Un'altra me.

di WingsOfButterfly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1



«Nina, alzati!».
Una voce maschile, irritata e sconfitta, riecheggiò nella piccola stanza in cui, su un letto molto più simile ad una brandina, tra un gomitolo di coperte, riposava una ragazza.
«Mmm, ancora cinque minuti».
Roberto sbuffò e si avvicinò al letto con aria decisa, tirando via tutte le coperte.
«Muoviti! Sono già le otto» intimò, lasciando poi la camera con passo pesante.
«Tu sei un mostro!»  gli urlò dietro la ragazza, rabbrividendo e alzandosi dal letto.
Nina dimenticava sempre tutto, era lunatica, distratta e goffa nella vita di tutti i giorni, ma non a lavoro, dove si trasformava in una persona responsabile e precisa. Tuttavia, era una ritardataria cronica. Anche a lavoro. Per quello, non c’era speranza.
Una decina di minuti dopo la ragazza comparve nella sala comune, dove gli altri archeologi, studenti e responsabili, stavano terminando la colazione. I corti capelli neri e ricci completamente arruffati, una felpa grigia di almeno due taglie più grande e un pantalone blu da lavoro con diverse macchie di terra e fango sulle ginocchia. Nina era un’archeologa. Assieme a Roberto era responsabile della campagna di scavo vicino Siena. Il Comune aveva concesso loro di alloggiare in una vecchia Abbazia , nei locali che una volta ospitavano una comunità di recupero per tossicodipendenti, e prima ancora erano stati il refettorio del convento.
Gestire venti ragazzi non era semplice, per fortuna c’erano Roberto e gli altri responsabili.
«La bella addormentata finalmente ci ha degnato della sua presenza» la voce di scherno di AnnaChiara, una ragazza alta, magra e bionda, raggiunse le orecchie di Nina quasi come un gracchiare fastidioso.
«Anna, per favore, è lunedì mattina e sono appena le otto…lo sai che prima delle dieci le mie funzioni cerebrali non sono attive» la rimbeccò Nina, sedendosi accanto a Roberto e facendo sprofondare il viso tra i gomiti.
«Faremo tardi a causa tua. Sai che odio fare tardi» l’apostrofò Roberto con aria seccata.
Roberto  era l’opposto di Nina, chirurgico e maniacale in qualsiasi cosa facesse, sempre puntuale, ligio al dovere. Erano amici dai tempi della scuola, avevano frequentato la stessa facoltà e ora erano colleghi. Chi si domandava come fosse stato possibile che non fossero mai finiti a letto insieme, nemmeno una volta, per sbaglio, da ubriachi, non sapeva che il motivo era tanto semplice quanto banale. Nina era lesbica. E loro due erano come fratelli.
Nina alzò la testa di scatto, guardò Roberto per un secondo, arricciò il labbro in quello che doveva essere un sorriso, ma al ragazzo parve più un ghigno, e allungò velocemente una mano per rubargli la tazzina di caffè da sotto il naso. La bevve tutta d’un fiato, poi si alzò con aria soddisfatta.
«Bene ragazzi, tutti pronti che si va sul cantiere. Forza giù alle macchine!» proclamò con aria solenne, rivolta agli altri ragazzi.
Quelli si alzarono ancora insonnoliti e sbadiglianti e andarono a recuperare zaini e felpe per avviarsi giù nel cortile.
«Tu sei una persona orribile» dichiarò Roberto, passandole accanto senza nemmeno guardarla.
«Sì, ti voglio bene anch’io».
Era il primo lunedì di ottobre e quel giorno cominciava il secondo turno di scavo, il che significava che erano giunti venti nuovi studenti archeologi sostituendosi al gruppo che aveva scavato a Settembre. I responsabili si erano presentati e avevano anche presentato il progetto e lo scavo, durante la riunione organizzativa che si era tenuta la domenica sera precedente. Tuttavia, i ragazzi ancora non si conoscevano così bene per cui quella mattina erano ancora un po’ tutti spaesati.
Su indicazioni dei responsabili riempirono sei macchine e si avviarono sul cantiere.
 A metà mattinata tutte le squadre erano ben avviate e lavoravano a pieno regime, mentre Nina e Roberto erano seduti su una panca di legno sotto la tettoia che usavano come campo base.
«Sono tutti novellini a ‘sto giro» fece notare la ragazza, sfogliando l’elenco con i nomi dei ragazzi.
«Non tutti. Guarda» Roberto indicò un nome sul foglio – Lei non è una matricola, ci ho fatto caso ieri sera.
«Silvia Pecci, laureata in Archeologia a Pisa con 110, iscritta al primo anno della specialistica in Archeologia medievale a Siena. Nata a Pisa il 13 marzo 1990» Nina lesse con distratto interesse, poi chiuse i fogli e li ripose in una cartellina «Meglio così, almeno una che, si spera, abbia esperienza e quindi non combini guai» decretò senza tanta enfasi.
«La tua abnegazione per l’istruzione di questi giovani studenti mi stupisce ogni giorno di più» commentò sarcasticamente Roberto.
La giornata trascorse tranquilla, senza imprevisti. La sera Nina era seduta in sala computer concentrata a scrivere il diario di scavo di quel giorno. Le dita che picchiettavano furiose sui tasti, il capo abbassato e un ciuffo riccio e ribelle che le cadeva sulla fronte leggermente aggrottata per la concentrazione. Ad un certo punto un urlo di imprecazione riecheggiò sotto l’alto soffitto della stanza, facendo alzare le teste di tutti gli altri responsabili ugualmente impegnati ai pc, e contemporaneamente le schermate divennero nere.
«Ma che diavolo …» Nina alzò gli occhi verso l’ingresso scattando repentinamente in piedi.
Accanto alla vecchia porta di legno consumata c’era Silvia, che con una mano si teneva allo stipite, in bilico sul piede destro, dal momento che il sinistro era completamente arrotolato in una serie di cavi elettrici. La vicina presa di corrente  accanto allo stipite era completamente sradicata dal muro.
«Accidenti» borbottò la ragazza, cercando di liberare il piede da quell’imbroglio di cavi.
«Ma porca miseria! Guarda che hai combinato!» Nina le si avvicinò guardando disperata la presa elettrica ormai inutilizzabile «E’ saltato tutto, compreso i diari di scavo che stavamo scrivendo e ci toccherà riscrivere tutto daccapo perché tu non sei capace di guardare dove metti i piedi».
«Nina, non è il caso» Roberto si avvicinò alle ragazze, piegandosi sulle ginocchia per aiutare Silvia ad uscire da quella trappola di cavi.
«Se a casa combina certi guai, chissà cosa può combinare sul cantiere» ribatté dura verso l’amico «Invece, è proprio il caso».
«Mi dispiace» tentò di scusarsi Silvia «Di solito sono goffa, ma non a questi livelli».
Nina alzò lo sguardo su di lei, era poco più bassa, i capelli castani gonfi e scarmigliati, le guance colorate di un tenue rosso, forse per l’imbarazzo, gli occhi marroni grandi e sinceramente dispiaciuti.
Sospirò passandosi una mano tra i capelli, facendola scivolare indietro sulla nuca fino a fermarla sul collo. Cominciò a massaggiarlo come per tentare di scacciare tutta la tensione che sentiva accumularsi proprio lì.
«Sposteremo le spine su un’altra presa, dovrebbe essercene una dietro quel mobile».
Tornò a sedersi davanti al suo computer, sfogliando stizzita una serie di appunti.
Roberto si rimise in piedi davanti a Silvia, dopo aver liberato il suo piede, e le sorrise indulgente.
«Sul lavoro è una perfezionista, per tutto il resto…pff!» un gesto vago della mano e gli occhi alzati al cielo terminarono per lui il senso della frase.
«Sembra infuriata» constatò Silvia, osservando le spalle di Nina visibilmente contratte.
«Le passerà».
Qualcuno rimise a posto le spine e i computer si accesero nuovamente consentendo ai responsabili di riprendere il loro lavoro.

Dopo cena Nina era seduta a cavalcioni su un muretto esterno che circondava l’intera abbazia. Fumava una sigaretta e attraverso i cerchi di fumo osservava le stelle.
Passando davanti ad un finestrone, che dava proprio sull’ingresso, Silvia la vide. La osservò per qualche secondo poi, guidata dall’istinto, scese velocemente la scala aprì il pesante portone di legno e uscì.
I suoi passi sulla ghiaia misero in allerta Nina che alzò gli occhi verso di lei, ancor prima che riuscisse ad avvicinarsi. Sospirò indecisa se alzarsi e tornare dentro o lasciare che la raggiungesse. Mentre ci rifletteva, Silvia si era già fermata davanti a lei.
«Volevo scusarmi, se ci sono da fare dei lavori, pagherò io».
«Ma smettila, che dici. Quei fili buttati lì in terra così non stavano per niente bene, mi ripromettevo ogni giorno di trovare una soluzione ma rimandavo continuamente».
«Sì, però è vero che se avessi fatto più attenzione …».
«Sarebbe potuto capitare a chiunque» tagliò corto Nina. Fece un ultimo tiro alla sigaretta poi la gettò via «Siamo a posto».
Si alzò dal muretto e mosse qualche passo verso l’ingresso.
«Ma io …» la voce insistente di Silvia la costrinse a fermarsi e voltarsi verso la ragazza.
La fissò, in attesa che lei terminasse la frase, ma l’altra si limitò a guardarla. Uno squillo interruppe il loro contatto visivo. Nina estrasse velocemente il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e rispose senza nemmeno guardare chi la stesse chiamando.
«Sei arrivata? Dove? Tra mezz’ora… ok».
Ripose il telefono e guardò Silvia ancora una volta.
«Devo andare».


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Commenti e critiche sono sempre ben accetti. Ciao a tutti!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2



