad un'adolescente Trilli in versione molto poco Disney.
La ragazza si prese il viso tra le mani e scosse il capo in un moto di puerile disappunto, facendo ciondolare le lunghe gambe dal bancone sul quale era appollaiata.
"Ancora qui, Clarington?", gli abbaiò contro il proprietario che sembrava non desiderare di meglio che licenziarlo di nuovo. "Non pensare di passarci la notte con la fatina", alluse alla biondina e scosse il capo, come se anche il vederli insieme fosse fonte di reale fastidio. "E chiudi, quando esci".
"Come sempre, Signor Murphy", replicò tra i denti, sorridendo con aria accondiscendente.
La ragazza sospirò e, con una lieve spintarella, scese dalla superficie per scivolare sui tacchi a spillo. Gli rivolse un sorriso, stringendosi le braccia al corpo. "Grazie dell'aiuto: dovrò cercare un albergo", si guardò attorno e parve sbiancare. "Oh no, dov'è la borsa?".
Hunter la sollevò con un vago sorriso, porgendogliela. Arcuò le sopracciglia, come se stesse riflettendo su qualcosa: "Potresti chiamare il proprietario dell'appartamento per fartene dare una copia".
La ragazza scosse il capo con aria ancora più mortificata. "Sarebbe la terza volta in un mese”, gemette, assumendo di nuovo quel broncio più puerile. “Se scopre che le ho perse di nuovo, mi butterà fuori".
"Oppure", il ragazzo si avvicinò, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni, con aria casuale. "Potresti dormire da me: naturalmente ti cederò la mia camera", si affrettò a precisare, perché le sue intenzioni non fossero fraintese.
Lo sguardo azzurro lo contemplò con aria incredula e scosse il capo, quasi con aria imbarazzata, di fronte ad una così spontanea disponibilità. "Sei troppo buono con me".
Hunter scrollò le spalle, quasi a sminuire il tutto, ma non mancando di sorriderle con fare rassicurante: "Non è un disturbo, davvero: prendo le mie cose e possiamo andare".
Si volse, ma la ragazza ne cinse il braccio frettolosamente. "Aspetta!".
La guardò con aria incuriosita, il viso inclinato di un lato. "Sì?".
"Non puoi andare subito a casa”, asserì lei con aria di puerile divertimento, lasciandone il braccio, ma inclinando il viso di un lato e osservandolo con aria eloquente. “Sei l'unico che stasera non ha ancora avuto il suo ballo", gli fece notare con uno scintillio vivace nello sguardo.
Si stava infatti riferendo alla strampalata idea del proprietario per ribaltare le sorti di un pub prossimo al fallimento: cercare di attirare nuovi avventori e far tornare i clienti abituali, offrendo loro un ballo con uno dei ballerini del suo staff. Ciò aveva causato non poche proteste nei fidanzati gelosi come Evans, nonché il doppio del lavoro per il buttafuori che era intervenuto più volte, quando i pochi presenti si erano dimostrati fin troppo entusiasti.
Hunter sbatté le palpebre e la osservò come a voler appurare di non aver frainteso in alcun modo, ma di fronte allo sguardo di incoraggiamento della giovane (la cui mano era già protesa verso di sé), scosse rapidamente il capo: "Io non ballo”, cercò evidentemente di trarsi d'impaccio, passandosi una mano sulla nuca. “Mi limito a riempire i bicchieri".
"Non più", obiettò la giovane e, senza dargli tempo di ulteriore replica o protesta, si avvicinò al juke box per inserire una moneta e scegliere una traccia musicale.
"Adoro questa canzone", lo informò ma, di fronte all'ulteriore obiezione del ragazzo, gli cinse la mano con aria risoluta e Hunter non poté che seguirla, colpito dalla sicurezza e dall'autorità giocosa con cui riusciva ad abbindolarlo senza alcuno sforzo.
Brittany lo condusse verso il centro della pista da ballo, tenendogli il braccio sollevato, così da piroettare su se stessa, prima di voltarsi per assumere la giusta posizione. Con gesti esperti, ne guidò le mani affinché le sostenesse il fianco. Adagiò una mano sulla spalla di lui ed intrecciò l'altra a quella del giovane, sorridendo con evidente aspettativa, attendendo che le prime note echeggiassero.
"Non sono granché come ballerino", tentò di protestare l'ennesima volta ed apparve realmente a disagio nel tenerla così vicino, quasi timoroso che, ancora una volta, potesse rovinare tutto inavvertitamente.
Brittany sorrise con aria complice: "Un frullato gratis, se mi calpesti il piede?", gli propose, quasi volendo stemperarne la tensione e farlo rilassare.
Uno sbuffo divertito da parte del barista: "Non batterai facilmente il record di bevute gratis di Sebastian".
Lei rise con quel tintinnio gradevole al suo udito e, cercando di vincerne la rigidità, ne cinse il collo, inducendolo a circondarle la vita con le braccia, così da essergli più vicino, quasi la prossimità fisica potesse lenirne le remore anziché aumentarle.
Hunter parve lentamente rilassarsi: probabilmente fu inspirandone lo stucchevole profumo di fragola di cui era impregnata la sua pelle, misto al calore scaturito da quel piacevole contatto. O forse era contemplarne lo sguardo azzurro che mancava della malizia femminile, di arroganza o di falsità. Era la consapevolezza ch'ella non si sarebbe fatta remore ad esprimergli i suoi reali pensieri, senza alcun imbarazzo. La pressione delle sue braccia si fece più risoluta, pur attento a non stringerla troppo. Prese poi abbastanza confidenza e slancio per indurla a piroettare nuovamente su se stessa e persino farla reclinare in un casquet, suscitandone un'espressione sorpresa, ma non di meno compiaciuta.
"Credevo che non sapessi ballare", commentò, infatti, la giovane con voce flebile, quando tornò in posizione eretta.
Hunter si strinse nelle spalle e parve recuperare quel sorriso più accattivante: "Non è la mia specialità”, ammise senza imbarazzo. “Ma ho partecipato a troppe cerimonie familiari per non essere costretto a farlo", le confidò.
Brittany annuì distrattamente: sembrava molto più interessata ad osservarlo attentamente.
Hunter intuì, dal lieve corrugamento della fronte, che qualche pensiero le stava martellando la mente.
"Davvero non c'era nessuna ragazza da cui tornare, stasera, anziché cercare un paio di chiavi?", gli chiese con quella tipica schiettezza, unita ad una reale curiosità nello scrutarlo negli occhi, quasi cercando una risposta che andasse oltre quel frangente.
Il ragazzo sospirò, ma increspò le labbra in un sorriso ironico. "In realtà ce ne sarebbe stata una," ammise e Brittany lo guardò con persino più attenzione. Parve persino fermarsi al centro della pista, prima che fosse lui a condurla nuovamente con dolce risoluzione, intrecciando le dita alle sue, quasi quel contatto fosse la chiave di tutto.
"Ma non credo che abbia colto il significato delle mie attenzioni”, ammise con un sorriso quasi mesto. “Non nel modo in cui speravo".
La ragazza sbatté le palpebre, scuotendo il capo quasi mortificata alla sola idea, soprattutto alla consapevolezza che quella situazione doveva averlo turbato. "Chi potrebbe essere tanto stupida?", domandò con tono così sinceramente scandalizzato ed incredulo da strappargli un verso di ilarità e uno scuotimento del capo.
La strinse più forte, quasi dovesse in qualche modo rassicurarla e gli occhi azzurri furono percorsi da uno scintillio del tutto nuovo. "Non mi importa se gli altri la ritengono...". Corrugò le sopracciglia, cercando il termine giusto. "Persa nel suo mondo, chimicamente sbilanciata o... Diversamente intelligente", asserì e lo sguardo verde scintillò di tutta la devozione e la sincera ammirazione che ne aveva animato le serate in quegli ultimi mesi. "So che è molto di più", sussurrò con voce più profonda.
Quelle parole e quel tono sommesso sembrarono intaccare qualcosa nella ragazza che, per la prima volta, non trovò una repentina e pronta risposta. Non parve neppure accorgersi della fine della canzone: sostò immobile nell'osservarlo con il volto lievemente reclinato all'indietro, mentre le mani scivolavano lentamente dalle spalle del suo improvvisato cavaliere. Lo sguardo azzurro sembrò scintillare di una nuova consapevolezza: se una rivelazione alle parole del giovane o ai propri segreti pensieri, difficile a dirsi.
"Brittany”, la richiamò, quasi cercando di indovinare l'origine di quell'insolito silenzio.
Un nuovo scintillio nello sguardo azzurro.
"Shh", sussurrò con quel sorriso più giocoso, ma Hunter ne scorse il cambiamento in un battito di ciglia. Sembrò che quell'alone più fanciullesco e ingenuo lasciasse spazio a quello più femmineo e deciso, quasi la donna che era in lei riuscisse finalmente ad emergere e con un fascino del tutto nuovo. Allungò delicatamente la mano al volto del giovane, sfiorandone appena lo zigomo e si sollevò sulle punte.
"Di chi sono queste chiavi?", giunse limpida la voce di Sebastian dall'ingresso.
Quest'ultimo fece saettare lo sguardo ad osservare i due sulla pista da ballo. Non si scompose, quasi fosse perfettamente "naturale" scorgerli a quella vicinanza intima e coi volti protesi. Soltanto la lieve inarcatura delle sopracciglia ne rivelò la sorpresa.
"Ah, Tontittany", la salutò, sventolandole e facendole tintinnare. "Vanno così male gli affari?", domandò poi, guardandosi attorno, quasi soltanto in quel momento si rendesse conto che non era rimasto nessuno.
"Le mie chiavi!", squittì Brittany che corse verso Sebastian quasi saltellando.
Hunter Clarington restò nella stessa posizione, passandosi una mano tra i capelli, letteralmente shockato. Se per il bacio mancato o per l'arrivo inaspettato del ragazzo, era difficile a dirsi.
"Grazie, grazie, grazie! Non dovrò dormire sotto un ponte!", commentò Brittany stringendole tra le mani e portandosele al petto, di fronte al cipiglio ironico del suo salvatore.
"Yeah!", Sebastian ne imitò il saltello con aria enfatica mentre, sullo sfondo, Hunter Clarington sembrava star facendosi un replay mentale della scena per sincerarsi di non essersi sognato tutto.
"Come posso ringraziarti?", squittì la biondina.
"Ci sarebbe una cosa", rispose Sebastian, ancora con quel falso sorriso allegro.
"Che cosa, che cosa?", gli chiese evidentemente ansiosa di sdebitarsi.
"Levati dai piedi", le indicò l'uscita con un cenno del capo e sollevò gli occhi al cielo.
Brittany sgranò gli occhi, con aria offesa, prima di affrettarsi a percorrere la pista da ballo e recuperare la borsetta, camminando impettita. Tornò dal barista soltanto per sollevarsi sulle punte e baciarne rumorosamente la guancia: "Grazie di tutto", ne sfiorò la mascella, laddove aveva lasciato un bel sogno rosato.
"Allora?", la incalzò nuovamente, Sebastian, sbuffando. "Serve a me, adesso", indicò il barista con un cenno del mento.
“Sto andando, sto andando!”, brontolò la ragazza, con aria evidentemente risentita, agitando la mano verso l'altro.
"Buonanotte", riuscì a balbettare Hunter e parve che un sorriso stolido gli si fosse bloccato sulla faccia, a giudicare dalla mascella tesa e i pugni ancora serrati lungo i fianchi. "Spero sia morto qualcuno, Sebastian", si rivolse all'altro, lo sguardo ancora puntato alla porta che la ragazza si era appena chiusa alle spalle, evidentemente incapace di sbloccare quell'espressione che stonava incredibilmente con il tono stizzito con cui gli si era rivolto.
Sebastian inarcò le sopracciglia: "Oh”, imitò il tono confuso della giovane. “Ho interrotto qualcosa?", chiese con aria fintamente innocente.
La mascella del barista vibrò: evidentemente stava valutando se fosse il caso di colpirlo subito o attendere. Scosse il capo, tornò alla sua postazione quotidiana e riempì un bicchiere di tequila: il sorriso si era dissolto dal volto.
"Mi leggi il pensiero", convenne Sebastian, lasciandosi cadere sullo sgabello, ma il barista lo precedette e ingollò l'intero contenuto in un solo sorso.
"Stai cercando di impressionarmi?".
Hunter se ne versò un altro, l'aria composta. "No, se cedessi alla voglia di prenderti a pugni, sarebbe meglio avere una sola possibilità su tre di colpire il bastardo giusto", spiegò con aria pragmatica.
"Dammi qua", Sebastian gli strappò rudemente di mano la bottiglia e la tracannò dalla canna. "Molto meglio: se la bevo per intero, magari ti scopo", aggiunse.
Hunter non si degnò neppure di guardarlo: "Vaffanculo", borbottò mentre recuperava i propri effetti personali, sfregandosi appena la guancia macchiata.
"Potrebbe piacerti".
"Sto davvero per darti un pugno", rispose distrattamente. Cincischiò con il cellulare, probabilmente domandandosi se non potesse cogliere l'occasione per scrivere un galante messaggio di buonanotte o se dovesse attendere il giorno dopo per non apparire tanto disperato.
"E' finita", commentò Sebastian, dopo un lungo silenzio nel quale parve ripercorrere quella lunga giornata.
"Tecnicamente non era ancora iniziata", commentò, Hunter guardandolo di sottecchi, le sopracciglia inarcate, neppure prendendosi la briga di chiedergli di cosa stesse parlando.
Sebastian non parve neppure risentirsi della precisazione poco lusinghiera, lo sguardo perso nel vuoto. "La Mezza SegAnderson ha vinto: io ci rinuncio", annunciò, ma sembrava che avesse bisogno di pronunciarlo a voce alta per convincere soprattutto se stesso.
"Aspetta", Hunter sollevò la mano e appoggiò di nuovo sul bancone il cellulare e lo zainetto, appoggiando i palmi sulla superficie, quasi stesse cercando di raccogliere le forze. "Per mesi interi ho sopportato le tue sbronze, mi sono spacciato per un tizio del gas, sono stato complice di un furto di un anello di valore, ho ridotto le mie possibilità di una sana vita privata, ripetuto tre volte lo stesso esame di anatomia... per cosa? Tu che ti arrendi? A tre settimane dal matrimonio?!”, sulle note finali la voce si era alzata, a far intendere l'assurdità della situazione e di quella conversazione.
"La tua vena”, Sebastian la indicò con un cenno distratto del mento. “Credo che stia per esplodere".
Lo ignorò ma la mascella si tese e parve davvero irritato: "Sai qual è la verità? Sei soltanto un vigliacco”, pronunciò con voce dura, prima di scuotere il capo. “E' ora che questa storia finisca. Se non hai intenzione di parlare a Kurt, lo farò io".
Sebastian si irrigidì e lo sguardo di smeraldo dardeggiò infastidito. "Non sono venuto a chiederti l'approvazione, Clarington: anzi, ti sto dando la benedizione a tornare alla tua vita da SfigHunter", lo disse come se ciò dovesse essere risolutivo, affinché l'altro non interferisse nuovamente. Perché non spronasse quella parte di sé che stava inveendogli contro e che, nell'ultimo anno, aveva messo a tacere più volte.
"Sei un idiota", gli abbaiò contro il barista, ma cercò di calmarsi. "Si può sapere cosa è successo questa sera? E non provare a negare”, sollevò la mano prima che potesse attaccare discorso. “Prima è meglio che beva qualcosa di più forte", armeggiò tra le bottiglie.
Suo malgrado, Sebastian accennò un sorriso: "Siamo sicuri che non sarai tu a saltarmi addosso?".
Hunter roteò gli occhi, ma versò due bicchieri di whisky con una scrollata di spalle. "Lo scopriremo".
"Forse dovrei andare a richiamare la tua-”.
"Parla".

La reazione di Hunter, al termine del resoconto, fu uno scuotimento del capo, un sollevare gli occhi al cielo e uno strofinarsi la fronte, con aria di melodrammatica incredulità.
"Siete due idioti, ma mi sorprende che ancora non vi siate strappati i vestiti di dosso”, asserì dopo un lungo silenzio.
Sebastian neppure si prese la briga di apparire compiaciuto o vagamente smanioso all'idea. "E' finita, fattene una ragione”, scosse il capo e ingollò un altro bicchiere. “Non posso credere di essere io a dirlo a te”.
Hunter lo fissò persino più disgustato: "Sei un coglione: fattela tu una ragione".
In circostanze normali, Sebastian si sarebbe avveduto di quanti epiteti gli fossero stati sferrati contro e senza che opponesse alcuna reazione. "
Ti ho detto che non devi più fare nulla e ti lascerò in pace”, lo fissò con aria stizzita.
Il barista roteò gli occhi. "Sei un coglione", ripeté. "Ma un coglione fottutamente innamorato: il tuo cinismo è andato a farsi fottere, dopotutto", parve ritrovare un sorriso di consolazione a quella constatazione. Un sorriso che si espanse ad un successivo pensiero, divenendo quasi un ghigno.
"E questo ti diverte?", gli domandò Sebastian con aria piccata e vagamente sospettosa di fronte a quella esternazione di gioia quasi inquietante.
"Contrappasso”, ribatté il barista con fare filosofico. “Dopotutto il karma esiste: quindi se la tua vita sentimentale va' a puttane e tu hai fatto del tuo meglio perché così fosse, forse allora...", non finì la frase, ma dal sorriso voluttuoso si intuì che credeva che fosse giunto il proprio momento.
Ma Sebastian non lo stava più ascoltando: un pensiero continuava a pungolarlo, il tono di voce di Kurt quando Blaine lo aveva incalzato a più riprese perché parlasse dei sentimenti che nutriva nei propri confronti. Se anche lo aveva definito “il più caro amico” nella sua vita newyorchese, non gli era sfuggito quanto avesse esitato e quanto dolorose fossero state quelle parole. Un dolore che, probabilmente, non riguardava soltanto l'ennesimo litigio col fidanzato.
"Forse no", sussurrò tra sé e sé.
L'altro son si scompose neppure: sembrò intuire che, malgrado i fumi dell'alcol, la mente di Sebastian fosse fissa su qualcos'altro. Sospirò ma, quasi con aria di supplica, domandò un semplice: "Glielo dirai?".
Sebastian sorrise con aria divertita. "Certo che no".
Hunter sbatté le palpebre e fissò il proprio calice: "Credo che berrò di nuovo".
"Buona idea", Sebastian allungò il proprio perché glielo riempisse nuovamente.
"Hai un nuovo piano, vero?", fu la rassegnata domanda.
"Forse", gli sorrise con aria complice.
Il barista sospirò con aria sconfitta. "Apro un'altra bottiglia di whisky: saranno le tre settimane più lunghe della nostra vita”.
Non ci fu bisogno di rispondere, era certo che la sua deduzione fosse più che legittima.


To be continued...

Non vi nascondo di essere stata la prima a sbarrare gli occhi nel realizzare a quale punto della narrazione siamo ormai giunti :)
Questo aggiornamento, poi, giunge in una settimana davvero speciale per la sottoscritta: malgrado il mancato appuntamento con Barry (quanto mi è mancato T.T), non ho potuto che sorridere nel rivedere finalmente Nolan, anche soltanto come guest star nella 3x05 di Arrow. Devo ancora riprendermi da un paio di scene in cui credo sia stato di una dolcezza unica e l'altra metà in cui non è mancato un fascino decisamente più sensuale :D
Ma veniamo ai nostri pupilli e diamo una sbirciatina al prossimo capitolo:


[…] “Ma continui ad evitare la questione”. “Sarebbe più facile se Kurt non evitasse me”.
[…] “Fanculo, dov'è il whisky?” “Non dovresti essere tu il custode del mio fegato?” “Infatti è per me: finirò in terapia di questo passo”.
“Sebastian” “Kurt” “Sono qui”.
“Non è di lui che non mi fido” “Cosa... cosa c'è che ancora non mi hai detto?”.


Prima di salutarvi, ancora una volta sentiti ringraziamenti a tutti coloro che stanno continuando a seguirmi, anche silenziosamente. E' davvero una grande soddisfazione potermi sentire parte delle vostre giornate, un paio di Venerdì al mese. Ma in modo particolare a chi mi dedica un pensiero, condividendo le proprie emozioni e il proprio stato d'animo sugli eventi di ogni capitolo o sul corso stesso della fanfiction. E' soltanto per voi che la pubblicazione è motivo di tanta soddisfazione :)
Non mi resta che augurarvi un buon weekend :)
Kiki87
1 Per il testo originale: qui
Per ascoltare il brano: qui

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


11
Queste quattro mura si chiudono ogni giorno di più.
Sto morendo dentro,
ma nessuno lo sa, a parte me.

Perché non ho detto,
le cose che avrei dovuto.
Come ho potuto lasciare
che il mio angelo se ne andasse.

Mantengo un sorriso, anche quando sono spezzato.
Non sono nessuno senza qualcuno come te.
Sto tremando dentro.
E nessuno lo sa, a parte me.

Un miliardo di parole non potrebbero esprimere
come mi sento.
Tra un milione di anni da adesso, lo sai,
ti amerò ancora.

Le notti sono così solitarie, i giorni così tristi.
Continuo a pensare all'amore
che avevamo.
Adesso mi manchi,
ma nessuno lo sa, a parte me.

(Nobody Knows – Boyzone).1

A volte odiamo noi stessi
per i sentimenti che ignoriamo.
Forse è questo il problema,
non ascoltiamo noi stessi,
finché non è troppo tardi.
RM Drake.

Marzo
(Meno due settimane al matrimonio)


Capitolo 11.

A due settimane dal matrimonio, la situazione era più critica che mai: se all'inizio era sembrato tutto un gioco, una partita a scacchi a lunga durata che avrebbe potuto manovrare senza difficoltà, il countdown dimostrava che ad averlo sconfitto era l'unico giocatore in gara. La casa stessa ormai gli pareva estranea: mano a mano che il soggiorno era diventato il luogo di raccolta dei regali che erano giunti dall'Ohio e dalle nuove conoscenze di New York (inclusi colleghi di Vogue, della caffetteria e altri studenti della Nyada), le tracce della sua convivenza con Kurt sembravano rilegate ai margini, anch'esse soffocate.
Ma era anche l'atmosfera ad essere cambiata: era come se, da quel San Valentino, Kurt avesse fatto una decina di passi indietro. Probabilmente quelli che si era prefissato dal fidanzamento, ma era avvenuto in modo così repentino e brusco che era stato come ritrovarsi a convivere con un estraneo. Un estraneo che ormai passava quasi tutte le notti dal fidanzato e sembrava più che avvezzo all'intimità domestica che avrebbero vissuto da lì a poco. Un estraneo che non sembrava aver più alcun desiderio di aprirgli il proprio mondo.
Se quel loft era stato, da che si era trasferito a Brooklyn, il suo rifugio dal mondo esterno e dalla sua vita notturna, adesso sembrava soffocarlo, lentamente e senza pietà.
Non era pronto e non lo sarebbe mai stato.


Il giovane di fronte a lui aveva decisamente una bella presenza, doveva concederglielo. Non era solo frutto dei suoi tratti somatici, ma quel sorrisetto beffardo e felino che spesso, durante la conversazione, ne sfiorava le labbra, conferendo alle sue parole un sottinteso eloquente. Sebastian ben sapeva che talvolta il fascino era scaturito dal lasciar intendere, piuttosto che nell'affermare ad una maniera esplicita. Ne aveva studiato a lungo lo scintillio delle iridi e quell'aria di chi aveva la presunzione di poter conquistate il mondo soltanto con il proprio charme.
Sì, gli ricordava quella facciata che si era costruito nel tempo e ciò non poté che fargli volgere il giudizio a suo favore. In verità il suo istinto lo aveva compreso da quando gli si era seduto di fronte, intrecciando il suo sguardo azzurro. Un azzurro diverso da quello di Kurt: laddove le iridi di quest'ultimo erano lo specchio di un'anima pura e delle emozioni che le attraversavano, quelle davanti a lui nascondevano i reali sentimenti del giovane e sapevano lusingare ed allettare, in vista di un doppio fine.
Gli strinse la mano alla fine del colloquio.
"Aspetto una tua chiamata", gli disse l'altro con il suo fine accento anglosassone, un breve ammiccamento a mo' di saluto ed uscì dal pub.
Sebastian si sedette al solito sgabello e il barista si avvicinò subito (aveva, infatti, ignorato per tutto il tempo le sue occhiate sospettose, ma non aveva dubbio che lo avrebbe sottoposto ad un terzo grado). Esibiva ancora uno sguardo perplesso, facendo saettare gli occhi nella direzione in cui lo sconosciuto si era allontanato.
"Sebastian, ti prego”, esordì con aria realmente esasperata e rilasciando un sospiro profondo, quasi ad invocare la calma. “Dimmi che non usi il mio posto di lavoro per prendere accordi con un prostituto".
Sebastian si accigliò, quasi si sentisse offeso da quella strampalata supposizione. "Certo che no”, attese che Hunter si sgonfiasse il torace per il sollievo, prima di sorridere con quell'incrinatura più maliziosa. "E' uno spogliarellista", gli spiegò in tono pacato.
Sarebbe valsa la pena di tenerlo ulteriormente sulle spine soltanto per osservarne il repentino cambiamento d'espressione, reso più che evidente dal modo in cui le sue sopracciglia sembravano convergere al centro della fronte o schizzare verso l'attaccatura dei capelli, accompagnate da una buona flessibilità della mascella prominente.
Il barista quasi si lasciò sfuggire di mano un boccale di vetro, ma l'appoggiò sul bancone quasi a fatica.
"Cosa?!", domandò, infine, in tono sconvolto.
Sebastian si gustò quella visione vagamente comica, prima di stringersi nelle spalle e allungargli il biglietto da visita che quel tale Kyle Larris gli aveva lasciato, con tanto di marchio del locale in cui solitamente si esibiva.
"Si dà il caso che quel bietolone di Finn sia stato così gentile da dirmi dove si sarebbe tenuto l'addio al celibato della Mezza SegAnderson”, spiegò con voce vellutata.
Ma dallo sguardo era evidente la sua soddisfazione nel ricordare quanto fosse stato semplice abbindolarlo, una volta assicuratosi che la Berrysterica fosse distratta dai suoi sedicenti fan (una delle sue idee migliori pagare qualche studente incontrato in metropolitana perché la fermassero con una richiesta di autografi e selfie), fino a fargli sganciare ogni informazione utile. Si era persino pentito di non essersi giocato in anticipo la carta del fratellastro poco sveglio.
“Un mio personale regalo per lo sposo", continuò con aria casuale, per poi inarcare le sopracciglia. "E non è neppure costato poco", aggiunse vagamente stizzito dal dettaglio.
Hunter aveva scosso la testa a più riprese, con aria evidentemente disgustata da un simile espediente, ma sembrò volersi risparmiare la morale e cercare di minarne le intenzioni con un approccio razionale, mettendone in dubbio la realizzabilità. "Non ti aspetterai davvero che dopo averlo già tradito, sarebbe così idiota da-".
Sebastian sorrise e neppure gli diede il tempo di finire la domanda: "Kurt ha detto che non regge l'alcol", lo informò con voce flautata.
"Oh”. Hunter imitò un'espressione di deliziata sorpresa ed incrociò le braccia al petto, prima di gettargli un'occhiata di traverso. “Neppure lui?".
Sebastian lo fissò con aria schifata e risentita per l'implicito paragone, ma continuò a parlare, come se non fosse stato interrotto, come se la sua opinione (non che fosse qualcosa di nuovo o di sorprendente) non avesse alcun peso. "L'ho pagato perché si assicuri che il suo bicchiere sia sempre pieno, poi lo sedurrà e quando faranno sesso, filmerà tutto con la telecamera nascosta nel suo appartamento e io farò in modo che Kurt lo venga a sapere”.
Il barista parve persino più scettico, senza contare l'espressione palesemente nauseata. Scosse il capo e strofinò il bancone con uno straccio umido, quasi neppure volesse guardare in faccia il proprio interlocutore. "Questo è davvero spregevole, persino per te”, gli fece presente, scoccandogli un'occhiata eloquente per poi aggiungere: “Soprattutto considerando che stai ancora evitando di affrontare la vera questione".
Ne ignorò l'osservazione pungente e si strinse nelle spalle, difendendo l'ennesimo dei suoi piani con quella punta di orgoglio e di raziocinio che rendeva il tutto persino più paradossale. "E' una prova: se davvero lo ama, non lo tradirà di nuovo, alcol o non alcol".
Hunter sospirò, osservandolo come se stesse cercando un nuovo punto punto di contatto, consapevole che fosse ormai troppo tardi per dissuaderlo a cose fatte. Se non facendo leva sull'unica persona il cui stato d'animo era davvero capace di sconvolgerlo. "Stai giocando coi sentimenti di Kurt. Supponiamo che Blaine cada in trappola: non ti sentiresti complice del tradimento? Riusciresti ad andare avanti con un simile senso di colpa?".
Sebastian non parve, infatti, trovare un'immediata replica: probabilmente era più difficile ignorare quel tarlo quando era qualcun altro ad esplicitarlo e dargli voce. Ingollò un sorso di birra, quasi a tergiversare, prima di stringersi nelle spalle.
Avrebbe desiderato poter avere una risposta arrogante anche di fronte a quell'ipotesi che bastò a strappargli il respiro, quasi tentato di contattare subito il giovane per disdire tutto. Persino il ciondolo del bracciale parve divenire più pesante.
Fissò risentito il barista, quasi fosse una sua colpa, prima di rispondere in tono stizzito: “Nessuno obbligherà Mezza SegAnderson a fare qualcosa”.
Ben lungi dall'essere soddisfatto, Hunter lo guardò senza intenti polemici, ma una reale preoccupazione: "Mancano due settimane, Sebastian".
"Lo so", rispose in una sorta di ringhio, già pentitosi di non aver scelto un altro luogo per quella trattativa.
"Ma continui ad evitare la questione", aggiunse l'altro in tono più gentile, quasi si sentisse in colpa per l'ingrato compito di dovergli far affrontare la realtà.
Sebastian rilasciò un sospiro, ma gli angoli delle labbra si contorsero in un sorriso amaro, quasi vulnerabile. Scollò le spalle, a sminuire il reale stato d'animo e quell'ansia crescente che gli divorava il petto, rendendolo persino incapace di respirare, soprattutto nelle notti passate a passeggiare per il loft, chiedendosi se il coinquilino sarebbe rientrato.
"Sarebbe più facile, se Kurt non evitasse me".
Il barista si passò una mano sulla fronte, quasi quelle parole fossero mortalmente definitive, ma sorrise quasi con la stessa rassegnazione: “Onestamente non so chi tra voi due sia più disfattista”.
Sebastian non rispose, un vago sorriso ironico, prima di osservarlo di sottecchi e schiarirsi la gola:
"Mi stavo chiedendo”, recuperò in fretta un tono casuale. “Per caso conosci il barista del-".
Hunter roteò gli occhi e lo interruppe, di nuovo con voce vibrante di autentico rimprovero: "Se anche lo conoscessi, non lo corromperei per te".
"Io lo farei e anche con un certo divertimento, se Barbie si trovasse un altro Ken”.
"Certo”, convenne l'altro con un sorriso sferzante. “Dopo averle indicato, con tanto di segnaletica, illuminata da neon e da glitter, la strada più rapida per raggiungerlo e aver filmato un loro video hard magari”, precisò con aria ironica.
“Il fine giustifica i mezzi”, gli fece presente e sembrò evidente che non si riferisse soltanto all'eventualità di un suo intervento in altrui questioni sentimentali.
“Parla con Kurt, Machiavelli2”, gli strappò di mano la bottiglia con un gesto eloquente.
Sebastian si rimise in piedi, quasi con aria risentita, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni:
"Continuerai a ripeterlo per tutta la tua fallimentare vita?", gli chiese in tono risentito.
Hunter inclinò il viso di un lato, un sorriso quasi sadico ad incresparne le labbra e renderne i lineamenti assai meno rassicuranti, rispetto alla tipica espressione perplessa. "Fino a quando lui e Blaine non saranno dichiarati marito e marito. Da allora si trasformerà in un « te lo avevo detto »", gli disse a mo' di velata minaccia.
"Un altro motivo per sabotare il tutto", borbottò tra sé e sé, per poi indietreggiare, le mani sollevate e un sorrisetto sferzante. “Niente approvazione, niente pagamento”.
“Sebastian!”.
“Ti saluto, Clarington”.

~


(Vigilia delle Nozze)

Quando rientrò e si guardò attorno, sentì un brivido lungo la spina dorsale: il portachiavi di Kurt era appoggiato al suo solito posto.
Quelle ultime due settimane sembravano essere scorte fin troppo rapidamente e le uniche occasioni in cui aveva scorto il giovane, era quasi sempre accompagnato dal fidanzato, dalla Berrysterica o dalla sua amichetta della caffetteria. Aveva sempre avuto la sgradevole sensazione che, anche quando presente (soprattutto quando riceveva visite o doveva occuparsi di questo o dell'altro stupido dettaglio relativo alle nozze), cercasse ogni espediente per scoraggiarlo ad avvicinarsi ed avere una reale conversazione con lui. A concedersi un po' di quella quotidianità a due che era stata la loro vita fino a quell'insensato fidanzamento. Aveva persino evitato di recarsi al pub, girovagando nel locale del provetto spogliarellista, ignorando tutte le chiamate e i messaggi in segreteria di Clarington.
Tutte le sue speranze sembravano ormai riposte in un perfetto sconosciuto e nella libidine di Mezza SegAnderson.
Ma quella piccola iniziale cosparsa di brillantini e strass sembrò essere una sorta di “segno”, anche se gli incuteva non poca preoccupazione il cominciare ad invocare teorie degne di “Insonnia d'amore”.
Prese un profondo respiro e si concentrò sulla presenza di Kurt: ascoltò i suoni attutiti che provenivano dalla sua stanza. Guardò quella porta come se fosse un portale verso il suo mondo da cui non si era mai sentito tanto lontano come nelle ultime settimane. Una forza attrattiva sembrava volerlo condurre a compiere quei brevi passi che li separavano, mentre il suo gelido raziocinio avrebbe voluto persino allontanarsi, senza che l'altro fosse consapevole di quell'esitazione.
Trattenne il fiato, avanzò in quella direzione, quasi bruscamente e sollevò la mano per bussare, ma non fu necessario.
L'uscio era soltanto socchiuso e ne intravide la sagoma di fronte allo specchio: fu lieto che non potesse sentire l'alterazione brusca dei battiti del suo cuore e quel brivido lungo la spina dorsale.
Kurt lo scorse dal riflesso: seppur non potesse vederlo direttamente in volto, non ebbe alcuna difficoltà ad immaginarne lo scintillio delle iridi e la commozione che si rese evidente dal gorgoglio rauco della sua voce. "Entra pure", lo invitò con un timido sorriso.
Sebastian non riuscì a farlo: non era pronto a vederlo in abito da sposo.

~

Emise un mugugno, quando il fracasso insopportabile a quell'ora del mattino, lo indusse a schiudere gli occhi, dopo una notte fin troppo breve di riposo. Si portò una mano alla fronte, a liberarla dalle ciocche di capelli che vi ricadevano scompostamente sopra e occorse qualche istante per diradare l'ombra del sonno e comprendere chi fosse l'artefice di tale scompiglio.
Si rimise in piedi, passandosi una mano sugli occhi e sbadigliò, prima di lasciare la propria camera e aprire l'uscio di quella del coinquilino, senza neppure curarsi di bussare o chiedere il permesso di entrare.
La vista che lo attese gli fece sgranare gli occhi e il sonno sembrò dimentico. Se non era, infatti, insolito che Kurt si muovesse da un angolo all'altro della stanza, in preda all'agitazione, con almeno una decina di post-it colorati (a mo' di promemoria) appoggiati allo specchio in un ordine soltanto da lui comprensibile, non riusciva a spiegarsi la valigia aperta sul materasso.
Che stai-?”.
Oh, ciao”, lo salutò distrattamente Kurt, ancora intento a prendere degli abiti dalle grucce e appoggiarseli sul braccio piegato. “Non hai una bella cera”, gli concesse un'occhiata prolungata, indugiando sulle occhiaie con aria di pacato rimprovero.
Che sta succedendo?”, gli chiese e incrociò le braccia al petto, attendendo una spiegazione.
Il pensiero corse a quel San Valentino che lo aveva visto compiere gesti inediti: da quella stessa notte, non lo aveva abbandonato l'idea che, senza alcuna interruzione, avrebbe potuto tentare di dare una svolta a quella serata. Non poteva fare a meno di chiedersi che cosa sarebbe potuto accadere, se si fosse concesso di immaginare una vita diversa.
Kurt piegò gli abiti con aria esperta per poi riporli nella valigia. “Scusami, non volevo svegliarti. Il corriere mi ha portato un regalo di mio padre: mi ha invitato a passare il weekend in Ohio e ho il volo prenotato tra...”, guardò l'orologio con aria incredula. “Due ore, dannazione. Credo che mio padre abbia un pessimo senso dell'umorismo o una strana idea di sorpresa”, commentò con aria sospirata. “Ma è il suo anniversario con Carole e non posso mancare”.
Un vago sorriso increspò le labbra di Sebastian. “Tra due ore, hai detto? Ok, allora sarà meglio che mi sbrighi”.
Quelle parole fecero breccia nella mente del suo coinquilino, che assunse un'aria mortificata e si fermò.“Mio padre ha preso i biglietti soltanto per me”.
E allora?”, domandò con un sorriso sferzante. “Qualcosa mi dice che non sarà difficile trovare un posto libero”.
Mi sarebbe piaciuto che tu venissi con me, davvero: avevo anche pensato di telefonare io stesso e buttarti giù dal letto con questa sorpresa”, iniziò Kurt con un rammarico. Evidentemente qualcosa gli aveva fatto cambiare idea.
Cercò di celare la delusione che lo fece irrigidire. “Ma non piaccio a tuo padre”, ne interpretò le parole sottintese.
Non essere sciocco: a mio padre non piace nessuno dei miei nuovi incontri, almeno finché non li approva lui stesso”, precisò con aria vagamente ironica. Sospirò e inclinò il viso di un lato: “So che hai un esame importante lunedì”.
E allora?”, chiese con aria incredula, ma un reale sollievo all'idea che fosse soltanto quella la sua obiezione. “Sai che non sono un topo di biblioteca”, asserì con uno scrollo di spalle. “Posso sempre rimandarlo al mese prossimo”.
Sebastian, non asseconderò il tuo perenne procrastinare: ci saranno altre occasioni per venire in Ohio”. Inclinò il viso di un lato, un sorriso soddisfatto nell'aggiungere: “Anche se comincio a sospettare che ti sia piaciuto, più di quanto saresti mai disposto ad ammettere”.
Corrugò le sopracciglia: “Kurt, non ho bisogno di una balia, ma se non mi vuoi con te, non hai che da dirlo esplicitamente”.
Se ne pentì quasi subito: così impegnato a cercare di non palesargli la delusione che gli aveva appesantito il cuore in petto (sorprendendosi lui stesso di quanto fosse intensa), non sembrò realizzare di poter lui stesso ferirne i sentimenti, come parve palese dallo scintillio minaccioso delle sue iridi.
Scusami”, scosse il capo e sollevò le mani, come a voler ritrattare. “Hai ragione, sarà per la prossima volta”, distolse lo sguardo e si volse per uscire dalla camera.
Fu la mano di Kurt, tuttavia, gentile ma ferma nel tocco, a bloccarne il braccio.
Gli stava sorridendo con quel misto di rimprovero e di dolce comprensione: “Avrei voluto davvero averti con me, anche se avresti passato il tempo a ironizzare su tutto, rovinando l'atmosfera romantica. Ma saranno solo tre giorni, neppure ti accorgerai che me ne sono andato”.
Avrebbe voluto crederci, ma si limitò a trattenerlo. “Mi devi un viaggio, ma la meta la sceglierò io”.
Se supererai l'esame con il massimo dei voti”, si finse severo nell'imporre quella condizione, ma parve altrettanto impaziente.
Fin troppo semplice”, replicò con la consueta sicurezza. Tuttavia, prima di lasciarlo, lo trattenne:“Rivedrai anche lui?”, si sentì chiedere al suo orecchio, cercando di controllare l'inflessione della voce.
Kurt parve sorpreso della domanda, ma il suo volto si irrigidì: “Niente affatto: ormai l'ho perdonato, ma le nostre strade sono separate per sempre”, dichiarò con aria sicura.
Quella lieve tensione, tuttavia, non pareva voler scemare. “Sarà meglio che mi vesta, dovrò assicurarmi tu prenda il volo giusto”, commentò con uno scrollo di spalle.
Non è necessario”, sorrise Kurt. “Posso prendere un taxi”.
Scosse il capo, un sorriso sincero: “Voglio farlo”.
Kurt ne ricambiò il sorriso e Sebastian cercò di ignorare quell'improvvisa aritmia.
Bene, allora sarà meglio che mi sbrighi”. Fece il fatale errore di controllare l'ora e parve impallidire: “Oddio, è tardissimo!”, la sua voce si alzò di un'ottava.

