Alternative Assassins

di AuraNera_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Finalmente libera ***
Capitolo 2: *** La prima firma ***
Capitolo 3: *** Nel passato, nel presente ***
Capitolo 4: *** Alto tradimento ***
Capitolo 5: *** Halloween: tra vivi e morti ***
Capitolo 6: *** Cose che non dovresti vedere ***
Capitolo 7: *** Scambio di informazioni ***
Capitolo 8: *** Una promessa è una promessa ***
Capitolo 9: *** Resisti, resisti, resisti! ***
Capitolo 10: *** Dalla stessa parte? ***
Capitolo 11: *** Infiltrazione ***
Capitolo 12: *** Lei non è mia sorella ***
Capitolo 13: *** Ricordi Perduti ***
Capitolo 14: *** La chiusura del cerchio ***
Capitolo 15: *** Epilogo - Salita ***



Capitolo 1
*** Finalmente libera ***


~~Capitolo 1: finalmente libera
Egypt.
Correvo veloce sopra i tetti della città, nel buio quasi totale, a parte i radi lampioni e alcune finestre accese, nonostante l’ora tarda. Era una fredda notte di febbraio, si congelava, ma il freddo era l’ultimo dei miei problemi. Era la mia prima missione e non potevo fallire. Dopotutto ora il mio destino era quello. Guardai la mia compagna, che mi correva affianco, un tantino più avanti. Valkirya. Era questo il nome che usava. Lei era la mia compagna, quella con cui avevo legato, e una mia collega. E’ con lei che è cominciato tutto. Sì, è stata Valkirya.... anzi, Kathleen Seven. E io sono, anzi, ero Lucy Ranuby.
E’ cominciato tutto il primo giorno di scuola superiore...
La campanella emise il suo suono freddo e calcolato. Camminavo nervosamente per i corridoi, eregendomi nella mia modesta altezza di quattordicenne, i capelli biondo grano legati da dei nastri rossi, la cartelletta in una mano e la scarpette tirate a lucido che segnavano il ritmo regolare dei miei passi accompagnati dal fruscio della gonna della divisa scolastica. Ero in prima superiore e volevo cogliere l’occasione di una classe nuova per farmi, finalmente, degli amici. Vivevo in una lussuosa villetta e i miei genitori mi avevano sempre pagato insegnanti privati e per questo motivo non ero mai uscita da casa mia e non conoscevo nessuno al di fuori dei miei della servitù e di amici ricchi dei miei ricchi genitori. Così, volevo provare a cambiare il mio monotono stile di vita e a farmi degli amici veri, miei coetanei. Arrivai nel grande atrio della scuola, osservando incuriosita gli studenti più grandi che si stringevano la mano, battevano il cinque e si abbracciavano, per poi sorridere e andare in classe insieme. Varcai poi l’imponente soglia dell’aula magna, dove si trovavano vari ragazzi e ragazze, tra cui dovevano esserci i miei nuovi compagni di classe. Notai però con malinconia che tutti i ragazzi chiacchieravano con altri, si salutavano e si dicevano parole di conforto a vicenda. Tutti conoscevano qualcuno, un amico, anche nemici o persone a loro indifferenti. Tutti, tranne me. Molti vorrebbero essere ricchi sfondati come i miei genitori, ma io invidio loro che hanno amici. Ho sempre saputo che la vera fortuna sta nell’essere liberi, e per me, una bella casa, una situazione agiata e tanto denaro erano una palla di ferro legata alla mia caviglia. Cominciavo a sentire i brividi freddi. Non avrei legato con nessuno, me lo sentivo. Cominciai a strascicare i piedi per terra, lo sguardo basso, avevo voglia di mettermi a piangere, urlare e scappare. Ma non l’avrei fatto. No ce n’era motivo. “Tutto bene?” Chi aveva parlato? Alzai la testa con una lentezza immane, il cuore che mi martellava nel petto, sembrava volesse far sapere a tutti che io ero lì e mi stavo agitando. Ma a parlare era stato un signore distino, il preside credo, a una ragazza poco distante da me, coi capelli lunghi e corvini, molto pallida e con gli occhi neri. Era per terra, quindi probabilmente il presunto preside l’aveva appena travolta. Dopotutto aveva un pancione a mongolfiera tale che lui non doveva andare a memoria su quando c’erano i gradini e a quanti erano. Riabbassai la testa, desiderando che nessuno avesse notato il bagliore di fugace speranza che doveva essersi visto nei miei occhi. Sentivo che stavo per vomitare. Proprio io che avevo tanto desiderato uscire dalla mia lussuosa vita, che mi ero preparata i discorsi davanti allo specchio, che avo dormito assieme alla divisa scolastica e che aveva fatto una lista di discorsi possibili con cui parlare ai miei nuovi amici... non mi ero preparata ad un possibile fallimento.  Sarei dovuta tornare alla vita di prima, la vita vuota e lussuosa, senza un briciolo di divertimento. Sola con Lucky, la mia cagnolina, una Golden Retriver di quattro anni e mezzo. Sola con lei, a giocare in giardino, a leggere e a studiare, fino a farmi marcire il cervello. Mi stava venendo un crampo al collo, ma io non l’avrei alzato, no, non l’avrei fatto, per nulla al mon... “Scusa.... anche tu sei nuova?” non stavano parlando con me.... non ci sarei cascata di nuovo. “Ehi.... mi senti? Parlo con te!” No, non sta parlando con me, non può essere, sono in mezzo ad una mandria di persone, figurarsi se qualcuno... “EHI!” Qualcuno mi battè sulla spalla. E allora mi girai. Era la ragazza di prima, quella che era stata scaraventata a terra dal pancione e che ora mi guardava, a  metà tra il divertito e lo scocciato. “Ti ho chiesto se sei nuova. Gradirei una risposta” e si mise a guardarmi fisso con i suoi occhioni pece. “S-sì....” cominciai, confusa. Quella si sporse, una mano sull’orecchio “Eh? Che dici? Siamo in mezzo ad una folla, per la miseria, se parli così non ti sento nemmeno se parli col megafono e io sono con l’amplifon!” mi fece quella esasperata. Io alzai la voce “Sì, sono nuova. Anche tu?” quella mi rivolse un sorrisone da un orecchio all’altro, a trentadue denti,: “Alleluja! Ora ti sento! Sì, sono nuova, sorella, proprio come te! Mi chiamo Kathleen Seven, qua la zampa!” e mi tese la mano. Io la strinsi ridacchiando ”Ma come parli? Io mi chiamo Lucy Ranuby, piacere” Anche io le lanciai un mega sorriso, ero felice. La mia nuova vita cominciava da qui.
Io e Kathleen eravamo in classe assieme, e meno male, perché nessun altro sembrava intenzionato ad avvicinarsi agli altri, e rimanevano tutti appiccicati ai rispettivi conoscenti. “Che classe smorta” sbuffò Kathleen. Io le sorrisi “Forse sono tutti un po’ timidi, magari tra poco saremo grandi amici tutti!” Quella mi guardò divertita “Si vede che non sei mai uscita dal tuo angolo di paradiso. Le vedi quelle? – indicò delle ragazze truccate e pettinate – si credono sopra al resto del mondo, perché si credono “trasgressive”. E quelli – un gruppo di ragazzi pieni di gel, tutti con la cresta e piercing, che ridevano senza ritegno – saranno i “fighi” della classe. Ossia arroganti e imbecilli. Se non rientri in queste due categorie, sei fuori.” Quella concluse il discorsetto con un’energica annuita. Io mi strinsi sulla sedia, pensierosa. Poi mormorai “Chissà...” Poi entrò la Prof (una certa signora austriaca, che insegnava matematica, si chiamava Frei-qualcosa_del_genere) e iniziò la lezione. Il livello di matematica era piuttosto scarso, direi, con i miei insegnanti privati ero arrivata molto più avanti. Seguirono un’ora di lettere e due di Latino, e il prof era lo stesso, e insegnava pure geografia e storia. Era un signore pomposo e rosso in viso, che chiamavamo il mr. Tomato. E invece si chiamava Paul qualcos’_altro. Mentre uscivamo da scuola Kahleen mi chiese “I tuoi che ne pensano del tuo ingresso a scuola?” Io mi bloccai, le braccia tese lungo i fianchi, i pugni serrati, lo sguardo basso e furente di chi non può ribellarsi. “Io li odio” veleno puro che usciva dalla mia bocca. “Li odio con tutto il mio cuore. Non ci sono mai per me, sono solo uno strumento per tramandare la loro ricchezza avanti con le generazioni. E’ per questo che mi hanno tenuta sigillata per tutti questi anni in quella odiosa villa. Li odio, LI ODIO!” Rialzai lo sguardo su Kathleen, che aveva un’espressione indecifrabile. Poi mi sorrise, un sorriso dolce e compassionevole. “Vedrai che presto le cose cambieranno, ti farai valere.” Poi si girò e se ne andò lasciandomi da sola con la mia rabbia. Tornai a casa marciando come un soldato, inveendo contro i miei. Poi mi bloccai. Kathleen mi stava forse incitando a ribellarmi? Cominciò a cadere una pioggerellina leggera, ma fitta. Restai un po’ ferma ad annusare l’odore di terra bagnata e d fresco, poi ricominciai a camminare ed arrivai a casa. Ma qualcosa non andava. Lucky non mi stava aspettando come faceva sempre al mio ritorno. La porta era aperta. E poi c’era un silenzio surreale. Col cuore in gola mi avvicinai allo steccato del giardino e spinsi il cancelletto. Era chiuso. Suonai il campanello. Nessuno mi rispose, ma il cancelletto di aprì cigolando come suo solito, ma in quella circostanza il suono sembrava alquanto sinistro. Camminai sui lastroni di pietra, i piedi congelati. Arrivai davanti alla porta aperta e il color arancio del salotto mi accolse. Macchiato di sangue. Sentii un odore dolciastro, mentre il mio corpo si irrigidiva e la vista mi si annebbiava. Che cos’era quella sensazione? Mi sentivo svuotata. Non provavo nulla. Entrai.
Mio padre era sdraiato per terra, la faccia sul pavimento. Lo girai con un calcio, per guardarlo negli occhi vuoti e vitrei. Qualcosa lo aveva trapassato da parte a parte a livello dello stomaco, ma sembrava che avesse ricevuto una forte scarica elettrica che lo aveva scosso fino ad ammazzarlo. Scavalcai il suo cadavere, diretta verso la cucina. Mia madre era lì, legata per i polsi al ventilatore a pale, lasciata a penzolare giù. La testa giaceva ai suoi piedi. Era stata decapitata. Aggirai il corpo appeso, verso un'altra porta, che dava sul cortile sul retro. Mi affacciai. E urlai disperata.  Lucky, la mia cucciolona, giaceva in un lago di sangue in mezzo al giardino. Cominciai a piangere incontrollata. Perché anche Lucky? Che cos’era successo? Mi girai e ricorsi in casa da un’altra porta, che dava sul salotto, accanto all’atrio, dove avevo trovato mio padre. In piedi in mezzo al cerchio di divani c’era qualcuno, qualcuno che non conoscevo. Aveva una mano sporca di sangue, e il perché era scritto sul muro. ECHO. La scritta recitava così. Allora capii. Avevo sentito di un gruppo si assassini che uccideva su scopi precisi precise persone e tutti in quel gruppo si firmavano con il sangue delle loro vittime. Io avevo davanti uno di loro. Anzi, una di loro. Era una ragazza. Aveva i capelli a caschetto celeste brillante, a parte qualche ciocca che le arrivava ai fianchi. Portava i guanti fin oltre il gomito e gli stivali oltre al ginocchio, poi un vestito corto con due buchi ellittici sulle ossa del bacino. Il tutto rigorosamente nero pece. Lei aprì i suoi occhi, di uno spaventoso rosso sangue, e mi fissò dritta nei miei di occhi, che sono grigi, per inciso. Notai che nella mano ancora guantata, quella senza sangue, reggeva un arma. La identificai come una doppia alabarda, con le lame e la forma più strana che avessi mai visto. Una lama era bianca e dalla base partiva una spirale di luce celeste che la avvolgeva. Il bastone lungo e nero terminava con un pezzo di ferro bianco che mandava un alone rosso. Da là si staccava la seconda lama, nera e illuminata da una potente luce rossa. Rialzai gli occhi sulla ragazza. “Perché?.... Lucky.... perché?” riuscii a dire, a mezza voce, la bocca impastata. Lei mi guardò triste. “Ordini” rispose, la voce chiara e limpida. “Mi ucciderai?” chiesi di nuovo io. Lei scosse la testa “Torna a scuola, Lucy. Qualcuno ti sta aspettando” E uscì dalla sala, mentre le luci che l’arma emetteva svanivano. Rimasi un po’ ferma e zitta. E poi accettai il consiglio. Tornai come inebetita a scuola, nella mente ancora l’immagine della morte della mia cagnolona. Mi fermai e incrociai lo sguardo della persona che mi aspettava davanti a scuola, seduta su un muretto, lo sguardo scuro. La guardai, ferita. Lei sospirò. “E’ traumatico per tutti, Lucy. Dovrai passarci su. – si voltò – ora andiamo. Ti guiderò verso la tua nuova vita”. Mi avviai dietro a Kathleen, verso un futuro che non conoscevo. Poi un pensiero. Ero finalmente libera dalle mie catene. Un po’ drasticamente.
  Angolino nascosto nel nulla: Zelve a tutti! *saluta* ..... beh, più che a tutti, a nessuno, perché delle storie originali a nessuno gliene importa nulla, ma pazienza!! :DD E' la mia prima fanfiction che posto, ma l'ultima che ho ideato. Divertente? neanche un po' ^^ Se recensite mi fareste mooooolto piacere, specialmente perché questa storia l'hanno letta due persone e basta... e sono entrambe mie amiche, quindi non mi direbbero mai che è brutta, e fanno bene a temere la mia ira.... cioè.... *coffcoff* recensite tranquillamente. Tanto non lo farà nessuuuunoooo!!! Beh, spiriti inquieti (?) ci si becca ;D

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Capitolo 2
*** La prima firma ***


Valkyria.

“Ora stai attenta, questo salto sarà un po’ impegnativo, dovremo usare la frusta.” La mia voce spaccò il nero silenzio della notte, mentre continuavo a correre. Dietro di me sentii Lucy mugugnare un “mmm” e questo mi fece capire che aveva capito. Buon per lei. Tirai fuori la mia frusta, nera e lunga, un po’ stile Catwoman. Tirai una fugace occhiata a Lucy dietro di me. Aveva pronta in mano la sua, ancora da allungare. Difatti assomigliava ad un frustini come quello dei faraoni, ma la cordicella si poteva allungare. O diventare una palla di metallo chiodata. Lo scettro,  l’altra sua arma, non avevo ancora capito bene a che serviva. Tecnicamente un falcetto, come il mio. Io, oltre la frusta, su cui potevano spuntare spine, avevo una sorta di falcetto seghettato (appunto) che si ingigantiva diventando una vera e propria falce. I falsi nomi, poi, erano una cosa che sceglievamo noi, quindi in modo diverso. Il mio falso nome, Valkyria, era stato preso (ovviamente) dalle figure mitologiche delle valchirie, messaggere degli dei nordici. Io ero stata la prima a finire in quella situazione, assieme ad Echo, la mia sorella maggiore. Non si sarebbe mai detto che la ragazza coi capelli celesti e lo sguardo sangue fosse la sorella di una mora con gli occhi nocciolina.  Forse è perché io sono.... cambiata,per così dire. Se ve lo state chiedendo, sì, Kathleen Seven era il mio vero nome.  Echo si è sempre chiamata così, ma non è più l’Echo di una volta. Intendo dire che ora quel nome le si addice perfettamente, perché lei non è più un vero essere umano... anzi, nessuno di noi lo è più o lo è mai stato. A parte il capo. Lui è normale, almeno chimicamente. Forse è marcio dentro, per fare quello che fa. Ma è un padre generoso con tutti noi. Tornando alla questione dei nomi falsi, Lucy si chiama Egypt. Il suo nome se lo è scelto mentre progettavano il vestito, che è una sorta di mummia faraonica egizia. E questo spiega il frustino e lo scettro, e anche tutte le fasce che ha addosso.  Un po’ Egypt mi fa impressione: sembra che il suo falso nome non derivi solo dal costume ma da quello che è: un mezzo spirito. Uno spirito tenuto legato al mondo della vita tenacemente da “qualcosa”: dopo la morte del corpo lo spirito non è riuscito ad accedere al mondo della morte ed è rimasto intrappolato. Sembra uno strano racconto, ma non fa così schifo come quello che è successo a me o a Echo. Io lo trovo impressionante. Ma non è importante per adesso. Entrambe balzammo giù dal tetto e facemmo schioccare la frusta che si legò ad un comignolo. Atterrammo molleggiando sul muro della casa. Nessuna lamentela da parte di Egypt. E’ atterrata bene, quindi. Molto brava. Ci arrampichiamo su svelte e ritiriamo le fruste. “Tu sai chi è il nostro obbiettivo?” La voce di Egypt si mescolò al suono del Bigbang mentre riprendevamo a correre: le tre del mattino. Dovevamo sbrigarci. Ripresi a correre in silenzio, aspettando che l’ultimo rintocco del grande orologio di Londra si estinguesse. “Sì. Se non sbaglio è uno dei segretari del boss, però ha dato le dimissioni dopo una lavata di capo per un ritardo e ha detto che non deve ripagargli i favori perché in cambio non lo ricatterà con i suoi nemici. Il boss si è fatto restituire i soldi comunque e noi dobbiamo eliminare questo tizio prima che spifferi tutto.” Finii di dare informazioni e lasciai che il freddo silenzio della notte si insinuasse tra me e la mia compagna. Corremmo per un altro po’, ognuna con i propri pensieri. Poi ci fermammo come unite da un sol pensiero. “Bersaglio agganciato” mormorai. Un signore sulla quarantina stava svoltando l’angolo da solo e si guardava attorno. Colto sul fatto. Stava andando dagli avversari del boss per consegnare le informazioni, contenute nella valigetta. “Allora, piano: io lo spavento, tu lo immobilizzi, mi aspetti, lo ammazziamo e facciamo scomparire le tracce del suo tradimento. E poi – guardai fisso Egypt – dovrai...” “... firmare il muro col suo sangue. Lo so. E l’idea mi fa abbastanza schifo.” Sospirò lei restituendomi lo sguardo. Sospirai a mia volta “Lo so. Ma vai tranquilla.” E saltai giù dal tetto, lasciando Egypt  ai suoi pensieri. A metà del volo presi la forma di un corvo e feci un giretto. Non sembrava interessato a fermarsi, così dedussi che non era ancora vicino al luogo dell’appuntamento. Ora.... come spaventarlo? Atterrai e mi trasformai in un gatto nero. Forse era superstizioso. In ogni caso i gatti erano molto silenziosi  grazie ai cuscinetti che avevano sotto le zampe. In più sono incredibilmente agili. Così mi arrampicai sopra una ringhiera e seguii il tizio. Camminava veloce.... forse si aspettava di venir attaccato all’improvviso? Bingo. Ma non gli sarebbe bastato. Passammo vicino a una casa con il giardino nascosto da una siepe, ma al cancelletto era appostato un cagnolino. Era un terrier, piccolo e adorabile, abbaiò solo un attimo, ma il tizio sobbalzò come se gli fosse appena esplosa una bomba nascosta lì vicino. Fece un balzo di più di tre metri atterrando per terra. Mi trattenni nello sghignazzare, anche perché sarebbe uscito un “Miiiiiiaaaaaaaaaaoooooo!!” assai poco gradevole. Guardai un alto. Egypt ci seguiva dai tetti e si premeva una mano sulla bocca per non ridere. Mossi la coda una volta. Avevamo avuto lo stesso pensiero. Così.... il tipo aveva paura dei cani... Feci un cenno d’assenso ad Egypt (in pratica scodinzolai nuovamente guardandola, e provateci voi a fare un cenno d’assenso sottoforma di gatto!). Lei saltò da un tetto all’altro e sparì dalla mia vista. Sapevo dove si stava dirigendo e io dovevo portare il traditore da lei. Dritto verso la morte. Lasciai le sembianze di gatto nero e mi trasformai in un'altra creatura del medesimo colore, una sorta di cane molto grosso, simile a un pastore belga molto lupesco e con il pelo aggrovigliato. Il ritorno dell’animagus Sirius Black, in pratica. Provai a ringhiare e quando mi decisi che facevo abbastanza paura corsi dietro a l’uomo. Pensavo che ci sarebbe rimasto secco. Quando mi vide sbiancò e iniziò a correre, strillando come una donnina, gli occhi fuori dalle orbite. E cadde nella nostra trappola. Si accorse del vicolo cieco e iniziò a gemere. Io ripresi le mie sembianze umane. Era strano non avere più la coda. Lui riaprì gli occhi e mi vide. “M-meno male! M-mi hai s-salvato da q-quella creatura f-feroce!” e si mise a strisciare verso di me. Io sfoderai il mio sorriso sadico. Facevo davvero paura, caspita. E se non lo dico io, lo diceva lui. Gli mancava solo la bava alla bocca e poi sarebbe stato un soggetto perfetto per un ospedale psichiatrico. Aveva fatto dei passi avanti e Egypt era apparsa dietro di lui. “Bu” gli sussurrò all’orecchio. Lo immobilizzò con le fasce che aveva attorno alle braccia. Sapevo che sotto le fasce decorative c’era un dispositivo che ne creava di nuove. Lui spalancò la bocca per urlare. “Tappagli la bocca!” sbottai io. Lei non mi lasciò nemmeno finire che già aveva tramutato quel tipo in una sorta di mummia... che si muoveva ancora. “La prudenza non è mai troppa” gorgogliai “sei stato previdente, ma chi si mette contro il capo.... farà la tua stessa fine” mi girai verso Egypt, che aveva fissato i capi delle fasce in modo che facesse l’effetto di una mosca impigliata in una tela di ragno. Osservai con attenzione “Che artista” mormorai “Ora finisci l’opera” Lei annuii. Si girò a guardarlo ed estrasse lo scettro. Questo piccolo gesto catturò particolarmente la mia attenzione. Dopotutto non sapevo che tipo di arma fosse. Lo scettro si mosse: la parte finale ricurva prese la forma di spirale e dal vuoto in mezzo venne fuori una lama, dritta e sottile. Un pugnale. Ottimo per cominciare. Lei lo fece roteare un paio di volte in mano e poi, veloce come un lampo, lo tirò. Un attimo dopo lo sentimmo cozzare contro il muro, assieme al rumore di schizzi di sangue. Ma il pugnale era ancora nella mano di Egypt. Non era propriamente un pugnale, quindi. Guardai il tizio. Era morto. Schizzi di sangue ovunque. E una lama completamente rossa. Allora capii. La sua arma era un pugnale a lama da lancio. Erano parecchie lame sovrapposte e con un particolare movimento una o più di esse si potevano staccare. Ma poteva essere anche usato normalmente per squartare le persone. Recuperai la sua valigetta. Poi guardai Egypt. “Firma” le dissi. Lei intisse la mano della pozza di sangue e si avvicinò al muro. Era una calligrafia molto elaborata, carina. Incastonò la lama insanguinata nella coda della Y. “Ora possiamo andare” disse una volta finito. “Solo un attimo.” Scattai una foto “Il boss vuole vedere.” Ci arrampicammo nuovamente entrambe sul tetto e corremmo ancora. Verso la nostra casa. Mi girai verso Egypt, silenziosa e pallida. “Stai bene?” le feci io. “Non.... avrei mai pensato.... che io sarei arrivata al punto di uccidere qualcuno. Costretta o meno” la sua risposta, poco più di un sussurro, si estinse. Io sospirai “Il destino ci riserva dei risvolti, delle azioni poco piacevoli... a quanto pare non ci possiamo fare nulla. E’ colpa di quello che siamo.” Non parlammo per un bel pezzo. “Suppongo... che tu abbia ragione.” Non una sola parola ruppe il silenzio della note dopo questo discorso. Era davvero crudele. E lei che voleva essere finalmente una normale adolescente.



Angolo nascosto nel nulla:
Salve, popolo di fantasmi! Sono tornata col secondo capitolo, tanto non gliene importa nulla a nessuno! *sorride come se fosse una bella cosa* Avrete notato che qui parla Valkyria, e in ogni capitolo parlerà una persona diversa, più avanti anche più persone nello stesso capitolo. Beh, se avete avuto il tempo di leggere, ce lo avete di certo per recensire! Per favoooore! Anche se non vi piace potreste dirmi cosa non vi piace a potrei lavorarci su! Beh.... aspetto e spero. Arrivedershi, ragassuoli!

