Formidabile Follia di DaisyBuch (/viewuser.php?uid=696421)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il Risveglio ***
Capitolo 3: *** Il Risveglio - Parte Seconda ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Non vedevo niente, all’inizio. Poi macchie di colore sono apparse a ritmi irregolari. Sapevo che mi stavo muovendo, lo sentivo adesso. Potevo percepire diverse voci, voci femminili e voci maschili. Una donna urlava il mio nome. –Camilla! Camilla!- Ma le urla erano come un’eco, a volte scomparivano, poi le sentivo dentro la testa. Camilla. Io mi chiamavo Camilla. Dico mi chiamavo perché sto morendo, giusto? Non mi chiamo più Camilla oramai. Le macchie di colore talvolta aumentavano, sentivo un bruciore intenso sulle braccia, le mie mani erano tutte appiccicose, muoverle mi faceva male. Volevo capire dove mi trovassi, perché urlavano il mio nome, chi urlava il mio nome, ma sarebbe stato inutile. Io stavo morendo e niente importava più. Perché preoccuparsi di una cosa, quando non puoi fare niente per cambiarla? Io non posso più cambiare niente della mia vita perché una vita non ce l’ho più, non riesco neanche a vedere. Sbattei gli occhi più volte, o almeno credetti di farlo. I colori si affievolivano, adesso era un miscuglio di rosso verde e giallo. Sbattei di nuovo le palpebre, niente. Ma le mie braccia bruciavano ancora e la testa mi girava, avevo immaginato la morte molto più tranquilla. Me l’ero immaginata così tante volte, avevo passato più tempo a fantasticare su questa piuttosto che sulla vita, mi ero sempre detta di non aver paura della morte. E’ della vita, invece, che ho paura.
La morte è semplice, lasci la presa e ti abbandoni, decidi di non alzarti più la mattina, decidi di non soffrire, di non vedere più la tua famiglia, i tuoi amici.. te stesso. La vita no. La vita continua a buttarti giù, continua a farti soffrire senza un’apparente motivo, vuole vederti a terra sconfitto per sentirsi superiore. E io glielo lascio fare, a me non frega niente di lei come a lei non frega niente di me, il destino con me si è arreso. L’universo ha partorito un minuscolo pezzo di merda come me e se ne vergogna, così vuole farmi sparire. E io mi sento così umiliata, anche io vorrei sparire. Forse Dio mi ha graziata. Forse esiste veramente e la professoressa di Francese si sbagliava, Dio esiste e mi ha salvata da questa vita del cazzo. Scusa allora Dio, se esisti. Ma fammi morire velocemente, tutti questi pensieri mi fanno male alla testa, e anche queste fastidiose voci. Adesso erano più forti, più vicine. La morte fa un gran rumore. Aprii un’altra volta gli occhi. Per un breve secondo fui accecata da una luce, capii che ero sdraiata da qualche parte, e quello davanti a me era il soffitto. Sbattei di nuovo gli occhi per vedere meglio, ma le voci gradualmente scomparvero e i miei occhi si chiusero.
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Capitolo 2 *** Il Risveglio ***
form
Il mio
udito fu il senso che si risvegliò per primo. Udii quel fastidioso rumore di
sottofondo ch era simile ad una sveglia, lo sentii per molto tempo prima di
realizzare cosa fosse, mi ci vollero ore per prendere coscienza e risvegliarmi
del tutto. Dopo un po’ il rumore si fece più intenso e più vicino, i miei occhi
sembravano sigillati, non riuscivo a muoverli e neanche a capire dove fossero.
Quasi come se non avessi più coscienza del mio corpo. Dopo altro tempo che
sembrava infinito sentii una scossa sul dito, non l’avevo mosso io, si era
mosso da solo, ma almeno avevo individuato dove fosse. Provai a muovere quel
dito, ma non ci riuscii e per quanto riguarda le altre dita, non sapevo dove
fossero, non ricordavo più la fisionomia del mio corpo. Ma a poco a poco sentii
i brividi sul braccio, e individuai anche quello, e dopo molto tempo riuscii a
stabilire quasi tutte le parti del mio corpo senza muoverle.