~


Kurt sembrò incapace di esprimere il suo reale stato d'animo: quasi si rendesse conto dell'imminente evento, soltanto indossando l'abito a cui aveva lavorato duramente negli ultimi mesi. Sembrò quasi voler cercare nell'altro una conferma, scorgendone l'espressione altrettanto emozionata, seppur per motivi ben diversi.
"Lo so che l'abito bianco potrebbe sembrare un cliché gay ma-", iniziò con un velo di rossore sulle gote.
Sebastian sollevò le mani, come a volerne fermare sul nascere qualsiasi possibile argomentazione, quasi – a dispetto della situazione che tanto aveva temuto – non riuscisse a sopportare che le sue naturali insicurezze si palesassero, rovinando un momento tanto personale e tanto importante. Perché, a prescindere da se stesso, era la sua felicità la cosa più importante e la sua unica priorità era continuare ad osservarlo e bearsi di un'immagine tanto pura e perfetta.
La giacca, il panciotto e i pantaloni dello smoking erano di un bianco così lucido da assumere un riflesso perlato, mettendone in risalto il colore delle iridi e il candore della sua pelle. Creavano un piacevole contrasto con la camicia di un candore innevato e un ulteriore punto di luce era la cravatta argentata, decorata con pois scuri, a conferire quel tocco più personale, così “kurteggiante”, in assenza di un foulard. Il completo prevedeva persino un cappello intonato che aveva lasciato sul letto.
Si avvicinò per coprire quella distanza e il suo cuore parve fermarsi di fronte a qualcosa di così irreale e, al contempo, tangibile e inequivocabile. Lo sentì immobile, dolorosamente contratto, sprofondando nelle viscere, alla ricerca di quella falsa sicurezza della quale si era forgiato negli ultimi tempi e che aveva soltanto rischiato di compromettere tutto.
Lo sguardo di smeraldo scivolava sull'esile figura e, seppur abbracciasse ogni tratto del suo corpo, la mente sembrò isolarsi e il tempo parve dilatarsi. Scandito da un battito flebile, mentre anche il respiro sembrava venir meno.
Lo rivide quel primo giorno alla caffetteria, le loro prime giornate insieme, l'elenco delle sue stupide regole, la loro prima gita a Coney Island, il primo Natale e quel San Valentino, prima del ritorno in Ohio.
Quell'ultimo anno parve una lunga parentesi, quasi un sogno, che avrebbe dovuto condurlo tra le proprie braccia, ma che sembrava aver vissuto soltanto in parte, quasi come uno spettatore neutrale, incapace di rendere propria la scena. Quell'unica notte a Parigi, quando tutto sembrava ancora definibile, il loro Natale solitario, tra quelle quattro mura che sembravano risplendere di una nuova vita, quell'abbraccio grato dopo la sfilata e quell'unico momento in cui aveva creduto che anche Kurt desiderasse baciarlo.
Gli mancò il fiato e strinse i pugni lungo i fianchi.
"Allora?", gli chiese Kurt con aria febbrile, l'emozione di chi sta per vivere il momento tanto atteso e, al contempo, sembra rifugiarsi in quella preziosa quiete.
Sebastian contrasse le labbra, si avvicinò ulteriormente, ma scosse il capo e cercò di ignorare quel nodo in gola.
"Kurt", sussurrò soltanto e parve sperare, ancora una volta, che il suo nome potesse racchiudere tutto quello che non aveva mai pronunciato a voce alta. Quelle verità rimaste sopite così a lungo, ma rese ogni giorno con lui ancora più labili ed effimere, mentre la speranza moriva a poco a poco.
L'altro sembrò averne compreso l'incapacità di esprimere, perché sorrise ma lo sguardo si fece più lucido e sembrò leggervi una nota di tristezza, persino nel momento in cui la sua gioia avrebbe dovuto essere totalizzante.
Sebastian si costrinse a distogliere lo sguardo che appuntò alle pareti su cui i quadri decorativi erano già stati tolti, come nefasto presagio dello spettro della sua camera, con cui avrebbe dovuto convivere, dopo la cerimonia. Restava solo il panello che aveva odiato così tanto negli ultimi mesi. Lo sguardo guizzò alle scatole lasciate sul pavimento, già in parte riempite, e l'aria parve diradarsi dai suoi polmoni, costringendolo a schiudere le labbra nel tentativo di inspirare.
Kurt ne seguì lo sguardo e quell'ombra di mestizia, parve scurirne lo sguardo. Le labbra tremarono, nel cercare di esprimere il suo stato d'animo, pur con voce flebile: "Non riesco a credere che sarà l'ultima notte che passerò qui".
"Kurt", sussurrò nuovamente Sebastian, con una nuova urgenza, come se la propria voce dovesse infrangere quella barriera tra loro, quel continuo gioco di avvicinarsi ma non spingersi oltre un confine labile.
A stento sembrò riuscire ad osservare il giovane di fronte a sé, senza che un dolore lancinante gli trafiggesse il petto, con la prospettiva di uno persino peggiore, quando tutto sarebbe finito e i rimpianti e il biasimo per me stesso sarebbero stati implacabili.
Fu come se i suoi fallimentari tentativi di sabotaggio, degli ultimi pesi, pesassero improvvisamente sul suo animo come un macigno, come se lo avessero allontanato, anziché avvicinarlo, come avrebbe dovuto. Fin dall'inizio.
Si fermò di fronte al giovane sposo, lo sguardo di smeraldo striato parve incatenare quello di zaffiro e desiderò che il tempo si cristallizzasse in quell'istante.
Ne cinse la gota, come se fosse naturale che le sue dita ne tracciassero la pelle, anche quando l'altro avrebbe potuto percepirlo, almeno quanto per i suoi polpastrelli vezzeggiarne la morbidezza fresca, dall'aroma di crema.
Ne toccò la pelle vellutata, percorse la scia di efelidi sotto il mento che così scrupolosamente voleva nascondere al mondo, con movimento appena percepibile, delicato e soffuso. Come il sentimento che era cresciuto silenziosamente, nei meandri della sua mente e del suo girovagare a vuoto, senza dare una svolta decisiva alla propria vita.
Lo vide deglutire a fatica, lo sentì sussurrare il suo nome con la stessa emozione: un misto di timore e di aspettativa, quasi quel tocco fosse stato in grado di esprimere le parole taciute, ponendo le loro menti in una connessione intima e profonda. La conferma che, seppur silenzioso, anche Kurt fosse stato partecipe di quel cambiamento.
Sebastian contò i propri battiti per non estraniarsi a quell'anelito di realtà, trattenendolo in quell'istante che sembrava trasportarli altrove, dove spazio e tempo non fossero loro avversi. Dove non sarebbero fuggiti per non vivere un istante come quello.
"Non farlo", si sentì dire e il suo cuore riprese a scalpitare intensamente, un brivido lungo la spina dorsale nel sentirsi realmente vivere quel momento, il più importante della propria vita. La voce ridotta ad un respiro inframmezzato dal dolore taciuto per mesi.
Kurt parve impallidire, la pelle tremò sotto le dita di Sebastian, ma non si sottrasse e neppure distolse lo sguardo. Schiuse le labbra e gli occhi si spalancarono.
"Sebastian", sussurrò con voce altrettanto flebile. La sorpresa sembrò intrisa di una supplica. Del giusto motivo o del bisogno di una certezza a cui aggrapparsi più che mai in quell'istante. Dell'essere uniti anche nel momento che avrebbe potuto decretare un cambiamento irreversibile nella sua vita.
"Non farlo", sussurrò di nuovo Sebastian e la sua voce parve acquisire una nuova sicurezza.
Ma non stava riferendosi al matrimonio, mentre ne cingeva il mento: parve supplicarlo di fidarsi di lui e di non allontanarlo.
Il pollice ne sfiorò le labbra, percependone il respiro caldo e affannato. Anche quando la mano ne libera ne cinse il fianco per sentirlo contro di sé e convincersi che non stesse sognando.
Sembrò fluttuare tra il sogno e l'incanto, mentre, con un movimento fluido e quasi frettoloso, si sporgeva al suo viso, osservandone gli occhi sgranati fino all'ultimo istante.
Appoggiò le labbra alle sue, trattenendo il fiato.
Lo baciò come se il mondo stesse crollando sotto i loro piedi e come se stesse per esalare l'ultimo respiro e Kurt fosse il suo unico approdo e rifugio, prima di lasciarsi annientare.
Sentì il verso soffuso di sollievo erompere dalla propria gola, mentre tastava ancora la morbida freschezza della sua pelle con devozione e un tremore quasi incerto. La mano sul fianco lo trattenne a saggiare quel calore e la solidità del suo corpo, quasi a sincerarsi che fosse tutto reale.
Inclinò il capo a cercare di imprimere un'impronta sulle sue labbra che potesse rendere quel momento immortale. Percepì il gemito dell'altro che si infranse contro il suo bacio, ma non lo scostò.
Lo strinse più intensamente in quella silenziosa supplica a non allontanarlo, non in quel momento.
Sentì il suo stesso cuore contrarsi dolorosamente, quando la mano di Kurt si adagiò al suo volto e contò quei secondi di interminabili, attendendo che lo scostasse da sé con decisione e le iridi azzurre lo trafiggessero con la loro sincera purezza.
La mano di Kurt, gentile ma ferma, lo avvinse maggiormente contro di sé e lo sentì premersi contro il suo respiro, quasi volendo lui stesso perdersi in quel bacio, a dispetto di tutto il resto. Un battito di ciglia e le sue braccia esili ne cinsero il collo, come se non avesse desiderato altro.
Un mugugno soffuso e provocante e percepì il suo palmo contro la propria nuca, a trattenerlo in un silenzioso monito.
Sebastian sorrise sulle sue labbra, premendolo possessivamente contro il proprio corpo, a contrasto con la delicatezza con cui le sue dita cercavano ancora di imprimere il proprio tocco sul suo viso.
Baciarlo era come tornare a respirare realmente, era come ritrovarsi senza mai aver ammesso di essersi persi e cercati così a lungo. Come se non ci fossero mai stati altri baci nella propria vita.
Si costrinse a scostarsi, quando si sentì senza fiato, adagiando la fronte alla sua, mantenendo gli occhi socchiusi, a crogiolarsi di quell'istante e del calore che ne infiammò il corpo.
Il respiro affannato di Kurt gli sfiorò le labbra come un suadente invito e Sebastian lo baciò di nuovo, soltanto per sentirlo emettere quel verso gutturale di languida resa e bisogno.
Scivolò con le labbra al suo viso, tracciandone la gota in una scia che lo stava conducendo verso il suo collo, sentendo il respiro tremulo dell'altro contro il proprio orecchio, senza mai scostarsi da quell'anfratto di vaniglia e di crema.
"Kurt", sussurrò di nuovo, indugiando contro la spalla esile, affondandovi docile e arrendevole per un solo istante, quasi quel fluire improviso di emozioni richiedesse un istante di successiva stasi nel realizzare che fosse tutto reale.
Kurt ne baciò la gota punteggiata di nei, quasi li stesse sfiorando uno ad uno, sembrò lui stesso sorreggerlo, rafforzando la pressione dell'abbraccio e affondò una mano tra i suoi capelli, in una devota e delicata carezza.
Sebastian sospirò di beatitudine, lo strinse più intensamente e percorse con le labbra la dolce curva del suo collo, laddove solitamente un foulard lo copriva.
Non mi sta allontanando, fu il suo tremulo pensiero.
Ebbe quasi la sensazione che Kurt potesse sentirne i pensieri, a giudicare da come ne strinse le spalle per scostarlo. Soltanto quel minimo necessario a poter incatenarne lo sguardo.
Sebastian era certo di non aver mai visto così tanta luce in quell'azzurro, reso persino più intenso, a contrasto con la pupilla scura. Sembrava ancora lievemente affannato, mentre gli sfiorava la pelle del viso, percorrendola con lentezza estenuante, a contrasto con il battito convulso del suo cuore.
“Sebastian”, bisbigliò con voce rauca, prima di sollevarsi rapidamente sulle punte per pressare le labbra alla proprie, strappandogli il respiro con un verso di soffuso desiderio.
Ebbe soltanto il tempo di scrutarne il volto un ultimo istante: le pupille dilatate ma frementi, le gote arrossante, le labbra ancora gonfie dei suoi baci rubati al mondo e a loro stessi.
Si costrinse a scostarlo, per riprendere controllo dei propri pensieri.
"Kurt", sussurrò di nuovo.
"Sono qui", fu la mormorata risposta, quasi distratta, nel tentativo di carpirne nuovamente le labbra.
Pensò che la sua vita avrebbe potuto concludersi in quell'istante e tutto sarebbe stato perfetto, che un solo attimo sarebbe bastato ad avvincerlo ulteriormente a sé, a sentirlo desiderare con altrettanta intensità che lo facesse suo.
Tremò quando le dita di Kurt, con una dimestichezza sorprendente, cercarono l'orlo della t-shirt ad insinuarsi al di sotto per sfiorarne la pelle nuda e fu naturale mordicchiarne il collo, osservando la pelle arrossarsi e sentendone il verso di approvazione.
Sarebbe stato così dannatamente semplice socchiudere gli occhi ed isolare la propria mente, lasciarsi naufragare in quelle emozioni conosciute, eppure nuove, perché forgiate di un'intensità diversa che lo fecero sentire quasi timoroso.
Trasse un respiro e la trepidazione e il sollievo dei primi istanti, lasciarono spazio alla razionalità che sembrò ammonirlo di star soltanto illudendosi. Sottoponendo l'altro ad un pericolo persino più grande dello sposare colui che aveva ritenuto l'amore della sua vita.
Lasciò nuovamente scivolare lo sguardo sull'abito da sposo, quella candida purezza che, da sempre, aveva amato in quello sguardo e nelle sue svenevoli romanticherie. E il pensiero di starlo contaminando, alla vigilia delle nozze da sempre attese, parve farlo irrigidire.
Kurt parve percepirlo, quando ne cinse la gota, ancora prima che potesse incrociarne lo sguardo e scorgere il mutamento nelle sue iridi.
“Non posso”, si sentì dire con voce angosciata e il nodo in gola parve persino più ferreo.
Le iridi azzurre si spalancarono, ma la pressione sulla sua guancia parve farsi più salda, a mo' di dolce rassicurazione e di monito. "Sebastian", lo richiamò, quasi desiderando estraniarlo da quei solitari pensieri.
Ne baciò con devozione i palmi delle mani, ma scosse il capo e si costrinse ad allontanarlo, quasi lui stesso fosse la fonte della propria perdizione, quasi assecondandone il bisogno, stesse iniziando a distruggerlo. Poco alla volta. Come era inevitabile.
"Non avrei dovuto...". Si sentì dire con voce sconnessa e si sentì soffocare, cercando di ignorare frammenti di immagini e di fantasmi che sembravano più intensi che mai, persino nel suo rifugio dal passato.
“Sebastian”, ripeté Kurt, con voce tremula, ma lo sguardo determinando nell'avvicinarsi nuovamente. “Va tutto bene, è quello che desideravamo entrambi”, disse con voce limpida e Sebastian si odiò per come quelle parole ne resero nuovamente il respiro fremente, desiderando soltanto trattenerlo ancora a sé e abbandonarsi a quel bisogno doloroso.
“No”, sussurrò e parve lui stesso supplicarlo di non pronunciare altre parole che lo facessero desistere. Si costrinse a voltarsi, il respiro infranto quando si chiuse la porta alle spalle, ignorandone i richiami concitati.

~

Come se il tasso d'irrealtà della situazione non fosse stato già sufficiente, al bancone del Penguin Pub non trovò SfinterHunter. E quel microbo di Jason Stillman non seppe neppure fornirgli una valida giustificazione, a parte la formale telefonata al proprietario del locale. Si domandò se ciò non fosse collegato all'abilità in cui, nelle ultime due settimane, ne aveva ignorato l'esistenza.
Anche se sarebbe stato semplice sgraffignare una fiaschetta di tequila, si era costretto a lasciare il locale, per raggiungerne il loft. Di certo non si sarebbe mai aspettato che, dopo aver bussato alla porta, sarebbe stata la bionda svampita a schiudere l'uscio.
"Ciao Ciuffo Disney", trillò con aria allegra e si scostò dalla soglia, come se fosse stata perfettamente a suo agio in quell'ambiente e, con ancora più grande sconcerto di Sebastian, indossando una camicia del ragazzo, a giudicare da quanto le fosse larga di spalle e come la coprisse fino al ginocchio.
"Ho sistemato la mia camera e-".
Hunter Clarington, che stava appunto uscendo dalla camera da letto, si interruppe alla vista del giovane alla porta, le sopracciglia inarcate con evidente sorpresa. Evidentemente domandandosi quale catastrofe lo avesse spinto a eludere il muro di silenzio che aveva eretto nelle ultime settimane.
"Sebastian”, lo chiamò con aria circospetta.
Gli rivolse un breve cenno del capo, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni, simulando una perfetta compostezza. "Clarington", ribatté in risposta, come se non fosse affatto passato del tempo da una delle loro ultime schermaglie.
"Brittany!", esclamò la biondina con aria giocosa, prima di assumere un'espressione mortificata allo sguardo gelido di Sebastian. Sospirò, ma si strinse nelle spalle brevemente, allontanandosi: "Vi lascio soli", pigolò, attraversando rapidamente il soggiorno (non che fosse difficile considerate le ristrette dimensioni).
"Grazie, Brittany", le sorrise il padrone di casa, quasi a mo' di scuse per l'insolenza del nuovo arrivato.
Tutt'altro che infastidita, sembrò ritrovare il sorriso e lo scintillio vivace nello sguardo: "Di nulla". Agitò la mano e si chiuse nella camera da letto.
Ci vollero diversi secondi, perché Sebastian osservasse quello scambio di sguardi, le sopracciglia così inarcate che quasi scomparvero sotto i ciuffi di capelli che ricadevano sulla fronte. Rilasciò un sospiro stoico e scosse il capo: "Ho davvero toccato il fondo, se persino tu sei riuscito a-".
"Shhhhh!", Hunter lo interruppe e si guardò alle spalle, come a sincerarsi che la giovane non fosse a portata d'orecchio. Allora continuò, con voce più bassa, facendogli cenno di accomodarsi e richiudendosi la porta alle spalle. "E' una lunga storia, ma lo stronzo del suo affittuario l'ha buttata fuori di casa perché ha dimenticato di pagare l'affitto e le more... degli ultimi cinque mesi", lo informò, camuffando l'ultima informazione con un colpo di tosse.
Gli rivolse un sorrisetto sferzante, incrociando le braccia al petto e inclinando il viso di un lato: "E per consolarla hai organizzato un gioco di ruolo in cui le hai proposto l'affitto della tua baracca, in cambio di un pagamento in natura?".
La mascella del barista sembrò abbassarsi, ma scosse il capo rapidamente. "No, certo che no. Le ha confiscato tutto, gatto selvatico compreso, non aveva un posto dove andare, a quanto pare Santana ha dei parenti in visita o qualcosa del genere", spiegò con uno scrollo di spalle.
Un guizzo di soddisfazione ne fece dardeggiare lo sguardo di smeraldo, ma si premunì di fargli una domanda esplicita. "Quindi non avete...?".
L'altro scosse rapidamente il capo: "Non sono quel tipo".
Rilasciò un enfatico sospiro di sollievo: "Oh, grazie al cielo: cinquanta dollari risparmiati".
Il barista sgranò gli occhi, consapevole che ciò facesse parte di qualche frode di cui non gli era dato sapere, ma scosse nuovamente il capo, borbottando un “Non voglio saperlo”. Si schiarì la gola e assunse un'espressione più consona a quella che solitamente esibiva, stando dietro al bancone. “Se cerchi una sbronza da Vigilia, Jason sa già quali sono i tuoi dosaggi, ma non esagerare: Jackson è più manesco di me se gli tocchi il fidanzato. Se vuoi una predica, allora-", gli fece cenno al divano, con un sorriso quasi soddisfatto.
Sebastian lo ignorò, ma scrollò le spalle: "Ho baciato Kurt", lo informò distrattamente.
Hunter sgranò gli occhi e schiuse le labbra: "Oh, cazzo", fu solo capace di dire.
Gli concesse un vago sorriso. "E lui non mi ha respinto", precisò.
Sembrò quasi che l'altro volesse levare un ringraziamento al cielo, in verità non lo vedeva così esaltato da... l'ultima notte in femminile compagnia (il che, sì, era abbastanza patetico e inquietante insieme), ma un sorriso ne increspò le labbra e rilasciò una risata di puro sollievo, guardandosi attorno. "Dove ho messo lo champagne?".
Sospirò e tutto il vago divertimento, parve dissolversi: "E poi me ne sono andato".
Il barista si bloccò a metà strada tra il soggiorno e il frigorifero e si accigliò, stringendo i pugni lungo i fianchi. "Fanculo”, borbottò e si avvicinò alla credenza dei liquori con nuovo vigore: “Dov'è il whisky?".
Sebastian gli fu quasi lieto perché gli consentì di concentrarsi su qualcosa di così futile, cercando di ignorare quel peso all'altezza del petto e quel nodo in gola. "Non dovresti essere tu il custode del mio fegato?", chiese con la sua tipica intonazione sarcastica.
L'altro gli rivolse un'occhiata risentita e si sgolò mezzo bicchiere in un fiato: "Infatti è per me: finirò in terapia di questo passo". Scosse il capo, si strofinò una mano sulla fronte e si sedette sul divano, attendendo che lo raggiungesse e depositò la bottiglia e due bicchiere sul tavolino da caffè.
Gli occorsero diversi istanti perché sembrasse recuperare le sue facoltà oratorie o trovare lo spunto per imbastire una conversazione.
"Ok, il fatto che tu l'abbia baciato è già qualcosa... e il fatto che non ti abbia respinto è altrettanto eloquente”, esordì a voce alta, quasi necessitasse di convincersi lui stesso. Lo guardò con un'occhiata di sbieco. “Ma che cosa diavolo ci fai qui? Gli stai dando tempo di pentirsi, tempo che potresti usare per convincerlo che non è stato un errore così che possa disdire tutto, prima di domani!”.
Sebastian si lasciò cadere sul divano, dopo essersi tolgo la giacca, ma non ne incrociò lo sguardo: "Magari è stato davvero uno sbaglio", sembrò dire a se stesso.
Hunter aggrottò le sopracciglia e serrò la mascella, come se quelle parole gli fossero state fonte di un torto personale. Scosse il capo. "Se in quest'ultimo anno c'è stata una sola certezza che mi ha impedito di impazzire, è stata la consapevolezza che tu ami davvero quel ragazzo, malgrado tu sia un recidivo e cinico manipolatore bastardo”. Lo trafisse con lo sguardo: “Se adesso mi dici il contrario, giuro che ti spacco la faccia".
Si concesse di rivolgergli un'occhiata di ironico divertimento: "Sei sempre così brutale coi tuoi ospiti, a meno che non indossino le tue camice?".
"A-ha, non provare a sviare il discorso: sei venuto qua, quindi è evidente che il tuo inconscio vuole che ti prenda a calci in culo finché non torni da Kurt”, replicò con aria realmente convinta. “A costo di chiudervi in quello stupido loft, finché non vi sarete uccisi o siate morti di sesso: a voi la scelta", aprì le mani in segno di resa.
Si versò un po' di whisky e mosse il bicchiere, prima di ingollarlo: "Devo ammettere che l'alcol non ha lo stesso sapere senza le tue prediche", lo informò con aria distratta.
"Commovente”, ribatté l'altro, roteando gli occhi, prima di sospirare. “Ma tu glielo hai detto?", gli chiese in tono realmente esasperato.
Inarcò le sopracciglia: "Cosa?"
Hunter sospirò con aria stoica, quasi fosse sull'orlo dell'esaurimento. "Ti amo", lo sottolineò come se stesse parlando con un bambino.
"Brutto momento", pigolò Brittany mortificata, guardando dall'uno all'altro con gli occhi sgranati e le labbra schiuse. Non si erano infatti accorti che, con aria furtiva, era uscita dalla camera e si era immobilizzata al sentire quelle parole. "E' meglio che vi lasci soli", cercò di approntare un sorriso.
“NO!”, esclamò Clarington la cui mascella sembrò raggiungere livelli storici di slogatura. Si sporse verso di lei, cingendone il braccio con una risoluzione che solo il whisky poteva aver causato: "Ferma!".
Impagabile osservare l'espressione realmente perplessa della biondina, scrutando la mano che l'aveva trattenuta con una certa urgenza, ma gli sorrise nuovamente, quasi con aria comprensiva: "Non preoccuparti: posso aspettare".
"Tu resta dove sei!”, attirò la giovane verso il divano. “E anche tu!", si volse a Sebastian e gli rivolse uno sguardo omicida di fronte alla contrazione delle sue labbra a testimoniarne i tentativi di non ridere. "Ora stiamo tutti qui seduti, fino a quando non chiariamo le cose una volta per tutte!".
“Oh, ok”, commentò la giovane con aria pacata. “Ma posso prendere un bicchiere di latte?".
Le indicò il frigorifero e soltanto allora si accorse di averla trattenuta oltre il lecito e si schiarì la gola: "Prego".
"Grazie", gli sorrise l'altra, pur continuando a guardarlo con aria ancora circospetta.
"Quindi non glielo hai detto?", si rivolse di nuovo all'amico e alzò la voce, così che la giovane potesse seguire il filo logico della conversazione. "Tu, Sebastian Smythe, non hai detto a Kurt Hummel, l'unico ragazzo gay della nostra storia, che lo ami? Ho ben capito?". Formulò lentamente la domanda, specificando ogni singola parola.
Sebastian sbatté le palpebre e sospirò: "Mi fai così pena che sono disposto a pagarla”, si volse verso la giovane. “Ehi, Brittany".
"Sì?". Si era affrettata a raggiungerli, appollaiandosi sul bracciolo del divano, accanto al barista, coccolando il persiano che le si era acciambellato in grembo con tanto di fusa.
“Giuro che telefono a Kurt!”, sibilò il barista in tono minaccioso.
Sebastian non ebbe tempo di rispondere perché fu sorpreso dalla propria suoneria: lui e Hunter si volsero in simultanea ad osservare il cellulare.
"E' Kurt!", lo additò Hunter con aria trionfante, leggendo il chiamante e affrettandosi a porgerglielo. "Avanti, rispondi".
Il sorriso sulle labbra di Sebastian si dissolse e il suo sguardo si scurì, come se quel nome avesse fatto crollare tutte le proprie certezze. Le sue labbra si contorsero, ma scosse il capo.
"No".
Hunter digrignò i denti: “Non te lo sto chiedendo".
"Mi stai minacciando?"
La tempia del barista parve pulsare, quasi a voler rendere nota la propria presenza: "Rispondi!", ruggì letteralmente.
"Non capisco il senso di questo gioco", commentò Brittany guardando dall'uno all'altro con aria interdetta, ma si strinse nelle spalle e prese il cellulare. Sotto lo sguardo incredulo degli altri due, premette il tasto di risposta
"Pronto?", rispose con la sua intonazione più infantile.
Si alzò e giocherellò pigramente coi propri capelli, mentre sorrideva, come se il suo interlocutore potesse vederla.
"Ciao Kurt!”, lo salutò come se fosse un amico di vecchia data. “Io mi chiamo Brittany. Sì, Sebastian è qui con me, siamo a casa di Hunter. Lui non voleva rispondere al telefono, allora l'ho fatto io”, raccontò con aria vivace.
"Io l'ammazzo!".
Sebastian si alzò, avvicinandosi rapidamente alla ragazza, ma Hunter, gettandosi con un balzo dal divano, lo placcò come un giocatore di football professionista.
"Oh, grazie!”, esclamò Brittany con aria deliziata. “Anche tu hai una bella voce", cantilenò, mentre i due ruzzolavano sul pavimento, cercando di avere la meglio sull'altro.
Si voltò nel mezzo della sua passeggiata, ma parve sbigottita nel coglierli in quella situazione. "Vi sembra il momento di mettervi a giocare?", chiese con tono spazientito.
Sebastian cercò di scrollarsi di dosso il padrone di casa, le sopracciglia aggrottate: "Se pensi che tra i due, saresti tu quello attivo, allora-".
"Co-?”, sbarrò gli occhi con aria disgustata. “Che schifo!".
"Non so se io e Sebastian siamo amici", continuò Brittany con aria confusa. "Ma se vuoi che gli dica qualcosa, lo farò e ricorderò tutto-tutto, però non essere triste, ti prego". La sua voce assunse un'intonazione evidentemente preoccupata e tutta l'aria ilare parve scomparsa, rimpiazzata da una più seria e compunta, a giudicare dalla formalità di quella promessa.
Sebastian parve tendersi al sentirla parlare in quel modo e, con una gomitata a tradimento che tolse il respiro a Hunter, riuscì a rimettersi in piedi, e raggiungere la giovane che stava annuendo con vigore.
"Va bene”, annuì Brittany dopo esser stata silenziosa negli ultimi due minuti. “Glielo dirò: buonanotte, Kurt”. Sembrò recuperare il sorriso: “Oh, anche tu sei tanto-tanto-tanto dolce! E' stato un piacere parlare con te!". Sospese la telefonata per poi porgere il telefono a Sebastian. "Sembra tanto carino e gentile: perché non hai voluto rispondere? Era tanto triste ed è tutta colpa tua!", lo aveva additato con la stessa serietà con cui una madre avrebbe sgridato un bambino indisciplinato, puntellandosi le mani sui fianchi.
"Che cosa ti ha detto?", le chiese in un ringhio, contraendo le mani come non desiderasse niente di meglio che strangolarla, una volta ottenuta l'informazione desiderata.
Hunter si rimise in piedi, le mani sui fianchi e l'aria sofferente, ma gli riservò comunque un'occhiata di puro odio.
"Allora", la giovane si concentrò, lo sguardo perso nel vuoto mentre Sebastian doveva trattenersi dallo scrollarla energeticamente. "Oh, sì: ha detto che ha tanto bisogno di parlarti di tu-sai-cosa, anche se io non ho capito, ma era tanto triste”, ripeté con gravità, per poi guardarlo con aria arrabbiata. “Che cosa gli hai fatto?!", curioso come la voce stridula la rendesse ancora più simile ad un buffo cartone animato.
"Concentrati, Beautiful Mind”, la esortò Sebastian, additandola. “Che altro ha detto su di me?".
"Che ti aspetterà a casa, ma che se non arriverai", ripeté molto meccanicamente, gesticolando come un'attrice dilettante che cerchi di ricordare le battute e dare loro una giusta intonazione. "Allora capirà che è stato un errore e domani... lui si sposerà", concluse con aria ancora piuttosto confusa.
"Nient'altro?", insistette Sebastian il cui sguardo si era ulteriormente offuscato.
"Oh, sì", parve illuminarsi. "Ha detto che sei sempre maleducato con tutti e quindi non è colpa mia se mi tratti male", conclude con un sorriso raggiante.
Le scoccò un'occhiata di puro disgusto, ma si sforzò di mantenersi calmo: "Su di me, ha detto altro su di me?", le chiese sillabando le parole.
"No, ma io credo che lui voglia che tu vada da lui", gli disse con aria evidentemente empatica e partecipe, quasi la propria opinione potesse effettivamente essergli di stimolo.
Sebastian scosse il capo e si sedette sul divano.
Hunter sospirò, lasciandosi cadere sull'altra estremità: "Che diavolo stai aspettando?", lo incalzò. Evidentemente la situazione era abbastanza delicata da fargli rimandare i propositi di vendetta per quell'ultimo scontro.
"Non iniziare con le tue prediche”, sbottò in tono impaziente.
Hunter dovette prendere un profondo respiro, serrando la mascella: "Hai passato l'intero anno a sabotare tutto, ma non hai mai voluto dirgli che cosa provi. Si può sapere che cos'è che ti frena, anche quando è evidente che per lui sei qualcosa di più di un affittuario?".
Quelle parole parvero persino farlo ritrarre maggiormente, mentre incrociava le braccia al petto. "Non adesso", gli chiese stancamente.
"E quando, Sebastian?”, chiese Hunter con aria frustrata. “Si sposerà domani: non c'è più tempo!", alzò la voce, facendo sussultare la sua ospite.
"Lo so! Cazzo, lo so!”, ribatté Sebastian con voce altrettanto alterata, fissandolo con sguardo furente. “E' da un anno che ho quel maledetto countdown in testa!".
"E allora perché sei ancora qui?!”, chiese l'altro, cercando di sovrastarne la voce. “Ma non lo capisci: è disposto a gettare all'aria il suo matrimonio per te. Che altro stai aspettando?!".
Sebastian distolse lo sguardo, ma parve afflosciarsi e perdere ogni convinzione: "Non è di lui che non mi fido", ammise con un sospiro.
Fu forse quell'espressione impotente a lasciare il barista senza fiato: lo guardò come se improvvisamente fosse difficile riconoscere Sebastian nel giovane che aveva di fronte, così sfiduciato e così incapace di affrontare i propri sentimenti.
“Cosa?”, domandò in tono confuso.
La sua stessa ira sembrò placarsi e sospirò, sforzandosi di recuperare una parvenza di calma: “Cosa c'è che ancora non mi hai detto?".
Sebastian non rispose, lo sguardo era fisso di fronte a sé, in un punto indefinito e restò immobile per pochi istanti, fino a quando non si sentì soffocare, anche in presenza dell'altro. Raccolse il cellulare e camminò verso la porta senza voltarsi. Sbatté la porta alle proprie spalle.
Hunter e Brittany sussultarono e il persiano soffiò con aria infastidita.
La giovane sospirò e lo prese tra le braccia, quasi a volerlo consolare, prima di osservare il ragazzo con aria mortificata. Era rimasta silenziosa in quegli ultimi istanti, ma aveva risposto tutta la propria attenzione al loro ultimo dialogo.
"Forse non avrei dovuto alzare la voce con lui", sussurrò quasi a volersi scusare.
Hunter la guardò incredulo, ma scosse il capo. Suo malgrado, un sorriso ne increspò le labbra. "Sei stata perfetta”, la lodò sinceramente, prima di rabbuiarsi. “Ma io ho la sensazione di non aver capito davvero molto di lui”, confessò con aria grave. “Non sono stato granché d'aiuto per un intero anno e stasera mi sento più inutile che mai”.
"Non è vero!", protestò la giovane, stringendogli il braccio e sorridendogli con aria comprensiva e accorata. "Non sarebbe venuto qui, se non avesse voluto che tu gli dicessi cosa fare”, parlò con una certa sicurezza. “A meno che non volesse ruzzolarsi insieme a te sul pavimento”, aggiunse con una scrollata di spalle.
Se aveva sorriso con aria compiaciuta nel sentirsi tessere le lodi, a quella precisazione si schiarì la gola rumorosamente. "Una cioccolata calda, prima di andare a dormire?".
"Sì!”, esultò, battendo le mani.

~


Sorprendentemente, Kurt sembrò riuscire a finire i bagagli con grande tempestività e persino a premunirsi di compiere un rapido controllo per assicurarsi che nulla fosse stato dimenticato: dal filo interdentale fino al libro da lettura durante il volo.
Non parlarono molto durante il viaggio in auto: non aveva dubbio che lo sguardo azzurro stesse già vagliando l'idea di dare un tocco personale alla cena d'anniversario del clan Hummel-Hudson, ma non riusciva a spiegarsi quella sorta di inquietudine interiore che lo aveva attanagliato, da quando aveva annunciato quell'improvvisa partenza.
Un senso di insoddisfazione lo aveva sorpreso in più istanze in quegli ultimi mesi: era come se alla sua “vita tipica” tra sbronze, incontri notturni e lezioni universitarie non frequentate, si contrapponesse quella quotidianità scandita da quel sorriso, dalle sue prediche, dalla sua particolare concezione della moda, della dieta culinaria, fino anche all'arredo degli spazi comuni. Se prima quelle due entità della sua personalità potevano convivere e Kurt rappresentava, con il loft, una sorta di rifugio dal mondo esterno; era come se una parte di sé stesse metabolizzando, sempre più intensamente, che non era più sufficiente.
Malgrado in quelle notti ci fosse stato un tocco fuggevole ed estraneo a sfiorargli la pelle, nella ricerca di un mero piacere carnale, era come se tutto fosse sbagliato. Se erano superficiali e arroganti i baci cui talvolta si prestava; le sue labbra sembravano ancora tremare del ricordo di un bacio mancato, ma il cui pensiero era capace di riscuoterne il torpore e costringerlo a girarsi tra le lenzuola, cercando di tornare in sé. Cercando di costringersi a restare nel proprio letto e non vagare in quel loft, ricercando il profumo di vaniglia o rubando al suo sonno una carezza delicata e segreta.
Sebastian?”, lo richiamò l'altro con aria confusa, già uscito dal lato passeggero. “Non mi accompagni dentro?”, chiese con un sorriso.
Si riscosse ed annuì distrattamente: fu lesto ad uscire dall'auto e prendere la valigia dal bagagliaio per portarla dentro, notandone lo sguardo di compiaciuta meraviglia a simile cavalleria.


