Frammenti - Passo Dopo Passo

di AuraNera_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Passato ***
Capitolo 2: *** Amore ***
Capitolo 3: *** Paura e Ansia ***
Capitolo 4: *** Benedizione ***



Capitolo 1
*** Passato ***


Passo Dopo Passo

Frammenti - Passo Dopo Passo 

 

Frammenti. Ecco quello che mi resta.
Un pugno di frammenti.
Frammenti di passato. Frammenti della mia vita. Frammenti delle vite che mi sono lasciata alle spalle.
 
Sono nata in una famiglia d’alta classe di Kalos. Magari non proprio alta... ma di classe sicuramente. Benestante, insomma. Sono figlia unica.
Io dovevo per forza di cose essere la figlia perfetta. Sorridente, ubbidiente, educata, gentile anche con la feccia più viscida.
Ma io non sono così, non lo sono mai stata.
Non sono la classica ragazza tutta rose e fiori. Non vado in giro con vestitini rosa tutti infiocchettati e con le scarpe col tacchetto basso. Non mi trucco con ombretto rosa e lucidalabbra. Non mi pongo sul capo cerchietti o fiocchetti vari. Non pettegolo su qualsiasi persona mi passi davanti al naso.
No.
Io sono una ragazza che sta bene nel suo silenzio, nella sua testa, circondata dai suoi pensieri. Io mi scelgo la mia compagnia, la seleziono e scarto valutando con cura. Se le persone non mi convincono, convivo con la solitudine e il silenzio. Non mi da fastidio. Amo vestirmi con colori freddi e tendenzialmente non chiari. Quindi, o scuri o una via di mezzo. Amo il nero e il viola, sono i miei colori preferiti. Ho delle tendenze leggermente dark o gothic.  Il mio trucco comprende al massimo matita e eyeliner. Tanto per sottolineare e valorizzare i miei occhi.
No, non mi mescolavo con le mie coetanee pettegole, e me ne restavo chiusa in casa a guardare con occhi sognanti fuori dalla grande finestra della mia camera. Oppure facevo delle passeggiate fino al parco, solo per il gusto di farlo.
Parlavo spesso con i Giramondo che incontravo in giro. Non essendo mai uscita da Frescovilla, ero avida di conoscere le bellezze del mondo che non avevo ancora visto.
I miei non mi lasciavano mai andare da nessuna parte fuori dalla città. Era noioso. Loro erano noiosi.
Mio padre, un uomo austero e severo, pomposo sotto certi aspetti. Era un brav’uomo, niente da dire, ma pretendeva il controllo su tutto, incluso sulla sottoscritta. Una cosa che non potevo sopportare.
Mia madre. Una donna dolce, premurosa, ma ossessionata dal suo lavoro, dalla pulizia e dall’ordine. In quei casi diventava a dir poco asfissiante. A me piaceva il mio disordine. Mi ci rintanavo.
Ma la cosa su cui io e mia mamma litigavamo di più era il mio modo di vestirmi, i miei gusti sui colori e sui vestiti. Sul comportamento distaccato, si era arresa. Per fortuna.
Lei non sopportava il nero. “Sei sempre tutta così tetra! Perché non ti metti qualcosa di un po’ più acceso e colorato?”. Inutilmente continuavo a ripeterle che i colori caldi e accesi non li posso soffrire.
Quando esagerava, per ripicca, mi giravo e, guardandola dritta in volto, abbassavo la palpebra sinistra, nascondendo l’occhio azzurro, chiaro e limpido.
Così, lei vedeva solo il destro. Nero. Iride e pupilla si fondevano assieme.
Questa cosa la irritava parecchio. Ma poco importava.
Ho anche i capelli neri. E mi sono fatta delle meches azzurre, sulle punte. Così sono in tinta con gli occhi.
Ma non voglio divagare oltre.
Il mio passato è stato monotono e privo di significato. Anche se avevo quello che desideravo, e anche di più, mi mancava una cosa.
Un amico, o un’amica. Qualcuno di cui potessi fidarmi veramente.
Negli esseri umani non avevo mai trovato quello che cercavo. La sincerità, la capacità di dire la cosa giusta al momento giusto e quella di saper soppesare i silenzi.
Qualcuno con cui potessi parlare. Perché, anche se nel silenzio e nella solitudine mi ci trovavo comoda, talvolta diventava stretta.
Il giorno del mio dodicesimo compleanno riuscii a ottenere ciò che cercavo.
Ero seduta in cucina, da sola, a fare colazione.
Il Minccino di mia madre continuava a passare la coda sul tavolo sotto il mio naso, facendomi starnutire di continuo.
- Diamine, Minccino! Aspetta che io finisca, no?
Quello si limitò a farmi gli occhioni dolci. Sospirai. Nel frattempo era entrato mio padre.
- Buon compleanno, tesoro! - Esordì. Mi girai a guardarlo. Era raro che usasse appellativi di quel genere.
- Ciao papà. - risposi.
Lui non perse il sorriso e mi porse una scatoletta. La osservai con curiosità.
Era piccola, quadrata e con un bel fiocco ad ornarla.
- Tanti auguri, Anneke. - Disse solamente. - Ci vediamo questa sera alla tua festa.
Poi uscì, lasciandomi da sola con la scatoletta. Dopo averla osservata per qualche minuto, sciolsi l’elegante fiocco blu con un unico, fluido, lento gesto.
Staccai con cura la scotch per non strappare la carta azzurra decorata con un motivo ad onde.
Infine, lentamente sollevai il coperchio della scatola vellutata color panna.
Era una Pokéball. La presi in mano, con delicatezza. Emanava del calore al suo interno. Vibrava di energia. Era viva.
Premetti il pulsante della sfera, e quella si aprì, sprigionando una scintillante luce argentata, che si raggruppò sul pavimento formando qualcosa di piccolo.
Quindi, la luce si diradò, lasciandomi vedere un piccolo Pokémon dal manto argenteo, con le orecchie a punta, il musetto dolce quanto il suo verso acuto e due grandi occhi scuri.
Una Eevee cromatica. Mentre l’accarezzavo capii che lei sarebbe stata la mia prima vera amica.
Non ci mettemmo molto ad affezionarci l’una all’altra, e una notte tiepida di luglio, venne circondata dalla luce dell’evoluzione, diventando una bellissima Umbreon.
La chiamai Eclissi, come soprannome, ma spesso mi dimentico di chiamarla così. Ma né io né lei ci facciamo molto caso.
Purtroppo, la mia amicizia con Eclissi aveva definitivamente cancellato qualunque contatto con gli esseri umani da parte mia, perché ormai non avevo bisogno di nessun altro.
I miei genitori stavano diventando tremendamente asfissianti. Mio papà insisteva sulle amiche, mia madre sul ragazzo. Non ne potevo davvero più.
 