Il giorno successivo sul cantiere il sole era accecante. Nina se ne stava seduta su un masso con un gomito sul ginocchio e il mento sprofondato su di esso. Gli occhiali da sole le coprivano gli occhi e, nonostante questo, la sua fronte era corrucciata per il fastidio della luce.
«Se hai messo su gli occhiali per poter dormire senza che nessuno ti veda, sappi che io ti conosco troppo bene per cascarci».
«Sono sveglia».
Roberto sedette accanto alla ragazza ed insieme osservarono dall’alto le squadre che lavoravano.
«Perché si è trasferita qui?» la voce di Nina era roca e stanca.
«Eh» Roberto si voltò a guardarla con aria interrogativa «Di che parli?».
«La ragazza, la più grande … Silvia».
«Che t’importa?».
«Nulla, solo curiosità».
«Chiedilo a lei allora».
«Se avessi voluto chiederlo a lei, l’avrei fatto, non credi?! Invece lo sto chiedendo a te».
Il tono burbero di Nina non fece perdere a Roberto nemmeno un briciolo della sua tranquillità. Con calma avvicinò una mano al suo viso e le alzò gli occhiali da sole sulla fronte, quel tanto che bastava per vedere i suoi occhi. Nina lo lasciò fare, inarcando un sopracciglio incuriosita. Roberto ispezionò le sue occhiaie scure, poi lasciò andare gli occhiali.
«Il turno di chi è stato ieri sera?» domandò pacato, mentre si alzava e infilava le mani in tasca.
«Carla».
«State insieme?».
«No!».
«Scopate e basta?».
«Ovviamente».
«Dovresti evitare di fare tardi durante la settimana, Nina».
Roberto la rimproverò bonariamente, ben sapendo che comunque non avrebbe ottenuto nulla, perché lei avrebbe continuato a fare di testa propria.
Quella sera, infatti, dopo cena Nina sparì in camera sua, ne uscì qualche minuto dopo con il giubbotto e le chiavi dell’auto in mano infilando di corsa il portone ed uscendo.
Il venerdì mattina tutti i ragazzi erano piuttosto stanchi e fiacchi. La stanchezza della prima settimana di lavoro cominciava a farsi sentire.
Come al solito controcorrente, invece, Nina sembrava rivitalizzata in vista del fine settimana, e camminava tranquilla tra i vari saggi per controllare i gruppi di lavoro. Di tanto in tanto si fermava a chiacchierare con i capi saggio, scambiando con loro opinioni, mettendo a punto le future strategie di scavo.
Arrivata al saggio affidato a Luigi, un ragazzotto un po’ tarchiato, con capelli castani a spazzola e una lunga barba ispida, si fermò ad osservare la situazione del terreno che le parve significativamente interessante.
«E’ venuto fuori un nuovo strato, Luigi?».
«Sì, Nina. Abbiamo appena finito di pulirlo e fare le foto».
Il ragazzo le si affiancò, osservando soddisfatto il lavoro suo e della sua squadra.
In un angolo del saggio, Silvia stava rimuovendo freccia e metrino che erano appena serviti per le foto di documentazione. Alzò lo sguardo sentendo la voce di Nina poco distante. Discuteva con Luigi. La osservò meglio, l’aveva osservata spesso in quei giorni. Pareva così scostante eppure così attenta.
«Adesso disegno lo strato, poi rimuoviamo il tutto. Intanto pensavo di mettere Silvia e Lorena a pulire il muro lì».
 Luigi gesticolava, indicando a Nina il suo piano, ma la ragazza lo interruppe con tono deciso ma tranquillo.
«Facciamo disegnare Silvia» posò gli occhi sulla ragazza, inarcando un sopracciglio scetticamente, quando la vide restare lì  in disparte ferma senza dire nulla «Sai disegnare, vero?».
«Veramente no» un leggero rossore le colorò le guance, mentre finalmente si avvicinava agli altri due «Negli altri cantieri in cui ho scavato erano sempre i responsabili ad occuparsi della documentazione».
«Beh, questo è un cantiere didattico, quindi tutti fanno tutto».
Nina si scorciò le maniche della felpa e si sedette su un tronco divelto al margine dell’area di scavo, dove era posata una cartellina di plastica con tutto l’occorrente per il disegno.
«Vieni, ti insegno io. Luigi, tu e Lorena potete occuparvi del muro mentre noi finiamo qui. Bada di non togliere troppa terra solo da un lato o rischi di farlo cadere».
Il capo saggio annuì solerte e raggiunse una ragazza magra, con gli occhiali e lunghi capelli neri, cominciando a spiegarle come agire.
Silvia, invece, andò a sedersi accanto a Nina. Osservò i suoi movimenti fluidi e precisi, mentre preparava tutto l’occorrente. Lo sguardo quasi ipnotizzato da quelle mani bianche piene di graffi dai contorni lividi.
«Cosa hai fatto con queste mani?» come al solito guidata dall’istinto, Silvia diede voce ai suoi pensieri ancor prima di rendersene conto. Alzò gli occhi sul viso di Nina, immaginando di trovare un’espressione dura. Invece si scontrò con un paio di occhi grigi che sorridevano divertiti.
«Cosa non ho fatto con queste mani» la corresse ironica «Ho avuto un alterco con il gatto di una mia … amica, ieri sera. Odio i gatti».
Senza aspettare che Silvia potesse ribattere nulla, le posò sulle ginocchia una tavoletta di legno compensato con sopra attaccato un foglio di carta millimetrata e un foglio di carta lucida.
Impiegarono più di un ora a finire il disegno. La tecnica era semplice, ma la forma dello strato in questione veramente difficile da riprodurre e creò qualche problema di troppo a Silvia. Ma Nina fu disponibile e paziente.
«Ora scrivi qui tutta l’intestazione e hai finito» Nina si sporse verso Silvia per indicarle l’angolo più lontano del foglio e le sfiorò una mano con la propria.
Silvia obbedì ancora una volta, ma un pensiero le frullava in testa da tempo e gli diede voce tutto d’un fiato, prima che il suo buon senso le facesse cambiare idea.
«Non capisco se non mi sopporti oppure no».
Nina si girò a guardarla con un’espressione sorpresa, divertita e scettica.
«Non dobbiamo diventare amiche. Tu sei qui per imparare, a me fa piacere insegnarti» fissò i suoi occhi marroni. Si era mai accorta che illuminati dal sole l’iride assumeva un alone dorato? Forse no, ma lo stava notando in quel momento e la cosa l’affascinò «Se è per la questione dei cavi elettrici … è un incidente archiviato ormai».
«Ok» il tono di Silvia risultò incerto, imbarazzata com’era da quello sguardo intenso che l’altra le aveva rivolto.
«Perché ti sei trasferita qui da Pisa?».
La domanda di Nina la colse completamente impreparata. Sbarrò gli occhi e cominciò a torcersi le dita, spostando freneticamente lo sguardo dal volto di Nina, accigliato e in attesa, al terreno.
«Perché lo chiedi?».
«Curiosità. A Pisa c’è un’ottima università, e immagino che tu avessi già degli agganci lì, avendo fatto la triennale. Non ci hai guadagnato nulla a venire qui».
«Avevo bisogno di cambiare aria. Il disegno è finito, vado a metterlo a posto insieme agli altri in baracca».
Silvia si alzò e si allontanò senza dare il tempo a Nina di obiettare nulla. Quest’ultima la osservò andar via, consapevole che la sua domanda l’aveva infastidita. Non aveva mai visto Silvia così brusca, di solito era una ragazza abbastanza aperta e molto dolce. L’aveva osservata interagire con gli altri in quei giorni, era divertente, spigliata e affettuosa con tutti. Tranne che con lei, con la quale manteneva una certa distanza e una certa freddezza. L’idea che potesse essere il suo pessimo carattere a incuterle soggezione non l’attraversò nemmeno.
Quella sera dopo cena Nina aveva ancora del lavoro da finire, quindi si rintanò in sala computer. Non c’era nessuno, tutti gli altri erano usciti a godersi la libertà del venerdì sera, un preludio del prossimo week all’insegna del relax. Il silenzio l’aiutò a concentrarsi.
«Posso?».
Una voce sottile, familiare, la distrasse dalla relazione di scavo giornaliera. Alzò gli occhi ed incontrò il volto squadrato ma dolce di Silvia. Reggeva un portatile in mano e le indicava con lo sguardo la sedia accanto alla sua.
«La batteria del mio portatile è fusa, quindi devo tenerlo per forza in corrente e l’unica presa più vicina è proprio dietro di te».
«Certo».
Nina si riscosse, come se fosse appena ritornata in se dopo uno shock. Cos’era che l’aveva distratta? Il sorriso gentile ed incerto che le aveva rivolto Silvia? Le sue labbra, rosse e arcuate? Gli occhi, più scuri senza il riverbero della luce solare?
«Ti aiuto» scattò in piedi dalla sedia, un po’ troppo frettolosamente, ansiosa di avere qualcosa da fare per interrompere quel flusso di pensieri.
Prese la spina del portatile che Silvia le porse e si accovacciò dietro una scrivania, sporgendo il braccio in avanti il più possibile per attaccarla alla presa.
«E’ venerdì sera e tu sei ancora qui a lavorare. Ti prendi mai una pausa?».
Silvia si sedette accanto a lei e accese il computer, mentre aspettava che il sistema si avviasse si voltò verso Nina. La guardò, per la prima volta forse più incuriosita che intimorita.
«Mi piace essere puntuale nel mio lavoro» replicò Nina molto pragmaticamente «e poi potrei dire lo stesso di te, sei anche tu qui».
«Devo solo controllare delle mail, mentre aspetto che Paolo, Lorena e Giulio finiscano di prepararsi».
Nina non riuscì a trovare niente di intelligente da rispondere, quindi preferì annuire e tornare a concentrarsi sul suo lavoro, ma qualcosa catturò la sua attenzione. Silvia aveva inserito la password e si era aperta la schermata principale del suo pc. Nina rimase un attimo interdetta a guardare la foto che campeggiava sul desktop, con un misto di incredulità e scetticismo. Bandiere arcobaleno, un tir strapieno di gente che ballava, palloncini ovunque e drag queen.
«Che significa?» domandò muovendosi appena sulla sedia, quasi in ansia di conoscere la risposta.
«Cosa?» Silvia la guardò stralunata, non capendo il perché di quella domanda. Poi seguì lo sguardo di Nina e capì «oh, ero con dei miei amici al gay pride di Bologna».
«Gay pride? Sei lesbica?».
«Sì».
Nina rimase a guardare Silvia in silenzio per qualche secondo. E quest’ultima sostenne con fermezza il suo sguardo. Non c’era astio, solo una sottile attesa tra di loro, una leggera provocazione a chi delle due avrebbe ceduto per prima.
«Mi piacerebbe che restasse tra di noi» proruppe Silvia, non sopportando più quel silenzio ambiguo «come vedi non ho problemi a parlarne, ma mi irriterebbe se la cosa diventasse un pettegolezzo che salta di bocca in bocca».
«Certo, assolutamente. Sì. Nessun problema. Terrò la bocca chiusa».
La lingua di Nina incespicò nelle parole ricorrendole a perdifiato. Un segno di nervosismo, si chiese Silvia. Ma non ebbe il tempo di chiederlo alla diretta interessata, né di indagare poiché Nina si alzò di scatto.
«Devo andare. Buona serata. Ciao».
Silvia restò sorpresa da quella reazione, si sporse oltre la porta per osservarla andar via. La vide prendere il cellulare dalla tasca dei jeans e portarlo all’orecchio, poi scomparire lungo le scale, verso l’uscita.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Il fine settimana passò in fretta, troppo in fretta. Il lunedì il tempo fu pessimo e costrinse l’intero gruppo a restare in abbazia. I responsabili si portarono avanti con il lavoro, i ragazzi si dedicarono a laboratori di varia natura. Lavaggio ceramica, siglatura reperti, catalogazione, disegno.
Silvia era china sul tavolo completamente concentrata nel disegno di un orlo di una coppa. Aveva ripensato alle strane reazioni che Nina aveva sempre quando c’era lei nei paraggi e si era convinta di non doverle essere molto simpatica, a dispetto di quanto l’altra dicesse. Probabilmente aveva sbagliato a dirle di essere lesbica, forse ora il suo atteggiamento sarebbe anche peggiorato. Sbuffò, irritata a quel pensiero, era l’unica con cui non era riuscita a stringere un rapporto di amicizia.
«Perché sbuffi? Il disegno è perfetto, hai occhio».
Silvia sobbalzò nel sentire quella voce alle sue spalle, poco distante dal suo orecchio. Girò di poco il viso ed intravide quello di Nina accanto al suo. Le sorrideva.
«Sei brava con il disegno, Silvia. Sicura che nessuno ti abbia mai fatto vedere come si fa prima d’ora?» Nina scostò la sedia accanto alla sua e si sedette, osservando più da vicino il disegno.
«No, è la prima volta che provo».
Perché le sorrideva ora? Silvia si sentiva confusa, ancora una volta, dall’atteggiamento di quella ragazza. Si concesse di osservarla per bene, approfittando che lei fosse concentrata ad esaminare il suo disegno. Aveva il solito ciuffo riccio che le ricadeva sulla fronte, il viso ovale paffuto, il naso dritto ma abbastanza ingombrante. Le labbra socchiuse, lasciavano intravedere la punta della lingua trattenuta tra i denti. Silvia si sentì arrossire, quando sentì un calore familiare formarsi nel suo stomaco.
«Nina».
La voce di Roberto, in piedi dalla parte opposta della grande sala comune, distrasse entrambe le ragazze, che alzarono simultaneamente lo sguardo verso di lui.
«Ti devo parlare».
«Scusami» Nina si rivolse a Silvia con un sorriso pacato e si alzò raggiungendo Roberto.
Silvia raggiunse Lorena per vedere come se la stava cavando con il suo disegno. Inaspettatamente non la trovò concentrata sul suo foglio, ma in attesa con un risolino divertito verso di lei.
«Che hai da ridere?».
«Ti piace vero?».
«Che stai dicendo?!».
«Sto dicendo che se avessi potuto te la saresti scopata qui, sul tavolo della ceramica».
Silvia arrossì e non seppe come rispondere a quell’analisi così diretta, acuta e… veritiera. Lei e Lorena lavoravano nella stessa area assieme a Luigi, passavano più di mezza giornata insieme e gli era venuto naturale chiacchierare per passare il tempo. Dopo qualche giorno era spuntato fuori l’argomento fidanzati e Silvia come al suo solito non aveva saputo mentire. Lorena non aveva fatto una piega, anzi aveva commentato che le sarebbe piaciuto essere lesbica per non dover avere mai più a che fare con “quelle gran teste di cazzo che sono gli uomini”.
Il giorno successivo il tempo era migliorato, permettendo al gruppo di tornare sul cantiere. Per i seguenti giorni Nina fu particolarmente di buon umore, ma Roberto, che la conosceva bene, era comunque sul chi va la, sapeva bene quanto potesse essere lunatica l’amica. La osservò con particolare attenzione in quei giorni e notò che il suo sguardo seguiva spesso i movimenti di Silvia, da lontano però, come al suo solito.
«Ore piccole ieri?» Roberto si sedette all’ombra sotto il capanno accanto a Nina, intenta a controllare delle foto su un ipad.
«Mh-mh» la ragazza annuì distrattamente, continuando a sfogliare la galleria di immagini.
«Quante ne vedi ora?».
«Due».
«Carla e…».
«Emanuela».
«Ti piacciono entrambe?».
«Robé, cos’è questo interrogatorio?» Nina alzò lo sguardo accigliato sull’amico, riponendo l’ipad per incrociare le braccia al petto.
«Niente, volevo solo sapere».
«Tu non vuoi mai solo sapere».
«Dico solo che potresti sceglierne una e provare a frequentarla più assiduamente».
«Abbiamo già fatto questo discorso» Nina strinse i denti, serrando la mascella, visibilmente irritata per la piega che aveva preso la conversazione.
«C’hai trent’anni, Nina. Per la miseria!».
«E ancora tante donne da soddisfare, perché riservare il piacere solo ad una e privarne altre» abbozzò un sorriso sarcastico all’indirizzo dell’amico e riprese l’ipad.
Roberto la vide concentrarsi nuovamente sulle foto e capì che per lei la conversazione poteva ritenersi chiusa lì. Ma non per lui.
«E da quando ti piacciono anche le etero?».
Nina alzò un sopracciglio con aria stupita e interrogativa.
«Silvia. Ho visto come la guardi» precisò Roberto.
«E’ lesbica» Nina liquidò così la questione, senza troppe spiegazioni.
«Cosa? E tu che ne sai?».
«Me l’ha detto lei».
«E le hai detto che anche tu lo sei?».
«No».
Roberto guardò Nina completamente confuso, si mosse a disagio sulla scomoda panca di legno e si grattò la nuca.
«Perché?».
«Perché no. Non lo so. Insomma, non mi è venuto spontaneo così non l’ho fatto. Si può sapere che vuoi, Robé? Oggi mi stai irritando» sbottò Nina, ormai esasperata da tutte quelle domande.
«Trovo solo strano che, a questo punto, tu ancora non ti sia infilata nel suo letto» Roberto si strinse nelle spalle, come se la risposta fosse ovvia.
Nina si sentì vagamente offesa da quella constatazione. Abbandonò con stizza l’ipad sulle assi di legno del tavolo e si passò una mano tra i capelli espirando violentemente dal naso.
«Forse semplicemente perché non mi interessa?!».
«Nina, prendi in giro te stessa se vuoi, ma non prendere in giro me. Una bella ragazza lesbica ti piomba nella vita così, con tanta facilità e tu non ne approfitti? Impossibile. Ci deve essere qualche altro motivo».
«Basta, sono stanca di stare a sentire i tuoi sproloqui».
Nina si alzò di scatto allontanandosi velocemente da Roberto, il quale provò a fermarla per un braccio, chiamandola e chiedendole di restare a parlare, ma lei si divincolò facilmente senza voltarsi. Roberto sapeva di aver forzato troppo la mano, Nina non amava parlare di sé e dei propri sentimenti. Con lui si era aperta qualche volta, ma sempre con i suoi tempi e i suoi modi. Quella volta aveva voluto insistere, perché c’era qualcosa di insolito nel modo di rapportarsi di Nina a quella Silvia.
Roberto rimase seduto lì ancora qualche minuto con aria afflitta e pensierosa, poi si alzò e sparì dentro la capanna degli attrezzi, non accorgendosi che lo sguardo di Silvia lo seguiva ormai da diversi minuti.
La ragazza aveva assistito da lontano alla discussione tra Roberto e Nina ed era rimasta piuttosto sorpresa nel vederli litigare in quel modo. Un pensiero scomodo cominciò a farsi strada nella sua testa, e la tenne deconcentrata per l’intera giornata.