Lo seguì fino alla fila dei passeggeri che, dopo l'annuncio, stavano consegnando le carte d'imbarco ad una sorridente impiegata, di fronte al gate del suo volo.
Kurt si volse in sua direzione e lo guardò con un sospiro:“Mi prometti che non mangerai soltanto robaccia da fast-food, in questi giorni?”.
Sebastian sbuffò, un vago sorrisetto. “Sì, mamma”, rispose con le mani conficcate nelle tasche, dopo avergli porto la sua sacca da viaggio.
Mi dispiace davvero che tu non possa venire con me”, sussurrò con voce più dolce e Sebastian sospirò.
Anche a me, pensò intensamente, quasi volendo trasmettergli quel messaggio telepaticamente.
Si strinse nelle spalle: “Mi scorterai in posti più interessanti”, gli fece presente con aria arrogante, ripristinando quella tipica interazione più giocosa.
E' una promessa”, commentò Kurt in risposta. “Quindi puoi già cominciare a pensare alle nostre prossime mete”, aggiunse con un sorriso.
Lo farò”, commentò in risposta.
Mancavano pochi passeggeri, prima del turno di Kurt, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo volto, indugiando sulle sue labbra. Aveva la netta sensazione che avrebbe dovuto fermare il tempo, in quell'istante, attrarlo a sé e cercare di esprimergli quella nube di pensieri che lo stavano tormentando negli ultimi mesi.
Prego”, l'impiegata si volse a Kurt che le porse il documento. “Si accomodi pure e buon viaggio”.
Allora ci vediamo Lunedì”, sussurrò Kurt e si sporse per cingerne il collo in un breve abbraccio.
Sebastian affondò il volto contro la sua spalla, inspirandone l'aroma di vaniglia e sospirò.
Kurt ne pronunciò il nome con intonazione interrogativa e si scostò per osservarlo. “Va tutto bene?”.
Indugiò in quella contemplazione, smuovendo le labbra e inclinando il viso di un lato. Parve rapidamente riflettere, ma si strinse nelle spalle.
Fai buon viaggio”, ne baciò delicatamente la guancia, ma indugiò vicino al suo viso.
Gli sorrise con quella dolcezza che ne fece scintillare le iridi: “Ciao Sebastian”.
Lo osservò allontanarsi, insieme agli altri passeggeri, ma si volse per un ultimo saluto, sollevando il braccio.
Fu allora che qualcosa sembrò scattare dentro di lui.
Kurt!”, lo richiamò, prima che l'impiegata potesse chiudersi l'uscio alle spalle.
Sì?”, gli chiese, quasi incurante del fatto che stessero intralciando l'imbarco.
Quanto tornerai, dovremo parlare”, gli disse a mo' di promessa.
O un monito perché lui stesso non dovesse cambiare idea in quei giorni di distacco.
Kurt parve sorpreso, le sopracciglia inarcate, ma un nuovo rossore ne sfiorò le gote, quando sembrò comprendere. “Lo faremo”, commentò in risposta. Come una rassicurante promessa, o la conferma che avesse compreso più di quanto avrebbe mai pronunciato.
Gli rivolse un ultimo sorriso e si allontanò all'ulteriore invito dell'impiegata.
Sebastian sospirò, rimase di fronte alle vetrate, fino a quando il suo volo non decollò. Doveva soltanto attendere un weekend, si disse con un sorriso.

~


Hunter osservò la giovane con le sopracciglia inarcate: la tazza ormai vuota tra le mani, Brittany Pierce osservava un punto indefinito di fronte a sé e l'espressione ne tradiva una ferrea concentrazione.
"Tutto bene?", le chiese colpito da quell'insolita tranquillità.
Stava disegnando con le dita in aria, come se questo le facilitasse la riflessione, ma si volse in sua direzione con un sospiro. "Quindi Ciuffo Disney ama Voce di Fata, ma anche Voce di Fata ama Ciuffo Disney”, sembrò voler riassumere ciò che aveva appreso da quell'ultima visita e dalla telefonata. “Nonostante questo sta per sposare Puffo Cattivo", la sua espressione ne tradì la reale perplessità.
Hunter sorrise: avvezzo alle interazioni con Sebastian che scorgeva aspetti lascivi in ogni singola cosa (anche laddove non era minimamente intenzione dell'interlocutore alludere a qualcosa di volgare), parlare con chi conservava una visione così infantile e giocosa del mondo, era come un balsamo benefico.
Annuì e sospirò con aria quasi esasperata: "Benvenuta nel mio mondo".
"Perché è così difficile?”, domandò con reale curiosità. “Non si potrebbe semplicemente andare dalla nostra persona speciale e dirle « io ti amo: decidi tu. Vuoi stare con me: sì o no? » Come all'asilo", spiegò con un sorriso più giocoso.
Inarcò le sopracciglia, ma il sorriso non scemò dalle sue labbra, quasi riuscisse comunque a trovarvi qualcosa di davvero divertente. Come con quei discorsi potesse smussare la serietà di una questione tutt'altro che risolta. “Forse hai ragione, sarebbe tutto più semplice".
"Neppure tu lo faresti?", lo incalzò, osservandolo così attentamente che Hunter ebbe l'impressione che avrebbe potuto sondare nel profondo di stesso, se solo lo avesse voluto. Se avesse avuto un motivo preciso per farlo, almeno.
"Non lo so", sussurrò in risposta. "Ma se non lo facessi, probabilmente sarebbe per il bene della persona speciale, come la definisci tu", sussurrò. Fu il suo momento di inclinare il viso di un lato ed osservarla più attentamente. Quasi cercando di capire se quello scambio di parole avesse dei messaggi sublimali e non stesse rischiando di illudersi o fraintendere tutto.
Ne ricambiò lo sguardo, ma fu colta dalla stanchezza e si portò una mano alle labbra per coprire lo sbadiglio. "Scusami, sono stanca", pigolò con aria infantile.
"Certo", si drizzò e le indicò la camera da letto.
La giovane gli sorrise e si alzò sulle punte per baciarne la guancia: "Ti avrei chiesto di dormire con me”, gli disse con la stessa intonazione allegra e solare, quella punta di schiettezza che era persino più imbarazzante di una lusinga volutamente provocante. “Ma so che non sei come gli altri e mi rispetti. Ed è una cosa che adoro".
Non seppe cosa fosse stato più letale: la tipica semplicità con cui pronunciò quelle parole o il fatto che sembrasse davvero sollevata all'idea che il loro rapporto fosse assolutamente platonico.
"Non c'è problema", bofonchiò, per poi volgersi al divano, con la scusa di preparare il proprio giaciglio con coperta e cuscino. "Allora fai sogni d'oro", le augurò.
"Anche tu", trillò con voce allegra, stiracchiandosi.
Hunter ne seguì l'esile figura, fino a quando non scomparve dietro la porta della propria camera. Solo allora rilasciò un sospiro profondo e si sedette. Persino il suo gatto, seduto sul tavolino da caffè, sembrava guardarlo con aria di profondo compatimento.
Gli fece cenno di raggiungerlo: "Siamo soli io e te, come sempre", sussurrò.
"Micio, micio?", la voce della giovane irruppe nel silenzio del soggiorno e fece capolino con il capo dalla camera.
Il felino, quasi fosse preda di qualche arcano incantesimo, emise un miagolio e, le fusa udibili a distanza, scese con un balzo dalla postazione e si affrettò a raggiungerla.
La porta fu chiusa con un lieve tonfo.
Hunter fissò in quella direzione con aria shockata, prima di sprimacciare il cuscino: un ottimo espediente per prendere a pugni un oggetto inanimato.
"Se ci sarà un'altra vita, spero di rinascere gay e con uno stormo di donne da illudere", borbottò tra sé e sé, cercando una comoda posizione che non gli facesse troppo rimpiangere la cavalleria dimostrata.

~


Sebastian lo percepì appena schiuse l'uscio di casa e la temperatura parve calare bruscamente. Aveva vagabondato per le strade della città, quasi perdendo la cognizione del tempo, la mente che continuava a percorrere dedali di ricordi, mescolando il passato al presente, con l'ombra inquietante di un futuro che si sarebbe realizzato da lì a poche ore. Senza trovare pace: consapevole che, giunto a quel punto, nessuna opzione fosse quella vincente e ne sarebbe comunque uscito sconfitto.
Osservò il soggiorno immerso nel buio e sembrò che quelle quattro mura avessero perso la loro ragion d'essere.
Riuscì ad intuirlo, il cuore in gola e l'eco dei suoi passi a risuonare nei suoi timpani, ma una parte di sé sembrava voler serbare la speranza. L'altra probabilmente aveva bisogno dell'impatto nudo e crudo per poter desistere.
Si sentì soffocare, ma era consapevole di dover affrontare quel momento. Schiuse l'uscio e l'immagine che, negli ultimi mesi aveva perseguitato i suoi sogni più agitati, gli apparve innanzi nella sua crudele realtà.
Una camera spoglia sembrava pronta ad accogliere una nuova persona, una nuova anima. Ogni oggetto di Kurt era scomparso, lasciando un ambiente nudo e senza più vita.
Un solo biglietto, strappato dal block notes dai fogli azzurri, ad attenderlo sul materasso.
I passi per raggiungerlo parvero farne sprofondare il cuore sempre più nella cavità della gabbia toracica.
Gli tremarono le dita, mentre lo dispiegava per scorgerne di nuovo la familiare grafia.

Dormirò in albergo con mio padre: credo sia meglio così.
Non ti biasimerò, se domani non sarai con me.
Mi dispiace,
Kurt.

Mi dispiace, indugiò su quelle due parole: a cosa si stesse realmente riferendo, non avrebbe saputo dirlo. Se al bacio e allo scivolone che aveva compromesso la loro amicizia, o al fatto che lo avesse abbandonato, perché tornasse alla sua vita con Blaine.
Sebastian lo ripiegò, la mascella si contrasse e le labbra tremarono.
Il silenzio parve soffocarlo e premere sulle tempie e su ogni centimetro del suo corpo, facendolo sentire esposto e vulnerabile come non mai. Faccia a faccia con un dolore a cui aveva cercato di sfuggire, senza mai giungere ad una reale risoluzione.
Fuggendo da se stesso e dal passato incapace di perdonarlo.
Perse la cognizione del tempo e lasciò fluire il dolore in versi strozzati che non si prese la briga di nascondere neppure a se stesso.
Si lasciò scivolare lungo la parete, abbracciando con lo sguardo il mondo di Kurt che ormai era soltanto un'immagine scolpita nella propria mente.




To be continued...


Non penso che ci sia un modo corretto di potervi i miei saluti, dopo aver concluso una delle scene più malinconiche che abbia mai dovuto scrivere.
So che saranno molti i vostri dubbi e perplessità circa il comportamento di entrambi che potrà apparire anche incoerente e poco comprensibile. Ma se finora non avete formulato teorie al riguardo, o i riferimenti non sono stati abbastanza chiari, vi invito ad attendere il prossimo capitolo.

Ringrazio di cuore tutti voi che continuate a seguirmi con tanta dolcezza e passione, anche con lo sfogo di un momento più angst, purché sia riuscito a coinvolgervi. Sappiate che cercherò di farmi perdonare e che apprezzo sempre le vostre osservazioni e, perché no?, anche le lamentele. Direi che ve ne siete guadagnati un serio motivo (!).

Un'occhiatina al prossimo capitolo:


“E' la cosa migliore e lo sappiamo tutti: sposerà Blaine e io sparirò dalla sua vita”.
“Sai cosa è davvero triste, più di ogni altra cosa? Non credo che tu sarai mai davvero capace di amare qualcuno, chiunque sia, senza distruggerlo.
Ti manca qualcosa, Sebastian: tu porti solo dolore in chiunque ti ami”.
“Ho il furgone di mio padre parcheggiato poco lontano da qui: puoi ancora rapirlo”.


Non mi resta che ribadire i miei più sentiti ringraziamenti, spero di non avervi troppo intristito, ma sarà un piacere cercare di rimediare, quanto prima possibile :)  Non mandatemi troppe maledizioni, mi raccomando, ho una contrattura alla schiena che mi sta già facendo abbastanza soffrire :P
Un abbraccione a tutti e buon weekend,

Kiki87



1Se la canzone non fosse un ammonimento sufficiente, allora immagino questa sia una buona occasione per informarvi che il capitolo che state per leggere sarà piuttosto malinconico in alcune parti.
Per vedere il brano originale e ascoltarlo: https://www.youtube.com/watch?v=BlW4ecphISc
2Fingerò che questo nomignolo non abbia a che fare con l'esame che sto preparando per Dicembre :D

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Non sono una persona perfetta.
Ci sono molte cose che vorrei non aver fatto.
Ma continuo ad imparare.
Non avrei mai voluto farti questo.
E quindi devo dirti qualcosa prima di andare via:

Quello che voglio che tu sappia è che
ho trovato una ragione,
per cambiare quello che ero solito essere.
Una ragione per ricominciare di nuovo,
e la ragione sei tu.

Mi dispiace di averti ferito,
è qualcosa con cui dovrò convivere ogni giorno.
E tutto quel dolore che ti ho inflitto,
vorrei poterlo portare via tutto,
ed essere quello che caccia via tutte le tue lacrime.

E' per questo che ho bisogno che tu senta:
ho trovato una ragione,
per cambiare tutto quello che ero solito essere.
Una ragione per ricominciare di nuovo.
La ragione sei tu.

Ho trovato una ragione per mostrare
una parte di me che non conoscevi.
Una ragione per tutto quello che faccio.
E la ragione sei tu.
    Reason – Hoobastank1



(Marzo).
Giorno del matrimonio.



Capitolo 12

Le stelle si riflettevano sul fiume esattamente come quella notte, seppur sembrasse passata un'intera vita, quella passata nascondendosi da se stesso. Eppure, al contempo, era come se nulla fosse cambiato nel frattempo. Una crudele illusione che il mondo esterno non avrebbe intaccato quei momenti. Che avrebbero potuto crogiolarsi in quel rifugio e lasciar andare tutto il resto.
O forse bastava osservarlo negli occhi per avere la netta certezza che, ormai, tutta la propria serenità ruotasse attorno a quel viso e che la propria quotidianità fosse ormai forgiata di quel bisogno innegabile. Ma non loro realmente concesso.
Sebastian aveva, infatti, la segreta intuizione che non avrebbe dovuto trovarsi lì con lui, non in quel momento. Che tutto sarebbe finito, lasciandolo nell'amaro disincanto di una perdita irreparabile.
Ed era quello l'istante risolutivo: doveva lasciare che le parole fluissero per dare voce e suono a quel rimescolio di stati d'animo e di pensieri. Era il momento di sentirsi suo e, soprattutto, scongiurare che Kurt diventasse proprio.
"Non puoi sposare Blaine, non te lo permetterò", si sentì dire e mai la sua voce parve più sicura, i suoi pensieri formulati con simile lucidità, mai la sua speranza più sincera.
"Sebastian", fu la stentata replica di Kurt che, in confronto, sembrava divenire più evanescente, il fantasma di sé stesso e il ritratto dell'angoscia. Parve dolorosamente ritrarsi, come se quelle parole lo avessero ferito nel profondo, penetrando e squarciando le sue sicurezze, insozzando una favola dalla quale ancora si lasciava sedurre.
"So che non ti fidi di Blaine e-".
Sebastian gli appoggiò le dita sulle labbra a frenare le parole che già era pronto a pronunciare in difesa del fidanzato. O in difesa di quell'amore che avrebbe voluto fosse proprio.
Scosse il capo e lo osservò con la tranquillità che non aveva mai sentito così intensamente, riflesso di quella nuova linfa di certezza a cui aggrapparsi. Era tale che persino Kurt parve percepirne un'impronta, a giudicare da come sgranò gli occhi in un'espressione di muta sorpresa.
"Non si tratta di Blaine, non ha mai riguardato lui”, ammise con un sospiro e inclinò il viso di un lato e gli occhi di smeraldo parvero scintillare nell'abbracciarne la figura con sincera devozione. “Siamo soltanto io e te", aggiunse in un sussurro più tremulo.
"Sebastian", sussurrò con voce pregna della supplica di lasciarlo andare.
Premette con più decisione le dita sulle sue labbra. "Non puoi sposarlo perché io ti amo”, pronunciò con aria decisa, perché quelle parole potessero fare breccia nell'ultima muraglia frapposta tra loro. A costo di spezzare dolorosamente quel giogo che ancora legava Kurt alla speranza di un amore che non era più quello di cui aveva reale bisogno.
“Non permetterò che tu esca facilmente dalla mia vita”, continuò, ma la sua voce si affievolì e la certezza lasciò spazio ad un margine di comprensiva amarezza nell'osservarlo nuovamente. “A meno che tu non mi dica espressamente che è ciò che desideri per la tua felicità”.
Kurt sembrava vicino alle lacrime, consapevole che, nonostante tutto, sarebbe stata la sua decisione a forgiare le loro vite. Sua l'ultima parola. Se era stato l'amore di Sebastian a compromettere la loro amicizia, soltanto sua la scelta di accettarlo o di perdere tutto.
Il respiro di Sebastian si spezzò: in qualche modo era certo che quella commozione non avesse origine nella gioia, ma dal dubbio e dall'incertezza di affidarsi completamente a lui.
"Ti amo", pronunciò Kurt con voce rauca, come se quella verità lo stesse dilaniando nel profondo, facendo nuovamente sanguinare una ferita aperta.
Sentì il cuore implodere: qual era, allora, la ragione che ancora si frapponeva tra loro? Qual era il reale ostacolo?
"Ma non credo che tu possa davvero amarmi ogni giorno e per sempre", continuò Kurt con il viso lucido delle lacrime che scivolavano sulla pelle diafana, rilucendo alla luce argentea della luna. Eteree gocce di un dolore da cui non avrebbe potuto proteggerlo, se non gli avesse concesso il suo cuore.
Si sentì trafiggere lentamente, nel profondo, squarciare sempre più in profondità. Completamente abbandonato a se stesso, ad un amore non desiderato e non accettato.
"Kurt", lo supplicò con voce strozzata, ma si mosse in avanti, sfidando quella pressione esterna che parve inchiodarlo al pavimento. Cercò di cingerne i fianchi e trattenerlo, ma l'esile figura parve divenire evanescente, perdere consistenza e spessore, mentre i suoi sentimenti divenivano più limpidi.
"Kurt", ripeté con angoscia e lo trasse a sé con cieca disperazione, fin quando, con un sordo frastuono di cocci infranti, si spezzò in mille frammenti.
Annaspò, senza fiato, il cuore in gola e il viso esangue in quel silenzio, infranto soltanto da un sommesso motivetto nella sua lingua madre.
Soltanto allora la vide: la splendida giovane dai fluenti capelli rossi, una spruzzata di lentiggini sugli zigomi, gli occhi di un verde intenso che sembravano ammiccare, da sotto le lunghe ciglia ricurve. Sorrideva. Malignamente divertita. Fu quel gesto a dargli la certezza che avesse assistito all'intera scena con crudele appagamento.
Ne pronunciò il nome con voce incredula e sgomenta, come se non riuscisse realmente a credere che lei fosse davvero innanzi a lui. Come se la sua paura più grande si fosse incarnata in quel volto che aveva riposto in un angolo remoto della sua mente, desiderando soltanto che sbiadisse. E così la sua vita precedente.
Lei si drizzò soltanto a quel richiamo, come se non avesse atteso altro. Piroettò con grazia su se stessa, come la ballerina di un carillon e gli sorrise. Sarebbe apparsa eterea, se il suo sguardo non fosse sembrato bramoso di vederlo soffrire. Si avvicinò con le mani dietro la schiena e un'aria infantile che stonava con quella femminea sicurezza.
"Mon petit Sébastien", sussurrò con voce stucchevole che, tuttavia, fece formicolare la pelle di Sebastian sulla nuca. Quasi come se il suono lo costringesse a guardarsi dentro e sentire l'antico disprezzo di se stesso.
La gola si contrasse dolorosamente, ma strinse i pugni lungo i fianchi e scosse il capo: "Tu non sei reale".
Non parve udirlo, sorrideva con quel malsano appagamento di fronte alla sua angoscia. "Te lo avevo detto", lo ammonì e il sorriso scomparse dalle sue labbra che assunsero una piega dura che rese spaventoso quel viso da bambola. "Tu n'a pas oublié, n'est-ce pas?”, domandò con finta stucchevolezza.
“Che cosa non ho dimenticato?”, le chiese in risposta, aggrottando le sopracciglia e simulando una compostezza che la sua visione aveva infranto.
Lo sguardo verde parve trafiggerlo, ma sorrise nuovamente, quasi soddisfatta nell'aver occasione di rispondere, il viso inclinato di un lato. “Chi non sa amare, non ha diritto di farsi amare”, scandì lentamente, con voce melliflua.
Sebastian si sentì trafiggere nuovamente da una spada invisibile che parve risucchiare tutto il sollievo che aveva provato nell'illusione di forgiarsi una nuova esistenza, lontano da quel fantasma passato.
“Forse potrai di nuovo essere amato”, gli concesse, ma dal sorriso sembrava schernirlo o comprendere che ciò non avrebbe fatto la differenza. Indicò il punto in cui il giovane che aveva stretto tra le braccia, era scomparso. “ Ma tu non porterai che distruzione e dolore", spiegò con una scrollata di spalle.
E rise, uno scampanellio gradevole al suono che parve echeggiare in quel silenzio circostante.

Schiuse gli occhi e si drizzò con il busto, il respiro affannato e gli occhi lucidi mentre le immagini del sogno svanivano lentamente di fronte a lui. Si aggrappò alle lenzuola con forza spasmodica, il capo chinato e il respiro affannato, come se fosse reduce di una corsa folle e insensata.
Si lasciò nuovamente cadere sul materasso, quasi tremante, gli occhi sbarrati nel contemplare le prime luci dell'alba, come un beffardo monito che il mondo esterno non si sarebbe mai fermato, per quanto lo avesse desiderato.
Persino quell'alone di vaniglia sembrava soltanto prodotto del suo ricordo, una traccia di Kurt che era più distante che mai. Il giorno del suo matrimonio.

~

Riusciva a percepire il suo sorriso, anche se ancora non aveva schiuso gli occhi: era come se quella sua serenità emanasse delle vibrazioni impossibili da ignorare. Erano avvolti in un piacevole torpore, persino il picchiettare della pioggia contro i vetri appariva un elemento scenico voluto. Il silenzio era interrotto soltanto dai loro respiri rilassati.
Sentiva la carezza dei suoi lunghi capelli sulla pelle nuda mentre, la risatina soffusa e complice, prendeva a baciarne la gota con tocco umido e vezzoso, scivolando languidamente verso il collo. Sebastian sospirò, senza neppure schiudere gli occhi, le sopracciglia inarcate e il sorriso beffardo ad increspargli le labbra.
"Che stai facendo?", le chiese senza scomporsi.
"Lo sai", sussurrò in risposta.
Si costrinse ad aprire gli occhi, e ne intrecciò lo sguardo suadente ed allusivo, mentre simulava un'espressione innocente che stonava incredibilmente con quella sicurezza femminea che traboccava anche da un sorriso di saluto.
Ma qualcosa nel suo sguardo mutò repentinamente e un piccolo cipiglio apparve sulla fronte liscia.
Séline restò in attesa, osservandolo dritto negli occhi, come se ancora qualcosa mancasse a suggellare quei momenti. A dare loro una fisionomia ben precisa e desiderata.
Era in quelle occasioni che Sebastian era solito drizzarsi e rivestirsi per allontanarsi e tornare alla propria abitazione. Porre nuovamente le distanze, per non sentirsi più compresso e imprigionato. Era nella consapevolezza che tutti già immaginavano la sua vita futura con la giovane, che si sentiva opprimere da un peso indicibile all'altezza del petto. Una vita già scritta, alla quale credeva di aver aderito, ma che non sembrava essere realmente propria.
La sua amica d'infanzia, il suo primo bacio, il suo primo approdo all'amore. Bellissima, sensuale e provocante, intelligente e scaltra, non c'era bisogno che lei parlasse per capire ciò che provava. O come aveva vissuto l'evolversi del loro rapporto, fino ad approdare all'intimità di coppia.
Ma, nel profondo di se stesso, vi era quella verità sopita che Sebastian non riusciva a confutare, tanto meno accettare. Seppur la giovane ne intuisse la distanza, non sembrava realmente mettere in dubbio che le loro aspettative future potessero non convergere.
Più volte Sebastian si sorprendeva a domandarsi che cosa ci fosse di sbagliato: perché a quel calore corporeo non corrispondesse un turbamento interiore che andasse oltre lo spasmo di piacere.
Lo percepiva ancora più intensamente, quando la giovane lo guardava in quel modo, consapevole che quelle parole non gli avrebbero mai sfiorato le labbra per darle la certezza di cui disperava. Ciononostante lei non demordeva dall'esplicitare il suo stato d'animo, guardandolo dritto negli occhi. Quasi sperando che la sua dichiarazione potesse scalfirlo e cambiare le cose. Quasi arrogandosi la pretesa di poter esercitare una terapeutica pressione che rinsaldasse il loro rapporto.
Una vana speranza a cui lo stesso Sebastian si era aggrappato, quasi con bisogno spasmodico di assicurarsi di non essere manchevole in qualcosa.
Séline si era scostata dal suo petto, inclinando il viso di un lato e parve volerlo nuovamente legare a sé, evidentemente incapace di fare breccia tra i suoi pensieri.
"Sébastien", lo richiamò a mo' di monito.
Scosse il capo, ma lei non si arrese: parve volerlo trafiggere con lo sguardo, anziché vezzeggiarlo. "Je t'aime", sussurrò con un impeto di orgoglio nel volere che quel sentimento potesse realmente intaccarlo ed essere sufficiente ad entrambi.
"Lo so", sussurrò in risposta, ma si drizzò come se quelle parole, anziché avvicinarli, creassero un ulteriore divario tra loro. Come se quel desiderio, che ben intuiva, di legarlo a sé, fosse la prigione da cui liberarsi.
Raccolse frettolosamente i jeans e cominciò a rivestirsi, sentendone lo sguardo sulla pelle nuda, ma la ignorò. Si voltò soltanto quando fu completamente vestito.
Séline non aveva smesso di guardarlo, giocherellando coi capelli lasciati sciolti sulle spalle. "Oui, tu le sais", ripeté tra sé e sé.
Non vi era sorpresa, né recriminazione, soltanto quieta consapevolezza, ma Sebastian la conosceva abbastanza da sapere che non avrebbe mai pianto in sua presenza. E che avrebbe lottato con tutta se stessa perché quel dolore restasse taciuto e seppellito, come quell'insoddisfazione che lui custodiva gelosamente, cercando un modo di colmare un vuoto di origine incomprensibile.
"Devo andare”, disse in tono spiccio, indossando la giacca e cercando le chiavi dell'auto. Schiuse l'uscio della camera, ma le concesse un ultimo sguardo, il viso inclinato di un lato.
Ti chiamerò dopo".
"Oui", rispose senza guardarlo e soltanto in quel momento, con placida lentezza, si rivestì.
Ma sapevano entrambi che non lo avrebbe fatto, che sarebbero tornati ad una quotidianità che talvolta avrebbe incluso risvolti più sensuali. Ma nulla di più.
Il pensiero non gli risparmiò il senso di colpa, mentre scendeva rapidamente le scale, pur certo che la giovane non si sarebbe scostata da lui, non fin quando non fosse stata pronta a farlo.
"Salut, Sébastien".
Nonostante non lo stesse guardando, perché era seduto di spalle sulla poltrona del soggiorno, Sebastian riuscì facilmente ad immaginarne il sorriso all'averne riconosciuto i passi. O all'aver intuito facilmente che Séline non fosse sola in casa.
Sebastian si fermò, le mani conficcate nelle tasche dei jeans, in attesa che Pierre si voltasse per incrociarne lo sguardo. Soltanto allora gli rivolge un breve cenno del mento.
I capelli biondi, lievemente ondulati, lo stesso sorriso suadente della sorella, ma lo scintillio quasi ipnotico degli occhi grigi. Giacca e cravatta, l'aria da viziato figlio di papà e tracotante e futuro magnate dell'industria. Sorrideva mellifluo, mentre allacciava l'ultimo bottone della giacca.
Inclinò il viso di un lato, dopo aver gettato un'occhiata ironica alla rampa di scale che conduceva alle camere da letto.
Posso offrirti un drink?”, indicò il mobile bar lussuoso.
Me ne stavo andando”, rispose con una scrollata di spalle.
Pierre annuì, ma indicò l'uscio con il bicchiere che si era appena riempito.
"Puoi uscire dall'ingresso", gli disse con aria composta, ma una piega beffarda delle labbra.
Sebastian ne ricambiò il sorriso, per nulla intimidito. Scrollò le spalle: "L'auto è più vicina", alluse all'altra uscita.
Pierre ridacchiò, ma si avvicinò abbastanza per osservarlo in viso, umettandosi le labbra dopo aver sorseggiato dal proprio bicchiere. Inarcò le sopracciglia ed indicò con il mento uno sbafo sulla sua guancia.
"Hai una macchia di rossetto", lo informò come se la constatazione lo divertisse. In un modo che Sebastian non riusciva a comprendere, ma che gli parve insopportabile.
Esibiva una sicurezza, guardandolo, che lo irritava enormemente: quasi si dilettasse nel cogliere la sua confusione e ciò gli fosse fonte d’indicibile piacere. Quasi avesse compreso qualcosa sul suo conto, ma non ritenesse opportuno renderglielo noto.
"Lo so", rispose secco, come a voler ribadire la propria indifferenza all'alone di superiorità con cui lo scrutava.
Pierre sollevò le mani, profondendosi in una breve risatina compiaciuta. Si strinse nelle spalle, ma lo studiò attentamente, da sopra il proprio drink.
"Come preferisci", gli concesse con sussiego. Un'ultima occhiate beffarda e si voltò, come se la sua presenza gli fosse divenuta indifferente.
Sebastian s’impose di ignorarlo e superò rapidamente il soggiorno, imboccando la portafinestra.
Sentì il suo sguardo addosso fin quando non uscì dal cancello e fu certo di essere scomparso dalla sua vista. Si lasciò affondare sul sellino della propria auto e richiuse la portiera con un gesto secco, affrettandosi a girare le chiavi nel motore.
Soltanto quando fu fermo di fronte al semaforo, con un gesto secco, si sfregò via la macchia colorata.
Avrebbe voluto poter estinguere altrettanto facilmente la sensazione di essere stato marchiato ben più in profondità. E non da Séline .

~


Si strofinò il viso con energia, quasi sperando che con l'acqua potesse far scivolare via anche i residui di stanchezza e i pensieri che gli martellavano le tempie. O, meglio ancora, annullare del tutto le sue capacità di formulare pensieri e rievocare il volto del giovane o quell'unico bacio la cui impronta sulle proprie labbra sembrava indelebile.
Aggrottò le sopracciglia, quando percepì i tonfi energici alla porta d'ingresso e si affrettò a percorrere il corridoio, il cuore in gola, malgrado fosse certo che non avrebbe incontrato lo sguardo di Kurt, quando avrebbe schiuso l'uscio. Se si fosse trattato di Clarington (e sperava che la bionda scervellata lo tenesse impegnato, anche se platonicamente) si sarebbe limitato a sbattergli la porta in faccia, magari dopo avergli gettato addosso un vaso.
Inarcò le sopracciglia e schiuse le labbra in una smorfia di autentica sorpresa, alla vista dell'uomo.
Seppur fosse la prima volta che Burt Hummel si trovava di fronte a quell'appartamento, non si sembrava affatto a disagio: le mani conficcate nelle tasche del panciotto (immaginò che fosse la "divisa" da meccanico, nonostante il suo recente impiego al Congresso), lo guardò con aria grave. Borbottò un secco: "Allora, mi fai entrare?".
Si scostò, ancora con espressione palesemente sorpresa: il fatto che non fosse munito di fucile e che non lo avesse già attaccato al muro, sembrava promettere una conversazione civile. Ma qualcosa gli diceva che quell'unico bacio non sarebbe rimasto un segreto tra lui e Kurt.
"Gradirei qualcosa di forte da bere", gli fece presente Burt che, senza attendere invito, si sedette sulla poltrona e Sebastian osservò come vi fosse sprofondato con naturalezza, quasi vi fosse stata persino una sua impronta ad attenderne l'arrivo.
Inarcò le sopracciglia, un vago sorriso divertito, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni: "Sono le nove del mattino", commentò in risposta.
Burt si accigliò, distendendo le braccia sui braccioli, occhieggiandolo con aria spazientita: "Sarà una giornata lunga e sarò costretto infilarmi in uno smoking”. Aggiunse, come se quel dettaglio fosse una giustificazione più che plausibile a quel bisogno di distendersi.
Il sorriso di Sebastian si estese: malgrado la circostanza, doveva constatare di apprezzare il carattere dell'uomo. Il modo in cui non si slanciava in parole accorate o formule di cortesia, ma senza troppi fronzoli esprimeva la sua opinione, anche quando essa fosse stata poco gradita al proprio interlocutore. Dall'aspetto rude, come un orso selvatico, ma dal cuore tenero, pur con degli ideali saldi per i quali era irremovibile, ma non per questo cieco alle esigenze del figlio e al suo bisogno di essere protetto.
"Il mio barista di fiducia ha la giornata libera", rispose con un lieve accenno di ironia.
"Dammi il whisky che cerchi inutilmente di nascondere a mio figlio e siediti, ragazzo”, lo apostrofò con una nota di impazienza al suo indugiare, indicandogli il divano con un gesto eloquente, malgrado lui fosse l'ospite a sorpresa. “Il tempo stringe e non sono venuto qui per niente".
Sebastian sospirò, ma si affrettò a riempirgli un bicchiere pulito (si era irrigidito alla menzione a Kurt e ad una quotidianità così vissuta da conoscere i suoi nascondigli) tuttavia storse il naso all'aroma familiare e si limitò a porgerlo all'uomo, prima di sedersi e incrociare le braccia al petto.
Burt sorseggiò il liquido tutto di un sorso e si sporse verso di lui, affondando i gomiti sulle ginocchia e sostenendosi il mento con le mani. "Ho delle domande da farti e voglio che tu mi risponda sinceramente", inchiodò il suo sguardo al proprio, somigliando vagamente ad un mastino.
Sebastian sbatté le palpebre, ma si strinse nelle spalle. "Non deve preoccuparsi: non ho intenzione a venire al matrimonio e tanto meno di creare caos", commentò come se ciò fosse sufficiente a porre fine a quella visita.
Burt parve ignorarlo e iniziò la sua esamina: “Eri contrario alle nozze, da quando Kurt ti ha annunciato il fidanzamento”, esordì, ma non parve essere una domanda.
Sebastian inarcò le sopracciglia, ma non si scompose: "Sì", rispose e, suo malgrado, dovette ammettere che sembrava qualcosa di liberatorio poter parlare senza doversi censurare. Senza alcun bisogno di cercare di compiacere il padre del ragazzo amato, consapevole che non avrebbe fatto la differenza.
"Non ti piace Blaine", continuò l'adulto con la stessa intonazione indagatrice, ma niente affatto oltraggiata.
Increspò le labbra in un sorriso quasi ironico: "No, mai piaciuto", asserì con la medesima tranquillità.
L'uomo si tolse il cappello, quasi cominciasse a sentire la tensione di quel dialogo e il crescendo della gravità della situazione. Sospirò, ma ne sostenne lo sguardo e parve persino sporgersi in sua direzione: "Tu non credi che lui sia l'uomo adatto a mio figlio".
Sebastian storse le labbra: suo malgrado, quel pensiero non era consolatorio. “Per niente”, ammise per poi scuotere il capo. “Ma la cosa più grave è che non credo che Kurt lo sposi per il motivo giusto e, in fondo, credo che lo sappia anche lui".
Burt mosse bruscamente il capo, una parte di Sebastian ebbe persino l'impressione che condividesse il suo stesso dubbio, ma non ritenesse opportuno esprimere un'opinione personale.
Si ritrasse sulla poltrona, quasi avesse necessità di rilassarsi un breve istante, prima di continuare a sondare il suo stato d'animo con quelle domande dirette. Si puntellò con un gomito sulla poltrona, guardandolo di traverso.
"Hai baciato mio figlio la vigilia del suo matrimonio".
Per la prima volta da che il dialogo era iniziato, Sebastian distolse lo sguardo e deglutì a fatica. Non riuscì a guadarlo negli occhi, nel rispondere, con voce più flebile: "Me ne pento".
Ancora una volta Burt parve ignorare le implicazioni personali, ma lo guardò con aria più seria che mai, nel pronunciare l'ennesima domanda: "L'hai fatto per mandarlo in confusione?".
Era evidente dal suo tono e, dal modo in cui lo stava guardando, che non avrebbe ammesso una risposta diversa dalla verità, tanto meno un accenno d’ironia o un tentativo di sminuire l'importanza del gesto o i sentimenti che lo avevano animato.
"No”, asserì Sebastian con decisione, guardandolo con le sopracciglia aggrottate. “L'ho fatto perché lo desideravo”, ammise e la sua voce ne tradì il tremore al ricordo di quel contatto appassionato e quel bisogno di cui era intriso. Una parte di sé ancora desiderava poter essere morto in quell'istante. “E da molto più tempo di quanto penso che suo figlio abbia mai sospettato”, parve aggiungere, più a beneficio di se stesso che dell'uomo che aveva di fronte.
Il cipiglio di Burt parve attenuarsi, ma sembrava confuso. "Ma ti sei tirato indietro". Di fronte al sopracciglio inarcato di Sebastian, annuì. "Kurt mi ha raccontato tutto", disse senza palesare un personale giudizio su tutta la questione.
Sebastian sospirò, con la stessa esasperazione a cui era giunto nelle conversazioni più sfibranti con Clarington. Eppure non riusciva a cacciare l'uomo o sfuggire al suo evidente bisogno di risposte sincere. Ciò che li univa era l'amore per la stessa persona e la preoccupazione per la sua felicità. “Sì”, rispose storcendo le labbra.
Per la prima volta, l'espressione di Burt Hummel palesò una sorta di rimprovero: "Non avevi le palle di andare fino in fondo?”, parve volerlo provocare in tono spiccio e senza particolare remora a ricorrere ad un linguaggio più colorito.
Sebastian lo guardo quasi irritato dall'accusa: "Perché lo deluderei prima o poi”, commentò in tono secco, a testimonianza che la scelta fosse soprattutto per il bene di Kurt. “E so che allora rimpiangerebbe di non aver sposato il cosiddetto amore della sua vita”, sottolineò ironicamente quelle parole. “ E io non potrei vivere con questo suo rimpianto”.
Burt lo guardò a lungo, prima di esporre l'ennesima domanda, quasi si ritenesse abbastanza soddisfatto dalla prima parte di quell'interrogatorio. Ma c'erano evidentemente ancora dei punti chiave da affrontare per capire la complessità di quel rapporto.
"Non credi che mio figlio potrebbe amarti come desideri?”.
Sebastian cercò di scacciare quel molesto il pensiero, quella segreta domanda che talvolta si era posto, in quelle rare occasioni in cui si era permesso di crogiolarsi dell'idea che Kurt potesse sceglierlo.
"Non credo che possa neppure pensare d’amare qualcuno diverso da Blaine", ammise con un sorriso amaro. “Non come ha creduto di amare lui almeno”.
“Stronzate”, borbottò Burt in risposta, questa volta probabilmente ritenendo opportuno condividere la sua impressione al riguardo. Si sporse di nuovo in sua direzione: "Non ti avrebbe permesso di baciarlo, se così fosse e non avrebbe pianto su questa spalla”, la indicò con un cenno del mento. “Parlando di te, solo e soltanto di te. Si sentirebbe molto più in colpa e credo che ne sarebbe pentito".
Suo malgrado, Sebastian non poté controllare quel brivido lungo la spina dorsale e quell'aritmia improvvisa. Seppur non avessero mai parlato così intensamente come in quel frangente, non esitava affatto a fidarsi del giudizio di Burt che non aveva alcun motivo per mentire, ma tutte le ragioni per desiderare il meglio per Kurt. Persino più di lui. In modo meno egoistico e più puro.
E per un istante, distolse lo sguardo e cercò di ignorare quel prurito al bordo degli occhi, ma riuscì a sorridere al ricordo di come il giovane stesso si fosse aggrappato a quel bacio, con altrettanto slancio e bisogno, con la stessa disperazione.
Ma non poteva ignorare quella verità sopita nel profondo di se stesso.
Scosse il capo, come a voler cacciare le parole di Burt, di certo l'ultimo da cui si sarebbe mai potuto aspettare di essere spronato ad un intervento in extremis nella vita sentimentale del figlio.
"E' la cosa migliore e lo sappiamo tutti: sposerà Blaine e io sparirò dalla sua vita".
Burt continuò a scrutarlo e Sebastian riconobbe nel suo sguardo la stessa arsura di Kurt, la stessa testardaggine nel voler sondare nella profondità dei suoi pensieri, la stessa decisione nel voler conoscere la verità, piuttosto che continuare a cozzare nell'incertezza e nel dubbio.
L'uomo sospirò, ma parve giungere a qualche silenziosa conclusione.
"Ho un'ultima domanda e poi me ne andrò e tu potrai decidere di fingere che questo dialogo non sia mai avvenuto”, gli annunciò e Sebastian annuì, come a prestare il proprio consenso a quelle condizioni pattuite.
“Ami mio figlio? Più di ogni altra cosa al mondo? Più di te stesso e delle tue certezze?".
Non esitò: si era aspettato quella domanda e la risposta che gli avrebbe fornito era l'unica ragione valida per quella conversazione. Perché a poche ore dal matrimonio, quando soltanto gli ultimi dettagli dovessero essere definiti, tutto sembrava tutt'altro che certo.
L'unica verità che non avrebbe disconosciuto, a discapito di se stesso. L'unica capace di distruggerlo nel profondo e nel disprezzo di se stesso.
"Sì".
Burt non parve dubitare di quella risposta, ma lo sguardo non gli risparmiò il rimprovero che ci si sarebbe potuti attendere da una persona avvezza ad esprimere i propri pensieri, senza troppi giri di parole. "Se lo ami come dici, dovresti cominciare ad agire come un uomo", sottolineò.
Sebastian si concesse un sorriso amaro, per nulla irritato da quell'osservazione pungente, quasi una rea confessione. "Non ho mai detto di essere l'uomo adatto a lui”, confessò e la voce ne tradì il suo reale sconforto. “Non credo di essere l'uomo adatto a nessuno".
"Qualcuno non sarebbe d'accordo", fu la secca risposta.
Burt Hummel si alzò, dopo aver appoggiato il bicchiere vuoto sul tavolino: evidentemente avendo raccolto le informazioni che riteneva necessarie, parve in procinto di allontanarsi e, come aveva annunciato, con la risoluzione a fingere che quell'incontro non fosse mai avvenuto.
Tuttavia si volse di nuovo a guardarlo, come il padre dello sposo, evidentemente preoccupato della sua futura serenità. "Se credi di poterlo rendere felice come merita, o almeno provarci, mi aspetto che tu agisca di conseguenza, tanto più se credi che questo matrimonio gli causerà dei rimpianti”.
Sospirò e scosse il capo e, mentre indossava di nuovo il suo berretto, parve realmente spossato da quella conversazione e da tutte le sue implicazioni. “Diavolo, non ho mai visto un matrimonio con così tanti problemi, ancora prima di essere celebrato".
Sebastian si alzò, il viso inclinato di un lato e l'aria genuinamente sorpresa per lo sprono indiretto che era riuscito a cogliere nelle domande che si erano succedute e nel tentativo di palesargli i sentimenti di Kurt. "Non pensa a suo figlio?".
Burt lo guardò quasi risentito della domanda e, al contempo, con quell'implicito incoraggiamento che non avrebbe pronunciato a voce alta: "Perché sarei venuto fin qui, altrimenti?", domandò in tono secco.
Sebastian scosse il capo: "Lei non mi conosce", parve voler protestare perché non dovesse deludere le aspettative di qualcun altro. Perché non dovesse, ancora una volta, smentire il suo stato d'animo ed essere punito da un altro sguardo di biasimo.
"Conosco mio figlio e conosco la paura di non essere abbastanza per chi si ama”, la sua mano sfiorò impercettibilmente l'anulare su cui ancora spiccava il segno di una fede che aveva indossato per molto tempo. E Sebastian ricordò le parole di Kurt e quanto lui stesso si fosse sorpreso per l'abbinamento così apparentemente insolito tra Elizabeth e Burt Hummel.
L'uomo si schiarì la gola e si volse bruscamente, camminando verso l'uscita.
“Sto uscendo, Sebastian: questa conversazione non c'è mai stata”.
Soltanto quando si chiuse la porta alle spalle, Sebastian si lasciò nuovamente cadere sul divano e socchiuse gli occhi, portandosi le mani al viso.