Avevo quasi quattordici anni, quando incontrai Philip. Era un giramondo poco più grande di me, viaggiava assieme alla sua famiglia. Quando io espressi il mio desiderio di viaggiare, lui e la sua famiglia mi proposero di unirmi a loro.
Accettai immediatamente.
Tornai a casa di corsa e raccontai il tutto ad un’euforica Umbreon e a un incerto Phantump, mio nuovo Pokemon.
Presi qualche strumento, delle Pokéball, i vestiti che mi piacevano di più e qualcosa da mangiare, ficcai tutto nello zaino e raggiunsi Philip, dopo aver accarezzato Minccino e aver scritto un biglietto.
 
“Mamma, papà, per quanto bene vi possa volere e per quanto ne vogliate voi a me, non posso più stare qui.
Parto per esplorare il mondo, un mondo che, se restassi chiusa qui, non riuscirei mai a vedere.
Non preoccupatevi, ho i miei Pokémon con me. Mi proteggeranno.
Vi chiamerò, promesso. E prima o poi, tornerò.
Vi voglio bene,
Anneke”
 
Assieme a quella famiglia di viaggiatori, presi un pullman che ci portò a Temperopoli.
Viaggiai con loro fino a Sinnoh, e dopo, partii da sola alla volta di Johto.

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Capitolo 2
*** Amore ***


FAMMENTI – PASSO DOPO PASSO

One Shot 2: Amore.

 

Amore. E’ una parola come tante. Ma penso sia l’unica parola che riesce a creare un’ampia gamma di sintomi, indipendentemente se usata singolarmente o in una frase, o un discorso. Forse, ce ne è solo un’altra eguale: morte. Ma noi prendiamo in considerazione la prima, e le conseguenze dopo averla pronunciata.

Per esempio: cuore a mille; volto che va dal rosa, al cremisi al viola; balbettio e farfugliamento; scuse stupide; sbiancamento...

Potrei continuare. Ma non è importante.

Per quanto mi riguarda, posso raccontarvi la mia esperienza attraverso una domanda.

 

“Ti sei mai innamorata?”

Forse. Non lo so con certezza. La percepivo più che altro come un’angoscia. E’ successo quando partii. Mi trovavo sulla barca che mi avrebbe portato ad Arenipoli, nella regione di Sinnoh...

 

Ero appoggiata alla ringhiera, corrimano, come lo volete chiamare. Anche balaustra. L’importante è che abbiate capito.

Era una bella serata, l’aria fresca mi smuoveva delicatamente i capelli. Guardavo ammaliata le sfumature rosee e arancioni delle nuvole; ammiravo il sole che, lentamente, andava a sfiorare la superficie del mare, nel tentativo di scaldare le onde gelide con il suo caldo tocco. Poi, piano, si nascondeva in esse, in un ultimo, estremo tentativo.

Davanti a me, il tramonto. Dietro, il cielo indaco si scuriva sempre di più, creando così un contrasto sempre più netto con la luna ipocrita.

Sì, ipocrita, come la sua falsa luce bianca, rubata dal caldo, timido sole.

Eclissi sonnecchiava appoggiata alla mia gamba, godendosi pigramente gli ultimi raggi solari, gli occhi chiusi e un sorriso misteriosamente soddisfatto sul bel musetto.

Era davvero poltrona di giorno, la mia Umbreon. Era quando assorbiva abbastanza luce lunare che acquistava il suo bel caratterino sfacciato e un po’ aggressivo.

Il sole sparì del tutto, lasciando il cielo dalla sua parte più chiaro. Le stelle più lontane comparvero. Le vere luci della notte.

Mi staccai dalla ringhiera ancora tiepida e mi voltai per salutare la luna; ipocrita, fredda, ma in qualche modo più aggraziata del sole. Mi stava simpatica, la luna.

E verso la luna stava lui.

Capelli castani, non chiari, ma di certo non scuri. Vestito più pensante di me, una felpa rossa e i pantaloni bianchi.

E poi, quegli occhi. Grigi chiari, più scuri verso l’interno. Sorrideva leggermente, impacciato.

Probabilmente mi osservava da un po’. Non ricambiai il sorriso, ma iniziai a percepire una cosa stretta, appena sotto lo sterno.

Era il mio stomaco idiota che si annodava. Effettivamente, non sapevo se soffrivo o meno il mal di mare. No, non c’entrava.

Non era vera propria nausea. E non poteva essere il malessere dato dall’acqua, per il semplice motivo che ero in viaggio da un giorno. Quindi, avrei dovuto vomitare come minimo due volte.

E invece niente.

Eravamo fermi a guardarci da troppo, lui col sorriso da beato idiota e io impassibile che pensavo al mio stomaco.

Eclissi annusava diffidente il ragazzo e il suo pokémon, un Vulpix dall’aria tranquilla. Mi sedetti sui talloni per accarezzare Umbreon.

- Andiamo, Eclissi, ci staranno aspettando per mangiare. Il sole ormai è tramontato – Lei fece un ringhio come affermazione e assieme ci avviammo.

Anche se in realtà l’ora di cena concordata distava ancora mezz’ora.

Tornai in camera e mi buttai in modo poco aggraziato sul letto. Quel tipo con la faccia da Feebas non voleva andarsene dalla mia mente.

Mancavano dieci minuti alla cena, organizzata in modo da farla sembrare una “cena di gala”. Volevano prendermi in giro. Volevo scappare da una vita troppo perfetta e noiosa e mi propinavano una “cena di gala”.

Avevo addosso un bel vestito lungo viola pallido. Avevo persino acconciato i due ciuffi di capelli in una coroncina.

Mi specchiai. Stavo per vomitare. Troppo perfetta. Mi concentrai sugli occhi. E sorrisi.

