Nur Erinnerungen.

di _Heartland_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** O1. | Prologo. ***
Capitolo 2: *** O2. | I'm coming back. ***
Capitolo 3: *** O3. | When I met you for the first time. ***



Capitolo 1
*** O1. | Prologo. ***


Nur Erinnerungen.



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O.1 | Prologo.

 
Il ricordo delle cose passate non è necessariamente il ricordo di come siano state veramente.
── M. Proust
 

Una folata di vento gelido gli scompigliò i capelli mori. Il ragazzo troppo cresciuto cercò di non badarvi, nonostante quest’ultima lo avesse investito con tutta la sua freddezza e gli avesse fatto raggelare la pelle.
Il suo sguardo era puntato su un qualcosa di indefinito, lontano. Quel vento gli ricordava gli inverni passati al Distretto 12, dove era duro sopravvivere alla stagione. Ricordava come la selvaggina scarseggiava in quel periodo, come era difficile tornare a casa con poco da mangiare, come era quasi impossibile accontentarsi di una scintilla di fuoco a riscaldare un corpo intero.
Gale drizzò la schiena. Il fuoco. Era quello che amava e odiava contemporaneamente. Quello che aveva reso Katniss così forte, ma che, allo stesso tempo, l’aveva ferita immancabilmente e l’aveva portata via da lui.
Di colpo, l’immagine della ragazza cominciò ad aleggiare sul campo visivo del ventiduenne. Erano passati ormai tre anni da quando non l’aveva più vista dalla guerra, ma il ricordo di lei, della sua Catnip, era rimasto vivido nella sua mente. Lo aveva cullato dolcemente nella notte, dove, nei suoi sogni, Katniss era davvero sua. Dove lui andava a caccia con lei nei boschi di casa, dove si fermavano per osservare orgogliosi il bottino ottenuto, dove lui le sfiorava lentamente i capelli e la abbracciava. Dove la sentiva sua.
Ma tutto quello era ormai passato. Le giornate con la ragazza nei boschi, i commerci al Forno, il prendersi cura l’uno dell’altra… era tutto finito, spazzato via dagli Hunger Games e dalla guerra. Ormai di loro era rimasto solo un vuoto impossibile da colmare, una voragine così profonda che nessuno avrebbe potuto evitare.
Si erano distaccati fin da quando Katniss era partita per i 74esimi Hunger Games, e da lì il loro rapporto aveva cominciato ad affievolirsi sempre di più, fino a quando non fu strappato completamente dalla morte improvvisa di Prim, sorellina della Everdeen.
Gale abbassò il capo, mordendosi il labbro inferiore. Da quando era arrivato al Distretto 2 non era più il ragazzo sicuro di cui quella ragazza si fidava, no. Era un ragazzo pieno di rimorsi, che era stato incastrato dalla Coin e che non aveva avuto il coraggio di voltare pagina, e si era limitato a scappare.
Erano state le sue bombe ad uccidere Primrose. Lui e Beetee le avevano progettate per lanciarle contro Snow e contro tutti i suoi alleati, ma prima queste dovevano passare sotto la supervisione di Alma Coin. E lei aveva avuto da sempre un piano completamente diverso. Lei era solo un’altra nemica da dover annientare, ma di cui si erano accorti fin troppo tardi. E così la donna aveva fatto cadere le bombe solo nel momento in cui erano arrivati i medici, e poi aveva fatto scatenare il finimondo. Così come era stata progettata, la bomba sarebbe scoppiata due volte. La prima avrebbe ucciso le vittime, la seconda i soccorritori
La Coin voleva distruggere Katniss, e ci era riuscita sul campo psicologico. Peccato, però, che poi la Ghiandaia Imitatrice aveva tirato dritto e l’aveva annientata al posto di uccidere Snow.
Gale di tanto in tanto aveva provato a dimenticarla, la Ragazza di Fuoco, ma non ci era mai riuscito per davvero. Aveva provato ad avere qualche relazione, anche solo per sfogo, ma ogni volta che baciava una ragazza del due le labbra di Katniss gli tornavano alla mente, portando a galla tutti gli altri ricordi.
Era impossibile dimenticarla. Il dolore esigeva di essere vissuto, ma lui era fin troppo debole per viverlo. Voleva essere privo della capacità di sentire emozioni, privo di tutto.
Ma vuoto dentro, in fondo, lo era già.


