Destini incrociati

di EmilyLiv_Grey
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Serial killer a New York City ***
Capitolo 2: *** Hai chiesto aiuto? ***
Capitolo 3: *** La preda ***
Capitolo 4: *** Sussurri e grida ***



Capitolo 1
*** Serial killer a New York City ***


CAPITOLO 1- Serial Killer a New York City

Elliot Stabler non riusciva a prendere sonno, continuava a rigirarsi nel letto, con la paura che sua moglie Katie si svegliasse e si accorgesse del profondo turbamento del marito. Appena chiudeva gli occhi le immagini terribili di quei delitti tornavano ad essere realtà. Le stesse immagini che Olivia Benson stava fissando proprio in quel momento, seduta sul suo divano quasi inutilizzato, con un bicchiere di vino rosso in mano. Davanti a lei 5 foto di cadaveri, donne come lei, che avevano passato l'inferno prima di trovare sollievo nella morte.

C'era riuscito, il Serial Killer ci era riuscito a togliere il sonno a entrambi i detective, a penetrare nel loro cervello, a perseguitarli anche fuori dal lavoro.

Il distretto era in preda al caos, fuori decine di giornalisti e telecamere che la Benson doveva evitare cercando di conservare integra la sua dose di caffeina mattutina appena comprata da Starbucks. La situazione in cima alle scale non era più calma, un tabellone gigante sormontava le scrivanie dell'Unità Vittime Speciali di Manhattan, era ricoperto di fotografie, di date e di luoghi; lì sopra c'era tutto ciò che la polizia sapeva sui cinque delitti che avevano terrorizzato New York nelle ultime sei settimane. Il killer aveva sempre colpito di venerdì notte, e la tensione negli occhi di Elliot tradiva l'attesa di quella chiamata che aveva caratterizzato gli ultimi cinque venerdì mattina, e questo non sarebbe stato diverso. Il telefono nell'ufficio del Capitano Donald Cragen squillò, e un silenzio inquietante precipitò nella stanza. "Cragen"

Dall'altra parte del telefono si sentì un'operatrice del 911 dire con voce incerta: "Capitano, c'è un altro cadavere. E' stato ritrovato a Battery Park venti minuti fa" Il capitano posò il telefono senza convenevoli e chiamò i suoi due detective migliori.

 

Benson e Stabler arrivarono sul luogo in meno di un quarto d'ora. L'atmosfera in macchina era tesa, più silenziosa del solito. Entrambi si sentivano colpevoli, incapaci e frustrati, ma il solo fatto di essere lì insieme rendeva tutto un po' meno difficile, si sentivano meno soli. Vissero quel momento di intimità silenziosa, prendendosi una pausa dal Killer, dagli stupratori, dalla moglie gelosa di Stabler e dalla casa vuota di Benson.

Arrivati a Battery Park, i detective riconobbero ogni dettaglio. La vittima sdraiata sotto un albero, con i polsi legati. Era completamente nuda, e si vedevano bene i segni delle torture subite, quasi fossero la fotocopia dei delitti precedenti. La causa della morte era una pugnalata sul fianco, esattamente all'altezza della milza, per saperlo non c'era bisogno di aspettare il medico legale.

 

Il volto di Stabler si tese ancora di più, in preda alla rabbia. Nella sua mente erano comparsi tutti i fascicoli che lui aveva studiato per ore, tutti i dettagli, sempre uguali, senza errori. Per tre giorni quella giovane ragazza mora era stata tenuta prigioniera, torturata, ustionata, stuprata e infine trasportata quasi senza vita nel parco con un Iveco Stralis, una delle marche di camion più diffuse a NY, e lì uccisa con un colpo d'arma da taglio dritto nella milza, in modo da prolungare la sofferenza e lasciarla morire dissanguata.

Benson si strinse nelle spalle, guardava quella ragazza, i suoi occhi verdi aperti e senz'anima. Pensava agli amici, alla famiglia, al perché nessuno avesse denunciato la sua scomparsa. Immaginava i suoi ultimi pensieri, la paura, la vergogna, e la speranza che tutto finisse al più presto.