A cena l’atmosfera era stata rilassata e gioviale. Silvia aveva tenuto gli occhi incollati a Nina tutto il pomeriggio e quella sera a tavola si era seduta in modo da poterla osservare senza destare sospetti. Roberto e Nina non erano seduti l’uno accanto all’altra a scambiarsi battutine come al solito, ed il ragazzo guardava l’altra di sottecchi, quasi come per spiare le sue emozioni. Silvia si sentì toccare il gomito e si voltò alla sua sinistra. Lorena la osservava con sguardo severo.
«Vuoi smetterla di fissarla?».
«Non la sto fissando».
«Invece sì, e cominci a diventare piuttosto inquietante».
«Vorrei solo sapere cosa le passa per la testa. E’ così enigmatica».
«Allora vai da lei e chiediglielo».
Silvia guardò l’amica con aria severa e scosse decisamente la testa in segno di diniego, poi la sua attenzione fu catturata da un movimento al limite del suo campo visivo.
Nina si era alzata e aveva raggiunto l’angolo più lontano della sala, era accanto ai fornelli a mettere su la moka per il caffè. Dopo nemmeno un minuto Roberto la raggiunse, le disse qualcosa e lei sbuffò. Scambiarono ancora qualche battuta, poi Nina gettò con un gesto di stizza un cucchiaino sul piano da lavoro e uscì velocemente dalla sala mandando a quel paese Roberto con un gesto plateale della mano.
A quel punto Silvia non riuscì più a reprimere la curiosità e si avvicinò a Luigi, che era seduto alla sua destra.
«Luigi, senti, ma… che tu sappia… Nina e Roberto stanno insieme?» arrossì appena, ben conscia che quelli non fossero affari suoi.
«Nina e Roberto?».
La risata di Luigi la colse completamente impreparata, si accigliò non comprendendo il perché di tanta ilarità.
«Nina è lesbica, lo sanno tutti» spiegò Luigi con molta noncuranza, tornando poi a mangiare tranquillo.
Silvia rimase completamente spiazzata. Era stupita, sollevata e, dopo qualche secondo, anche infuriata.
Si alzò uscendo velocemente dalla stanza, corse verso la sala computer, ma la trovò vuota. Percorrendo il corridoio si chiese dove potesse essere Nina, poi passando davanti ad un finestrone la vide. Era fuori, seduta sul muretto a fumare. Senza fermarsi a riflettere prese le scale, uscì nell’aria umida tipica della campagna senese ad ottobre rabbrividendo, e la raggiunse a grandi passi.
Le si parò davanti stringendosi nelle braccia per proteggersi dal freddo. Nina alzò lo sguardo su di lei sorpresa, ma rimase in attesa .
«Perché non me l’hai detto?
» Silvia l’aggredì, per nulla diplomatica in quella situazione.
«Che cosa?».
«Che sei lesbica».
«Perché avrei dovuto dirtelo?».
«Mi hai fatto sentire una scema! Tutti lo sapevano, e io mi ero anche esposta con te. Il minimo che avresti potuto fare quando te l’ho detto sarebbe stato ricambiarmi il favore».
«Non mi hai fatto alcun favore, potevi non dirmelo. In più, io non ti devo niente».
Nina spense la sigaretta sul muretto e la gettò lontano, poi scese con un piccolo saltello atterrando proprio a pochi centimetri dal corpo di Silvia. Quest’ultima rabbrividì, di freddo, di rabbia e di qualche altra cosa.
«Sono stanca delle tue risposte arrogan…».
Silvia tentò ancora una volta di rimproverare Nina, ma quest’ultima non le lasciò finire la frase. Le prese il viso tra le mani e la baciò, con forza e prepotenza. Le infilò la lingua tra le labbra senza attendere che fosse lei ad aprirle e con quel bacio le tolse il fiato. Silvia reagì in fretta, dopo un primo momento di sconcerto, e le gettò le braccia al collo stringendo i suoi capelli e tirandola più vicina al suo corpo.
«Era per questo che avresti voluto che te lo dicessi, no?» Nina si scostò appena per riprendere fiato e guardò Silvia negli occhi con un misto di arroganza e provocazione «Volevi scoparmi e la certezza che anch’io fossi lesbica ti avrebbe facilitato la cose».
«Perché non me l’hai detto?».
«Non lo so, ma ora lo sai. Che fai, vieni con me in un posto più tranquillo?».
Silvia la guardò negli occhi e sentì una morsa di desiderio stringerle lo stomaco. Era vero, la desiderava da tempo e, se avesse saputo subito che anche a lei piacevano le ragazze, non si sarebbe posta tanti problemi e ci avrebbe provato molto prima. Quello che non capiva era come mai, visto che anche Nina evidentemente la voleva, non aveva approfittato del suo coming out per uscire a sua volta allo scoperto e facilitare le cose ad entrambe. Ma quello non le sembrò il momento di porsi certe domande. Annuì a Nina e lasciò che lei la prendesse per mano e la portasse verso la sua macchina.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4


Il giorno successivo Nina si svegliò con un feroce mal di testa. Lei e Silvia erano tornate quasi alle due, dopo la loro piccola fuga, e Nina aveva passato il resto della nottata praticamente in bianco, riuscendo a prendere sonno solo all’alba. Piuttosto irritata e stanca caracollò in cucina, bevve un caffè e addentò un biscotto in maniera quasi meccanica, senza nemmeno guardarsi attorno. Per questo trasalì quando sentì una presenza al suo fianco.
«Buongiorno».
Silvia era seduta tranquillamente accanto a lei bevendo il suo caffèlatte e mangiando un cornetto. Nina la guardò accigliata e mugugnò un saluto scorbutico.
«Forse dovremmo parlare di ieri» azzardò Silvia, senza lasciarsi scoraggiare dal pessimo umore di Nina.
«Quello che è successo ieri resta tra me e te».
«Va bene».
«Io vedo anche altre persone».
«Va bene».
«Questo vuol dire che non hai l’esclusiva».
«Va bene».
Nina sbuffò esasperata verso Silvia. La prendeva in giro? La guardò negli occhi, sembrava tranquilla, non si era scomposta di un millimetro ad ogni osservazione che le aveva fatto. Le andava bene sul serio?
«Sei sicura?» la incalzò Nina, osservando attentamente le sue reazioni.
«Sì».
«Ok».
Nina si alzò e con passo incerto si avviò fuori, in parte stupita in parte sollevata che fosse stato così semplice mettere le cose in chiaro.
Silvia rimase seduta a mangiare il suo cornetto. Aveva immaginato, da come Nina l’aveva baciata e da come poi l’aveva presa, che il giorno seguente avrebbero avuto una conversazione del genere, quindi era preparata. La cosa le stava bene davvero, lei aveva desiderato Nina ardentemente in quei giorni e l’aveva avuta. Tutto lì.

Il secondo fine settimana scorse via altrettanto velocemente del primo. I lavori sul cantiere procedevano spediti ed il gruppo lavorava in armonia. Nina e Roberto erano di nuovo una squadra. Dopo giovedì l’umore di Nina era nuovamente migliorato ed era stata disposta ad ascoltare le scuse di Roberto e a fare pace con lui.
Quel giorno il ragazzo sostituiva Luigi che era rimasto in abbazia a causa di un virus intestinale. Stava aiutando Silvia a riempire i secchi con una pala per poi svuotarli più in là, mentre Lorena lavorava su uno strato di ciottoli a qualche metro da loro.
«Allora, come ti trovi?» le domandò Roberto con un sorriso gentile.
«Ehm… bene» Silvia gli rivolse uno sguardo spiazzato, stupita per quella domanda.
«Hai fatto amicizia?».
«Sì, sono tutti molto simpatici».
«Anche i responsabili, no?».
«Sì, anche loro».
«E… Nina. Lei è molto simpatica ed è divertente e intelligente. Sembra burbera, ma è una brava ragazza».
«Te l’ha detto, vero?».
Silvia si fermò puntando la pala a terra e poggiando il corpo il sul manico di legno, fissò Roberto per un lungo istante con aria di rimprovero.
«Sì» ammise lui, chinando lo sguardo imbarazzato.
«E tu stai cercando di accasarmi con la tua amica?» commentò Silvia con una risatina incredula.
«Dico solo che non dovresti fermarti all’apparenza, Nina è molto più di quello che sembra».
«Credimi, la tua amica sa benissimo cosa vuole e non ha bisogno della tua pubblicità».
«Roberto, ti cerca AnnaChiara, sta avendo problemi con la macchina fotografica».
La voce chiara e leggermente gutturale di Nina li distrasse entrambi. La ragazza era in piedi su un gradino di terreno ai limiti dell’aria di scavo con le mani infilate nelle tasche dell’ampia felpa scura che indossava quella mattina. Il cappuccio che le nascondeva parzialmente il viso, lasciando intravedere solo la punta del solito ciuffo riccio e nero che le scendeva sulla fronte.
«Ce la fai da sola?» Roberto si rivolse a Silvia, poggiando a terra i secchi vuoti.
«Vai, l’aiuto io» Nina intervenne prima che l’altra ragazza potesse dire nulla.
Roberto vagò con lo sguardo incerto tra le due ragazze, poi semplicemente annuì e si allontanò.
Nina scese con un saltello a piedi dal gradino e si avvicinò velocemente a Silvia.
«Dammi la pala, faccio io» le disse autoritaria, tendendo la mano perché l’altra le porgesse l’attrezzo.
«No, ce la faccio. Tu svuota i secchi».
«Ok».
Nina si mise di fronte a lei con le braccia incrociate e un sorrisetto metà spiazzato e metà divertito. Osservò Silvia abbassarsi leggermente in avanti per cominciare a spalare e gli occhi le caddero sullo scollo a V della sua maglia. Intravide il bordo del reggiseno e sentì un tuffo allo stomaco, il desiderio la fece deglutire rumorosamente.
«I secchi, Nina» Silvia alzò gli occhi per capire come mai l’altra non avesse ancora preso i secchi ormai colmi fino all’orlo ed intercettò il suo sguardo un bel po’ più in basso del proprio viso«Mi stai fissando, Nina».
«Non è l’abbigliamento più adatto per un cantiere» ritrovando un contegno, Nina aveva riportato lo sguardo sul viso di Silvia e la guardava torva.
Nessuno ha avuto da ridire fino ad ora».
«Beh ora te lo dico io. Da oggi in poi solo maglie con scollo a giro e felpe».
Senza dare il tempo a Silvia di ribattere, afferrò i due secchi e si diresse verso il ciglio di un burrone a pochi passi da lì. Svuotò i secchi e tornò in silenzio verso l’altra.
«Puoi smetterla di fare la stronza, sai? Non ti ho chiesto niente e non voglio niente da te» stavolta fu il turno di Silvia di fissarla con ostilità.
Nina sbatté le palpebre un paio di volte, confusa da quell’affermazione e le rivolse un’occhiata interrogativa e diffidente.
«Sembra che tu stia sempre sul chi va la, aspettandoti da un momento all’altro che io ti getti le braccia al collo e ti confessi il mio amore. Puoi rilassarti, non accadrà» stizzita, Silvia ricominciò a spalare con vigore, concentrandosi su quell’operazione e dichiarando chiuso lì il discorso. Nina non trovò nulla da replicare, così decise di lasciar perdere.