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Capitolo 3
*** Nel passato, nel presente ***


Egypt


Tornammo fradice. Un temporale ci aveva sorpreso. Sia io che Valkyria andammo ad asciugarci e a cambiarci, e ci sistemammo davanti al camino del nostro appartamento. Sprofondai in una poltrona soffice e calda e chiusi gli occhi. Avevo una poltrona identica a casa. Adoravo quella poltrona, ma non mi ci potevo sedere perché era quella di mio padre. Io dovevo starmene in camere mia, a studiare, leggere e disegnare, assieme a Lucky e alle domestiche, tra l’altro rompiscatole. Poi scendevo per i pasti sorbendomi le noiose chiacchierate dell’amministrazione del denaro da parte dei miei genitori. Poi su, in camera, di nuovo. Una noia mortale. Non avevo mai capito perché non mi lasciassero mai fare nulla, né da dove veniva l’innato odio che provavo verso di loro. E poi, ottenni un successo, dove conobbi Valkyria e.... il mio presente. Aprii gli occhi e osservai il fuoco. Prima non capivo. Poi mi spiegarono tutto .Un mezzospirito... la mia incredibile forza di volontà aveva rianimato il mio corpo, nemmeno la morte aveva fermato la mia anima. Se non sbaglio ero morta per mucoviscidosi, ma ora non è un problema, perché non respiravo proprio. Non ne avevo bisogno, ero solo un burattino, un guscio per la mia anima. La mia anima aveva conosciuto il paradiso, ma la forza di volontà delle preghiere dei miei mi avevano rincatenata a loro, che mi avevano isolato per fare in modo che non mi succedesse più nulla. Questo spiega anche perché non avevo provato nulla nel vederli decapitata una e squartato l’altro. Poi avevo i poteri. Stavo cominciando a praticare la telecinesi, il potere della mente che permette di muovere e far levitare gli oggetti. Sono per un anima libera e ancora nel mondo come i mezzispiriti e i fantasmi potevano far uso di simili poteri. Fissai il fuoco intensamente, riuscendo a staccare una fiammella dal rogo e portandomela davanti agli occhi. Accecandomi, sì, ma mi divertivo. “Stai migliorando” Valkyria era entrata. “Bella doccia, vero?” feci io sorridente, perdendo la concentrazione e lasciando estinguere la fiammella. La bruna sbuffò “Sì, guarda, non me l’aspettavo proprio. Spero di non essermi raffreddata” si girò verso il fuoco e ridacchiò. “Un demone col raffreddore. Buffo no?” ridacchiai. Valkyria aveva il senso dell’umorismo. In realtà lei non era un vero e proprio demone, ma era stata posseduta da piccola. Era stata rinchiusa in un ospedale psichiatrico per casi speciali, dove l’aveva raggiunta la sorella Echo pochi mesi dopo. Echo voleva un bene dell’anima alla sorellina e non vedendola più tornare era come impazzita. Ma sapevo solo questo. Valkyria sembrò leggermi nel pensiero “Ora che ci penso,  non ti ho raccontato come sono arrivata qui!” io la guardai, leggermente imbarazzata “Non serve, se non ne vuoi parlare...” ma lei mi tranciò la frase a metà “Io ho conosciuto la tua storia, ora conoscerai la mia.” Quando vide che non rispondevo si sistemò meglio sulla poltrona e cominciò.
“Vediamo... è cominciato tutto quando avevo cinque anni. Stavo rincorrendo il gatto della vicina, ero tremenda da bambina, al contrario di Echo, che era allegra, ma non una svezzacollo come la sottoscritta. Sempre inseguendo il gatto maculato della vicina, mi imbattei in un altro gatto, nero e arruffato.  Cominciai a corrergli incontro... poi c’è un buco, e non mi ricordo cosa è successo, mi ricordo solo che faceva male, un male atroce. Fu così che io fui posseduta da un demone. Mi portarono all’ospedale psichiatrico, dove con le cure speciali, estinsi il volere del demone e imposi il mio. Il dottore che mi curava era un caro amico del Boss, e aveva scoperti subito le cause del mio ricovero, e anche quelle di Echo. Inscenarono la mia morte e il suicidio di Echo per il dolore. Dopodichè ci portarono qui e io imparai a trasformarmi, a vedere ed intercettare le auree e cose simili, i poteri del demone. Echo, invece,non aveva poteri, così glieli crearono. Da quando era entrata in psichiatria, aveva perso la sua allegria e il suo umorismo. Così decisero di svuotarla completamente dalle emozioni, costruendo un arma sovrannaturale, la sua doppia alabarda. Si chiama Purgatorio. E’ divisa in due: la lama bianca con l’alone azzurro si chiama Saint, la lama pura, l’altra è Sinner, la lama demoniaca, nera con il cupo alone rosso sangue. Hanno poteri diversi tra loro, ma non ho ancora visto quali sono, fino ad ora si è limitata a tagliuzzare la gente con Sinner. Ma torniamo alla storia: quando fummo pronte ci mandarono a fare la stessa cosa che abbiamo dovuto fare con te: far scomparire definitivamente le nostre tracce dal mondo, abbandonare le persone che eravamo prima e diventare assassine sovrannaturali. E poi avevamo fatto la firma: io Valkyria, la messaggera degli dei nordici. Perché noi abbiamo un messaggio da mandare al mondo: non mettetevi contro il boss, o questo è il vostro futuro. Lei è rimasta Echo, ma perché oramai è diventata l’eco di se stessa, per cui non c’è nome più adatto.” Valkyria si interruppe, il racconto era finito, e io ero ferma a riflettere. Presi un'altra fiammella dal fuoco e mi concentrai con tutta me stessa per fare un esercizio di.... possiamo chiamarla cromatologia. Dopo alcuni istanti, la fiamma divenne di un blu acceso, come un fuoco fatuo. Sospirai e la lasciai andare. “Che racconto deprimente” borbottai stiracchiandomi. Sentìì un risolino e trasalii: non mi ero accorta che Wish era entrata. Valkyria evidentemente sì. “Ooooh.... così vi state raccontando il passato... ma che brave!” e le sue risatine argentine si propagarono per tutta la sala. Cielo, quella bambina era davvero inquietante. Le scoccai uno sguardo eloquente, dimenticandomi del tutto che Wish era cieca. Almeno però notai la presenza di Hope, il fratello maggiore di Wish. Lui mi guardò con i suoi occhi lilla pallido, due occhi meravigliosi e lucenti. Se la sua voce fosse stata bella quanto i suoi occhi, se solo avessi potuto sapere che (e se) era così, allora sarebbe stato un vero peccato. Lui muto e la sorellina cieca. Erano entrambi inquietanti. Lui era pressoché simile ad un fantasma, lei sembrava quasi di più una Yandere. In realtà era una bambina dolcissima.... inquietante nei suoi grandi occhi vitrei, ma dolcissima. Wish aveva solo otto anni, ma era una ragazzina molto sveglia. Aveva due grandi occhi grigio tempesta, come i miei, e i capelli fuxia acceso. Vestiva sempre di bianco, arrivava di soppiatto quando meno te l’aspettavi, parlava sussurrando e tutto questo contribuiva a darle un’aria da fantasma. Suo fratello non era tanto meglio. Ovviamente non parlava, era muto dalla nascita, per quanto ne so. Aveva dieci anni, ma sembrava un tredicenne. Seguiva Wish ovunque, come un ombra. Aveva i capelli grigio metallo, ma verso le punte diventavano neri, come i suoi vestiti. Wish e Hope lavoravano insieme, il fantasma e l’ombra. Erano molto simili anche nel loro potere. Erano delle super-brain, dei possessori del sesto senso. Wish era cieca, ma avvertiva le auree, quindi poteva muoversi e fissare le persone negli occhi senza nessun problema. Per lei , il mondo era una sostanza nebbiosa di vari colori. Dal canto suo, Hope usava tranquillamente la telepatia, per comunicare i suoi pensieri. In realtà, neanche così avevo mai sentito la sua voce: Hope si esprimeva a immagini, colori e sensazioni. Per quanto riguardava le loro armi, Wish era un’esperta di veleni e gas di ogni tipo: bombe a mano con vari gas, liquidi e cerbottane erano molto pericolose in mano sua. Hope non era così delicato, era per un approccio più diretto: uno strano arco, che era fatto di metallo tagliente fatta eccezione per l’impugnatura, poi aveva parecchie frecce, ti ogni tipo possibile e immaginabile. Una cosa che non ho spiegato sono i nostri ruoli: Echo è un’”assassina di gruppi”: si occupa di gruppi di persone che vanno dai quattro ai dieci componenti, più o meno. Io e Valkyria siamo “assassine selettive”: ci predestinano un bersaglio e noi lo facciamo fuori, semplicemente. Wish e Hope erano spie e “autori di tragedie” uccidevano gruppi piuttosto numerosi. Allegria portami via, insomma. Mi dondolai sulla poltrona sorridendo ai due e dissi “Allora, perché non raccontate pure voi la vostra storia?”. Wish ridacchiò, Hope non cambiò di una virgola. “D’accordo.... lo farò..... Io e Hope siamo fratelli.... siamo orfani e siamo stati allevati in un orfanotrofio per casi speciali... bambini pazzi o affetto dalla sindrome di down, per lo più... eravamo gli unica portatori del sesto senso.... Ci ha trovati Nightmare... e i boss ci ha allevati. Fine” ridacchiò lei. Strano che wish sia di così poche parole. Di solito le dai la parola e ti devi sorbire almeno tre ore.... d’introduzione. Valkyria si accorse della mia faccia stupita. “C’è qualcosa che non ti è chiaro?” mi chiese. Sì, in effetti qualcosa di poco chiaro c’era. A parte il fatto che Wish avesse parlato così poco, sì. Però riflettei bene prima di fare la mia domanda. Valkyria aveva detto che eravamo cinque assassini: io, lei, Wish, Hope ed Echo. Qualcosa non tornava. Scrollai le spalle: tanto valeva azzardarsi. Guardai Valkyria in attesa di un incoraggiamento, che trovai misto a curiosità. Guardai pure gli altri, ma Wish pareva divertita e Hope sembrava di marmo (tanto per cambiare, proprio). Presi fiato e formulai la mia domanda. “Chi diavolo è Nightmare?”


Angolo nascosto nel nulla:
Zao owo
Sono tornata ad assillarvi ahah, poveri voi! In questo capitolo più che altro, si parla del passato e presente e degli altri due assassini, Wish e Hope.  Ah, poi mi serviva anche per introdurre l’ultimo personaggio principale. Era troppo facile senza qualche difficoltà, no? Beh, Se recensite mi fate un favore, oppure.... ciccia ^^ Ciao ciao! *si ritira nell’oscurità e inciampa su uno scatolone* acc....!

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Capitolo 4
*** Alto tradimento ***


Nightmare 

Mi risvegliai disteso sul freddo pavimento di pietra. Ero caduto di nuovo dalla mia branda. Mi issai a sedere passandomi una mano nei capelli corvini, che cominciavano a diventare fin troppo lunghi. La frangia mi andava negli occhi. I miei occhi cambia colore. Andavano dal bianco al nero, sfiorando tutte le sfumature di grigio. Mai un colore. Mai. Persino la mia pelle era lattea. Sembravo uscito da uno di quei vecchi film... uno dei primi. Mi lisciai la frangia. E questo? Acc, che bernoccolo! C’era anche del sangue secco. Nero pure quello. Sì, il mio sangue era nero. Faceva un po’ paura. Io facevo paura. Era per questo che ero conosciuto come Nightmare, incubo. In realtà non mi chiamo così solo per quello. Era il nome che avevo quando ero un assassino. E’ il mio nome attuale, poiché ho dimenticato il mio. Mi stiracchiai nuovamente e mi alzai in piedi, barcollando rintontito. Non sono esattamente la velocità formato persona, nel riprendersi dal sonno. Questo spiega anche come mai tutte le volte che cadevo dalla branda non mi svegliavo. “Più che un incubo sembro un bradipo” bonfochiai assonnato. Avevo la vista appannata. Mi sciacquai il viso e mi risedetti sul letto. Sì, ero in una prigione. Mi stavano studiando. Studiavano il ragazzo in bianco e nero. Mi chiamavano così non solo per il mio fisico e il mio sangue. Mi chiamavano così perché tutto in me era un bianco e nero. Io vedevo il mondo nelle fredde tonalità del grigio. Non sapevo cos’era il colore. Se lo sapevo, lo avevo dimenticato. Mi dimenticavo spesso le cose. Dopo tutti questi esami sulla tua natura ti rincretinisci del tutto. Sento spesso le urla dei miei compagni di prigione che urlano e vomitano. Loro hanno perso la ragione e vengono abbattuti. Io resisto. “’Ti studieremo assassino’ ma che sono io, un libro di storia per caso?” sbotto innervosito. La verità è che mi vogliono usare. Vogliono combattere il movimento degli ‘Alternative Assassins’ così gli hanno chiamati. Combattere il movimenti con una delle loro reclute. Se voglio farlo? Assolutamente no. Se lo farò? Sì. Sono costretto. Forse così mi lasceranno in pace. Sono chiuso in questo manicomio. Mi hanno rinchiuso da piccolo, perché mi consideravano pazzo. In realtà sono un sensitivo, un medium. Vedo i fantasmi. Sono loro a darmi i poteri. Però i fantasmi possono dannarmi. E così è successo. I fantasmi delle mie vittime non mi lasciano tregua. Ma, se da sveglio non riescono a prendere il controllo, da bradipo dormiente sono in loro balia. E’ così da quando ho assistito all’assassinio di mia sorella. Louise. Sì, ecco come si chiamava. Mi ricordo raramente le cose. Più che gli esami, questa amnesia è per causa dei fantasmi. Mi confondono. Ho ricordi che non mi appartengono. E le mie memorie sono disperse da qualche parte.
Osservai la guardia soffermarsi a guardare la mia cella. “Quando mi farete uscire?” chiesi io. “Quando avremo  finito.” Rispose quello. Alzai gli occhi al cielo e sbuffai. “Cioè quando sarò uno di questi ibridi bavosi” e indicai con un cenno il fuori della mia cella. Quello esordì con una scrollata di spalle e continuò il suo giro. “Hai visto come è ridotto tuo fratello, Louise?” borbottai rivolto alla mia branda. Il fantasma della mia sorellina era comparso e se ne stava comodamente a fluttuare sopra il materasso consunto. “Sì, un vero schifo” fece quella.
Aveva solo 9 anni. Si era spenta un giorno di... maggio... no, aprile. E... pioveva. Una pioggia leggera, primaverile. Schiacciata da un camion. Avevo 12 anni. Ora ne ho 17. E il ricordo suo mi perseguita.
“Di un po’, Louise... sei sicura di non avermi posseduto ultimamente? La tua fine è più vivida che mai.” Lei scosse la testa. “Forse stai cominciando ad impazzire. Non mi stupirebbe, neanche un briciolo.” Mi guardò con i suoi grandi occhioni. Sembrava volermi scrutare nel profondo dell’anima. Sbuffai. “Non sto impazzendo, Louise. E’ che quasi quasi preferivo essere un assassino. Almeno avevo una compagnia un po’ più... ‘vitale’ diciamo”. E’ il turno di Louise per sbuffare. “Spiritoso” brontola, mettendo il suo adorabile muso da bambina. Ridacchio divertito. “Era solo uno scherzo, Louise! Dai, non prendertela!”

Valkyria
Fissavamo Egypt come inebetiti. Davvero non gli avevamo detto nulla? Chiusi la bocca per evitare di sbavare: non sarebbe stato signorile. Ok, a quanto pare non le avevamo detto nulla. Mi schiarii la voce per cominciare a parlare, ma fu un disastro totale, dato che mi era raffreddata: iniziai a tossire e a sputacchiare. Questo manda a quel paesino di montagna il discorso sulla signoria di poco prima. Egypt, nel frattempo, aveva iniziato a darmi poderose pacche sulla schiena, nel tentativo di non farmi soffocare. Anche se, dalla sua potenza, pensai seriamente che mi avesse scambiato per un tamburo. “Gr...coff... zie, Egypt.” Lei mi guardò preoccupata mentre riprendevo fiato, e io le feci segno con la mano di lasciar perdere.
“Allora! Prima che arrivassero Hope e Wish, avevamo tra noi altri due assassini. Pearl, un giovane albino, è stato fucilato dalla polizia. Nightmare è dato per disperso. O almeno, fino a poco fa. Ci è stato riportato che lui, non riuscendo più a reggere la situazione, si sia fatto catturare. Ora lo tengono in un manicomio sotto stretta sorveglianza. Sembra che parli spesso nel sonno. Probabilmente se ne è andato perché i suoi incubi stavano diventando troppi e troppo intensi, e ha provato a scappare. Illuso. Le uniche cose che ha ottenuto è un posto in carcere e l’accusa di alto tradimento. Di conseguenza: è un imbecille.”
Egypt sembrò rifletterci bene. Poi fece una scrollatina di spalle. “E allora perché non lo andiamo a prelevare?” chiese. “Baka, te l’ho detto, è di massima sicurezza!” rimbeccai io. Lei mi guardò con un ‘non hai capito un fico secco scritto chiaro e tondo nei suoi occhi. Sbuffai. “Illuminami” dissi subito dopo. Quella fece un sorrisetto compiaciuto, uno di quelli che ti da sui nervi. “Noi siamo spie, no? Ci infiltriamo e chi ci sta in mezzo lo mandiamo all’altro mondo. In uno dei tre, insomma” buttai gli occhi al cielo. Lei, la sua stupida letteratura e quell’idiota di Dante. “Dante non è un idiota!” sbottò quella. Ups, mi dimentico che comincia a leggere nel pensiero. Le feci un cenno per farle capire che volevo ascoltare l’altra parte del suo discorso. Lei riprese fiato “Quindi, non vedo dove sta il problema”. Ah, tutto qui? Mi aspettavo un discorso più lungo. Egypt è una dannata chiacchierona. Scrollai le spalle e borbottai un ‘Il capo ce lo vieta’ e il discorso finì lì.

Nightmare
“Ehi tu. Smettila di parlare da solo e seguimi.” Una guardia era tornata. Scoccai un’occhiata a Louise e le feci cenno di seguirmi. Un cenno molto grande, così che la guardia avesse l’impressione che io stessi facendo fare ginnastica al collo. Mi alzai con lo spiritello che mi seguiva a poca distanza. Mi prese una mano. Rabbrividii. I fantasmi sono dannatamente freddi.
Seguii la guardia per fredde, grigie, rumorose scalette metalliche. Dopodichè mi fecero entrare in una porta stretta  e lunga dove un commissario mi attendeva. Mi fecero sedere su una scomoda sedia metallica. Grigia. Comincio seriamente a pensare che mi prendono per i fondelli. Guardai interrogativo il commissario. Lui fece un sorriso giallognolo. Bareah. Che schifezzo. Lavarsi i denti ogni tanto non è reato capitale. Non voglio immaginare l’alito.
“Benvenuto assassino” Fumo e tabacco. Potrei vomitare. “Hai visto? Ti abbiamo fatto uscire.” Io guardai Alito_da_morto con aria truce. “E’ unicamente per un altro vostro stupido esperimento. Dannati” sibilai. La guardia mi tirò un ceffone. Lo ricompensai con un’occhiataccia velenosa. “Lascialo stare Mark. Se no la collaborazione è ostacolata”. Quel dannato sorrisetto sporco mi dava sui nervi. Sì, mi prendevano seriamente per i fondelli. Per cui tagliamo “Non ho nulla da dirvi. Lasciatemi marcire”. Con questo in realtà mi sarei fatto spiegare parecchie cose. Appunto.
“Dato che non ci vuoi parlare del progetto Alternative Assassins ti vogliamo chiedere una cosa” tirò fuori una foto. Una foto di un muro. Sopra all’ammasso di mattoni c’era una scritta e, realizzai, era fatta con il sangue. Egypt. Mai sentita. E sono sicura di non aver dimenticato nessuno dei miei ex compagni. I fratellini. Valkyria e Echo e Hope e Wish. Ma l’ultima mi sfuggiva. Avevo saputo che Pearl era morto fucilato poco dopo la mia cattura. Vorrei trovare il suo fantasma e mettermi in contatto con i miei compagni e far capire che il mio non era tradimento. Ma per uscire, dovevo fare il loro gioco. Alzai lo sguardo “Che volete sapere?”

Egypt
Mi avvolsi nelle coperte morbide e profumate del mio letto. Pensavo agli eventi della serata. Ci avevano comunicato che ce l’avevamo fatta a pelo e che per poco non ci scopriva la polizia. Sospirai. Che disastro. Ma non ero depressa solo per quello. Anche quel discorso con Valkyria mi aveva lasciato un  fastidioso pensiero ronzante. ‘Alto tradimento’ sarà davvero così? Non penso proprio. A menoo che non sia il grande idiota che la mia amica aveva descritto. Ma dai, nessuno è così idiota... spero.

Angolino nascosto nel nulla:
Sono tornata, Friends!
Come prima cosa vorrei ringraziare Drachen e ice_shadow per aver inserito la mia storia tra le seguite e Drachen e _beatlemania is back per le recensioni.
Ok, l’ultimo assassino è stato presentato. Devo dire che l’idea  per il suo potere mi è venuta per puro caso. Ah, alla fine aggiungerò altri personaggi, tra cui spiriti (Pearl e Louise specialmente) e alcuni agenti di polizia (Mark, per dirne una). Poi avrete notato che in questo capitolo parlano tre persone diverse in quattro tempi.
Che dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto e.... alla prossima! *affonda nel pavimento e finisce al piano sottostante*

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Capitolo 5
*** Halloween: tra vivi e morti ***


Louise

“Che ci facciamo qui fratellone? E’ da tanto che non esci, sei scappato?”
Quello non diede segno di avermi notato. Cafone.
“Prontoooooooooo!!!” A mali estremi, rimedi peggiori. Avevo strillato dritto dritto nel suo condotto uditivo. Niente di niente. ‘Si è rimbambito del tutto’ pensai, ma poi notai la guardia. Mark. Quel cretino in divisa. Ecco perché mio fratello non mi parlava. Ops. Forse non dovevo assordarlo.
Mi guardai attorno. Eravamo su un tetto a parecchi metri di altezza. Troppi, per i miei gusti. Da sotto vedevo delle luci e delle strane decorazioni. Zucche? Possibile? Era già Halloween? Per noi fantasmi la cognizione del tempo è più veloce che quella dei viventi. A dirla tutta non abbiamo più niente a che fare con i vivi. Perché non andiamo all’altro mondo? Semplice. Dobbiamo passare una prova. Non sappiamo quale. Bella fregatura, vero?
“Allora? Che devo fare?”
Oh, finalmente lo ha chiesto. Era ora! Ero curiosa.
“E’ probabile che questa sera i cinque assassini andranno in giro a raccogliere informazioni. Voglio che studi e impari a riconoscere quella nuova, Egypt. Chiaro? Sguinzaglia i tuoi dannati spiriti ma datti da fare.”
Sguinzaglia i tuoi dannati spiriti? Insensibile! Provai a tirargli un ceffone, ma purtroppo sono impalpabile. L’unica reazione che riuscii a provocargli fu un brivido di freddo lungo la schiena e un lieve malessere temporaneo. Alcune persone sono più sensibili di altre. Sghignazzai. Avevo avuto la mia piccola vendetta.
“Bene. Io vado” Mio fratello captò la mia presenza. Lo teletrasportai in una strada poco più avanti. Ero morta giovane, per cui il mio spirito era poco maturo e saggio, e poco forte. Quella piccola azione mia aveva fatto scolorire l’aura. Mi presi del tempo per riprendermi.
“Ora cosa hai intenzione di fare?” sussurrai poi al ragazzo che era rimasti a fissarmi come fossi un quadro in una pinacoteca. Lui scrollò le spalle.
“Vado a fare quello che mi hanno chiesto di fare.” Ok, questa non me l’aspettavo. Ci avviammo in silenzio.
“Spero tu stia scherzando. Se no dovrò controllare che tu non abbia la febbre. Da quando in qua prendi ordini da quei palloni gonfiati?” sbottai ad un tratto infastidita. Lui per tutta risposta sospirò. “Da quando non ho scelta, Louise. E comunque, anche se non me l’avessero ordinato, l’avrei fatto. Voglio saperne di più. Inoltre, voglio cercare Pearl. Lui può spiare gli assassini al posto mio.” Spiegò poi.
Ah, ecco. Pearl... lo avevo visto un paio di volte. Capelli non troppo corti, bianchi lattei, come la pelle e occhi azzurrissimi. Lui, come la ragazza mora chiamata Valkyria, era stato posseduto da un demone. Ma un tipo diverso da quello di lei. Valkyria aveva dentro di se un jinn, un demone muta-forma. Pearl aveva dentro di se una lamia, un essere di sembianze animalesche, nel suo caso, un pipistrello. Si dice che bevano sangue. Tutte frottole. Assorbono l’energia e, attraverso il loro contraente, le manifestano in vari modi. In più hanno un’aura potentissima. Persino per me sarebbe stato roba da nulla rintracciarlo. Appena lo dissi a Night mare, lui mi guardò stupito, poi sorrise.
“Allora lo lascio a te. Io vado a cercare Egypt... o Lucy Ranubi, come immagino la chiameranno. Ci ritroviamo qui. O in caso trovami tu.”
Detto questo di affiancò a un fantasma e si smaterializzò. Mi volsi nel verso opposto. ‘A noi due Pearl.’