Tutte tranne la
testa, quella la sentivo pesante e mi faceva male per lo sforzo perciò senza
volerlo, mi addormentai di nuovo. Il giorno dopo mi sveglia potendo muovere
tutte le dita, piano piano e dopo svariati tentativi, il rumore di sottofondo
si era fatto più chiaro e la mia mente si era risvegliata. Avevo riacquisito la
capacità di pensiero, quella di intendere e di volere almeno. Capii che mi
addormentavo spesso e mentre riflettevo molte volte non ricordavo ciò che stavo
pensando prima di addormentarmi, il mio corpo era stanco, la testa ancora
pesante e non riuscivo a muovere né le labbra che sembravano ancora incollate,
assieme alla lingua che invece sembrava scomparsa, e gli occhi erano ancora
chiusi. Ma mi sembrava di vedere, mi ero fatta un’idea di dove mi trovassi, o almeno
pensavo a molte cose che si figuravano davanti a me, perciò non sentivo il
bisogno di aprire gli occhi. Apparte il rumore della macchina dell’ospedale (
almeno così dedussi dopo un po’ di tempo) non sentivo nulla, solo gradualmente
mi accorsi che stessero passando intere giornate, poiché qualcuno entrava
spesso dalla porta, il che era scandito dal rumore della porta stessa e dalle
voci lontane che udivo quando questa si apriva. Entrava dalla porta se ne stava
lì per un po’, pregavo che spengesse del maledetto rumore, ma non lo fece. Il
giorno dopo venni svegliata da questa voce femminile e dolce che parlava con
altre due persone. Le conoscevo bene queste voci, una era di mio padre e
l’altra di mia nonna. Afferrai poche parole, -Come sta?-
-Si è stabilizzata, starà bene.- Continuarono per un po’ ma non mi andava di
sentirli parlare, stavo provando ad intervenire, provai a muovere il dito. Ce
l’avevo fatta! L’indice e il pollice si muovevano, provai a muovere le gambe e
le braccia ma non ci riuscii, provai a parlare ma niente. Stavolta non riuscivo
ad addormentarmi, mi stavo annoiando. Non ero più rimbambita come gli altri
giorni, questa volta sentivo tutto e riuscii anche a sentire il profumo di papà
e mamma nell’aria. Forse oggi c’era stata lei. Sicuramente, avevo riconosciuto
il suo profumo, lo spruzza sempre ovunque, ed è buonissimo. Poi più che altro
ci fu puzza di malato, ovvero di me. Altrimenti perché sarei qui, incollata da
qualche parte senza potermi muovere, né aprire gli occhi e la bocca?
Questa domanda venne velocmente sorpassata dal mio cervello, mi pulsò la testa
e mi scordai a ciò a cui stavo pensando, ma non ci feci molto caso. Il giorno
dopo aprii la bocca, lentamente le mie labbra di schiusero era come se per
tutto quel tempo avessi avuto della colla tra esse. Fui sollevata, feci un
ampio respiro dalla bocca, che mi fece male al petto, ma almeno sentii il
petto, che era una delle ultime cose che mancava all’appello. Inumidii le
labbra, mossi la lingua. Era una sensazione magnifica. Ma cominciai a pensare
al peggio, all’appello adesso mancavano solamente gli occhi e le gambe, per il
resto sentivo o muovevo tutto. Pensai di
essere diventata cieca, o forse non avevo più le gambe. Il panico s’impadronì
del mio cervello, non riuscivo più a pensare, avevo paura. Feci una serie di
ampi respiri, l’ultimo della quale non sentii neanche troppo male al petto.