Più tardi quella sera, i responsabili erano come al solito in sala informatica impegnati a scrivere la documentazione di quel giorno al computer, mentre i ragazzi si rilassavano chiacchierando e bevendo una birra.
Silvia si avvicinò a Lorena porgendole una Peroni con un occhiolino.
«Sembra che tu ne abbia bisogno più di me».
«Giornata di merda» Lorena si limitò a ringraziare l’amica alzando la bottiglia verso di lei e poi buttando giù un grosso sorso di birra.
«Che ti succede? Di solito sei così allegra».
«Ho litigato con Marco».
«Marco il tuo ragazzo che sta a Milano?».
«Marco quel coglione che ha accettato un lavoro in Svizzera e vuole che mi trasferisca con lui mollando tutto su due piedi. Sì, proprio lui».
Con un sorriso amaro e forzato Lorena bevve ancora un lungo sorso di birra, restituendo poi la bottiglia a Silvia. Rimase con lo sguardo fisso davanti a sé e la mente immersa nei propri pensieri. Erano sedute sulla balaustra di un finestrone in fondo ad un lungo corridoio, proprio di fronte la sala informatica. Silvia poteva vedere Nina e Roberto che discutevano di qualcosa indicando lo schermo del computer. Lorena si accorse del suo sguardo e la incalzò curiosa.
«Cosa è successo tra voi due?».
«Niente, cosa vuoi che sia successo» Silvia bevve velocemente un sorso di birra, sperando di nascondere il rossore che le era appena comparso sulle guance.
«Vi mangiate con gli occhi, e allo stesso tempo state ben attente a trovarvi nel raggio di diversi metri di distanza l’una dall’altra».
Silvia sospirò. Lorena era davvero un’ottima osservatrice, e tutto quello che aveva detto era vero. Lei e Nina si scambiavano spesso occhiate infuocate, si desideravano ma da lontano. Nessuna delle due osava avvicinarsi più del dovuto all’altra, consapevole che l’aria sarebbe diventata elettrica nel giro pochi secondi.
Nina aveva messo ben in chiaro che ciò che era successo tra loro doveva restare un segreto, ma Lorena era un’amica e Silvia aveva dannatamente bisogno di parlarne con qualcuno.
«Siamo finite a letto insieme».
«Cosa? Ma come? Quando?».
«Giovedì scorso. Eravamo fuori, stavamo discutendo, poi lei mi ha baciata e mi ha chiesto di seguirla in un posto più tranquillo».
Lorena guardava Silvia con espressione stupita e allo stesso tempo eccitata. Sapeva quanto a Silvia piacesse Nina, anche se l’amica non glielo aveva mai confessato apertamente, ma aveva notato certi sguardi e certi sospiri un po’ troppo rumorosi quando Nina era nei paraggi.
«E quindi?».
«E quindi nulla. Lei ha messo bene in chiaro che non sono l’unica che si scopa e a me va bene così. L’unica cosa che non capisco è perché continui a fare la stronza con me».
«Forse perché le piaci e non sa come comportarsi?!».
«Pff… figurati».
Silvia liquidò l’ipotesi di Lorena con un gesto secco di disappunto. Intanto il suo sguardo seguiva meticolosamente tutti i gesti di Nina, che in quel momento stava salutando Roberto e si stava dirigendo verso di loro, probabilmente per raggiungere l’uscita. Quando era quasi davanti a loro volse lo sguardo verso Silvia e la fissò negli occhi, rallentando appena il passo.
«Ciao ragazze» salutò distrattamente, senza distogliere lo sguardo dagli occhi di Silvia e continuando a camminare.
«Nina!» la voce di Lorena colse impreparate tutte e tre le ragazze.
Nina si fermò di scatto davanti a loro con le mani nelle tasche del jeans. Silvia si girò allarmata verso Lorena rivolgendole uno sguardo arrabbiato e interrogativo. E quest’ultima mise su un sorriso sfrontato e assunse un’aria tranquilla.
«Stavo pensando che una di queste sere potremmo uscire tutti insieme per una birra».
«Uhm… sì… suppongo che si potrebbe organizzare».
Nina si accigliò un attimo, interdetta da quella proposta. Cercò lo sguardo di Silvia, ma quella teneva ostinatamente il gli occhi bassi fissi sulle proprie dita intrecciate. Tornò a guardare Lorena che sorrideva contenta e si rilassò anche lei, abbozzando un sorriso cordiale.
«Magari non nel fine settimana, perché ho da fare».
«Certo! Venerdì magari…».
«Venerdì può andar bene. Ora vado. Ciao Silvia».
Silvia alzò di scatto la testa quando la sentì pronunciare il suo nome. Trovò il suo viso disteso e le labbra curvate in un sorriso gentile. Ricambiò il sorriso e la salutò con un cenno incerto del capo.
«Che ti è venuto in mente?» non appena Nina fu abbastanza lontana, Silvia si alzò in piedi troneggiando su Lorena.
«Ho solo pensato di farvi passare un po’ di tempo insieme».
«Lorena, noi praticamente viviamo insieme. Stiamo chiuse qui dentro cinque giorni su sette!».
«Sì e voi due state ben attente a non trovarvi da sole nella stessa stanza» Lorena si alzò a sua volta per fronteggiare Silvia e la guardò con espressione di biasimo «E poi questo è un contesto lavorativo, magari lei qui è rigida perché sente troppi occhi addosso. Può darsi che in un contesto più informale si sciolga un po’» la sua espressione si addolcì e rivolse a Silvia un sorriso incoraggiante.
«Non ho bisogno che si sciolga. A me la cosa va benissimo così com’è».
«Certo, e io non mi scoperei Roberto su ogni superficie di questa dannatissima abbazia!».
Lorena rivolse a Silvia un’occhiata furba scoppiando poi a ridere assieme a lei.




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Come al solito, commenti e critiche sono sempre graditi. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, dal momento che, per la prima volta da quando scrivo, sto pubblicando i capitoli man mano che li scrivo e quindi vado un po' al buio.
Grazie a tutti.


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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5