~



Riuscì abbastanza abilmente ad ignorare il senso di colpa per aver mentito a Séline : una parte di sé aveva sperato che, continuando a disdire gli appuntamenti con sempre maggiore frequenza, avrebbe potuto indurla a prendere le distanze o suggerire una pausa di riflessione. Ma più intensamente cercava di sfuggirle e più lei sembrava avvincerlo a sé.
Scosse il capo ed entrò nel pub con la sola intenzione di non pensare più a nulla e lasciarsi andare.
Non erano mancate occhiate languide in sua direzione, qualche flirt senza significato che non si era spinto oltre un ballo su note più sensuali. Non era Séline il problema ed era una verità che continuava a macerare in sordina, ma che non riusciva completamente ad accettare.
Si sedette al bancone del bar, rimirando la sua birra con sguardo assorto; era fin troppo consapevole che divenire un habitué dei pub avrebbe soltanto alleviato temporaneamente quel fremito interiore. Ma reso, poi, il senso di colpa persino più gravoso, soprattutto se, sotto l'influenza dell'alcol, non fosse riuscito a trattenersi.
"Credevo che fossi indisposto", gli giunse il fiotto caldo del suo respiro sulla pelle sensibile del collo e fremette involontariamente.
Si volse per scorgere Pierre che, l'ennesimo completo elegante, sembrava quasi fuori posto, ma rivolse alla barista un ammiccamento e le disse soltanto “Il solito”, prima di sedere al proprio fianco. Soltanto allora gli rivolse il suo sorriso più mordace e lo sguardo parve scintillare in un modo che costrinse Sebastian a distogliere lo sguardo e ingollare la bibita fresca, pulendosi poi le labbra con il dorso della mano.
Non vi era stata un'incrinatura di biasimo nella voce, neppure di sospetto. Non che si fosse mai dimostrato particolarmente protettivo nei confronti della sorella e della sua vita sentimentale.
Sentendone ancora lo sguardo addosso, e non volendo dargli alcuna soddisfazione di saperlo a disagio, si strinse nelle spalle. "Ora non più", fu la sfacciata risposta.
Lo sguardo dell'altro parve persino dardeggiare più intensamente e, sorseggiando il suo drink, gli sfiorò il gomito con il proprio, in una maniera che a Sebastian parve davvero poco casuale, mentre emetteva la sua risatina roca. Lo stava ancora guardando, mentre assaporava lentamente il suo drink, prima di umettarsi le labbra. Le pupille parvero ingrandirsi in quella penombra aromatizzata al luppolo.
"Mi piaci, Sebastian", commentò dopo un lungo istante di silenzio, le labbra presto increspate in un sorriso beffardo, ma lo sguardo che non ne lasciava il profilo, quasi potesse sfiorare ogni singolo neo che ne punteggiava la gota. Quasi potesse sondare in profondità, dandogli la netta sensazione di essere denudato.
Sebastian cercò di ignorare quel piacevole brivido all'idea d’essere oggetto di simile contemplazione (qualcosa che andava oltre il mero narcisismo), e la gola parve seccarsi, ma il suo viso parve una maschera a dissimulare il reale nervosismo.
Era come se quelle sue provocazioni non fossero più soltanto inferte con lo scopo di metterlo a disagio, come se lo stendardo potesse essere tolto. Era certo che quelle parole avessero quel significato. Ma, a differenza dell'altro, non riuscì a sorriderne o sentirne un sollievo.
Al contrario, parvero accrescere quell'inquietudine e, se non fosse stato il proprio orgoglio a rimetterci, avrebbe desiderato allontanarsi e il più rapidamente possibile.
Il sorriso non scemò neppure di fronte al prolungato silenzio di Sebastian, ma Pierre non parve dispiacersene o biasimarlo per ciò. Distolse lo sguardo, finì di bere e restò silenzioso per un lungo istante, soltanto il lieve cipiglio sulla fronte parve tradirne la concentrazione. Volse, infine, uno sguardo annoiato al locale, come a studiarne gli avventori. Sorrise nuovamente a Sebastian, come se lo scorgesse soltanto in quel momento, il viso inclinato di un lato: "Trovato quello che cercavi?", gli chiese con intonazione più vellutata, realmente incuriosita.
Chiunque avrebbe potuto pensare che si riferisse alle giovani che stavano ancora ballando in pista, ma non Sebastian. Se una parte di sé avrebbe voluto ancora allontanarsi dal giovane e dal suo sguardo pressante, l'altra parve incapace di realizzare quel proposito. Una parte di sé, per quanto gli fosse difficile ammetterlo, desiderava comprendere dove quel gioco di provocazioni li avrebbe condotti. Che cosa desiderasse davvero e se ciò, soprattutto, potesse confutare i suoi dubbi.
Vi era inoltre lo scintillio suadente nello sguardo dell'altro, la cocente umiliazione all'idea che Pierre avesse capito, persino prima di lui e non si facesse alcuna remora a riguardo. Ma non vi era neppure giudizio o ironia. Mera e semplice curiosità e un'intesa che Sebastian avrebbe voluto ignorare.
Scrollò il capo, si rimise in piedi ed indossò la giacca di pelle.
L’altro lo imitò, lasciando sul bancone una banconota sufficiente a pagare le bibite di entrambi.
Si lasciò il lungo cappotto elegante, giocherellando con le chiavi e inclinando il viso di un lato nello scrutarlo. Indugiò un solo istante, prima di parlare nuovamente: "Ti accompagno a casa", gli propose.
Un brusco cenno d'assenso da parte di Sebastian: non gli avrebbe mostrato quanto fosse insicuro di sé, quanto sentisse quel rimescolio interiore, non gli avrebbe dato la soddisfazione di percepirne il celato timore. Neppure quel brivido del tutto nuovo a cui si stava spasmodicamente aggrappando alla ricerca di quel qualcosa che sembrava sempre mancare nella sua vita.
Non avrebbe chinato il capo di fronte a lui e forse, dopotutto, era pronto ad affrontare l'eventualità ignorata a fatica per troppo tempo.

~


Era una visione dolorosamente meravigliosa a cui, suo malgrado, non avrebbe voluto apporre alcuna resistenza mentre, ancora ignaro della sua presenza, Kurt si rimirava nell'ampio specchio della suite del Plaza Hotel.
Il cuore si era contratto dolorosamente alla visione del magistrale allestimento che aveva trasformato Central Park in una location da cerimonia.
Poteva soltanto immaginare quanto l'altro potesse dirsi orgoglioso del vedere realizzato il frutto della sua creatività, dei suoi sogni romantici e di un progetto in cui aveva fantasticato fin da quando era soltanto un bambino.
Rachel Berry appariva raggiante, quasi fosse stata lei la protagonista del giorno (e non dubitava che avrebbe dominato il palco, contendendoselo solo con la Mezza SegAnderson), mentre gli svolazzava attorno, apparentemente incapace di contenere la sua gioia. Sembrava che Kurt Hummel, dopotutto, non sarebbe stato l'unico a coronare le sue idilliache fantasie.
"Dieci minuti", le sentì dire con uno squittio eccitato, mentre lisciava la camicia dell'amico che sembrava vittima di un mutismo e di una calma davvero irreali per il momento che stava vivendo.
Sebastian sentì il respiro venir meno. Fu allora che Rachel catturò il suo sguardo: se anche dubitava che qualcuno al di fuori di Burt Hummel fosse a conoscenza degli ultimi avvenimenti, lesse biasimo e sospetto nella sua espressione risentita.
La ignorò, si volse per uscire, nello stesso momento in cui i genitori dello sposo apparvero, evidentemente per gli ultimi accorgimenti. L'uomo non disse nulla, ma con voce eloquente si rivolse a Rachel per informarla che il celebrante avrebbe gradito rivolgerle qualche parola, prima dell'inizio della funzione. Rivolse un cenno a Sebastian e si chiuse la porta alle spalle, quasi in ulteriore ed implicito invito a non perdere l'occasione.
Kurt non parve accorgersi di nulla, ancora impegnato a rassettare la cravatta e le maniche della giacca, probabilmente espedienti quotidiani per non farsi (troppo) sopraffare dal panico. Ma sembrava a malapena consapevole di ciò che lo circondava e Sebastian strinse i pugni e avanzò in sua direzione. Arrivò alle sue spalle e ne osservò la figura lentamente, quasi a voler fermare quel momento.
"Sei bellissimo", sussurrò al suo orecchio e non provò neppure a controllare il lieve tremore della sua voce. Lo sentì sussultare e Sebastian si prese un lungo istante ad inspirarne il profumo alla vaniglia e dirsi che Kurt era realmente lì, ancora vicino e che avrebbe potuto ancora cambiare le cose.
"Sebastian!", esclamò Kurt che si voltò, gli occhi sgranati come se non riuscisse a credere di trovarselo davvero di fronte. La sorpresa non sembrava averlo turbato, ma continuava ad osservarlo, quasi fosse timoroso che potesse scomparire da un momento all'altro: aveva allungato le braccia, come se avesse desiderato cingerlo. Anche se non compì quel gesto, la consapevolezza che non lo odiasse davvero, fu più di quanto Sebastian potesse sperare. "Non credevo che-".
"Neppure io", ribatté, sforzandosi di mantenere la calma. "Ancora non so davvero perché sono qui", ammise e la sua voce ancora una volta ne tradì l'esitazione e il bisogno di trovare proprio in Kurt quella sicurezza di cui sembrava disperatamente mancare.
Kurt scosse il capo e ricoprì la distanza: lo sguardo azzurro parve volerlo inchiodare sul posto, nonostante la sua voce apparve come un flebile sussurro: "Ho bisogno che tu lo dica".
Sebastian lo guardò con un misto d’amore e di puro e semplice terrore: di confutare quanto ormai le loro vite fossero intrecciate l'una all'altra, quanto sarebbe stato semplice pretendere egoisticamente di farlo proprio ed impedirgli di vivere la vita che aveva sognato fino a quel momento.
"Non posso", ma pareva lui stesso supplicarlo di non indurlo a cedere, ma permettergli di lasciarlo andare.
"Sebastian, si suppone che tra dieci minuti io sia all'altare”, gli fece presente con un fremito nello sguardo. Di impazienza e di esasperazione. “Non c'è più tempo".
Sebastian distolse lo sguardo, un sorriso amaro, mentre scuoteva il capo, cercando di liberarsi da quelle parole che continuavano a vorticare nella sua mente, come una condanna senza fine.
"Dirtelo non cambierebbe le cose".
Lo sguardo azzurro lampeggiò e si fece più lucido, le sue labbra tremarono, ma scosse il capo: "No, non se non lo vuoi davvero", parve supplicarlo di dare voce a quelle parole per il bene di entrambi, di marchiare quella realtà in modo indelebile.
Con devozione ed amore, lo carezzò con lo sguardo, indugiando sulla pelle diafana, quelle efelidi nascoste al mondo, come fossero difetti estetici. Ogni sfumatura di quello sguardo limpido in cui era tanto semplice scorgere lo stato d'animo ed inclinò il viso di un lato. "L'hai sempre saputo", sussurrò Sebastian senza fiato.
Kurt distolse lo sguardo, come se ciò gli fosse fonte di indicibile dolore, ma lo guardò con quell'aria di rimprovero che gli aveva rivolto il primo giorno: "Dimmelo, Sebastian, dimmi perché non dovrei andare avanti con tutto questo”, si tolse il cappello con un gesto quasi irritato.
Ma Sebastian lo prese delicatamente, lo carezzò tra le dita con un sorriso insieme tenero ed accorato, prima di apporlo nuovamente sul suo capo, ben attento a non sfiorarne la pelle, probabilmente timoroso che allora non sarebbe più stato in grado di lasciarlo andare.
"Dovresti sposarlo”, sussurrò, tuttavia incapace di guardarlo in viso. “ Potrà non essere perfetto, ma ti resterà accanto e questa volta non ti ferirà".
Kurt scosse il capo, con evidente stizza, ma si voltò, come se non ne sopportasse più la vista, guardandolo attraverso il riflesso mentre, con dita tremanti, si fingeva concentrato nel lisciare la giacca da pieghe invisibili. Un gesto così quotidiano che ironicamente gli avrebbe ricordato l'inizio della fine.
"Perché sei qui?”, gli chiese con voce stizzita. “A ripetere cose che chiunque direbbe contro di te?”.
Sebastian sospirò, ma si avvicinò abbastanza per inspirarne il profumo, pur timoroso di allungare le braccia e cingerlo un'ultima volta.
"Voglio che mi prometti che sarai felice".
Una lacrima scivolò lungo la gota di Kurt, ma si voltò bruscamente, senza guardarlo, muovendosi verso l'uscita, come se non riuscisse neppure più a respirare in sua presenza.
"Questo eroismo è francamente fuori luogo”, commentò freddamente. “E ora, se vuoi scusarmi, devo andare a sposarmi”.
Sebastian deglutì a fatica, incapace persino di sussurrarne il nome, contò i passi necessari perché uscisse da quella porta. Perché le parole mai pronunciate riecheggiassero nel profondo di se stesso.

~


Non era stato romantico, nulla di lontanamente simile a ciò che si sarebbe potuto definire tale. Ma aveva da tempo superato l'illusione delle favole e delle farfalle nello stomaco.
Ma non aveva mai provato nulla di simile per la giovane che gli era stata accanto da che era nato. Era come se quella parte di sé più latente fosse finalmente sgorgata in superficie, come se finalmente Sebastian Smythe si fosse sentito totalmente se stesso. Ma a quella constatazione, non era seguito un senso d’appagamento che andasse oltre il mero piacere carnale.
Aveva cominciato, quindi, a dubitare di essere capace di sentirsi intimamente coinvolto con qualcuno, incapace di giungere ad una sintonia emotiva e mentale.
Si era detto che una volta fosse solo un esperimento, una ragazzata da fine liceo, la seconda una mera verifica, ma la terza non poteva più dirsi coincidenza.
Aveva evitato Séline , trincerandosi nel silenzio che lei aveva imparato a sopportare, anche quando aveva sperato di poterla allontanare con uno strappo che non fosse troppo brusco e doloroso. Una decisione che lei avrebbe dovuto trovare in se stessa, perché non potesse lasciarsi illudere o dissuadere, perché sapesse che non avrebbe mai fatto ritorno e che non avrebbe potuto darle ciò di cui disperava.
"Non c'era bisogno che mi accompagnassi", disse al ragazzo alla guida della Porsche.
Lo infastidiva con la sua tracotante sicurezza, con il suo apparire dannatamente composto e pacato, apparentemente egoistico al punto da preservare il proprio benessere a quello della sorella.
Ciò non faceva che rendere tutto ancora più squallido, ma era parsa l'unica situazione che potesse proteggerlo perché tutto restasse celato. E, nel profondo di se stesso, invidiava quell'abilità nel dissimulare i suoi reali sentimenti, la mancanza di una qualsivoglia remora o sprezzo di se stesso. Quasi totalmente incapace di provare empatia e, tanto meno, di salvaguardare un interesse diverso dal proprio.
Pierre sorrise: "No c'è bisogno che tu lo ripeta ogni volta", rispose con la solita baldanza, dopo aver spento il motore di fronte a casa Smythe.
Sebastian sollevò gli occhi al cielo ed uscì dall'auto, senza guardarlo: stare in sua compagnia, oltre alla mera attività fisica, gli procurava un senso innato di nausea e il desiderio di trincerarsi in se stesso e nei propri dubbi.
Lo sentì chiudere la portiera e si rese conto che lo stava seguendo verso il portico: le luci del piano terra erano ancora accese, probabilmente l'ultimo drink della serata, prima che i genitori andassero a coricarsi. Estrasse le chiavi di casa, ma fu ai passi alle sue spalle che si irrigidì.
"Che stai facendo?", gli domandò tra i denti, quando si accorse che lo stava seguendo con la stessa aria divertita, quasi fosse perfettamente naturale per lui accompagnarlo fino alla porta. Come fossero reduci di qualcosa di vagamente ufficiale.
Pierre non si scompose alla sua espressione interdetta, sfoderò il migliore dei suoi sorrisi, ammiccò in sua direzione.
"Non mi saluti?", sussurrò con intonazione più rauca ed osservandolo in evidente attesa.
Sebastian strinse i pugni lungo i fianchi e, per l'ennesima volta, si disse che avrebbe cominciato a mantenere le distanze da quell'essere presuntuoso, viscido e privo di qualsivoglia moralità che non faceva che acuire quel malessere interiore, dopo un fugace sollievo nel far tacere il proprio senso di colpa.
"E' finita”, gli disse guardandolo dritto negli occhi. “Qualunque cosa fosse, è finita!", lo ripeté come se avesse bisogno di sentirlo lui stesso, per confutare la possibilità di cadere nuovamente in quel malsano tira e molla.
L’altro non abbandonò il sorriso, inarcò l'elegante sopracciglio con aria di educata confusione, ma la sua voce restò un sussurro quasi lascivo: "E' perché ho cambiato dopobarba?", domandò.
Era un altro degli aspetti per i quali Sebastian non poteva che biasimarsi: era evidente che Pierre non lo prendesse sul serio, che fosse soltanto un giocattolo abilmente manipolato tra le sue mani. Che avesse tratto giovamento dalla sua debolezza e dalla difficoltà di accettare la sua vera natura.
L'altro gli cinse il braccio e fu naturale cercare di allontanarlo, uno sguardo di puro odio: "Non sono la tua puttana".
Pierre non smise di sorridergli con una certa superiorità, ma non scostò la presa e gli sfiorò il braccio con un movimento lento, piacevole, guardandolo dritto negli occhi con sguardo famelico quasi. Lo sguardo grigio scintillò in un modo che fece scorrere un brivido lungo la spina dorsale di Sebastian.
Avrebbe voluto poter controllare quelle scariche elettriche, avrebbe voluto illudersi di poter essere più forte del suo corpo e di quel sentore di vita, mai forte come in quel momento. Avrebbe voluto che la repulsione non fosse pari soltanto all'attrazione malsana che esercitava su di lui.
Sapeva che l'altro lo intuiva: si entusiasmava di quella lotta interiore, all'idea di disporre di lui a proprio piacimento. "Lo sai che non puoi combattermi", sussurrò al suo orecchio con la stessa compostezza.
Sebastian non parlò, consapevole che la sua voce avrebbe tremato, ma gli rivolse uno sguardo di puro disgusto, solo in parte destinato davvero al ragazzo che aveva di fronte.
Il bacio di Pierre fu arrogante, deciso, quasi un pugno nello stomaco e Sebastian si odiò per quel tremore che lo attraversò.
La porta alle loro spalle si schiuse improvvisamente e Sebastian lo scostò con tutta la forza che aveva in corpo, consapevole di essere stato colto sul fatto, mentre un rivolo di sudore freddo scivolava lungo la tempia.
Attimi quasi infiniti in cui attese la voce del padre o della madre, in cui gli parve che il suo cuore rimbalzasse in petto e la sua mente si svuotasse, troppo spaventato per agire.
Pierre sorrise disinvolto, passandosi una mano tra i capelli, come nulla fosse accaduto: "Ciao sorellina”, persino quel nomignolo confidenziale e vezzoso sembrava veleno se pronunciato dalle sue labbra e con quel sorriso crudelmente divertito.
Sebastian boccheggiò: non dovette voltarsi per capire che non si trattava di uno scherzo, ma non riuscì neppure a muoversi.
Il tempo parve protrarsi e contò i battiti del suo cuore: quelli che scandirono l'esatto momento in cui la sua vita parve fermarsi.
Si riscosse da quel torpore soltanto quando sentì i passi della ragazza, l'andatura decisa, malgrado i tacchi alti.
"Séline ", la sua voce era un sussurro strozzato e ne artigliò il braccio, costringendola a voltarsi.
Si impose di fissarne gli occhi intrisi di lacrime e le labbra tremanti: si costrinse a realizzare quanto dolore le stesse arrecando e quanto la sua colpa fosse imperdonabile e profondo l'odio per se stesso.
Ma lo sguardo della giovane dardeggiò d'orgoglio quasi felino: si scostò da lui, quasi disgustata, le mani sollevate nel guardare dall'uno all'altro con il medesimo odio.
"State lontani da me... tutti e due", pronunciò quelle parole con notevole sforzo. Seppur fosse evidente che stesse trattenendo a stento le lacrime, dimostrò una risoluzione e una forza che Sebastian non le aveva mai visto fino a quel momento.
Non attese risposta e si allontanò.
Bel caratterino”, fu il commento quasi divertito di Pierre, l'unico a non essersi scomposto.
Avrebbe voluto che il pugno che gli aveva inferto avesse scaturito una minima soddisfazione.
-

Era certo, dall'accoglienza imbarazzata ma gentile dei genitori, che la giovane non avesse fatto parola delle circostanze della loro separazione. Le due famiglie erano state entrambe scosse dalla notizia (il che confermava quante speranze avessero riposto in un loro romantico matrimonio, all'indomani dell'università) ma nessuno era a conoscenza del reale motivo. Non erano mancati i tentativi persino dei vegliardi nonni di intervenire per l'amicizia antica e preziosa che legava i due clan. Nulla che Sebastian volesse anche solo considerare, nulla che lo avesse mai sfiorato nel profondo.
La sua shockante rivelazione personale, invece, aveva lasciato i genitori in uno stato di incredula sorpresa, ma, oltre ogni sua più rosea previsione, non tardiva fu la loro accettazione. Ma ciò non fece che accrescere l'idea di non meritare le persone che gli erano state poste accanto, da che era venuto al mondo.
Non avrebbe sofferto, tuttavia, della lontananza e del ripudio schifato dei nonni.
Seppur suo padre non lo avrebbe mai ammesso, sapeva che l'imminente partenza per gli Stati Uniti non fosse soltanto una fortunata coincidenza lavorativa.
Poco male, si era detto: avrebbe accettato le gentili concessioni, ma giunto in America, avrebbe vissuto alle proprie condizioni, a partire dalla vendita della propria auto e dal racimolare denaro e risparmi per vivere da solo.
Aveva accettato con sollievo l'idea di cambiare città e nazione: Parigi era ormai divenuta il simbolo della colpa più grande di cui non si sarebbe mai liberato. A quell'oppressione al petto, sperava di poter presto sostituire una nuova libertà e una nuova consapevolezza di sé.
Ma non se ne sarebbe mai andato, senza avere occasione di rivederla un'ultima volta, se glielo avesse concesso.
"Avanti", lo invitò ad entrare, dopo che ebbe bussato. Con un sorriso amaro constatò che era forse la prima volta che quell'uscio gli era precluso o che non facesse ingresso in quella camera in compagnia della giovane stessa, se non dalla finestra.
Un solo attimo di esitazione, cercò di placare il tremore delle dita e abbassò la maniglia per entrare nella camera da letto.
Seduta sulla cassapanca sotto la finestra, Séline gli rivolse una breve occhiata e tornò alla sua lettura con il cipiglio corrugato, appena più pallida.
Sebastian sospirò e la osservò a lungo, ma seppe che non ci sarebbero state parole sufficienti, forse per tutta una vita. Non attese un ulteriore invito e si chiuse l'uscio alle spalle, prima di avanzare in sua direzione.
Prese un profondo respiro, abbracciando con lo sguardo quegli oggetti e quell'ambiente che avrebbero dovuto costituire per lui una seconda casa, prima di riuscire a pronunciare motto.
"Mi dispiace", sussurrò e la voce ne tradì il tremore e l'angoscia della propria colpa.
Séline inarcò le sopracciglia, ancora guardando il proprio libro, con evidente insofferenza, prima di chiuderlo e fissare un punto nel vuoto.
Volevo lo sapessi, prima della mia partenza”, aggiunse dopo un lungo istante di silenzio.
Non aggiunse altro, domandandosi se non fosse il caso di allontanarsi, consapevole che non avrebbe mai potuto placarne il dolore e l'umiliazione con parole di circostanza. Ma avrebbe dovuto, almeno, concederle l'occasione di scagliarsi contro di lui. Una parte di sé quasi sperò che lo facesse: che esplodesse con tanto di grida, lacrime rabbiose e persino percuotendolo.
Séline si alzò, le braccia serrate al petto e lo osservò per un lungo istante, quasi a voler appurare se le sue parole fossero sincere. Non sembrò dubitarlo, ma ciò non avrebbe giovato a nessuno dei due. Appariva stanca, quasi svuotata di tutto, persino di una legittima rabbia.
"Almeno adesso so che il muro che avevi posto tra noi, non era una mia responsabilità". La sua voce era composta, ma lo sguardo ne lasciò intravedere il dolore intenso e tutt'altro che liberato.
Sospirò, ma si impose di continuare ad osservarla: "No, è stata una mia responsabilità", confermò con voce afona.
"Mi hai mai davvero amato?", gli chiese e, suo malgrado la voce ne tradì un tremore e una segreta speranza che, probabilmente, avrebbe potuto minimamente compensare il dolore che stava vivendo a causa propria.
Sebastian serrò la mascella e distolse lo sguardo: trasse un lungo respiro, ma si impose di affrontarla fino alla fine. Con la sincerità che le era dovuta, per quanto l'ammissione l'avrebbe ulteriormente mortificata e reso il suo atto persino più spregevole.
"No", ammise con reale angoscia nel ricordare quanto spesso avesse disperato che la sua vita e i suoi sentimenti fossero limpidi. "Avrei voluto".
La giovane sorrise amaramente, ma annuì con aria consapevole. Il fatto che non gliene facesse una colpa, che non fosse disgustata alla rivelazione più intima della sua personalità, rese tutto persino più struggente.
"Sei innamorato di mio fratello?", gli chiese e sembrò disperare in una risposta affermativa che desse un nuovo significato a quella separazione, dandole una forma di legittimazione.
Il silenzio parve persino più intenso, prima che Sebastian ritrovasse parola. Ma non ci fu esitazione, seppur mai più grande fu il disgusto di se stesso. "No".
Sapeva che una risposta affermativa non avrebbe cancellato le sue colpe, ma ciò non parve che sminuire in modo persino più impietoso ciò che era accaduto e il modo in cui la loro relazione era giunta ad una brusca fine.
Lasciò che il silenzio si prolungasse e che gli occhi della giovane continuassero ad osservarlo, come se non riuscisse a credere che egli era davvero la persona che aveva così a lungo amato e creduto di conoscere fino in fondo.
"Non sono delusa per aver capito chi sei davvero", gli disse con una sincerità tale che Sebastian pregò quasi che non continuasse, consapevole che sarebbe stato persino più difficile accettarne le parole successive. "Ma non credevo che avresti mai potuto-". La voce si ruppe e si lasciò sfuggire un singhiozzo. Scosse il capo e cercò di asciugarsi il viso il più rapidamente possibile, come ad ammonirsi a mantenere un certo riserbo.
Il cuore stretto in una morsa e il respiro flebile, Sebastian avrebbe accorciato le distanze per cingerla un'ultima volta, ma sapeva che sarebbe stato un gesto egoistico, così come chiederle di non versare altre lacrime.
Vide di nuovo scintillare la fermezza nel suo sguardo, osservandolo ancora una volta, come se volesse cogliere i suoi pensieri celati.
"Sai cosa è davvero triste, più di ogni altra cosa?”, gli chiese con un sorriso amaro, ma la ferma intenzione di pronunciare quelle ultime parole, come la giusta conclusione di quell'amaro epilogo. “Non credo che tu sarai mai davvero capace di amare qualcuno, chiunque sia, senza distruggerlo”.
Sebastian sgranò gli occhi: stava dando voce alla sua paura più grande. Non era questione di sessualità, soltanto della sua incapacità di provare un reale sentimento.
Se ne avesse anche colto la supplica silenziosa di non proseguire oltre, Séline continuò con la stessa calma quasi glaciale: “Ti manca qualcosa, Sebastian, tu porti solo dolore in chi ti ama".
Si voltò bruscamente, come se non sopportasse più la sua vista o il pensiero della farsa che avevano vissuto fino a quel momento.
Sebastian non rispose, se anche lo avesse voluto, non avrebbe trovato parole per difendersi o confutare i suoi stessi dubbi. Ignorò quel prurito al bordo degli occhi.
Si voltò, percorrendo la camera in ampie falcate, gettandole un'ultima occhiata, prima di valicare la soglia. "Non avrei mai voluto ferirti”, sussurrò con voce più rauca. “Non mi perdonerò mai per questo".
La vide stringersi le braccia al petto e mai come allora gli parve così esile e tremante, mai come allora si sentì incapace di proteggerla. Continuò, tuttavia, a guardare caparbiamente la finestra di fronte a sé.
Le ultime parole che Sebastian le sentì dire, lo avrebbero tormentato ancora a lungo, ne era consapevole.
"Chi non sa amare, non ha diritto di farsi amare”.

~


Era come assistere ad un sogno del quale aveva conoscenza, ma la beffarda consapevolezza rese persino più insopportabili quelle immagini e quell'incapacità di muoversi.
Aveva volutamente evitato di incrociare lo sguardo di Burt Hummel e l'immagine di Blaine all'altare già in trepidante attesa, mentre scambiava sorrisi e saluti coi parenti, gli fece stringere lo stomaco.
I loro sguardi si incrociarono, ma Sebastian si limitò ad un cenno del capo e distogliere rapidamente il proprio, consapevole di non avere neppure la forza di fingersi baldanzoso o di raggiungerlo per guastargli l'umore con qualche frecciatina ironica, per dissimulare il suo reale stato d'animo. Paradossalmente il suo acerrimo rivale aveva saputo fin dall'inizio che cosa ne motivasse l'agire, che cosa lo scuotesse nel profondo.
Sentì il suo stesso respiro farsi più pesante, la dolorosa contrazione del cuore, ma affondò le mani nelle tasche per nascondere il tremore da cui erano percosse.
Un centinaio di invitati, tutti in attesa che una sola persona facesse la sua apparizione, ma Sebastian si sentì più solo che mai ed isolato dal resto del mondo.
"Allora?", quasi sussultò, quando scorse Hunter Clarington al suo fianco. Guardava dritto innanzi a sé, come un agente segreto che debba confondersi tra la folla con abilità da ventriloquo nel muovere a malapena le labbra, quasi timoroso che qualcuno ne carpisse il labiale.
"Ho il furgone di mio padre parcheggiato poco lontano da qui, puoi ancora rapirlo", gli fece presente.
Sebastian serrò le labbra che quasi si distesero in un sorriso, malgrado tutto, ma scosse il capo, senza guardarlo. "Non hai paura che ti riconosca?", alluse allo sposo che stava abbracciando Rachel Berry la quale, con premura degna di una moglie devota, gli stava acconciando il papillon. Doveva avergli rivolto un complimento, a giudicare dal biancheggiare dei denti per il sorriso che le rivolse.
"Credo di essere l'ultimo dei suoi pensieri", replicò distrattamente, guardandolo con le sopracciglia inarcate. "Allora?", lo incalzò.
"Va' a sederti con la tua ballerina", e per la prima volta la sua parve una supplica, più che un ordine.
Hunter scosse il capo, ma lo guardò incredulo ed esasperato, appoggiandogli una mano sulla spalla, come a volerlo riscuotere dal suo turbamento.
"Non è il momento di auto-punirsi, Sebastian, un « lo voglio » è per sempre o fino al divorzio”, continuò con voce strozzata per l'agitazione. “Certo, se sei fortunato magari per allora sarai laureato e potrai difenderlo", aggiunse ironicamente.
"Hunter", lo richiamò senza guardarlo.
Forse fu il tono o il fatto che, per la prima volta a memoria d'uomo, ne avesse pronunciato il nome di battesimo, ma il barista parve capire che sarebbe stato inutile continuare ad insistere. Sospirò ma raggiunse la biondina, cercando di nascondersi tra gli altri invitati.
Sebastian indugiò in piedi, ignorando i posti vuoti e i saluti dei conoscenti, l'aria compiaciuta della Ciabatta di Broadway nell'angolo dei testimoni e il cenno educato dell'amica caffeinomane di Kurt.
Fu il primo a sussultare al risuonare della marcia nuziale, altro elemento spettacolare cui Kurt non avrebbe mai potuto rinunciare, e si voltò lentamente.
Avrebbe voluto trattenerlo in quello sguardo, nelle scuse che morivano in gola, nelle parole d'amore mai pronunciate, nei baci sospirati.
Lo sposo sembrava a stento capace di camminare, era piuttosto pallido in verità, ma si premunì di evitare il suo sguardo, sorridendo radioso alla matrigna che lo accompagnava, da tradizione, e rivolgendosi agli invitati e alle loro esclamazioni di sorpresa. Camminò con incedere fluido, prima di incontrare lo sguardo di Blaine. E Sebastian seppe di averlo già perso.
"Siamo qui riuniti quest'oggi per unire questi due giovani al sacro vincolo del matrimonio2", iniziò il celebrante con voce cadenzata e tutto parve ancora incredibilmente surreale e distante.
"Se c'è qualcuno contrario a queste nozze, parli ora o taccia per sempre". Sentì gli sguardi su di sé e sorrise ironicamente, affondando le mani nelle tasche, simulando tranquillità ed indifferenza, mentre uno sconfortato Hunter Clarington affondava nella sua poltrona, passandosi una mano sul viso, come chi sta per assistere ad un disastro epocale, ma non ha la possibilità di fermarlo.
"Vuoi tu, Blaine Anderson, prendere il qui presente, Kurt Hummel, per amarlo, onorarlo, rispettarlo, sostenerlo e confortarlo per tutti i giorni della tua vita?”
La risposta fu concisa e certa, dopo che Blaine lo ebbe guardato e gli ebbe rivolto un sorriso emozionato: “Lo voglio”.
"Vuoi tu, Kurt Hummel-".
Sebastian non riuscì a sentire il celebrante ripetere la stessa formula, tutto il suo corpo sembrava schiacciato da una pressione quasi soffocante.
Fin troppo presto la domanda fu posta e tutto il suo corpo si tese nell'attesa della seconda risposta che avrebbe sancito la fine di tutto.
Serrò la mascella, strinse i pugni: una parte di sé attese di sentirlo pronunciare quelle due parole fatidiche.
Più pallido che mai, Kurt Hummel si agitò sul posto.
“Signor Hummel?”, lo incalzò l'ufficiante, in evidente attesa.
Dal silenzio assoluto e partecipe, sorse un nuovo brusio agitato che percosse gli invitati degli sposi e Rachel Berry boccheggiò, trattenendo a stento il cofanetto con la fede nuziale.
“Mi scusi”, sussurrò Kurt, con aria mortificata, ma senza guardarlo: gli occhi azzurri cercarono Sebastian e ne colsero il movimento con cui, più pallido che mai, si era fatto avanti.
Parve ritrovare coraggio, malgrado gli occhi lucidi e il nervo a farne vibrare la guancia.
Così si volse verso Blaine, lo sguardo mortificato, ma dardeggiante di una nuova risoluzione.
“Non posso”.