 
❝ Non esiste separazione definitiva fino a quando c'è il ricordo. ❞
── I. Allende
 


{ | Angolo Autrice! | }

Benvenuti, benvenuti, benvenuti! Un altro anno ad Hogwarts sta per- owh, sorry, ho sbagliato Fandom.
Ebbene, sì, ho una nuova storia in serbo per voi.
Allora, sì, mi sono sentita crudele e cattiva, e mi son fatta venire questa idea. Sì, insomma, mi sono sempre chiesta: sia nel libro che nelle fanfiction si parla continuamente di questi ricordi di Gale e Katniss nei boschi, ma di che ricordi effettivamente si tratta?
Sì, erano descritti, ma con una riga, massimo due. Io, invece, sono qui per trasformarli da Missing Moments in bellissimi ed interi capitoli, perciò... siete pronti?
So che il prologo è corto, perdonatemi, ma in fondo è solo un prologo. Preparatevi a ciò che vi aspetta davvero.
Owh, ho deciso che da oggi in poi pubblicherò ogni mercoledì. Non dovrei saltare nessuna pubblicazione, dato che ho già un paio di capitoli pronti, e voi avete una bella settimana intera per decidere quando godervi gli Everthorne e recensire.
Penso che non ci sia altro da dire oltre... ah, già. Non tutti qui conoscono il tedesco. "Nur Erinnerungen" sarebbe la traduzione letterale di "Just Memories" ( sì, perchè inizialmente volevo dare un nome inglese alla storia! ), ovvero "Solo ricordi"; perchè difatti sono questi i protagonisti di questa fanfiction: i ricordi.
Inoltre, la frase "Il dolore esige di essere vissuto", che si trova anche in tante altre mie storie, non è mia, ma è presa dal libro "Colpa delle Stelle" di John Green.
Sì, più che altro perchè, in fondo, almeno per quanto io sappia, dato che mi sono fatta un ampio giro fra le ff della Everthorne, nessuno ha ancora avuto questa idea. u.u

Okay, adesso vado sul serio!
Un abbraccio, e ricordate...
EVER HAWTHORNE!


_Heart_

 

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Capitolo 2
*** O2. | I'm coming back. ***


Nur Erinnerungen.



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O.1 | Capitolo primo 


Quando la gente mi chiede cosa vuol dire amare, abbasso gli occhi per paura di ricordare.

——— J. Morrison
 
 
« Avanti, Gale, che c’è che non va? » la ragazza fece il broncio, piegando il labbro inferiore in avanti e sbattendo dolcemente – o così almeno lei credeva – le ciglia.
Il ragazzo la guardò di sfuggita, con una smorfia sul volto. La odiava. Odiava quella sua dannata espressione, quella sua voce troppo acuta, quella sua bellezza troppo artificiale.
La odiava perché neanche lei era riuscita a fargli dimenticare Katniss.
« Nulla, Artemis. Semplicemente nulla. » rispose Gale in tono piatto, perché era vero. Era questo che gli era rimasto. Il nulla più totale.
« Sembri così triste… » constatò la mora, accennando un sorriso che lei avrebbe voluto anche solo lontanamente far assomigliare all’attraente. « Potrei rallegrarti un po’ io… » annunciò poi, lasciando scorrere le sue unghie laccate di un rosso scarlatto lungo il collo del ragazzo.
Immancabilmente, quel colore gli fece tornare vivida nella mente l’immagine del sangue. Quante volte lo aveva visto? Su di lui, sugli abitanti del Distretto 12, in guerra, negli Hunger Games. Sulla sua Catnip, e anche fin troppe volte.
Il ragazzo si allontanò con un strattone, rifiutandola. Artemis rimase con le parole a mezz’aria, troppo incredula per far uscire un qualunque altro verso dalla bocca.
« Non guardarmi così. » riprese a parlare Gale. « Va’ via. Sparisci!»
Un impeto di rabbia si impossessò di lui, al riaffiorare dei ricordi. La rabbia stessa ne era un altro, dato che lo aveva movimentato così tante volte durante la rivolta. Faceva così male rivivere tutto centinaia di volte, ogni volta che un qualunque oggetto o gesto gli facesse tornare in mente la sua vita precedente. Ormai, trovava riferimenti ovunque. O forse, invece, era lui a cercarli.
L’espressione della ragazza traspariva delusione, immensa delusione. « Stai dicendo… » un singhiozzo le bloccò la frase a metà strada, scuotendola violentemente. « Stai dicendo che è finita? »
Gale si morse il labbro inferiore, mentre un barlume di divertimento gli attraversava gli occhi.
« Sto dicendo che non è mai iniziata. » annunciò infine il ventiduenne, guardandola negli occhi azzurri. Lui odiava gli occhi azzurri.
« Non fissarmi così! » sbraitò la ragazza, in preda a violenti scossoni. « Basta! »
Era troppo debole, non andava bene per lui. No, non andava affatto bene. « L’unica cosa che sto guardando sono i tuoi occhi. » rispose pacato Gale. « E sono esattamente come i suoi. »
Uguali a quelli di Peeta. Uguali a quelli della persona che gli aveva portato via la sua Catnip.
Artemis non resse più la situazione. Le pareva di poter crollare da un momento all’altro, travolta da una verità falsa che si era lentamente costruita attorno.
Allora era tutto vero. Le voci che dicevano che il cuore di Gale battesse ancora per lei erano dannatamente vere.
La ventunenne sbattè un piede a terra, frustrata, poi corse via. Corse via da lui, come ogni altra ragazza con cui l’Hawthorne aveva provato a dimenticare.
Gale, dal canto suo, abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore. Questo ora aveva iniziato a tremare immancabilmente, mentre i sensi di colpa lo assalivano ancora una volta.
Ora lo aveva capito. Non sarebbe mai riuscito a dimenticare Katniss, e non avrebbe mai potuto affrontarla. Era costretto a vivere così, condannato in un mondo crudele e cercando di cullarsi nei propri sogni, in una realtà parallela dove la sua felicità continuava ad esistere.
 