E’ proprio vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima.

Tre colpi secchi e ben definiti attraversarono la stanza. Abbassai la maniglia per ritrovarmi davanti due iridi argentate.

Doveva essere un incubo. Un incubo in smoking. Un incubo troppo perfetto.

Lui sorrise. Un sorriso innocente. Era carino, tutto sommato.

“Ma che cavolo...?” mi stupii di me stessa.

-  C-ciao... io sono Fabrian... sono il figlio del comandante della nave... posso sapere il tuo nome, fanciulla? –

Fanciulla? Ma chi cavolo era quel tizio? Cosa voleva?

Ah già, il nome...

- Mi chiamo Anneke. Molto piacere –

Ah, splendido. Da dove vengono fuori la dolcezza e... il sorriso?! Oddio. Che succede?

Anche lui sorrideva. Ed eravamo entrambi arrossiti.

Lui mi porse un braccio.

- Posso avere l’onore di scortarti fino alla sala? –

“Col cavolo, cammino da sola!” avrei risposto in una normale circostanza.

- Molto volentieri – dissi sorridendo.

Mi appoggiai al braccio che mi aveva gentilmente offerto e percorremmo parlando i vari corridoi della nave.

La famiglia di Giramondo con cui viaggiavo rimase piacevolmente stupita nel vedermi, come mi hanno detto in seguito, così radiosa. Mi accordarono il permesso di andare al tavolo di Fabrian. Conobbi i suoi genitori, ridevo e scherzavo con loro, sotto lo sguardo attento, stupito e malizioso di Eclissi.

Ero felice come non lo ero da secoli...

Mi addormentai ancora sorridendo, piena come un uovo e positiva.

Il resto del viaggio continuò senza intoppi, tra risate e felicità.

Mi sentii per la prima volta in vita mia, libera di essere quello che volevo e fare quello che mi andava.

Ma ho imparato una cosa. Bisogna saper essere felici pur sapendo che finirà, prima o poi.

Ma io avevo omesso quel piccolo particolare.

Attraccammo ad Arenipoli dopo quattro giorni. E c’era il tramonto.

Eravamo nel posto dove c’eravamo incontrati per la prima volta.

- Siamo giunti al capolinea... – disse lui, lo sguardo argento lontano, verso il mare.

 - A quanto pare... – risposi io, gli occhi che seguivano la stessa direzione di quelli del ragazzo.

- Sei triste? – mi chiese Fabrian tutto d’un tratto, come se stesse sputando qualcosa di orrido, amaro e aspro, e viscido. Me lo disse con difficoltà.

Io stetti in silenzio. Era davvero finito tutto?

Mi sentii come... come se ogni speranza di felicità fosse scomparsa, evaporata al calore di quel sole timido.

Annuii dopo un momento di silenzio.

Lui mi prese la mano.

- Non devi essere triste... sei così bella quando sorridi! – disse, mentre si voltava verso di me, sorridente. Era la prima volta che me lo diceva. Non direttamente, almeno. Stirai le labbra in una curva forzata.

- Promettimi che sorriderai per me... anche se non potrò vederti. Promettimelo, Anneke.- disse lui in un tono di voce più basso.

- Te lo prometto – soffiai io in risposta, cercando disperatamente di non scoppiare a piangere come una bambina a cui è appena esploso il palloncino.

Lui sorrise ancora, e sorrisi anche io.

E stavamo ancora sorridendo quando lui sfiorò le mie labbra con le sue.

- A presto Anneke – disse lui.

E mentre si allontanava, scorsi una lacrima solitaria solcare il suo volto. Una lacrima identica alla mia.

Penso che quella fu l’ultima volta in cui io piansi.

Scesi dalla nave, seria, anche se un po’ rosata sulle guance. Il ragazzo Giramondo si affiancò a me e mi scrutò attentamente.

- Anneke... sei rossa... – mi disse con fare malizioso e un sorrisetto furbo stampato sulla faccia.

- Oh, Taci! – rimbeccai io, tirando avanti.

- La cara vecchia Anneke – borbottò quello da dietro.

No... non sarei mai più stata la “cara vecchia Anneke”.

Questo viaggio... era già riuscito a cambiarmi.

 

“Ti sei mai innamorata?”

Non lo so con certezza... ma penso di sì.

Angolino nascosto nell'ombra:
Ehy....
Aura aggiorna... uhm... tre giorni prima. Perchè parte.
Quindi, tié, questa è la mia One - shot piena di quoricini (?). Oddio, mi vergognavo come una ladra a scriverlo...
Se vi siete perse qualche frammenti, andatele a recuperare, che sono meglio di questa xD
Ok, nulla. Vi saluto, e anche Annake.
Byeeee!

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Capitolo 3
*** Paura e Ansia ***


FRAMMENTI – PASSO DOPO PASSO

One shot 3 – Paura e Ansia.


Paura? Una parola comune.
La paura fa parte della vita di tutti i giorni. La paura frena, la paura immobilizza. La paura tradisce.
La paura è conosciuta a tutti. Ma il terrore, quello no.
Come tutti, ho avuto paura dei mostri, dei coleotteri e della morte. Ma non mi sono mai trovata di fronte a qualcosa che mi facesse impallidire, sudare freddo e farmi venire la tremarella alle gambe.
Ma come sarebbe mai potuto succedere, chiusa in quattro mura con dei genitori e un Pokémon che avrebbero dato la vita per me?