To be continued...

Spero proprio che non assisterò, domani, ad una simile scena ma, altrettanto intensamente, che questo finale abbia potuto compensare tutto l'angst di questo capitolo :)
Mi auguro inoltre che non siate rimasti troppo shockati/sconvolti/delusi del leggere i flashback di questo capitolo, mi rendo conto che posti agli sgoccioli della fanfiction siano stati tra i più intensi, ma confido che siano stati in grado di rispondere alle domande in sospeso circa il comportamento di Sebastian. La contraddizione nel porsi come ostacolo ad ogni fase del matrimonio, ma non giungere mai ad una risoluzione finale, proprio in virtù di quel fantasma del passato e della sua paura di portare solo dolore in chiunque lo ami. Un ricordo che ha cercato lui stesso di rimuovere e mettere a tacere e che, attraverso il sogno, si è nuovamente manifestato a livello consapevole.
In ogni caso, per qualsiasi dubbio o curiosità, sono a vostra disposizione :)

Un’occhiatina al prossimo capitolo:


Anche se ti sto ferendo, non posso iniziare una vita con te, sapendo che non mi sento più tuo”.
Mi avresti lasciato dire di sì?” “Non mi fido di me stesso, l’idea di farti soffrire-” “Sebastian, mi ami?”.
Mi piaci, vuoi stare con me: sì o no?”.


Come sempre, vi ringrazio di cuore per avermi accompagnato in questo lungo percorso che sta giungendo alle battute finali. In modo particolare chiunque mi dedichi qualche pensiero o mi renda note le sue emozioni, dubbi, o frustrazione :)
Buon weekend a tutti,
un abbracciane,

Kiki87


1 Per sentire la canzone e leggerne il testo originale: Reason
2 Neanche a farlo apposta questo aggiornamento giunge alla vigilia di un matrimonio in famiglia :D Non ho mai assistito ad una cerimonia di questo tipo, quindi mi sono rifatta al formulario impiegato in una cerimonia civile italiana. Spero che non differisca troppo dalle celebrazioni tra coppie dello stesso sesso in America.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


13
Guardando le pagine della mia vita,
ricordi sbiaditi di me e di te.
Errori, lo sai, ne ho fatti diversi.
Mi sono ammacccato e sono caduto qualche volta.

Chiedimi come siamo arrivati così lontano,
la risposta è nei miei occhi.
Ogni volta che ti guardo,
vedo qualcosa di nuovo.
Qualcosa di nuovo che
mi conduce ancora più in alto
e mi fa volerti di più.

Per tutte le parole che non ho detto
e tutte le cose che non ho fatto.
Stanotte troverò un modo.

Non voglio dormire stanotte,
sognare è solo una perdita di tempo.
Quando guardo cosa è successo
nella mia vita,
capisco che
sono ciò che sono, amandoti.


All about loving you – Bon Jovi.1



Capitolo 13

“Non posso”.
Riuscì quasi a percepire il fremito dei pensieri e degli interrogativi che scorrevano nelle menti di tutti coloro che, increduli e sgomenti, stavano assistendo a quel momento. Si sentiva esattamente come uno degli altri astanti: semplice spettatore che non avrebbe avuto alcun diritto di commentare o di intervenire, ma soltanto lasciare che Kurt prendesse le redini della sua vita.
Blaine, più di chiunque altro, parve impallidire e vacillare: le labbra tremanti e il fiato corto, non poté che osservare il fidanzato con aria impotente e semplicemente shockata.
Quest'ultimo aveva gli occhi lucidi, ma non distolse lo sguardo, quasi non vi fosse nessun altro presente, attorno a loro. Come se tutto ciò non stesse coinvolgendo anche gli invitati che erano confluiti dall'Ohio o da altri stati americani per essere partecipi della loro giornata più importante. Come se, dopotutto, a prescindere dallo sfarzo e dal suo estro artistico, quel matrimonio non fosse che un'ufficializzazione di un rapporto che avrebbero dovuto difendere e proclamare in pubblico.
"Non posso sposarti", disse Kurt con voce flebile, malgrado l'enorme macigno di cui si stava liberando, come una verità macerata nel profondo di se stesso ed incapace di essere trattenuta ancora a lungo. Osservò l'altro con aria mortificata per non esser riuscito a giungere a quella conclusione prima che si trovassero l'uno di fronte all'altro per dei voti che non avrebbe potuto stringere.
Parve incassare il colpo con più dignità di quanta Sebastian gli avrebbe attribuito normalmente, non sembrava neppure arrabbiato. La sorpresa lasciò, infatti, presto spazio ad una placida rassegnazione, come dimostrò il sospiro che si lasciò sfuggire, prima di annuire.
Fu forse ciò a dare a Kurt l'ulteriore slancio.
"Ho baciato Sebastian", proclamò, guardandolo dritto negli occhi, perché in quel momento l'unica cosa che poteva ancora concedergli era onestà. Nient'altro che onestà.
Se non fosse stato in quello strano stato d'animo di tensione e febbrile attesa, Sebastian avrebbe notato, con una certa ironia, di essere diventato protagonista della scena: come da copione, un centinaio di facce si volsero in sua direzione. Uno stato d'animo opposto rispetto a quello precedente, quando si erano girati per accogliere, con sorrisi commossi e parole d’augurio, la passeggiata di Kurt verso il fidanzato.
"E anche se ti sto ferendo e non troverò mai le parole per scusarmi”, continuò Kurt in un sussurro delicato. “Non posso iniziare una vita con te, sapendo che non mi sento più tuo".
La voce era flebile e accorata, intrisa di reale pentimento per avergli celato quel mutamento nei propri sentimenti. Soltanto allora cercò Sebastian con lo sguardo, quasi avesse bisogno di aggrapparsi a lui, quasi disperasse della conferma di non aver perso tutto con una semplice frase. Quest'ultimo dovette ricorrere a tutto il proprio autocontrollo per non percorrere tutto il corridoio tra le due file di sedie e avvincerlo a sé con foga. Tutta la propria forza di volontà per resistere ancora qualche istante, prima di potersi convincere che fosse tutto reale e non vi sarebbe stato alcun altro ostacolo per loro, perché era stato Kurt stesso a concedere loro un'occasione.
"Lo sapevo", furono le parole di Blaine, proferite con altrettanta tranquillità, nonostante tutto.
Non sembrava essersi indignato alla rivelazione del bacio, a differenza della Signora Anderson che si era agitata sulla propria sedia e che il marito stava a stento trattenendo perché non intervenisse.
Parve lui stesso dispiaciuto. “E' stata anche colpa mia”, commentò con grande sorpresa di Kurt. “Sapevo di starti facendo pressione, ma volevo egoisticamente trattenerti”, si passò una mano tra i riccioli e sospirò, come se lui stesso si stesse liberando di un peso indicibile. “Avrei dovuto avere il coraggio di lasciarti andare per la tua felicità".
Sebastian dovette constatare, suo malgrado, che non vi era traccia d’ipocrita condiscendenza o di vittimismo, ma sembrò persino sollevato.
Fu la volta di Kurt di rivolgergli un'occhiata sconcertata, quasi vacillando: "Non sei arrabbiato?", gli chiese, quasi stentasse a credergli. Scosse nuovamente il capo. “Ciò non toglie che avrei dovuto essere sincero con entrambi e non saremmo arrivati a questo”, continuò, quasi il contrappasso richiedesse che si accollasse ogni responsabilità. “Non avrei mai voluto ferirti e-”.
Blaine sollevò la mano e, incredibilmente, parve lui a volerlo rassicurare, visto il sorriso più dolce che gli rivolse.
"Non ho il diritto di essere arrabbiato con te, perché lo sapevo”, gli strinse la spalla, quasi a sincerarsi che lo ascoltasse sinceramente. “Lo sapevo da quando sono venuto a farti visita e ti ho proposto di convivere da subito perché le cose tra voi stavano cambiando ed era già troppo tardi. Ma ho cercato di negarlo fino a convincermi che non fosse davvero così”, scosse il capo, quasi con ironica consapevolezza.
Trasse un profondo respiro e il suo sguardo, per la prima volta, rivelò un reale dispiacere.
“La verità, Kurt, è che anche volendo, non avrei diritto di biasimarti: sono andato a letto con uno spogliarellista".
Il brusio sconvolto degli astanti parve divenire assordante e così le esclamazioni di sorpresa e di sconcerto, mentre il celebrante, con un gesto oltraggiato, lasciava cadere gli atti da firmare e scendeva dalla pedana con aria scandalizzata.
Rachel Berry, che alle parole di Kurt era parsa la vera vittima del tradimento e i cui occhi si erano riempiti di lacrime in pochi secondi (ma ciò non le aveva impedito di trafiggere Sebastian con uno sguardo di mero odio e disgusto, quasi si fosse fatto baciare per il puro gusto di rovinare tutto con la sua folle mente terroristica ), all'udire la risposta di Blaine, emise un rantolo e svenne tra le braccia di Finn Hudson.
Brittany sbatté le palpebre con aria altrettanto sconcertata, volgendosi al suo cavaliere, con il volto inclinato di un lato e gli occhi azzurri che esprimevano una reale curiosità, mista a divertimento. "Quindi siamo gli unici che ieri sera non si sono saltati addosso?".
Il sorriso diabolico che Hunter Clarington aveva ostentato al vedere il matrimonio andare in pezzi, vacillò. Boccheggiò nel sentirne le parole. Le labbra si contorsero in una smorfia e incrociò le braccia al petto. "Non per mia scelta", borbottò quasi offeso.
La giovane sbatté le palpebre, ancora più sconcertata: "Cosa?".
Si affrettò a sorridere con aria serafica: "Ma che bel vestito!”.
Santana Lopez, seduta davanti ai due, sollevò gli occhi al cielo, e si voltò con aria stizzita, gettando una banconota ai piedi del barista con aria di profondo disprezzo. "Non vali cinquanta dollari, MasturbHunter", gli inveì contro.
Non si era accorto di nulla Sebastian: lui stesso, malgrado fosse stato l'artefice di quel tentativo di sabotaggio, sbatté le palpebre con aria sconcertata. Ma non era il momento (e neppure ne aveva un reale interesse, a dirla tutta) di interrogarsi sul perché lo spogliarellista avesse mentito al riguardo, coprendo le azioni di Mezza SegAnderson.
"Tecnicamente ero talmente ubriaco che mi sono addormentato”, confessò Blaine con aria estremamente imbarazzata, passandosi una mano tra i capelli scarmigliati, prima di scuotere il capo, come a volersi rimproverare. “Ma non nego che sarebbe potuto accadere e la parte di me che non ti sapeva più mio, voleva che accadesse", continuò con un sospiro, come se quella rivelazione gli procurasse una mortificazione persino più grande.
Kurt lo guardò con un misto d’incredulità e di confusione, dopo aver superato a sua volta lo shock. Parve impiegarci diversi istanti per metabolizzare, ma scosse il capo, un sorriso quasi divertito. "Che cosa stiamo facendo? Cosa... cosa stavamo facendo?", gli chiese con le sopracciglia inarcate.
Blaine emise uno sbuffo divertito e slacciò il papillon, come se finalmente avesse ritrovato a sua volta il respiro. "Quello che credevamo fosse inevitabile per noi, immagino”, rispose con uno scrollo di spalle. “Ma abbiamo preso strade diverse e dobbiamo abituarci a quest’idea e ricominciare come amici", propose con un reale sorriso.
Porse la mano che Kurt strinse senza esitazione e inclinò il viso di un lato nell'osservarlo a lungo, come se stesse meditando sulle ultime parole per concludere quella lunga parentesi della loro vita e del loro amore liceale. "Ti auguro ogni bene, di tutto cuore".
L'altro ricambiò il sorriso, trattenendone la mano, come una sicurezza, in nome di quell'amicizia che tanto aveva inciso sulla sua vita e sul periodo più buio della sua vita. “Anche io, Blaine Anderson: non accontentarti di meno di quanto meriti”.
Si lasciò abbracciare, mentre gli Anderson si alzavano per andarsene: i genitori con aria compunta e stizzita, al contrario di Cooper che trotterellava alle loro spalle allegramente.
"Matrimonio con sorpresa: hashtag SorpresAnderson", pronunciò con l'enfasi di un testimonial pubblicitario, digitando rapidamente un tweet e allegando una fotografia del suo selfie con i due (ex) fidanzati sullo sfondo.
Blaine lasciò andare Kurt, gli rivolse un ultimo cenno di saluto e si allontanò, le mani conficcate nelle tasche della giacca. Nel mezzo della sua camminata lo sguardo guizzò verso un flash accecante alla sua destra. Si voltò in quella direzione, le sopracciglia inarcate, scorgendo Brittany che agitò la mano in sua direzione con aria festosa. Si pose di nuovo dietro l'obiettivo della macchina fotografica usa e getta: "Sorridi, sei bellissimo!", lo incoraggio con un trillo allegro.
Hunter Clarington, ancora al suo fianco, parve tentare la mirabolante impresa di sprofondare nella propria sedia, mentre il moretto guardava dall'uno all'altra, con aria ancora più sconvolta.
Sussurrò tra sé qualcosa come: "Stalker e impiegato del gas?!".
Sollevò le mani e scosse il capo, l'attimo dopo. Decisamente era meglio non sapere.
Sebastian lo guardò avvicinarsi, senza muoversi: non avrebbe potuto affermare ipocritamente di sentirsi in colpa nei suoi confronti, ma doveva ammettere che la sincerità e la dignità con cui aveva digerito l'abbandono sull'altare, gli erano valsi il suo rispetto. Forse.
Non si scostò e neppure gli cedette il passo e Blaine si fermò di fronte a lui. “Che cosa aspetti?”, gli chiese senza risentimento e Sebastian seppe che, in qualche modo, stava loro concedendo una benedizione che non gli avrebbe mai richiesto, ma che avrebbe giovato a Kurt.
“Abbi cura di lui”, parve chiedergli onestamente, come unica condizione.
Annuì, guardandolo dritto negli occhi, il viso inclinato di un lato: “Lo farò”. Soltanto allora si pose di lato per lasciarlo passare.
"Chiedo scusa a tutti”, Kurt sembrava quasi essersi abituato a ricevere l'attenzione generale, visto come salì nuovamente sulla pedana per rivolgersi con un sorriso accattivante ai suoi ospiti. “Il banchetto è già pronto nella hall del Plaza, vi prego di non esitare a restare con me, se lo desiderate”.
"E farete meglio a mangiare tutto”, incalzò Burt Hummel, alzandosi e togliendosi la giacca dello smoking, con evidente sollievo. “Viste le nevrosi e i soldi che ci è costato", aggiunse, suscitando qualche sporadico verso di divertimento. Strinse la spalla del figlio e scortò la moglie e gli invitati.
Sebastian quasi neppure si accorse dello sciamare della folla attorno a lui: i loro sguardi si erano nuovamente incrociati, ma attese che fossero soli.

~

Non amava quel silenzio: era come se la casa non fosse la stessa, come se mancasse della sua stessa anima. Checché si era detto che un paio di giorni sarebbero scorsi in modo indolore e che, una volta tanto, avrebbe avuto un ottimo diversivo per concentrarsi sullo studio, l'attesa sembrava mortalmente lunga.
Non avrebbe mai immaginato di poter sentire qualcosa di simile, non da quando era sfuggito a Parigi e quella sensazione di soffocamento, per costruire una vita solitaria, senza alcun coinvolgimento emotivo o mancanza di esso.
Non da quando vivere a Brooklyn era diventato sinonimo di convivere con Kurt e far scorrere le loro vite in modo parallelo, fino ad attendere di sentirne nuovamente la voce e avere il sentore di sentirsi a casa.
Sospirò nel rimirare il bancone dietro al quale era solito preparare la colazione, sgridandolo perché era rientrato tardi e, come al solito, non aveva provveduto alla spesa in sua assenza, ma accumulato pile di piatti sporchi.
Si avvicinò al frigorifero, alla ricerca del post-it azzurro sul quale aveva appuntato l'ora e il numero del suo volo di ritorno.
Durante l'esame di diritto penale, constatò con il cipiglio corrugato. Non che avesse in mente chissà quale accoglienza da film sentimentale che lui tanto apprezzava. Non che importasse essere lì al momento per osservarlo trascinare la sua valigia con un sorriso stanco, ma soddisfatto. Sarebbe tornato al loft in taxi e avrebbe avuto l'intera serata per raccontargli tutto.
Bevve l'acqua dalla bottiglia, un vago sorrisetto al pensiero di come lo avrebbe ammonito e compose il suo numero.
"Già in piedi?La mia assenza ti fa bene", fu il saluto di Kurt e, suo malgrado, Sebastian sorrise, come se lo avesse avuto di fronte, in quel momento.
"A te non fa sicuramente bene la mia”, rispose con la stessa intonazione sardonica, accompagnandola ad un'espressione maliziosa, certo che l'avrebbe colta dal timbro. “Quanto ti manco?".
"Mi sto struggendo dal dolore", rispose con la tipica ironia che era alla base della loro comunicazione.
"Bene”. Sentenziò con aria soddisfatta. “Così impari a partire con la Berrysterica e lasciarmi qui".
"Sebastian”, sospirò, come se ancora si sentisse in colpa. “Lo sai che non potevo rimandare. E poi avrai un esame importante che non avresti dovuto saltare. In bocca al lupo, a proposito".
Non lo consolava quel pensiero: ad essere onesto con se stesso, fin da quando lo aveva accompagnato all'aeroporto, o meglio da quando gli aveva detto che non avrebbe potuto portarlo con sé, aveva sentito quella contrazione al petto. Impossibile da ignorare.
"Mi preparerai la cena per la mia prossima promozione con il massimo dei voti?", gli chiese, tuttavia, con la stessa aria più flirtante.
"Mi farai trovare il frigo pieno al mio ritorno?", lo incalzò l'altro, per risposta.
"Certo che no”, rispose con aria indifferente. “Ma ritroverai il sottoscritto questa sera e sarà molto più piacevole", atteggiò la voce in un sussurro più provocante.
"Riesci a sostenere una conversazione senza flirtare?", si finse esasperato, ma aveva notato come la sua voce si era abbassata, quasi timoroso che qualcuno li sentisse.
"No”, replicò di slancio. “Non con te”, si sentì aggiungere e si sorprese lui stesso di come la sua intonazione fosse divenuta soffusa, quasi lo stesse realmente vezzeggiando e non più schernendo. Come se desiderasse davvero che l'altro si ponesse un dubbio al riguardo.
Un solo istante di silenzio, ma parve quasi percepire la sorpresa dell'altro, quasi avesse realmente immaginato quell'intenzione.
Sembrò voler ripristinare i soliti toni:"E' molto lusinghiero".
"Lo so", rispose, ma scoprì che, persino comunicando telefonicamente, gli era difficile, in quel momento, tornare a quell'attitudine più arrogante.
Lo sentì sospirare, ma evidentemente lo stesso Kurt provava qualcosa di simile. "Mi sei mancato", gli rivelò.
Sebastian non poté ignorare quell'improvvisa aritmia o il sorriso che si era allargato prepotentemente sul proprio viso.
"Lo so", rispose, ma non riuscì del tutto ad imitare la sua tipica baldanza e si schiarì la gola, tornando all'aspetto pragmatico della conversazione: "Quindi tornerai stasera?", finse di chiedergli conferma.
"Stasera, sì”, replicò Kurt che sembrava quasi sollevato per quella sua risoluzione. “Ho già finito di preparare i bagagli e ho preso del caffè per te dal Lima Bean", lo informò con aria piuttosto compiaciuta di sé.
"Mhm, mi ami più di quanto credessi possibile", lo canzonò, ma con la stessa aria strafottente di sempre.
Kurt non ebbe modo di rispondere: Sebastian sentì un borbottio in sottofondo e immaginò che si trattasse di Burt Hummel.
"Devo lasciarti, mio padre ha un'ultima gita a sorpresa da propormi, prima di pranzo", notò che il suo tono era divenuto più formale. Immaginò che l'uomo stesse attendendo sulla soglia dell'uscio e stesse ascoltando le sue risposte, evidentemente immaginando chi fosse il suo interlocutore. Non era certo di avergli fatto una buona impressione: probabilmente il fatto che lo avesse colto in fragrante nella contemplazione del fondoschiena del figlio non era stato proprio un buon biglietto da visita.
"A stasera e... Kurt?", si sentì richiamarlo, come aveva fatto in aeroporto. Con la stessa consapevolezza che avrebbe dovuto fermare il tempo in quel momento, o avrebbe cambiato idea.
"Sì?".
"Spero che il tuo culo sappia quanto mi è mancato”, sussurrò e lasciò che intuisse facilmente la trasposizione perversa del suo reale stato d'animo.
Sentì di nuovo del disagio dal suo silenzio, ma la sua voce ne tradì il sorriso: "Sì. Credo che ne abbia una vaga idea".
Lo immaginò con le guance arrossate, ma la voce era soffusa, quasi tremula, prima che si schiarisse la gola, evidentemente il padre mastino non si era allontanato. "Ciao Sebastian, ancora in bocca al lupo per l'esame, a stasera".
"A stasera".
Sorrideva ancora, quando uscì dalla casa e incrociò uno SfinterHunter intento a correre verso il Ponte di Brooklyn. Chissà che un giorno la sua vita fallimentare non gli facesse prendere la saggia decisione di gettarsi nel fiume. Possibilmente con una pietra enorme legata al collo.
"Hai una paresi alla faccia?", lo canzonò, restando a correre sul posto per osservarlo con aria clinica. Chissà se era una cosa che insegnavano alla facoltà di medicina o se l'abitudine di aguzzare gli occhi dietro un paio di lenti, come una talpa, fosse divenuta incontrollabile.
Neppure lo degnò di uno sguardo e si mise le chiavi in tasca: "Hai un palo ficcato su per il-".
"Ah, hai telefonato a Kurt”, lo incalzò l'altro, come se bastasse guardarlo per capirlo. “Tornerà stasera, giusto?".
Gli lanciò uno sguardo di puro disgusto: "Non hai una ragazza strabica da cui correre?".
"Stasera mi racconterai tutto", gli rivolse un cenno del mento a mo' di saluto, prima di rimettersi a correre.
"No, stasera farai a meno di me”, gridò alla sua schiena. “Goditi la tua Jessica, se possibile".
"Jenna!", urlò in risposta, prima di svoltare all'angolo.
Si accorse vagamente, specchiandosi al finestrino dell'auto, che stava davvero continuando a sorridere.
Quella sera Kurt Hummel avrebbe avuto il ritorno in cui non avrebbe mai sperato.


~

Fu come se il tempo si fosse dilatato e cristallizzato in quel momento d’autentica perfezione nel quale l'unica cosa importante era continuare ad osservarlo e sapere che, ancora prima di avvicinarsi, era suo. Indelebilmente suo e se anche avesse continuato a diffidare di se stesso, Kurt non gli avrebbe permesso di lasciarlo andare, senza concedergli di amarlo. Perché se era stato lui, Sebastian, a mettere in bilico tutto con quel bacio rubato; era stato Kurt a concedere loro realmente un'occasione.
Si avvicinò lentamente, come se stesse gustando ogni passo, il sorriso che si allargava sul viso, insieme allo scintillio più brillante dello sguardo. Quasi lo stesse contemplando per la prima volta e, dopotutto, quello non avrebbe potuto considerarsi un nuovo inizio?
"Deve essere stato il bacio migliore della tua vita, se ti ha fatto cambiare idea", lo canzonò con il viso inclinato di un lato. Cercò di controllare l'emozione nella propria voce e quell'aritmia fastidiosa, divenuta così tipica di quei momenti in sua presenza.
Kurt ne ricambiò il sorriso: il suo sguardo, come sempre, era specchio del suo stato d'animo, ma forse in quegli ultimi mesi aveva perso la reale capacità di leggerlo, troppo concentrato su se stesso e sull'incapacità di superare i propri limiti. Si beò per un istante di cogliere la sua stessa aspettativa e lo stesso bisogno di ricominciare da un nuovo approdo.
Solo quando lo raggiunse sulla pedana, Kurt inclinò il viso di un lato e lo osservò: "Mi avresti lasciato dire di sì?", chiese come se la risposta potesse essere un'altra conferma. L'ennesima prova del suo amore o, al contrario, la mancanza di fiducia in un loro futuro insieme.
Deglutì a fatica, ma non distolse lo sguardo e lasciò che potesse indugiarvi a cercare tutto ciò che aveva voluto seppellire così a lungo.
"Non mi fido di me stesso", disse sincero. “L'idea di farti soffrire-".
Trattenne il fiato, quando Kurt gli posò la mano sulle labbra, quasi a fermarne le parole, prima di porre la domanda più importante:
"Sebastian, mi ami?".
Non rispose. Lo guardò negli occhi con un misto di tenerezza, di bisogno, di consapevolezza e di timore di rovinare ogni cosa.
Quasi avesse la sensazione che potesse davvero spezzarsi, come nel suo sogno, ne cinse i fianchi e lo attrasse a sé. Per un istante lasciò che il suo solo calore, mischiato a quel profumo fresco e inebriante, lo avvolgesse. Appoggiò la fronte alla sua, perdendosi in quella sfumatura di un azzurro striato e ne carezzò il viso con devozione, sfiorandone ogni tratto quasi con reverenza.
"E' l'unica certezza che ho", malgrado il sussurro appena percepibile, il suo sguardo non era mai apparso più limpido.
Kurt sorrise, gli occhi lucidi d'emozione e di pura gioia nell'abbandonarsi al suo abbraccio, appoggiando le mani al suo petto. "Mi basta: mi fido di te”, sussurrò per risposta e Sebastian assaggiò quel tremito doloroso eppure piacevole.
“E ho bisogno di te, in un modo che mi spaventa, che non ho potuto controllare, neppure quando credevo di aver già capito quale sarebbe stata la mia vita o chi sarebbe stato l'uomo da amare ogni giorno”, terminò con voce più flebile dell'emozione che sembrava intingerne ogni singola parola, togliendogli fiato.
Sebastian sorrise, cercando di celare la propria, rafforzando la pressione del contatto e chinandosi al suo volto, come se nient'altro fosse necessario. "E comunque sono stato io a baciarti", sussurrò con aria provocante, fremendo nel sentire il respiro di Kurt contro le proprie labbra, prima ancora di sfiorarle.
"Oh sì, e poi sei scappato", lo schermì in risposta, sollevandosi sulle punte per sopperire a quella minima distanza tra loro.
Non seppe chi avesse compiuto quel movimento decisivo, ma neppure parve necessario scoprirlo: si stavano aggrappando l'un l'altro, come se fosse necessario riscoprirsi, ancora una volta, con la dolce certezza che non si sarebbero più persi. Con la dolce promessa di continuare a conoscersi, ogni giorno di più, senza mai trovare reale appagamento.
Ne sfiorò la gota con devozione, baciandone il sorriso sognante, strappandogli quel verso soffuso, slanciandosi al tocco esigente sulla sua nuca e pressandolo maggiormente contro il proprio petto.
Il celebrante si schiarì la gola: seduto in prima fila, guardò dall'uno all'altro, inducendoli a scostarsi un breve istante. "Per caso uno dei due avrebbe una vaga intenzione di sposare l'altro, così, giusto per sapere?", chiese con un misto d’incredulità e di stoica rassegnazione, osservando lo scenario di una celebrazione mai consumata. E divenuta scenario di un amore clandestino e potenzialmente adulterino.
Kurt, le guance arrossate, affondò il viso contro la sua spalla e Sebastian rise, con aria realmente spensierata, riservando all'uomo un'occhiata sfacciata.
"Non qui e non ora, ma si ritenga già prenotato per quel giorno”.


~


Sentiva una strana euforia in petto, mentre osservava la porta del loft: era simile a quell'aspettativa che aveva sentito scorrergli nelle vene, prima di lasciare che si imbarcasse. Quel senso di forte responsabilità e protagonismo: sarebbe bastata la giusta risoluzione, un solo attimo e tutto sarebbe potuto cambiare per proprio merito, senza subire passivamente gli eventi e senza sentirsi come semplice spettatore impotente e incapace di controllare quel tumulto interiore.
Il sorriso si affievolì, mentre si avvicinava e la tensione gli procurò un'improvvisa aritmia.
Cercò di ripetersi che non ci sarebbe stato affatto bisogno di cerimonie o di gesti eclatanti. Kurt, in ogni caso, lo conosceva abbastanza da non aspettarseli. La sola idea che lui potesse essere artefice di qualcosa di simile era assurda.
L'unica cosa che Sebastian sapeva con certezza era che desiderava valicare quella soglia, prendere l'iniziativa con un gesto eloquente (e al pensiero si umettò le labbra) e lasciare che fosse lui a decidere che cosa ne sarebbe derivato.
Voleva che sapesse che non l'avrebbe più lasciato tornare in Ohio senza di sé e che era pronto a rimettere tutto in discussione, per la prima volta da quando aveva lasciato Parigi.
Se solo Kurt lo avesse altrettanto desiderato, se solo avesse potuto continuare a cercare in lui il meglio, ciò che avrebbe voluto celare allo sguardo altrui.
Se soltanto Sebastian si fosse fidato abbastanza di se stesso da cacciare definitivamente le ombre del passato e vivere appieno la loro convivenza, perché assumesse un significato nuovo ed entrambi ne fossero consapevoli.
Persino il trovarlo davanti ai fornelli, sembrò una conferma che quella fosse la loro realtà e che dovessero soltanto decidersi a concretizzarla. Kurt canticchiava ed era tutto già così pregno di familiarità e quotidianità che Sebastian quasi si sentì uno sciocco per tutti quei dubbi e dilemmi interiori.
Scosse il capo tra sé, ma si avvicinò fino a cingerlo da dietro, sorridendo per come riusciva sempre a sorprenderlo, anche con gesti che apparivano intrisi di un'aria più giocosa.
Affondò il volto nell'incavo della sua spalla, quando lo sentì rilassarsi: quasi ne avesse riconosciuto il tocco, prima ancora di realizzarne la presenza.
Sebastian”, lo richiamò con intonazione sorpresa e assieme divertita.
Sorrise e ne baciò la guancia, desiderando discendere lungo la linea del collo, seguendone il profumo e sorridendo del brivido che gli avrebbe scaturito.
"Bentornato", sussurrò con voce ovattata.
Lo sentì sospirare per risposta, ma lasciò che si voltasse: sembrava un buon momento per prenderlo nuovamente tra le braccia, prima che una parte di sé potesse cambiare idea.
Ne osservò il sorriso sognante, le labbra morbide, cosparse di burro cacao e sentì quella piacevole contrazione al petto. Si mosse in avanti, ma fu uno scintillio improvviso a carpirne lo sguardo ed indurlo ad abbassarlo verso la mano abbandonata al fianco.
Il suo cuore sembrò fermarsi in una gelida morsa: scrutò il suo sorriso emozionato, lo sguardo lucido nell'indicare l'anello e osservarlo con aria divertita, di fronte all'evidente shock. Ancora prima che pronunciasse quelle parole che avrebbero cambiato inevitabilmente la sua vita, comprese che quelle emozioni, così evidenti nel suo aspetto, non erano per lui.
"Io e Blaine ci sposiamo".
Sebastian sbatté le palpebre, gli occorsero diversi istanti per assimilare quella notizia.
Ma il suo cuore, stretto in una morsa di ghiaccio, parve aver già compreso che era tutto finito, prima ancora di avere occasione di iniziare.2

~

La festa tutto sommato, Sebastian doveva ammetterlo, sarebbe stata piuttosto gradevole per la circostanza. Ma non riusciva a concentrarsi su altro che non fosse Kurt: tutto il resto appariva superfluo o privo di importanza.
Non ne aveva più lasciato la mano: talvolta si sorprendeva a sorridere ogni volta che l'altro faceva strusciare il pollice contro il suo dorso, procurandogli quel brivido che era ormai collaterale al loro rapporto.
Sentiva su di sé gli sguardi di Burt Hummel e di Clarington, ma non avrebbe saputo dire chi dei due apparisse più sospettoso e soddisfatto insieme.
Non ci fu neppure bisogno di parlare: Kurt, all'ennesima canzone romantica che avrebbe dovuto festeggiarlo con Blaine, gli rivolse uno sguardo supplichevole.
Si finse sospirante: quell'euforia tanto smielata non era qualcosa di abituale, ma fu con una risoluzione quasi arrogante che lo attrasse a sé. Adagiò la gota alla sua e socchiuse gli occhi, ciondolando pigramente a tempo, fino a quando non fu l'altro ad appoggiargli una mano sul petto.
Si scostò della misura necessaria ad osservarlo in viso: Kurt lo stava scrutando con aria così concentrata che temette in un possibile ripensamento.
"Quel giorno all'aeroporto, prima che partissi per Lima", esordì e Sebastian notò le sopracciglia aggrottate. Se da un lato era lusinghiero che stesse rivalutando la loro convivenza (quasi a cercare il fondamento di quel loro amore), dall'altro non era poi così sicuro di essere disposto a condividere quella parte di sé. Persino con lui.
Si strinse nelle spalle, un sorriso vagamente ironico: "Non ricordo".
Kurt lo colpì con una lieve pacca sul braccio, quasi avesse intuito, al contrario, ciò intorno a cui stava rimuginando nell'ultimo anno. Sembrava che ciò lo aiutasse a proiettarsi meglio in quel presente, nelle aspettative del futuro e, al contempo, gli consentisse di guardare al giovane uomo che aveva di fronte con persino più dedizione e dolcezza.
"E quando ci siamo rivisti, prima che ti dicessi di me e di Blaine, tu... volevi dirmi qualcosa", affermò con voce quasi supplichevole. Di avere la conferma che non si trattasse soltanto di una speranza segreta, che davvero il loro rapporto potesse avere radici salde.
Sebastian sospirò, ma gli sorrise con quel misto di divertimento e di esasperazione, prima di scuotere il capo. Non avrebbe cominciato in quel momento a fargli pesare quell'ultimo anno e tutto ciò che aveva dovuto nascondere. Non quando finalmente il futuro si apriva loro innanzi e appariva tanto luminoso e reale.
"Non ha più importanza", cercò di sminuire. "Ora siamo qui, no?", aggiunse con una nota più dolce. Si sporse per baciarlo, ma Kurt ne virò il contatto e lo guardò con quell'ostinazione che aveva imparato ad associargli dal primo incontro/scontro.
"Ne ha per me”, insistette con voce flebile, già intaccata dal senso di colpa all'idea di essergli stato fonte di simile dolore. “Per tutto questo tempo, mi hai guadato organizzare il matrimonio sbagliato e hai sofferto in silenzio".
Sebastian si strinse nelle spalle, con un sorrisetto arrogante: "Potrei aver fatto qualcosa di più che osservare".
Lo ignorò, come se quell'ironia non fosse che un espediente per non apparire tanto vulnerabile ai suoi occhi. “Quel giorno, quando sono tornato e all'aeroporto: volevi dirmi che mi amavi?". Tale era l'intensità della domanda che si dovettero fermare sulla pista da ballo.
Sebastian distolse lo sguardo per un breve istante, prima di scuotere il capo.
"Non lo so", ammise in tutta sincerità, carezzandone la gota con devozione, senza più intenzione di dissimulare le proprie emozioni. "Era la prima volta che mi ponevo il semplice dubbio di poter desiderare una vita diversa, ma ero certo che sarebbe stato con te”, aggiunse e non poté controllare la flessione più rauca della propria voce, realmente intaccato da quell'emozione.
Quelle parole sembrarono proprio ciò di cui Kurt disperava, malgrado proclamassero l'incertezza di un bivio che era iniziato un anno prima. Ne strinse la mano e se la portò alle labbra per baciarla.
"Non avrei mai creduto di poter essere io a scatenarlo”, ammise con un sorriso. “Anche se te lo avevo augurato a mo' di minaccia”, continuò in tono scherzoso, ricordando una delle loro prime vere conversazioni.
Sebastian ghignò, altrettanto ironico: "Sono tuttora sorpreso quanto te", rispose sfacciatamente.
Rise della sua pacca, ma si chinò a baciarne le labbra, come se non riuscisse più ad esprimere in altro modo i propri pensieri, come se quello fosse il più legittimo.
"Ero disposto a mettermi in gioco”, continuò quando si fu scostato, gli occhi ancora chiusi, la fronte adagiata alla sua. “Avrei tanto voluto baciarti quella sera, avrei voluto farlo quello stesso Natale, quel San Valentino e quest'anno”, raccontò con un sospiro. Ricordò, ancora una volta, la trepidazione di quei momenti e quel senso di insoddisfazione quando, ogni volta, era stato incapace di soddisfare quel desiderio.
Schiuse gli occhi soltanto quando Kurt ne sfiorò la gota, indugiando sulla scia dei nei, inducendolo a specchiarsi in quell'azzurro sconfinato e puro.
Gli sorrise con sguardo quasi lucido:"Avrei voluto che lo facessi, in ognuna di quelle occasioni e quest'anno ho desiderato che tu mi dessi quel motivo che non osavo cercare in me stesso”, confessò con altrettanta intensità.
Dopotutto, ragionò Sebastian tra sé, era vero che certe emozioni non potevano nascere senza che l'altro ne sortisse l'effetto, per quanto desiderasse celarlo o fingere il contrario. Dopotutto, non era mai stato un amore soltanto proprio.
Si strinse nelle spalle, sorridendo di nuovo come a canzonarlo: "Potrei aver indugiato un po'".
Kurt non ne ricambiò il sorriso, sembrava ancora osservarlo come se temesse che, una volta chiarito il suo stato d'animo e confessato ogni cosa, lui potesse scomparire: "Non avrei mai voluto ferirti", sussurrò con voce intrisa di reale pentimento.
Scosse il capo e gli cinse la vita, tornando a muoversi e condurlo con sé, mentre adagiava il viso contro il suo collo, schiudendo delicatamente le labbra, come a rassicurarlo con quel tocco vellutato. "Non mi pento di nulla e non cambierei nulla, sapendo che questo è il risultato".
Sembrò riuscire nel suo intento: Kurt si rilassò e gli cinse il collo, affondando il viso contro la sua spalla per poi percorrere la scia di nei con le labbra, strappandogli un piacevole brivido.
"Per essere un anti-sentimentale, sei stato capace di un amore da film", sussurrò al suo orecchio e Sebastian immaginò il suo sorriso dalla flessione della voce.
"E la cosa ti diverte", commentò con intonazione vagamente più stizzita.
"Al quanto”, lo informò, per poi addolcirsi. “E mi commuove e mi fa capire che ho solo iniziato a capire quanto potrò amarti col tempo".
"Suona molto promettente”, si scostò per osservarlo in viso, fermandosi un'altra volta, un sorriso che si estendeva sul volto, facendone scintillare gli occhi di smeraldo all'ennesima idea. “Non pensi che dovremmo partire?".
L'altro sbatté le palpebre, con aria confusa e vagamente interdetta.
"Il viaggio di nozze è già pagato, no?", lo incalzò con aria particolarmente divertita da quell'espediente.
Lo vide impallidire, evidentemente a disagio all'idea dell'ex fidanzato: conoscendolo probabilmente si sarebbe crogiolato nel senso di colpa per molto tempo, malgrado tutto.
"Ma non mi sembra molto opportuno, e poi era la mia scelta con Blaine e-".
"Basta kurteggiare”, lo canzonò come agli esordi della loro convivenza, ma ne strinse la mano. “Cogli l'attimo".
Rafforzò la pressione sulla sua mano e sorrise, a dispetto di se stesso: "In fondo ho già le valigie pronte".
"Farò le mie in un lampo, se non mi distrarrai”, lo rassicurò e si volse, trascinandolo con sé, prima che potesse realmente cambiare idea.
"Sebastian, aspetta", insistette, inducendolo a fermarsi.
Si volse, le sopracciglia inarcate, ma Kurt lo attrasse a sé per un altro bacio, trattenendolo un lungo istante, quasi ancora non riuscisse a credere che fossero insieme e quella fosse l'unica prova indelebile.
Sebastian sorrise, trattenendolo fin quando sembrò desiderarlo, ma si costrinse a scostarsi, sussurrando nuovamente sulle sue labbra. "Non tentarmi, Hummel: abbiamo una luna di miele senza matrimonio per questo".