-***-
 
« Soldato Hawthorne. »
Gale alzò lo sguardo dalla propria colazione, incontrando gli occhi della Paylor. Per un attimo il ragazzo rischiò di strozzarsi, poi riuscì a mandare giù il boccone, chiedendosi per quale motivo lei fosse lì. « Sì? » domandò poi, osservandola.
« Volevo chiederle un enorme favore. » la donna si sedette al tavolo, davanti a lui. Come al solito, la sua voce era autoritaria. « Si tratta di un favore che probabilmente le costerà tutto l’orgoglio che ha sempre covato. »
Gale inarcò un sopracciglio. Cosa diamine stava intendendo? Ormai non aveva più nulla da perdere, tanto valeva andare avanti. « Ovvero? »
« Il Distretto è in fase di ristrutturazione. Ci servono uomini forti per dare una mano e rendere i lavori più veloci. Uomini che si sappiano orientare, lì dentro. »
Il sangue parve raggelarsi nelle vene del ventiduenne. No, non poteva trattarsi di quel Distretto. Non poteva.
« Il Distretto 12, soldato Hawthorne. Accetta di volerci andare? » specificò la Paylor, come se Gale non avesse capito.
Gli si formò un groppo in gola. Il dolore al petto tornò a farsi sentire, irradiandosi per tutto il corpo. Parve ostruirgli tutte le arterie, i polmoni, il cuore. Parve aver ingoiato tutte le molecole d’ossigeno, impedendogli di respirare. E per un attimo Gale si perse nei ricordi, dapprima negli occhi della sua Catnip e nelle battute di caccia dai momenti felici, poi negli Hunger Games, in Capitol City che fremeva per la nuova coppia formata da Katniss e Peeta, e la guerra. Quella dannatissima guerra. I suoi occhi ripercorsero lentamente i medici che correvano verso i bambini. Rivedevano una Katniss ormai al culmine delle forze che si sbracciava per sua sorella e Prim, la paperella, che per una frazione di secondo si girava verso di lei. E poi le bombe scattarono, mentre la tredicenne moriva con il nome di sua sorella sulle labbra.
Gale sapeva com’era andata perché la Coin stessa gli aveva fatto vedere la registrazione dell’accaduto. La stessa che lo aveva incastrato, che aveva mosso in Katniss un sentimento per lui che l’Hawthorne credeva non sarebbe mai riuscito a rimpiazzare: l’odio.
No, Gale ne era certo, non ce l’avrebbe fatta ancora una volta nel 12. Eppure, lo sapeva per esperienza, il dolore era meglio del vuoto assoluto. Gli permetteva pur sempre di provare qualcosa.
« Accetto. » confermò infine il ragazzo con voce risoluta, liberandosi da quella prigionia di ricordi, mentre la Paylor annuiva soddisfatta.
« Stanno perfezionando ulteriormente i treni, causando però, per adesso, un rallentamento della velocità, per cui ci vorranno undici giorni esatti per arrivare al Distretto. Al dodicesimo dovrebbe trovarsi lì. Partirà il pomeriggio stesso. »
Gale annuì, ingoiando il groppo in gola che gli aveva ostruito per così tanto tempo il respiro.
Era pronto per partire. Era fremente d’impazienza ora, ed era dannatamente pronto.
 