Non vedevo un palmo dal mio naso in quel dannato percorso. La strada che collegava Memoride a Flemminia era invasa dalla nebbia in tutti i periodi dell’anno. La terra dove non batteva ai il sole. Sbuffai, contrariata, stringendomi nel giubbotto.
Per prendere sulla fronte l’ennesimo ramo della giornata. Lanciai una decina di imprecazioni, sperando di essere sola in quel postaccio maledetto.
- Eclissi. Dammi una mano, per favore – bisbigliai poi attraverso la coltre bianca, che fu illuminata da un bagliore mentre la Pokéball si apriva e la mia compagna di viaggio emetteva un verso stupito nel non vedermi.
- Sono qui. Illumina la zona, per favore – le spiegai io sempre con voce contenuta.
La situazione non migliorò molto, ma almeno evitai di prendere altre testate. Avanzammo a tentoni per diversi minuti, inciampando in dei sassi nascosti dall’erba scura, che mi arrivava alla vita.
Faceva freddo, abbastanza. Ma non mi avrebbe dato fastidio, se non fosse stato per l’umidità di quel luogo.
Pregai una qualsiasi entità di proteggermi dal probabile malanno che ne sarebbe uscito.
La nebbia iniziò a diradarsi, e la luce di Umbreon non fu più sufficiente, ma la tenni comunque accanto a me.
Per fortuna.
Ormai ero fuori dalla coltre bianca e umidiccia, quando notai un gruppo di Pokémon sbarrarmi la strada.
Sembravano le classiche paperelle da bagno gialle, ma con un’aria più stupida e lo sguardo perso. Si tenevano la testa e ciondolavano, ripetendo lamentosamente il loro verso.
“Psyyyy.... duck....” mormorò uno di essi.
Tentai di aggirarli, o di farli sposare, senza successo. Intanto stava calando la sera.
Imprecai.
- Non ho tutta la sera. Eclissi, Neropulsar. – ordinai secca alla mia compare che subito caricò il colpo facendo brillare di una tetra luce i suoi cerchi blu. Poi un’onda d’urto si sprigionò dalla sua bocca, colpendo il gruppo di papere, che vennero scagliate ad alcuni metri di distanza.
Scattai verso il varco che il mio Pokémon mi aveva aperto, sottovalutando la capacità di ripresa di quei paperi, che ci attaccarono con Confusione unito a Pistolacqua.
La mossa psichica mi sollevò in aria, senza che io potessi muovermi, per poi ricadere sulla schiena picchiando i gomiti, mentre Eclissi mi raggiungeva, immune da Confusione e anche da Pistolacqua, mossa che aveva abilmente schivato.
- Ok, siamo intere. Andiamo, Cuoripoli è ancora lontana – le dissi, rialzandomi in piedi con una smorfia appena accennata.

Io non conoscevo il terrore, ma solo la paura più lieve. Eppure ne ho vista di gente terrorizzata. E sono arrivata alla conclusione che il terrore è frutto anche della conoscenza. Più cose conosci, più cose hai da temere. Ma anche l’ignoto e l’ignoranza spaventano.
Dentro di me non trovavo il terrore, non lo conoscevo. Le cose che non conosco mi inquietano. Ma alcune cose bisogna apprenderle dagli altri. Così io cerco le cose che mi mancano negli altri.
In Fabrian avevo trovato, probabilmente, l’amore. In Eclissi, l’amicizia. Avevo molto da imparare. Tanto da scoprire.
E cosa c’è di meglio della notte di Halloween per scoprire la paura?