~


Voce di Fata era davvero una persona dolce e gentile come se l'era immaginata dalla comunicazione telefonica. Il suo aspetto, così simile a quello di un elfo di Natale!, era solo sembrato una conferma, soprattutto gli occhi di quella bellissima sfumatura d'azzurro. Ma non si sarebbe mai aspettata che lui e Ciuffo Disney (allora era proprio innamorato ed era evidente che Voce di Fata avesse un bell'effetto su di lui) le avrebbero permesso di fermarsi nel loro loft, nell'attesa che si trovasse un nuovo appartamento.
Certo, era anche una bella responsabilità e avrebbe dovuto stare attenta a non distruggere qualche oggetto di valore. Probabilmente avrebbe anche fatto meglio a non uscire di casa e dire al Signor Murphy che era malata, tanto per non rischiare di perdere anche le loro chiavi.
Si riscosse alla vista di Hunter che, il viso appena più colorato per lo sforzo, stava trasportando le ultime valigie con un braccio e la gabbia da viaggio di Lord Tubbington dall'altro. Quest'ultimo aveva il muso schiacciato contro le grate della porticina e le unghie sguainate nel tentativo di assalirlo durante il trasporto.
"Ed ecco la best- il tuo gatto”.
Gli sorrise con aria riconoscente, si mise in ginocchio per liberare il felino e lo prese tra le braccia, senza sforzo, ignorandone gli sbuffi risentiti e il pelo gonfio a tradirne l'inquietudine per quello sgradevole viaggio. Ne baciò il musetto e si guardò attorno, tenendolo come un neonato.
"Guarda, Tubby, questa sarà la nostra casa per qualche giorno".
Lo sguardo azzurro parve perdersi in un punto indefinito, mentre Hunter Clarington si guardava a sua volta attorno: era la seconda volta che entrava tra quelle quattro mura, ma persino lui si avvide che sembrava già sentirsi un'atmosfera diversa. E non aveva dubbi che tale impressione sarebbe stata confermata, se vi avesse fatto ritorno dopo una convivenza di coppia tra i due innamorati.
Scosse il capo tra sé, ancora vagamente sconcertato dagli eventi della giornata, ma si rivolse di nuovo alla giovane con un sorriso impacciato: "Allora, se hai bisogno di qualcosa, chiamami pure”, le disse, prima di stringersi nelle spalle. “Io credo che-".
"Per tutto questo tempo l'ha amato”, commentò Brittany tra sé e sé, evidentemente non avendone ascoltato alcuna parola. E neppure essendosi accorta di come il gatto stesse cercando di attaccare il ragazzo da sopra la sua spalla, costringendolo a schivare le unghiate come un abile imitatore di Neo3.
“Ma era disposto a lasciargli sposare un altro perché non credeva di essere abbastanza o di poterlo amare come meritava. Lo ha quasi perso oggi", continuò tra sé con un sospiro, come se quella riflessione le procurasse un personale motivo di cruccio e di amarezza.
Hunter annuì, seppur incuriosito dal modo in cui, più di una volta, lo avesse sorpreso con riflessioni così profonde e personali, celate da quella tipica espressione confusa e/o sognante. "Credeva di proteggere entrambi, in qualche contorto modo”, aggiunse con un sorriso ironico.
"Io non voglio continuare così", dichiarò Brittany che, ancora una volta, sembrava seguire un filo logico proprio e che era sconosciuto persino a lui.
Depositò il gatto a terra, ignorandone il soffio indignato e si avvicinò al giovane con una nuova risoluzione a sfiorarne lo sguardo azzurro. Strinse i pugni esili lungo i fianchi, dovendo leggermente reclinare il viso per osservarlo negli occhi.
"Non voglio più nasconderlo", aggiunse con una nuova sicurezza a renderne lo sguardo più fermo.
L'altro assunse un'espressione comicamente perplessa: non quella che esibiva di fronte ai suoi nomignoli d'eccezione (sembrava ormai più che avvezzo) o alle caratteristiche antropomorfe che attribuiva all'obeso felino. In realtà non era mai apparso così confuso o incapace di prevederne le reazioni o gli intenti. Si sarebbe sistemato meglio gli occhiali sul naso se li avesse indossati in quel momento.
"Eh?", domandò con genuino stupore.
La ballerina sorrise con genuina spensieratezza, come se fosse stato divertente vederlo basito, probabilmente ciò era l'ennesima prova di quel suo affetto particolare. O di come ne avesse intuito la vera essenza, malgrado spesso avesse cercato di sorprenderla con modi più cavallereschi, misti ad una maldestra aria seducente.
Allungò le mani e con la stessa spontaneità di un commento a cuor leggero, ne cinse le gote e si sollevò sulle punte per appoggiare le labbra alle sue in un bacio sfiorato, appena accennato. Una carezza timida, una sorta di richiesta di permesso, o un modo di appurare un pensiero e renderlo reale.
Non lo aveva sentito muoversi: era come se si fosse pietrificato, malgrado la pressione appena percepibile. Si scostò dopo quella lievissima impronta, come se avesse trovato la certezza: le guance più rosate, lo sguardo scintillante e un sorriso più femmineo, prima di portarsi le mani ai fianchi con infantile intenzione di apparire sicura nella domanda che formulò, dopo essersi schiarita la voce.
"Mi piaci, vuoi stare con me: sì o no?".
Hunter parve incapace di proferire motto: la mascella abbassata e le labbra schiuse in un'espressione di stolida sorpresa. Vittima dello stesso sconvolto stupore che gli aveva impedito di ricambiarne il bacio.
"Oh no”, pigolò Brittany con voce mortificata. “Tu non volevi!", gemette e si tappò le labbra con aria umiliata, le gote arrossate e gli occhi lucidi. "Scusa, scusa tanto, sono una pasticciona e-".
Soltanto allora il ragazzo parve riaversi perché fu repentino a cingerne i fianchi ed attrarla a sé: "Oddio, sì, sì che lo voglio!", commentò in risposta, con incredibile foga.
Lo sguardo verde guizzò e un sorriso più suadente ne curvò le labbra: non le diede adito ad una risposta perché si sporse a baciarla intensamente, come aveva immaginato per tanto e troppo tempo, lasciando più di un'impronta sulle labbra rosate.
La sentì abbandonarsi docilmente con un morbido verso soffuso, simile ad un miagolio.
Al sentirla sorridere del suo bacio, dopo avergli cinto il collo e aver preso a sfiorarne la nuca con sorprendente naturalezza e decisione, indietreggiò con lei. Fino a quando il verso strozzato del gatto non fu la prova lampante di averne appena calpestato la coda.
Ora sì che era tutto perfetto.

~

"Ma se capiscono che è un trucco e non siamo gli sposi in luna di miele?", bisbigliò Kurt, non appena valicarono la soglia del sontuoso hotel, trascinando la propria valigia e guardando l'altro con espressione evidentemente preoccupata.
Sebastian si strinse nelle spalle, divertito per quella futile paranoia: dopo l'ultimo anno trascorso, quello non poteva davvero considerarsi un vero cruccio.
"Rilassati, hai pagato, no?”, domandò con aria pragmatica. “Per loro è indifferente, ma se preferisci potremo sempre improvvisare, sono un ottimo attore: dovresti saperlo ormai”, aggiunse con aria compiaciuta di se stesso.
"Ma non abbiamo neppure gli anelli!".
Sebastian sorrise, come se avesse previsto quella sua protesta ed estrasse due involucri, trovati nel sacchetto delle patatine comprate durante il volo. Lo aprì, dopo essersi fermato al centro della hall e gli porse uno dei due anelli di plastica: "Azzurro per te, marito", commentò insinuandoglielo all'anulare con aria esperta ed indossandone uno verde.
L'altro sospirò con aria divertita ed esasperata insieme, ma non poté che rimirare il proprio dito con mera adorazione. "E' la cosa più pacchiana, ma deliziosa che abbia mai visto", sussurrò in tono stucchevole, lievemente velato di ironia che strappò un sorriso a Sebastian.
“Bene, se abbiamo finito con le paranoie del giorno”, non gli diede tempo di replicare perché, intrecciata nuovamente la mano alla sua, lo condusse alla reception, rivolgendosi con un sorriso al concierge. “Buonasera, abbiamo una prenotazione per la luna di miele”, esordì senza alcuna esitazione nella voce.
"I Signori Anderson, immagino”, sorrise con aria affabile l'uomo nella sua lucente divisa.
“Benvenuti".
Sentì Kurt ridacchiare di fronte alla sua espressione stizzita, ma non perse tempo nell'esibire la sua migliore espressione di educata perplessità, con un sorriso a fior di labbra.
"Mio marito ama prendersi gioco di me e ha prenotato con le credenziali del suo ex fidanzato”, rivelò con un sospiro, osservando l'espressione confusa dell'uomo, intento a digitare qualcosa al proprio computer. “Ha un senso dell'humour molto discutibile, lo perdoni".
"Ehi!”, soffiò Kurt con aria indignata, ma Sebastian lo ignorò e si affrettò a prendere il portafoglio dalla tasca interna del soprabito.
"Siamo i signori Smythe, prego", porse una banconota con un sorriso eloquente.
"Vi farò subito accompagnare dal fattorino, signor Smythe", replicò l'uomo con un sorriso affettato.

“So che non ti faceva impazzire l'idea di tornare a Parigi4”, esordì Kurt guardandosi attorno con espressione evidentemente soddisfatta. “Ma devi ammettere che questo hotel è davvero meraviglioso: siamo davanti agli Champs Elysées!”, convenne con espressione raggiante, lasciandosi cadere sul materasso e sollevando le gambe per poi lasciarsi cadere all'indietro con aria giocosa.
Si accorse dopo un lungo istante che Sebastian non lo stava realmente ascoltando: lo aveva seguito con lo sguardo, sin da quando si era tolto il soprabito. Non sembrava neppure provare un particolare rammarico o disagio al vederlo ancora in abito da sposo: ne seguì i movimenti, appoggiò il proprio soprabito sul divano, con aria distratta, e gli si avvicinò.
Si adagiò sul materasso e, senza proferire parola, si sporse alle sue labbra, come se improvvisamente si fosse reso conto di non poter più farne a meno, che tutto il proprio mondo, da quel momento in poi, sarebbe stato in quel contatto. A ricordargli che erano finalmente un'unica cosa e che non avrebbe più dovuto aver timore di perderlo.
Sentì Kurt rilassarsi sul materasso e le braccia esili lo cinsero con la stessa naturalezza, mentre scivolava su di lui, assaggiando quel bacio e sentendo quel piacevole brivido di pura vita. Scostò le labbra per vezzeggiare la pelle delicata e fresca del collo, sorridendo nel percepirne l'intirizzimento. Mugugnò quando Kurt incastonò le dita tra i suoi capelli.
“Forse dovremmo aspettare”, sussurrò quest'ultimo con voce incerta, inducendolo ad inarcare le sopracciglia. “Poche ore fa stavo per sposare un altro, non vorrei che tu-”.
Gli sorrise con aria rassicurante e dolce insieme: “Ventiquattro ore fa stavi baciando me”, gli ricordò con uno scintillio suadente dello sguardo.
“...pensi che sia un prostituto”, continuò Kurt.
Scosse il capo, sorridendo con aria quasi divertita all'idea che nulla potesse essere più lontano da quella purezza incontaminata che lo aveva colpito dalla prima volta, nonché dalla sua riservatezza e timore nel mostrare qualcosa di meramente personale. Dai propri sentimenti ad una porzione di pelle nuda.
"Sei un idiota, paranoico e incredibilmente incapace di sentirti degno di qualcuno, persino di me, anche se hai sempre criticato la mia squallida vita promiscua”, ne imitò il tono pomposo e sdegnato, arricciando il naso.
"E tu un egocentrico narcisista, finto cinico, ma capace di un amore unico come te”, sussurrò, sfiorandone delicatamente la guancia e Sebastian, ancora una volta, rabbrividì all'idea che un tocco così innocente fosse capace di farlo fremere nel profondo. Sospirò, continuando ad osservarlo. “Disposto persino al silenzio, pur di farmi decidere della mia vita", continuò sulle sue labbra, cingendogli la nuca per avvincerlo a sé.
"Nell'albergo della tua luna di miele”, rimarcò in tono distratto, socchiudendo gli occhi. “Con me".
"Con te", sussurrò sulle sue labbra, sorridendo su di esse.
Non aveva mai provato nulla di vagamente simile: era come perdere totalmente coscienza di se stesso e, al contempo, riuscire a trovare nuovamente un baluardo di sé nei suoi baci, nelle carezze lasciate sulla propria pelle, nell'incavo del suo collo, in cui rifugiarsi quando l'emozione sembrava prendere il sopravvento. Quando si costringeva a restare cosciente e ricordarsi chi stesse stringendo tra le proprie braccia perché la realtà non si spezzasse in un sogno solitario.
Quell'essenza di vaniglia parve avvolgerlo in un caldo abbraccio, annullando tutto il resto, abbandonandosi con la stessa devozione fervente e il timore quasi reverenziale di poter persino spezzarlo con un tocco troppo appassionato.
"Kurt", sussurrò l'ennesima volta sulle sue labbra: persino in quel momento sembrò cercare la conferma che non fosse soltanto un sogno, ma che fosse realmente suo. Anima e corpo.
"Sono qui".
Quasi riconobbe a stento la sua stessa voce, ma ne accolse il bacio, con lo stesso spasmodico bisogno, mentre tutto il resto si annullava, inducendolo a stringerne maggiormente la mano e trattenere il fiato. Ancora un altro istante. Per sentirlo completamente.
"No, siamo qui", riuscì a dire in un ultimo sospiro.

~

"Sono un disastro nelle relazioni", esordì Hunter, infrangendo quel silenzio piacevole, con il sottofondo dello sfrigolio della legna, mentre incastonava le dita tra i lunghi capelli della ragazza che aveva adagiato il capo contro il suo petto e sembrava lì lì per addormentarsi sul divano.
Al sentirlo parlare, schiuse gli occhi e si scostò appena per guardarlo in viso con un vago sorriso divertito, reclinando il capo. "Parli con chi perde le chiavi, dimentica di pagare l'affitto, le bollette e le more”, gli ricordò con semplicità. Quasi incredula che fosse lui l'elemento della coppia a poter avere dubbi sulla propria rispettabilità.
Sorrise in risposta, sfregando il naso a quello della giovane: "Ci penserò io a farti da consulente finanziario”, la rassicurò. “ E ti farò confezionare un bracciale con le chiavi di casa come ciondolo".
Seppur emozionata alla prospettiva, a giudicare dal luccichio dello sguardo, rise con la stessa aria spensierata: "Finché non perderò anche quello?", gli domandò con aria provocatoria, quasi a testarne la pazienza.
"Vorrà dire che avrai un centinaio di chiavi di scorta e le disseminerò nei dintorni”, continuò l'altro come se, ad ogni piccola obiezione posta, trovasse persino più piacere nello sciogliere i dubbi, sentendosi lui stesso più forte e in grado di sostenere una relazione, senza rovinare tutto. “Magari cambiando serratura ogni mese, giusto per sicurezza", aggiunse tra sé e sé.
La giovane rise, ma ne baciò le labbra con lo stesso schiocco più infantile e devoto insieme, prima di tornare ad accoccolarsi alla sua spalla.
"Hai detto che non volevi più aspettare”, commentò il ragazzo dopo qualche istante, quasi stesse ancora riflettendo sugli ultimi eventi e il loro rapido evolversi. “Da quanto?", chiese con le sopracciglia inarcate, quasi incredulo di non essere riuscito a cogliere quei sentimenti che tanto aveva disperato di poter carpire nel loro rapporto.
"Non lo so di preciso”, ammise la giovane, ma lo sguardo parve ammantarsi di quella stessa concentrazione che spesso lo rendeva vacuo e distante. Sorrise ad un particolare ricordo, prima di continuare. “La prima volta che ti ho visto, ho sentito un mal di pancia incredibile, ma credevo fosse colpa delle fragole”, raccontò con quella tipica genuinità. “Ma con il tempo e gli strani monologhi in spagnolo di Santana, ho cominciato a capire che non era casuale ed era tutta colpa tua”, soggiunse con aria vezzosa, puntandogli il dito al petto.
Hunter corrugò le sopracciglia con aria perplessa: "Ma è da quando ti conosco che provo a invitarti fuori e non sembravi mai interessata".
"E allora, tu?”, ribatté l'altra con un broncio infantile. “Pensano tutti che tu e Sebastian siate una coppia di delfini!”. Gli fece presente con altrettanto sconcerto.
La conosceva ormai troppo bene per poter restare sconvolto a quella metafora, ma serrò la mascella, fissando la parente innanzi a loro con uno scuotimento del capo. "Io l'ammazzo", borbottò tra sé e sé.
"E quando mi convincevo a parlarti”, riprese la giovane con un vago sospiro. “Ti comportavi in modo davvero strano con Sebastian”. Si strinse nelle spalle e sorrise: quel lieve cruccio era scomparso, con la stessa rapidità con cui era apparso. “Certo, poi ho capito che lui ama Kurt, ma avete un rapporto un po' equivoco”, commentò con la sua tipica schiettezza.
Il ragazzo sospirò con aria stoica, ma parve decidere che, dopotutto, non aveva bisogno di sapere altro, perché l'attirò nuovamente a sé e ne baciò la gota: "Questo non posso negarlo", bisbigliò al suo orecchio.
"Allora io non negherò che faccia parte del tuo fascino, anche se continua ad essere strano”, lo informò. Lo scintillio vivace dello sguardo, lasciò spazio ad una consapevolezza più femminea nel sederglisi in grembo per cingerne il collo e sporgersi alle sue labbra.
“... forse, dopotutto, non lo ucciderò”, parve riflettere, reclinando lievemente il collo e cingendone la nuca.
“Mhm, basta parlare di Sebastian”, mugugnò in risposta.

~

Non ricordava di aver mai dormito così piacevolmente: era come essersi perso in un torpore del tutto nuovo, come se non avesse mai compreso quanto avesse bisogno di un simile e piacevole abbandono. Strinse istintivamente il corpo caldo di Kurt, laddove quell'essenza più dolciastra si era fusa alla propria, con la stessa naturalezza con cui il giovane era diventato parte della sua stessa vita.
Sorrise, gli occhi ancora serrati, quando lo sentì acciambellarsi maggiormente contro il suo petto, quasi ne avesse percepito il risveglio. Ne ebbe conferma quando prese a tempestarne il viso di morbidi baci, seguendo la linea curva dei nei, inducendolo a stringerlo più intensamente.
"Mhm, ingordo", lo vezzeggiò a mo' di buongiorno, schiudendo appena un occhio e cercando di abituare la vista alla luce e ignorare i postumi del jet lag, simili ad una sbronza. Eppure nulla sembrava realmente intaccare quella serenità interiore.
Ne osservò il sorriso che sembrava farne scintillare gli occhi azzurri persino più intensamente, ancora intenti a contemplarlo, come se lo stesse scorgendo per la prima volta.
"Avevo bisogno di una prova che non fosse solo un sogno", sussurrò.
Sebastian si sentì più che partecipe di quello stato d'animo. Se già dormire con lui era stato più volte il vessillo di quel bisogno, averlo amato così intimamente era stato come toccare quel sentimento in profondità e sentirsene completamente riempito. Eppure consapevole che il tempo lo avrebbe reso persino più intenso.
"Sai come lo renderemo ancora più reale?”, gli domandò con un'occhiata puramente lasciva che riuscì, malgrado tutto, a farlo arrossire. Uno sguardo più dolce compensò quella provocazione implicita. “Al ritorno cambieremo tutto: un'unica camera da letto".
L'altro sorrise, evidentemente più che entusiasta (e con le sue manie per il design non era certo qualcosa di sorprendente) all'idea di progettare anche materialmente l'evolversi della loro vita insieme.
"Potremmo comprarci un letto matrimoniale", continuò con lo stesso tono sognante, che gli valse un'occhiata più maliziosa.
"Potrei avere la stanza da biliardo che ho sempre desiderato", aggiunse imitandone il tono trasognato.
"O potremmo farne uno studio”, fu l'entusiastica reazione di Kurt, evidentemente troppo emozionato per coglierne la complice presa in giro. “Zona diritto e zona moda, poi zone neutre come diritto nella moda o moda nel diritto".
Doveva essere più ebbro di qualcosa di più forte dell'alcol per ridere di una simile battuta. Ma non era una risata divertita, piuttosto spensierata e serena, realizzò nel carezzarne la schiena, inducendo Kurt a rilassarsi contro la sua spalla, come se fosse perfettamente naturale.
"Mi piace l'idea di essere l'unico ad essere mai entrato nella tua camera”, gli confidò dopo qualche istante di piacevole silenzio. “La nostra camera", soggiunse, come se avesse avuto il reale bisogno di dirlo a voce alta.
“Purché tu non la riempia troppo di cianfrusaglie inutili”, finse di ammonirlo con aria polemica, ma neppure ciò sembrò minare il buon umore dell'altro.
"Avrai finalmente un pigiama abbinato anche tu", sussurrò in tono sognante, disegnando forme astratte sul suo petto con un dito.
Sebastian rise, scuotendo il capo: "Dubito che lo userò molto”, precisò. “Ma il tuo profumo sarà ovunque", continuò con voce più velata, quasi realmente intaccata dall'emozione del momento.
"Mischiato al tuo", sussurrò l'altro.
"E riscriveremo quelle stupide regole: entra dove vuoi, senza bussare, soprattutto se l'altro è nudo", esordì, appoggiandosi un braccio piegato sotto il capo, quasi a mettersi più comodo, lo sguardo perso in un punto indefinito.
Era tutto meravigliosamente reale, per quanto ancora stentasse a crederlo.
"Torna da me", sussurrò Kurt, chinandosi al suo volto per sfiorarne le labbra.
"Sempre", lo rassicurò.

~
Avvolto nell'asciugamano di spugna, si stiracchiò pigramente ed uscì dal bagno, inarcando le sopracciglia al suono insistente del telefono, ma fu lesto ad individuare il cordless e premere il tasto di risposta.
"Pronto?".
"Clarington?”, lo richiamò Sebastian con voce interdetta, fissando per un istante il telefono, quasi ad appurare di non aver selezionato il numero sbagliato. Aggrottò le sopracciglia. “Che diavolo ci fai a casa nostra?".
Sebastian si sarebbe dovuto ritenere fortunato: la telefonata gli stava risparmiando la vista del sorriso più che compiaciuto che era apparso sulle labbra del suo interlocutore.
Quest'ultimo si schiarì la gola. "Diciamo che ho”, sorrise, come a voler assaggiare le parole seguenti. “Non dormito qua".
L'attimo di silenzio che accompagnò quella frase fu eloquente segno dell'incredulità dell'altro che, tuttavia, recuperò la solita compostezza e il senso pragmatico della situazione.
"Nel mio letto?!”, domandò in tono scandalizzato.
"Certo che no”, ribatté l'altro con le sopracciglia inarcate. Un poco perplesso, probabilmente, dal fatto che quella fosse la prima domanda che gli era stata posta, dopo una simile confidenza. “ Come se non ti conoscessi. In quello di Kurt", aggiunse dopo aver tossicchiato e premunendosi di controllare che la ragazza non fosse a portata di orecchio.
"Il letto di Kurt?", ripeté e non sembrò riuscire a trattenere un verso di divertimento all'idea di come il ragazzo avrebbe reagito.
Alla sola menzione, infatti, Kurt sollevò lo sguardo dalla propria cartolina e lo guardò con aria sconvolta: "Oddio, dimmi che quella bestia del suo gatto non ha dormito tra le mie lenzuola!", parve supplicarlo.
Sebastian represse a malapena la risata.
Se sapessi che “bestia” ci ha dormito.
"Oh, no. Dice che è come dormire su una nuvola morbida”, lo informò, imitando la voce infantile della ragazza.
Kurt sorrise, dondolando le spalle. “Che ragazza deliziosa: manderò una cartolina anche a lei”.
Sebastian aprì la portafinestra e soltanto quando fu sul bancone, si rivolse all'altro con tono evidentemente risentito: "Spero che l'astinenza forzata sia valsa la pena".
Il sorriso di Hunter parve persino più esteso, ma mantenne un tono pacato.
"Sono un signore”, replicò, cercando di nascondere il reale compiacimento. “Quindi non farò commenti inopportuni".
"Eww, ti prego”, ribatté l'altro con aria realmente disgustata. “Non alludevo alle tue dubbie prestazioni: mi devi cinquanta dollari, schifoso-depravato-bastardo", gli disse in tono perentorio.
"Eh?!", chiese l'altro in tono sconcertato: probabilmente più per la mitragliata di insulti che per la reazione tutt'altro che solidale.
"Devo desumere che la casa non sia crollata”, continuò Sebastian rientrando nella suite. “Ho raggiunto il mio scopo, ti saluto".
"Perché cinquanta dollari?!”.
L'unica risposta fu il segnale della linea libera.

“Sai?”, Kurt sollevò lo sguardo dalla cartolina che stava ancora compilando, rimirando l'anello azzurro. “Mi ci sto abituando”.
L'altro sorrise, stringendolo da dietro e baciandone la gota. “Tienilo stretto. Non ne avrai presto un altro: non voglio sentir parlare di matrimoni per almeno dieci anni”.
Kurt non parve affatto offeso, reclinò il collo per osservarlo e sorrise con sguardo adorante: “Quindi stai davvero contemplando l'idea di sposarmi, un giorno”.
“Sta zitto e baciami”.

To be continued...


Connessione permettendo, eccoci per un altro Venerdì Kurtbastian. Non avrei davvero voluto posticipare l'appuntamento, specialmente una volta giunti ad un simile punto di svolta :)
Confesso che mi mancherà non poco aggiornare questa fanfiction, ma sono davvero molto entusiasta dell'intero progetto e di come sia stato accolto in questi mesi trascorsi insieme, quindi colgo ancora una volta l'occasione per ringraziarvi di tutto cuore.

Come avrete intuito, siamo ormai in dirittura d'arrivo, ma abbiamo ancora un appuntamento per l'epilogo.
Quindi vi attenderò Venerdì 9 Gennaio (guarda caso il giorno in cui inizierà l'ultima stagione di Glee :D) e, nel frattempo, vi auguro di trascorrere delle bellissime feste con le vostre famiglie, amici e fidanzati. Ma non organizzate matrimoni che uno Smythe non potrebbe approvare e diffidate di baristi che non siano aspiranti dottori! :P.


Gli ultimi spoiler di questo 2014:


“Quanto avete parlato tu e Kurt?” “Abbastanza da sapere che finalmente sei felice”.

“Oddio, si è innamorato di me”. “Sebastian!” […]
 “Non dovremmo lasciarli soli troppo a lungo” “No, decisamente no”.

“Per qualche strano motivo non mi sono già stufato di te e ogni giorno è la conferma...[...]”.

A presto e ancora tanti auguri a tutti! :)
Kiki87


1Per ascoltare il brano e vederne il testo originale: qui
2Ehm non pensiate che non riesca a rinunciare ad una goccia di “angst” anche nel capitolo che deve condurre al lieto fine. La mia non è cattiveria “gratuita” :P Semplicemente, questo capitolo doveva chiudere il cerchio iniziato col prologo e quindi siamo tornati al punto di partenza ;)
3Protagonista di Matrix :D
4Cercate di capirlo, Blaine, dopotutto la prima volta se l'era persa la città :P Si potrebbe anche dire che uno Smythe "in casa" vince sempre ;) 

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


epilogo
Spaventato all’idea di andare avanti,
desiderando tornare indietro, quando
tutto era molto più semplice per me.

Cercando tutto ciò che ci siamo lasciati alle spalle,
come fosse una risposta.
Una clessidra che non possiamo riavvolgere.
Trattenendo una vita che ho negato così a lungo.

Posso trovare in te la mia strada?
E dopo tutto ciò che abbiamo passato,
e dopo tutto ciò che abbiamo lasciato in pezzi,
credo ancora che le nostre vite stiano appena iniziando.
Perché adesso il passato può essere superato.
E adesso so che tu sei la ragione
per cui credo che il meglio debba ancora iniziare.

The best is yet to come – Red
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Epilogo



"Spiegami di nuovo come è successo".
Sebastian, malgrado fosse imbacuccato per ripararsi dal freddo, il cui respiro lievitava in una nuvola, si volse verso il giovane che lo accompagnava. Doveva evidentemente avergli raccontato qualcosa di particolarmente buffo, a giudicare da come il sorrisetto sferzante ne faceva scintillare lo sguardo smeraldino, persino alla luce fioca dei lampioni in strada.
L'altro parve particolarmente risentirsi della richiesta, visto come aggrottò le sopracciglia (spesso più eloquenti del suo mutismo difensivo) e la mascella sembrò contrarsi.
Osservò il loft illuminato dall'interno, con aria di evidente attesa.
"Ti dispiace?”. Indicò la precipitazione di fiocchi di neve che stavano martoriando New York per le rigide temperature di quell'inverno apparentemente infinito. “Forse non te ne sei accorto, ma c'è una bufera in corso", aggiunse con intonazione ironica e polemica assieme.
Sebastian si fermò con aria serafica, le braccia incrociate al petto, con evidente aria di sfida: non gli avrebbe concesso di entrare, fino a quando non avrebbe adempiuto alla sua tirannica richiesta.
Hunter sospirò con aria afflitta: lo conosceva fin troppo bene per illudersi che si sarebbe lasciato dissuadere da qualche intento caritatevole.
"Te l'ho già raccontato tre volte", parve quasi supplicarlo.
Il ghigno del proprietario del loft parve persino estendersi, sbarrandogli l'ingresso: "Non smetterei mai di ascoltarlo".
L'amico parve persino più stizzito, ma affondò le mani nelle tasche della giacca, quasi stesse cercando di ignorare il gelo e il disagio per quella prolungata attesa. Si strinse nelle spalle, ma fu il suo turno di sorridere con aria di sfida: "Solo perché credi che Kurt ti nasconda qualcosa e cerchi di svicolare su di me i tuoi problemi di coppia".
Il cipiglio di Sebastian non si scompose, ma gli rivolse un sorriso persino più suadente, mentre, con flemmatica lentezza, insinuava le chiavi nella toppa e schiudeva l'uscio di pochissimi millimetri.
"Non provocarmi: sai che non mi farei remore a lasciarti fuori".
Non ci fu neppure bisogno di rispondere a quella constatazione fin troppo realistica. Hunter fece un cenno d’assenso e d’inequivocabile resa, prima di sospirare e borbottare una rapida sequela di parole che dovevano essere riassuntive del misfatto.
"Brittany, chiavi, tombino, torcia, recupero chiavi, gatto malefico, sabbia per gatti ed attesa”, recitò con la stessa passione con cui avrebbe enunciato i sintomi di un tumore in metastasi. “Contento?".
"Estasiato”, ribatté l'altro che gli concesse un cenno con il capo, perché si avvicinasse. Parve tuttavia indugiare, prima di schiudere del tutto l'uscio. Gli gettò un'occhiata sospettosa. “Per quanto vorresti fermarti esattamente?".
Hunter sollevò gli occhi al cielo: "Solo stanotte, per mia fortuna e-".
Non terminò la frase e le sue labbra s’incresparono di un sorriso piuttosto compiaciuto della propria mirabolante performance.
Nell'esatto istante in cui aveva schiuso completamente l'uscio, un Sebastian sorpreso aveva lasciato vagare lo sguardo sul soggiorno completamente trasformato del proprio loft. Lo sguardo guizzò alla folla sotto lo striscione di congratulazioni per il conseguimento della sua laurea.
In prima fila, con raggiante e un bicchiere di champagne tra le dita, vi era il proprio ragazzo, ma lo sguardo guizzò da Burt Hummel, Santana Lopez, qualche collega della Columbia, fino a chi non si sarebbe mai aspettato di vedere nel proprio appartamento.
"Mamma?".
La donna gli sorrise, seguita dal padre, e gli si avvicinò per cingerne il collo e baciarne la guancia: "Congratulazioni tesoro, sappiamo che hai voluto far tutto da solo e non potremmo essere più fieri di te”, lo lodò con un sorriso sincero.
Sebastian stentava a ricordare l'ultima volta che l'aveva vista così orgogliosa, persino quando la loro vita era a Parigi e il suo destino sembrava già evidente. Ne ricambiò il bacio e si lasciò stringere brevemente dal padre.
“Non lasciartelo scappare: adoro quel ragazzo", aggiunse la donna in un sussurro più complice, alludendo a Kurt che si era nuovamente calato nel suo ruolo d’organizzatore. Lo osservò stringere mani, ringraziare ospiti e, al contempo, seguire con sguardo attento l'operato dei camerieri che aveva ingaggiato per quella riunione informale ma elegante.
“Per tua informazione, ” ascoltò soltanto distrattamente la voce di Clarington, “era tutta una messa in scena”. Agitò le chiavi di casa e si allontanò per raggiungere il tavolo del buffet e la biondina che già stava cimentandosi nell'assaggio dei dolci.
Sebastian lo ignorò, ma si mosse rapidamente, fino a raggiungere Kurt che gli rivolse un sorriso raggiante e, com’era prevedibile, sfoggiava uno smoking nuovo con tanto di cravatta e foulard abbinato.
"Tu", commentò con aria accusatoria e scosse il capo, pur osservandosi attorno con reale curiosità, sorridendo distrattamente agli ospiti che sollevavano il bicchiere in sua direzione.
Non sembrava esserci bisogno di esprimergli il proprio disappunto, o comunque il suo ragazzo non sembrava farci particolarmente caso. Non in quel momento. Reclinò il capo e si sollevò sulle punte a baciarne la guancia, gesto che gli fece ulteriormente aggrottare le sopracciglia.
"Non si consegue una laurea con il massimo dei voti tutti i giorni", si strinse nelle spalle, ma nello sguardo era palese, ancora una volta, quanto ne fosse fiero.
Fu forse ciò a farne attenuare il cipiglio di Sebastian, ma affondò le mani nelle tasche: “Lo sai che odio le feste”, gli ricordò, ma gli concesse quel sorriso più suadente, coronato dallo scintillio più malizioso dello sguardo, chinandosi al suo orecchio. “Me la pagherai e sto già immaginando come”.
Sorrise nell'osservare il colorito rosato che sfiorò le gote di Kurt (in segreto sperava che non avrebbe mai perso quella sfaccettatura di riservatezza), ma quest'ultimo sospirò e gli appoggiò la mano sulla spalla.
"Ne riparleremo, ma non con gli ospiti che vogliono congratularsi”, alluse alla camera da letto con un cenno del capo. “Vatti a cambiare, ti ho lasciato uno smoking sul letto".
Ma Sebastian indugiò di fronte a lui, cingendone il fianco con una certa decisione, chinandosi nuovamente verso il suo viso, sussurrando a fior di labbra: "Vuoi venire ad aiutarmi?".
Scrutò quegli occhi di zaffiro e si compiacque dello scintillio e dell'aspettativa che vi lesse, ma Kurt si scostò gentilmente, come a volersi sottrarre dalla sua abilità nel soggiogarlo.
"Citando qualcuno di nostra conoscenza”, si schiarì la voce per riprendere un po' di contegno e dondolò le spalle, malgrado si preparasse a ripeterne una citazione piuttosto esplicita. “E' più gratificante toglierli i vestiti".
Sebastian corrugò le sopracciglia, ma gli rubò un lieve bacio e si scansò rapidamente, prima di raggiungere la camera da letto.
Lasciò correre lo sguardo sulla stanza: un vago sorriso nell'occhieggiare il letto matrimoniale al centro della stessa, la cabina armadio che avevano installato per consentire a Kurt di collezionare tutti i suoi outfit (compresi quelli di discutibile gusto) e quell'aroma che sembrava aleggiare come un dolce presagio. Un misto di vaniglia e della propria eau de toilette preferita.
Seppur per molti versi non si sentisse cambiato, era suggestivo come anche la semplice disposizione dei mobili (secondo il feng- qualcosa di inutile – shui da cui Kurt era ossessionato) poteva essere testimone di una nuova fase della sua vita.