-***-
 
Aveva appena finito di preparare le valigie. Gale si fermò, drizzando la schiena, e le osservò per un po’. Erano una valigia e un borsone, e contenevano lo stretto necessario per un paio di mesi. Il ventiduenne aveva già immaginato che ci sarebbe voluto del tempo per ricostruire gran parte del Distretto.
Il ragazzo sospirò, abbandonandosi sul letto. Per un attimo, fece scorrere il suo sguardo attorno a sé stesso, osservando la stanza dove aveva vissuto per circa tre anni. Le pareti erano bianche, prive di significato. Il letto su cui era seduto si trovava nell’angolo, di fronte alla porta. Al lato opposto del muro dove si trovava ora Gale c’era un semplice armadio in legno. Accanto a questo, infine, c’era una piccola scrivania. In un altro angolo erano poggiate alcune armi che il ragazzo si era portato dietro per la propria sicurezza personale, un gesto meccanico, ormai;  e la camera finiva lì. Da una parte, pensava il ragazzo, lo rispecchiava perfettamente, perché anche lei era spoglia, vuota.
L’Hawthorne si alzò, dirigendosi verso la scrivania. Quest’ultima era pulita e ordinata, senza grandi pile di fogli oppure penne e matite sparse ovunque. Gale alzò la lampada che si trovava all’angolo del piano,  frugandovi sotto. Eccola, pensò, mentre le sue dita si chiudevano attorno alla piccola chiave in argento.
Il ragazzo si chinò, seguendo i quattro cassetti che si trovavano nella parte sinistra della scrivania. Usò poi l’aggeggio che aveva appena recuperato per aprire l’ultimo cassetto, e i suoi occhi si immobilizzarono su tre fogli. Ricordava ancora quando li aveva scritti.
Le sue mani tremanti si mossero per prenderli, e Gale li strinse con una presa leggera, come se questi potessero polverizzarsi da un momento all’altro.
Poi il suo sguardo ricadde su un’altra cosa. Una fotografia. Il ragazzo deglutì, scrollandosi per evitare che i ricordi lo sommergessero un’altra volta, prese velocemente anche quella e infilò tutto nella velocità massima all’interno del borsone.
Per un attimo, sentì un’altra ondata di rabbia movimentarlo. Pareva partire dallo stomaco e irradiarsi fino alla gola, e bruciare, bruciare come fuoco. Il ragazzo sferrò un pugno al muro, cercando di placarsi, ma questo non lo aiutò. Allora continuò, un pugno dopo l’altro, seguiti ed accompagnati da urla di puro furore, finchè non senti il sangue bagnargli le nocche. Ma non gli importava, non gli importava. Lacrime salate cominciarono a rigargli le guance, ostruendogli la vista, finchè, lentamente, l’agonia e la depressione non presero il posto della rabbia.
A quel punto Gale si lasciò cadere per l’ennesima volta sul letto, stufo della sua situazione.
La odiava e la amava al tempo stesso.
La odiava perchè non era riuscito a scordarla, a smettere di amarla.
« Dannata te, Katniss. Dannata te. » ripetè, esalando un unico, grande respiro.
 
-***-
 
« Ma non mi dire, » lo apostrofò il biondo, con il solito tono ironico. « Avevo scommesso con Will che non saresti venuto per nulla al mondo! »
Il volto di Gale si tramutò in una smorfia, mentre saliva sul treno assieme al ventiquattrenne. « Molto divertente, Nikolas. » rispose, saltando poi su con un balzo.
Per un attimo, immaginò ancora Katniss. Provò ad immaginare come si fosse sentita, la prima volta che era salita sul treno per Capitol City, anche se avevano preso treni diversi, loro due. Un brivido percorse tutto il suo corpo, scuotendolo così violentemente che Gale decise di lasciar correre l’ipotesi.
« E così alla fine vieni. » ripetè l’altro ragazzo, quello che più si era avvicinato alla figura di amico per Gale, in quegli anni.
« Sono qui, no? » ribattè seccato l’altro, sedendosi sul primo posto che trovò. Lasciò cadere i bagagli accanto a lui, noncurante di tutto e tutti.
« Già. » continuò Nikolas, sedendosi davanti a lui. Si mise nella sua solita posizione, poggiando i gomiti sulle gambe e incrociando le braccia, lo sguardo fisso sull’Hawthorne. « Se mai avremo un giorno libero porterai nei boschi me e Will? Sembra divertente cacciare lì. »
Oh, certo, pensò Gale. E’ divertentissimo andare nei boschi perché la tua famiglia sta per morire di fame e sapendo comunque che è illegale e che, se ti troveranno, ti uccideranno seduta stante. Già, davvero fantastico.
« No. » negò infine il ragazzo, guardandolo dritto negli occhi verde smeraldo. No, non ce l’avrebbe fatta. Ripercorrere quelle strade intarsiate di ricordi avrebbe fatto troppo male, e lui non si sarebbe mostrato debole di fronte ai suoi… amici.
Il treno partì di colpo, ma nessuno ci fece molto caso.
« Come vuoi. » lo tranquillizzò Nikolas, continuando il discorso e alzando le braccia in segno di innocenza. « Sai quando ci assegneranno le camere? » domandò poi, guardandosi intorno.
Altri soldati, ovviamente, erano partiti assieme a loro. Dovevano essere all’incirca una dozzina, se non di meno, ed erano tutti impegnati a ciondolare in giro per il mezzo, senza sapere esattamente cosa fare.
« No. » ripetè Gale, con tono neutrale. « Sinceramente… » si morse la lingua.
« Sinceramente cosa? » ripetè il biondo, curioso.
« Nulla. » Il ventiduenne liquidò la faccenda con un gesto della mano. Poi il moro si alzò, lasciandosi cadere su un’altra poltrona vicino alla finestra.  Poggiò la fronte al finestrino, pensieroso, osservando appena il paesaggio che scorreva sotto di loro.
Pensava a quello che aveva quasi detto a Nikolas, a quello che aveva vietato alla sua bocca di dire. Aveva paura di tornare lì, era vero, ma non c’era altro modo per superarla.
Sinceramente non gli importava nulla delle camere. Voleva solo tornare a casa.