 

La dottoressa Warner, il medico legale, interruppe i pensieri dei due detective

"Non ci vuole un medico per capire cos'ha passato questa povera ragazza negli ultimi tre giorni"

"Noti qualche cambiamento? Qualche variazione nel modus operandi o nella firma?" chiese Stabler impaziente.

"Per ora no, ma sapete che dovete aspettare l'autopsia" disse la dottoressa, ormai frustrata nel trovare, o meglio non trovare, sempre le stesse cose.

 

Tornati al distretto fecero rapporto al Capitano. Con voce quasi rassegnata la Benson disse: "Nessuno ha visto o sentito niente, la Warner non ha notato cambiamenti"

"Ovviamente non troveremo fluidi o capelli, quindi niente DNA. Ci saranno solo quei fastidiosi frammenti di tappetini per Iveco" continuò Stabler, pieno di rabbia.

"D'accordo ragazzi, da soli non ce la facciamo" concluse Cragen, dirigendosi nel suo ufficio. Stabler e Benson lo seguirono confusi e contrariati.

"Capitano, è il nostro caso, lo prendiamo noi quel figlio di puttana" sbottò Elliot. Donald Cragen si sedette alla sua scrivania, ricoperta di targhe e fotografie, e con il suo salito tono calmo tranquillizzò i due detective: "Ho un vecchio amico nella sezione BAU dell'FBI, ci aiuteranno, ma il caso rimarrà nostro. Ora tornate al lavoro e prendiamo questo bastardo"

 

Quando i detective uscirono dalla stanza, il capitano alzò il telefono e compose un numero, leggendo una vecchia rubrica.

"David Rossi" rispose una voce roca al di là della cornetta.

"Ciao David, sono Donald Cragen, ho bisogno di un favore..."

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Capitolo 2
*** Hai chiesto aiuto? ***


CAPITOLO 2- Hai chiesto aiuto?

 

La sede della BAU era ancora semivuota quel sabato mattina. I membri dell'unità volevano godersi quel giorno libero in pace, senza morti, senza immagini orribili.

 

Il capo Hotchner stava preparando la colazione a suo figlio, pancakes, latte e cereali, quello che il bambino mangiava tutte le mattine, quello che gli preparava sempre anche la madre Haley. Ogni minimo gesto gli ricordava lei, sua moglie, la donna uccisa da uno dei tanti Serial Killer a cui dava la caccia ogni giorno. Come aveva permesso al suo lavoro di fargli questo? Il suono del latte che bolliva lo riportò alla realtà e cercò di scostare i ricordi. Infondo era passato e non contava. Ora era a casa a preparare la colazione per suo figlio, era un buon padre nonostante tutto e ne andava fiero. Un paio di braccine lo strinsero da dietro e lui si girò, alla vista di quel visino perfetto, che assomigliava così tanto alla donna che aveva sposato, tutti i problemi sembrarono sparire. Era pronto per passare un'intera giornata con suo figlio.

 

Derek aveva già fatto 4 km di jogging e flirtato con altrettante ragazze. Inutile nasconderlo, gli addominali scolpiti, le spalle muscolose e quegli occhi profondi attiravano le donne, e a lui non dispiaceva affatto. C'era però un pensiero che a volte lo coglieva di sorpresa, o meglio, una persona. L'unica donna che desiderava era proprio quella che sembrava non provare più della semplice amicizia nei suoi confronti. I suoi capelli corvini che le incorniciavano i lineamenti duri, gli occhi scuri e le labbra sensuali. Ciò che però lo attraeva più dell'aspetto era il carattere, il suo modo di essere fredda con colleghi e sospetti, e di essere dolce con le vittime e i bambini. Correre l'aveva sempre aiutato a pensare, e mentre rifletteva sui sentimenti che provava per la collega si accorse di essere già a Georgetown e decise di tornare a casa per rinfrescarsi le idee e farsi una doccia. Girato l'angolo una ragazza bionda sulla ventina gli sorrise, lui rispose con l'occhiolino ma, mentre si allontanava, pensò “Sei carina, però non sei Lei...”