Flemminia era una piccola cittadina tranquilla, e il silenzio regnava anche se il sole era appena calato. Probabilmente era popolata soprattutto da anziani, e i pochi giovani si erano ritirati a Rupepoli o Cuoripoli per divertirsi in quella notte di spaventi.
Anche io mi stavo dirigendo verso l’ultima città citata. La festa di Halloween di Cuoripoli era piuttosto famosa, ne avevo sentito parlare molto spesso. Ero curiosa di vederla con i miei occhi.
Mi fermai al centro Pokémon, un po’ acciaccata, per far riposare i miei amici e chiedere un paio di cerotti per i miei gomiti sbucciati.
Approfittai anche del servizio che il Centro offriva e mi concessi una cioccolata calda, mentre i miei compagni si rifocillavano con delle bacche.
Oramai era sera e, ironia della sorte, si stava annebbiando. Sospirai. Ne avevo abbastanza.
Pescai dal mio zaino un copri spalle, prima di lasciare il centro Pokémon del pacifico paesino.
Eclissi illuminava nuovamente i miei passi, mentre Phantump mi fluttuava attorno, gemendo inquieto. Era tutto silenzioso attorno a noi, sembrava che l’umanità fosse scomparsa.
Almeno fino a che non sentii un gridolino spaventato da un punto imprecisato di fronte a me.
Curiosa, anche se un po’ tesa, accelerai il passo... rischiando di atterrare in malo modo dopo essere sdrucciolata giù da una discesa fangosa.
Per fortuna mantenni l’equilibrio, riuscendo a notare in modo quasi immediato l’inquietante struttura che si innalzava a pochi metri da me.
Mi avvicinai cautamente per evitare di inciampare in qualche altro invisibile ostacolo, lo sguardo sempre fisso su quella... torre.
Era proprio una torre, realizzata in un materiale scuro e dalla forma a tronco di piramide, nonostante la differenza di area del pavimento tra primo e ultimo piano non sembrava essere così accentuata.
Immersa in quei pensieri, quasi non mi accorsi del singhiozzare sommesso di una ragazzina, caduta per terra dopo una probabile corsa fuori dal tetro edificio.
Mi avvicinai, per tentare di capire cosa diavolo fosse successo. La ragazzina si prese un mezzo infarto nel vedermi spuntare dalla nebbia, ma rispose ugualmente.
- E’ stato orribile! All’improvviso è spuntata un’ombra che ha trascinato via la mia sorella gemella... Io sono scappata, non sono mai stata coraggiosa... è Roxane quella senza paura. E lei non può dire di no ad una sfida... ma è una spericolata e allora l’ho accompagnata... Ma ora non so che fare! – singhiozzò la ragazza lacrimante.
Io lanciai uno sguardo alla cima della torre e sospirai.
- Se vuoi posso accompagnarti. – dissi semplicemente. Dopo qualche attimo di incredulità la ragazza sorrise e mi ringraziò profondamente.
- Ti ringrazio, davvero! Non sapevo che fare... oh, cielo! ... beh, comunque io sono Louise. Molto piacere.- disse con un timidi sorriso.
- Anneke – risposi secca, troppo concentrata a vedere dove mettevo i piedi per badare alle buone maniere. Per fortuna l’altra non lo diede a vedere, anche se ammutolì, spaventata dai suoi recenti ricordi.
Mi diedi una rapida occhiata attorno, lo sguardo che fendeva la leggera foschia. Mi morsi con un canino il labbro inferiore.
“Dannazione. Un cimitero” realizzai amaramente.
C’erano diversi Pokémon di tipo spettro che ghignavano, urlavano o sibilavano al nostro passaggio. Eclissi rispondeva ringhiando più o meno intensamente.
La maggior parte di essi si scansavano con una linguaccia, ma alcuni più spavaldi provavano ad ostacolarci, finendo inevitabilmente K.O. contro Umbreon, che aveva mosse superefficaci e era persino di livello di esperienza più alto.
- Accidenti, che forza. Sono stai i tuoi ad insegnarti? – mi chiese Louise dopo un po’ che andavamo avanti a tentoni tra il labirinto di lapidi.
- No. Ho appreso da me tramite esterni. – risposi semplicemente.
- Capisco... Roxane ha imparato così, mentre io ho lasciato che mio padre mi trasmettesse quello che sapeva... per questo sono più debole... sai, mio nonno è il proprietario della pensione Pokémon di Flemminia. Tutti lavoriamo lì. E le battaglie non mi servono a molto.” Continuò la ragazza. Probabilmente parlare la aiutava a calmarsi, e non le importava se le rispondevo o meno.
Salii un’altra scala per ritrovarmi immersa nel bianco, la mia visuale ridotta a un metro scarso dal mio naso.
- Cavolo... come si fa ad orientarsi adesso? – mi chiesi, sbuffando. La nebbia mi perseguitava.
- Ecco... forse questo può  aiutarti... esci, Togekiss. – mormorò Louise, liberando il suo Pokémon dalla sfera in un lampo di luce che illuminò per un momento i suoi capelli lunghi e lisci, di un bel lilla chiaro.
- Usa Scacciabruma – ordinò poi con voce appena udibile. Il Pokémon reagì sollevandosi in aria e iniziando a sbattere le ali che sembravano morbide come il cotone per creare del vento all’apparenza tagliente. La nebbia svanì piano piano, come se fosse stata ferita e dovesse ritirarsi per ristabilire la sua inconsistente materia.
Ringraziai la mia accompagnatrice e il suo Pokémon con un piccolo sorriso, per poi proseguire.
Le creature che abitavano quel piano erano di certo più inquiete. Urlavano, stridevano, facevano cariche improvvise o attaccavano con violenza maggiore rispetto ai compagni dei piani inferiori. Mi buttarono in terra un paio di volte, e un Gastly aveva leccato la faccia della mia accompagnatrice, che si era spaventata e era tornata al piano inferiore, con mio disappunto.
Salimmo un’altra scala. L’ultima.
L’apice della torre era invaso dall’oscurità, ed Eclissi non poteva fare un granché, poiché non conosceva la mossa Flash.
- Tua sorella è qui? – chiesi alla ragazza. Che era sparita, come realizzai non appena mi voltai in seguito alla mancata risposta.
- Santo piripillo. – ringhiai mentre tornavo verso la scala. La imboccai, sentendomi strana. Arrivata all’ultimo gradino, scoprii di essere di nuovo in mezzo all’ombra. Ma questa volta l’oscurità era totale, poiché Eclissi era scomparsa.
- Ma che diamine?! – strillai, infastidita. Non potevo tornare indietro. Ero bloccata all’ultimo piano da... qualcosa. Ed ero sola.
No. Non ero sola. Sfiorai la sfera liscia nella mia tasca.
- Phantump... – chiamai. Lui uscì con un piccolo gemito, per poi guardarsi attorno. L’oscurità era, dopotutto, l’ambiente che preferiva.
Fece un paio di giri, per poi fermarsi con lo sguardo tetro verso l’angolo opposto rispetto al quale mi trovavo io. C’era qualcosa lì.
Mi avvicinai, esitante. Sentii la creatura annidata nell’angolo ghignare, sbeffeggiandomi. Dalla sua posizione iniziò a diffondersi una lieve luce rossastra, sprigionata da quelli che sembravano rubini, disposti sotto l’ormai visibile ghigno della creatura. Gli occhi erano nascosti da quello che sembrava un cappello, quelli classici da stregone, con la punta. Era viola scuro con delle sfumature lilla. La parte inferiore del suo... corpo evanescente era composto da un drappo di stoffa irregolare che riprendeva i toni della testa.
- Che... che diavolo...? – domandai a me stessa, esitante, iniziando ad indietreggiare. Chi era quel... Pokémon?
Oh, certo che era un Pokémon. Ma perché mi stava bloccando lì? Che voleva?
Non feci in tempo a darmi una risposta che quello fece partire un strana fiamma spettrale sui toni del viola. Non era molto rassicurante, specialmente quando ce la lanciò contro.
“Fuocofatuo” riconobbi la mossa mentre prendevo Phantump in braccio per poi scartare di lato, onde evitare l’abbrustolimento mio e del mio Pokémon, tra l’altro di tipo Erba.
Ma il nostro avversario non demorse, e prima che riuscissi a fare qualunque cosa, era già sollevata in aria, in balia di un raggio rosato dalla consistenza psichica.
Attraversata da quell’energia non riuscivo a muovere un muscolo, ma gli occhi sì. Così riuscii a vedere Phantump, che era sdrucciolato via dalle mie braccia, guardarmi con curiosità, probabilmente indeciso sul da farsi.
- U-usa... Pallao..mbra – riuscii ad articolare con fatica.
Ci mise un attimo a recepire il comando, ma poi il mio Pokémon concentrò le sue energie in una sfera di medie dimensioni, la quale pareva fatta d’ombra che si confondeva con l’ambiente circostante, altrettanto buio.
Poi la lanciò, colpendo il signor cappello da strega, che bisbigliò minaccioso qualcosa. Intanto aveva perso la concentrazione, liberandomi da Psiconda e facendomi cadere da mezzo metro d’altezza, ossia dove mi aveva sollevata.
Atterrai in piedi per miracolo, traballando un secondo per l’impatto col terreno. Poi dovetti accucciarmi in fretta per terra, prima che un gruppo di foglie apparentemente affilate mi sfrecciasse sopra la testa, lasciando una scia violetta al loro passaggio. Si fermarono a mezz’aria dall’altra parte della sala.
“Fogliamagica” riepilogai alzandomi mentre la mossa infallibile scattava nuovamente verso il suo bersaglio, ossia la sottoscritta.
- Phantump, Fuocofatuo. – ordinai secca, indicando le lame vegetali che correvano verso di me, sperando nella prontezza del mio Pokémon.
Per fortuna quest’ultimo riuscì ad incenerirle prima che mi facessero a fettine.
- Ora finta! – sbottai, ordinando al mio Pokémon di attaccare l’avversario mentre questo preparava un ulteriore attacco, lasciandosi privo di difese. L’attacco andò a segno, facendo gemere lo spettro con il cappello.
Purtroppo sembrava avere ancora delle energie, per giunta era arrabbiato.
“Oh oh” pensai mentre caricava diverse sfere di energia oscura. “Palla Ombra” ragionai.
- Phantump stai in guard... – iniziai, ma una voce alle mie spalle mi face sobbalzare.
- Mismagius, ora basta! – esclamò una voce con forte accento francese alle mie spalle. Il Pokémon di fronte a me riassorbì le sfere, ubbidiente, permettendomi di voltarmi con maggiore sicurezza.
Avevo di fronte la donna più strana che avessi mai visto. Vestiva un lungo e ampio abito fucsia tendente al viola, tenuto in vita da una spilla a forma di croce gialla. Da sotto la gonna che pareva ricoperta di brillantini, si intravedevano due scarpe abbinate al vestito con il tacco basso. Ma la cosa più strana della donna erano i capelli, lilla come il resto e acconciati con chissà quanti quintali di lacca in quattro... sfere poste alle diagonali della testa. Due ciuffi più corti le incorniciavano ai lati il viso.
“Eccentrica” pensai.
- Devi scusare la mia disattenzione – esordì. Io mi limitai a guardarla, indecisa da che enfasi mettere nel mio sguardo.
- Sai... Mismagius è un mio Pokémon... doveva fungere da Boss finale per il gioco. – continuò quella, gesticolando con enfasi, come se fosse su un palcoscenico.
“Gioco?” pensai, mentre inarcavo le sopracciglia.
In risposta alla mia tacita domanda arrivò una voce conosciuta.
- Scusa, Anneke, è colpa mia. Mia sorella mi aveva fatto uno scherzo e io ci sono cascata, trascinando anche te. Appena ha saputo che eri finita contro Mismagius, siamo corse a chiamare Fannie. Questa doveva essere la prova di coraggio per la festa di Halloween di Cuoripoli... – raccontò una imbarazzatissima Louise.
Iniziai a capire. Era stato tutto un maledetto scherzo. Ero... infastidita. Sì, perché mi ero presa un colpo per niente.
-Olalà! – strillò Fannie accorgendosi di Phantump – Un Pokémon piuttosto raro da trovare a Sinnoh! Tres Bien! Ho trovato! – continuò a cianciare, lasciandomi confusa.
- Per scusarmi ti aiuterò a fare evolvere il tuo Pokémon! Oui? – chiese, raggiante della sua trovata.
Riflettei. Mi ero arrabbiata, sì, me l’ero presa per essere passata per una stupida. Ma dall’altro lato era difficile far evolvere Phantump in Trevenant, dato che quest’ultimo di evolve tramite scambio. Così accettai.
Arrivate a Cuoripoli facemmo subito lo scambio, approfittando del macchinario di cui era provvisto Centro Pokémon della città.
- Metti pure lì il tuo Pokémon... tres bien... io farò evolvere il caro Haunter, in un favoloso Gengar! – iniziò a cinguettare e piroettare l’eccentrica donna, che avevo scoperto essere la Capopalestra di Cuoripoli.
Per fortuna, nel giro di dieci minuti avevo di nuovo la sfera del mio Pokémon tra le mani, oramai evoluto in un albero un po’ più grande e tetro.
Ringraziai Fannie. Quella donna aveva la capacità di irritarmi e di starmi simpatica allo stesso tempo.
Scossi la testa mentre mi avviavo più a sud, a cercare ciò che ancora mi mancava.