Echo
Ero sulla cima di un campanile. Non mi piacevano le feste. Da quando non provo più sentimenti le considero vuote e prive di significato. Così me ne stavo appostata su quella postazione alta, nascosta nell’oscurità della notte di Halloween. Le altre facevano un giro in perlustrazione, ovviamente in maschera. Quindi figuratevi: degli assassini ricercati da tutte le forze dell’ordine che se ne vanno tranquillamente a bussare alle porte altrui trillando ‘dolcetto o scherzetto?’ rigorosamente in maschera. Ah, ovviamente ero stata costretta anch’io a mettermi un ridicolo costume da befana, con tanto di cappello, scopa e naso finto. E poi si chiedono anche perché non vado con loro.
Ero la più ridicola nella compagnia. La mia sorellina era vestita da scheletro, Egypt da zucca, i due fratelli da lenzuoli. Cioè, da fantasmi.
Tra l’altro, chissà che cosa dovevamo perlustrare. Forse dobbiamo semplicemente raccogliere informazioni. Se fosse così, la mia presenza sul campanile sarebbe del tutto fuori luogo. Ma io vestita da befana, in strada non ci vado. Il mio punto di osservazione va benissimo.
Infatti.
Non ci feci subito caso, lasciai che il mio sguardo ci passasse sopra. Poi lo riconobbi. ‘Nightmare? Che diavolo fa a zonzo così esposto?’ Neanche a finire di pensarlo. Scomparve. Probabilmente aveva usato l’energia delle anime dell’altro mondo. Dannazione. Per questo genere di cose, mi serve Wish. Lei può identificare le aure. E quella non può diventare invisibile per lei. Perché, effettivamente, le aure sono invisibili.
Recuperai la scopa. Premetti un pulsante nascosto e la copertura di Purgatorio fu annullata. Il problema del mio potere è che io sono l’unica che necessita assolutamente di un arma come potere. Tra le due è lei l’assassina. Azionai Saint, la lama bianca. Come aveva fatto il ragazzo poco prima, diventai anch’io invisibile. Dovevo essere veloce.

Louise.
Lo vedevo camminare con aria persa in giro. Poverino. Deve essere stato scioccante per lui. L’assassino assassinato. Lo rincorsi.
“Bu!”
Si girò stupito. Ah, già. Io conosco lui ma lui non conosce me. Ops. Sfoderai il mio miglior sorriso e tesi la mano (noi fantasmi possiamo toccarci tra di noi, se lo desideriamo)
“Molto felice di avere una comunicazione a doppio senso con te per la prima volta! Io mi chiamo Louise. Sono la sorellina deceduta qualche anno fa di Nightmare.” Dissi radiosa. Dico ‘comunicazione a doppio senso’ perché ogni tanto gli avevo detto una qualche parolina, ma dato che era effettivamente vivo e vegeto e io morta e per nulla vegeta non poteva né sentirmi, né vedermi. Ora, invece, poteva anche toccare la mia mano senza avere effetti collaterali.
“Piacere mio... ecco...” cominciò a farfugliare lui, stringendo appena la mia mano.
Aaah, il panico da prestazione. Pearl era sempre stato un po’ timido, d’altronde. Mi sorprendo nel constatare quante cose conosco su di lui. Il che forse avrebbe dovuto darmi da pensare, ma al momento ero troppo esaltata dalla mia “missione”. Guardai ancora sorridente il volto del ragazzino. Non poteva avere più di 12 anni. Meglio togliersi il dubbio.
“Ehi, ehi, tranquillo, mica mordo. Ti conosco perché sono morta da più tempo di te. Tu non puoi conoscermi. Avevo e quindi ho tutt’ora 9 anni. Tu invece?”
Quello sembrò rilassarsi un poco. Sorrise pure lui. Aveva un bel sorriso, bianco come tutto il resto.
“Ah, beh... io avevo ed ho 11 anni. E mezzo.” Disse lui. Era ancora un po’ impacciato, ma faceva progressi. Non è che avevo molto tempo, comunque. Nonostante mi sembrasse una persona un po’ delicata decisi di andare subito al punto.
“Ascolta... tu ti ricordi di mio fratello, Nightmare... giusto? E ti ricorderai che il suo potere consisteva nel vedere e interagire con noi fantasmi, teoricamente. Beh, ora sei un fantasma anche tu e... beh, mio fratello richiede il tuo aiuto.” Avevo detto tutto d’un fiato. Mi fermai a respirare un attimo. Ahm... a dirla tutta quello della respirazione è un concetto delicato, dato che noi effettivamente siamo morti e teoricamente non dovremmo sentire la necessità di respirare. Credo che sia un concetto di abitudine.
Ripresi. “Tu facevi parte del progetto ‘Alternative Assassins’, e quindi conosci la loro base e tutto. Beh, dovresti fare la spia, o qualcosa del genere, e poi riferirci tutto a proposito di una certa Egypt. Ti dice nulla?”
Quello mi guardava inebetito. Posso capirlo, dato che sono passata dal chiedergli l’età a questo. Poveretto. Feci un sorrisino a mo’ di scusa. Quello scosse la testa e sorrise a sua volta.
“Vuoto assoluto, mi dispiace. Deve essere entrata nel gruppo dopo la mia uccisione. Quindi devo raccogliere informazioni? Beh, non dovrebbe essere troppo difficile, dal momento che non mi vede. Ho capito bene?” mi chiese lui prudentemente.
“E io che ne so? E’ mio fratello che ha architettato il famoso piano.” Ecco, lo lasciai di stucco, con la bocca che formava una perfetta ‘o’. Poi iniziò a ridere come un idiota. Aveva una risata contagiosa, quindi lo seguii a ruota.
“Dai, ti accompagno da lui così forse ci capiamo qualcosa in questo casino.” Proposi infine.
Lui annuì sorridente, mi prese la mano e insieme ci smaterializzammo.

Echo
Li incrociai in un vicolo deserto. A quanto pare si erano divisi e si stavano scambiando le informazioni. Piombai in mezzo a loro, premurandomi di togliere il naso finto prima di tornare visibile. Ciononostante feci prendere un colpo a tutti i presenti.
“Echo! Ma sei scema?!” Valkyria e la sua delicatezza. Egypt le fece cenno di stare in silenzio, intuendo che avevo qualcosa da comunicare loro. Ripresi fiato.
“Ho avvistato Nightmare”

Angolino nascosto nel nulla:
Ciao a tutti o a nessuno.
Mi scuso immediatamente con tutto per i miei errori di scrittura e di tempi verbali di cui si è lamentata la mia amica _beatlemania is back e che sicuramente ci saranno anche in questo capitolo, nonché nello spazio autrice (^^”). Inoltre, e mi rivolgo alla medesima giovincella, spero di aver messi abbastanza spazi.
Che dire, spero che il capitolo 5 vi sia piaciuto e che vi sia piaciuto Pearl. Si comincia ad entrare nel vivo della storia (forse) !
Al prossimo capitolo! *si lancia in un bidone della pattumiera del vetro e si taglia per i cocci*
Ahi...

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Capitolo 6
*** Cose che non dovresti vedere ***


Egypt

Mi lanciai sul letto esausta. Avevamo pattugliato tutte le strade di Londra, alla ricerca di quel tizio, Nightmare. Non avevamo trovato nessun segno del suo passaggio, ma Echo e il suo occhio felino non potevano inventarsi una storia del genere. Ma allora dove era scomparso? Sentii bussare alla porta al quale risposi mugugnando un ‘avanti’ in risposta ed entrò Valkyria. Si sedette accanto a me sul letto, lo sguardo fisso sul muro di fronte.
“Sai, penso che avrei dovuto dirti tutto prima.... riguardo a Nightmare... Non era molto diverso da te” disse infine sospirando.
‘Eh? Io sarei simile a lui? Non sono un tipo da tradimento!’ pensai piuttosto colpita nel profondo. Quella sembrò accorgersene e mi sorrise.
“Lascia che ti spieghi, muso lungo! Intendo dire che lui era socievole e mite, come lo sei tu... beh in effetti tu sei un po’ più allegra. Vi somigliate. Era un tipo a posto Nightmare. Mi piaceva.” Tornò a fissare il muro in silenzio.
“Dove vuoi arrivare?” chiesi puntellandomi sui gomiti (ero nuovamente spaparanzata a pancia in giù sul materasso) per guardarla in faccia. Lei ricambiò il mio sguardo, improvvisamente seria.
“Il punto è che non voglio veder sparire nessun altro. Stai attenta a quello che fai per favore! Sei la mia migliore amica e non voglio vederti passare dall’altra parte per un errore di chicchessia!” mi disse, quasi supplicandomi. Sospirai.
“Farò il possibile. Nemmeno io voglio andarmene.” Le risposi mesta. Che altro si può rispondere ad un affermazione simile?
“Bene!” esultò Valkyria, sollevata. Poi il suo sguardo passò dal felice al diabolico. “Ora... togliti quel muso!” e mi cominciò a farmi il solletico a tradimento (facendosi spuntare persino un paio di braccia in più”
Provai a sospirare (con scarsi risultati): Valkyria è pur sempre la solita Valkyria di sempre. Vorrei dire ‘con un lieve sorriso sulle labbra’ ma stavo ridendo senza ritegno causa solleticamento pancia e, per amor dei miei intestini e delle mie budella che erano sul punto di esplodere, tentai di porre fine a quella tortura.

Pearl
Stavo assistendo alla scena leggermente scandalizzato. Valkyria, la mora che conoscevo già, stava facendo il solletico ad una malcapitata ragazza bionda, che sembrava in balia di un attacco epilettico. Molto rumoroso. Mi lasciai sfuggire un sorrisino. Un paio di volte Valkyria aveva torturato così anche me. Un movimento mi distrasse: la porta si era aperta.
“Tu, basta così, la stai uccidendo” disse freddamente una ragazza dai capelli celesti. ‘Tipico di Echo’ pensai io guardando gli inespressivi occhi sangue della ragazza. Valkyria fece sparire le due braccia intruse e fece un sorrisino furbetto in direzione della sorella. Quell’altra ragazza stava cercando di riacquistare sensibilità nei polmoni, tenendosi la pancia.
“Le... mie... budella...!” annaspò ad un certo punto facendo ridere di gusto Valkyria e scuotere la testa Echo, che girò sui tacchi e se ne andò borbottando “la cena... non fate tardi” Dopo altri cinque minuti abbondanti di risa, Valkyria riuscì finalmente a formulare una frase che catturò la mia attenzione.
 “Povera, povera Egypt! Che brutta fine.” Cantilenò dolcemente la mora con un sorrisetto sadico. Per tutta risposta la bionda le lanciò un cuscino dritto e preciso in faccia, ridacchiando e trillando “Se mangi troppi cuscini qui non mangi più niente per cena!” per poi filarsela fuori dalla camera veloce come una scheggia. Valkyria la seguì dopo aver sputacchiato un paio di piume.
Finalmente il silenzio. Era stato imbarazzante. Anche un po’ divertente, però. Allora.
Così la ragazza biondo grano era Egypt. Non sembrava tanto grande, ma più di me lo era indubbiamente. Beh, ora sapevo chi era. Mi guardai attorno.
La stanza di Egypt era più lunga che larga. In un angolo c’era un tavolo con sedia e computer e il letto. Dall’altra due armadi. Per terra un tappeto morbido rosa. La lenzuola azzurre. I  muri bianchi. Una classica stanza di una classica adolescente a cui il destino aveva giocato un brutto tiro. Pearl pensava questo guardando il pavimento immacolato della camera di Egypt.
Ma ora non aveva tempo per quei pensieri. Aveva un compito.

<<”Fratellone! Ho trovato Pearl” aveva esclamato Louise. Il giovane si era girato e aveva sorriso alla sorellina deceduta.
“Grazie, Louise. Pearl... è un piacere rivederti... avrei preferito in altre circostanze.” Aveva detto.
“Pensa un po’ io” avevo borbottato in risposta. Poi avevo rialzato lo sguardo. “Che ti serve?”
“Tutto ciò che riesci ad imparare su una ragazza di nome, così per dire, Egypt. Deve essere una nuova assassina poiché né io né tu ne sappiamo nulla. Vorrei che tu raccogliessi informazioni e poi me le riportassi qualvolta ne avessi di importanti. Lo puoi fare?”
Scrollai le spalle. “Nessun problema.” Lui annuì.
“Se non mi trovi, comunica il tutto a Louise. Farò in modo che tu riesca sempre a trovare uno dei due.” E con questo lo aveva congedato.>>

Perso nei miei pensieri com’ero, però, non mi accorsi della porta che si aprì alle mie spalle. E quando lo notai era tardi: la ragazza mi aveva attraversato. Di che mi preoccupo dato che sono invisibile ed incorporeo? Vada per l’incorporeo, ma sull’invisibile non ne ero più troppo sicuro: la ragazza aveva lo sguardo grigio fisso nella mia direzione. Nei suoi occhi leggevo sorpresa, incertezza e paura. E come posso biasimarla? Non capita tutti i giorni di ritrovarsi un fantasma visibile in camera.

Egypt
Avevo bevuto qualcosa di fortemente scaduto o allucinogeno. Chiusi gli occhi per un paio di secondi, poi li riaprii. Nulla. Quello strano ragazzino, fluttuante ed opalescente, era ancora lì. E, cosa strana, sembrava sconvolto quanto me. Così, ovviamente, mi misi ad ipotizzare le più stravaganti teorie: il contatto con un mondo parallelo, il contatto con il futuro, il contatto con un alieno...
La piantai solo quando quello si schiarì la voce. “Egypt?”
Oh, meraviglioso. Mi ritrovo in compagnia di una dubbia creatura dalla dubbia esistenza che conosce il mio nome, ma che io non ho mai visto. Avevo decisamente bevuto o mangiato qualcosa di avariato. In ogni caso, quello si aspettava una risposta, così mi misi sulla difensiva
“Chi vuole saperlo?” Domanda intelligente? Lo speravo, come speravo di averlo incastrato.
“Spiegati meglio” Pam! Mi aveva fregata. Cavolo. Così tentai di tirarmi fuori, fregandomene della delicatezza.
“Che cosa sei?” chiesi con una voce patetica, tremante. Mi feci pena da sola. Che figura di cacca.
“Un qualcosa che tu non dovresti riuscire a vedere. Ma mi vedi. Perché?”
Eh? Ma che voleva questo? ‘Un qualcosa che tu non dovresti riuscire a vedere’ ma mi prendeva in giro? No, dalla sua faccia no. Quindi, l’unica cosa plausibile che mi veniva in mente era...
“Sei un fantasma... vero? – lui annuì – Ah... beh, mi dispiace. Ma perché sei qui? Cosa vuoi da me?” chiesi tutto d’un fiato, lasciandolo perplesso. Se lui era perplesso, io che dovevo dire? Mi sentivo addosso una faccia da pesce lesso. In più lo stavo tempestando di domande. Poveretto!
“Informazioni. Su di te, Egypt.” Ah, quindi io stavo facendo da interlocutrice al mio interlocutore. E la cosa mi seccava abbastanza.
“Beh, te la do subito un informazione: non mi piace parlare con qualcuno che conosce il mio nome senza conoscere il suo!” Ops. L’ho detto ad alta voce. E ci è rimasto male. Ops.
Difatti quello era diventato di un rosso magenta che si sposava a meraviglia con gli occhi celesti.
“B-beh... io...” il magenta era diventato un color melanzana. E la cosa era abbastanza divertente, ma mi sforzai di non ridere. Cosa alquanto difficile. Ma ci riuscii e con un cenno lo invitai a parlare.
“Io mi chiamo Pearl.”
Pesce lesso 2: il ritorno. E’ il mio turno di rimanere male per qualcosa. Quello era il fantasma dell’assassino assassinato.

Angolino nascosto nel nulla:
Hay, Kombawa <3 *Sennen ko  style*
Come va friends? Scusate l’ENORME ritardo di questo capitolo, ma ho dovuto scrivere altra roba. E’ probabile che questi ritardi si faranno sempre più frequenti, perché tra poco arriverà la mia seconda fan fiction che faccio con una mia amica. Non sarà un originale inventata da me, ma a tema D. Gray – Man. E questo spiega il saluto iniziale. Temo di aver trasformato l’italiano in aramaico in un paio di frasi, spero di sbagliarmi xD
Bene! Vi saluto e al prossimo capitolo, se non mi investono prima xD *Torna a litigare con Alessandro Magno*

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Capitolo 7
*** Scambio di informazioni ***


Egypt

‘Ok, ricapitoliamo con calma, Egypt’ mi dissi, lo sguardo ancora fisso su Pearl. ‘L’assassino assassinato è un fantasma e vuole sapere informazioni su di me. Ehm...’ presi fiato.
“Che genere di informazioni, scusa?” quello fece per rispondermi, poi si bloccò e sembrò rifletterci sopra. Nel frattempo io dedussi che stare in piedi come un cavallo non era esattamente una cosa normale e comoda per una chiacchierata, così mi riposizionai sul letto.
“Beh... non me l’hanno specificato, in realtà... sul tuo potere deduco.” Rispose lui non appena mi fui sistemata.
Oh, d’accordo. Nightmare gli altri li conosceva, conosceva la base. Sapeva come entrare e il sistema di sicurezza non doveva presentare un problema per lui. Potevano ribaltarci. La crepa nel piano ero io. Dipende tutto da me, quindi? Splendido,  davvero. Perché sono quella che non sa niente. Beh, almeno è una cosa a doppio senso. Un’informazione per un’informazione.
Comunicai la mia decisione al fantasma.
Risposta affermativa.

Valkirya
“Perché vorresti uscire? Siamo appena rientrate e siamo tutti stanchi. Non sei stanca?”
Ero rimasta leggermente scandalizzata dall’improvvisa richiesta di Egypt. Era distrutta, lo si vedeva dal volto e negli occhi. Eppure voleva uscire. La scrutai a fondo negli occhi chiari, ma ci trovai solo quelle sguardo di disagio innocente. E la stanchezza. Sospirai.
“Rimanda a domani, Egypt. Sei distrutta.” Dissi infine.
“Ma è importante, Valkirya!”
La guardai sorpresa. Cosa aveva di tanto importante da fare alle 11 di sera? Decisi che lo avrei scoperto da me, dato che di sicuro Egypt non me lo avrebbe mai detto.
“Qualunque cosa può aspettare. Ora, se vuoi scusarmi sono distrutta e vado a dormire.” Le tirai un pugnetto sulla testa biondo grano e conclusi, sorridendo “Ti consiglio di fare lo stesso”.
Poi la piantai lì, mentre vedevo che quell’improvvisa motivazione svaniva dai suoi occhi stanchi.

Egypt
Mi sentii una sciocca. Di certo non potevo piombare là da Nightmare per negoziare. Tornai in camera in silenzio, l’albino che mi fluttuava accanto. Mi rinchiusi in camera ed esposi le mie condizioni al fantasma.
“Voglio incontrare Nightmare. Il più presto possibile. Devo parlargli.”
Il ragazzino non fece una piega, forse se lo aspettava.
“Ok... glielo riferirò. Vado... ehm.... ci vediamo” farfugliò a caso il saluto, per poi scomparire. Mi stravaccai sul letto, diventando quasi tutt’uno con le coperte.
‘Nota: i fantasmi sanno teletrasportarsi’ riuscii a pensare prima di addormentarmi.
Ero in un prato. C’era tanta luce, ma non sembrava quella del sole. Una brezza tiepida e piacevole, che ti scaldava dall’interno. L’erba era fresca e azzurra. Un momento. L’erba non è azzurra. Dove mi trovo? Sento un cane che abbaia. Mi volto e la vedo. Lucky.
- E...t... -
Cosa ci fa Lucky qui? Mi si avvicina, mi annusa, prova a leccarmi una mano, ma dove avrebbe dovuto toccarmi avverto solo un gran freddo. Come quando avevo trapassato Pearl.
- ...gypt. -
Sapevo già che Lucky era morta. Ma perché la sto sognando?
- Egypt! -
Mi sveglio di colpo rintontita. Pearl i sta guardando come se avessi appena detto qualcosa di terribilmente assurdo. Stavo per scusarmi ma mi accorsi che il ragazzo non era solo.
Fluttuava al suo fianco un altro fantasma, una bambina sui nove anni, dieci al massimo, i capelli abbastanza lunghi violetti e due occhi acquamarina limpidissimi.
“Finalmente, ben svegliata!” trillò lei allegramente. Mugugnai qualcosa di non ben definito in risposta, e lei continuò interdetta. “Io sono Louise. Sono la sorella minore di Nightmare. Ti sta aspettando, muoviti.” Mi intimò con un grande sorrisone, come se la cosa fosse divertente. Poi vidi le condizioni dei miei capelli e cominciai a darle un po’ ragione. Sembrava che una mucca mi avesse leccato la testa. Mi sistemai alla meno peggio (almeno non mi ero messa il pigiama) e mi accinsi ad uscire.
Il vento gelido mi fece arrossare il volto e mi maledissi per non essermi infilata una giacca. Beh, in effetti non avevo molto tempo, così mi rassegnai a diventare un ghiacciolo.
Seguii i due spettri per varie strade, ponti scalette e muretti vari.
“Ecco, se sali queste scale troverai Nightmare. Noi andiamo a dirgli che sei arrivata. Ti aspettiamo.”
Dopo queste parole, Louise e Pearl si teletrasportarono, lasciandomi da sola a guardare quella scala metallica, una delle classiche antincendio. Sospirai e il mio fiato si condensò in candide nuvolette.
‘In che guaio mi sono cacciata’ pensai mentre iniziavo la scalata. Sfiorai la tasca chiusa a cerniera delle braghe. In quella tasca avevo le mie precauzioni.
In camera mia c’era un registratore vocale azionabile a distanza. Avevo lasciato un messaggio a Valkirya dicendo che ero uscita, e un altro nascosto. Dietro avevo il piccolo telecomando con due pulsanti: uno rosso, per cancellare la registrazione nascosta, e uno blu, per togliere la protezione e rivelarlo.
Il messaggio normale diceva:
‘Ciao, Valkirya... sono uscita a fare una cosa. Non credo di metterci molto, non preoccuparti e non mi chiamare, non ho dietro né auricolare né cellulare.’
Il messaggio nascosto, invece, recitava:
‘Perdonami, Kathleen. Se senti questo messaggio vuol dire che non sono riuscita a mantenere la promessa che ti ho fatto... mi dispiace molto. Addio.’
Sì, perché nella tasca avevo anche una fiala che conteneva un liquido viola scuro, quasi nero. Veleno. Non potevo permettermi di venire catturata. In caso di pericolo o gioco sporco, avrei provato a scappare e/o ad aprirmi un varco (avevo anche le mie armi dietro), in caso non bastasse, avrei premuto il bottone blu e ingoiato il liquido.
Spero solo di premere il bottone rosso.
Nel frattempo ero arrivata in cima alle scale, il respiro leggermente affannato. Da là sopra il vento sembrava volermi divorare. Riuscii a scorgere una sagoma scura attraverso la polvere e così mi avvicinai. Mi ritrovai davanti un ragazzo con la pelle pallidissima e i capelli neri, piuttosto lunghi e spettinati. Cosa comprensibile dato il forte vento. Aveva anche i vestiti neri. Invece le iridi erano bianche con il contorno nero. Ma bianche, bianche, bianche.
Aguzzando la vista riuscii a vedere dietro di lui. Pearl e Louise mi stavano guardando in attesa. Il problema è che non sapevo che dire.