 

I ricordi ci uccidono. Senza memoria, saremmo immortali.
——— G. Bufalino
 


{ Angolo Autrice! }

 
Bene, eccomi con il primo capitolo. Vi avverto che dal prossimo inizierò con i ricordi bellissimi ma strazianti, e, oltre alle solite citazioni, aggiungerò anche una canzone. Poi capirete tutti i dettagli nel capitolo.
Spero di non aver combinato nessun pasticcio. e.e
Ditemi cosa ne pensate, ogni recensione verrà osservata come un piccolo dono degli sponsor! ( Basta che non mi facciate fare la stessa fine di Prim! )
Okay, ho finito, non c'è granchè da dire.

E ricordatevi, inviate le recensioni. Risponderò a tutti!
P.S.

Non me ne potevo dimenticare. e.e

EVER HAWTHORNE!

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Capitolo 3
*** O3. | When I met you for the first time. ***


Nur Erinnerungen.



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Capitolo secondo



 

Ricordare l'amore è come rievocare un profumo di rose in cantina. Si può richiamare l'immagine di una rosa, ma non il suo profumo. 

——— A. Miller
 

 



Quella mattina faceva un freddo bestiale. Gale si era alzato prestissimo e quando si era affacciato alla finestra, aveva osservato con delusione il cielo grigio, carico di nuvole temporalesche. Il suo sguardo, poi, era andato a posarsi anche su alcuni alberi lì vicino, scossi da un vento talmente forte che, per quanto si piegavano su loro stessi, parevano potersi spezzare da un momento all’altro.
« Soldato, buongiorno. » Quando il ragazzo entrò in cucina, la voce dolce e accogliente di Hazelle per un attimo gli riportò del calore. Poi uno spiffero di vento gelido riuscì a farsi spazio ed entrare nella casa, e il momento perse tutta la sua magia.
« Andrai a caccia anche oggi, con tutto questo brutto tempo? » gli domandò ancora la madre, sedendosi sul tavolo davanti a lui. Istintivamente, il dorso della sua mano accarezzò debolmente la guancia sinistra del figlio.
« Devo, mamma » confermò Gale, mentre già si alzava e andava a prendere una sciarpa e la giacca. « Cercherò di non ammalarmi. »
La donna accennò un sorriso, osservandolo. Benchè avesse solo quattordici anni, sembrava già così forte, così sicuro di sé stesso, ed era così bello. Riusciva appena a capacitarsi che fosse suo figlio, talmente ne era orgogliosa, e talmente gli voleva bene. « Non ti ammalerai, soldato, » riprese, chiamandolo con il nome cui era solita apostrofarlo. « Sei troppo forte. »
Gale abbassò lo sguardo per nascondere un sorriso compiaciuto e, prima di uscire di casa, strinse la madre in un dolce abbraccio.