Il giorno successivo Nina era di cattivissimo umore. Fece colazione in silenzio, rispondendo a grugniti ai saluti di chiunque, compreso il buongiorno di Silvia.
La ragazze rimase un po’ delusa, sebbene avesse cercato di non darlo a vedere. Aveva creduto che dopo il sorriso del giorno precedente lei avesse finalmente smesso di essere scorbutica.
Nina andò avanti così per tutto il giorno, solo Roberto riusciva ad avvicinarla per parlarle puramente di questioni di lavoro. Infatti, nonostante il suo pessimo umore, Nina rimase comunque concentratissima sul lavoro, attenta e affidabile come sempre.
Durante la pausa pranzo spiluccò un po’ di pasta poi si alzò e sparì nel folto del bosco. Silvia l’aveva osservata bene per l’intera mattinata. Non era solo nervosa, sembrava anche molto triste, gli occhi piegati all’ingiù, le labbra serrate in una linea sottile la mascella tirata come per trattenere un urlo, o forse il pianto. Aveva provato compassione per lei. Tanto stronza con il mondo esterno e poi tanto fragile. Era curiosa di sapere cosa fosse successo per farla cambiare dalla sera alla mattina. Rifletté e si disse che poteva essere accaduto solo durante quella notte. La sera precedente Nina era uscita, come faceva spesso. Per andare dove? Probabilmente per incontrare una delle ragazze che si scopava. Possibile che avesse litigato con una di loro e che ci fosse rimasta tanto male? Silvia non riusciva a crederci, non le sembrava un’ipotesi plausibile visto il disinteresse verso qualsiasi forma di impegno emotivo che Nina aveva dimostrato fino a quel momento. Eppure…
D’istinto decise di seguirla. Imboccò lo stesso piccolo sentieri tra gli alti faggi, districandosi tra i rami e dopo qualche metro la intravide. Era di spalle e parlava al telefono. Silvia rimase indecisa sul da farsi, ma mentre decideva se tornare indietro o meno ascoltò parte della conversazione.
«Grazie… no papà, lo sai che non mi piace festeggiare. Non avresti dovuto chiamare… perché non è importante … non me ne frega un cazzo che ci stai provando. E’ troppo tardi».
Nina staccò bruscamente la conversazione grattandosi la nuca nervosamente. Silvia fece un passo indietro per andare via, ma calpestò un ramo che spezzandosi fece voltare Nina verso di lei.
«Da quanto sei lì?» Nina sgranò gli occhi, furiosa e impaurita allo stesso tempo. Aveva sentito tutto?
«Abbastanza da aver capito che oggi è il tuo compleanno. Auguri».
Silvia la guardava dritto negli occhi, in attesa, non sapendo che tipo di reazione aspettarsi da lei a quel punto. La vide espirare profondamente dal naso, abbassare le spalle con espressione sconfitta e nascondere le mani nelle tasche della felpa in atteggiamento difensivo.
«Grazie» rispose incolore. Silvia aveva sentito tutto. “Cazzo!”, imprecò mentalmente.
Silvia si sentì autorizzata da quella reazione piuttosto tranquilla ad avanzare verso di lei. Le si fermò di fronte a pochi passi e si sporse in avanti cercando di attirare la sua attenzione. Ma Nina aveva gli occhi bassi e con un piede giocherellava nervosamente a spezzare rametti sul terreno.
«Immagino che non sia il caso di chiederti come festeggerai».
«No» Nina alzò finalmente gli occhi su di lei e fece una smorfia sarcastica.
«Beh, se dovessi cambiare idea fammelo sapere. Potrei organizzare una cena con gli altri per te stasera».
«Tu?».
«Io».
«Non è il caso. Non mi va».
«Ok».
Entrambe rimasero a guardarsi in silenzio. L’imbarazzo iniziale si trasformò presto in qualcosa di più elettrico, che spinse Nina a fare un passo in avanti. Di riflesso Silvia ne fece uno indietro e cercò lo sguardo dell’altra. Trovò i suoi occhi grigi intenti a fissarle le labbra e una fitta di desiderio le infiammò lo stomaco. D’istinto colmò la distanza tra di loro e la baciò affondando le mani tra i suoi capelli, incastrando le dita nei suoi ricci morbidi. Nina barcollò un attimo cercando di bilanciare l’urto dell’assalto di Silvia, quando fu stabile le afferrò i fianchi attirandola maggiormente a sé e poi la spinse con la schiena contro il tronco di un albero. Silvia si staccò dalle sue labbra per lasciar andare un rumoroso sospiro attutendo il colpo e prese Nina per le spalle conficcando le dita nel tessuto della felpa per tirarla di nuovo verso di sé. Nina reagì spingendo ancora di più il corpo di Silvia contro la corteccia e, mentre tornava nuovamente a toglierle il fiato con un profondo bacio, le afferrò una gamba dietro al ginocchio e la alzò portandola al proprio fianco. Silvia spinse il bacino contro quello di Nina, e quest’ultima le morse ferocemente il labbro inferiore. Poi si staccò da lei, dalla sua bocca e dal suo corpo, repentinamente. Fece un passo indietro e si passò una mano tra i capelli respirando profondamente per ritrovare un ritmo regolare.
«Dobbiamo tornare di là».
Silvia rimase con la schiena poggiata al tronco, le ginocchia leggermente piegate, i piedi puntati in avanti e il busto proteso dove solo qualche secondo prima c’era stato il corpo di Nina. Deglutì e fece un respiro profondo. Si rimise dritta e annuì senza dire una sola parola. Nina si era incamminata per tornare al campo base e lei la seguì in silenzio.
La sera a cena un piacevole chiacchiericcio attraversava la lunga tavolata di studenti e responsabili. Nina sedeva come al solito accanto a Roberto ed il suo umore sembrava essere migliorato nel pomeriggio. Silvia aveva incontrato un paio di volte il suo sguardo a cena, anche se non si erano scambiate più una parola dopo il loro incontro nel bosco. Nina era passata più volte a controllare il saggio di Luigi quel giorno, fermandosi ad osservare dall’alto lui, Lorena e Silvia che lavoravano. In realtà non le importava molto di ciò che stavano facendo Luigi e Lorena, si era fermata ad osservare soprattutto Silvia, ma aveva fatto sempre in modo che lei non se ne accorgesse. Il suo corpo, morbido e pieno, la eccitava. Quelle gambe, così sode, le aveva osservate a lungo immaginando di accarezzarle.
Tornò al presente sbattendo le palpebre e mise a fuoco la figura di Silvia le sedeva di fronte a quattro o cinque persone di distanza. Non aveva tenuto per nulla a mente il suo consiglio, indossava di nuovo una maglia scollata. La linea del collo era così sensuale, disegnata su quella pelle candida. Le labbra si curvarono in un sorriso malizioso e invitante, proprio quando Silvia, sentendosi osservata, alzò lo sguardo ed incontrò il suo. Nina la osserva con attenzione, il desiderio nei suoi occhi era palese, Silvia si sentì arrossire e si morse le labbra muovendosi impaziente sulla sedia. Vide Nina allargare il suo sorriso e farle un cenno impercettibile con la testa prima di alzarsi e raggiungere il piano dei fornelli all’altro capo della stanza.
Silvia colse al volo il suo invito e si alzò per raggiungerla.
Nina si fingeva impegnata ad affettare un grosso pezzo di pane, Silvia prese la moka e cominciò ad armeggiare per preparare il caffè. Fianco a fianco, con i corpi che si sfioravano distrattamente in una esasperante e lenta provocazione.
«Bella scollatura».
«Prima o poi dovrai smetterla di fissarti sul mio decolleté».
«Non è colpa mia se tu lo metti sempre in bella mostra».
«Come se ti dispiacesse».
Nina posò il coltello e inchiodò Silvia con uno sguardo carico di desiderio, ghignò provocatoria e le si avvicinò fingendo di far sfiorare i loro corpi quasi per caso.
«Tra mezz’ora nel giardino sul retro».
Soffiò piano quell’invito, che parve quasi un ordine, all’orecchio di Silvia. Quest’ultima rabbrividì, sentendo la pelle stuzzicata dal suo fiato caldo, e non riuscì a far altro che annuire il suo assenso.
Soddisfatta, Nina le passò affianco e tornò a sedersi, cominciando a battibeccare allegramente con Roberto.
Quando Nina arrivò nel giardino alle spalle dell’abbazia Silvia era già lì, seduta su un basso muretto, avvolta da un ampio e morbido maglione di lana giallo ocra, e una borsetta di pelle marrone a tracolla.
Nina si fermò a guardarla a pochi passi da lei, le gambe accavallate, le mani posate in grembo, sul viso un’espressione di attesa mentre si mordicchiava le labbra. Nina si passò una mano fra i capelli, irrequieta. Quella ragazza le suscitava un desiderio incontrollabile e, cosa ancor più inquietante per lei, una curiosità pazzesca di conoscerla.
Silvia rimase seduta dov’era, lasciando che lo sguardo di Nina vagasse su di lei. Le piaceva sentirsi i suoi occhi addosso, veder crescere in lei la voglia di prenderla e possederla. Poi notò che l’umore di Nina era cambiato ancora una volta, nel giro di qualche istante. Si dondolava inquieta sui talloni, senza dire una parola.
«Mi hai fatto venire qui solo per ammirarmi?» Silvia scelse la provocazione per riscuoterla, il terreno su cui Nina sembrava muoversi più a proprio agio.
«Anche starti a guardare può essere eccitante».
«Pensa quanto potrebbe esserlo toccarmi allora».
Nina si rilassò impercettibilmente, abbassò il cappuccio della felpa e mise la mani nelle tasche dei pantaloni. Sorrise in maniera sadica e accattivante umettandosi le labbra. Lo stomaco di Silvia si contrasse di desiderio, aveva ottenuto la reazione in cui sperava.
«Togliamoci di qui, da su si vede tutto. Vieni».
Nina si inoltrò nel giardino passando accanto ad un vecchio pozzo di pietra e ad una serie di aiuole colorate. Di tanto in tanto si voltava per accertarsi che Silvia la seguisse, la sua parte maniaca del controllo esultò ancora una volta nel constatare con quanta docilità la ragazza si rapportasse a lei. Silvia seguì Nina tenendo gli occhi incollati alle sue spalle. Il tessuto della felpa grigia era ingannevole, troppo ampio per lasciar trasparire la reale curva della schiena e dei fianchi, ma Silvia sapeva che erano curve dolci e morbide, le aveva accarezzate e le sarebbe tanto piaciuto poterci morire sopra.
Nina si fermò in una sala quadrata, buia, illuminata solo dal bagliore di qualche faro in lontananza. Ci erano arrivate attraversando un chiostro di pietra ed un portico, dovevano trovarsi in un ambiente di servizio dell’abbazia adibito a magazzino. Negli angoli erano ammassati vecchi cartelloni informativi per i turisti.
«Qui possiamo stare più tranquille. Ti devo parlare».
Nina si poggiò con le spalle contro un muro e piegò il ginocchio destro all’indietro. La posa era rilassata, ma il suo viso era teso. Aveva cambiato di nuovo umore. Silvia sospirò nervosamente, era troppo difficile stare dietro ai repentini cambi d’umore di quella ragazza.
«Che succede?» domandò guardinga, restando ferma al centro della sala non sapendo che reazione avrebbe potuto ottenere da Nina se si fosse avvicinata.
«Quello che hai sentito oggi, quella telefonata … non una parola con nessuno».
«E ti stai preoccupando di questo? Ma certo Nina, con chi vuoi che ne parli, sono affari tuoi».
«Prometti».
«Ma sì, lo prometto».
«Bene».
Nina tirò un sospiro di sollievo e la sua aria sorniona tornò in un batter d’occhi. Si staccò dal muro e rapidamente si avvicinò a Silvia con l’intenzione di baciarla scritta sulla fronte. Ma Silvia indietreggio rapidamente e la fermò mettendole una mano sulla spalla.
«No, ferma lì. Prima c’è una cosa che devi fare».
Sorridendo cospiratoria, armeggiò nella borsetta e ne tirò fuori un dolcetto con una candelina che rapidamente accese con un accendino. Nina la osservò con cipiglio divertito, poi scettico, poi furioso.
«Che cosa significa?».
«E’ il tuo compleanno, non hai voluto festeggiarlo, ma almeno devi spegnere la candelina» Silvia non si lasciò sopraffare dalla sua negatività e le avvicino il dolce e la candela al viso.
«Non ho alcuna intenzione di fare una cosa del genere».
«E’ solo una candela, Nina! In più ho rubato il muffin dalla dispensa rischiando di essere scoperta da Roberto, sai quanto è ligio alle regole» Silvia sghignazzò e lanciò uno sguardo d’incoraggiamento a Nina, quasi una muta richiesta di lasciarsi andare.
Nina la osservò attraverso la fiamma, quel sorriso era contagioso e parte della tensione si sciolse. Soffiò sulla candelina fissando Silvia negli occhi e, quando vide il suo sguardo illuminarsi di vittoria e di dolcezza, non riuscì a trattenersi dal sorriderle riconoscente.
«Visto, non era poi così difficile».
«Ok, ora sei contenta?».
«Sì. Lo vuoi mangiare?».
«No, adesso ho fame di altro».
Nina le fu addosso in un secondo, le premette le mani alla base della schiena e la tirò contro il suo corpo mentre la baciava togliendole il fiato. Silvia lasciò andare all’istante tutto ciò che reggeva in mano per stringersi alle sue spalle, mentre si alzava sulle punte per far si ché i loro corpi aderissero l’uno all’altro il più possibile. Nina fece scivolare le mani in basso aprendole sul sedere di Silvia e stringendolo forte, quasi rabbiosamente. Per risposta Silvia le morse la lingua ma non la lasciò ritrarsi quando lei mugolò di dolore, continuò a tenerla nella propria bocca accarezzandola con la sua. Nina si aggrappò ancora di più al corpo dell’altra, desiderosa di un contatto più profondo. Quando l’urgenza divenne troppa, si staccò con il fiato spezzato.
«Vieni, prendiamo la macchina. Andiamo in un posto più tranquillo».
Senza darle il tempo di riflettere, Nina prese Silvia per mano e la trascinò fuori verso il parcheggio.






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Sempre grazie a chi sta leggendo e recensendo questa storia. Se voleste continuare a farmi sapere che ne pensate, a me fa sempre solo piacere :)
Alla prossima.


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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6