"Come si presume che io possa studiare, se continui a folleggiare?".
Sollevò appena lo sguardo dal proprio manuale, abbandonando l'evidenziatore con cui avrebbe tratteggiato le parole salienti per la comprensione del paragrafo e per facilitare la propria memoria fotografica.
Seguì con lo sguardo i movimenti di Kurt che, in preda al suo frenetico borbottio (brutta abitudine quella di parlare tra sé e sé) continuava ad estrarre scatoloni dall'armadio, riversandone il contenuto sul letto e prendendo nota su una delle sue infinite liste, tratte dai block notes che erano sparsi un po' ovunque.
"Forza di volontà”, gli rispose distrattamente, valutando, una per una, le palle decorative, scartandone alcune. Gli volse appena lo sguardo, il cipiglio più polemico: “ E poi sapevi che oggi avremmo dovuto preparare l'albero: avresti dovuto studiare questa mattina, così da potermi aiutare".
Sebastian non parve prendersela. Indugiò con lo sguardo a studiarne la silhouette, un vago sorriso e il volto inclinato di un lato. Si dondolò sulle gambe posteriori della sedia per guardarlo meglio.
"Eppure non mi sembra che ti sia dispiaciuto restare sotto le coperte fino all'ora di pranzo”, sussurrò con intonazione volutamente lasciva. “Al calduccio, vicini vicini”, soggiunse senza distogliere lo sguardo.
"Touché", sospirò in risposta, abbandonando per un attimo la propria lista. Con un vago sospiro, gli si avvicinò: "Come va?", lo cinse da dietro, baciandone la guancia.
Sebastian sorrise con aria soddisfatta, reclinando appena il capo per scrutarlo, sollevando una mano ad adagiarla sulla sua nuca, come ad incoraggiarlo a serbare a quella piacevole vicinanza.
"Mhm, stai per propormi una pausa?", gli domandò.
"Affatto”, rispose l'altro in tono limpido e, con disappunto del suo ragazzo, si scostò per appoggiarsi alla scrivania e guardarlo in viso. Sospirò. “Non voglio finire senza di te: sarà il nostro primo Natale”. Persino lo sguardo, in quel momento, sembrò volerlo impietosire e farlo sentire in colpa.
"Il terzo vorrai dire", rispose distrattamente, suo malgrado sorridendo per come l'altro sembrasse già in procinto di creare una loro nuova tradizione. Dimostrazione di quanto le festività stessero divenendo persino più importanti, in virtù della loro unione.
"Come coppia”, specificò Kurt. “Sai cosa intendo", parve supplicarlo.
Sebastian allungò il braccio a sfiorarne distrattamente il ginocchio, osservandolo di sotto in su, un nuovo sorriso a serpeggiare sulle sue labbra: "Metterai il tuo costume da elfo?”, lo incalzò, lambendosi le labbra.
L'altro sbuffò, scuotendo il capo: "L'ho gettato, due anni fa".
Il sorriso parve persino estendersi, mentre continuava a sfiorare quella porzione di gamba: "Potrei averlo recuperato".
Kurt sgranò gli occhi, evidentemente sorpreso, ma, grazie al suo spirito da inguaribile romantico, parve trovare particolarmente eloquente persino quella confessione, tanto da sporgersi al suo viso.
"Sei romanticamente depravato", finse di rimproverarlo.
"Sono unico nel mio genere", rimarcò con aria compiaciuta.
"Vorrà dire che dovrò aiutarti per concludere prima", si scostò a pochi centimetri dal suo viso, per prendere un'altra sedia.
Sebastian lo scrutò di sottecchi, un guizzo più dolce nello sguardo, ma commentò con l'usuale malizia: "Mhm, non riesci davvero a starmi lontano".
Kurt lo ignorò, prese il suo manuale e girò qualche pagina all'indietro, prima di illuminarsi:
"La sentenza Marbury contro Madison2, inizia".


Osservò il proprio riflesso con aria soddisfatta, lisciando la cravatta, prima di sollevare il bavero della camicia per poterla allacciare.
Fu in quel momento che sentì la porta della camera schiudersi e sorrise piuttosto soddisfatto: aveva volutamente indugiato più del dovuto, consapevole che la mania di controllo di Kurt lo avrebbe indotto a raggiungerlo.
"Sapevo che non avresti resistito", commentò senza neppure voltarsi.
"Non sembri affatto cambiato".
Sebastian s’irrigidì istintivamente, come se fosse stato colpito alle spalle: un'improvvisa aritmia ne tradì la sorpresa e la confusione, mentre abbassava le mani dalla propria camicia.
Molto lentamente, malgrado ne avesse riconosciuto la voce, si voltò per incontrarne lo sguardo, quasi avesse bisogno dell'ulteriore sollecitazione della propria vista per dirsi che non stesse realmente sognando.
"O meglio”, commentò la giovane, avvicinandosi con un sorriso incerto. “E' bello vedere chi sei davvero, Sébastien".
"Séline”, sussurrò senza fiato.
Indugiò nell'osservarne l'esile figurina che, per molto tempo, aveva cercato di isolare in un angolo della propria mente, vittima di un oblio che sembrava tuttavia incapace di permettergli di perdonarsi. Ebbe quasi l'impressione che la sua stessa vita, in quel momento, fosse sdoppiata tra gli anni trascorsi a Parigi e l'arrivo a New York, l'inizio di una nuova vita con Kurt.
La stessa bellezza evidente, gli stessi lineamenti delicati e lo sguardo limpido il cui giudizio era ancora capace di farlo sentire sporco. Ma, al contempo, sembrava avere trovato una nuova serenità, a giudicare dal modo affettuoso con cui il suo sguardo indugiava sulla propria figura, come se effettivamente ne avesse sentito la mancanza e fosse felice di trovarselo di fronte.
“Cosa... cosa ci fai qui?”, si sentì chiedere con voce che a stento riconobbe come la propria.
Gli sorrise, quasi a mo' di silenziosa rassicurazione, prima di fare un cenno del capo verso il soggiorno: "Il tuo fiancé è un tipo piuttosto testardo”, gli disse in tono scherzoso, prima di farsi nuovamente seria. Sospirò e lo osservò a lungo, con la sua stessa curiosità e, al contempo, il rimpianto per le circostanze dolorose della loro separazione.
“So che gli hai raccontato tutto di noi e quanto tu ti sia pentito”, sussurrò quasi a mo' di scuse, all'idea di essergli stata fonte di tormento. “Ma so anche che hai iniziato una nuova vita con successo”, continuò con un sorriso di reale comprensione.
Sebastian affondò le mani nelle tasche, continuando ad osservarla e cercando di cacciare le immagini del loro ultimo colloquio. Aggrottò le sopracciglia, quasi a volersi nuovamente difendere da una sua intrusione nei propri pensieri e in quella nuova fase della propria vita. Dopo di lei.
"E sei venuta fin qui per dirmelo?".
Ma la giovane lo aveva conosciuto abbastanza da non indignarsi per quell'apparente formalità e il modo in cui sembrò voler dissimulare le sue emozioni. Inclinò il viso di un lato e scosse il capo.
"Sono venuta a vedere il mio amico: il bambino che ho visto diventare un adolescente confuso, in cerca di risposte e che io non sono stata in grado di aiutare, né come amica, né come fidanzata”, sussurrò e la sua voce parve incrinarsi per la prima volta. Si scostò una ciocca di capelli dal viso, con un gesto nervoso, ma gli sorrise. “Ma sono felice di vedere un giovane uomo che ha trovato quello che cercava e non si nasconde più da se stesso".
Quasi a mo' di richiesta, allungò una mano in sua direzione: una promessa e, al contempo, una richiesta di rappacificazione.
Sebastian rilasciò il respiro e, quasi con nuovo slancio, si mosse in sua direzione a stringerne la mano, quasi quel contatto riuscisse nuovamente a stabilire quella sintonia che per tanto tempo li aveva uniti. Quasi riuscisse, finalmente, a lasciare andare quella parte di sé e concedersi tardivamente un perdono disperato.
"Vorrei non averti mai fatto quello che ho fatto”, sussurrò, guardandola dritto negli occhi.
"Lo so", gli sorrise dolcemente ed annuì con fermezza, stringendone la mano con più energia. "Ma non volevamo capire che non potevi esser mio", aggiunse e Sebastian annuì.
Soltanto in quel momento, un vago sorriso ironico, realizzò quanto lui stesso avesse vissuto un'illusione, simile e al contempo diversa, da quella che aveva esasperato il rapporto tra Kurt e Blaine. Un modo spasmodico di aggrapparsi a qualcosa che si riteneva (o si era ritenuto) reale, pur di non affrontare l'idea di un'inevitabile solitudine.
"Vorrei non averlo capito in quel modo”.
Séline annuì, ma assunse la stessa espressione dispiaciuta. "E io vorrei non aver mai pronunciato quelle parole: non mi sarei mai perdonata se ti avessi fatto perdere l'amore della tua vita”, commentò in tono contrito ed eloquente del proprio pentimento e del proprio senso di colpa.
Sebastian aggrottò le sopracciglia e si schiarì la gola, vagamente a disagio: "Quanto avete parlato tu e Kurt?".
La giovane ridacchiò: "Abbastanza da sapere che finalmente sei felice".
Lui annuì, ricambiandone il sorriso: "Lo sono”, ammise, prima di continuare a scrutarla, come a voler memorizzare quel momento, per riuscire a dare un nuovo significato ai tormenti del suo passato. “Perdonami", sussurrò dopo un lungo istante di silenzio.
"L'ho già fatto”, sussurrò e Sebastian le credette senza esitazioni e non per il mero bisogno di sentirsi sgravare la coscienza da quella colpa. “Ma la cosa più importante è che tu abbia perdonato te stesso e che tu possa vivere la tua vita con Kurt", parve ammonirlo dolcemente.
Il sorriso di Sebastian parve persino estendersi e lo scintillio dello sguardo fu più limpido che mai nell'osservarla, per la prima volta senza timore che ella potesse realmente comprenderne i sentimenti.
"Lo farò".
Si riscossero entrambi, quando la porta si schiuse e Kurt apparve sulla soglia: guardò dall'uno all'altro con aria evidentemente ansiosa, ma parve rilassarsi nel notare il sorriso ironico sulle labbra di Sebastian.
“Scusate se vi interrompo”, sussurrò. “Ma gli invitati stanno reclamando il festeggiato: Séline, saremmo lieti di intrattenerti ancora un po'”.
“Merci”, gli sorrise la giovane che, dopo un ultimo sguardo all'amico di infanzia, si allontanò discretamente.
“Andiamo?”, lo incalzò nuovamente Kurt che sembrò osservarlo con persino più attenzione del solito.
Sebastian sorrise ed annuì ma, prima che potesse allontanarsi, lo cinse da dietro e ne baciò languidamente il collo, inspirandone il profumo. Indugiò vicino al suo orecchio:"Puoi ammetterlo che ti preoccupava sapermi con la mia ex, nella nostra camera da letto”, sussurrò in tono provocante. “Ed io, più sexy che mai".
"Certo che no”, ribatté in tono indignato, suo malgrado indugiando nella sua morsa. Ma allo sguardo eloquente del proprio ragazzo, sospirò e scosse il capo. “D'accordo, devo ammettere che se fosse stata una racchia, allora la mia autostima sarebbe-".
Non finì la frase perché Sebastian lo avvinse a sé e ne rubò un altro rapido bacio.
"Andiamo”, ne cinse la mano con decisione e un sorriso diabolico gli curvò le labbra.
“Devo criticare la festa a sorpresa che mi hai organizzato e assicurarmi che SfinterHunter perda davvero le sue chiavi di casa".


~

"Kurt?".
Controllò l'orologio: il giovane stava impiegando persino più tempo del solito, il che poteva essere indice di un'imminente crisi di panico. Accostò l'orecchio alla superficie dell'uscio e batté le nocche per attirarne l'attenzione, sorridendo vagamente divertito al sentire il trambusto all'interno. Immaginò che, per il tremolio alle dita o per il suo richiamo, avesse appena rovesciato le confezioni di prodotti per la pelle che usava quotidianamente.
“Faremo tardi”, rincarò la dose con un vago sospiro, lisciandosi la camicia.
"Credo di star per vomitare", gli giunse la sua voce sofferente ed immaginò un colorito cinereo sul volto.
Sollevò appena gli occhi al cielo, incrociando le braccia al petto e fissando il soffitto: se era vero che stava per dare di stomaco, quello sarebbe stato un buon esempio di infrazione del codice di assistenza di coppia. "Se fossi stata una Kate, sarebbe stato preoccupante", commentò in tono leggero.
"Dico sul serio", mugugnò l'altro con voce effettivamente rauca.
"Anche io”, rispose con un vago verso di divertimento. “Non sono pronto per una mini-te".
Fu lieto che la porta gli celasse il sorriso che gli aveva increspato il viso al pensiero di una sua miniatura, coi capelli boccolati, gli occhioni blu e quelle sue buffe maniere più teatrali.
"Io non esco!”, ripeté Kurt con voce incrinata, come se stesse realmente per mettersi a piangere, tanto da indurlo a scostarsi dalla porta e abbassare inutilmente la maniglia, appurando che si chiuso dentro.
"Kurt", lo richiamò a mo' di avvertimento.
"Sarà un disastro, già lo so!”, la sua voce si fece fastidiosamente stridula.
“Deluderò tutti: Isabelle e tutto il suo staff, mio padre, Santana (e lei mi ucciderà! Le avevo promesso abiti prémaman ispirati a lei), Rachel, Tiffany, forse anche Brittany perché non ho creato una sezione per le ballerine, e poi te!”, terminò l'elenco con una nota persino più acuta della voce.
Aggrottò le sopracciglia, come se potesse vederlo, malgrado la porta a dividerli: "E' così bello sapere di essere l'ultimo della tua lista, tesoro.
"Non posso", gemette l'altro, senza neppure ascoltarlo.
"Kurt, apri la porta o giuro che la sfondo”.
“Ma è di massello!”, gemette con voce persino più indignata. Curioso come riuscisse a concentrarsi su certi dettagli persino in un momento di profonda crisi mistica.
“3...2...”.
Ne sentì lo scalpiccio dei passi e la chiave girò nella toppa e, finalmente, schiuse l'uscio.
Nonostante il pallore evidente, era perfettamente vestito e più elegante che mai, come ben si conveniva ad un'occasione così importante.
"Credevo avessimo detto di non usare più le chiavi", gli fece presente, ma si affrettò a cingerlo, così da attirarlo a sé e assicurarsi che non si chiudesse di nuovo dentro, con quel fare da diva isterica.
"Non mi lasci mai finire una pulizia”, fu la debole protesta, ma parve trovare conforto in quell'abbraccio: quasi soltanto la sua presenza fosse in grado di calmarne l'agitazione e porre in secondo piano i suoi dubbi e timori.
Sorrise in risposta, l'aria maliziosa, mentre si chinava a baciarne la guancia, per poi sussurrare all'orecchio: "Ho di meglio da fare con te, in un bagno".
Lo scrutò con evidente soddisfazione, prima di stringerne le spalle, inducendolo ad osservarlo dritto negli occhi: "E' la tua giornata, Kurt, e non ti permetterò di rovinare tutto per le tue inutili paranoie", pronunciò con voce determinata, osservandolo attentamente.
Kurt sbuffò, scuotendo il capo con un vago cenno, a simulare indifferenza: "Oh, non occorre: di sicuro nessuno comprerà nulla e andrò in bancarotta ancora prima di concludere il primo mese".
Sebastian sorrise, quasi divertito da quell'atteggiamento disfattista, ma si strinse nelle spalle: "Comprerò tutto sotto falsi pseudonimi e tu mi rimborserai in natura, se necessario", lo rassicurò, ma, a dispetto di quelle parole, ne carezzò la schiena, quasi a tranquillizzarlo.
L'altro sospirò, ma scosse il capo: "Sono serio".
"Anche io", sorrise in risposta. Ne cinse poi il viso, per osservarlo attentamente, cercando di imprimergli i propri pensieri. "Andrà tutto bene: so quanto impegno ci hai messo", commentò con voce rassicurante che parve, finalmente, affievolirne l'agitazione.
"E se dovesse andar male?".
“Non sarà così”.
Ma prima che potesse protestare, aggiunse: “Troveremo qualcosa di nuovo per te. Io, ad esempio, ho sempre sognato di avere un autista personale”. Rise della pacca indignata con cui lo colpì, ma parve aver stuzzicato abbastanza il suo orgoglio per fargli assumere una postura più tronfia.


"Ora firma qui, qui e qui". Isabelle gli indicò i punti con l'unghia smaltata e un sorriso orgoglioso, porgendogli la penna. Aveva l'espressione di chi era già consapevole che il giovane di fronte a lei fosse destinato ad un futuro brillante, almeno quanto le sue idee innovative ed originali.
Kurt era visibilmente emozionato: rimirò le pagine compilate fitte fitte, stappando la penna stilografica con la mano tremante.
"Un attimo", lo interruppe Sebastian, seduto al suo fianco, prima che potesse apporre una firma. Posò una mano sul fogli, quasi a coprirgli la visuale, suscitandogli uno sguardo spazientito.
"Hai già mostrato il contratto al tuo tutor del tirocinio, comprese le clausole", gli fece presente, evidentemente in attesa febbrile di stilare quella firma che avrebbe cambiato la sua vita e dato realizzazione ad uno dei suoi sogni più ambiziosi. Si volse a Isabelle con un sorriso accattivante. "Scusalo, deformazione quasi professionale".
"Non è questo, idiota".
Inarcò le sopracciglia e si volse ad osservarlo:"Allora?".
Il sorriso divertito lasciò spazio ad uno più dolce e si sporse al suo volto, cingendone il volto e osservandolo dritto negli occhi. "Sono fiero di te", sussurrò sulle sue labbra, prima di sfiorarle con un bacio, quasi a voler marchiare quel momento fondamentale della sua carriera.
Isabelle si schiarì la gola e Kurt, le guance più rosate, firmò con un sorriso raggiante, la mano libera intrecciata a quella di Sebastian.


"Mi sembra che nessuno sia ancora scappato", lo canzonò, guardandosi attorno.
Erano circondati dal brusio animato e da una colorata folla di potenziali clienti che stava aggirandosi nell'atelier, con una foga simile a quella del Black Friday. Porse a lui e Isabelle due calici di champagne, facendo cozzare il proprio con il loro e alludendo all'amico barista con uno scuotimento del capo.
“Qualcuno è in vacanza”, sottolineò in tono sprezzante, quasi quella qualifica lo identificasse anche fuori dal Penguin Pub.
"Lasciagli tregua”, lo rimproverò Kurt dolcemente, per poi sporgere il collo, per spiare il reparto in cui si trovava. “Spero che scelga il cappotto a doppio petto, sarebbe perfetto per lui", aggiunse in tono trepidante.
Sebastian gli lanciò un'occhiata di sbieco: "Lo stai davvero guardando?".
"Deformazione professionale", si affrettò a rispondere, guardandolo con aria quasi oltraggiata dal solo dubbio.
"Congratulazioni, Kurt”, Isabelle lo abbracciò per l'ennesima volta. “Sono sicura che la Dream Dress sarà presto la boutique più famosa di New York e farò in modo che Vogue.Com ti dedichi sempre un servizio", aggiunse con una strizzatina d'occhi.
Il giovane stilista parve persino più commosso nello stringerne le mani: "Grazie di aver creduto in me", la congedò con un sorriso, per poi guardarsi nuovamente attorno, probabilmente ancora cercando di convincersi che fosse tutto reale.

Ben lungi dallo scegliere un cappotto per sé e di essere oggetto della loro attenzione, Hunter Clarington osservò la biondina avventurarsi tra i vestiti con espressione entusiasta. “Rosa, azzurro, giallo, non so quale scegliere: sono tutti troppo belli. Li prendo tutti e tre!”, sentenziò infine.
Il ragazzo distolse lo sguardo dal maglione che stava osservando, sorridendole: “Diventerai la sua cliente preferita”.
“Questo piacerebbe tanto a Santana”, commentò improvvisamente, alludendo ad un bel vestito rosso che n’avrebbe messo in risalto la fisicità formosa. Fece poi una smorfia. “Certo, se non fosse così ingrassata, da quando lavora al suo album”, aggiunse a bassa voce.
Hunter inarcò le sopracciglia osservando la neosignora Evans il cui ventre ricurvo era sintomo di ben altro tipo di rotondità. Scosse il capo e si chinò verso la giovane per baciarne la tempia, come se soltanto in quel momento realizzasse quanto intenso fosse il sentimento che lo legava a lei.


"Allora, hai qualcosa da consigliarmi e che tu possa sfilarmi facilmente?", lo incalzò Sebastian, appena ebbe finito di bere il proprio drink, riscuotendolo dalle sue riflessioni.
Prima che potesse rispondere, tuttavia, sentì un tocco leggero sulla spalla e si volse: sgranò gli occhi alla vista del giovane e del suo sorriso radioso a farne scintillare gli occhi ambrati.
"Blaine!".
"Ciao Kurt”, lo salutò con un sorriso caloroso. “ Spero tu abbia disegnato una collezione di papillon”, commentò in tono scherzoso.
Sebastian li scrutò con la coda dell'occhio, storcendo appena il naso all'allusione: "Nei miei incubi peggiori", rispose, senza neppure curarsi di abbassare la voce.
Blaine sorrise quasi con aria stoica, rivolgendogli un cenno del capo: “Sebastian”.
"E' un piacere rivederti, Blaine", commentò Kurt con un sorriso altrettanto sincero che sembrò ulteriormente far dardeggiare lo sguardo dell'altro, quasi una rassicurazione che non vi fosse alcun rancore o biasimo in sospeso tra loro.
"Abbiamo pensato di venire a dare un'occhiata", si schermì.
"Oh”, l'espressione di Kurt si fece più curiosa. “Tu e...?".
Sebastian inarcò le sopracciglia con aria realmente sorpresa nel riconoscere lo spogliarellista che aveva ingaggiato tre anni prima: questo sì che era un colpo di scena davvero non da poco, dovette ammettere. Un certo Kyle.... qualcosa.
Quasi avesse percepito i loro pensieri, si era avvicinato con quel sorrisetto cordiale, ma lo scintillio suadente negli occhi azzurri, premunendosi di fermarsi al fianco di Blaine.
"Kurt, ti presento Kyle", lo introdusse Blaine.
Sebastian notò come lo spogliarellista stesse scrutando il proprio ragazzo, almeno con la stessa attenzione che lui aveva riservato alla Mezza SegAnderson la prima volta che si erano incontrati. La stessa curiosità di conoscere l'altro.
Kurt allungò la mano con un sorriso: "E' un piacere, Kyle, grazie di essere venuto".
Kyle ne ricambiò la stretta, un sorriso obliquo, ma lasciò vagare lo sguardo su qualche scaffale: "Belle quelle camicie", commentò a mo' di apprezzamento.
“Ti ringrazio”, squittì Kurt che dondolò le spalle con un sorriso lusingato, prima di indicare il giovane al proprio fianco. “Questo è Sebastian”, aggiunse senza conoscere i trascorsi tra i due.
Sebastian dovette riconoscere al ragazzo delle ottime doti teatrali: il suo viso non lasciò affatto trasparire la sorpresa, ma riuscì perfettamente a fingere di incontrarlo per la prima volta. Gli porse la mano che Sebastian strinse con non chalance. “Sei inglese, vero?”, gli domandò in tono provocante.
“Ottimo orecchio”, gli rispose distrattamente.
"E come vi siete conosciuti?", domandò con aria sorniona, come fosse realmente interessato, ignorando l'occhiata sospettosa di Kurt.
Blaine, come prevedibile, tradì una lieve agitazione, ma si limitò a scrollare le spalle e sorridere con aria accattivante: "Oh, è una lunga storia"
"Sembrate molto affiatati, tu e la Mezza SegAnderson", Sebastian si rivolse direttamente al nuovo arrivato, incrociando le braccia al petto e torreggiandolo con aria arrogante.
"Mezza?", domandò Kyle con aria sorniona, sollevando le sopracciglia e rivelando un sorriso altrettanto sicuro di sé e sfrontato. Per nulla intimorito da quel tentativo di metterlo in difficoltà. Al contrario, gettò un'occhiata d’evidente apprezzamento al proprio ragazzo e si lambì le labbra: "Si vede che non ti conosce quanto me", gli disse con voce abbastanza alta perché gli altri due potessero udirlo.
Quest'ultimo parve doversi sforzare di nascondere un sorriso, scuotendo appena il capo, mentre Sebastian li guardava tra l'incredulo e lo sgomento.
“Oddio, si è innamorato di me”, convenne guardando dall'uno all'altro, riconoscendo nello spogliarellista una sfacciataggine simile alla propria.
Kurt gli lanciò un'altra occhiata incredula, ma scosse il capo e si rivolse nuovamente alla coppia: “Sì, sono curioso anche io. Come vi siete incontrati?”.
Kyle parve doversi sforzare di rivolgere nuovamente attenzione al ragazzo che aveva di fronte: un sorriso felino gli increspò le labbra e Sebastian si finse particolarmente interessato dall'aneddoto.
"Me lo sono ritrovato in camerino, dopo un mio spettacolo”, si schermì con aria piuttosto compiaciuta di sé, sorridendo al ricordo. “Come un fan stalker”, precisò con voce più maliziosa.
"Aspetta, ecco dove ti ho visto!”, parve illuminarsi Kurt, sotto lo sguardo sconcertato degli altri tre. “Ho subito pensato che avessi un viso familiare".
Sebastian lo guardò quasi con aria oltraggiata: "Sei andato in cerca di uno spogl-"
"Hai lavorato con Rachel in Funny Girl3!", lo interruppe Kurt.
Se fosse o meno sollevato, Kyle non lo diede a vedere ma, al nome della collega, sorrise ed annuì, passandosi una mano tra i capelli scombinati, come se il ricordo destasse qualche tragico aneddoto di una difficile collaborazione. "Rachel Berry, sì, chi potrebbe dimenticarla?”.
“Ero andato per fare una sorpresa a Rachel”, aggiunse Blaine che sembrò aver recuperato colore ed uso della parola. “E mi sono ritrovato nel suo camerino per fargli i complimenti”.
“Lo dice sempre come se fosse stato un errore”, lo canzonò Kyle con uno scintillio malizioso nello sguardo azzurro, ma prima che l'altro potesse rispondere, Sebastian fece un cenno del capo allo spogliarellista. (O ex spogliarellista).
“Vieni, ti mostro qualcosa”, lo indusse a seguirlo, evidentemente curioso di scoprire che cosa n’era stato, dopotutto, del loro accordo.
I due ex fidanzati li seguirono con lo sguardo: sembravano condividere la stessa curiosità, ma Kurt si volse all'altro con un sincero sorriso, l'aria evidentemente soddisfatta da ciò che aveva potuto osservare di persona.
"Mi sembrate molto affiatati".
Blaine ne ricambiò il sorriso, comprendendo quanto quelle parole celassero un mero sollievo per il modo in cui si erano lasciati sull'altare. Un modo di rassicurarlo che, dopotutto, era stata la cosa giusta e ognuno aveva trovato la propria strada.
"Lo siamo”, convenne scrutando il giovane. “Ma anche voi e mi fa davvero piacere”.
Il sorriso di Kurt si spense nell'osservare i due parlottare fitto fitto: “Blaine, non credo che dovremmo lasciarli soli troppo a lungo”, commentò con aria pensierosa.
“Mi hai letto nel pensiero”, fu l'istantanea risposta, mentre si affrettavano a raggiungerli.

~


"Perché tutta questa fretta?”, gli chiese Kurt con aria confusa, vedendosi letteralmente trascinare verso la zona dedicata alla proiezione dei film all'aperto. Anche quell'anno il suo ragazzo sembrava esser stato particolarmente ansioso di non mancare al loro tradizionale appuntamento a Coney Island.
“Siamo in anticipo e non mi sembra che ti sia mancato Tom Hanks, visto come ti sei comportato l'ultima volta", aggiunse con un vago sospiro e l'aria fintamente corrucciata.
Il ghigno che gli rivolse Sebastian parve eloquente di come condividesse il medesimo ricordo:
"Devo ammettere che hai resistito più del previsto, prima di farti strappare i vestiti di dosso", la sua voce parve modulata sulle note finali, mentre sospirava nel suo orecchio, facendolo irrigidire e costringendolo ad accelerare il passo.
"Siamo sicuri che aprano stasera?", si guardò attorno con aria incuriosita e un po' interdetta nel notare che non vi erano altri spettatori, a parte loro. In realtà sembrava che tutti i turisti si fossero allontanati furtivamente verso le attrazioni o i ristoranti.
Si strinse nelle spalle, simulando indifferenza: "Potrei aver prenotato l'intera platea".
"Sebastian, non devi sprecare così il tuo denaro, lo sai", lo ammonì dolcemente, pur nascondendo quanto lo emozionassero certe attenzioni. Soprattutto quando inaspettate e mai anticipate da qualche manifestazione smielata di sentimenti.
"Fossi in te non mi lamenterei di qualche raro gesto diversamente romantico da parte del sottoscritto".
Lo baciò sulla guancia a mo' di silenzioso ringraziamento e si lasciò condurre verso l'unica tovaglia disposta sul prato, sgranando gli occhi alla vista delle candele dall'aroma di vaniglia che sembravano voler ulteriormente definire l'atmosfera. "Ti sei davvero superato".
"Se adesso hai finito di pensare al meraviglioso uomo che hai scelto, possiamo iniziare".
"Non mi hai detto il titolo", gli fece notare Kurt con le sopracciglia inarcate, accoccolandosi contro la sua spalla.
"Non ce ne sarà bisogno", rispose distrattamente, un vago sorriso, appoggiando indolentemente il braccio contro la sua vita.
Kurt attese, dopo avergli rifilato un'altra occhiata sospettosa, prima che lo schermo si illuminasse: occorsero diversi istanti perché realizzasse che non si trattava davvero della proiezione di un film, ma di una sequenza di fotografie molto familiari. Si rivede da bambino, da adolescente, nell'uniforme dell'Accademia che aveva frequentato con Blaine e durante gli anni del liceo.
"Sebastian?".
Gli fece cenno di tacere e di continuare la visione.
Alle fotografie di Kurt, subentrarono le fotografie di Sebastian e quelle della loro convivenza, mentre, nel sottofondo, come l'annunciatore di un trailer, si udì schiarirsi una voce familiare.
"Non è una storia banale, non una classica storia d'amore. In realtà per certi versi è la storia di due cocciuti e aggiungerei autodistruttivi-".
"Clarigton, non iniziare", udirono l'aspro rimprovero di Sebastian e Kurt ridacchiò in risposta, cogliendo persino in un'iniziativa così romantica, il suo alone più ironico e del tutto caratteristico, quasi a smussare l'importanza e la solennità del momento.
Uno schiarimento di voce e la narrazione riprese: "Come stavo dicendo, due cocciuti nemici dell'amore”. Ancora una volta il narratore si era fermato durante la registrazione e Kurt ne immaginò l'espressione perplessa nello scrutare Sebastian. “Seriamente: eri sbronzo, quando hai scritto questa robaccia?".
"Sta zitto e leggi, idiota".
“Lo farò per Kurt, sia chiaro”, si schiarì la gola, prima di assumere un tono più professionale. “Il primo s’illudeva di un amore che non era più adatto a lui, per quanto si crogiolasse di essere un discutibile (sto leggendo, non ho scritto io il copione, ben inteso!) guru della moda, capace di cogliere i pregi altrui e cercare il meglio negli altri, ma incapace di vederne in se stesso ed esserne fiero”.
Accompagnate dalle parole di Hunter, l'ennesima carrellata di fotografie di Kurt negli scatti più recenti: dalla Nyada e il lavoro in caffetteria fino all'apertura dell'atelier. Queste ultime sembravano scatti segreti, ma intenti a coglierlo nella sua quotidianità, persino – e lì arrossì e diede una pacca sul braccio del ragazzo, malgrado il sorriso sognante – quando di spalle, con uno zoom al fondoschiena, davanti ai fornelli.
“L'altro, era un affascinante, carismatico, aitante... aspetta, ci sono dieci righe di elogi?!".
"Ho dovuto trattenermi", giunse la voce di Sebastian e Kurt lo immaginò in un'espressione compiaciuta, almeno quanto quella che esibiva in quel momento al suo fianco.
"Certo”, fu l'asciutto commento di Hunter che si schiarì la gola un'ennesima volta.
“In breve, concedendomi licenza poetica, un megalomane compulsivo con tendenze alcoliste che all'amore non aveva mai creduto. Almeno fino a quando non era arrivato a New York City e aveva adocchiato un fondoschiena degno di nota. Aveva fatto del suo meglio (e non c'era voluto troppo tempo a dirla tutta!4) per indurne il proprietario a diventare il suo inquilino. Sorrideva delle sue smielate e gratuite panzane romantiche, miste ad una cronica insicurezza, ma riuscirono, dopo diversi accorgimenti, regole superflue e battibecchi quotidiani, a trovare un loro equilibrio.
Fino a quando una Mezza Sega non aveva turbato la loro quotidianità. L'affascinante alcolista-”, si era di nuovo interrotto e si era sentito un fruscio di fogli. “Aspetta ma non sono neppure citato!".
"Stai leggendo”, ribatté Sebastian, in tono indifferente. “E neppure troppo bene".
"Avevo scelta? Non mi lasci neppure terminare la mia tesi!"
"Continua!"
"L'idiota alcolista non voleva ammettere che, nel tentativo di mostrare all'illuso dell'amore che stava gettandosi nell'infelicità, si era condannato ad una lunga e sofferta guerra interiore contro se stesso, il suo passato e il sentimento di cui era un fiero oppositore”, Hunter si era interrotto un'ennesima volta, probabilmente per gettare un'occhiata ironica all'altro.
“Sapeva che il suo rimpianto più grande sarebbe stato non essersi concesso l'occasione di tentare di avvincerlo a sé, cieco del fatto che il di lui affetto... ti credi Dante Alighieri o Yoda?".
"Mi stai seriamente seccando, Clarington!”, fu l'ennesimo aspro commento che strappò a Kurt una risatina. “Se non vuoi che vada dalla tua donna a dirle che-".
"Dicevo, era cieco del fatto che il di lui affetto era altrettanto palese al mondo esterno. Fino al matrimonio mai consacrato con un rivale, che al vero amore condusse entrambi, ma ben lungi dal lieto fine scontato...".
La voce di Hunter sfumò e Kurt, ancora confuso ma con gli occhi lucidi, si voltò: le labbra schiuse in un sorriso emozionato e divertito, si volse a Sebastian che si era levato in piedi.
Per la prima volta quest'ultimo sembrò aver abbandonato quell'espressione più ironica e sicura di sé: malgrado dalla concentrazione si potesse dedurre che quel momento fosse particolarmente vissuto, incontrò il suo sguardo e parve ritrovare risoluzione.
"Non ho mai creduto nel destino già scritto”, alluse con un cenno del capo allo stesso proiettore che aveva loro concesso una discussione analoga, dopo la visione di un film. “Sono fuggito da chi volevano che io fossi e volevo fuggire dalla possibilità che tu mi costringessi di nuovo a ricominciare da capo”.
Inclinò il viso di un lato, guardandolo quasi corrucciato: “Avrei voluto odiarti per quello che mi avevi fatto. Ma ho odiato soprattutto me stesso, per non essere stato disposto a chiederti di essere mio, anche di fronte alla possibilità di un rifiuto”.
Mentre Kurt tratteneva il fiato, gli occhi lucidi e il cuore in gola, Sebastian tastò nella tasca interna della giacca che indossava.
“Per qualche strano motivo non mi sono già stancato di te e ogni giorno è la conferma che se il destino davvero esiste, allora il mio sarà con te”.
Soltanto allora estrasse un cofanetto che dischiuse per lasciargli osservare il minuscolo oggetto che avrebbe dovuto simboleggiare la promessa più importante di tutte.
“Kurt, vuoi-”.
"Sì, sì, sì!”, squittì Kurt che si rimise in piedi, avvicinandosi e rimirando l'oggetto. Ne studiò la fattura che sembrò essere l'ulteriore prova che l'uomo che aveva di fronte fosse l'unico che avrebbe mai potuto avere al proprio fianco.
Indubbiamente lo splendore dell'anello era nella sua semplicità: una singola banda in oro bianco e con una pietra di zaffiro al centro, simbolo della purezza e della fedeltà. Simile a quello che era appartenuto alla madre e che il giovane aveva sempre amato.
Gli rivolse uno sguardo luminoso: “Mettimelo, ti prego, non voglio aspettare!”, lo implorò.
Sebastian, che aveva inarcato il sopracciglio perché neppure in grado di pronunciare adeguatamente la domanda di rito, scosse il capo, ma ne sollevò la mano.
"Che foga", lo canzonò, malgrado lo sguardo di smeraldo tradisse un'analoga emozione. Un lieve tremore lo sorprese, dandogli qualche piccola difficoltà nell'insinuare l'anello al dito del fidanzato.
"Lo sapevo che me lo avresti chiesto prima o poi", sussurrò Kurt e, nonostante dovesse suonare ironico, non vi era altro che devozione nel suo sguardo.
Sebastian affondò le mani nelle tasche: "Sono quasi tentato di ritrattare".
Kurt rise, ma ne cinse il collo, inducendolo a chinarsi al suo volto: “Sta zitto e baciami”, sussurrò ad imitarne il tono burbero.