 
-***-
 
Aveva appena superato la recinzione. Il vento gli scompigliava tutti i capelli, e il suo solito ciuffo ribelle pareva trarne profitto, perché riusciva ancora di più a ostruirgli la vista.
Seccato, il quattordicenne se lo scostò con un movimento brusco. Si rinchiuse ancora di più nella sua giacca e poi, con un unico e grande respiro, si addentrò nel folto della foresta.
Quella mattina, da quando era uscito di casa, uno strano sentimento gli aveva pervaso lo stomaco. Pareva contorcerlo in una morsa costante, senza lasciargli mai tregua. Gale si sentiva come se avesse un sesto senso. Intuiva che quel giorno sarebbe successo qualcosa di strano, inusuale.
Ciò nonostante, il ragazzo continuò a camminare, scrollando le spalle. Per un quarto d’ora si fece il giro della parte est della foresta, senza risultati. Le trappole erano tutte vuote.
Frustrato e sempre più infreddolito, il capofamiglia Hawthorne decise di cambiare direzione. Era solo ottobre, ma il freddo si era già fatto sentire di brutto e questo aveva provocato in Gale pessime sensazioni sulla selvaggina. Ne avrebbe trovata ancora abbastanza? La sua famiglia sarebbe sopravvissuta anche quell’anno alla stagione fredda? Non ne era sicuro.
Sospirò, giusto in tempo per evitare un attacco di rabbia. Ormai per lui era normale. Spesso, quando qualcosa non andava, si arrabbiava. Un fuoco ardente prendeva il posto del suo corpo, e Gale era pronto a tutto e tutti pur di portare avanti la propria idea. Era fatto così, tutto fuoco e tanta strategia. In un qualche modo, le prede non gli sfuggivano mai.
Il ragazzo, dopo un altro quarto d’ora di passeggio, arrivò finalmente alla radura dove ricordava di aver lasciato qualche trappola. Il caso volle, però, che il quattordicenne non fosse solo. I suoi occhi grigi si andarono a posare su una ragazza magrolina, che non doveva avere più di dodici anni. Era abbastanza alta, e decisamente scheletrica. Portava i capelli folti e scuri racchiusi in una treccia che le riscendeva sulla spalla, ed era vestita in tenuta di caccia. In una mano portava l’arco e, sulla schiena, teneva la faretra. Indossava inoltre una classica giacca di pelle marrone, anche se si notava benissimo che era troppo grande per lei.
Per i gusti di Gale, la ragazza stava curiosando fin troppo nella sua trappola.
Allora lui tossì più volte per far notare la propria presenza. La ragazza, istintivamente, alzò lo sguardo. Per un attimo fra loro due seguì il silenzio, mentre si studiavano a vicenda e si ipnotizzavano l’uno sugli occhi dell’altra. Avevano esattamente la stessa tonalità di grigio.
« Sai che il furto qui è un reato? » domandò a quel punto Gale, squadrandola. « E che può essere punito con la morte? »
La ragazza annuì, serrando la mascella. « Giusto perché tu lo sappia, stavo solo guardando. »
« Certo. » commentò il ragazzo, ironico, avvicinandosi e riprendendosi la propria trappola. Compiaciuto, riconobbe un coniglio all’interno di essa.
« E’ la verità. » ribattè la ragazza, alzandosi a sua volta. Gale la guardò ancora, osservandone i tratti particolari del volto e del corpo. « Non sono tutti fortunati come te, a caccia, sai? » continuò poi la dodicenne, guardandolo torva.
Il ragazzo annuì, mettendo la preda all’interno della sacca che si era portato dietro, assieme alla trappola. « Oh, beh, neanche io sono poi così fortunato. »
« Di certo più di me. »
Fu allora che Gale si accorse di aver già sentito quella voce, di aver già visto quegli occhi. « Aspetta  un attimo… io… » il ragazzo riflettè ancora un secondo abbassando lo sguardo. Certo, aveva capito. Rialzò il capo di colpo, guardandola dritto negli occhi. «  Io ti ho già vista, ragazzina. Sei quella a cui è morto il padre nella miniera. »
La dodicenne abbassò lo sguardo, trovando di colpo le punte dei suoi piedi molto più interessanti. « Sì. Se non erro è morto anche il tuo, di padre, lì. »
Il quattordicenne annuì, inumidendosi le labbra. Perché stava continuando a parlare con quella ragazzina? Non avrebbe dovuto neanche calcolarla. Qualcosa, però, lo attraeva incredibilmente a lei. « Com’è che ti chiami? » domandò allora, per cambiare discorso.
Dalla bocca della ragazzina uscì un sussurro appena percettibile.
« Catnip, hai detto? » ripetè Gale, per accertarsi. « Bel nome. »
« No. » negò la ragazza, scuotendo la testa. « E’ Katniss. »
« Oh, capito,  » confermò il ragazzo, accennandole un sorriso. « Catnip. »
La ragazza accennò una risata, guardandolo. « Sei duro di testa, tu, eh? »
« E’ una qualità che si impara ad apprezzare col tempo » ribattè il ragazzo, con una nota di sarcasmo nella voce.
Era felice. Benchè la conoscesse da pochissimo, si trovava bene in compagnia di quella ragazzina. « E così anche tu vai a caccia » constatò poi, squadrando l’arco della ragazza.
« Almeno ci provo » disse lei, con tono ironico.
Gale le sorrise, avvicinandosi. « Vediamo che cosa sai fare, allora. »
A quel punto la guidò in mezzo al bosco, anche se scoprì con sollievo che non ce n’era bisogno. Katniss conosceva i boschi come conosceva le sue tasche.
Ciondolarono in giro fra gli alberi per un po’, finchè non sentirono lo spezzarsi di un ramoscello. Gale era sul punto di dirle di fermarsi, ma notò con piacere che lei lo aveva già fatto, e aveva addirittura già incoccato la freccia.
Beh, pensò, se la cava.
Fu a quel punto che videro uno scoiattolo. Era di statura media, ma uno di quelli che correvano all’impazzata da una parte all’altra. In poche parole, impossibili da prendere. Gale aveva provato fin troppo spesso a prenderli, scoprendo che in quel caso se la cavava molto meglio con le trappole.
L’aria era carica di tensione, i muscoli della ragazza erano immobili. Il ragazzo osservava curioso la scena, in attesa di una qualche reazione di Katniss.
E poi, di colpo, la freccia partì. Fu una frazione di secondo. E tanto breve fu il tempo con cui la freccia trapassò l’occhio dell’animale, segnando la sua fine.
« Diamine! » esclamò il ragazzo, seppur a bassa voce. Poteva esserci altra selvaggina intorno, e in tal caso non voleva spaventarla. « Com’era il fatto che te la cavavi? »
Katniss sorrise, guardandolo. « Sai, penso che se unissimo le forze avremmo entrambi più selvaggina e cibo. Me ne intendo delle piante in giro per il bosco, mio padre mi ha insegnato tutto. »
Gale annuì convinto. « Sì » confermò, sorridendole.  « Ottima idea. »
« Lo posso definire un patto? » domandò la ragazza, osservandolo curiosa.
Gale le sorrise, ipnotizzato dai suoi occhi. « Lo puoi definire l’inizio di un’amicizia, Catnip. »