Il fine settimana arrivò velocemente con grande gioia sia degli studenti che dei responsabili. Il venerdì pomeriggio parte degli studenti era tornata in città per passare il week end a casa propria, alcuni responsabili erano rimasti in abbazia per terminare alcune cose di lavoro. Nina, ovviamente era tra questi ultimi. Prima di andare via Lorena era passata da lei a ricordarle dell’appuntamento che avevano quella sera. Nina aveva annuito, ancora interdetta da tutto l’interessamento che la ragazza aveva mostrato per quella serata, ma aveva evitato di porre domande e si era concentrata per finire il lavoro.
Era ormai passata l’ora di cena quando Roberto entrò in sala computer e la vide ancora china sulla tastiera del pc a picchiettare furiosamente sui tasti.
«Nina, dobbiamo andare».
La ragazza sobbalzò sentendo la sua voce all’improvviso, alzò lo sguardo su di lui e si stiracchiò facendo le fusa come un gatto.
«Che ore sono?» chiese, reprimendo uno sbadiglio.
«Le 21 passate».
«Cavolo, è davvero tardi!».
Nina si alzò con calma e oltrepassò Roberto dirigendosi verso l’uscita.
«Dove vai?» domandò lui un po’ scettico.
«Alla macchina, i ragazzi ci aspettano in città. Guidi tu?».
«So che i ragazzi ci aspettano. Ma tu hai intenzione di venirci vestita così?».
Nina aggrottò la fronte e abbassò lo sguardo per esaminare i propri vestiti. Indossava un jeans chiaro largo, con il cavallo basso e con uno strappo sul ginocchio sinistro e una felpa blu col cappuccio con lo stemma dell’università bianco stampato sul davanti. Si strinse nelle spalle tornando a guardare Roberto con tranquillità.
«Non devo fare colpo su nessuno».
Detto ciò riprese a camminare guadagnando in fretta l’uscita.
Più tardi in macchina Roberto guidava concentrato sulla strada e Nina cambiava stazioni alla radio a ripetizione.
«Trovi pace, per cortesia?» sbottò il ragazzo ad un certo punto.
«Pensa a guidare» lo rimbeccò Nina.
«Che hai?».
«Non ho niente».
«Nina».
«Non ho niente, davvero».
«Sei più nervosa del solito in questi giorni».
Nina sbuffò, spense la radio e incrociò le braccia al petto. Tutto il suo corpo gridava a Roberto che si stava trattenendo dal mollargli un pugno sulla spalla, infastidita e irritata dalla sua constatazione.
«E’ inutile che fingi con me, lo sai» Roberto la incalzò, ben sapendo che stava per cedere. Nonostante la sua chiusura, sapeva che c’era qualcosa che la turbava e di cui probabilmente voleva parlargli. Nina raramente prendeva l’iniziativa di confidarsi, toccava sempre a lui capire e tirarle le parole di bocca.
«Ho parlato con mio padre» ammise Nina, in un sussurro nervoso.
«Quando?».
«Al mio compleanno».
«Cosa voleva?».
Roberto si permise di gettare un veloce sguardo nella sua direzione, per spiare le sue emozioni. Ma, come aveva previsto, Nina era impassibile, trincerata dietro una maschera di indifferenza. Sospirando tornò a guardare la strada.
«Farmi gli auguri» rispose lei incolore.
«E…?».
«E niente, Roberto! Niente! L’ho mandato al diavolo prima che potesse aggiungere altro».
«Avresti dovuto dirmelo. Ti avrei portata a fare un giro quella sera, almeno ti avrei fatta distrarre. Lo sai che restare da sola non ti fa bene».
Nina girò il viso verso il finestrino, i suoi occhi quasi ipnotizzati a seguire le luci dei lampioni che scivolavano veloci oltre il suo sguardo.
«Non sono stata da sola».
«Non ti fa bene nemmeno correre a sfogare i tuoi problemi da quelle poverette che ti porti a letto… come si chiamano? Carla e… Elisabetta… Eleonora?. Almeno lo sanno che te ne vai in giro a scopare con un’altra?» Roberto sbuffò irritato, certe volte la cocciutaggine di Nina lo mandava in bestia. Non sapeva come prenderla per cercare di farla ragionare senza dover per forza finire a litigare.
«Emanuela… e no, non lo sanno. Ma comunque non ero con nessuna di loro due».
Roberto alzò un sopracciglio con aria scettica. Quella sì, che era una novità.
«Con chi sei stata?».
«Silvia».
«Silvia… quella Silvia?».
«Silvia quella che scava con noi, sì» sbottò Nina esasperata «Silvia quella che mi ha sentito litigare a telefono con mio padre il giorno del mio compleanno e non mi ha fatto domande. Silvia quella che la sera stessa si è presentata con un muffin e una candelina che mi ha obbligata a spegnere. Quella Silvia».
Roberto spostò varie volte lo sguardo dalla strada al volto di Nina. Non sapeva bene come interpretare quello sfogo. Insomma, Nina sembrava più arrabbiata che lusingata dai gesti gentili che l’altra ragazza aveva avuto nei suoi confronti. Roberto non sapeva cosa rispondere per non aumentare la sua irritazione, così preferì tacere per un po’, per permetterle di calmarsi.
Nina si scostò la cintura di sicurezza dal petto, intrappolandola sotto il braccio destro. Le dava fastidio, la opprimeva. Rimase a fissare la strada correre veloce davanti a sé, fin quando la voce di Roberto la riscosse nuovamente dai suoi pensieri.
«Quindi… siete andate a letto insieme».
«Sì».
«E’ carina».
Il commento di Roberto cadde nel vuoto. Nina non diede segno di averlo sentito, ma lui non si arrese.
«Ci ho scambiato quattro chiacchiere, sembra una in gamba».
«Smettila Roberto, lo sai che più di portarmela a letto non farò».
«Beh forse dovresti, invece. Vedi mai che la smettessi di essere una stronza col mondo intero».
«Siamo arrivati, lì c’è un posto. Parcheggia e fammi scendere».
Nina si catapultò fuori dall’auto, non appena il ragazzo ebbe finito la manovra, e si avviò verso il locale poco distante senza nemmeno aspettarlo.
Era un pub che Nina conosceva bene, appena fuori dal centro storico della città, ma comunque all’interno delle mura. Dentro l’atmosfera era resa calda e accogliente da luci basse e dalla musica che si diffondeva per tutto il locale. Nina entrò decisa e si diresse al bancone ordinando una birra. Roberto entrò subito dopo di lei e la raggiunse.
«Cerca di rilassarti».
Nina non lo degnò di un solo sguardo, fece un sorso di birra e si guardò attorno. Il suo sguardo intercettò quasi subito delle figure familiari. Luigi si alzò in piedi da un tavolo in fondo al locale e agitò un braccio nella sua direzione per farsi notare. Nina gli sorrise e alzò il bicchiere di birra per salutarlo e fargli capire di averlo visto.
«Stammi alla larga stasera Robé, sennò lo sai come finisce» sibilò velenosa, senza smettere di sorridere agli altri amici. Si staccò dal bancone e si avviò verso il tavolo.
Roberto scosse la testa sconfitto, ordinò a sua volta una birra e poi raggiunse gli altri al tavolo.
«Ragazzi, ce l’avete fatta!».
Lorena assieme a Luigi, Paolo, Silvia e Margherita si alzarono per salutare i nuovi arrivati. Esauriti i convenevoli Nina si ritrovò seduta tra Silvia e Luigi, con Roberto di fronte che spiava con apprensione tutte le sue mosse.
Decise di provare a rilassarsi, bevve ancora un sorso di birra, poi si voltò verso Luigi alla sua sinistra e lo interrogò su un progetto di cui le aveva parlato qualche tempo prima.
Mentre Nina si intratteneva con Luigi, senza apparentemente aver fatto caso a lei, Silvia guardò Lorena seduta di fronte a lei e le lanciò uno sguardo di sfida come per dire “Visto? Avevo ragione!”.
Lorena si sporse appena sopra il tavolo e parlò a bassa voce affinché potesse udirla solo Silvia.
«E’ appena arrivata, aspetta e vedi che succede».
«Questa serata è stata una pessima idea».
«Rilassati».
Lorena tornò a sedersi dritta facendo un occhiolino complice a Silvia, la quale sbuffò sonoramente e riappoggiò le spalle al divanetto con un po’ troppo impeto.
«Tutto ok?» Nina colse il movimento con la coda dell’occhio e si voltò verso Silvia con aria interrogativa.
«Sì» Silvia si sentì immediatamente arrossire e ringraziò che le luci fossero basse e nascondessero il suo imbarazzo.
«Bevi qualcosa?» Nina indicò il bicchiere ormai vuoto davanti a Silvia «Devo andare a fare rifornimento anche per me» precisò con un sorrisino complice.
Silvia restò disorientata per un attimo, poi annuì semplicemente «Guinnes».
«Guinnes sia» Nina si alzò e si allontanò verso il bancone, cercando di combattere la ressa di persone accalcata lì.
Roberto rilassò impercettibilmente i muscoli della schiena, Nina sembrava essersi calmata. Forse la presenza di Silvia l’aveva aiutata. Il ragazzo continuava a sperare che l’amica potesse un giorno superare tutte le paure che aveva nei confronti delle relazioni interpersonali.
«Roberto».
La voce di Silvia lo riscosse dai suoi pensieri. Portò gli occhi sulla ragazza e le sorrise gentile, attendendo che lei continuasse.
«Sei fidanzato?».
Contemporaneamente Roberto sgranò gli occhi e Lorena tossì violentemente per la birra che le era andata di traverso.
«Quando si dice non avere peli sulla lingua» commentò lui divertito dopo il primo momento di sorpresa «No comunque. Ma posso sapere il perché di questa domanda? Hai qualcuna da propormi?»
Silvia incurvò le labbra in un sorriso diabolico, scoccò un’occhiata provocatoria a Lorena, che intanto era sbiancata, poi tornò tranquilla a guardare il ragazzo «Nessuno in particolare. Ma magari tra le ragazze del gruppo sullo scavo… hai notato qualcuna che ti piace?».
Roberto si prese qualche istante per riflettere, bevve un sorso di birra e si mosse leggermente a disagio sulla sedia «No, voglio dire, siete tutte matricole e io in teoria un vostro insegnante… non sarebbe appropriato».
Silvia fece una smorfia di disappunto, il suo sguardo divenne per un attimo velato da una sottile tristezza. Forse anche rimpianto? Malinconia?
Roberto non seppe spiegarsi le emozioni che vide susseguirsi nel suo sguardo nel giro di una frazione di secondo. Tuttavia la ragazza non replicò nulla e lui non poté indagare, interrotto dall’arrivo di Nina.
«Ho ordinato da mangiare, morivo di fame».
«Oh ecco! Questa sì che è una cosa utile» Luigi schiacciò il cinque con Nina, mostrando apertamente la sua approvazione per la sua iniziativa.
Dopo diverse birre, un panino e altre portate, Nina era uscita fuori a fumare una sigaretta. Stava poggiata con la schiena al muro accanto all’ingresso del pub, una mano in tasca e l’altra a reggere la sigaretta. Osservava distrattamente i ragazzi bere e chiacchierare fuori dal locale, apparentemente persa nei propri pensieri. Erano disordinati e caotici, ma in quel marasma il volto di Silvia le compariva davanti agli occhi più volte di quanto avrebbe voluto. Quella sera era davvero bella, Nina l’aveva notato appena si era avvicinata al tavolo dove sedeva con gli altri. L’aveva guardata, con i suoi capelli vaporosi e sciolti sulle spalle, gli occhi brillanti, un sorriso da mozzare il fiato e le guance leggermente arrossate dall’afa all’interno del pub. Aveva subito sentito il consueto desiderio risalirle le membra e stringerle lo stomaco. La desiderava e non riusciva ad averne abbastanza.
I suoi pensieri si interruppero bruscamente quando vide uscire proprio Silvia dalla porta lì accanto. Stretta in quel vestitino di lana leggera che le lasciava scoperta più di metà coscia fasciata da calze scure le provocò nuovamente un moto di lussuria. Tuttavia Silvia non l’aveva vista e non sembrava essere uscita per cercare lei, quindi Nina non si mosse dalla sua posizione e la osservò. Silvia aveva il cellulare in mano e ne guardava lo schermo che si illuminava ad intermittenza con un’espressione combattuta. Alla fine decise di rifiutare la chiamata e sospirò lungamente mentre riponeva il telefono nella borsetta. Si passò una mano tra i lunghi capelli pronta a rientrare ma, proprio mentre si voltava per farlo, incrociò lo sguardo di Nina che la fissava.
Silvia arrossì, senza nemmeno sapere bene perché. Nina era stata lì in silenzio a fissarla fino a quel momento? A due passi da lei, senza dire una parola? Perché?
«Ciao» non sapendo bene cosa dire, Silvia optò per una frase tanto banale quanto neutrale.
«Ciao» Nina le sorrise tranquilla facendo un ultimo tiro alla sigaretta per poi gettarla via.
Silvia la guardò, aveva i capelli spettinati come al solito, ricci ribelli che le incorniciavano il viso pallido e ovale. La linea della mascella così definita, Silvia deglutì. Avrebbe voluto posarle milioni di baci proprio lì e poi scendere fino al collo e… oltre. Nina non le aveva mai permesso di prendere l’iniziativa durante i loro incontri, era sempre lei a tenere il controllo, a dettare il ritmo a decidere come e quando. Silvia non ci aveva fatto caso la prima volta, ora invece cominciava a chiedersi perché.
«Telefonata indesiderata?» le parole di Nina la riscossero. Silvia si strinse le braccia attorno al busto rabbrividendo appena, era uscita senza giubbino.
«Non ho molta voglia di parlare a telefono stasera».
«Capisco».
Nina si spostò dal muro e fece un passo verso di lei, Silvia sentì distintamente il suo profumo, che ormai aveva imparato a distinguere. Una fragranza maschile, decisa, forte. Silvia respirò a pieni polmoni e restò in silenzio con gli occhi fissi sul viso di Nina.
«Chi era a telefono?».
La domanda di Nina la colse completamente impreparata, tanto che sbatté le palpebre sorpresa un paio di volte prima di riuscire a rispondere.
«Che t’importa?» la voce leggermente stridula, l’espressione ostile.
«Allora a quanto pare anche la dolce Silvia ha dei segreti» Nina la trafisse con un sorrisetto provocatorio, incrociando le braccia al petto e sfidandola con lo sguardo. Voleva giocare ma, come al solito, avendo il controllo e il coltello dalla parte del manico.
Il tono canzonatorio di Nina irritò Silvia oltremodo «Eri partita bene stasera, ora invece sei tornata la stronza di sempre» sibilò velenosa.
Nina non si scompose, alzò un sopracciglio divertita «La gattina caccia gli artigli» la voce bassa, una suadente e mal celata provocazione. Azzardò un altro passo in direzione di Silvia ma, come aveva immaginato, l’altra si tirò indietro.
«Si può sapere che vuoi da me?» Silvia aggrottò la fronte in un’espressione arrabbiata, la mascella tesa e i muscoli contratti.
Nina le si avvicinò ancora, invadendo il suo spazio con prepotenza, nonostante fosse chiaro che l’altra volesse mantenere una certa distanza «Ho voglia di scoparti» proclamò semplicemente.
Silvia divenne furiosa e non fece nulla per nasconderlo «Ah sì? Beh, indovina un po’… io no invece!».
«Ah no?» Nina alzò una mano all’altezza del viso di Silvia, le accarezzò il bordo dell’orecchio con i polpastrelli, un tocco lieve e gentile. Silvia rabbrividì e Nina sorrise soddisfatta continuando a far scendere le dita lungo il suo collo, attraverso la gola e fin sul petto nell’incavo della scollatura. Il petto di Silvia si alzò e abbassò velocemente e un sospiro tremulo uscì dalle sue labbra.
«Il tuo corpo rivela altro» la incalzò Nina. Godeva del potere che aveva su di lei, la piaceva avere il controllo in generale, ma vedere come Silvia reagiva al suo tocco la soddisfaceva ancora di più.
Stizzita, Silvia le scostò la mano dal proprio corpo con un gesto brusco e deciso. La fissò in cagnesco, ancora più arrabbiata vedendo che il suo sorriso sarcastico non accennava a sparire. Stava per aprire la bocca e ribattere, quando si accorse che lo sguardo di Nina era stato catturato da qualcosa alle proprie spalle, e la ragazza non le prestava più attenzione. Silvia si voltò interdetta e si accorse che poco distante c’era una ragazza bruna, alta e abbastanza formosa che faceva un segno di saluto verso Nina. Quest’ultima ricambiò con un cenno del capo, poi guardò di nuovo Silvia «Aspetta qui».
Silvia la osservò raggiungere la ragazza, metterle un braccio attorno alla vita e avvicinarsi al suo orecchio per dirle qualcosa. Rimase di stucco, senza sapere cosa fare. L’atteggiamento di Nina era indecifrabile, quella sera era passata dall’essere gentile con lei, al prendersi gioco di lei, al sedurla e poi ad ignorarla del tutto. Il nervosismo le fece scoppiare una feroce emicrania, si poggiò con le spalle al muro e fece un lungo sospiro dolente. Osservò ancora una volta Nina parlare con quella ragazza, chiacchieravano e ridevano, ma nel loro atteggiamento c’era qualcosa di intimo. Il modo in cui Nina l’aveva salutata, con quel braccio attorno alla vita, aveva qualcosa di possessivo.
Dopo qualche minuto Nina tornò da Silvia «Vado via con Carla. Saluta tu gli altri per me» diretta e concisa come al suo solito. Stava già per voltarsi e tornare da Carla, quando si sentì afferrare per una spalla e fu costretta a fermarsi.
«Ti sembra normale?» la voce di Silvia era più sorpresa che arrabbiata ormai. Proprio non riusciva a decifrare il suo comportamento. Fino a cinque minuti prima stava flirtando con lei, ora se ne stava andando con quella tipa. Non avevano legami era vero, ma c’era ancora quella cosa chiamata “rispetto” a cui Silvia teneva molto!
«Cosa?» Nina allargò le braccia come per sottolineare che non stava facendo nulla di male.
«Questo. Che te ne vai di punto in bianco, senza nemmeno salutare. Sei uscita con noi stasera».
«E’ una scenata di gelosia per caso?».
«Vaffanculo Nina!».
Il sorrisetto provocatorio di Nina aveva nuovamente fatto infuriare Silvia, che la scansò bruscamente e rientrò nel pub senza darle il tempo di ribattere nulla. Nina rimase lì ferma qualche secondo, fissando la porta che si era appena richiusa dietro Silvia. Doveva entrare a chiederle scusa? Si disse di no, che non aveva fatto nulla di sbagliato, non aveva impegni con lei né con nessun’altro dei ragazzi che l’aspettavano dentro. Dovevano bere una birra insieme e l’avevano bevuta, anche più di una, quindi ora era libera di andare a divertirsi con Carla.