~Angolino nascosto nell’ombra

E Aura se ne esce con uno schifo!
Perché non ne sono convinta? Beh... 1) non esprime paura nemmeno un po’; 2) al massimo è ridicolo; 3) Non so descrivere le lotte Pokémon e quindi ho fatto un macello; 4) ho tirato completamente a caso le mosse di Mismagius perché non me le ricordavo.
Linciatemi pure, se volete. Anzi, no, prima vorrei andare al Lucca, se permettete. Si, vi abbandono per un paio di giorni, ma niente di che. Forse tre se il giorno dopo sono un Phantom sul serio.
Allora. Non ho molto da dire. Anche perché so parlando ai muri dato che questa storia non se la caga  praticamente nessuno <3
Ah, non venitemi fuori a fare discorsi sull’autostima, perché voglio essere la sola che parla coi muri, non voglio trascinarvi al mio livello. E non scrivetemi nemmeno cose come “Ma io la seguo”. Ho detto “praticamente”, e questo, credo, avverbio esclude dalla cerchia i due poveri cristi che si rompono le palle a recensire e leggere. Anche se probabilmente è il contrario ahaha. *coffcoff*
Bene. Ho detto anche troppo.
Byeeeeeee!


Aura_
 

 

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Capitolo 4
*** Benedizione ***


FRAMMENTI - PASSO DOPO PASSO


One Shot 4 - Benedizione

Sentii il mio petto come oppresso da una forza di gravità nettamente più intensa del normale. La bocca era arida, il cuore batteva forte, troppo forte. Avevo sbagliato, avevo sbagliato tutto. Gli occhi e la mente si muovevano freneticamente, cercavano una via di fuga, mentre lui si avvicinava  con quella sua aria seria, ma triste, quasi desolata.
“No... non voglio finirla qui!”