Nightmare
“L’ho trovata”
*stunk!*
Accidenti ai fantasmi che arrivano dai posti più assurdi. Ero sotto il letto, cercavo di recuperare una penna che mi era caduta e la faccia di Pearl mi era comparsa all’improvviso davanti al naso. Per lo spavento, avevo tirato una gran craniata alle assi che sostenevano il materasso.
“Ahi” borbottai emergendo dal sotto letto.
“Scusa.” Fece il fantasma di rimando, mentre Louise era più o meno piegata in due dal ridere. Mi misi seduto sopra il letto massaggiandomi la testa. Poi realizzai che cosa aveva detto Pearl.
“Davvero?” chiesi. Quello pareva perplesso.
“Davvero cosa?” rispose subito. Ah, in effetti prima che mi riprendessi dalla gran zuccata che avevo dato, erano passati cinque minuti buoni e non avevo fatto nessun collegamento.
“Egypt.” Spiegai.
“Ah. Beh, non mi ha detto molto.” Disse lui. E’ stato il mio turno nel rimanerci perplesso.
“Non ti ha detto?” chiesi.
“Ehm... inavvertitamente l’ho attraversata e lei d’improvviso mi ha visto... E’ stato un errore, ma non capisco... beh, ha detto che vuole incontrarti... parlare. Il prima possibile.” Sembrava imbarazzato. Feci un gesto con la mano per liquidare la faccenda.
“Non importa. Dille che va bene. Anzi, andate entrambi. Vi aspetterò sul tetto del palazzo della stessa sera in cui ci siamo ricongiunti. Louise, te lo ricordi, vero? Di prima mattina.” Con questo li avevo congedati.
E ora il momento era giunto. La ragazza era davanti a me. Aveva capelli lisci biondo grano che le arrivavano alle scapole e due occhi grigio tempesta. E stava congelando. Probabilmente i due spettri le avevano messo fretta. Le allungai la mia giacca.
“Prendila. Non morire assiderata in mezzo al discorso. Non è il caso.” Dissi semplicemente.
Quella mi guardò stralunata, per poi diventare sospettosa. Poi allungò una mano e afferrò il giubbotto, sistemandoselo sulle spalle. “Grazie.” Disse semplicemente.
“Di nulla” ribattei io. Poi venne il silenzio. Che discorsi interessanti. Restai ad osservarla per qualche istante, mentre lei si guardava i piedi. Non poteva avere più di 16 anni ed era u po’ più piccola di me, e anche gracilina. In più era pallidissima, senza rossore sulle guance nonostante il freddo pungente. In effetti, se non fosse per la luce quasi innaturale nei suoi occhi, avrei potuto scambiarla per uno zombie. Ma ancora non avevo capito che razza di potere aveva.
“Quanti anni hai?” Sobbalzai leggermente. Quella aveva alzato lo sguardo senza che me ne accorgessi e mi stava guardando negli occhi con una faccia serissima.
“Ehm... 17...” chissà perché me lo stava chiedendo.
“Mmmh.” Disse quella in risposta, senza abbassare lo sguardo. “Io 15. Mi volevi chiedere qualcosa o sbaglio?”
Prima che potessi rispondere quella ricominciò a parlare. “Non era previsto che io vedessi Pearl. Tu volevi spiarmi. Quindi vuoi qualcosa da me. E se non tu, qualcun altro. Ma non credere di essere l’unico ad avere delle domande, Nightmare. E’ per questo che sono qui.”
Sospirai. “E’ vero. Dovevo ottenere informazioni su di te, Egypt. Sul tuo potere. Le tue armi. La tua tecnica. Ma io non posso muovermi liberamente... sono sotto sorveglianza. Per cui ho chiesto aiuto a loro.” E indicai con un cenno i due fantasmi che passavano lo sguardo da me ad Egypt, uno perplesso e l’altra divertita.
“Bene.” Mi rivoltai verso Egypt “Prima le signore” dissi.
Lei prese fiato “Tu te ne saresti voluto andare?” chiese. Ora nei suoi occhi leggevo un a sorte di dolore rabbioso. Perché si sentiva così? Noi non ci eravamo mai visti prima. Non la capisco.
“No, non volevo. Mi hanno portato via e sono rinchiuso. Mi stavano interrogando ma non sono riusciti a farmi parlare. Non sanno ancora niente sulla base... ma gli altri assassini li conoscono già piuttosto bene. Il loro stile e in forma teorica anche le loro armi. Tocca a me. Che cosa sei tu? Qual è il tuo potere?” avevo detto tutto di fila e mi fermai a prendere fiato. Lei parve riflettere sulla mia risposta, e sembrava rincuorata. Forse aveva paura per se stessa o per gli altri assassini. O per me. Tornai a fissarla in volto, in quel momento pensieroso.
“Beh... è difficile da spiegare. Dovrei essere un mezzo spirito, ma non sapevo che, venendo in contatto con un fantasma, avrei iniziato a vederli. Non me l’avevano detto.” Iniziò a spiegare lei.
“Allora devi essere anche una sensitiva. E’ una strana accoppiata. Potente, ma strana.” Lei fece un sorrisino timido e io ricambiai. Era una ragazza dolce, eppure aveva già ucciso qualcuno.
“Queste cose... le dirai a qualcuno?” mi chiese con una nota ansiosa nella voce. Eh, bella fregatura. Dovrei ma dopotutto sono scappato di nascosto. Ritornai a guardare Egypt. E le sorrisi.
“Non ti preoccupare. E’ un nostro segreto.” E le tesi il mignolo. Era un modo in cui io e Louise stringevamo le promesse quando eravamo piccoli , liberi e vivi. Egypt sembrava non conoscerlo perché mi guardava titubante. “Devi incrociare il mignolo. E’ per stringere una promessa”.
“Ah” fece lei, poi sorrise e incrociò il mignolo. Poi mi restituì il giubbotto, mentre il cielo cominciava a schiarirsi. “Ci rivedremo, Nightmare?”
Io annuì “Lo spero.” Poi la guardai correre via e sparire.
Louise si avvicinò, scrutandomi negli occhi con interesse. “Nightmare... i tuoi occhi sono diventati grigi... esattamente come i suoi.”
Io risi. “Sarà che con lei mi trovo a mio agio.”
“Sarà che ti stai innamorando” ribatté Pearl.

Egypt
Corsi via prima che si accorgesse del mio imbarazzo. Dovevo anche tornare in fretta prima che si svegliassero. Nella corsa presi il telecomando e premetti il pulsante rosso, tirando un sospiro di sollievo. Ma a metà il fiato mi si fermò in gola mentre mi immobilizzavo e mi voltavo lentamente. Qualcuno mi aveva seguito. Incrociai due occhi felini.
‘Sono davvero un’idiota’  pensai. Deglutii a fatica e stirai le mie labbra in un sorriso nervoso.
“Ciao, Valkyria”

Angolino nascosto nel nulla:
Salve a tutti, gente! Sono tornata con un secolo e mezzo di ritardo, ma sono stanca morta e piena di verifiche, perdonate questa povera anima in pena. In compenso il capitolo è lungo il doppio del solito ;)
Alla fine, oltre che la fan fiction su D. Gray – Man, (che verrà aggiornata rarissimamente e di cui i primi due capitoli sono scritti fa cani) ne pubblicherò un’altra a tema Pokemon, che sarà rara pure quella. Questa continuerà ad essere la più frequente, mettetevi l’anima in pace. (?)
Cosa ne dite? Cosa succederà ad Egypt? Come la prenderà Valkyria? Nightmare verrà scoperto? La promessa sarà infranta?
Non lo so, ho ancora da inventarmelo lollino. Ahahha, scherzo (?) dai.
Vi lascio con le domande di fine capitolo. Al prossimo secolo!
*Accende Photoshop e comincia a giochicchiarci*  Bye bye

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Capitolo 8
*** Una promessa è una promessa ***


Valkyria

Non voglio crederci. Non ci posso credere. Egypt era... in contatto con Nightmare. Nightmare, il traditore. Dannazione. Mi fidavo sempre delle persone sbagliate.
In quel momento da me trasparivano decine di sentimenti. Frustrazione, rabbia, delusione e un profondo, sordo dolore. Per quanto riguarda Egypt, si era irrigidita, era imbarazzata e sconvolta. Ma per cosa poi? Forse non dovevo trarre conclusioni affrettate. Ma in quel momento la razionalità mi era inconcepibile.
“Ciao Valkyria.” Disse la bionda. Aveva una voce stranamente flebile. Io non risposi. E continuai a fissarla con lo sguardo più gelido che riuscii a tirare fuori.
“A-ascolta... io... non sto facendo n-niente di male... solo...” cominciò a farfugliare lei, ma io la interruppi.
“Tu cosa? Non eri consapevole che quello fosse Nightmare? Non sapevi di starci tradendo? Di star spezzando la promessa che mi avevi fatto?!” Oramai stavo urlando contro una atterrita Egypt. Entrambe avevamo le lacrime agli occhi, io per la frustrazione, lei... non saprei dirlo. Però si innervosii pure lei.
“Non vi ho tradito! Volevo... sapere. Tutto qua.” Mormorò lei con una punta di durezza nella voce.
E cominciammo ad urlarci addosso. Io le davo della traditrice e lei mi dava della scema. Andammo avanti così per un quarto d’ora all’incirca, e alla fine scoppiai.
“Ora basta. Hai tradito noi, i tuoi amici e la tua nuova famiglia, e ti sei alleata con Nightmare e con la polizia. Hai fornito loro preziose informazioni che solo uno del gruppo poteva possedere. Dovrei ucciderti. Ma voglio essere dubbiosa. Vattene. Non tornare. Non incrociare più il tuo cammino con il mio. Se non succederà nulla, vedrò se venire a cercarti o meno. Se succederà qualcosa, sappi che ti cercherò, e ti troverò. E sarà finita, per te.” Sibilai fredda. Questo fece scoppiare in lacrime definitivamente la sensitiva. Mi ritrasformai in gatto, ne avevo abbastanza. La voce di Egypt mi raggiunse un’ultima volta.
“Ti sbagli Kathleen. Non vi ho traditi. Una promesse è una promessa. Addio”

Nightmare
Il pugno di Mark, la guardia, mi fece sbattere violentemente contro il muro della mia cella. Non feci in tempo a riprendermi che mi diede il tubo di ferro sulle braccia e sulle gambe. Faceva un male cane.
“Credevi che potevi andartene a zonzo come ti pare e piace? Forse non hai ancora capito come funzionano le cose qui, assassino.” Mi disse amaro per poi sferrarmi un calcio tutt’altro che delicato nello stomaco.
Sputai sangue sul pavimento, sentendomi terribilmente patetico. Poi alzai uno sguardo rabbioso e, lo ammetto, anche un po’ di sfida al mio aguzzino.
“Che cos’è quella faccia? Pensavi che ti avrei risparmiato una punizione? Beh... “ La guardia sembrò riflettere per un attimo. La cosa mi lasciò leggermente sorpreso, non pensavo che quella... ehm... “persona” sapesse effettivamente pensare con la propria testa. Ma forse non lo stava facendo nemmeno in quel momento, forse, anzi, probabilmente era tutta scena.
“Beh... forse posso diminuirtela, se solo tu mi dicessi che sei andato a fare.” Continuò lui, inconsapevole dei miei dubbi sulla sua intelligenza. “Se collaborerai, chissà, forse ti metteremo in una cella più buona, dipende da quello che ci dirai”.
Lo guardai storto. Che sapessero già qualcosa? Quello aveva un sorriso idiota e sgradevole. Ossia: la sua naturale espressione.
Dirgli la verità? Probabilmente ci guadagnerei e perderei allo stesso tempo, anche se in questo momento sto perdendo e basta.
Poi mi ricordai. La stretta dei nostri mignoli. L’espressione di sollievo sul volto di Egypt. I miei occhi come i suoi.
Alzai nuovamente lo sguardo, questa volte serio, ma tranquillo. “Volevo solo uscire da questa topaia piena di ibridi. Qui dentro c’è puzza di vomito e piscio. Pulite, ogni tanto.” Sentii Louise trattenere il respiro, spaventata. Strano, non l’avevo sentita arrivare.
Il mio pensiero indugiò sulla mia scelta. Rividi nella mia mente il volto di Egypt. E mi sentii in pace. ‘Ho fatto la scelta giusta. Una promessa è una promessa’.
Poi un colpo alla testa da parte di Mark mi fece sprofondare nell’oblio.

Valkyria
Arrivai alla base infreddolita e sconvolta. Inoltre mi stavano aspettando tutti.
“Che è successo Valkyria?” la voce di Wish mi giunge lontana, come se mi parlasse attraverso un vetro. Alzai piano la testa. Wish era curiosa, ma si intravedeva chiaramente nel suo sguardo quel briciolo di preoccupazione che provava. Il fratello invece sembrava diventato la preoccupazione fatta a persona e mi scrutava ansioso con i suoi limpidi occhi lilla. Infine, Echo non provava nulla. Come al solito.
“Valkyria...” ancora non avevo detto una parola, guardavo presa davanti a me.
Poi mi misi a piangere. Avevo perso nuovamente la mia migliore amica. Sempre in lacrime raccontai agi altri tutto: Nightmare, il presunto tradimento di Egypt e come me ne ero andata, come eravamo scappate una dall’altra.
Perché era questo che avevo fatto. Ero scappata da quello di cui avevo paura... la paura che quello che avevo provato si ripetesse nuovamente. Mi lasciai consolare da Wish, mentre aspettavo che le lacrime si fermassero. In quel momento, la voce fredda di Echo mi raggiunse.
“Hai sbagliato, Valkyria”.
Alzai la testa, confusa. Cosa avevo sbagliato?
“Non dovevi incolpare così Egypt. Non hai sentito cosa si erano detti lei e Nightmare, o sbaglio? Non sai cos’è successo. E ora, per questa tua mancanza, Egypt è nei guai. Non sa dove andare. Siamo ancora a inizio marzo, fa freddo. Non ha più una famiglia ne una casa. Dobbiamo trovarla e devi chiederle scusa. Non ti devi lasciar trasportare dalle emozioni, Valkyria!” continuò lei glaciale.
“Parla quella che si emozioni non ne ha nemmeno mezza.” Sbuffò Wish in risposta. Hope ci mandò un impulso mentale, intimandoci di stare calme.
“Hai ragione Echo... sono stata una stupida.” Mormorai mettendomi a piangere di nuovo.
‘Egypt... non sparire”

Egypt
Corsi via in lacrime. Come aveva potuto dirmi delle cose simili? Non mi aveva nemmeno chiesto cosa stavo facendo! Non ha nemmeno ascoltato le mie ragioni!
Non so per quanto continuai a correre, immersa in quei pensieri e nelle mie frustrazioni. Camminai come inebetita fino a trovarmi davanti alla mia vecchia casa.
Avevano portato via i corpi, l’avevo visto in televisione. Persino Lucky non c’era più. Senza farmi vedere, entrai nel giardino.
La porta di casa era chiusa. Così feci il giro delle mura esterne per non trovarmi più esposta ad occhi indiscreti. Dopodiché afferrai il cornicione della finestra e mi issai così fino al secondo piano, e da lì sul tetto.
La finestra della soffitta aveva sempre tre dita di apertura almeno. Con qualche difficoltà tolsi il fermo e mi calai nella polverosa soffitta, per poi richiudere la finestra del tutto.
Camminai piano per i corridoi vuoti, fino a ritrovare camera mia. Mi rannicchiai nel mio letto. Dove lasciai andare le lacrime che non avevo lasciato uscire precedentemente.
Quando mi fui ripresa frugai nei miei vestiti, per trovare qualcosa di caldo, quindi mi cambiai. Dopo essermi cambiata (leggins lunghi bianchi con la gonnellina nera, una maglia azzurra e un cardigan nero) mi spazzolai i capelli e presi le chiavi di casa di riserva, contenute in un cassetto della scrivania di mio padre.
Trovai anche dei soldi e una borsetta, dove infilai il tutto, più qualche altro indumento.
Poi tornai in camera, sentendomi triste e sconfitta. Era cominciato tutto quando avevo deciso di lasciare quella casa, di abbandonare la mia monotona, noiosa e lussuosa vita.
“Alla fine è solo colpa mia” mormorai.

Pensai a molte cose. Finché stavo nascosta, potevo rimanere lì. In una chiesa vicina davano un po’ di cibo, in caso. Sospirai, triste. Come ero arrivata in quella situazione?
Valkyria.
Mi si strinse lo stomaco. Le sue parole bruciavano ancora.
Ma era stata anche colpa mia. E un briciolo di Nightmare.
Nightmare!
Oltre che lo stomaco, ora avevo contratto anche il petto. Per qualche istante mi dimenticai di respirare.
Anche lui era stato accusato ingiustamente. Non era alleato della polizia, era prigioniero. Quindi, nei guai. Io dovevo trovarlo. Accesi il computer, e mi misi alla ricerca delle carceri più vicina al luogo del nostro incontro.
Pregai che stesse bene.
‘Aspettami Nightmare. Ti vengo a prendere. Tu resisti’

Angolino nascosto nel nulla:
Ciao a tutti!
Scusate, penso di essere in ritardo un’altra volta (xD)
Siete dei sadici, comunque, tutti a sperare che Nightmare venisse scoperto. E infatti, avete visto che è successo? *all’improvviso si ricorda che è lei che scrive, quindi, di conseguenza, è la più sadica della combriccola...* ehm!
Vi ringrazio per le recensioni, e per la pazienza. Come alcuni di voi hanno visto, ho pubblicato un’altra storia, quella a tema Pokemon, “Guardian of Legends”
Ho già iniziato il secondo capitolo, cercherò di aggiornare il più presto possibile.
Ok. Devo dire che in questo capitolo mi rispecchio molto in Valkyria, e anche in Egypt. Un po’ mi dispiace per loro.
Bene. Spero che questo insieme di lettere vi sia piaciuto! Aggiornate, rendete felice questa povera babbea!
Ciao e buone vacanze estive a tutti! *agguanta una granita*

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Capitolo 9
*** Resisti, resisti, resisti! ***


Valkyria

“L’avete trovata?”
“Ancora niente... non capisco dove possa essere andata.”
“Sembra quasi sparita nel nulla”
“E se fosse già stata catturata?”
“In effetti Egypt è ancora una principiante”
“Quindi potrebbe essere”
“Non so, mica è stupida”
“Qui non centra l’essere stupidi o meno, Egypt ha poca esperienza!”
“Ma la polizia non conosce il suo volto!”
“E se avesse ucciso per rubare ed è stata beccata?”
“Ma ti pare?! Egypt non è tipo da fare una cosa del genere.”
“Quindi non ci resta che cercarla ancora”
“Già...”
Il gruppo di assassini restò in silenzio per parecchi istanti. Non ne volevo più sapere di quella storia. Ormai mi sentivo divorata dentro per via dei sensi di colpa, ed erano già passati due giorni. Non reggevo più quella situazione.
Tutti gli altri mi stavano dando una mano, preoccupati sia per Egypt che per me. Per i loro gusti stavo troppo in silenzio, ma non avevo niente da dire.
Non sorridevo, ma non capivo perché avrei dovuto farlo, era una cosa insensata.
Avevo due profonde occhiaie e sembravo invecchiata di dieci anni, ma quando mi addormentavo rivivevo quelle cose oscene che avevo detto alla mia migliore amica.
Ero anche pallida, emaciata e avevo perso peso in soli due giorni. Quello che toccava il mio stomaco veniva immediatamente rimandato al mittente:il piatto.
Insomma: ero la cosa più vicina ad uno zombie che si fosse mai vista su quel pianeta negli ultimi quattro secoli, circa.
Inoltre la notte, quando in teoria avrei dovuto dormire, piangevo, cosa mai successa in vita mia. Il mattino avevo gli occhi rossi e gli occhi opachi.
Non mi affidavano più nemmeno incarichi. Passavo il giorno a girare per la città a cercare Egypt, in un disperato tentativo di trovare la mia compagna. Ogni minuto che passava era una nuova agonia, perché mi convincevo sempre di più di aver perduto per sempre la mia migliore amica.
Inoltre un ulteriore dubbio atroce mi attanagliava, forse persino più insopportabile dell’altro. Se mai fossi riuscita a trovare Egypt, lei sarebbe stata disposta a perdonarmi?
Se io fossi stata in lei, no, non mi sarei mai perdonata. Ma Egypt non è me.
Beata lei.
Lei è migliore. Così mi continuai ad aggrappare a quella fugace speranza in quelle ore di vuoto assoluto.
Questi dovevano essere i giorni più brutti della mia intera esistenza. E i secondi lenti e inesorabili di questi stessi giorni erano accompagnati da un pensiero costante.
‘Resisti... ti supplico... Egypt... non scomparire...’
Non potevo sapere che, in quei precisi istanti, Egypt rivolgeva i miei stessi pensieri ad una persona completamente diversa.

Egypt
“Trovata! ‘Mad House’... dalla descrizione sembra un incrocio tra una prigione, un manicomio e un laboratorio. ‘Esperimenti su esseri umani potenzialmente pericolosi’, ma è una cosa oscena! E il governo approva una cosa del genere? Mah, probabilmente c’è la convinzione che usino dei criminali pazzi psicopatici che hanno ricevuto la condanna a morte...”
Era ormai da diverse ore che cercavo quella dannata prigione. Era a quattro isolati dal luogo dell’incontro tra me e il ragazzo dei capelli neri.
“Nightmare...” mormorai al silenzio. Non volevo nemmeno pensare a cosa potevano fargli in un postaccio come quello. Quando ci pensavo, mi salivano i brividi freddi lungo la schiena e rischiavo di vomitare.
Scossi vigorosamente la testa e stampai il foglio, mentre un ulteriore pensiero mi aggrediva.
“Probabilmente il governo sa di Nightmare e approva... perché lui è un assassino.”
Come me.
Probabilmente, se fossi stata scoperta, gli avrei fatto “compagnia”. Anche se, quasi sicuramente sarei stata spostata in una cella lontana dalla sua. Ma avevamo i fantasmi per comunicare. I fantasmi...
Mi venne quasi da ridere. Non avevo pensato a Louise e a Pearl. Se non erano venuti a cercarmi, allora probabilmente Nightmare stava bene. Magari non era stato scoperto Alla fine non era detto che la situazione fosse così complicata. Forse avevo buone probabilità di farcela.
“Egypt...”
Le ultime parole famose.
Mi girai verso una Louise in lacrime. Mio Dio.
“Louise... co... cosa...?” Chiesi alla fantasmina, nonostante non lo volessi realmente sapere.
Lei si gettò a capofitto tra le mie braccia, singhiozzando disperata. In un altro momento mi sarei chiesta come fosse possibile, dato che i fantasmi sono, fino a prova contraria, incorporei.
“Non voglio che finisca all’infernooooo!” strillò Louise, trascinandomi nuovamente nella triste e crudele realtà dal mondo decisamente più tranquillo dei miei pensieri.
Inferno? Quell’unica parole fece affiorare nella mia mente diverse immagini di origine dantesche. Il fiume sanguigno, il Flegetonte, i giganti, il Conte Ugolino, Lucifero...
Mi chiedevo cosa centrasse.
“Louise... spiegati meglio... con calma.” Dissi dolcemente, cullando la bambina.
Lei singhiozzò un paio di volte, prima di rispondermi.
“N-noi fantasmi siamo abbastanza rari... siamo il frutto di un rimorso, così... re-restiamo sulla terra fino a che non riusciamo ad assolverlo... poi veniamo ammessi su in Cielo... M-ma ci sono alcune anime che perdono la speranza... o che hanno ideali irrealizzabili... loro sprofondano nell’infero... e vengono consumati dalle fiamme del loro stesso rimorso. I - io non voglio... che accada a Nightmare...”
Non capivo. Che rimorso poteva avere lui? Ma soprattutto... perché Louise parlava di Purgatorio, Paradiso ed Inferno?
“Louise... non sarà che...” chiesi, la voce tremante e gli occhi lucidi.
La ragazzina dai capelli viola annuì lentamente, con la mia stessa espressione sul volto.
“Nightmare è stato condannato a morte.”

Nightmare
Ormai era finita. Louise mi aveva avvertito di non fare cavolate. Ma io sono un incubo, e gli incubi raramente si controllano.
Passai il mio sguardo, completamente nero, sui muri della mia cella di isolamento. Piccola, claustrofobica, quasi totalmente buia. Grigia.
Come i suoi occhi. Non sarei riuscito a rivederla. Non sarei riuscito a ringraziarla per il dono che mi aveva fatto. E non sarei neppure riuscito a sfruttarlo.
Colori.
Mi avevano accecato i colori di Louise. I suoi capelli viola e i vivaci occhi verde acqua. Sulle prime erano pallidi, i colori, non me ne ero accorto. Ma poi era diventato tutto così evidente...
La speranza è l’ultima a morire. E io ero riuscito a soffocare questo sentimento.
E lei era riuscito a riaccenderlo. A dare colore alla mia aura. A darmi speranza.
E ora io stavo per morire. Louise era scoppiata il lacrime ed era scappata via. Pearl era rimasto a fissare il vuoto con i suoi grandi occhi celesti. Lo stava facendo tutt’ora.
Chissà che avevano. Probabilmente sarei diventato anche io un fantasma. Perché erano così tristi?
Forse... pensavano che sarei precipitato nell’inferno. Pearl mi aveva spiegato i tre regni.
I Cieli, i regni eterni azzurri per le anime serene.
La Terra, il regno di mezzo dove vita e morte si incrociano.
L’Abisso, il regno della sofferenza eterna.
Paradiso, Purgatorio, Inferno.
No. Non sarei stato consumato dall’Abisso.
Io volevo solo ringraziare Egypt. Per i colori. Per la speranza.
La speranza è l’ultima a morire. E la prima a risorgere.

