Afraid.

di Piovonoautunni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** New arrivals ***
Capitolo 2: *** Delusion. ***



Capitolo 1
*** New arrivals ***


“Io mi sono sempre chiesta il motivo per cui tu abbia deciso di lavorare qui, Shana.”  
Katia mi stava aiutando a infilare la mia divisa da infermiera mentre io le sistemavo il cartellino e come al solito quella domanda non mancava mai.
“E’ complicato lo sai, diciamo che mi piace aiutare la gente.” Sorrisi mentre pronunciavo quelle parole.
“Se ti piace aiutare la gente fai il medico o meglio, lo psicologo. Ma in ogni caso secondo me sei troppo giovane, a venticinque anni non puoi sprecare la tua vita a lavorare dentro un manicomio!”
Eh già, io lavoravo in un manicomio o meglio, ospedale psichiatrico. Il motivo per cui lo facevo lo sapevo solo io, Katia è una bravissima donna ma avendo più di cinquanta anni credo che non lo possa capire. La verità è che nel mio piccolo da infermiera voglio aiutare tutti i pazienti che entrano qui dentro, per il semplice fatto che sono stata rinchiusa anch’io dentro un manicomio per alcuni mesi qualche anno fa. Io meglio di altri so come ci sente quando nessuno ti capisce, sentirsi soli e incompresi, non riesci più a combattere e questo porta alla depressione che viene scambiata per problemi mentali.
“Sapevi che oggi arriva un nuovo paziente? Però la cura deve essere strettamente riservata, nessuno deve sapere che è qui, figurati! Credo che faccia il cantante o cose così” Provai a ricordarmi se ne avevo sentito parlare in riunione ma proprio non ci riuscivo.
“Ah non lo sapevo, va bene. Come si chiama? Oh ma si è fatto tardi me lo dirai dopo, io vado in salone per stare con Maggie e Hudson. A dopo.” La salutai con un gesto della mano mentre mi allontanavo.

“Ciao ragazzi.” Maggie e Hudson erano moglie e marito ed erano lì perché lei aveva un patologia al cervello e lui a causa di questo era diventato depresso e aveva ucciso un uomo.
“Buongiorno Shana, come va oggi tesoro?” Hudson mi accoglieva sempre così la mattina, era vecchio ma molto affettuoso. Maggie invece si limitava a sorridere.
“Tutto bene, grazie. Voi avete dormito bene?” Mi è sempre piaciuto preoccuparmi degli altri, non so perché ma mi faceva sentire meglio.
La mattinata passò come tutti i giorni che trascorrevo lì dentro. Quel giorno era un lunedì e dovevo staccare alle otto di sera.

Dopo l’ora di pranzo Evan,  il dirigente del manicomio, venne da me per parlarmi.
“Shana, sono qui per informarti dell’arrivo di un nuovo paziente, non so se già lo sai ma comunque è tutto molto privato, anzi segreto. Se per te va bene vorrei incaricartelo perché so che sei brava in questo genere di rapporti e nelle tue ore libere ci penserà Dennis.” Sarebbe stato un compito molto difficile ma non potevo rifiutare, doveva essere importante se era venuto di persona.
“Certo, sono qui per questo. Devo sapere qualcosa su di lui?” Mi mostrai calma e felice, come al solito.
“Ci passerai quasi tutto il tuo tempo insieme perché deve uscire il prima possibile, è famoso e ha qualche anno in più di te. Mh, ora mi sfugge il nome ma dovrebbe arrivare fra poco. A fine giornata ne riparleremo, conto su di te. Mi raccomando.” Appena andò via arrivò un attacco d’ansia.
Non avevo mai avuto così tante responsabilità, in più questo era un paziente speciale, un cantante. E se fosse entrato da quella porta uno dei miei cantanti preferiti? Girovagai per le stanze facendo finta di controllare che fosse tutto in ordine e preparai la stanza 17 al nuovo arrivato. Mancava poco, me lo sentivo e feci finta di assentarmi un attimo e passai dieci minuti buoni chiusa nel bagno riservato al personale. Al mio ritorno la stanza 17 era chiusa a chiave e io non ebbi il coraggio di guardare attraverso la finestrella, ero molto agitata perché non sapevo chi poteva esserci dietro quella porta blindata. Erano le tre del pomeriggio e alle cinque sarei dovuta entrare per portare le medicine al ragazzo e conoscerlo. L’ora successiva la passai in cucina ad aiutare un po’ e la seconda ora invece partecipai a una visita a due pazienti del dottor Simmons.