L’odore di salsedine mi pungeva le narici e le risa dei bambini solleticavano i miei timpani. Faceva davvero caldo. Camminavo lentamente con le mani incrociate dietro la testa, godendomi il sole autunnale del tardo pomeriggio. Ero sola, sia Eclissi che Trevenant erano al fresco nelle loro Pokéball.
Ammiravo la spiaggia costituita dalla sabbia d’oro, permettevo alla brezza di insinuarsi tra i miei capelli e scompigliarmeli, mentre battevo la strada a lato costa con i miei sandali.
Mi piaceva Sinnoh. Era proprio una bella regione, e vantava un sacco di climi. Mi ero ripromessa di visitare Kalos, prima o poi. Era assurdo solo il pensiero che io non conoscessi la mia regione. Ma, dopotutto, ero dovuta scappare da essa per poter conquistare un po’ di libertà e di indipendenza, che da sempre sognavo.
Solo in quel momento mi resi conto del tempo passato. Era da più di un anno che giravo senza sosta per una regione sconosciuta, che tanto sconosciuta non era più.
Mi stavo dirigendo verso Arenipoli, città che avevo già visitato e dove alloggiavo da una settimana. Un’invenzione geniale, il Centro Pokémon. Era là che alloggiavo.
Per un periodo avevo lavorato a Flemminia per il piccolo giornale locale, per poi rimettermi in viaggio.
Un anno... mi ritrovai a pensare ai miei. Avevo promesso che sarei tornata.
Ma quando l’avrei fatto? Non sapevo rispondere a questa domanda.
Presi a calci un ciottolo che mi capitò a tiro. Lo colpii un paio di volte, prima che finisse fuori dalla mia portata. Sospirai.
“Che faccio... non mi sento ancora pronta per tornare a casa... potrei viaggiare per Kalos per poi tornare...” riflettei, mentre la grande e tecnologica città appariva davanti ai miei occhi.
Sospirai nuovamente, un po’ malinconica. Presto avrei lasciato quella regione così affascinante.
Entrai nel varco che collegava il percorso sul mare con la città. Caotica, tra l’altro. Non avevo nemmeno  fatto in tempo ad entrare, che subito mi ero imbattuta in un gruppo di ragazzi e ragazze che attorniavano un giovane sulla ventina con i capelli rossi afro, che sorrideva come un idiota, un po’ a disagio.
Schioccai la lingua, infastidita. Le persone non sanno quando è ora di smettere di comportarsi come bambini davanti a un pagliaccio che distribuisce palloncini sagomati.
- Povero, povero Vulcano, eh, Anneke? – chiese uno degli altri spettatori a quella ridicola scenetta. Io feci un mezzo sorriso.
- Mi domando come faccia a sopportarlo... io non ci riuscirei – ribattei, voltandomi a guardare il ragazzo. Corrado, il capopalestra. Lo avevo conosciuto per caso, mentre visitavo la torre. Eclissi aveva attaccato briga con il suo Luxray.
- Si, in effetti è un po’ seccante – ammise il giovane con un piccolo sorriso. Anche lui ci passava ogni tanto, dopotutto. Poi, ogni scintilla di ilarità sparì dai suoi occhi azzurri, lasciando il posto ad un’espressione seria.
- Anneke… prima ero sulla torre… e qualcuno mi ha chiesto di te. – disse.
Inclinai la testa un po’ stupita. Non conoscevo molta gente, e la maggior parte non conosceva il mio nome.
Ringraziai Corrado e mi avviai verso la torre di Arenipoli, il fulcro attivo della città. Avevo il cuore in gola per l’agitazione, ma tentai di mantenere la calma e un passo costante.
Ci mancava solo che le persone della città si accorgessero della mia agitazione e che mi fermassero per assicurarsi delle mie condizioni. Probabilmente non sarei riuscita a rispondere, avevo la bocca impastata.
La torre era piuttosto lontana, ma la si poteva vedere persino da fuori dalle mura della città. Aveva una forma curiosa, una sorta di cupola troppo alta e stretta che terminava con una sorta di punta in cima. Verso la cima partivano due… ali, o almeno davano l’impressione di essere tali. Un po’ corte effettivamente, per sorreggere la struttura, ma…
“Sto facendo dei pensieri inutili” mi sgridai, continuando a camminare verso la mia meta.
Varcai la soglia lentamente, prendendomi il tempo per chiedermi se fosse meglio prendere le scale o l’ascensore. Poi mi ricordai che la struttura possedeva unicamente le scale antincendio, adoperate solo in caso di emergenza.
Sospirai sommessamente, schiacciando il bottone. Le porte si dischiusero immediatamente, permettendomi di accedere nella stanza, che era di media grandezza, provvisto di specchio e vetro e privo di decorazioni.
Mi resi conto che Corrado aveva dimenticato di dirmi il piano, ma probabilmente dovevo salire fino all’ultimo, dove il Capopalestra passava la maggior parte del suo tempo libero.
Schiacciai il pulsante più alto e l’ascensore sobbalzò, iniziando a salire velocemente, mentre dal vetro si vedeva la città abbassarsi sempre di più. Con una nuova scossa, arrivai al piano più alto, quello poco sopra le “ali”.
La zona era circolare e piena di vetri, accanto ai quali erano posizionati a distanza uguale l’uno dall’altro, dei cannocchiali. Guardandoci attraverso si poteva intravedere la Lega Pokémon di Sinnoh. La parte centrale era accessibile solo a Corrado, e conteneva il pannello di controllo della torre.
Girai per il corridoio a ciambella, che pareva vuoto. Finché non lo vidi.
Un uomo sulla cinquantina, piegato su un cannocchiale, spiando interessato il panorama. Vestito molto elegantemente, la valigetta posata accanto alla sua gamba destra, il cappello che nascondeva parte dei capelli neri, ormai striati di grigio.
- Finalmente ci rincontriamo, Anneke – esordì con voce calma e pacata – Quanto è passato dall’ultima volta? –
Lo avevo riconosciuto subito, ma questo non aiutava la situazione. Che si aggravò ulteriormente quando l’uomo si girò a guardarmi con quelle iridi nere, talmente scure da fondersi con la pupilla.
Sentii il mio petto come oppresso da una forza di gravità nettamente più intensa del normale. La bocca era arida, il cuore batteva forte, troppo forte. Avevo sbagliato, avevo sbagliato tutto. Gli occhi e la mente si muovevano freneticamente, cercavano una via di fuga, mentre lui si avvicinava  con quella sua aria seria, ma triste, quasi desolata.
“No... non voglio finirla qui!” pensai, disperata, mentre indietreggiavo.
- Anneke… vieni. Concedi una passeggiata a tuo padre, figlia mia – disse, tendendomi una mano.
-...no…- sussurrai.
- Anneke… - provò lui.
- NO! Io non tornerò indietro con te! – gli urlai addosso. – Non mi importa quello che dice la mamma o cosa ne pensa di me “l’alta società”, io resto qui dove voglio stare! – continuai ad aggredirlo.
- ... Anneke. Calmati. – Camminò lento verso il vetro, a guardare il cielo azzurro, praticamente privo di nuvole. – Me la concedi o no questa passeggiata? Non sono qui per riportarti a casa, se non lo desideri – spiegò poi.
Riflettei. Avevo sempre i miei Pokémon con me. Ero veloce, sarei potuta scappare. E, nel caso peggiore, fare finte che lui fosse un maniaco per far venire qualcuno in mio soccorso.
Accettai e scendemmo dalla torre, in silenzio. Sempre senza proferire parola imboccammo una delle strade che costeggiava dall’altro il mare.
- Sei molto cresciuta, lo sai? E ti sono cresciuti i capelli… sei diventata proprio una signorina – ruppe il ghiaccio mio padre.
- Mmm – mormorai in risposta, tanto per fargli capire che lo stavo ascoltando.
- Sai… quando ha trovato quel biglietto, tua madre è diventata isterica. Aveva paura per te. Mi aveva chiesto di inseguirti. Ma non ho voluto, so bene che non sei insubordinata. Ho pensato che, se avessi avuto paura, saresti tornata. E invece, dopo un anno, sei diventata totalmente indipendente… - raccontò con voce lontana, quasi nostalgica.
Mi voltai ad osservarlo. Si fidava di me…? Questa era una sorpresa. Mi ero convinta della loro scarsa fiducia nei miei confronti.
Ma poi ci pensai meglio. Era mia madre quella fissata con le buone maniere, la grazia, l’eleganza, l’alto rango sociale. Era lei che voleva quella vita per me. Mio padre l’aveva sempre appoggiata, ma… mi aveva regalato Eclissi. Mi aveva lasciato andare. Quali erano le sue vere intenzioni?
- Come stanno i tuoi Pokémon? – chiese.
E io gli raccontai di Trevenant e di alcune situazioni, senza entrare troppo nei particolari. Ma… mi sentivo bene… come se mi fossi liberata da un peso.
Finalmente, non percepivo più mio padre come un estraneo, ma come una vera figura paterna.
Parlammo ancora, di lui e la mamma, di me e dei miei viaggi. Parlammo tanto, il discorso più lungo della mia vita. E probabilmente il più bello. Gli raccontai anche di Fabrian, e lui strabuzzò gli occhi, indignato.
- Come si è permesso, quel damerino…! – esclamò, e non potei non ridere per la posa da generale militare che aveva assunto. – Beh… se va bene a te… - sospirò quando si rese conto della figura che aveva fatto.
Guardò l’orologio  e sospirò.
- Dove andrai adesso, Anneke? – mi chiese, guardando verso il mare.
- Non ne sono sicura… non voglio ancora tornare a vivere a Frescovilla… mi piacerebbe viaggiare ancora… - dissi, in cerca di un consiglio.
- Se è quello che vuoi fallo. Porterò io i tuoi saluti a tua madre – mi sorrise, mentre ci avvicinavamo al porto.
- Dove mi consigli di andare? – chiesi, sperando che, almeno lui, fosse andato da qualche parte.
- Uhm… un bel posto, eh? Vediamo… - rifletté per qualche istante con la mano appoggiata sul mento. – Ci sono stato una sola volta… ma è stato affascinante… sì, credo proprio che Johto potrebbe piacerti – suggerì, sorridente.
Annuii, convinta. – Bene, allora. Andrò a Johto. E poi… tornerò a Kalos, per visitarla e tornare a trovarvi.-
Anche lui fece un cenno affermativo con la testa.
- In tal caso… - disse, tirando fuori dalla valigetta una borsa di plastica – Questi potrebbero tornarti utili. Coraggio, prendili. –
Infilai una mano nella borsetta, e le mie dita toccarono qualcosa di liscio, che vibrò sentendo la mia presenza. –Una… Pokéball? – esclamai, sorpresa.
- È un Noibat. Dato che non torni a casa, puoi portare un po’ di Kalos con te. Dai, guarda anche il resto. – mi invogliò lui.
Assicurai la sfera sulla cintura, e poi esaminai il resto. Dentro c’erano ancora un Hovolox e una strana tessera.
- Puoi utilizzare l’Hovolox per chiamarci… il mio numero e quello di tua madre sono già salvati. Su quella carta invece, trovi dei soldi. Questo viaggio deve farti crescere, ma in qualità di genitore mi sono preso la libertà di darti una mano – spiegò, sorridente.
Ricambiai il sorriso. – Grazie, papà.-
Ci abbracciammo per un po’.
- Ora devo proprio andare, Anneke. Hai la mia benedizione. Mi raccomando, divertiti e non fermarti mai davanti a nulla. Ti voglio bene, figlia mia. – disse. Ci salutammo e lui se ne andò.
Ero un po’ triste, ma l’avrei rivisto. Ora sapevo che mio padre era dalla mia parte ed ero felice.
E con il sorriso sulle labbra, mi imbarcai diretta a Johto.
 