 
-***-

« Gale! » Nikolas lo chiamò per l’ennesima volta, nell'ennesimo vano tentativo di svegliarlo.
Stavolta, però, riuscì nel suo intento, e l’altro ragazzo sobbalzò sulla sedia. « Catnip? » fu l’unica cosa che uscì dalla sua bocca, prima di essersi effettivamente reso conto di essere in tutt’altra situazione. Di essere nella vita reale.
« Come hai detto? » ripetè il biondo, confuso.
« Nulla, nulla. » lo tranquillizzò Gale, alzandosi lentamente dalla sedia. « Che… che ore sono? »
« Siamo in viaggio da tre ore. Sei crollato circa due ore fa. » lo informò l’altro, accennando un sorriso divertito. « Hai dormito bene? »
Eccome, se aveva dormito bene. O almeno, in un certo senso. Erano anni che non sognava Katniss in una situazione di realtà. Ogni volta aveva semplicemente immaginato loro due assieme, lontani da chiunque altro. Aveva sempre provato ad esaudire i suoi desideri, senza abbandonarsi mai alla realtà.  Ma adesso, lentamente, i ricordi reali stavano tornando a galla.
Eppure, Gale era sicuro che questa cosa non gli dispiaceva poi così tanto. Sapeva che il dolore e che il ricordo erano pur sempre meglio del vuoto assoluto.
« Tra poco ci assegneranno le camere, » lo informò l’amico, guardandolo negli occhi. « Fra due giorni dovremmo essere nella strada fra il Distretto 3 e il 4. »
Il moro annuì, ringraziandolo silenziosamente delle informazioni. Poi Nikolas se ne andò via, dicendo di dover sbrigare  delle faccende. Gale annuì, guardandolo scomparire oltre la porta scorrevole. Resto lì per un po’ a fissare il nulla, finchè non decise che stava cominciando ad annoiarsi.
Così prese il borsone, estraendone uno dei fogli che si era portato dietro. Si sedette su un’altra poltrona, nell’angolo, dove era sicuro che nessuno l’avrebbe visto, e spiegò il fogliettino.
Ricordava ancora quando l’aveva scritta, quella canzone.
-***-
 
Era notte fonda, ed era da poco arrivato al Distretto 2. Le ferite provocatogli all’animo dalla guerra erano ancora aperte, si facevano sentire immancabilmente, e la distanza fra Katniss e lui era a dir poco insopportabile. Gli contorceva lo stomaco, gli trapassava il cuore, gli lacerava l’anima.
Il dolore era diventato il suo migliore amico, all’epoca. Lo svegliava la mattina e lo faceva addormentare la sera, con tutta la crudeltà che era in grado di possedere . E la cosa peggiore era che Gale non aveva modo di sfogarsi. I suoi allenamenti, da quando aveva deciso che la cura per evitare le emozioni era lo sfogo, erano diventati tripli, ma non parevano aiutarlo affatto.
Così, un giorno, mentre il ragazzo tornava in fretta in quella che avrebbe dovuto definire casa, si sedette alla scrivania che fino ad allora non aveva ancora mai utilizzato.
Prese la prima penna che trovò, e decise di farlo. Ricordava ancora la voce melodiosa di Katniss che di tanto in tanto cantava nei boschi, e le Ghiandaie Imitatrici che le rispondevano, creando un’unica e bellissima armonia. Era da quando Catnip aveva cominciato a cantare nella loro “dimora”, che Gale aveva deciso che, per quanto fosse strano, gli piaceva la musica.
Così, in fretta e furia, quel giorno dedicò tutta la sera a scrivere una canzone. Una canzone dedicata a loro, seppure un po’ banale, che però trasmetteva tutto quello che lui aveva vissuto mentre Katniss era negli Hunger Games.
Era pur sempre una canzone, una canzone solo loro.