Tremava leggermente la mano sinistra che reggeva un bicchiere con una pillola ma la destra era decisa a girare la chiave della stanza 17. La aprii e prima di alzare lo sguardo verso il letto la richiusi. Il paziente era seduto per terra con braccia e ginocchia che gli coprivano il viso. Non dovette nemmeno alzare lo sguardo, realizzai in pochi secondi chi fosse, impossibile non riconoscere la corporatura esile e soprattutto l’elevato numero di tatuaggi sulle braccia. Oliver Sykes.
 
  --------------------------------------------- Ciao a tutti! Questa è la prima storia che pubblico,spero che vi piaccia. Trovate la stessa storia su wattpad ho deciso di pubblicarla anche lì(: L'ambientazione del manicomio è un pò ambigua lo so, ma io sono fissata con Pretty Little Liars e lì ne parlano sempre! A presto. Scusate per gli errori.

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Capitolo 2
*** Delusion. ***


La mia bocca si spalancò di scatto e lo stupore fu talmente tanto che feci cadere a terra il bicchiere d’acqua con la pillola, fece rumore e qualche schizzo colpì il bellissimo viso di Oliver mentre alzava lo sguardo verso di me. Strizzò gli occhi e mi guardò confuso. Non riuscii a togliergli gli occhi di dosso e non mi resi conto di quello che fosse successo fin quando chiusi la bocca con uno scatto. Abbassai lo sguardo e non visto che non potevo asciugare il pavimento mi girai verso la porta.
“Mi è scivolato.” Dissi secca poi aprii la porta e uscii. Non so perché lo feci, avevo davanti a me Oliver Sykes e invece di fare il mio lavoro mi stavo tirando indietro, come al solito. Oliver Sykes, il cantante dei Bring Me The Horizon. La mia band preferita e il mio cantante preferito, ma non era solo un cantante, era un cosiddetto ‘idolo’. Era l’unica persona che mi avevo promessa di amare tutta la vita. Vestivo Drop Dead perché era la sua azienda, andai a tre concerti in prima fila, compravo cd e maglie, tutto per sentirlo più vicino a me. In ogni caso non avrei mai potuto conoscerlo, lui viveva in una villa con la sua bellissima ragazza, Hannah; io vivevo in un appartamento da sola anche se il mio ragazzo, Tyler dormiva spesso da me. Oliver aveva problemi di alcool e di droga, i polmoni neri e aveva anche alcune denunce, questo era il motivo per cui era finito in manicomio, o almeno così pensavo. Sapevo che si divertiva a farsi del male e a provocare le persone ma sapevo che non avrebbe mai fatto del male a qualcuno.
“Non posso farlo.” Spalancai la porta dell’ufficio di Evan, senza bussare e non potevo farlo ma in quel momento non ci pensai, ero agitata e speravo che mi avesse capito.
“Di cosa stai parlando?” Era sorpreso e per fortuna non arrabbiato.
“Non posso occuparmi del paziente della 17, ti prego assegnalo a qualcun altro.” Non potevo perché non ce la facevo, non riuscivo a vederlo senza forze, chiuso in un manicomio. Era spericolato ma non era pazzo. Non ce l’avrei fatta a guardarlo negli occhi, quando implorava aiuto. Con la sua musica lui mi aveva salvata per quattro anni e io non mi sentivo alla sua altezza.