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Beh, non saprei cosa dire se non che mi sono divertita un mondo a scrivere questo capitolo. Credo che la Nina stronza mi riesca molto meglio della Nina gentile ed equilibrata. Fatemi sapere che ne pensate e quale delle due versioni preferite :)

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7


Il ritorno sul cantiere quel lunedì fu più traumatico del solito. Una nebbia fitta e umida avvolgeva l’intera campagna attorno allo scavo. Studenti e responsabili grondavano sudore che gli si appiccicava addosso come una seconda pelle, fredda e fastidiosa.
Nina non aveva sentito nessuno dei ragazzi per il resto del fine settimana. Aveva visto solo Roberto, per forza di cose, visto che condividevano casa. Tuttavia non avevano avuto modo di parlare molto, dal momento che Nina aveva fatto in modo di passare fuori casa più tempo possibile.
Quel giorno la ragazza era particolarmente impegnata con il saggio di AnnaChiara, un’altra delle responsabili sue colleghe. C’era una situazione poco chiara, che nessuno di loro riusciva a capire, quindi stavano passando la giornata a scervellarsi per cercare di dare un senso a quello che vedevano.
Roberto teneva d’occhio gli altri saggi e dirigeva il resto del lavoro. Passando accanto al saggio di Luigi, vide Silvia spicconare decisamente con troppo vigore, accanendosi su uno scalino di terreno come se ne dipendesse la sua stessa vita.
«Stai cercando l’oro? Purtroppo non è una miniera, è solo un mucchio di terra» avvicinatosi, Roberto tentò la carta dell’ironia per indurla a fermarsi e riposarsi. Tuttavia Silvia mantenne il ritmo e continuò a spicconare senza nemmeno rispondergli.
«Finirai per farti male, Silvia. Riposati un attimo» Roberto divenne serio, intuendo che l’umore della ragazza doveva essere particolarmente funesto.
Silvia lo ascoltò quella volta e diede un’ultima vigorosa picconata facendo conficcare il piccone in una zolla di terreno tanto in profondità che quando lo lasciò quello si tenne dritto così in bilico sul terreno.
«Non ero stanca» si lamentò, mentre un leggero affanno tradiva la menzogna di quell’affermazione.
Roberto recuperò una bottiglia d’acqua da un angolo lì vicino e gliela porse «Il piccone è un ottimo antistress, lo so per esperienza personale. Che è successo?».
Silvia accettò l’acqua e bevve avidamente, poi con la manica della maglia si asciugò la fronte imperlata di sudore. Guardò Roberto negli occhi, ma non rispose.
«E’ Nina, vero?» intuì lui.
Silvia fece un sospiro e andò a sedersi su un piccolo masso al limite dello scavo. Roberto la raggiunse e si sistemò per terra accanto a lei a gambe incrociate.
«Non me ne frega niente di quello che fa della sua vita, voglio solo che non faccia la stronza con me. Mi da fastidio».
«Nina purtroppo ha un modo tutto suo di relazionarsi alle persone. Non ha un carattere semplice, me ne rendo conto».
«C’è qualcosa di più, vero?» Silvia si voltò a guardare Roberto, gli occhi attenti per scrutare la sua reazione «Non è semplicemente stronza di carattere, lo fa per difendersi da qualcosa».
Roberto ricambiò il suo sguardo solo per un istante, poi spostò ostinatamente gli occhi sul terreno senza pronunciare una parola. Per Silvia fu come un ammissione.
«Dovresti guardarti intorno comunque, perché hai fatto colpo» cambiando decisamente registro Silvia si alzò facendo un sorrisino malizioso a Roberto, prima di tornare a prendere il piccone per ricominciare il suo lavoro.

La settimana passò via velocemente. Nina e Silvia non avevano più avuto modo di incontrarsi o di parlarsi se non per questioni strettamente lavorative. Silvia era stata ben attenta a non incrociare Nina, ancora arrabbiata dopo il loro ultimo incontro, e Nina dal canto suo non aveva sentito la necessità di spiegarsi con lei.
Roberto era diventato molto più espansivo con le ragazze, dopo la provocazione di Nina. Cercava di capire se fosse vero che qualcuna di loro si fosse davvero presa una cotta per lui. Non che gli interessasse cominciare la storia della sua vita, ma era da tempo che non frequentava una ragazza ed una piacevole liaison per sentirsi meno solo non gli sarebbe dispiaciuta. D’altro canto, però, non poté dedicare troppo tempo alla sua investigazione, poiché il problema che Nina aveva riscontrato nel saggio di AnnaChiara ad inizio settimana si rivelò essere qualcosa di molto più interessante. Avevano trovato un piccolo tesoretto di monete e quindi i responsabili furono tutti su di giri per l’intera settimana, impegnati a scavare, studiare e catalogare i reperti.

Il fine settimana, l’ultimo prima della fine dello scavo, Nina lo passò a scrivere una relazione circa il ritrovamento delle monete da presentare al Direttore Scientifico, nonché suo professore ormai da molti anni, con cui collaborava fin da dopo la tesi di laurea. Domenica mattina si decise finalmente a mettere il naso fuori di casa.
Mentre passeggiava per le vie del centro le arrivò un messaggio di Carla, in cui le chiedeva stupita come mai non l’avesse vista in giro per locali la sera prima. Nina sbuffò e ripose il cellulare in tasca, non aveva voglia di risponderle. Era ovvio, si disse, il lavoro viene prima di qualsiasi altra cosa. Poteva avere una vita incasinata sotto tanti punti di vista, ma sul lavoro non transigeva, doveva essere impeccabile.
Passando davanti ad un bar in piazza vide seduta ad un tavolino Lorena. Si fermò ad osservarla, parlava al cellulare e sembrava piuttosto concitata. La vide staccare la telefonata e posare il telefono con un moto di stizza, decise di avvicinarsi.
«Ciao Lorena».
La ragazza sobbalzò, colta di sorpresa, poi si rilassò vedendo la figura di Nina in piedi accanto al tavolino «Nina. Ciao. Che ci fai qui?».
«Facevo quattro passi, mi andava di prendere una boccata d’aria. Posso?» Nina indicò la sedia accanto a lei e, dopo che Lorena ebbe annuito, si sedette «Come va?».
«Di merda» Lorena mise su un sorriso chiaramente artefatto, per sottolineare il concetto.
A Nina scappò una risatina empatica «Conosco la sensazione. Problemi con…» lasciò volutamente in sospeso la frase per permettere all’altra di finirla.
«Marco. Il mio ragazzo. Lui è rimasto a Lecce quando io ho deciso di venire qui a Siena a studiare, ora gli hanno offerto un posto in Svizzera. Fa l’ingegnere» Lorena spiegò il tutto con molta tranquillità, con la sincerità che la contraddistingueva.
Era una delle poche del gruppo che Nina apprezzava sinceramente come persona, le sorrise comprensiva.
«Bel casino» commentò semplicemente.
«Senti, stasera c’è una festa in facoltà. Che fai, passi?» Lorena cambiò totalmente argomento, ritrovando il suo consueto buon umore.
«Non so, se riesco passo».
«Dai! Ci sarà anche Silvia».
Nina sorrise sarcasticamente, un sopracciglio alzato con aria strafottente «E la cosa dovrebbe invogliarmi a venire?».
Lorena non rispose, le fece semplicemente un occhiolino. Nina alzò gli occhi al cielo, Lorena sapeva tutto. Ora doveva combattere contro due persone che cercavano di accalappiarle Silvia.
«Come sta la tua amica? Si è vista poco in giro per l’abbazia questa settimana» decise di deviare il discorso su un terreno più neutrale, tuttavia non riuscì a cambiare del tutto il soggetto. Silvia l’aveva evitata? Se l’era chiesto, ma non aveva trovato risposta. Era curiosa.
Lorena assunse un’aria vaga e cominciò a giocherellare con una ciocca di capelli «Sta bene, ha studiato un po’ in questi giorni. Gli esami si avvicinano».
«Ti ha detto perché si è trasferita qui?».
«Non gliel’ho mai chiesto».
Nina annuì, senza aggiungere altro. Il perché di quella scelta continuava a sfuggirle.
«Dirò anche a Roberto se vuole passare in facoltà stasera. Magari riusciamo a fare un salto insieme».
Lorena sorrise soddisfatta «Ottimo!».
«Ora vado. Ciao Lorena» Nina si alzò mettendo le mani nelle tasche dei jeans, come al suo solito, e si allontanò riprendendo la sua passeggiata per le vie del centro.