 
-***-

Gale accennò un sorriso malinconico al ricordo, posando poi lo sguardo sul titolo. In alto, al centro, era scritto: The One That Got Away.
L’Hawthorne ricordava ancora che ci aveva messo parecchio a decidere il titolo, e alla fine aveva deciso di inserire la prima cosa che aveva pensato di Katniss quando era partita.
Il ventiduenne scosse leggermente la testa e, dopo essersi assicurato un’ultima volta che nessuno lo stesse osservando, incominciò a leggere, in silenzio, solo con gli occhi, le strofe della canzone.
 
It was a year after our dads died,
When we first met.
Went hunting for some squirrels,
Caught them in my net.
I would make the snares and you would take the bow…
 
Wiped your tears away and held you,
When you were upset,
Just wanted to protect you.
I’ll never forget,
The time I sad “I love you”
And you replied “I know”.
 
Le ultime due strofe erano ben sottolineate, come a segnarne l’importanza. Erano difatti quelle a colpirgli ogni volta il cuore, a ricordargli la crudele realtà. Eppure, quando aveva scritto la canzone, aveva sentito il bisogno di metterle.
Forse perché sperava che un giorno Katniss l’avesse letta, la loro melodia.
 
And in another world,
You would be my girl.
We would run away together,
No Peeta and his pearls.
You used to be my Catnip,
Now you’re his Mockingjay,
And now I have to say you are
The one that got away.
The one that got away…
 
L’Hawthorne era specialmente affascinato dal ritornello. Pensava che lo rappresentasse a perfezione.
 
Remember when I got whipped,
You stayed by my side.
Held my hand till you fell asleep,
We were partners in crime.
When you went into the Hunger Games,
My whole world fell apart.
 
Per un attimo, il ventiduenne si sentì mancare. Le forti emozioni di quel giorno, il giorno in cui Katniss era partita per la prima volta, lo travolsero tutto d’un colpo, stravolgendolo.
Ciò nonostante, con un groppo in gola, il ragazzo continuò a leggere.
 
Saw you kiss him on the TV,
Whilst he stroked your hair.
Turned away and pretended,
Like I didn’t care.
I wish you knew that you’re
The missing peace to my broken heart.
 
E per un secondo gli parve di sentirlo. Il suo cuore. Il suo cuore andare in frantumi, come se fosse di vetro.
Abbandonarsi per terra e crollare in tanti piccoli pezzettini impossibili da rimettere assieme.
 
And in another world,
You would be my girl.
We would run away together,
No Peeta and his pearls.
You used to be my Catnip,
Now you’re his Mockingjay,
And now I have to say you are
The one that got away.
The one that got away…
 
Gale si morse il labbro inferiore. No, non poteva piangere. Non era da lui. Rilesse ancora una volta tutta la canzone e poi, stando attento a non farsi vedere da nessuno, si portò il dorso della mano destra alla mano, asciugandosi una calda lacrima che era riuscita a traboccare oltre i suoi occhi.


 

Si può chiudere un occhio sulla realtà, ma non sui ricordi. 

——— S. Jerzy Lec
 
 

{ Nota dell’Autrice }

Yay, ci sono riuscita! 
 
Okay, premetto che la canzone sopra riportata non è mia. E’ una fanmade, una canzone dedicata al punto di vista di Gale. Una mia cara amica, Everthorne shipper, me l’ha fatta scoprire, e penso di essere la prima ad usarla per una fic.
Ecco il link, se volete sentirla: https://www.youtube.com/watch?v=WXvIpsoV67o
Per quanto riguarda il capitolo, nella prima parte possiamo vedere un ricordo di Gale, ovvero il suo primo incontro con Katniss. Ho cercato di addolcirlo un po’ in quella parte, perché l’ho sempre immaginato comprensivo nei confronti di Catnip, la prima volta che si sono incontrati, anche se all’inizio è un restio con lei.
Direi che non c’è altro da dire, soprattutto perché il mio pc sta andando in fumo. Continua a cambiare scrittura, scrive in modi diversi, ingrandisce e rimpicciolisce la scrittura e apre altre finestre, tutto da solo.
Sì, computer, è ora che ti porto a riparare. I giochi ti hanno segnato.

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