“Shana per favore non fare scenate, lo sai benissimo che non puoi tirarti indietro. Ti conosco e so che sei in grado di aiutarlo, tu sei l’unica tra di voi. Quel ragazzo ha bisogno di te.” Dal suo sguardo si capiva che non accettava un no come risposta e non potendo rispondere sospirai e uscii. Dovevo portare avanti il mio compito, dovevo aiutare un paziente. Oliver Sykes era un paziente come gli altri e io dovevo offrirgli il mio aiuto e il mio affetto, dovevo aiutarlo a farlo uscire il prima possibile per fargli continuare la sua carriera.
Presi un’altra pillola e un altro bicchiere e rientrai nella stanza 17. Oliver era allungato sul letto e guardava il soffitto, si accorse della mia presenza ma non disse una parola.
“Devi prendere questa.” Nessuna risposta. Non sapendo cosa fare feci un passo avanti. “Senti, lo so che vuoi stare da solo perché vuoi fare il ribelle e non vuoi il mio aiuto, faccio l’infermeria e questo è il mio lavoro, dovrei anche parlarti per farti sentire meglio ma visto che non vuoi me ne farò una ragione. Ora ingoia questa così posso andarmene e tu puoi fare il depresso quanto ti pare chiuso qui dentro e io vado a farlo fuori.” Era una delle tecniche del mio lavoro, ma quella volta era diverso perché era quello che avrei detto se non fosse Oliver e io non stessi lavorando. Era giovane e trasgressivo come da sempre lo ero stata io prima della depressione. Mi aspettavo che mi guardasse con aria scocciata prendesse la pillola e ricominciasse a mettere il broncio e invece fece l’ultima cosa che  mi aspettassi.
“Scommetto che tu sai già tutto di me vero?” Mi sorrise. Aveva il sorriso più bello del mondo, impossibile non perdersi dentro.
“Se lo so non è di sicuro grazie al mio lavoro.”  Mi mostravo tranquilla ma dentro ero felice e preoccupata, cosa dovevo dirgli? Il mio lavoro era farlo sentire meglio ma io dovevo fare di più, dovevo aiutarlo e volevo conoscerlo. Avrei realizzato il mio sogno.
“Per questo prima hai fatto cadere quel bicchiere?” Disse indicando il bicchiere che si trovava dov’era prima. “Sei una specie di fan? Figo.” Era tranquillo e sorrideva, dovevo smetterla di crearmi paranoie.
“Mh sì, una specie. Devi prendere la pillola, Oliver.” Avrei passato dei guai se non l’avesse fatto.
“Poi te ne andrai? La prendo solo se resti qui.” Se solo avesse saputo che sarei rimasta anche tutta la vita.
“No, non me ne vado.” E a quel punto ingoiò la pasticca senza aggiungere una parola. Non sapendo cos’altro dire raccolsi il bicchiere da terra e mi guardai intorno.
“Come ti chiami?” Chiese all’improvviso.
“Shana.” Sorrisi in modo amichevole.
“Shana, mi farai uscire da qui, vero?” Gli interessava solo quello, avrei dovuto immaginarlo.
“Se scapperai finirai in galera.” Dissi evitando il suo sguardo.
“Che palle, aiutami dai.” Aveva gli occhi stanchi ma si vedeva che aveva la forza di lottare.
“Non posso Oliver, posso aiutarti a sentirti meglio se vuoi. Sono qui per qualunque cosa ma non posso farti uscire.” Mi sedetti sul suo letto sperando che avesse capito e potessimo iniziare a parlare.
“Qua la depressa sei tu, porca puttana vattene.” Mi guardò con aria schifata e girò lo sguardo, come al solito un’altra delusione.
Mi aveva cacciata e l’unica cosa che potevo fare era uscire senza dire una parola per non peggiorare la situazione.
 
 

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