Silvia aveva passato l’intera domenica a casa a studiare, il sabato era uscita a divertirsi così aveva deciso di recuperare. Aveva avuto poco tempo per pensare a Nina e al suo strano comportamento quella settimana, si era limitata ad incrociarla il meno possibile. Forse sentiva che la cosa avrebbe potuto rischiare di sfuggirle di mano, aveva pensato. In effetti Nina aveva qualcosa che l’aveva colpita, nei rari momenti in cui era stata gentile ed affabile con lei era come se Silvia avesse intravisto una sua parte che forse nemmeno lei conosceva. Forse erano solo sue congetture, si era rimproverata Silvia. Continuare a pensare che lei fosse diversa da come si dimostrava non l’avrebbe condotta da nessuna parte.
Era così immersa nello studio che il suono del campanello la fece sobbalzare, pochi istanti dopo Lorena entrò in camera sua «Mi ha aperto Sofia, sempre più simpatica la tua coinquilina eh?!» una smorfia contrariata le deformò il viso. Poi si fermò ad osservare Silvia, ancora in tuta con i capelli tirati su da un mollettone e gli occhiali da vista.
«Ancora non sei pronta?».
«Ma perché, che ore sono?».
«E’ tardi!».
Lorena la prese di peso costringendola ad alzarsi e la spinse verso il bagno «Fatti una doccia, intanto io ti preparo i vestiti».
Silvia non ebbe modo di obiettare. Fece una doccia veloce, poi si vestì. Mentre si stava truccando, intercettò la figura di Lorena allo specchio e la osservò bene. Non indossava i soliti occhiali dalla montatura pesante, probabilmente doveva aver messo le lenti a contatto. I capelli neri e lucenti non erano lisci come al solito, ma mossi in morbide onde che le ricadevano lungo la schiena. Gli occhi verdi e brillanti sapientemente truccati per metterne in risalto il colore.
«Ma che hai combinato stasera?» Silvia pareva sinceramente stupita di vedere l’amica così curata per una semplice festa in facoltà, dove probabilmente dopo dieci minuti avrebbero cominciato a sudare a causa della calca e si sarebbe rovinato comunque tutto il suo certosino lavoro.
Lorena si aprì in un sorriso sornione «Stasera potrebbe esserci anche Roberto».
«Lorena!» Silvia si voltò a guardarla con sguardo di rimprovero «Tu sei fidanzata».
Lorena la liquidò con un gesto strafottente della mano «Marco non c’è, e poi si sta comportando come un coglione. Non so se ho più voglia di stare con lui».
Silvia si alzò e le andò vicino, le mise una mano sulla spalla «Lory, non fare cazzate. State insieme da cinque anni, siete cresciuti insieme… potrebbe essere solo una crisi passeggera e tu rischieresti di rovinare tutto per una scopata».
Lorena strinse la sua mano sulla propria spalla e le rispose con un sorriso grato «Non preoccuparti per me so quello che faccio» si scostò per indossare il cappotto e la sua espressione divenne impaziente «Ma hai visto quanto è figo Roberto da quando si è fatto crescere la barba? Dai muoviti, andiamo!».
Silvia scosse la testa con aria sconfitta, ma le scappò comunque un sorrisino. In fondo se l’amica voleva divertirsi a flirtare con Roberto chi era lei per impedirglielo? In fondo lei non faceva lo stesso con Nina? Nina!
Silvia si bloccò con un piede fuori la porta e tirò Lorena per la manica della giacca «Se ci sarà Roberto, vuol dire che ci sarà anche Nina, vero?» con uno sguardo di rimprovero trafisse l’amica per averglielo tenuto nascosto.
Lorena non si scompose, accentuò il suo sorriso malandrino e tirò Silvia per la mano prendendola sotto braccio e trascinandosela dietro per vincere le sue resistenze.
Nina e Roberto erano arrivati da pochi minuti alla festa, avevano preso da bere e stavano in un angolo a chiacchierare. I ragazzi del comitato studentesco organizzavano spesso feste in facoltà, servendosi degli ampi sottoscala e dei lunghi corridoi, approntavano banchetti per gli alcolici e palchi per piccole band.
Roberto odiava questo genere di feste, infatti aveva seguito l’amica ben poco volentieri. Era un tipo abbastanza rigido, puntiglioso, meticoloso. In questa mania del controllo era molto simile a Nina, con la differenza che lui riusciva a razionalizzare il tutto evitando di agire impulsivamente ed emotivamente come spesso faceva l’amica. Preferiva una serata di buona musica live in un wine bar a quella ressa di studenti alticci e scatenati.
«Ripetimi di nuovo perché siamo qui» Roberto interrogò Nina con uno sguardo palesemente scocciato.
«Perché l’alcool costa poco» Nina gli fece un sorrisetto e bevve un lungo sorso del suo cocktail.
Silvia e Lorena entrarono a fatica facendosi largo tra la folla «Puzza già di canna» si lamentò la prima.
Lorena non diede segno di aver sentito le sue rimostranze, poiché era intenta a perlustrare attentamente la sala e, quando ebbe individuato Nina e Roberto, si diresse verso di loro a passo spedito tirandosi dietro una interdetta Silvia.
«Ciao ragazzi» Lorena apparve davanti a Nina e Roberto, i quali reagirono sorpresi, non avendola vista arrivare.
«Ragazze, ce l’avete fatta. Ciao Silvia» Nina si sporse appena dietro le spalle di Lorena per guardare l’altra ragazza, le fece un sorriso neutro.
«Ciao» mugugnò Silvia ben poco enfatica.
«Ragazze vi offro da bere, venite» Roberto allargò le braccia tra la folla per permettere alle altre due di passare e dirigersi al banchetto degli alcolici. Intanto osservò Lorena, gli sembrava diversa dal solito. Aveva gli occhi così verdi, perché non l’aveva mai notato prima? Ah sì, portava gli occhiali di solito, ecco perché.
Dopo aver preso da bere Roberto si guardò attorno «Non dovevano venire anche Luigi, Paolo, e gli altri?».
«In effetti sì, avevano detto che sarebbero passati» Silvia si strinse nelle spalle con aria incerta e bevve un sorso di birra. Roberto portava la barba più lunga del solito, quel sottile velo sulla mascella, così ben delineato, lo rendeva ancora più sexy. Non era molto alto, quindi Lorena riusciva a guardarlo bene negli occhi, e vi si perdeva tanto erano azzurri. E le labbra, così carnose. Ad un certo punto il ricordo di Marco era già così lontano.
«Forse dovremmo fare un giro e cercarli» propose proprio Roberto.
Lorena annuì e prese Silvia sottobraccio per non perderla tra la folla, ma Nina mise una mano sul braccio di quest’ultima per fermarla «No. Lei viene con me» scoccò un’occhiatina irriverente a Lorena.
Silvia guardò Nina con un punto interrogativo stampato sulla fronte, poi si voltò verso Lorena per chiedere aiuto con lo sguardo, ma l’amica alzò entrambe le mani in segno di resa «Tutta tua».
Nina ghignò soddisfatta e strinse la presa attorno all’avambraccio di Silvia tirandola verso di sé.
«Ci vediamo tra un po’ all’ingresso» Roberto lanciò a Nina un’occhiata che sembrava tanto voler dire “Cerca di non combinare cazzate ed evita di fare la stronza”.
Quando Roberto e Silvia scomparvero inghiottiti dalla calca di studenti, Nina prese Silvia sottobraccio e si incamminò dalla parte opposta.
Silvia, che fino a quel momento era stata docile poiché colta di sorpresa, reagì con veemenza sottraendosi alla presa di Nina. Si bloccò in mezzo alla folla, le mani strette a pungo per il nervoso, le braccia dritte lungo i fianchi «Non sono mica la tua bambolina, sai?!».
Nina rise e le si avvicinò, il viso ad un palmo dal suo naso, ne sfiorò la punta con le labbra lasciandoci un bacio «Peccato» scherzò rilassata.
Silvia la spinse via e la guardò in cagnesco, fumante di rabbia «Io con te non vado proprio da nessuna parte. Vado a cercare Lorena» si voltò per tornare sui propri passi e andare a cercare l’amica, ma una presa ferrea sul polso glielo impedì.
«Ferma» Nina la teneva bloccata e la costrinse a voltarsi «Non vuoi che la tua amica resti un po’ da sola con Roberto?» quando Silvia sgranò gli occhi con aria colpevole, Nina seppe di aver fatto centro «Sì, ho notato come lo guarda. Non ci vuole un genio… volevo darle una possibilità».
Silvia si rilassò e la sua aria battagliera cominciò a svanire. Nina sentì venir meno la sua resistenza e allentò la presa sul suo polso «Allora? Ci vieni in un posto con me?» la incalzò, intravedendo in lei segni di cedimento.
Silvia la guardò. Aveva quel sorriso, quello gentile, glielo aveva visto così poche volte, eppure il suo viso si accendeva di una luce diversa e diventava ancora più bella. Perché non sorrideva così più spesso?
Silvia si arrese e annuì. Il sorriso di Nina si estese anche agli occhi, fece scivolare la mano lungo il polso di Silvia e prese la sua mano ricominciando a camminare, guidandola fuori dall’università.
Fece il giro del campus e cominciò a scendere lungo un vialetto alberato e poco illuminato. Silvia la seguiva mansueta, persa nei suoi pensieri e nelle sue riflessioni. Che cosa si sarebbe inventata quella volta?
Nina si fermò davanti ad un grande prato, erano sul retro dell’università. Il baccano della festa era ormai sparito, non si sentiva nulla a parte il sottile sibilo del vento tra le foglie degli alberi. Nina si avvicinò ad una panchina e si sedette, poi batté con la mano sul posto accanto al suo invitando Silvia a fare lo stesso. La ragazza la accontentò, non del tutto certa del motivo per cui fossero lì.
Nina non disse nulla per diversi minuti, lo sguardo fisso sul cielo trapuntato di stelle. Silvia la osservava in silenzio, studiava ogni particolare del suo profilo. Un riccio ribelle le ricadeva sull’occhio sinistro, avrebbe voluto scostarglielo e poi accarezzarle la fronte. Perché erano lì? Perché lei non parlava? Più passavano i minuti più l’impazienza di Silvia cresceva, finché non riuscì più a trattenersi «Che siamo venute a fare qui, Nina?».
Nina si portò un dito alle labbra e le fece segno di tacere «Ascolta» sibilò piano.
Silvia aggrottò la fronte non capendo cosa volesse dire, tuttavia rimase zitta e tese le orecchie. Dopo qualche secondo sentì qualche rumore sul manto di foglie secche che ricopriva il prato. Guardò davanti a sé e vide un animale «Un gatto, e quindi?» domandò scocciata.
Nina si voltò sorridendole «Guarda meglio».
Silvia aguzzò la vista e vide l’animale cominciare a saltellare per tutto il prato. Ben presto a quello se ne aggiunse un altro e poi ancora uno.
«Ma… cosa sono?» domandò incuriosita.
«Lepri» Nina osservò divertita la sua reazione, era così dolce quando restava stupita e piegava la testa di lato.
«In piena città?».
«Sì».
Silvia restò a guardare gli animali saltellare per tutto il prato, alcuni azzardavano anche ad avvicinarsi a pochi passi da loro. Era strano vedere saltellare delle lepri in un prato che a pochi passi aveva un parcheggio pieno di auto. Perché Nina l’aveva portata lì? Solo per farle vedere le lepri? Si voltò nella sua direzione e la trovò a fissarla a pochi centimetri di distanza. Silvia si sentì a disagio, era rimasta a fissarla per tutto il tempo «Che c’è?» domandò.
Nina si schiarì la voce prima di parlare «Ho voglia di vederti nuda sul mio letto. Ora».
Silvia deglutì, quegli occhi bramosi l’avevano inchiodata e quelle parole dirette e decise l’avevano trafissa. Si sentì arrossire e una scossa di desiderio le pervase tutto il corpo, tuttavia era ancora arrabbiata con Nina per come l’aveva trattata nell’ultima settimana, compresa quella sera «Nel tuo letto ci vai da sola».
Silvia fece per alzarsi, ma Nina le afferrò un polso per trattenerla. Silva si voltò a guardarla con astio e strattonò il braccio per liberarsi dalla sua presa «Ce l’hai per vizio stasera».
«Muori dalla voglia anche tu» le rispose Nina. Si avvicinò, le afferrò il bavero del cappotto con entrambe le mani e la tirò verso di sé.
I loro nasi si sfiorarono, Silvia le mise le mani sulle spalle e tentò di spingerla via, ma inutilmente poiché la sua presa era troppo forte «Lasciami Nina» le intimò furiosa.
Nina sorrise sarcastica, era entrata in modalità provocatoria. Staccò le mani dal cappotto e le alzò entrambe in alto facendo un passo indietro «Sia mai che io costringa una ragazza a fare qualcosa che non le va. Vai, se è questo che vuoi. Non ti tratterrò».
Silvia rimase lì in piedi ad un passo da lei, ancora una volta spiazzata dai suoi continui cambi di personalità. Nina stava giocando al gatto col topo, sapeva bene che le faceva un certo effetto e questa cosa mandava Silvia in bestia. Osservò Nina, aveva ancora quel sorrisetto beffardo sul volto, gli occhi illuminati da una scintilla quasi sadica. Silvia era infuriata, e la voleva. Da morire. L’unico modo che trovò per sfogare la sua frustrazione in quel momento fu quello di colmare rapidamente la distanza fra loro, gettarle le braccia al collo e baciarla con ferocia. Voleva farle male, affinché sentisse tutta la sua rabbia. Le infilò una mano tra i capelli e strinse forte tirando per farle tenere ferma la testa. Nina assorbì l’attacco di Silvia barcollando per un attimo poi, riguadagnato l’equilibrio la strinse in vita con un braccio, mentre con l’altra mano le afferrò il mento per cercare di domarla. Silvia le morse forte un labbro costringendola ad interrompere il bacio per lasciar andare un rantolo di dolore.
«Stronza» sibilò Nina, ma sul viso aveva un’espressione divertita e maliziosa.
Silvia fece un profondo respiro ritrovando la calma e tentò di divincolarsi dalla presa di Nina, ma ottenne solo di sentirsi stringere più forte «Si può sapere che vuoi da me, Nina?» si lamentò esasperata.
«Solo che tu ammetta che ti piace venire a letto con me».
«E dopo che avrai ottenuto questa “vitale” confessione?».
«Tu comincia ad ammetterlo».
«E’ ovvio che mi piace venire a letto con te, altrimenti non ci sarei stata anche diverse volte. Ma non mi pare che a te faccia proprio schifo l’idea di venire a letto con me… anzi. Quindi non capisco perché farne una questione, direi che siamo pari. Ora lasciami andare» Silvia tentò ancora una volta di sottrarsi al possessivo abbraccio di Nina, ma di nuovo in vano. Cedette, lasciandosi andare tra le sue braccia con uno sbuffo esausto.
«E’ giusto, nemmeno a me fa schifo l’idea… anzi» Nina le strizzò l’occhio, consapevole che quel gesto l’avrebbe solo fatta infuriare di più «Quindi vorrei che le cose potessero proseguire semplicemente senza drammi e scenate. Potremmo vederci e divertirci quando ci va. Che ne dici?».
Silvia le rivolse uno sguardo scettico «Mi stai proponendo di diventare scopamiche, Nina?».
«Se ti fa piacere chiamarlo così…» Nina si strinse nella spalle sghignazzando.
«Non posso andare a letto con una che soffre di personalità multipla. C’è un limite a tutto» l’espressione di Silvia era seria e stanca, quasi sconfitta.
Nina rise a quell’affermazione «Io non soffro di personalità multipla».
«Ma sei una stronza» la corresse Silvia «Certe volte sei insopportabile nella tua arroganza e nella tua strafottenza. Un attimo prima sei gentile e l’attimo dopo acida come un limone».
Nina sciolse finalmente l’abbraccio e permise a Silvia di fare un passo indietro e riprendersi il proprio spazio vitale «Beh, posso cercare di essere meno acida» concesse con un’alzata di spalle «Per arroganza e strafottenza non posso fare molto, sono un marchio di fabbrica» terminò ridacchiando.
Silvia la guardò per qualche attimo in silenzio poi, forse per scaricare la tensione accumulata fino a quel momento, forse perché vedere Nina ridere rilassata le piaceva, cominciò a ridere a sua volta.
Nina capì che l’altra aveva finalmente sbollito la rabbia e le tese una mano «Vieni a casa con me adesso?».
Silvia guardò la mano di Nina e poi il suo viso «Gli altri?».
«Vuoi davvero preoccuparti degli altri?» Nina la incitò con lo sguardo a prendere la propria mano «Vieni con me Silvia».
Silvia tentennò ancora qualche secondo, poi afferrò la mano di Nina e la seguì a casa sua.




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Attesa un po' più lunga del solito, lo so. Come ho già detto, però, questa storia la scrivo man mano che pubblico quindi può risentire di un'ispirazione ballerina...e in questo periodo anche di stress da esami. Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto. Prometto che cercherò di non farvi aspettare troppo per il prossimo capitolo.
A presto!

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