Perché ero finita all’ospedale? Perché sicuramente ero all’ospedale, l0’ipotesi
che fossi morta era da escludere, sentivo troppe voci, troppi profumi
familiari. Chi ero? Pe rispondere a questa domanda mi ci volle un po’. Scoprii
di non ricordare quasi niente. Associavo voci e profumi a persone o a posti, ma
non ricordavo quasi nulla. Ma si finisce all’ospedale perché ci si è fatti
male, forse ho fatto un incidente. La testa mi ricominciò a pulsare, decisi di
smettere di pensare e agire.
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Capitolo 3 *** Il Risveglio - Parte Seconda ***
formidabl
Accesero la televisione e misero una soap opera. Questa
sicuramente era nonna, odiavo quel telefilm, non finiva mai e non sapevano
recitare. Mi addormentai e quando mi risvegliai sentii dalla voce del
presentatore al telegiornale che annunciava l’ora. Era sera. Decisi di
riprovarci, volevo muovere le gambe. Proprio quando stavo per sforzarmi al
massimo a muovere le gambe queste si mossero con assoluta facilità, come se non
aspettassero altro. Mi partì in alto il ginocchio e mossi tutte le coperte. Il
letto sobbalzò di poco e ciò mi permise di muovermi dalla posizione scomoda a
cui ero stata costretta e da cui nessuno si degnava di spostarmi, accolsi con
sollievo quel cambiamento. Nonna sentii il rumore e vide che mi ero mossa. –Sei
sempre stata una bambina agitata.- Si alzò mi rimise le coperte apposto e se ne
ritornò a vedere il suo telefilm. Volevo urlare, volevo oppormi, ero stanca di
stare in quella posizione, era una tortura. Stavo urlando dentro, urlando e
piangendo, non ce la facevo più, inoltre in quel momento anche la mia vescica
si risvegliò e cominciai ad avere bisogno di utilizzareil bagno, ma sapevo fare
solo poche e piccole mosse. Continua a piangere e gridare dentro per la
disperazione finchè non mi uscì un sonoro –AAAAH!- Sentii la sedia della nonna
fare un salto. –Oh Dio, Camilla, stai bene? Infermiera! Infermiera, ha
gridato!- Camilla? Non mi uscì più
niente di significativo, la testa mi faceva malissimo per le lacrime e le urla,
l’infermiera venne e mi tastò da qualche parte, venne il turno della pancia e
sussultai.
-Ha gridato, non sta bene? Morirà?-
-No no, si tranquillizzi molto probabilmente i suoi bisogni cominciano a
risvegliarsi. Sicuramente deve andare in bagno, perciò provvederò, finchè non
si muove del tutto non può alzarsi.- spiegò.
Dopo un po’ l’infermiera andò via e così anche il mio bisogno di urinare. Mi
addormentai di nuovo.
Alcune ore dopo o il giorno dopo, non saprei dirlo poiché non sapevo l’orario,
mi risvegliai. Senza quasi accorgermene aprii gli occhi, sentii il familiare
rumore dell’aggeggio meccanico che aveva presieduto le mie giornate, lo vidi
molto più snello di ciò che mi aspettavo. Ero sola, non c’era nessuno. Richiusi
subito gli occhi, non riuscivo a tenerli aperti per molto tempo, c’era una
piccola luce che mi disturbava anche con gli occhi chiusi. Doveva essere notte,
tutto apparte questa luce era al buio. Piano piano mi abituai alla luce della
stanza. Aprii sempre di più gli occhi e per molto tempo di seguito. Ero tutta
intera, non mi mancava nulla. Osservai la stanza, me l’ero immaginata così
tante volte. Speravo quasi che ci fosse qualcosa di familiare come il mio
armadio in camera, oppure la roba in disordine di Alessandra sul pavimento. La
testa mi pulsò forte, fortissimo. –Ahi.- dissi. Con calma alzai le braccia
intorpidite, e con gran sollievo le portai verso la tempia sinistra,
massaggiai, ma il dolore era oramai scomparso, era solo una fitta.