Egypt
“Tu... pensi che Nightmare da morto inseguirà la vita perduta, consumandosi e precipitando nell’Abisso?” chiesi esterrefatta.
Louise tirò su con il naso e annuì.
Sospirai. Non sapevo che cosa stavo provando. Dolore? Tristezza? No.
Rabbia. Ira. Collera.
Non mi ero mai sentita così. Probabilmente perché, per la prima volta in vita mia, ero davanti alla vera ingiustizia terrena. Mi asciugai le lacrime e puntai il mio sguardo tempestoso sul malinconico spettro.
“Nightmare non morirà. Non lo permetterò. Io non abbandono gli amici.”
‘Anche se loro hanno abbandonato me’ suggerì il mio cervello, provocandomi una stretta allo stomaco. Intimai alla mia materia grigia di starsene zitta.
Louise aveva alzato lo sguardo lacrimoso su di me e mi osservava stranita. Poi il suo volto assunse una nota decisa e annuì.
Afferrai la mie armi e spensi il computer. Poi mi voltai verso il fantasma, con aria risoluta.
“Fai strada Louise. Andiamo a salvare tuo fratello.” Esclamai. Non mi sarei fermata davanti a niente. E a nessuno.
‘Tieni duro, Nightmare... sto arrivando. Dannazione, resisti!’


Angolino nascosto nel nulla.
Miracolosamente ce l’ho fatta!
Dopo aver pubblicato il capitolo di GoL avevo subito iniziato questo... per poi accorgermi che sarei arrivata  in estremo ritardo, perché ho avuto vari incontri cui ho dedicato molto tempo (ma neanche tanto, se potessi lo triplicherei) e poi ero in vacanza. E domani parto di nuovo per una settimana (alle 4:30 di mattina xD), anche se proverò a rispondere via cellulare alle vostre recensioni.
Ok... questo capitolo è medio in fatto di lunghezza. Ho riletto e corretto più errori che potevo (quelli che ho trovato, lul) e sono abbastanza soddisfatta. Poteva essere molto meglio, ma anche molto peggio.
Ho poi scoperto che siete in 6/7 che seguite questa storia! Non me lo aspettavo, davvero; GRAZIE! :’D
Avrete (forse) notato che questo capitolo finisce come l’altro, perlomeno la parte di Egtpt. Me ne sono accorta dopo averlo finito xD
Spero che vi piaccia, ragasshuoli, forse i nuovi capitoli arriveranno in ritardo, perché ho vacanze e compiti a farmi compagnia (moduli...), quindi perdonatemi già in anticipo.
Bene. Credo di aver detto tutto. Ci si sente, gentaglia! *va a preparare le valigie*

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Capitolo 10
*** Dalla stessa parte? ***


Valkyria

“Torni a cercarla?” mi chiese Echo, glaciale. Io scossi le spalle.
“Non so che altro fare... e poi mi sento in colpa.” mormorai in risposta. Pensavo che se ne andasse e che mugugnasse qualcosa come suo solito, invece rimase lì piantata come un chiodo fisso, a scrutarmi nell’animo con i suoi occhi cremisi. Provai ad aggirarla e procedere, ma lei mi sbarrò la strada, una, due, sei volte.
“Si può sapere che hai, Echo?” sbottai irritata verso la ragazza dai capelli celesti.
Lei scrollò le spalle.
“Penso che non dovresti andare.” borbottò.
Inutile dire che ci rimasi di sasso. Davvero Echo mi stava chiedendo di infischiarmene di Egypt e stare comoda, rassegnandomi?
“Che... cosa... hai detto?” formulai a fatica dopo qualche istante di incredulità.
“Non credo che tu riesca a reggere questo ritmo ancora per molto. Voglio dire, ti sei vista? Sei uno zombie.”
Ok, effettivamente aveva ragione. Non avevo una bella cera. Ma c’era quel piccolo, minuscolo, fastidioso, insistente dettaglio.
Delle mie condizioni non me ne importava un fico secco. Al momento avevo solo un pensiero in testa. E quel pensiero aveva un nome.
Egypt.
Scossi la testa.
“Non importa. Mi rimetterò quando l’avrò trovata.” sbottai. Ma lei non era convinta.
“E se non la troverai? Che cosa farai? Ti lascerai andare?” mi provocò lei con la sua voce piatta.
“La troverò”
“Come puoi esserne certa?”
“Perché... me lo sento”
“E io invece sento che tu debba rimanere qua”
Inutile dire che, dopo questo botta e risposta, iniziammo a litigare. O meglio: io le sbraitavo addosso e lei ribatteva pacatamente. Odiavo discutere con Echo, perché non si risolveva mai nulla. Inoltre non ti da soddisfazione battibeccare con una senza emozioni, perché non reagisce, non viene provocata da nulla; inoltre, con la voce piatta che si ritrovava, ti faceva imbestialire.
Quindi, dopo averle sputato parole, che è poco consono ripetere, addosso, girai sui tacchi e ripercorsi i miei passi, sotto lo sguardo vigile e rosso dell’altra.
Entrai in camera, sbattendo la porta. Mi buttai sul letto sbuffando, poi presi il cuscino, me lo premetti sulla faccia e urlai.
Urlai fino a sentire la gola in fiamme e la voce roca. Avevo gli occhi lucidi, ma non una lacrima aveva passato il muro di ciglia.
Sempre con la fronte appoggiata sul cuscino e il naso leggermente schiacciato sul materasso, mi misi a pensare.
Ripensai, per la centesima volta almeno, alla discussione tra me ed Egypt. A quanto fossi stata stupida. Anche nei confronti di Nightmare.
Ero arrivata alla geniale conclusione che Nightmare non era un traditore. Era stato catturato, non si era consegnato. E, forse, lui ed Egypt stavano semplicemente architettando un piano d’evasione. E lei aveva previsto la mia reazione, probabilmente da parte degli altri. O forse no... forse proprio da parte mia.
In ogni caso, Egypt era facile da capire, ma al contempo difficile. Cioè, non era una ragazza scontata in generale, ma lo diventava quando imparavi a conoscerla...
Era testarda, ma non decisa, prudente e abbastanza esitante. In ogni caso, una che portava a termine quello che si incaricava di fare.
Il punto allora era: che cosa si era imposta di fare Egypt?
Mi alzai dal letto di botto, come se mi avessero dato la scossa.
Ora mi sembrava tutto così logico!
Mi cambiai, indossando la mia divisa, composta da un top corto senza spalline formato da due fasce disposte a X, due pantaloncini corti fissati da due elastici sulle cosce, I guanti lucidi fin sopra il gomito e i miei stivali lunghi fino al ginocchio. La divisa mi lasciava scoperta la pancia piatta, dove si vedeva perfettamente una cicatrice curva sul fianco sinistro.
Quello che Egypt stava cercando... ero stata una stupida a non pensarci prima.
Presi il mio falcetto dall’impugnatura nera, semplice, con la lama seghettata lucida e striata da una sottile venatura blu,  e la frusta, lunga, sottile, nera, appena più larga sull’impugnatura, dove stava un pulsante che avrebbe fatto apparire dei piccoli uncini sulla superficie della corda.
Ovviamente lei non era passata dalla parte dei cattivi... ero stata sciocca a pensare all’ipotesi di un suo tradimento.
Mi legai i capelli marrone scuro come ero abituata a fare, in due code fermate da trenta centimetri buoni di stoffa arrotolata su sé stessa e fermata da molteplici elastici incrociati. Perlomeno così la parte di chioma lunga non mi avrebbe intralciata, mentre una zazzera più corta mi incorniciava il viso.
Naturalmente Egypt sarebbe andata avanti sulla sua strada... per cui c’era una sola cosa plausibile a cui riuscivo a pensare al momento...
Infine, mi introdussi rapida in camera della mia migliore amica, attenta a non farmi notare, recuperai la divisa da assassina di Egypt e la chiave di quella porta dal cassetto della scrivania e la introdussi nella serratura, così da sigillare la stanza dall’interno.
Mentre giravo quella chiave argentata e di media grandezza nella toppa, sogghignai.
Egypt stava andando da Nightmare? E io sarei andata da Egypt.
Avreste dovuto provarci, adesso, a fermare questo demone risoluto. Avreste dovuto provarci, perché non ci sareste riusciti, non senza uccidermi, perlomeno.
Ricacciai indietro il pensiero. Non era adatto, perché non mi avrebbero trovata. Io sono un jinn, io posso nascondermi con la mia stessa pelle.
E fu quello che feci proprio in quel preciso istante, per dare il via a quell’operazione insubordinata e degna di una testa calda, ma in fondo intelligente, come quella della sottoscritta.
Dunque mi trasformai in ragno e fuggii dalla sede, dalla mia casa, attraverso uno spiraglio della finestra lasciata leggermente aperta.

Egypt
Ormai era da una mezzoretta che tentavo di non farmi notare in giro, lottando con gli sguardi indiscreti come contro il vento dei primi di marzo. Effettivamente non avevo pensato al fatto che quello fosse il mio quartiere e che io, tecnicamente, ero stata uccisa assieme ai miei genitori. Da quanto tempo che non pensavo a loro...
Ma nemmeno il tempo era riuscito a cancellare quel profondo, rabbioso, inspiegabile odio nei loro confronti.
Vicino a me, galleggiava pigramente il giovane spirito, che non sembrava minimamente turbato da tutta quell’aria.
Però appariva pallida, sciupata, impaurita. Provai uno strano impulso, che definirei materno. L’impulso di abbracciarla, consolarla, dirle che sarebbe andato tutto bene.
“Egypt... penso che il mio tempo stia per scadere.” Mi sussurrò all’improvviso. Io continuai a camminare guardando dritta davanti a me.
‘Perché lo pensi?’ le chiesi dolcemente usando la telepatia, altro potere che non sapevo di avere fino a pochi giorni prima.
“Sono da quasi cinque anni in questo stato. Da cinque anni tento di colmare il vuoto che mi impedisce di riposare in pace, per sempre.” Continuò lei in un tono più disperato.
‘C’è un limite di tempo? Non me l’avevi detto.’ risposi con la mente, mentre continuavo a guardare davanti a me. Stava anche cominciando a piovere. Ma io andavo avanti, un passo dopo l’altro. Non volevo arrendermi.
“Beh... il limite è la nostra speranza. E io la sto perdendo. Dopo un po’ tutti la perdono,e, anche se i vivi possono recuperarla, noi non possiamo farlo, e precipitiamo nell’Abisso, dove la speranza è bandita.”
Restammo entrambe in silenzio, mentre imboccavamo un vicolo deserto e sporco, uno di quelli dove ci si addentra in fretta, circospetti, per buttare la pattumiera nei cassonetti già straripanti. Quando la tua immondizia raggiunge il cumulo, qualcosa cade sempre fuori, e allora gatti e cani randagi vengono a leccare i miseri avanzi, se questi si salvano dai topi.
Sotto gli sguardi di quegli animali affamati e dimenticati dal mondo, calpestavo le pozzanghere schizzandomi gli stivaletti e i leggins, purtroppo bianchi.
Mancava poco, troppo poco, ormai... e io non avevo un piano. Purtroppo avevo fretta, non volevo che l’assassino dai capelli neri morisse, soprattutto se per colpa della mia lentezza.
Avevo contato troppo sulla cosiddetta “lampadina”, che purtroppo non era arrivata, e se era arrivata, non si era accesa.
Quindi io camminavo, un passo dopo l’altro,macchiandomi di fango e di acqua sporca i vestiti (Ahimè!), verso... qualcosa.
Esatto, non sapevo, nemmeno lontanamente, quello che stavo andando ad affrontare.
Cielo, si poteva essere più cretini di così? Bah... ormai era inutile. Dovevo proseguire.
Un passo alla volta, sarei arrivata. E avrei agito secondo l’istinto e le esigenze del momento.
Mentre seguivo Louise, tante emozioni si mescolavano dentro di me. Paura, angoscia, eccitazione e... speranza.
Poi qualcosa di freddo, duro e insistente mi strinse lo stomaco in una morsa di ferro. Allo stesso tempo, lo spiritello faceva passare lo sguardo da me al fondo del vicolo.
“Chi non muore si rivede, vero?” borbottò una voce conosciuta, ma più flebile di quello che ricordassi.
“Direi che è la frase corretta per il momento” ribattei con voce piatta e delicata. Intanto, il mio cuore batteva a mille, e la mia mente lavorava in fretta, talmente in fretta che pensavo che Louise potesse sentire le rotelle del mio cervello girare con uno strano ronzio metallico.
Dovevo liberarmi di lei* alla svelta.

Louise
Ok, qualcuno doveva spiegarmi cosa stava succedendo. Egypt si era messa a chiacchierare, tutt’altro che allegra, con una ragazza che penso di aver già visto.
La mia memoria perdeva colpi, ora che ero vicina allo sparire. Avevo la vista offuscata e un dolore sordo che mi procurava delle fitte ogni tanto. Fitte che diventavano sempre più frequenti.
Mi preoccupavo per Nightmare quando io stessa stavo per finire nell’Abisso... non ero molto coerente.
Dopo l’ennesima fitta, che mi aveva fatto bruciare gli occhi chiusi di lacrime non intenzionate a cadere, prestai nuovamente attenzione alla scena nel vicolo. Più precisamente verso la nuova arrivata.
Capelli mori lunghi e raccolti in due strane code; vestita poco, con un top e dei pantaloncini, guanti e stivali lunghi (Non ero l’unica incoerente, qui), il tutto rigorosamente e completamente nero; occhi scurissimi, grandi e espressivi.
Al momento erano esitanti, ma speranzosi.
I suoni mi arrivavano attutiti, ma dopo un po’ riuscii a capire i loro discorsi.
“Cosa ci fai qui, Valkyria?” stava chiedendo Egypt.
Oh, ecco chi era... Valkyria. L’assassina – demone. Come avevo fatto a non riconoscerla? Un brivido freddo mi percorse la schiena. Seguito dall’immancabile fitta. Ero davvero agli sgoccioli e pensare al dolore che provavo aggravava la situazione. Provai nuovamente a distrarmi osservando la disputa tra le due assassine.
In quel momento parlava Valkyria, mentre metteva in mostra un piccolo pacco.
“Sono venuta per scusarmi. Ero accecata. Ma ci ho pensato e ora ho capito: tu e Nightmare non siete traditori. Quindi sono venuta ad aiutarti ad aiutarlo... perdona il gioco di parole.” Si fermò imbarazzata, poi fece scivolare lo sguardo sul pacco, e si riscosse.
“Ah, ecco... ti ho portato questa, ma non ho trovato le tue armi...”
Egypt, seppur esitante per qualche secondo, si avvicinò cautamente e prese il pacco, con all’interno la sua divisa. La bionda la osservò per qualche istante poi rialzò il capo lentamente, fino a volgersi al cielo piovoso, gli occhi chiusi.
Rimase così per qualche secondo, e in quei secondi l’aria sembrava diventata immobile e il silenzio palpabile.
“Le armi le ho qui con me.” Sospirò infine, tornando a guardare Valkyria. Poi sorrise, mentre gli occhi dell’altra si riempivano di lacrime.
Poi questa si scaraventò addosso ad Egypt, rischiando di farle fare un capitombolo.
“Scusaaa! Mi dispiace, davvero, sono stata una vera idiota, ci stavo malissimo, ti ho cercata per giorni! Si può sapere dov’eri?”
Valkyria aveva bombardato di parole Egypt, tanto da lasciarla perplessa, figuratevi la sottoscritta che a fatica capiva una frase per volta.
La bionda, dopo quegli attimi di stand – by, ridacchiò, anche lei con gli occhi lucidi.
“Sono stata nella mia vecchia casa...” spiegò, lasciando di stucco la mora.
“Come ho fato a non pensarci?” si chiese quest’ultima con voce vacua.
Egypt, con un risolino, si nascose dietro ad un cassonetto, cambiandosi ad una velocità pazzesca.
Inoltre, sembrava avesse fatto un cambio di volto, perché ora appariva serissima e decisa.
“Andiamo” disse soltanto.
Percorremmo gli ultimi isolati in silenzio.
La tensione si percepiva quasi quanto la pioggia sulla pelle. O almeno, per quanto riguardava le due ragazze, perché io, la pioggia, non la sento.
Anche Egypt non era molto vestita. Più di Valkyria, almeno. Anche lei aveva un top, sembrava fatto con un foglio bianco ingiallito dal tempo, presentava solo la spallina destra e arrivava pochi centimetri sopra l’ombelico, dove poco sotto partiva la gonna dal taglio diagonale e strappato dello stesso tessuto del top.
Poi, la ragazza bionda aveva ancora un tratto di quella strana stoffa che partiva dall’orecchio sinistro e le arrivava dietro la nuca. Sul davanti, sempre a sinistra, aveva delle bende. Tutto questo era fissato su un cerchio dorato che le racchiudeva la testa passando sopra le orecchie e sovrapponendosi all’attaccatura dei capelli biondo grano. Proprio in prossimità del centro della fronte, spuntava una testa di cobra dagli occhi di lapislazzulo.
Le bende poi le ricoprivano mani e piedi, e punti casuali su braccia e gambe, e una persino in vita.
Con le armi a forma di scettro e frustino, Egypt sembrava proprio una mummia.
Beh in effetti... Egypt. Egitto. Ora tutto si spiegava.
Mentre facevo le mie considerazioni su questa “mummia”, eravamo arrivate. Sul tetto.
“Ok... vedo due guardie... una ragazzo e una ragazza. Propongo di metterli al tappeto e prendere le loro uniformi. Però... non dobbiamo schizzarle di sangue” Valkyria alzò lo sguardo dalla finestra da dove stava guardando. “Che facciamo?”
Egypt fece spallucce.
“Li impicchiamo, ovvio.” disse lei, facendo oscillare lentamente il frustino davanti agli occhi di Valkyria. Quella annuì.
“Ottimo.” Ribatté tirando fuori anche la sua, di frusta. “Al tre?” chiese poi.
Egypt annuì. “Uno...”
Valkyria si posizionò. “Due...”
E insieme saltarono. “Tre!”
La finestra su ruppe e le due, che chissà quando avevano realizzato un cappio, in due minuti si ritrovarono con due cadaveri in canotta, mutande e il volto viola; e due uniformi.
Valkyria sorrise ad Egypt.
“Che dici... l’uomo lo faccio io?”
L’altra annuì ridendo di gusto. La mora le fece l’occhiolino e si trasfigurò.. nella sua controparte maschile. Infine, erano due guardie perfette, e insospettabili. Soprattutto la mora, o meglio, il moro.
“Andiamo, Valkyrio” ridacchiò Egypt.


*la voce conosciuta, non Louise
Angolino nascosto nell’ombra:
Questo capitolo l’ho scritto in due giorni, mi sento potentissima. E tra l’altro è il più lungo, per AA.
Ok, bene. Il “Valkyrio” alla fine non è un errore, sappia telo.
Bene. (?)
Allora... AA avrà 14 capitoli e l’epilogo. La storia sta per giungere al termine. Beh, in realtà mi manca un quinto quarto (?).
Pace, tanto scommetto che voi non vediate l’ora della fine di questa panzana x’D
Perfetto! (?) Vi ringrazio per chi mi ha seguito fin qui! E anche chi è morto! (Drachen...)
Vi saluto e mi scuso per gli errori che ci sono in ogni capitolo, quindi sicuramente anche in questo. Anche se ho riletto, Ele xD
Ah, un’altra cosa! L’HTML per GoL. Che voi ci crediate o meno, il codice del corsivo l’ho aperto e chiuso sulla frase finale, ma a quanto pare non ha recepito il messaggio. Lascerò solo il grassetto, d’ora in poi.
Perfetto. Vi lascio andare in pace. Amen! (?)

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Capitolo 11
*** Infiltrazione ***


Valkyria

Essere un maschio era una sensazione strana. Non avvertivo più il solito oscillare dei miei capelli: ora erano una zazzera cortissima. Sapevo che era una cosa temporanea, ma io adoravo i miei capelli lunghi. Poi mi sentivo un sacco di muscoli da tutte le parti, e mi mancava quel qualcosa sul davanti, non so se mi spiego.
In compenso sentivo un qualcos’altro di intruso più in basso. Ero una attenta ai dettagli, ma la situazione era imbarazzante. Probabilmente, se fosse stato il contrario, ossia un ragazzo che si trasforma in una ragazza, sarebbe stato diverso.
Me li immagino col sangue che scende dal naso ad ispezionarsi il petto. Ridacchiai al pensiero di un prototipo maschile del genere.
Egypt mi guardava preoccupata, per la mia sanità mentale probabilmente. Forse aveva ragione, ma scossi la testa per liquidare la situazione.
“Sei diventata rossa, Val... ehm, Kathleen... cioè, Kheelan.” Borbottò a mezza voce lei.
‘Merda’ pensai io, tentando di nascondermi tra i capelli lunghi, che non avevo più. ‘Doppia merda’ constatai. Speravo solo che quella situazione durasse poco. Perché già non ne potevo più.
Intanto, avevo dovuto procurarmi un nome falso, maschile. ‘Kheelan’ ci era sembrato adatto. Per Egypt non c’era problema, dato che aveva mantenuto il suo sesso, e quindi poteva utilizzare il suo vero nome.
Stavamo camminando in un lungo corridoio illuminato dalle luci fredde dei neon, con pavimenti bianchi e i muri azzurrini, privi di porte o di finestre. Le sole aperture erano quelle per i condotti dell’aria. Sembrava una di quelli appartenenti ad un ospedale, ma senza la gente, le flebo e le sedie a rotelle. O almeno, forse era stato un ospedale, ora in disuso. Non potevo saperlo. Avevo seguito Egypt senza fare domande.
“Ehm... Lucy... dov’è che siamo, tanto per la cronaca?” chiesi, stando attenta a non chiamarla ‘Egypt’.
Quella si mise a ridere senza troppi complimenti; dapprima leggermente, poi tenendosi al muro con una mano e la pancia con l’altra.
Dopo un momento passato ad osservarla basita, decisi che era il caso di interromperla, prima di venire scoperte.
“Beh, che cavolo hai da ridere?” sbottai nervosamente.
Quella, ormai giunta alle lacrime, rispose: “La... tua... voce!” e continuò a ridere per cinque minuti buoni, mordendosi un braccio per soffocare il rumore.
Nel frattempo io mi ero accorta di parlare con la mia voce normale, quindi in un modo fin troppo dolce e femminile per un ragazzo. Ma io non sapevo e potevo modificare la parlata e, dopo alcuni tentativi di falsificazione vocale, falliti miseramente, decisi di fingermi muta e di far parlare Egypt, che nel frattempo aveva smesso di ridere e si stava asciugando le lacrime. Esagerata.
Continuammo a camminare ancora per parecchio tempo, nel quale appresi tutto quello che poteva rivelarsi interessante. Quindi, specialmente, dove eravamo.
“Oh mio dio, Lucy, dove cavolo mi hai portato” mormorai scandalizzata finito il racconto di lei.
Quella ridacchiò, per poi tornare immediatamente seria.
“Come hai detto tu, questo posto doveva essere un ospedale psichiatrico in origine. Successivamente, probabilmente in un luogo nascosto e almeno parzialmente insonorizzato, hanno costruito un centro di ricerca e hanno cominciato a fare esperimenti anche atroci sui ‘casi irrecuperabili’. Dopo qualche anno hanno completamente chiuso l’ospedale e hanno cominciato a specializzarsi sulle prove scientifiche archiviate nel corso degli anni. Penso abbiano sorpassato il limite.” Disse lei mesta.
Era una delle cose più schifose del mondo a me vicino di cui avevo mai sentito parlare.
“Ma è legale?” sbottai rabbrividendo. Lei fece spallucce.
“Non del tutto. Lo avevano permesso entro un determinato limite, sulle persone oramai incapaci di intendere e di volere e fino ad un certo punto, per evitare ulteriori torture a livello fisico e psichico.” Spiegò lei.
“Sembra quasi una creepy pasta” mormorai io con un mezzo sorriso tirato.
Lei annuì distrattamente. Anche io captai quel suo movimento con la coda dell’occhio, poiché entrambe avevamo occhi per la medesima cosa.
Una porta. La prima che incontravano dopo un corridoio lunghissimo. Troppo lungo.
“Pronta?” chiesi alla bionda al mio fianco.
Lei sorrise. “Certo.”