~


Entrò nel pub con il consueto incedere quasi trascinato, sospirando e gettando appena un'occhiata in direzione del palco e degli avventori sulla pista da ballo. Rilasciò un sospiro pesante, puntò verso il bancone e si lasciò cadere sullo sgabello, sollevando lo sguardo al barista. Quest'ultimo gli concesse appena un cenno del capo, guardandolo di sfuggita, il cipiglio corrugato, mentre tornava a leggere dei fogli stampati dal computer, apportando qualche modifica a penna. Chissà se una volta discussa la sua tesi e iniziato il lavoro su campo, si sarebbe tolto quell'aria da topo di biblioteca ad un passo dal suicidio.
Si sporse a prendere una bottiglia di birra che stappò e si portò alle labbra per berne un sorso. Se le pulì con il dorso della mano, scuotendo il capo.
"Kurt mi sta facendo impazzire", lo informò.
Hunter neppure sollevò lo sguardo dal plico di fogli, annuendo con un distratto: "Mhm, mhm".
"Sapevo di aver chiesto la mano ad uno schizzato perfezionista con manie assurde per il design, irrealizzabili standard romantici e isteria gratuita”, scosse il capo e si corrucciò. “Ma quando è troppo, è troppo”.
"Mhm, mhm”.
Sebastian lo fissò quasi risentito, allungando pericolosamente la bottiglia verso i fogli che Hunter si affrettò ad allontanare, prima che li potesse bagnare. "Mi stai ascoltando?", gli chiese in tono indignato.
Il barista neppure parve preoccuparsi di fingere il contrario. Scosse il capo e scrollò le spalle: "Fingo educatamente", lo informò con un sorriso ironico che fece persino più incupire Sebastian.
Da un certo periodo a quella parte era diventato persino più inutile del solito. Se c'era qualcosa di più fastidioso del vederlo patteggiare con Kurt pur di fargli dispetto, il fatto che non prendesse posizione era un mero insulto. Sembrava persino infastidito, ma aveva appurato (dai suoi sguardi beoti verso il palco) che stranamente non aveva ancora compromesso la sua storia con Tontittany. Quindi non aveva alcun motivo legittimo per risentirsi del proprio fidanzamento. A parte la sua omosessualità repressa, ovviamente.
"Si può sapere, a proposito, perché cazzo non sei venuto alla prova di oggi?”, gli domandò in tono accusatorio. “Anzi, chiama Kurt e spiegaglielo tu direttamente: non dormirò sul divano perché tu sei un coglione e ti dimentichi di fare il tuo dovere”, aggiunse in tono evidentemente infastidito dalla sua totale mancanza di partecipazione. Sembrava che si stesse persino divertendo a sabotarlo e creare ulteriori tensioni, laddove ce n'erano a sufficienza.
"E perché diavolo avrei dovuto esserci?”, gli rispose l'altro a tono, le braccia incrociate al petto e fissandolo dall'alto al basso. “Non mi risulta che ci si possa presentare sbronzi all'altare”, sottolineò con forte vena ironica.
Sebastian scrollò il capo, fissandolo come se stesse dubitando della sua sanità mentale: "Forse perché sei il mio testimone, razza d’imbecille", gli fece presente in tono seccato.
Avrebbe giurato che quella sarebbe stata la volta buona in cui la mascella del giovane si sarebbe slogata, ma repentino fu il modo in cui i suoi lineamenti sembrarono ammorbidirsi e l'espressione incredula prese il posto di quella risentita. “Io? Dici sul serio?”, lo chiese come se stentasse a crederci. “Io sarò il tuo-”.
"Il testimone, sì”, lo rimproverò ancora aspramente. “Che cazzo ti è preso, si può sapere?”, lo indicò con la bottiglia di birra, quasi stesse soppesando se scagliargliela contro. E poi decidere di optare per qualcun altro.
La lusinga dovette cedere presto il posto ad un'espressione indignata ed offesa: "Tu non me lo hai mai chiesto!", gli rispose piccato.
Sebastian sorrise con aria ironica, realizzando finalmente perché fosse apparso così scontroso e poco partecipe di quel momento, malgrado avesse rischiato la sua sanità mentale perché si confessasse a Kurt. Scrollò le spalle, tuttavia, simulando indifferenza: "Avrei dovuto?".
Ma Hunter non lo stava più ascoltando, osservò la ballerina che, alla fine del suo numero, si era affrettata ad avvicinarsi al bancone per sedersi sullo stesso.
"Hai sentito, Britt?”, le si rivolse in tono entusiasta. “Sarò il suo testimone!".
La biondina gli sorrise, punzecchiandogli la guancia come se si fosse trovata davanti ad un bambino particolarmente entusiasta, dopo un'impresa di particolare concentrazione.
"Ma certo, amore”, lo vezzeggiò, baciandone quella porzione di pelle, per poi sorridere con aria d'ovvietà. “Chi altro credi che sopporterebbe Ciuffo Disney Brontolone?".
"Ehi!", borbottò Sebastian quasi risentito.
"Aspetta”, il barista parve nuovamente perso nei propri pensieri e schiuse le labbra, un'espressione improvvisamente sconvolta. “Ti sposi tra due giorni e si aspettano che io pronunci un discorso per il brindisi!", parlò letteralmente tra sé.
"Kurt ci terrebbe particolarmente”, lo informò Sebastian con voce dolciastra. “Un promesso brillante chirurgo: chissà quanti paroloni difficili”.
"Oddio, non sono bravo coi discorsi e non ho neppure tempo”, balbettò, affrettandosi a recuperare una penna e qualche foglio bianco, fissandolo con aria terrorizzata.
Un sorriso perfido increspò le labbra di Sebastian che sollevò la bottiglia di birra, quasi a dedicargli un brindisi. "Dilungati quanto vuoi sui miei pregi, Kurt non si stancherebbe mai di ascoltarli. Auguri!",
“Buon lavoro”, gli sorrise la biondina che ne baciò la guancia. “Sono sicura che scriverai qualcosa di bellissimo”, lo vezzeggiò, prima di tornare sul palco al richiamo dei colleghi.
Sollevò lo sguardo sullo sposo e parve folgorato dalla realizzazione.
"Brutto bastardo”, borbottò perché la sua ragazza non lo sentisse usare un linguaggio volgare. “L'hai fatto di proposito!".
Il sorriso di Sebastian fu una risposta sufficiente.
"Ci vediamo, Clarington e vestiti decentemente”. Si rimise in piedi e si allontanò rapidamente, prima che si ricordasse di chiedergli (inutilmente) di pagare la sua consumazione.
"Credevo che ti fossi già vendicato!", gli urlò dietro.
"Ora siamo pari!”, lo informò, sollevando il braccio in segno di saluto, senza neppure voltarsi.


"Sono tornato!", si annunciò, non appena valicò la soglia dell'uscio.
Si diresse a grandi passi verso la cucina, laddove proveniva un piacevole profumo che gli lasciò facilmente intuire che Kurt stesse già pensando alla cena.
Dopo aver controllato la cottura nel forno, quest'ultimo si volse in sua direzione: le braccia incrociate al petto e l'espressione stizzita che lasciò intuire a Sebastian che qualcosa lo aveva indispettito. Lo scrutò, l'espressione severa che non si sciolse neppure di fronte al suo sorriso più affascinante (ed era tutto un dire).
"Non vedo la spesa".
Gli sorrise con aria sferzante, circumnavigando il piano di lavoro per avvicinarsi e chinarsi al suo orecchio: "Anche io sono contento di rivederti, tesoro", sottolineò con voce ironica. Non era un caso che usasse quell'appellativo quando doveva chiedergli qualcosa o sapeva di averne suscitato il disappunto.
Kurt sollevò gli occhi al cielo: “Non chiamarmi-".
"Salve a tutti!", furono interrotti dall'arrivo del giovane che aveva approfittato dell'uscio lasciato mezzo schiuso.
Hunter Clarington rivolse ad entrambi un sorriso e Sebastian si costrinse a scostarsi da Kurt, l'espressione risentita nello scrutarlo: "Ancora qui?".
Il fatto che non si scompose era evidente sintomo di quanto lo conoscesse e non si aspettasse nulla di più. Gli rivolse persino un mezzo sorriso, mentre si toglieva la giacca: “Tranquillo, me ne andrò domattina... presto, molto presto”, aggiunse a mo' di rassicurazione.
"Ciao Hunter", gli sorrise in compenso, Kurt, prima di rivolgersi nuovamente al proprio ragazzo, recuperando la sua espressione più severa. "Il fatto è che comincio davvero ad essere stanco-".
Si interruppe, quando Hunter si mosse verso il frigorifero e Sebastian gli lanciò un'occhiata al vetriolo.
Il barista sollevò le mani con un sorriso di scuse. "Vi lascio subito soli: giusto il tempo di sistemare la spesa. Ho pensato di fare un passo al supermercato, visto che il frigorifero è quasi vuoto”, fece notare con quello che sembrava un tono casuale ma che, Sebastian lo sapeva bene!, era un modo di metterlo nei guai e screditarlo di fronte al proprio ragazzo. Quasi fosse il padrone di casa, cominciò a disporre i prodotti nei ripiani con ordine quasi chirurgico. “Tu prendi il latte di soia, vero, Kurt? Un'ottima scelta".
Quest'ultimo lo guardò con gli occhi sgranati, ma lo sguardo ne tradì la sorpresa e una nota di evidente compiacimento:"L'hai preso per me?".
Hunter si strinse nelle spalle, come a sminuire il gesto: "Era il minimo che potessi fare, vista la gentilissima ospitalità”, chiuse il frigorifero ed estrasse un flacone azzurro dall'altro sacchetto. “Ti consiglio di provare questo ammorbidente: è l'ideale per i delicati", glielo porse e Kurt lo prese come se si fosse trattato di un oggetto di intenso valore, neppure curandosi di nascondere quanto fosse deliziato della cortesia.
"Gay, gay, gay, gay", commentò Sebastian che parve volerlo trafiggere con una pugnalata al cuore ad ogni ripetizione.
"Visto?”, lo incalzò Kurt quasi spalmandogli in faccia l'etichetta del flacone. “Perché non puoi cercare di somigliargli?".
La situazione sarebbe già stata abbastanza irritante, senza che il suo occhio fin troppo allenato non avesse scorto il ghignetto malefico che Hunter Clarington riuscì a celare troppo tardi, fingendo di tossicchiare e distogliendo discretamente lo sguardo.
"Perché ho una dignità!", sbottò in risposta.
"Chiedo scusa”, si intromise ancora l'ospite, allontanandosi. “Ho un appuntamento con Brittany e non vorrei ritardare".
Evidentemente incapace di resistere, Kurt lasciò tra le mani di Sebastian l'ammorbidente e si rivolse ad Hunter, sporgendosi dal tavolo per osservarlo: "Hai intenzione di indossare quello smoking blu che ho visto involontariamente tra i tuoi effetti personali?”.
Con teatrale lentezza, Hunter si volse, non nascondendo una certa soddisfazione: "Vuoi dire quello coi risvolti azzurri?".
Kurt annuì con enfasi e il suo sorriso si estese: "Dovresti abbinarci una giacca a doppio petto, con le tue spalle larghe e-".
"Quando hai detto esattamente che te ne vai?", ripeté Sebastian in tono sprezzante.
"Sebastian!", lo rimproverò Kurt con voce stridula.
Hunter sospirò con aria melodrammatica: “Non crucciarti, Kurt, ci sono più che abituato, ma grazie infinite dei brillanti consigli che seguirò pedissequamente”, lo rassicurò.
"Aspetta”, lo incalzò Kurt, che parve totalmente dimentico del proprio ragazzo, scrutandolo con aria quasi preoccupata. “Le hai comprato i fiori, vero?".
"Certo", ribatté Hunter fin troppo rapidamente.
Sebastian lo conosceva ormai troppo bene per non accorgersi del lieve spasmo all'altezza della mascella. “Che no”, completò per lui con espressione compiaciuta.
Evidentemente cogliendo la sfida implicita, Hunter si volse direttamente a Kurt: “In realtà pensavo di acquistarli, prima di andarla a prendere, così che siano appena colti”.
Doveva aver passato l'esame, visto come Kurt applaudì ed annuì con enfasi: “Eccellente: non ti trattengo, un cavaliere deve sempre concedere discretamente cinque minuti alla sua dama, non di più”.
Stava ancora sorridendo, quando si voltò di nuovo e non parve accorgersi di come il proprio ragazzo lo stesse guardando evidentemente risentito. "E' davvero un gran bravo ragazzo", pronunciò come una vecchia comare che stesse elogiando il figlio dei vicini.
Sebastian sollevò gli occhi al cielo: "Ricordarmi perché sta da noi".
"Perché ti sei gentilmente offerto di dargli asilo, mentre gli ristrutturano casa”, rispose Kurt. Aggiunse poi in tono ironico: “Ma soltanto dopo che lui ti ha dimostrato che davvero non poteva farsi ospitare da Brittany. Una sfortuna che il padre di lei lo detesti (e non c'era bisogno che tu lo aiutassi in questo). E dopo che tu stesso non gli hai trovato un'altra sistemazione alternativa con i pochi soldi rimasti e-".
"Giacca a doppio petto?", lo interruppe Sebastian.
Kurt si strinse nelle spalle, ma non fu abile a nascondergli un sorrisetto civettuolo: era certo che quei complimenti fossero anche un modo per infastidirlo. "Non è un mistero che abbia le spalle più larghe delle tue, mi sembra", commentò in tono distratto.
"E le palle più flosce", soggiunse con evidente sarcasmo che stonava con il sorriso affabile.
"Siamo forse gelosi?", lo incalzò Kurt che, per una volta, non parve volerlo sgridare per la volgarità appena pronunciata.
"Credo che tu debba pagare per tutte le stupidaggini che hai appena detto", commentò Sebastian, ma abbandonò l'espressione truce per avvicinarsi, fino a inchiodarlo contro il lavello.
"E tu per non aver fatto la spesa... di nuovo", fu la pronta replica di Kurt che stava evidentemente cercando di aggrapparsi al motivo della sua stizza iniziale e non cedere di fronte alla sua seduzione. “Ci sposiamo tra tre settimane, le cose dovranno cambiare e-”.
Si sporse al suo viso, nello stesso istante in cui sentirono i passi del terzo incomodo.
"Io vado”, annunciò Hunter e Sebastian sollevò gli occhi al cielo, desiderando lanciargli un coltello tra le scapole, per essere certo che finalmente si togliesse dai piedi.
"Salutami Brittany!", gli sorrise Kurt, agitando la mano.
"Senz'altro”, ne ricambiò il gesto, prima di giungere all'uscio. “Sebastian", gli rivolse un cenno del mento.
"Clarington".
"Penso che andrò a rilassarmi con un bagno, mentre le lasagne cuociono", gli fece presente Kurt che, approfittando della sua distrazione, si era già allontanato.
"Ti raggiungo subito", gli disse con voce flautata.
L'altro si volse sulla soglia del bagno, guardandolo con aria ancora stizzita: "Non ti ho invitato".
"Lo so", rispose con un sorriso suadente.
Attese che l'uscio del bagno fosse chiuso alle sue spalle, ed entrò rapidamente nella ex camera di Kurt in cui Clarington aveva sistemato provvisoriamente il suo giaciglio. Prese tutti i suoi bagagli il più silenziosamente possibile e li lasciò cadere sul pianerottolo davanti alla porta.
Con un po' di fortuna qualche barbone avrebbe depredato il tutto, prima che l'imbecille tornasse dal suo appuntamento.
Sorrise con aria soddisfatta, conficcando le mani nelle tasche.
"Tesoro, sto arrivando!", si annunciò nuovamente con un ghigno.

~

Una lieve gomitata, ben assestata, lo fece sussultare e lo riportò al presente: fu così che Sebastian finalmente si concesse di lasciare andare i ricordi degli ultimi quattro anni.
Reclinò il capo per osservare Kurt che lo stava scrutando con disappunto ed incredula indignazione
Parlando quasi senza muovere le labbra (sia mai che il fotografo immortalasse proprio quel frangente e fosse costretto in futuro a serbare quel ricordo), lo rimproverò: "Non riesco a credere che tu stia pensando ad altro, mentre ci stiamo sposando".
Sebastian non si scompose e neppure cercò di celare il sorrisetto sferzante e divertito: si strinse nelle spalle. Non era certo una propria colpa se il celebrante non aveva particolari doti oratorie.
"Giusto in tempo per la parte più interessante", rispose con un guizzo malizioso nello sguardo, prima che l'officiante gli rivolgesse la domanda ufficiale.
Percepì la pressione degli sguardi dei presenti, in primis il modo in cui le iridi azzurre di Kurt stessero indugiando su di lui e sembrasse in procinto di andare in iperventilazione. Ignorò volutamente la gomitata di Clarington alle sue spalle, dicendosi che si sarebbe premunito di vendicarsi a suo tempo.
Sorrise, stringendo la mano del fidanzato, uno scintillio malizioso nello sguardo smeraldino.
"Lo voglio", pronunciò con voce sicura di sé.
Lo scintillio parve persino più sfolgorante, quando fu Kurt a pronunciare la propria volontà con voce più tremula a tradirne una reale commozione, lasciando che gli apponesse la fede al dito.
Senza attendere l'autorizzazione del celebrante, si chinò al suo volto, cingendone strettamente la vita e chinandosi a soffiare maliziosamente sulle sue labbra: "Avevi paura che non rispondessi?", lo canzonò, osservandone lo sguardo ancora lucido.
Gli rivolse quel sorriso più ironico, quello che adottava sempre per reagire alle sue provocazioni e simulò una perfetta compostezza: "No, considerando che sei stato tu a chiedermi di sposarti".
Sebastian sorrise maggiormente, le sopracciglia inarcate con aria vagamente sorpresa: "Ti ho reso un po' troppo sicuro di te, Hummel".
“Credo che sia Hummel Smythe, adesso”, soffiò in risposta in tono impudico.
Resistette alla tentazione di ironizzare sulla dubbia virilità della risposta e ne baciò le labbra, trattenendolo contro di sé un lungo istante. Quello necessario ad imprimere una propria impronta nel suo sorriso più sognante.


"Un matrimonio perfetto”, commentò Kurt che studiò il padiglione sotto cui erano disposti i tavoli degli invitati al banchetto. Si volse al marito con un sorrisetto supponente: “Così impari a dubitare delle mie doti organizzative".
Sebastian si strinse nelle spalle, prima che lo sguardo si posasse sul giovane che si era appena alzato con il suo calice in mano. Lo indicò con un cenno del mento: “Aspetta a confermarlo, tesoro: lui è sempre capace di rovinare tutto”.
Kurt non sembrava dello stesso avviso, a giudicare dal cenno distratto con cui lo invitò a tacere:
“Mi commuoverò, ne sono certo. Spero di commuovermi", aggiunse tra sé e sé e Sebastian sollevò gli occhi al cielo, osservando il barista con le braccia incrociate al petto e l'aria serafica.
Quest'ultimo si schiarì la gola per attirare l'attenzione generale: "Spero che scuserete la mia scarsa abilità oratoria, sono sempre stato un tipo più manuale".
Aveva appena terminato la prima frase che risuonarono diversi versi strozzati di puro divertimento e Sebastian gettò un'occhiata all'ispanica: "Lopez, vorresti averlo tu l'onore?".
"Sebastian!", lo richiamò aspramente Kurt che fece un cenno di scuse al testimone, pregandolo con lo sguardo di continuare.
Quest'ultimo scosse il capo in direzione dell'amico, l'espressione di stoica sopportazione (malgrado il lieve colorito rosato sulle guance e probabilmente una buona dose di imprecazioni interiori, per essersi scavato la fossa da solo) e riprese. “Purtroppo lo sposo ha ben pensato di informarmi tardivamente di avermi scelto".
"Non lo avevi avvisato?", sentì la voce indignata del marito, ma gli rivolse un sorriso beffardo in risposta.
"Di certo non dimenticherò il disgraziato giorno in cui quel ragazzo", sollevò il bicchiere nell'atto di indicarlo, "è entrato al Penguin Pub per la prima volta".

"Penguin Pub".
Sebastian Smythe aveva scrutato l'insegna con aria indolente, portandosi la sigaretta alle labbra per inalare un'ultima volta. La spense con aria distratta contro la parete, lasciò cadere la cicca a terra e si strinse nelle spalle.
Deve essere un locale gay, sentenziò tra sé e sé, prima di farvi ingresso. Un locale valeva l'altro per una sbornia di benvenuto.

"Se avessi potuto sapere ciò che ne sarebbe derivato, sicuramente mi sarei licenziato, prima che potesse avvicinarsi al bancone”, continuò Hunter, suscitando qualche risata tra gli astanti.
Parve tornare serio nello scrutarlo con il viso inclinato di un lato. Tutto sommato, nonostante la sua professione futura lo avrebbe rilegato in una sala operatoria, non sembrava troppo intimidito dallo stare sotto i riflettori in quel momento.
“Ma ciò che ancora mi sorprende è l'evoluzione di Sebastian: da uomo narcisista, insopportabile, egocentrico, egoista e manipolatore”, elencò senza battere ciglio, prima di prendersi un'enfatica pausa e corrugare le sopracciglia. “In realtà non sei affatto cambiato", aggiunse per il puro gusto di suscitare altre risate divertite, compresa quella di Kurt.
Sebastian si limitò ad affondare maggiormente nella sedia, le braccia incrociate al petto e le sopracciglia corrugate, domandandosi dove sarebbe andato a parare. E già escogitando molteplici vendette.
"Ma è innegabile che il suo approccio all'amore non sia più lo stesso", commentò Hunter dopo che l'ilarità ebbe lasciato spazio all'attesa e lasciò che quelle parole gravitassero nel silenzio dei suoi attenti spettatori.

Non aveva una vocazione da barista, sicuramente, ma con l'allenamento poteva quasi dirsi capace di riuscire a riconoscere la clientela che si avvicinava al suo bancone. Scrutò il nuovo arrivato con le sopracciglia inarcate:
"Hai l'aria di uno che ha bisogno di un bel drink per rifarsi una vita".
Un sorriso sghembo increspò le labbra del ragazzo che si sedette, le sopracciglia inarcate nello scrutarlo con la medesima attenzione, prima di far cenno alla bottiglia di tequila che stava ripulendo.
"Versa e sta zitto”, gli intimò in tono arrogante, l'aria di chi era più che avvezzo a impartire ordini e aveva la presunzione di ottenere sempre ciò che lo aggradava. “Ti sembro uno di quegli sfigati che ha bisogno di una spalla gay su cui piangere?", lo incalzò, dopo aver tracannato il drink.
"Io non sono-".
"Fammene un altro", lo interruppe, totalmente disinteressato alla sua replica.
Come vuoi”, rispose in tono conciliante.
Niente di meglio di un cliente poco eloquente, per poter trascorrere rapidamente quelle ore e sperare di sopravvivere ad un altro turno.
Se ne pentì, diverse ore dopo, quando il giovane affondò il capo contro il bancone. Non sembrava essersi accorto del fatto che fosse l'unico ancora presente e che lui stesse affrettandosi a riordinare la propria postazione, per poter tornare a casa. Stava blaterando qualcosa di incomprensibile sulla sua famiglia, la Francia e il coming out.
Davvero commovente”, si sforzò di celare la propria ironia, per poi pungolarlo alla spalla, attendendo che sollevasse il volto. Non aveva una bella cera, e lo sguardo era decisamente vacuo. Sperò che non svenisse, prima di raggiungere l'uscita.
Noi dovremmo chiudere”.
Era piuttosto resistente, dovette riconoscerglielo: lo vide rimettersi in piedi quasi senza problemi, seppur dovette litigare diverse volte coi bottoni, prima che il soprabito fosse allacciato.
Il barista sospirò, consapevole di non poterlo lasciare andare senza essersi assicurato che non si sarebbe ammazzato: "Non sei venuto in auto, vero?".
La domanda parve divertirlo, gli scoccò un'occhiata maliziosa: "Vuoi frugarmi nelle tasche?”, gli chiese beffardo. Fu lieto del fatto che non attendesse una sua risposta e lo guardò scuotere il capo. “Vado a piedi: è stato beeeeello”, gli fece presente e allungò una banconota, ma quando non riuscì a capire quale fosse la mano tesa in sua direzione, la lasciò cadere sul bancone. “Tieni pure il resto”.
Sgranò gli occhi nel fare un rapido calcolo:“Quindici dollari di mancia?!”, gli chiese in tono incredulo, fissando la banconota, in preda ad un evidente battaglia interiore.
Ci vediaaaaamo”, lo salutò l'altro con un cenno del braccio e, pur camminando con incedere goffo, raggiunse presto l'uscita.
Hunter sorrise tra sé e sé, stiracchiando la banconota: “Speriamo che torni”.



"L'ho guardato struggersi per più di un anno in attesa di un matrimonio che non avrebbe mai dovuto vedere la luce. L'ho supplicato, spronato, gli ho urlato contro di rivelare i suoi sentimenti, ovviamente senza alcun effetto se non ritardare i miei esami, stressarmi e farmi diventare quasi whisky-dipendente".
Il viso di Hunter si era incupito al ricordo, evidentemente l'esperienza lo aveva segnato, seppur indirettamente.
"L'hai detto tu: fai schifo", gli ricordò Sebastian, ma il barista lo ignorò e riprese il suo discorso.
"E malgrado fosse tanto preso dal suo disastro sentimentale, non mancava mai di sabotare la mia vita privata, con la stessa premura di sempre e le alleanze storiche”, fece cenno all'ispanica che rivolse agli altri invitati il suo sorriso più impertinente, sollevando la mano ad imitare il regale saluto di una regina.
“Per quanto io abbia spesso dubitato della mia salute mentale nel considerarlo ancora un amico, almeno quanto della resistenza del suo fegato alle sbronze settimanali, di una cosa era certo e questo, a dire il vero, ha reso tutto persino più frustrante, ma incredibilmente Sebastian”.
Per la prima volta distolse lo sguardo dall'amico per volgerlo al giovane il cui sguardo azzurro si era già fatto lucido nei passaggi più intensi di quel discorso.
“Il suo amore per Kurt, l'unico essere umano per la cui felicità sarebbe stato disposto a convivere una vita intera coi suoi rimpianti, un orgoglio scalfito e la consapevolezza di non essere abbastanza in qualcosa”.
E fu con voce più vellutata, a voler dare maggiore enfasi al tutto (probabilmente anche per il puro gusto di metterlo a disagio), che aggiunse: “A dispetto di se stesso, Sebastian Smythe ha dovuto ammettere di saper amare e più di quanto molti dei qui presenti potrebbero anche solo immaginare".
"Hai finito, Clarington?", berciò Sebastian, evidentemente giunto al culmine della propria sopportazione.
"In realtà ci sarebbe anche l'aneddoto sull'acquisto dell'anello di fidanzamento".
"Ok, hai finito".


Allora, entriamo e facciamolo”, commentò Sebastian tra sé e sé, guardando la gioielleria con la stessa espressione corrucciata con cui avrebbe guardato un patibolo.
Non stai per sottoporti ad una colonscopia”, commentò l'altro con un sorrisetto sferzante, ma il non ottenere una replica tempestiva era evidente segno di una reale agitazione.
Si rivolse alla titolare del negozio con la stessa flemma con cui avrebbe ordinato dei salumi, infastidito non poco da come la donna sembrò letteralmente illuminarsi.
Perché non comincia parlandomi di come vi siete conosciuti?”.
"Non perdiamo tempo”, fu la replica di Sebastian. “Non sono un tipo qualunque, quindi prenda appunti: so esattamente come sarà l'anello".
E procedette ad una descrizione precisa ed accurata, con tanto di schizzo che lui stesso aveva elaborato, spiegando esattamente la fattura e specificando la scelta della pietra. La donna non mancò di annotare ogni cosa e, con suo grande fastidio, sembrava persino in procinto di commuoversi. Soltanto alla fine della sua descrizione, parve rivolgere loro uno sguardo perplesso.
"Zaffiro? Ma ne è sicuro?”, gli domandò per poi sporgersi maggiormente in loro direzione. “Eppure avete entrambi gli occhi verdi".
Hunter Clarington si affrettò a scostarsi, una smorfia sul volto: "Non sono io!", commentò in tono incredulo, ignorando l'occhiata ironica di Sebastian che sembrava tanto un “te l'avevo detto”. Ma quando si rivolse alla donna, il sorriso era scomparso: "Segua esattamente queste istruzioni".
"D'accordo, Signor Smythe”, lo rassicurò la donna, seppur poco soddisfatta dalla sua totale mancanza di coinvolgimento emotivo. Poco ci mancò che la poveretta svenisse alla richiesta dell'incisione sul lato interno della banda in oro bianco: Bootylicious5.
Si affrettò, tuttavia, a prendere nota e informarlo sui tempi necessari alla creazione.

"Che stai guardando?".
La voce di Sebastian parve colpire Hunter come un pugnale tra le scapole, ma si affrettò a raddrizzarsi e si strinse nelle spalle. "Niente”, si affrettò a rispondere. “Fatto tutto?”.
Sebastian inarcò le sopracciglia: "Non starai davvero pensando a...?".
"Andiamo via", si affrettò a replicare l'altro.
La commessa scosse il capo tra sé e sé: raramente il suo giudizio era errato. E decisamente qualcuno avrebbe dovuto ammettere di essere daltonico. E magari un po' pervertito.


"A Kurt”. Sollevò il calice in sua direzione. “Perché sappia sopportarti giorno dopo giorno, dopo giorno, dopo giorno... e amarti come meriti", aggiunse in tono più accorato.
Kurt sorrise, stringendone la mano e asciugandosi per l'ennesima volta gli occhi umidi.
"E a me?", lo incalzò Sebastian, quando ebbero tutti bevuto in onore del marito.
Si strinse nelle spalle, prima di sollevare nuovamente il calice: "Che tu diventi sempre meno simile a te stesso”, fu l'augurio scherzoso.
“A Kurt e Sebastian!".

~

Dopo la frenesia di quella lunga giornata, c'era qualcosa di distensivo e rilassante nell'osservare lo skylight di New York che si rifletteva nelle acque e i fuochi d'artificio che sembravano suggellare la loro unione. Sebastian sospirò contro i capelli di Kurt, trattenendolo contro il proprio petto.
Quest'ultimo reclinò il collo per osservarlo: “Non ci posso credere che siamo arrivati fin qui”, gli fece presente. La voce flebile, eppure Sebastian riuscì ad intuire l'intensità di quelle parole e la meraviglia stessa di cui erano intrise.
Rafforzò la pressione intorno ai suoi fianchi: “Ed è solo l'inizio: non hai idea di tutto quello che ti aspetta, Hummel”.
“E' anche il tuo cognome adesso, non dirlo con quel tono superiore”, lo canzonò con un sorrisetto, per poi osservarlo con un sospiro. “Sei molto più romantico di quanto tu voglia ammettere, nonostante tutto”.
Ne mordicchiò il collo, quasi a mo' di minaccia: “Sbrigati con quel bouquet, voglio partire”.
Kurt annuì e si scostò dolcemente per rivolgersi agli invitati: “Allora, signorine? Siete pronte al lancio?”, si guardò attorno con aria spaesata, cercando un volto in particolare.

“Bigné alla fragola!”, gioì Brittany che evidentemente, malgrado il lungo buffet, aveva ancora nel suo stomaco un posto speciale riservato ai dolci.
Santana Lopez, dopo aver incrociato per sua somma sfortuna lo sguardo di Sebastian, sollevò gli occhi al cielo, prese la biondina per il braccio e la trascinò verso la calca di giovani ragazze. Si fece strada tra loro, senza particolari cerimonie o risparmiare spintoni, collocando la biondina in prima fila e gettando occhiate minacciose tutto attorno.
Brittany la guardò confusa, mentre si allontanava: “Perché mi hai trascinata?”, chiese nello stesso istante in cui, dopo un finto countdown, Kurt lanciò il bouquet in sua direzione.
La ballerina sgranò gli occhi nel prenderlo per puro istinto: “Ho vinto!”, dichiarò in tono genuinamente soddisfatto, prima di sgranare gli occhi azzurri alla vista del cofanetto incastonato tra i nontiscordardimé.
“Un piccolo scrigno del tesoro?”, commentò tra sé e sé, schiudendolo e boccheggiando alla vista dell'anello. Non si era accorta di come Hunter Clarington avesse seguito l'intera scena con lo sguardo e le si fosse avvicinato.
“E' così rosa!”, commentò la giovane rimirando il piccolo tesoro in quarzo rosa. Incrociò lo sguardo del giovane e soltanto in quel momento parve realizzarne il significato. Il viso assunse una sfumatura più colorata e sembrò incapace di proferire parola.
Hunter annuì, come se la sua osservazione fosse stata basilare: “Una farfalla: leggera, spensierata, aggraziata come sei tu, quando sei sulla pista da ballo”, precisò con voce modulata, ignorando gli sguardi incuriositi degli astanti, come se nessun altro fosse presente a quell'istante.
“So che ci conosciamo da poco, ma so anche di non aver mai provato qualcosa di simile finora. E se sei tu la più spontanea tra noi, cercherò di assorbire un po' di te e farti sentire una principessa, ogni singolo giorno. Vuoi sposarmi?”.
La giovane sbatté le palpebre a più riprese, boccheggiando e portandosi una mano alle labbra: “Credo di star per piangere”, pigolò con voce strozzata.
“Spero sia un sì”, sorrise il ragazzo con aria vagamente impacciata, il viso inclinato di un lato e le sopracciglia inarcate con aria divertita.
“Sì, sì, sì,sì, certo che sì!”, rispose con impeto, gettandogli le braccia al collo, spalmandogli per errore il bouquet in faccia, prima di poterlo baciare.

Sebastian sollevò gli occhi al cielo e porse a Kurt il fazzoletto che estrasse dal taschino (sperò che non se ne accorgesse prima che arrivassero in albergo) e fissò la coppietta con le sopracciglia inarcate, prima di stringersi nelle spalle.
"Non vedo il senso di commuoversi”, sottolineò con aria fintamente stizzita, celando il sorriso nell'osservare il barista nell'atto di insinuare l'anello al dito della biondina. “Ci hanno appena rubato la scena”.
"Adorabili”, pigolò Kurt, asciugandosi le lacrime. Inquietante come il viso sembrò subito dopo sfolgorare di nuovo entusiasmo. “Non vedo l'ora di organizzare il loro matrimonio!”.
Sebastian sorrise, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni, e si chinò al suo orecchio: "Forse questa volta non mi intrometterò", sussurrò in tono sardonico.
Quelle parole parvero far breccia nella mente di Kurt che si volse ad osservarlo con gli occhi sgranati: "Cosa?".
"Andiamo, marito", lo canzonò, ma ne strinse la mano, conducendolo verso il traghetto.
L'altro non parve particolarmente incline a desistere, a giudicare da come aggrottò le sopracciglia: "Devi spiegarmi che cosa intendevi dire con quella frase!", lo rimproverò.
Sebastian sorrise persino più suadente, salendo sulla barca loro riservata, aiutandolo a fare altrettanto. Abbracciò con lo sguardo la spiaggia di Coney Island per un'ultima volta, certo che avrebbe fissato quei ricordi senza difficoltà.
"E farti chiedere il divorzio, prima di aver consumato la nostra unione?", gli chiese in tono beffardo.
"Sebastian, voglio sapere-”.
Ne cinse la vita e lo attirò a sé, incurante del suo sguardo corrucciato, indugiando a lungo nel suo sguardo di zaffiro, cogliendo il modo in cui la luna stava facendo scintillare la pietra all'anello.
"Zitto e baciamani", sussurrò sulle sue labbra.
Si beò, ancora una volta, di come sembrasse dimenticare ogni motivo di stizza e di rimprovero e di come si cinse al suo collo.
"Sempre", sussurrò come se la fosse soltanto la prima di molte altre volte.



The End

E' sempre un dolce dolore siglare la fine di un progetto, soprattutto quando gli si è dedicato del tempo tra la stesura dei capitoli, la loro revisione, le modifiche alla trama e la pubblicazione. Non è la prima volta che mi costringo a lasciarli andare, ma non credo che ci si possa abituare a quella sensazione di vuoto che scaturisce nell'istante successivo.
In fondo una fanfiction è anche uno scorcio della vita parallela di chi la scrive, giorno dopo giorno, e in quest'ultimo anno non sono mancati momenti difficili, ma la scrittura è sempre stata un balsamo lenitivo e un modo di evadere dalla realtà esterna.
E' difficile separarsene ma, al contempo, so che non avrei davvero potuto aggiungere altro (anzi, ehm, spero che la lettura non vi sia sembrata eccessivamente lunga!) nella speranza di aver soddisfatto tutti i possibili dubbi o curiosità sul destino dei personaggi che ci hanno accompagnato in questi mesi.
Mi permetto, pur a torto, di far mie le parole di Dickens, all'indomani della fine della sua stesura di David Copperfield (ovviamente non sto paragonando la mia fanfiction ad uno dei miei romanzi preferiti. Ma quando l'ho letta, mi sono sentita davvero emozionata e mi ero ripromessa di condividerla con voi, perché ho saggiato emozioni simili) e vi prego di supportare con pazienza l'ultimissima citazione :)


(Londra, Ottobre, 1850).  « Non mi riesce facile nelle prime sensazioni che provo avendo terminato questo libro, di staccarmene quanto basta per parlarne (…) Il mio interesse per esso è tanto forte e recente, e il mio animo è talmente divido tra la soddisfazione e il rammarico – soddisfazione per il compimento di un antico disegno, rammarico nel separarmi da tanti compagni – che corro il rischio di infastidire i lettori, cui voglio bene, con personali confidenze e private commozioni.
Oltre al fatto che tutto ciò che potevo dire di questa Storia, a qualunque fine, mi sono ingegnato di dirlo raccontandola »

Credetemi, è una casualità che io abbia deciso di posticipare l'aggiornamento al Venerdì successivo alle feste e che questo coincida con la messa in onda dell'ultima stagione di Glee.
Come ben sa chi mi conosce o ha compreso chi mi ha letta, non vedrò realizzate le mie coppie ideali e, seppur abbia espresso più volte critiche alla sceneggiatura, non potrò che sentire un vuoto alla fine di questa grande avventura. Ma almeno avrò la consolazione di aver pitturato un mio piccolo grande mondo ideale :)

Grazie a tutti voi che mi avete fatto compagnia in questi ultimi mesi: la vostra lettura silenziosa, l’incoraggiamento, la richiesta di delucidazioni, le accurate osservazioni sullo stile, le speranze nel proseguo della narrazione, l'emozione e persino la rabbia, hanno reso questa idea una meravigliosa realtà che non posso che guardare con orgoglio e soddisfazione.

Un forte abbraccio e l'augurio di un meraviglioso 2015 a tutti voi,

Kiki87


1Lo so che vi erano mancati :P Per ascoltare questa meravigliosa canzone e vederne il testo originale: The best is yet to come
2Eviterò di entrare nei dettagli, ma si tratta di una delle più importanti decisioni della giurisprudenza americana sul ruolo della Corte Suprema (ebbene sì, ho dovuto studiarmela per l'esame :D).
3Ovviamente è una mia invenzione, anche se effettivamente il presta-volto che ho in mente non è forestiero all'ambiente di Broadway ;)
4Questo è un commento di Sebastian :P Le rettifiche di Hunter sono quelle in cui insulta Sebastian, tanto per capirci :D
5Non servirà confessare di essermi ispirata al tweet di Grant, parlando proprio del nostro Chris :D Ma mi è sembrato carino, ancora una volta, mostrare il lato ironico del romanticismo alla Sebastian Smythe :) 

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