I dottori dissero che dovevo rimanere all’ospedale ancora
per un po’. Mamma e papà mi abbracciarono forte quando mi videro con gli occhi
aperti, mamma pianse un po’. Chiesi
delle spiegazioni e mamma mi disse solamente che avevo fatto un incidente in
motorino, rischiavo di perdere l’uso delle braccia, ho perso molto sangue. Il
medico di turno mi visitò la mattina dopo che mi risvegliai, mia madre, mio
padre e mia nonna erano lì davanti a me e non intendevano andarsene.
-Molto bene Camilla.- disse il medico con la sua voce roca. Camilla. Quel nome
mi suonava così strano, e detto dal medico alto ed imponente sembrava quasi un
rimprovero. Anche lui era strano, dai suoi occhi traspariva la stanchezza e la
falsa gentilezza di chi se ne vuole andare solo a casa.
-Adesso per la procedura, prima di farti uscire dall’ospedale dovrai fare delle
sedute con uno psicologo, è la regola.- pausa, -dopodichè dovrai stare per un
po’ di giorni tranquilla a casa.- Quel suo tono troppo amichevole non mi
convinse molto, lo trovai falso, e quella pausa non faceva altro che accettarmi
dei miei sospetti.
-Ma se non ho niente di rotto perché devo stare a casa?- dissi guardandolo
fissa negli occhi.
Lui diede uno sguardo ai miei genitori, abbassò gli occhi e si rivolse di nuovo
a me –Te l’ho detto, dobbiamo accertarci che tu sia stabile sia
psicologicamente che fisicamente, hai perso molto sangue.- Mi sembrava una
scusa, ma non ci feci caso sul momento, era un medico no? Sapeva quello che
diceva.
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
La casa era estremamente silenziosa. C’era un profumo familiare nell’aria, era quello di Alessandra, purtroppo da quello che ricordavo era ancora all’estero per l’Erasmus a Berlino. Lei odiava il tedesco ma i nostri genitori l’avevano quasi costretta, dicevano che era per il suo futuro, e lei alla fine ci è andata e dovrebbe tornare tra un mese.
-Notizie di Ale?- spezzai il silenzio mentre mio padre saliva le scale dietro di me.
Mio padre non mi rispose, si prese un po’ di secondi mentre guardava a terra e lanciò una breve occhiata a mia madre, dovevano ancora essere furiosi con lei per essersi opposta così tanto.
-Lei odia Berlino.- disse infine papà. Io non feci altre domande, sicuramente non si contattavano da molto, così entrai nella camera e presi subito il cellulare, come se fosse nuovo. Non lo usavo da molto tempo e volevo mandare un messaggio a mia sorella.
-Ricordati di Non toglierti le bende dalle braccia tesoro!- la voce squillante di mia madre si affacciò alla porta e io sobbalzai.
-Che stai facendo?- chiese preoccupata quando mi vide con il telefono in mano.
-Niente..- sviai. Dio, odiavo quando si devono per forza intromettere.
-Il wifi è rotto, domani andremo a comprarne un altro,- spiegò mia madre, -e per quanto riguarda il cellulare l’ho usato ieri e non hai più soldi, appena posso ti faccio la ricarica.- disse velocemente e scomparì.
Non potevo fare niente, così mi misi a sentire alcune canzoni in attesa di avere qualcosa di concreto da fare, e poi per pura noia inviai comunque un messaggio ad Alessandra, le sarebbe arrivato non appena avessi avuto soldi.
Premo invio e continuo ad ascoltare la musica, finiscono una, due canzoni e sento il bip del telefono, quello che segna che mi è arrivato un messaggio.
Che strano, mia madre diceva che non avevo soldi, come avevo fatto ad inviare il messaggio? Forse si era sbagliata, stavo per comporre il numero dell’operatore telefonico per saperne di più quando un pensiero più impellente mi raggiunse. Forse mi doveva parlare di qualcosa di serio?
La risposta arrivò dopo pochi secondi,
Solitamente quando Alessandra spariva per più di una settimana organizzavamo sempre una seduta in famiglia con Skype, così potevamo sentirci e parlare tutti insieme, anche se la linea fa abbastanza schifo.
scrisse ed io mi addormentai contenta di poterla rivedere. |
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