Louise
Non vidi la porta che si apriva. Avevo gli occhi chiusi, per colpa di quelle dannate fitte. Quando riaprii le palpebre, Egypt e Valkyria in versione maschile si stavano scambiando qualche raccomandazione del tipo ‘non farti scoprire’ oppure ‘non fare l’idiota scavezzacollo’.
Poi premettero un pulsante sulla parete, che si illuminò mentre iniziava a diffondersi un tenue rumore metallico. Un po’ a fatica mi venne in mente la definizione adatta per quell’aggeggio: ascensore.
Entrammo in quello spazio ristretto, circondate dai nostri riflessi. Ok, scherzavo, io non mi riflettevo. Era strano guardarsi su una superficie riflettente e non vedersi, o cercare la propria ombra e non trovarla.
“Lucy, come hai intenzione di trovare Nightmare? Voglio dire, non è esattamente una struttura piccola...” disse ad un certo punto Valkyria.
Egypt, trattenendosi dal ridere, guardò nella mia direzione e si diede una manata sulla fronte. Perfetto, si era dimenticata che lei per puro caso poteva vedermi, ma quell’altra no.
“Ehm... ecco... non so se lo sai... Nightmare aveva una sorellina piccola...” cominciò la spiegazione la bionda, esitante. La compagna annuì.
“Louise” disse semplicemente.
“Ciao” risposi io con un ghigno divertito sulla faccia, ben consona che lei non poteva sentirmi. Lucy ridacchiò e quell’altra le gettò nuovamente un’occhiataccia.
“Piantala di ridere per la mia voce!” sbottò. La bionda scosse la testa e liquidò la faccenda con un gesto della mano.
Un campanello risuonò nell’aria. Eravamo al primo piano sotterraneo.
“Lei è qui e sa dov’è lui” bisbigliò in fretta Egypt alla mora stupita mentre le porte si aprivano.
Uscimmo per ritrovarci in un altro corridoio. Nessuna porta, nessuna finestra. Solo una cosa cambiava. La presenza di altre persone.
Un uomo, in divisa.
“Buongiorno, agenti. Posso sapere i vostri nomi?” chiese in modo molto formale.
“Lucy Ranuby e Kheelan Seven” disse Egypt tranquilla, mentre Valkyria si muoveva furtiva dietro di lei. L’agente, dal canto suo, aveva gli occhi posati sul monitor di un piccolo portatile che aveva appresso.
“I vostri nomi non risultano. Di qui non potete passar...” concluse la frase con un gemito strozzato, quando la falce della mora gli squarciò il petto, schizzando sangue cremisi in tutte le direzioni. Il rosso imbrattò il pavimento, le pareti e i vestiti delle due. Mi sentii privilegiata, mentre mi rimiravo nella mia pulizia.
“A...allarme...” rantolò la guardia prima di consegnarsi all’oblio.
Egypt guardò la compagna di nuovo femminile con aria di sufficienza.
“Cosa avevamo detto del sangue?” chiese lei, tranquilla, osservando con lo sguardo placidamente curioso le goccioline di sangue che erano schizzate sul suo petto.
L’altra fece spallucce. “Scusa” borbottò, mentre si sfilavano l’uniforme da poliziotto e poliziotta e rimanevano nei loro costumi da assassine.
“Tu non ne hai idea di quanto sia piacevole essere di nuovo ne mio corpo.” disse soave la ragazza – demone. La sensitiva ridacchiò.
“E spero di non saperlo mai” rispose.
Ristabilita la serietà, Egypt si rivolse a me, mentre Valkyria ispezionava il portatile. Io ero ancora rintontita per causa di una nuova ondata di dolore che mi aveva completamente fatto vibrare le mie impalpabili interiora. Non potevo vomitare, ma la sensazione era quella.
“Louise?” chiese esitante la bionda.
Scossi la testa e forzai le mie labbra in un sorriso.
“Non è niente... ora vi faccio strada” dissi iniziando a fluttuare davanti a loro.
‘Non mi rimane molto tempo... e voglio aiutarvi fino all’ultimo, ragazze. Voglio salvare mio fratello’ pensavo, disperata.
Avevo paura, non volevo sparire.
Non conoscevo molto bene la strada, per cui mi fermai di botto quando iniziarono le porte.
“Eeeehm...” esordii con un sorrisino innocente.
“Santo piripillo! Non dirmi che non ti ricordi la strada!” sibilò scandalizzata Egypt. Se possibile quella era ancor più sotto pressione di me.
“Indovinato” ridacchiai, per poi tornare seria nel vedere la sua occhiata scandalizzata.
“Dobbiamo scendere. So questo. Solo che effettivamente io di solito passo attraverso le pareti, quindi non mi sono mai imposta di memorizzare la porta.” Spiegai un po’ imbarazzata.
Valkyria spostava lo sguardo da Egypt, all’aria attorno a lei. Probabilmente voleva dare l’impressione di guardare da lei a me.
“Si può sapere che sta succedendo?” sbottò infine, prima che Egypt le tappasse la bocca. L’altra la guardò perplessa mentre la bionda si irrigidiva e sgranava gli occhi.
Poco dopo passò una guardia, che non le degnò di uno sguardo, nonostante la loro posizione piuttosto comica, e passò oltre.
E poi suonò l’allarme, e il corridoio si animò.
“Qualcuno ha assassinato l’agente addetto alle entrate! Qualcuno si è infiltrato!” e mentre diceva questo mostrava le divise insanguinate lasciate alle nostre spalle da Egypt e Valkyria.
La prima spinse la seconda dentro una stanza a caso, una che aveva la porta ancora aperta dall’uscita delle guardie.
La bionda tolse la mano dalla bocca della mora e riprese fiato.
“Attenta, ora siamo visibili.” Disse semplicemente, per poi continuare a guardarsi attorno.
“Hai in mente qualcosa?” chiese a mezza voce il demone. L’altra ammiccò.
“Più o meno... dipende tutto se... ah, perfetto!” disse, soffocando l’esclamazione per non essere sentita. Seguii con lo sguardo la sua mano bendata, sollevata nel gesto di indicare a me e alla mora qualcosa.
Un condotto dell’aria.
“Tu scherzi” disse Valkyria, scuotendo la testa, ma si avvicinò comunque per togliere la grata.
I condotti dell’aria erano stretti e entrarci era difficile. Per arrivarci, avevano usato un tavolo accostato là vicino, si erano aggrappate al bordo dell’imbocco del condotto e si erano issate su di braccia.
Eravamo circondate da pareti di metallo e le due assassine dovevano strisciare le ginocchia, invece di sollevarle, poiché ogni minimo rumore dovuto all’appoggio della rotula, provocava un boato tremendo e innaturale.
Il piano di Egypt consisteva nel passare di stanza in stanza attraverso i condotti fino a che non saremmo riuscite ad identificare la stanza con le scale.
Un piano buono, con tutte le sue pecche. Una, il rumore, l’altra, lo spazio.
Ad ogni movimento, anche minimo, si sentiva un “Ahi, mi hai tirato un calcio in pancia” oppure “Molla il mio piede!”. Ma la più comune era “Piantala di ridere, Louise!”. Oh, sì, perché la cosa era moooolto divertente, almeno per me. Anche se le fitte erano aumentate, io continuavo a ridere.
Finalmente trovammo la stanza delle scale. Solo che scesero in un modo un po’... strano.
Di faccia.
La grata ‘di arrivo’ aveva ceduto mentre Valkyria tentava di buttarla giù. Ed era finita giù anche lei. Per fortuna aveva buoni riflessi e riuscì a non rompersi l’osso del collo.
Però fece rumore, e anche se non l’avesse fatto, il suo meraviglioso e poetico commento avrebbe rimediato appieno.
“Merda, vaffanculo!” sbottò, mentre i poliziotti nelle vicinanze facevano il loro ingresso.
“Ops” fu il geniale commento della ragazza, mentre anche Egypt saltava dai condotti con i triplo dell’agilità e della grazia della compare. Aveva già pronto il pugnale nella mano destra. Gli occhi grigi mandavano lampi.
Anche Valkyria mise mano alla falcetto, che divenne una falce in un millesimo di secondo. Ok, magari un po’ di più.
Egypt fece roteare diverse volte il pugnale; quel movimento fece partire alcune punte affilate che si abbatterono sulle guardie, abbattendone un paio, e ferendo e rallentando le altre. Poi optò per delle palle di fuoco, mentre Valkyria li minacciava avanzando verso di loro roteando la falce.
Il piccolo gruppo non riuscì nemmeno a mettere mano alle pistole che il demone fu loro addosso. La lama squarciava e tagliava, la punta penetrava e perforava, l’asta spingeva e li rendeva inermi.
Il rosso regnava più di prima, in un tetro scenario di morte.
Valkyria faceva scivolare la falce ormai cremisi tra i palmi e le dita, se la passava dietro la schiena, la abbatteva con forza, eleganza ed efficacia, in una danza della morte che non lasciava superstiti.
Quando le vite degli avversari si furono azzerate, il demone placò la sua furia.
Egypt era rimasta ferma a guardarla, di nuovo immobile mentre gli schizzi di sangue raggiungevano le sue vesti, la sua pelle, il suo volto.
Rimase a guardare, per non perdere neanche una delle luci che mano a mano si spegnevano, inghiottite nell’ oblio, lasciando solo un corpo morto e martoriato.
A modo suo, la sensitiva li onorava, provava una sorte di pietà.
Quando tutto cessò, il pavimento aveva cambiato colore, così come la lama della falce di Valkyria. Il silenzio e l’immobilità venivano scanditi solo dalle gocce rubino che scivolavano lungo la lama ricurva e cadevano, in balia della forza di gravità.
“Andiamo?” chiese la mora.
“Andiamo” rispose l’altra.
Si girarono all’unisono e spalancarono la porta, lasciando un odore acre e dolciastro dietro di loro.
Le precedetti con fare esitante, per non interrompere quel silenzio talmente profondo da sembrare sacro.
Stetti in silenzio, ma indicai la via. Mancava poco ormai.
Superammo una pesante porta tagliafuoco e subito l’odore di piscio infastidì le narici delle due. Le urla dei matti erano strazianti, e l’eco non contribuiva di certo. Grida di chi ormai non conosce altro che dolore. Quelle creature, ormai impossibili da definire umane, erano state create con la violenza fisica e psicologica. Ormai, erano la cosa vivente più vicina ad un cadavere.
Li videro. Persone invecchiate prima del tempo, pelati, senza denti, sbavavano e sbraitavano frasi incomprensibili. Battevano i pugni sulle sbarre e piangevano. Alcuni strisciavano e tendevano le mani. Alcuni non si muovevano: erano morti, finalmente liberi da quell’inferno, ma ammassati ai muri o accasciati sul pavimento. Il loro dolore era percepibile, quasi palpabile.
L’umanità lì non esisteva. Non più ormai. Quelle erano le persone rimaste in vita dopo gli esperimenti. Ibridi. Talvolta deformi, ma tutti ugualmente segnati.
Donne, uomini, persino alcuni ragazzini.
La pietà era stata dimenticata. Ormai, non erano nessuno, avevano perso il proprio ego.
Rabbrividii nell’immagine illusoria di Nightmare che perdeva i capelli, bagnato della sua stessa saliva, a imprecare contro un mondo che li aveva voluti così.
Finalmente arrivarono in fondo a quello scempio, attraversando un’altra porta tagliafuoco. Lì era tutto in penombra e i loro passi riecheggiavano nel silenzio.
I loro passi...?
Ce ne accorgemmo in fretta. Qualcuno camminava con passo lento verso di noi. Non faceva niente per nascondere la sua presenza.
Nel buio avanzava, lentamente, inesorabilmente, verso di noi che, fermi, l’attendevamo.
Le due assassine avevano messo mano alle armi, di nuovo.
Ancora passi, ancora, e ancora. Ormai quell’ombra era vicina.
Lo sguardo grigio di Egypt e quello marrone di Valkyria erano pronti ad assimilare i dettagli di quel volto, di prendere la mira, di distruggere l’avversario per poter passare.
Un passo, un altro.
Stop.
L’incredulità sconvolse i volti delle due assassine, specialmente quello di Valkyria.
Capelli celesti, occhi come il sangue che era stato versato, tenui bagliori dalle lame della doppia alabarda.
“Echo?!”

 



Angolino nascosto nell’ombra:


Oye! *tanto per citare Ele*

Alla fine ce l’ho fatta! Mi metto subito a scrivere GoL.

Perdonate il ritardo ma c’ho da fare! Eeeh, pace!

Questo capitolo è un po’ corto, mi ha fatto dannare e io sono stanca. Spero comunque che vi sia piaciuto ;)

Ok, se volete lasciate una recensione, se non volete, non lo saprò mai muahahaha  (?)

Perdonatemi, è la sera.

Buonanotte!

*si infila sotto le coperte*

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Capitolo 12
*** Lei non è mia sorella ***


Egypt

Guardammo basite la figura di Echo avvolta dalle ombre. Aveva le braccia abbandonate morbide parallelamente al suolo, adagiate sui fianchi. Nella mano destra reggeva Purgatorio, attiva.
E l’arma attiva non annunciava nulla di buono.
“Echo... noi...” iniziò Egypt, ma l’altra la interruppe.
“Sssht!” sibilò, lo sguardo marrone che fissava con astio la sorella.
“Che ci fai qui, Echo?” sbottò il demone.
La ragazza dai capelli celesti non rispose, si limitò a rimanere immobile, pareva che non stesse nemmeno respirando.
Sembrava... in attesa. In attesa di qualcosa. No... capii che stava aspettando noi.
“Valkyria...” soffiai, quando capii a cosa ci avrebbe portato quella situazione.
“Tornate indietro” disse tutto d’un tratto la ragazza dagli occhi sanguinei. La sua voce atona non ammetteva repliche.
“No” disse Valkyria. Come non detto.
Echo fece roteare Purgatorio da una mano all’altra, tagliando l’aria illuminata dai due bagliori, quasi spettrali nella penombra del luogo.
Il messaggio era chiaro. Noi non saremmo passate da là.
“Egypt”mi chiamò la mia compagna. “Vattene”.
Rimasi interdetta. Come potevo lasciarla lì?
Stavo per esprimere la mia domanda ad alta voce, quando lei continuò a darmi istruzioni, decisa.
“Io combatto. Questa questione è diventata personale. Vai da Nightmare. Trovalo, e salvalo. Ti raggiungo.” Sibilò. Io esitai, ma poi mossi il capo in un cenno d’assenso.
“Ora!” urlò Valkyria, mentre si lanciava in avanti, la falce di nuovo in mano. Scattai anche io a pochi metri dalla mia amica, scartando di lato per evitare Saint, che mi passò pericolosamente vicino ad un orecchio. Balzai in avanti, rotolando, per evitare nuovamente la lama azzurra, per poi mettermi a correre, veloce, verso la porta indicata da Louise.
Mi voltai impercettibilmente verso il luogo che mi stavo lasciando dietro. Kathleen mi stava coprendo le spalle, mentre Echo mi fissava con uno sguardo vuoto, ma pericoloso.
‘Buona fortuna’ pensai, rivolta verso la mora. Poi scattai nuovo, in un nuovo corridoio color del metallo, scarsamente illuminato da alcuni neon, la maggior parte dei quali spenti.
Una porta, a sinistra. Chiusa. Provai a buttarla giù con una spallata, ma inutilmente. Purtroppo non ero abbastanza forte.
“Dobbiamo fare il giro” disse una voce alle mie spalle.
“Pearl!” urlò la fantasmina buttandosi addosso all’altro spettro, che sembrò sorpreso, ma rispose all’abbraccio. Un po’ imbarazzata mi schiarii la voce.
“Scusate, ma c’è Valkyria che sta combattendo e dovremo un attimo sbrigarci...” borbottai, cercando di essere il più carina possibile.
“Oh... sì, certo. Seguimi” si riprese Pearl, prendendo per mano Louise, sorridendole.
Ci incamminammo per un altro imbocco identico in tutto e per tutto al precedente. Pearl doveva essersi imparato la strada a memoria per non perdersi. Ero confusa: perché Nightmare era protetto tanto bene. Le guardie, quella sorta di labirinto, Echo... già, Echo. Chissà che ci faceva lì.
“Ehi, Egypt” mi chiamò il fantasma del demone. “Hai detto che c’è Valkyria che combatte contro Echo. Che ci fanno loro due qui?” chiese scrutandomi con i suoi occhi celesti.
Io scrollai le spalle “Valkyria ha capito i suoi errori, e ora ci sta ponendo rimedio. Per quanto riguarda Echo... davvero non ne ho idea.” Risposi, un po’ esitante.
“Capisc...” iniziò lui, per fermarsi di botto, sgranando gli occhi. Feci la stessa cosa non appena capii cosa l’aveva preso alla sprovvista. Il corpo evanescente di Louise era pervaso da scariche dalla consistenza apparentemente elettrica, rosso sangue.
“Che sta succedendo?” esclamai preoccupata.
“Il mio spirito inizia ad appesantirsi. L’anima si deteriora. Io cadrò” sussurrò la ragazzina, gli occhi pieni di paura.
In quel momento non seppi cosa dire. Mi sentivo impotente, inutile. Mi ero affezionata a Louise, mi aveva aiutato, tanto. E io no potevo fare nulla per salvarla.
Pearl, nel frattempo era rimasto in silenzio, con uno sguardo molto serio, troppo serio per i suoi undici anni. Stava prendendo una decisione importante.
“Perché non puoi riposare in pace? Qual è il tuo rimpianto?” chiese alla ragazzina dolcemente, e lei tirò su con il naso.
“Io ho sempre avuto paura della solitudine. Ho paura di compiere questo enorme passo da sola. Ma nessuno può accompagnarmi.” Disse lei con un bisbiglio, gli occhi lucidi di lacrime evanescenti quanto lei.
“Posso farlo io” disse il ragazzo. E con quella frase risolvette tutto.
Le scariche rosse scomparvero e l’essenza di entrambi i fantasmi  divenne più sfocata, luminosa e... opaca, in un certo senso.
“Egypt. Ascoltami bene. Questo corridoio ti porterà da Nightmare. Devi scendere delle scalette e la quinta cella sulla destra è la sua. Ci saranno delle guardie, stai attenta.” Mi spiegò Pearl. Annuii, incerta.
“Bene. Questo è un addio, Egypt.” Disse lui, mentre la figura sue e quella di Louise evaporavano.
“Pearl... il tuo rimpianto... qual è?” chiesi di getto ad un tratto. Mi era sfuggito, non era affar mio e lo sapevo. Semplicemente, avevo domandato.
Lui mi sorrise. “Ho sempre rimpianto di non aver mai amato qualcuno.” E svanì assieme alla ragazzina, dopo che questa ebbe sussurrato un addio.
Rimasi a osservare il vuoto, sconvolta. Già, sconvolta dalla moltitudine di eventi ed emozioni che sentivo mescolarsi nel mio petto. Ero preoccupata per Valkyria e Nightmare, sollevata e felice per i due fantasmi, ora felici e liberi, ero spaventata... per me stessa.
Feci solo pochi passi, quando altre guardie mi vennero incontro. Probabilmente erano stati informati del lago di sangue al piano superiore.
Estrassi la mia piccola lama, conscia di non essere portata per lo scontro ravvicinato. Ma ci dovevo provare. Premetti un pulsante, la lama si allungò diventando da pugnale a spada.
Avevo paura, sì. Perché in quel momento ero da sola.

Valkyria
Scattai in avanti. “Ora!” urlai, e sentii Egypt correre dietro di me.
Echo scartò di lato, facendo ruotare Purgatorio. Così stava puntando ad Egypt, che per fortuna evitò i due fendenti di Saint con una capriola in avanti.
Spiccai un salto atterrando sull’asta dell’alabarda, per poi rimbalzare su di essa e coprire la fuga della sensitiva da un possibile inseguimento di mia sorella.
“Sono io la tua avversaria” sibilai, mentre i passi di Egypt si affievolivano, dopo un momento di incertezza. Repressi un sospiro di sollievo. Ce l’aveva fatta a passare.
‘Ma ora tocca a me’ pensai, facendo roteare la lama.
“Non voglio combattere contro di te, Kathleen. Stai indietro. Egypt e Nightmare sono pericolosi, e devono essere eliminati.” La voce atona di Echo mi infastidì particolarmente, in quella circostanza.
E poi... “pericolosi” aveva detto. Non traditori, ma pericolosi. Ma per cosa, poi? O meglio... per chi?
“No.” Risposi, secca, guardando la mia falce, la lama che scintillava, ancora incrostata di rosso sangue.
“Come hai detto?” mi chiese glaciale quell’essere vuoto che era stata mia sorella.
“No. Consideratemi pure pericolosa. Ho aperto gli occhi, ormai. Voi siete il nemico.” Conclusi, il mio sguardo scuro puntato negli occhi cremisi dell’altra.
Roteai la falce, per poi scattare in avanti. Lo scontro ebbe inizio così, con lei che parava il mio colpo rabbioso con inflessibile calma.
Provai a girare la falce attorno all’asta di Purgatorio, per infilzarla nonostante la parata, ma lei balzò indietro, per poi saltare nuovamente in avanti, con Sinner puntata al mio cuore.
Scartai verso destra, per poi indietreggiare, studiando Echo che si stava rialzando.
Quella era mia sorella. Mia sorella.
Iniziai a spostarmi in circolo, in un lento movimento a spirale, per poi fare una finta verso destra. Attaccai a sinistra, invece, con un fendente proveniente dall’alto, che prese solo aria, dato che l’altra si era rapidamente spostata indietro, per poi tentare un affondo con Sinner, che deviai con l’asta della falce.
Echo provò allora a tirarmi un calcio nello stomaco, che io intercettai con una mano. La dovetti però lasciar andare, altrimenti Sinner mi avrebbe decapitata.
Eravamo piuttosto lontane tra di noi, stavamo camminando lentamente in circolo, scrutandoci, cercando di prevedere le mosse dell’avversaria.
D’improvviso, da Sinner si sprigionò una strana energia, che prese la forma di onda d’urto, rosso sangue. Ebbi la prontezza e il buonsenso di schivarla, perché laddove colpì la parete, lasciò una brutta impronta nera.
Echo iniziava a far sul serio. Allora dovevo rincarare la dose.
Staccai la frusta dall’apposito sostegno legato ai pantaloncini e la feci schioccare, prima di premere un pulsante sotto l’impugnatura che la ricoprì di piccoli uncinetti.
Vibrai un colpo in direzione della ragazza dai capelli celesti, la quale lo evitò saltando indietro. Non mi arresi e la feci roteare, riuscendo dopo vari tentativi, a procurargli un taglio sottile, ma abbastanza profondo sul bracci di Echo.
Poi mi lanciai per terra, rotolando sulla spalla destra e balzando via per allontanarmi dalla ragazza e dai suoi fendenti.
Non intenzionata a lasciarmi in pace, mia sorella scattò verso di me, roteando Purgatorio con una maestria invidiabile. Ma non potevo permettermi la meraviglia in quel momento.
Schioccai la frusta per terra, facendo esitare la carica spietata e fatale della mia avversaria. Continuai a muoverla in continuazione, per impedire a Echo di avvicinarsi, per prendere tempo, per studiarla, per captare un possibile punto debole.
Ci misi troppo.
Lei piantò Sinner per terra, generando un’onda d’urto tremenda, che mi bruciò i polpacci, rendendo i miei passi dolorosi, lenti e goffi.
‘Merda! Non ci voleva!’ pensai, mentre i mio cervello lavorava freneticamente per trovare una possibile soluzione.
Echo mi attaccò con un fendente di Saint, che bloccai attorcigliando la frusta attorno alla lama bianca e deviandolo di lato, mentre mettevo in funzione anche la falce, colpendo all’addome mia sorella con l’asta.
Lei cadde all’indietro, per poi compiere rapida una capriola indietro per evitare un attacco in salto da parte della sottoscritta, attacco che le avrebbe trapassato il cuore.
Non che ci sperassi.
Emisi un grugnito di dolore. Le bruciature sembravano volermi erodere la carne dai polpacci. Non riuscivo a reggere il ritmo della battaglia. L’ignoranza mi sarebbe forse stata fatale?
Mi raddrizzai gusto in tempo per intercettare l’ennesimo attacco di Echo, potenziato con Saint, che duplicò la forza dello scontro.
Caddi in terra, le gambe non mi avevano retto. Anche Echo si era sbilanciata nel suo attacco, la segretezza con la quale aveva trattato la sua arma le aveva impedito di fare pratica. Purgatorio era pericolosa per entrambe, ma quella nei guai fino al collo ero ancora e sempre io.
Approfittando dello stordimento di Echo, mi issai nuovamente sulle gambe tremanti, con un gemito. Le battaglie faccia a faccia erano da escludere. Quel combattimento aveva preso pieghe inaspettate e livelli estremi.
Echo fece partire una seconda onda d’urto cremisi, probabilmente con l’intento di paralizzarmi del tutto le gambe per finirmi, una volta per tutte.
Mi mancò, e di molto, ma non per una sua svista. O forse sì, forse non aveva considerato un piccolo dettaglio: io ero un demone muta forma. Due arti per due arti. Le mie gambe erano pressoché inutilizzabili in uno scontro. Due ali potevano essere un’ottima alternativa.
Ali da pipistrello, nere e prive di piume, con qualche spuntone, tanto per renderle un po’ più pericolose. Presi quota, poi mi lasciai cadere, mirando a Echo con la mia falce.
Riuscii solamente a sfiorarla, senza nemmeno strappare il suo vestiario. Echo era veloce, e aveva un occhio acuto. Probabilmente il secondo era il problema più grosso.
Iniziai ad attaccarla a raffica con fendenti provenienti dalle più disparate direzioni. Aspettavo un sue errore, anche minimo, una piccola svista.
Ma Echo parava e schivava ogni mio colpo, pur non avendo occasione di contrattaccare.
La lama della falce si incastrò con la struttura curva ed irregolare di Sinner. Poteva essere una splendida occasione.
Mentre tenevo con la mano destra l’asta della falce, con la sinistra strinsi la frusta chiodata. Rotolai sulla spalla della falce e schioccai l’altra arma velocemente, e con potenza.
Spruzzi di sangue bagnarono il lato destro del volto di Echo e il pavimento, mentre separavo la mia arma dalla sua.
Ora la senza – emozioni aveva un lato cieco. E io un’occasione in più.
Accecata dalla presunzione, mi gettai a capofitto verso mia sorella, che si era tamponata l’occhio ormai cieco. Alzai la mia falce, pronta a colpire, a mettere fine a quello scontro.
Successe tutto in un attimo.
Echo fece partire un’onda di energia, azzurra questa volta, proveniente da Saint. Mi immobilizzai a mezz’aria mentre Echo avanzava. Avanzava contro il tempo, l’incantesimo di Saint era debole, lo sentivo già rompersi.
Ma quel tempo alla ragazza cogli occhi sanguinei bastava.
Sinner si illuminò di cremisi. Mia sorella mosse la lama demoniaca, due fendenti in rapida successione, mentre l’incantesimo di Saint si annullava.
Nella mia mano destra, vidi la lama della falce essere disintegrata, cadendo in mille schegge che graffiarono i nostri volti.
La mia mano sinistra, seguita da tutto il braccio e dalla frusta, giaceva per terra immobile, in mezzo al sangue. Echo mi aveva amputato il braccio.
Emisi un urlo disumano, di rabbia, di dolore.
“Non dovevi metterti contro di me, sorellina.” Disse Echo con voce fredda, mentre io mi tenevo il moncherino che continuava a perdere sangue. Troppo sangue.
“Tu non sei mia sorella.” Sibilai, la voce rotta dal dolore. “E non devi sottovalutarmi” aggiunsi, mentre quello che restava del mio braccio cominciava a muoversi in modo orrendo. Si gonfiava, si allungava, a torceva disgustosamente.
Riparai le vene che si erano rotte, rigenerai le ossa che erano state mozzate, risanai i muscoli e le terminazioni nervose. Insomma, mi faci crescere un altro braccio, nero, lungo.
Gettai lontano la falce, ormai inutilizzabile, e strinsi la frusta. Sentivo l’energia demoniaca scorrermi dentro le vene, privandomi della mia umanità.
Le ali scure si erano ricoperte di spuntoni, unghie e denti si erano allungati, il bianco degli occhi era diventato rosso, l’iride era scomparsa, e la pupilla si era ristretta come quella di un rettile.
Lanciai un urlo disumano, riuscivo a percepire quell’enorme potere a cui ero stata esposta anni prima. Quel potere che mi aveva sempre spaventata.
Mi lanciai verso il suo lato cieco, la furia che mi sosteneva. L’attacco fu respinto dalla fragile barriera di Saint. E quello stesso scudo diventò un’onda d’urto che mi sbalzò via, sopra le schegge della mia falce.
Mi tagliarono, fui graffiata, urlai di nuovo, come un animale avvolto da catene arroventate.
Mi scagliai contro la senza emozioni, ormai esausta dai numerosi colpi. La stanchezza, prima o poi, porta a degli errori.
Parò i primi colpi, ma poi la mia mano, quella sinistra, quella demoniaca, si strinse attorno alla sua gola. Echo alzò l’alabarda, per colpirmi, ma non fece in tempo.
Purgatorio cadde in terra con un cupo tintinnio metallico, i bagliori si spensero e le lame vennero bagnate da altro sangue.
Il sangue della proprietaria di quell’alabarda. Sangue proveniente dal cuore della senza – emozioni, lacerato dalla punta della falce che avevo recuperato da terra, stretta nella mia mano destra assieme alla frusta.
Echo era morta.
Ci misi qualche secondo a calmarmi, la sete del sangue del demone si era placata. E mi accasciai in terra, segnata dalle numerose ferite e dall’ingente perdita di sangue. Tossii e un po’ di saliva colorata di cremisi mi sfuggì dalle labbra. Sentivo caldo, ero stanca.
Chiusi gli occhi e venne il buio.
Non so per quanto tempo rimasi incosciente, relativamente poco, penso. Emisi un gemito ancor prima di aprire gli occhi. Mi accorsi di non essere più da sola.
“Ti sei svegliata, finalmente!” trillò Wish allegra. La guardai, frastornata. Accidentaccio a lei e alla sua voce squillante.
Mi tirai su a sedere, non senza fatica, e mi guardai intorno.
Wish e Hope, perché sì, c’era anche lui, mi avevano guarito le ferite più gravi fino a renderle meno gravi. Avevo finito di perdere sangue, ma mi sentivo tutta appiccicosa.
E, cosa più importante, Egypt non c’era.
Provai a parlare, ma avevo un grumo di sangue in gola, così lo sputai.
“Egypt?” gracchiai. Mi girava tremendamente la testa e avevo lo stomaco rivoltato.
Wish fece spallucce. “Perché, c’è anche lei?” chiese, sinceramente stupita.
Io, per tutta risposta, mi rialzai in piedi, barcollando. “Andiamo” dissi semplicemente.