Angolino nascosto nell'ombra:

Wei. Ho pubblicato prima delle 10, cosa che non succede praticamente mai. Quanto sono brava.
.....................
Certo, Aura, ceeeeeeeerto...
Dicevamo! Questa è la mia ultima one - shot e penso di essere anche l'ultima a pubblicare. E menomale. Perché chi mi conosce bene sa che io sono lenta come una lumaca.
Ma questo non vi inateressa.
Probabilmente chi ha letto il titlo avrà pensato che Anneke si è andata a confessare o è stata in qualche modo santificata.
SORPRESA!
Io con "benedizione" intendo quella che le da il padre per continuare il suo viaggio, infischiandosene della madre, tra l'altro. E perché ho scritto proprio questa cosa?
Non c'è un motivo particolare. Ho già detto che sto provando a parafonare Anneke alla sottoscritta, almenoun po'. E quindi, ripescando avvenimenti vari a una (buona) dose di fantasia, è saltato fuori questo.
E tutto sommato non mi fa così schifo. È un po' noiosa, ma questa è una caratteristica che hanno tutte le mie storie. Almeno dal mio punto di vista.
È anche un po' cortina, ma pazienza. L'importante è che non siano semplicemente tre righe, no?
Bene, non voglio annoiarvi ulteriormente. Io e il resto del gruppo vi aspettiamo per la long.
A presto!

Aura_

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