Egypt
Arrancavo, inzaccherata di rosso da capo a piedi. Avevo riportato diverse ferite, sulla coscia, sinistra, e sulle braccia. Quanto sangue avevo perso? Non sapevo dirlo, ma la testa mi girava in un modo assurdo, sentivo le gambe molli e tremanti, vedevo sfocato e doppio.
E, soprattutto avevo ucciso quelle guardie in un enorme lasso di tempo, quel poco tempo prezioso che avevo.
Perciò arrancavo, verso quella dannatissima porta, che ormai riuscivo a vedere. Ma in quel momento, mi sembrava lontana, troppo lontana.
Avevo la mente annebbiata. I sensi mi stavano abbandonando. Ma dovevo resistere.
Finalmente le mie dita si strinsero attorno alla maniglia fredda della cella di Nightmare. Spalancai la porta con le ultime forze che mi rimanevano.
Lui mi vide e mi urlò qualcosa, che io non udii. Caddi in terra, esausta.
L’ultima cosa che vidi, prima che l’oblio mi inghiottisse, fu un coltello che trapassò il petto del ragazzo che avrei dovuto salvare, lì dove si trovava il cuore.


Angolino nascosto nell’ombra.

............ devo proprio commentare, sì?

Sono in lutto per i miei stessi personaggi. Sono una persona cattiva... *depression time*

Io me ne vado domani... quindi non potrò scrivere. E sono già in ritardo. Meraviglioso, vero?

Ok. Grazie lettori dalla sacrosanta pazienza che mi recensite.

E scusate dello schifo di scontro all’arma bianca soprannaturale (?) che ho fatto in questo capitolo.

Ci sentiamo, alla prossima :DD

Byeeeeee

Aura_

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Capitolo 13
*** Ricordi Perduti ***


Egypt


Era tutto buio. Non vedevo nulla. Anzi, probabilmente non avrei visto più.
Forse ero morta.
Non sentivo, le mie orecchie non mi trasmettevano alcun suono.
La lingua aveva perso sensibilità, come il resto del corpo, tra l’altro.
L’unica cosa di cui ero sicura era il grande buio davanti a me.
Quanto avrei dovuto aspettare prima che mi venissero a prendere? Non volevo stare a lungo lì.
Non successe nulla per un lungo periodo. Poi riuscii ad aprire le palpebre.
Ero nuovamente in quel prato azzurro, l’erba fresca che mi lanciava piccoli brividi attraverso i palmi dei piedi, mentre la luce mi scaldava.
“Lucky!” chiamai. Ma in quel prato ero da sola.
Mi guardai attorno. Muoversi era difficile. Mossi un passo. Poi un altro. Mi guardavo attorno, confusa; ma lì non c’era nulla. Solo un mare d’erba azzurra.
‘L’erba non è azzurra. L’erba non è azzurra. L’erba. Non. E’. Azzurra!’ pensai, tentando di far valere la razionalità, in contrasto con quello che vedevo.
Chiusi gli occhi, frustrata per l’inesistente cambiamento.
Le mie orecchie iniziarono a sentire nuovamente. Era un suono gradevole e costante. La sensazione di fresco si era trasferita fino alle mie caviglie, e si muoveva dolcemente.
Rialzai le palpebre. Il prato azzurro era sparito. Al suo posto, un immenso mare bianco si agitava con leggerezza sotto le mie iridi.
L’acqua cresceva sempre di più di livello. Il piacevole fresco si stava intensificando, diventando eccessivo. Era freddo, faceva molto freddo.
Il freddo della morte.
‘Forse... forse sono morta sul serio... o morirò tra pochi minuti’ pensai, mentre il gelo mi intorpidiva le gambe.
Poi mi ricordai. Era solo una voce, e risaliva ad alcuni mesi prima.
“Il tuo è un caso particolare, Egypt. Il sangue resta caldo, mail cuore non batte. Il diaframma si muove, ma non è un processo di respirazione. Tu non sei viva, ma nemmeno morta. Ecco cosa sei... un mezzo spirito. Un fantasma che non si è arreso, e si aggrappa a qualcosa. O che è stato trascinato via dal mondo dei morti, imprigionato nel corpo terreno.”
Non morta. Non viva. Un fantasma per metà. Uno spirito chiuso in una bambola di carne, ossa e sangue.
Una vita falsa. Una morte inesistente.
Cos’era successo? Io non ricordavo. Perché sono morta? Quando è successo?
E come...?
Domande poste di continuo, risposte uguali l’una all’altra.
Il freddo penetrava nelle costole ormai, mi mozzava il respiro. Già, ma quale respiro? Io non respiravo. Ero un cadavere caldo. Ero morta.
Morta.
Mi inabissai del tutto il freddo pungente che mi attanagliava ovunque. Volevo piangere, ma sarebbe stato inutile.
Sentii un piccolo abbaiare. Aprii gli occhi.
“Lucky...?” chiamai esitante e l’acqua non si oppose. Lei abbaiò di nuovo.
Ma era un cucciolo. E non stava rispondendo al mio richiamo, ma a quello di una ragazzina di dieci, forse undici anni.
“Lucky!” urlava felice, mentre correva verso l’animale, i capelli biondi poco più lunghi del caschetto che svolazzavano seguendo i suoi passi. Attorno a lei si stava delineando una strada, un giardino, una villetta. La bambina accarezzava il cucciolo, gli occhi grigi che ridevano.
“I-io? Come... quando...?” mi chiesi, spiazzata.
Ma dopotutto, era logico che io fossi spiazzata.

“Sai, Kathleen... io non ricordo nulla. Solo da poco più di un anno posseggo delle memorie. E non so neanche il perché! E’ assurdo, vero? Nessuno mi ha mai detto nulla. So solo che non so niente del mondo esterno, io... ricordo solo quelle quattro mura... e nulla più.
“So solo che un giorno mi svegliai in un letto d’ospedale, con un forte mal di testa, il dolore nel corpo e l’odio nel cuore. Già, odio. Un rancore improvviso, potente, inaspettato ed inspiegabile. Ed era indirizzato verso i miei genitori. Non ricordavo, ma riconoscevo.
“Piano piano imparai a ricordare le cose essenziali, come la via dove abitavo, il mio nome e cognome, quelli dei miei. Ma non sorrisi più loro, non sapevo il perché. Qualcosa non mi andava giù. E’ brutto da dire, ma non mi dispiace la loro morte. Forse, andando avanti cambierò idea.”

La piccola Lucy rispose al richiamo di mia madre, iniziando a correre preceduta dal cagnolino verso casa.
“Lucy... LUCY!” chiamò qualcuno.
Entrambe ci voltammo sorprese. Una bimba sui nove anni salutava freneticamente con la manina la me di alcuni anni fa.
Cinque anni probabilmente.
Perché la bambina la conoscevo. Mi erano familiari i suoi occhi verdi acqua, i suoi capelli viola, il classico codino laterale destro.
Louise.
Le due bambine corsero in strada, per abbracciarsi.
Fu un attimo.
Un clacson che strombazzava, il rumore trascinato degli pneumatici sull’asfalto, le urla e poi niente.
Riuscii a vedere il camion travolgere in pieno Louise e urtare malamente la sottoscritta. Poi venne il buio. Probabilmente ero collegata con la mia controparte passata.
Non ci fu nulla per un pezzo.
Sentivo un po’ di male, probabilmente attutito da un sonno troppo profondo. Poi, a poco a poco, anche quello scomparve, lasciandomi dolcemente distesa in una sensazione paradisiaca e confortante.
“Se n.. ... ..ndo” disse una voce distante.
Sempre più flebile, sempre più lontana.
Poi venne il dolore. Era un male acuto, pulsante, torturante. Avrei voluto urlare, ma non potevo muovere la bocca. Avevo gli occhi chiusi, ma non potevo aprirli.
‘Perché mi fate male? Stavo finalmente bene... Lasciatemi stare, vi prego. Per favore... andate via...’ pensavo, mentre il dolore mi attanagliava in tutte le direzioni.
E fu con dolore che risentii quella voce, la voce maschile sconosciuta.
“Il cuore ha smesso di battere. E’ perduta. Chiamate i suoi genitori.” Disse.
Già, perduta.
Aprii gli occhi, spinta da una forza che risaliva a parecchi anni fa.
Riconobbi il mio risveglio.
“Mio Dio... Lucy...” mormorò mia madre, con le lacrime agli occhi. Anche mio padre e il dottore erano il ritratto dello stupore.
I miei mi strinsero, dicendo che andava tutto bene, che era tutto passato.
Loro non sapevano, non sapevano nulla. Mi avevano portato indietro. Faceva male. Ero prigioniera in un corpo che non avrebbe dovuto muoversi.
Loro mi avevano riportato indietro. Le loro stupide preghiere mi avevano condannato a una presenza eterna e immortale.
Sapevo che erano stati loro. Lei, che poi ricordai essere mia madre, aveva la stessa voce della catena e del peso che mi avevano riportato nel mondo terreno. E’ strano da dire.
Io volevo morire. Avevo assaggiato la dolce carezza del sonno eterno e paradisiaco. Loro non me l’avevano permesso. E li odiavo. Li odiavo troppo.
Davvero inspiegabile. Ma in questo caso, l’anima andava al di là dell’odio superficiale dei vivi. Era l’odio dei morti, lo stesso che può far vedere cose come spettri di esso, inviati sulla terra per torturare a livello psichico.
Ma io ero ormai legata all’universo terreno. E potevo manifestare solo attraverso il mio corpo tutto l’odio che in esso era contenuto.
‘Così è per questo... è per la mia prigionia che li odiavo... possibile che avessi dimenticato pure questo?
Il mondo sfumò, e io ero su una carrozzella, davanti allo specchio.
Non riconoscevo quel corpo. Ero pelle e ossa, sembravo malata. Gli occhi erano incavati nel cranio, i capelli (troppo lunghi) erano sbiaditi e sembravano vecchi, gli occhi grigi erano vacui e lontani.
Senza forze, senza memoria. Senza vita. Senza gioia. Senza libertà.
La scena sfumò di nuovo.
Ero in piedi, mi ero rimessa un po’ in sesto. I miei genitori stavano in piedi di fronte a me, stavamo discutendo in soggiorno.
“No, Lucy. E questo discorso finisce qui.” Stava dicendo mio padre. L’altra me era furibonda.
“Perché? Cose volete che faccia chiusa in questa stupida villa a studiare? Mi avete scambiata per un archivio? Io voglio uscire e scoprire quello che ho dimenticato!”
Ricordavo quella litigata. Ricordavo la mia rabbia, la severa testardaggine di mio padre e le lacrime di mia madre.
Litigammo per giorni, prima che io riuscissi ad ottenere il permesso per frequentare il liceo pubblico del paese.
Anche quel ricordo svanì e io mi ritrovai nuovamente circondata dal buio e sommersa dal freddo. Non sapevo come descrivere ciò che stavo provando. Avevo un gusto amaro in bocca.
Sentii qualcosa di caldo e umido guizzarmi veloce sulla mano. Aprii gli occhi.
“Lucky...” sussurrai, mentre il freddo si dileguava, rapito dalla luce del prato azzurro.
La mia amica non era sola. Alzai gli occhi.
“Mamma... Papà...” sussurrai.
“Ci dispiace, Lucy. Ci dispiace così tanto. Ora sappiamo ciò che hai passato. Siamo stati così sciocchi...” esordì mia madre.
“Non potevate saperlo” risposi, sincera. Quel brutto blocco di rancore che attanagliava il mio cuore si era finalmente sciolto.
“Probabilmente no. Ma ora non puoi fuggire... siamo davvero...” disse di nuovo mio padre, ma io lo fermai con un gesto della mano.
“Non ha più importanza. Troverò il modo di uscire dal mondo terreno. Vi raggiungerò e saremo di nuovo una famiglia. Va bene?” chiesi io, felice, ma con le lacrime agli occhi.
Loro, nelle mie stesse condizioni, risposero affermativamente e mi abbracciarono.
La pace era tornata sulla nostra famiglia. Ora eravamo di nuovo insieme.
“Salutatemi Louise. Raccontatele tutto. E anche Pearl” dissi.
Poi loro scomparvero. E io continuai a piangere, sentendomi una stupida, un’ingrata.
Ma ora ricordavo. E sapevo che mi avrebbero sostenuta, che mi avevano perdonata.
Rincuorata, mi svegliai.

Aprii gli occhi, sentendomi indolenzita. C’era troppo silenzio.
Come in un flashback, rividi le scene che avevano preceduto il mio sonno.
Nightmare che mi orlava qualcosa. Io cadevo. La porta alle mie spalle. Il guizzo di una lama. Buio.
Il guizzo di una lama?
Mi alzai di botto, venendo ricompensata dal mio corpo con una fitta, che mi fece ricadere schiena a terra.
La mia mano urtò qualcosa.
Qualcosa di freddo, liscio e leggermente molle.
Qualcosa che sembrava terribilmente pelle umana coperta da della stoffa.
Mi puntellai sui gomiti per sollevarmi lentamente. Era pelle umana coperta da stoffa. Era un braccio. Il braccio di un cadavere.
Il cadavere di Nightmare.
Era sdraiato accanto a me, caduto dalla sedia dopo che una lama gli aveva trapassato il cuore. Una delle mie lame del coltello da lancio, ancora conficcata nel petto del ragazzo.
Era caduto dalla sedia, rimanendo ancorato ad essa tramite delle catene fissate alle gambe del pezzo d’arredamento. Anche se “arredamento” era una parola grossa.
La camicia di forza gli teneva ancorate le braccia. Non poteva difendersi.
Mi avvicinai a gattoni, sperando in un impossibile miracolo. I suoi occhi grigi erano spenti, opachi, lontani.
Vitrei.
Era stato tutto inutile, avevo fallito. Un altro innocente era morto senza che io potessi farci nulla.
Mi misi a piangere come una bambina.
“Dai su, non fare così... si vede che era destino.”
Mi girai talmente in fretta che mi presi un’ulteriore una fitta che mi fece cadere per terra. Di nuovo.
“E - ehi, fai piano!” disse Nightmare.
“Co... co...?” boccheggiai io, incredula. C’erano due Nightmare. Ok, stavo delirando.
Oppure...
“Coccodè” mi canzonò lui sorridendo come un beato idiota. Per poco non gli tirai un ceffone. Era morto davanti a miei occhi e la prima cosa che mi diceva era... ‘Coccodè’?!
Lui sospirò.
“Sei caduta all’improvviso... mi hai fatto preoccupare. Ma sembra semplicemente che i tuoi nervi abbiano ceduto.” Mi indicò con un cenno un altro cadavere accanto alla sedia “E’ stato lui, poi è morto.” Spiegò con tono amaro.
“Avrei dovuto starci più attenta” sussurrai malinconica, ma lui scosse la testa.
“Devi accettare i tuoi limiti. Sei pur sempre un essere umano. Va bene così”  mi consolò.
Annuii, mesta, realizzando che aveva ragione. Ero solo una ragazzina.
Mi rimisi in piedi barcollando appena. E mi spostai appena in tempo per schivare la porta che di sicuro mi avrebbe abbattuta di nuovo.
Una testolina fucsia spuntò da essa, il sorrisone sul volto.
“Trovata!” strillò
“Wish?!” chiedemmo all’unisono io e il corvino. Ma non feci in tempo ad assimilare l’informazione che entrarono anche Hope che sorreggeva una malconcia Valkyria.
“Ehi! Ma che cavolo ti è successo?” esclamò con voce roca quest’ultima, notando i diversi tagli, tra l’altro superficiali, che segnavano la mia pelle.
“Senti da che pulpito. Non stai nemmeno in piedi” ribattei, per poi sorridere, sentendomi d’improvviso più leggera.
“Egypt...” la voce di Wish mi fece girare verso ciò che la piccola stava indicando. Rabbrividii nel vedere di nuovo il corpo del medium.
“E’... morto...?” chiese Valkirya, ammettendo l’ovvio. Girò lo sguardo scandalizzato verso di me, ma io le feci un cenno, indicando il fantasma dello stesso. Anche se lei, ovviamente non poteva vederlo. Però capi ugualmente e stirò le labbra in un mezzo sorriso.
“Cacchio.” Disse semplicemente.
“Va bene così” risposi, nonostante non ne fossi convinta appieno nemmeno io.
Ci incamminammo attraverso il corridoio che dava sulle varie celle, cercando una via d’uscita diversa da quella che avevamo adoperato per entrare. Nessuno era desideroso di vedere altro sangue.
Girai leggermente la testa per osservare Kathleen, stremata a livelli estremi, arrancare sorretta da Hope. Probabilmente Echo era morta.
Wish, che guidava il corteo, si fermò all’improvviso, con i grandi occhi vitrei ce fissavano il soffitto ugualmente grigio. Hope fece lo stesso, con la fronte corrugata.
“Che succede?” chiese Valkyria, in un sospiro di disapprovazione.
“C’è qualcuno... qui sopra” bisbigliò Wish, con lentezza immane, indicando la lamina metallica alla quale erano appesi i neon.
“Il conduttore dei giochi.” Guardai Nightmare.
“Cosa intendi con “il conduttore dei giochi?” domanda ad alta voce, lasciando intendere agli altri cosa il fantasma aveva appena detto.
“E’ lui che ha architettato tutto. E’ lui che dobbiamo eliminare” concluse lui, e io riferii.
Ci fu silenzio, un cenno d’intesa che conteneva il desiderio della libertà, e poi riprendemmo a camminare.
Verso, speravo, la fine.

Angolino nascosto nell’ombra:

Buonasera a tutti! Io sono AuraNera_ e sto per collassare sulla testiera! (ahah, rima)

No, sul serio. Ho un sonnissimo (?) Ma lo stesso ho deciso di postare il capitolo. Perché? Per quei (pochi) che ancora seguono la storia stessa, per poter tornare a scrivere cose più interessanti, perché non vedo l’ora di iniziare la storia che seguirà AA e perché non ne posso più.

Ma l’epilogo mi servirà per fare tutte le considerazioni di questo mondo e anche di altri mondi. Parliamo del capitolo, piuttosto.

Molti (tutti), nel primo capitolo (mente locale, gente!), si sono lamentati dicendo che l’odio di Egypt era esagerato, e che la mancanza di empatia nei confronti dei suoi genitori era del tutto innaturale. Ma questa è una soprannaturale e il tutto era pensato per questo capitolo qui. Però dubito che ne sarete convinti, così, se e quando riprenderò la storia, cambierò un po’ tutto.

Bene... siamo quasi alla fine. Aspettate e sperate, gente! Byeeee! *si diegua*

Aura_

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Capitolo 14
*** La chiusura del cerchio ***


 Kathleen


C’erano molte cose che non capivo e che non mi spiegavo.
Tutte le guardie che proteggevano Nightmare. Le persone prive di senno, a quanto pare messe come falsa pista. La presenza di Echo. E l’esecuzione del medium.
Stavamo camminando attraverso dei nuovi corridoi e avevamo sbagliato strada già quattro volte. Mi arresi e lasciai che i due fratelli trovassero la strada giusta, pendendomi il tempo per riflettere.
Nightmare era un assassino che utilizzava i poteri dei fantasmi. Senza fantasmi, era impotente. Ma lui aveva ben due spiriti al suo seguito. Pearl, l’altro demone, e Louise, sua sorella. Ed era morto lo stesso, privo di difese.
Esposi i miei dubbi a Lucy e in un certo senso anche a Nightmare, il diretto interessato. La ragazza stette un momento in silenzio, assorta nel parlare con lo spirito.
“Beh, il fatto è semplice. Louise e Pearl sono spariti mentre mi cercavano e io sono collassata prima di poterlo aiutare. Quindi era senza difese. Poi lui deve entrare in contatto con i fantasmi, ma la camicia di forza e le catene gli impedivano il movimento necessario. Capito?” illustrò lei, mentre Hope spalancava una porta che conduceva a delle scalette metalliche, simili alle classiche antincendio.
Annuii mentre le imboccavamo, ragionando su altro.
Se non poteva liberarsi, perché così tante guardie lo difendevano? Era solo un povero ragazzo indifeso. E perché avevano aspettato tanto prima di condannarlo a morte? Sembrava quasi un atto simbolico. Scacciai dalla testa quel pensiero. Chi poteva essere tanto pazzo da architettare il tutto?
Alzai lo sguardo, socchiudendo le palpebre per proteggere gli occhi infastiditi dalla troppa luce dei neon.
Le risposte che cercavo mi aspettavano. Probabilmente anche gli altri si stavano ponendo le mie stesse domande, chiusi nel silenzio collettivo interrotto unicamente dai nostri passi sul metallo, che rimbombavano nel vuoto.
Girammo, un’altra rampa. E, sulla cima, una porta tagliafuoco. Una di quelle pesanti, che spesso e volentieri ti isolano dal mondo esterno. Mi sentivo come se fossi davanti alla porta finale di un boss di un videogioco. Ma quella era la realtà, ero io che combattevo, ero io quella che doveva sopravvivere a... qualunque cosa si sarebbe mai trovata davanti.
Ma ripensandoci non ero io. Eravamo noi.
Io non camminavo più sola. Con me c’erano Lucy, Wish, Hope, Nightmare... tutti loro mi stavano accanto. Mi sentii un po’ rincuorata.
“Ci siamo!” esclamò Wish, quasi incurante dell’ansia generale. L’espressione di tutti, da vaga, diventò seria e concentrata.
“Ho un brutto presentimento... come se no dovessimo aprire questa porta...” sussurrò Lucy, più a sé stessa che a qualcuno in particolare. Ma io la udii e capii che quel lampo di positività che avevo avuto era totalmente fuori luogo.
Wish, aiutata dal fratello, aprì la porta.
Sbattei le palpebre un paio di volte, cercando di capire il senso dello scenario che si mostrava davanti ai miei occhi.
Era una specie di salottino. Moquette cremisi a ricoprire il pavimento accolse i loro piedi. Due divanetti rivestiti in pelle bianca giacevano uno di fronte all’altro; a separarli, un tavolino ellittico con il piano trasparente.
Sul fondo di una stanza si trovava una lunga scrivania in legno d’ebano, accompagnata da una sedia girevole grigia. Sul piano si trovavano parecchi schermi computer, un mouse con relativo tappetino raffigurante una spiaggia e una tastiera. Un portapenne giaceva un po’ più in là, contenente penne a sfera nere e blu, un paio rosse e una verde. Ad alcune mancava il tappo e altre erano mordicchiate. A ricoprire la superficie legnosa c’erano poi innumerevoli scartoffie.
Le pareti erano di una tonalità un po’ più chiara del pavimento e ricoprivano tutti i lati, mentre il tetto era bianco. Appesi tutt’intorno alla stanza, perfettamente dritti, stavano dei quadri rappresentanti dei paesaggi di vari luoghi e ambienti. Probabilmente servivano a riempire il vuoto lasciato dall’assenza di finestre.
Nell’aria c’era un profumo dolciastro, senza ombra di dubbio da uomo, mischiato a tabacco. In effetti un pacchetto di sigarette ormai mezzo vuoto con relativo posacenere erano abbandonati accanto al portapenne.
Un ufficio di qualcuno di importante. Il conduttore dei giochi. Il Boss finale del nostro assurdo gioco.
Un Boss che mancava, effettivamente. La sala era vuota, spoglia da qualsiasi forma di vita eccetto la nostra compagnia. Nightmare ed Egypt a parte.
“...Sbaglio o qui non c’è nessun...” illustrò in tono canzonatorio Wish, prima che la sua voce venisse coperta da un rumore improvviso, forte e vicino.
“...o...” boccheggiò infine. Poi, cadde.

Egypt

Percepii la scena come al rallentatore.
Udii da dietro di me lo sparo. Vidi il sorriso di Wish scemare in una smorfia di dolore celata dalla sorpresa, mentre le si apriva un buco in testa. Vidi la materia grigia schizzare fuori dalla ferita assieme al sangue, andando a imbrattare la moquette, visibile nonostante il colore fosse circa lo stesso.
Quando il corpicino della bambina toccò terra, il corso del tempo tornò normale.
“Accidenti, è finita prima del previsto...” mormorò una voce maschile alle nostre spalle.
Ci voltammo di scatto, venendo accolti dalle pistole puntate vero di noi. Tre pistole, tre persone e noi, che con Wish fuori gioco, eravamo rimasti in tre. Due erano guardie: una biondina con il corpo da modella, le labbra piene e rosse, gli occhi azzurri e un neo nero sullo zigomo destro. Il giacchetto della divisa era generosamente aperto, lasciando intravedere una scollatura decisamente abbondante.
L’altra era un uomo, alto e grosso, un vero e proprio armadio. Mandibola squadrata e sporgente, naso storto da una probabile frattura, occhi piccoli e scuri e capelli marroni a spazzola.
‘Mark’ sentii borbottare Nightmare dietro di me. Evidentemente lo conosceva, e dal suo tono non ne era entusiasta.
Al centro di essi sostava un uomo di mezza età, come suggeriva la calvizie che aveva incominciato a impossessarsi di una parte della testa. Aveva una pancia a mongolfiera da bevitore di birra e amante del cibo ma non dello sport. Occhi azzurri e ciglia lunghe, doppio, anche triplo, mento. Vestiva elegante, in uno smoking blu scuro abbinato ad una camicia bianca, una cravatta e delle scarpe grigie.
Probabilmente lo studio era suo. Anzi, era sicuro.
L’uomo sorrise, un sorriso giallo che non vedeva uno spazzolino da secoli.
“Non muovetevi, Alternative Assassins... prima di farvi un buco in testa vorrei parlarvi” esordì quello con leggerezza. “A meno che voi non abbiate fretta di morire” precisò poi.
Stavamo trattenendo persino il fiato. Non osavamo muoverci, ancora scandalizzati per l’accaduto, avvenuto talmente in fretta da essere difficile da registrare e accettare.
Wish stava agonizzando per terra. Non era morta, ma dovevamo intervenire in fretta. Il tempo stringeva.
Strinsi i denti. Che cosa stava succedendo? Chi era quell’uomo.
“La sua voce... l’ho già sentita da qualche parte...” sussurrò piano Nightmare, immobile pure lui. Forse non era ancora abituato all’idea di essere un fantasma.
Ma effettivamente il problema era un altro. Come faceva a conoscere la sua voce?
“Ah, già. E’ il commissario che mi interrogava... cavolo, un altro colpo di amnesia” borbottò poi.
Se non fossi stata così rigida mi sarei girata  a tirargli uno scappellotto. Si era dimenticato del suo aguzzino? Mi trattenni dal darmi una manata sulla faccia e ricominciai a studiare la situazione, ormai critica.
“Immagino che i vostri cervelli stiano lavorando incessantemente per trovare una risposta. E io, che non sono un uomo troppo cattivo, vi lascerò conoscere, priva di eliminarvi. Ma da dove partire... mmm...”
L’uomo si passò le dita grassocce ed ingiallite sul mento, facendolo tremolare abbondantemente. Distolsi lo sguardo da quella vista disgustosa e mi concentrai sulle guardie. Dopotutto, il grassone non mi sembrava difficile da eliminare. Una spinta e sarebbe rotolato via.
La tizia bionda, che si stava rimettendo la cipria come se nulla forse lanciandoci un’occhiata di tanto in tanto non sembrava una grande minaccia. Era tutta apparenza, piuttosto gracile. A meno che non conoscesse arti marziali o simili, ma non poteva essere più pericolosa di Echo.
L’armadio mi sembrava già più un problema. A livello fisico era fuori dalla nostra portata. Dopotutto eravamo ancora dei ragazzini. A meno che...
“Trovato! Vi racconterò del mio piano, per filo e per segno. Allora, vediamo... è cominciato tutto più o meno cinque anni fa. Assistetti ad un incidente. Due bambine vennero travolte da un camion. L’hai capito, Egypt? Parlo del tuo.”
Mi bloccai mentalmente per qualche secondo. Che cosa aveva appena detto?
“Esatto. Una morì subito, ma dell’altra non si seppe più nulla. La cosa interessante fu scoprire che le bimbe morirono entrambe, ma nessuna di loro passò a miglior vita. Il fratello della piccola Louise iniziò a manifestare strani comportamenti. Parlava alla sorellina e diceva di vedere persone che nessun altro riusciva a percepire.”
Parlava di Nightmare. Pendevamo tutti dalle sue labbra. Il tempo sembrava essersi fermato.
“Dissero che il bambino era diventato pazzo. Ma io non credevo a quelle voci. Sono sempre stato molto affascinato dal soprannaturale e quella era un’opportunità che non potevo lasciarmi sfuggire. Presi quel bambino con me, imparando sempre di più sul suo potere. Era affascinante ma pericoloso. Capii che quelle persone non dovevano rendersi conto del loro potere o sarebbero stati guai: dovevo eliminarle.”
Eliminare? Parlava di noi. Pensai ad Echo, a Nightmare, a Pearl e a Wish. Eravamo già stati almeno dimezzati. Strinsi i punti, facendo ridacchiare la biondina.
“Usando i fantasmi diedi avvio ad un’operazione di ricerca per trovare persone speciali. Trovai così Valkyria e Echo e successivamente Pearl, Wish ed Hope. Infine tu, Egypt. E devo dire che ti ho sottovalutata. Sei arrivata a un passo dal mandare a monte il mio piano. Ma procediamo con ordine...”
Mi ricordai cosa aveva detto Wish. “Ci ha trovato Nightmare”. Ecco cosa intendeva. Erano proprio stati cercati e trovati. Non era stato necessariamente un caso. Era a questo che puntava. Rabbrividii pensando che io dovevo essere stata spiata da Louise o da qualche altro fantasma.
“Vi sarete chiesti tutti il perché della vostra giovane età. Beh, il fatto è che siete più facili da manovrare. Echo, poi, era solo un fantoccio, pendeva dalle mie labbra. Era una pedina al mio comando. Ma effettivamente non siete solo voi giovani. Usando parole carine ed Echo come portavoce, vi ho fatto uccidere i vostri simili più esperti. Quello che hai ammazzato tu, Egypt, era un demone come Valkirya e Pearl. Un demone gatto, per questo aveva paura dei cani. In effetti avvertiva il pericolo e altre cose. Aveva scoperto tutto e stava tentando di rovinarmi.”
Ci aveva usati. Tutti quanti. Ma mi domandavo come. Scoccai uno sguardo a lato. Nightmare era quasi schifato, la sua faccia esprimeva solo disgusto. Hope era scioccato e osservava ancora il punto dove Wish era caduta. Lei era incosciente e in fin di vita, ma n ancora morta. Dovevamo salvarla. Valkyria, invece, tremava di rabbia. Digrignava i denti e aveva gli occhi rossi.
“T-tu...” sputò le parole come se fossero velenose. La guardia – armadio fece per spararle ma l’individuo grassoccio lo fermò con un cenno della mano, incitando Kathleen a proseguire con un sorrisetto compiaciuto sul volto.
“Tu... sei... il boss... Riconosco... la tua voce” completò a scatti la mora. L’altro rise.
“Brava, Valkirya. Esatto, sono proprio io. Il vostro amato boss che vi ha salvato dopo le tragedie avvenute nella vostra vita. Lo stesso che vi eliminerà. Davvero pensavate che il prezzo da pagare fosse solo sporcarsi le mani con il sangue?” ci chiese, sarcastico.
Capivo Valkyria, ora anche io avrei voluto fargli male. Tanto. Ma dovevo pensare. In fretta.
“E poi sei arrivata tu, Egypt. Proprio quando stavo per dare il via al mio piano per eliminarvi. Hai scoperto di Nightmare e sei andata a parlargli. Lui ti ha chiesto quello che noi sapevamo già e che facevamo finta di ignorare. Ho fatto in modo che Valkyria ti trovasse e che si sentisse tradita. Ho fatto in modo che tu sapessi della condanna a morte di Nightmare, e ho detto a Echo di fare qualunque cosa affinché il nostro demone si pentisse e venisse a cercarti. Poi ho detto lei di eliminarvi, ma ha fallito. E ora tocca a me fare la mia mossa.”
Io potevo colpire a distanza, magari deviando i proiettili. No, erano troppo veloci. Dovevo pensare in fretta, in fretta... Non avevo più tempo.
“Alla fine il mio piano è sempre quello e non avrò nemmeno il segreto da tenere, perché l’ho già rivelato. A voi. Terrete la bocca chiusa, vero? No, non occorre che mi rispondiate... dopotutto, i morti non parlano.” Si girò poi verso di me. “Con le dovute eccezioni, chiaro. Non è vero, Egypt?”
Mi prendeva pure in giro quell’essere. Ma... in effetti...
Faccio ancora fatica a rendermene conto. Io sono morta.
Non mi ha ucciso il camion. E non sono svenuta per la perdita di sangue, ma perché ‘i tuoi nervi hanno ceduto’, ha detto Nightmare. Già, è stato lo shock.
Il mio corpo è solo il guscio che cela la perla. E’ la mia palla di ferro alla caviglia. Solo questo, nulla di più.
“Siamo giunti al capolinea. E’ la fine dello spettacolo.”
The end. La fine dei giochi. Ma non sarai tu a vincere.
“Vediamo se ci sono volontari. Chi si fa avanti?” chiese, alzando la pistola.
Io avanzai fiera, fino a posizionarmi davanti a lui. Avevo solo una possibilità. Strinsi l’impugnatura delle mie armi.
“Lucy...” soffiò scandalizzata Kathleen. Non mi sono arresa, tranquilla.
“Che stai facendo, Lucy?” esclamò allarmato Nightmare. Lo vedrai tra un attimo, pazienta.
Il gran finale.
L’uomo sparò.
Faceva male, tanto. Sentii il sangue misto a materia celebrare che mi rendeva la fronte appiccicosa. Ma me ne sarei occupata più tardi. Corsi fino a lui con la spada in pugno e gliela conficcai nel cuore.
Riuscii solo a provare un moto di repulsione nei suoi confronti, ero quasi compiaciuta nella vaga espressione sorpresa che era guizzata nei suoi occhi prima che questi diventassero vitrei.
Le due guardie non fecero in tempo a muoversi che vennero abbattuti da due frecce scoccate dal possessore del sesto senso.
Non ci fu tempo per uno scambio di sguardi.
“Dobbiamo salvare Wish” dissi soltanto. Gli altri annuirono, probabilmente troppo inorriditi, disgustati o scombussolati per guardarmi in volto.
Hope prese in braccio la sorella delicatamente, poi ci mettemmo a correre in cerca di un’uscita. Scendemmo di nuovo le scale, percorremmo un nuovo corridoio, fino a trovare un ascensore che ci portò in una specie di garage. Stavamo per correre fuori, quando Valkyria mi trattene per una mano.
“Che c’è?” chiesi, ansiosa.
“Hai un buco in testa. Non puoi farti vedere in quella maniera. Andremo a cercare io e Hope aiuto. Tu tenta di sistemarti. O in qualche modo di nascondere il buco e ripulirti quello schifo che hai sulla faccia” mi disse, seria.
“Hai ragione... e tu pensa al tuo braccio” le rimbeccai lanciando un’occhiata all’arto demoniaco che sostituiva quello umano. Le lo ridusse fino a farlo diventare un moncone e poi si diresse di corsa verso l’uscita.
Mi lasciai cadere sul pavimento, improvvisamente svuotata dalle mie forze.
“È... finita...” sussurrai.
Nightmare si avvicinò osservandomi, poi alzò gli occhi, guardando lontano.
“Già. Questa è la fine degli Alternative Assassins.”

Angolino nascosto nel nulla:
Questo era l’ultimo capitolo, gente!
L’angolo non sarà molto lungo, anche perché questo capitolo sarà subito seguito dall’epilogo che servirà a raccogliere tutte le mie osservazioni sulla storia.
A me questo capitolo piace, diciamo. Ho provato a collegare ogni a capitolo a questo, e spero di avervi sorpreso un po’.
Non è un errore aver scritto “Kathleen” al posto di “Valkyria”, è voluto proprio per segnare il distacco tra una realtà e l’altra.
L’epilogo sarà un po’ vago e aperto, perché voglio lasciare un po’ di campo libero anche a voi che leggete.
Ma perché ve lo sto a raccontare? Andate a leggere, coraggio!
Ci vediamo, a tra poco!
Aura_

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Capitolo 15
*** Epilogo - Salita ***


???

Lucy finì di raccontarmi la storia e restammo in silenzio.
Ero senza parole. Quei ragazzi ne avevano passati di tutti i colori!
Mi ricomposi e chiusi il notes su cui avevo preso appunti.
“Accidenti, che storia.” Dissi, alzando gli occhi per incrociare quelli di Lucy.
Erano passati cinque anni, ma lei era rimasta identica. Gli occhi grigi espressivi, i capelli biondo grano fino alle spalle, allegra e dolce.
“Già, una cosa che non si sente tutti i giorni” convenne, comprensiva.
La presunta quindicenne era ormai quasi ventunenne, pertanto molto più matura di quello che poteva sembrare.
‘Peccato, sarebbe potuta diventare una bella donna’ pensai, mesta.
“Posso farti un paio di domande? Così, per curiosità” chiesi, cercando di non sembrare invadente. Lei sorrise.
“Chieda pure. Non ho fretta e le ho già detto che le dirò tutto ciò che vuole” rispose incoraggiante.
“Cos’è successo agli altri assassini?” domandai.
“Oh, giusto. Beh, io e Kathleen decidemmo di andarcene. Ritornammo a casa mia, prendemmo dei vestiti e soldi dalla cassaforte e partimmo. Nightmare venne con noi. Invece Hope non lasciò mai la sorella, restò con lei tutto il tempo, e i medici dell’ospedale si presero cura di lui. Scrissero su una cartella clinica ‘gravi problemi psichici’. Ci credo, è probabile.
“Un anno dopo la nostra partenza Wish morì durante la notte. La trovarono la mattina seguente assieme al cadavere di Hope, che si era impiccato. Erano inseparabili, e lui voleva starle accanto” spiegò, un po’ malinconica.
“Ho capito...” sussurrai. Restammo in silenzio per qualche istante.
“Spero che adesso siano felici” mormorai infine con un piccolo sorriso. Lei ricambiò
“Lo spero anche io. Non posso esserne sicura, però... con loro non sono mai riuscita a parlare.” La sua voce diventò mano a mano sempre più triste.
“In che senso a parlare?”chiesi, non capendo a cosa si riferisse.
“Il prato azzurro. Hai presente? Ho capito che in qualche modo era una sorta di guardino dell’Eden dove potevo comunicare con le anime passate a miglior vita... Lucky, i miei genitori... Anche Louise e Pearl, dopo un paio di anni. Grazie a loro ho avuto una versione della storia un po’ più completa. Penso, però, che io non possa mettermi in contatto con le anime dannate. Non possono più risalire” spiegò, paziente
Mi sentii un po’ in colpa. La stavo trattenendo per troppo tempo.  Dopotutto aveva già patito abbastanza.
Lei parve accorgersi dei miei pensieri, perché sbuffò leggermente.
“Ricordi che ti ho detto all’inizio del nostro discorsetto? Io non ho alcuna fretta. E nemmeno Nightmare” disse, indicando con un cenno il mio orologio a pendolo, ossia nei pressi dove si doveva trovare il fantasma del ragazzo. Io annuii di nuovo, ma ero sicura che lei lo dicesse solo per leggerezza. Dopotutto, dopo aver saputo la verità, non vedevo l’ora che lei se ne andasse, mi sentivo la causa della sua permanenza.
“Va bene, va bene. Abbiamo quasi finito, comunque” sospirai, rigirando il notes tra le mani e giocherellando con la penna.
“Dimmi pure” sorrise lei.
La sua calma e pazienza mi colpivano. Io al suo posto non sarei così, al contrario. Ridacchiai tra me e me pensandomi isterica, non un grande spettacolo, ve lo assicuro.
“Come avete risolto con Kathleen? Voglio dire, senza di voi rimarrà sola” chiesi, pensando al demone. Lei doveva essere cresciuta e diventata un bella donna di ormai quasi ventidue anni. Pensai alla sua limitazione imposta dal braccio amputato.
“Ovviamente ho parlato con lei. Non potevo lasciarla così, dopotutto. Avevo paura della sua reazione, ma è stata molto comprensiva. Le hanno procurato una protesi e ora è a posto, è una ragazza forte e molto intelligente. Se la caverà” illustrò lei, rassicurandomi.
“Vorrei parlare anche con lei un giorno...” mormorai senza quasi accorgermene.
“Sa anche di te, sai? E ha detto la stessa identica cosa. Così le ho lasciato il tuo indirizzo e numero, dopo averlo memorizzato” trillò lei candida.
Da parte mia, quasi mi ero strozzata con il te che stavo sorseggiando. Lei si sporse a darmi dei colpetti gentili sulla schiena, ridacchiando.
“Gh... Grazie... cought...” gorgogliai infine. Dovevo essere diventata tutta rossa. Lei rise di nuovo in risposta.
Ci furono degli attimi di silenzio, dove rovistai nella mia mente in cerca di altre domande, o della loro assenza. In effetti non ne trovai. Così a guardai negli occhi e le sorrisi.
Anche lei sorrise, il sorriso più grande che le avessi visto fare in quel nostro colloquio. Si alzò e mi strinse forte la mano.
“Grazie... da entrambi. Grazie mille per il tuo tempo” mi disse, gli occhi che brillavano.
“Ma ti pare? Grazie a te per... tutto! Mi raccomando, sii felice... anzi, siate felici!” risposi, sinceramente contenta per loro.
Lei raggiunse la porta e se ne andò, lasciandomi da sola a riflettere.
Sprofondai nella poltrona, sospirando e riaprendo il notes. Rileggendo gli appunti, sentivo la voce di Lucy dentro la mia testa.
Richiusi il quadernetto e sospirai nuovamente.
Restai a lungo a osservare l’imponente orologio, accompagnando con gli occhi il lento movimento del pendolo.

Qualche giorno dopo venne trovato il corpo di Lucy. Lo chiamarono il “caso del cadavere sorridente”. Nessuno sapeva dare una spiegazione all’accaduto, ma tutti erano d’accordo sulla causa del decesso. Un colpo sparato in fronte.
Ma io sorridevo, perché sapevo la verità. Una verità custodita tra le pagine sottili di un quaderno. Una verità che ora ho svelato a voi.
La storia segreta degli Alternative Assassins.

Angolino nascosto nel nulla
Ebbene sì, gente, Alternative Assassins è finito!
E ora è arrivato il momento della riflessione dell’autrice, che potete tranquillamente saltare, non centra nulla con la storia.

Facciamo a domanda e risposta.

Sei soddisfatta della tua storia?

Non in modo particolare, no. I primi capitolo sono sorti e scritti male, e l’intera storia è piena di errori. Molti hanno espresso il loro disapunto già dal primo capitolo. Però, devo dire che questa è effettivamente la mia prima storia in assoluto, iniziata un paio di anni fa. Mi ha aiutata a migliorare. Su questo lato, sì, posso ritenermi soddisfatta.


In cosa pensi di essere migliorata?

In tutto, praticamente. Dalle descrizioni, ai nomi dei capitoli, agli intrecci. Io tento di apprendere da ogni situazione, anche se mi butto giù molto spesso. Ma l’importante è perseverare e spero di continuare a riuscirci.


Ti aspettavi qualcosa di più?

Mmm... no...?
Oddio, non lo so ahahaha
Seriamente. Io non mi aspetto mai nulla. “Mente libera e cuore aperto!” come si suol dire. Si dice così, vero?

Sei contenta di aver concluso? E cosa ti piace?

Sì, moltissimo. Ora posso scrivere d’altro. Tipo GoL. E tipo altre. E poi è un traguardo che sono fiera di aver raggiunto. Mi piace com’è finita. Un po’ aperta. Voglio lasciarvi liberi. Anche per quanto riguarda l’ultima che parla.
E per il suo incontro con Kathleen. E come Lucy è riuscita a passare a miglior vita, finalmente.
Sono contenta di questo.

 

Ho finito. Questo era l’ultimo angolo di AA. Vi ringrazio per aver seguito, recensito e letto e recensito la storia.

Grazie. Davvero.

Alla prossima!

Lucy, Kathleen, Nightmare, Louise, Pearle, Wish, Hope, Echo e tutti gli altri.

E ovviamente io.

Aura_

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