 

Emily si alzò dal letto riposata, per una volta che non aveva dovuto mettere nessuna sveglia. Andò in cucina e si versò una tazza di caffé. Sul tavolo c'erano ancora i fascicoli del caso appena chiuso, e si ricordò di dover compilare i verbali, ma decise che l'avrebbe fatto dopo, voleva godersi quella mattinata senza pensare agli orrori che esistevano fuori da quella porta. Sergio miagolò forte per attirare l'attenzione della donna, la quale, vista la ciotola vuota, prese subito la scatola di croccantini e ne versò un po' nel recipiente. “Per quanto staremo da soli io e te?” Chiese al gatto, ormai intento a gustare la sua colazione. A volte le capitava di sentirsi sola, si, aveva i colleghi a cui voleva bene, ma non era lo stesso. Avrebbe voluto qualcuno che l'aspettasse a casa, che le preparasse la cena ma che capisse anche le sue necessità. Forse avrebbe voluto anche dei figli un giorno, ma soltanto con la persona giusta. E chi poteva essere? Le venne un nome in mente, ma la sua parte razionale scostò immediatamente l'idea, non poteva, e forse non doveva nemmeno succedere. Era un collega, un amico, e bello com'era aveva la possibilità di trovarsene a dozzine meglio di lei, donne più semplici, più equilibrate, con un lavoro normale. Erano quasi le 10 e stava iniziando uno dei suoi programmi preferiti, si sedette sul divano insieme a Sergio e alzò il volume. Quella giornata sarebbe stata solo sua.

 

“Cara mamma, sono appena tornato a casa dopo una settimana a Denver, dove abbiamo indagato su un rapitore di bambini. Non è mai facile quando ci sono di mezzo i piccoli umani. E' statisticamente provato che nel 86% delle persone i corpi minuti, gli occhi grandi e la voce acuta ci rendono più empatici e sensibili nei confronti dei bambini. Ma noi dobbiamo indagare sul quell'altro 14%, e a volte è parecchio difficile, soprattutto per alcuni di noi. A causa della sua infanzia Morgan è sempre molto coinvolto, e a volte perde la testa. Anche per Hotch e JJ non è facile avendo dei figli. Lei oggi mi ha confidato che ha paura di perdere Henry, che ha il terrore che questo lavoro riesca a entrare nella sua Casa. Dev'essere difficile mamma, crescere un figlio. Comunque lo abbiamo preso, il rapitore, e marcirà in galera per il resto della sua vita. A volte mi domando perché faccio questo lavoro, se non potrei fare qualcosa di più utile utilizzando la mia intelligenza, poi ci sono giornate come oggi, in cui si riescono a salvare dei bambini, e allora quelle domande spariscono, e mi sento fiero del mio compito. Spero che tu stia bene e che a Las Vegas ci sia il sole oggi. Ti voglio bene. A domani.

Tuo Reid”

Dopo aver scritto la quotidiana lettera a sua madre, i sensi di colpa anche per quel giorno si erano placati, e Reid era libero di dedicarsi alla lettura dei trattati di Hawking, senza pensare al fatto che non vedeva sua madre da quasi 1 anno.

 

Un piccolo terremoto salì sul letto e iniziò a chiamare la sua mamma, che non vedeva da qualche giorno. Jennifer si svegliò un po' insonnolita ma felice e abbracciò forte suo figlio Henry. “Andiamo a preparare la colazione, che ne dici?” Il bambino non aspettò nemmeno la risposta e corse in cucina, mentre Will diede un leggero bacio a sua moglie “Buongiorno, non sai quant'è bello averti qui a casa” “E' bello anche per me” rispose lei, sincera. Amava suo marito, e gli era grata del fatto che accettasse il suo lavoro, le sue assenze e i suoi orari. La capiva, forse perché sapeva cosa significava lavorare nelle forze dell'ordine, dare la caccia ai mostri. Proprio perchè sapeva che lui avrebbe compreso, Jennifer decise di aprirsi, decise di confidare al marito la sua paura più grande. “Sai, a volte ho paura che possa succedere qualcosa a Henry, ho paura di non essere in grado di proteggerlo...” “Caso difficile eh? Lo capisco, per quanto cerchi di evitarlo, il tuo lavoro viene a casa con te anche nel tuo unico giorno libero, però non puoi fare nulla per evitare che le cose brutte capitino. Quindi ora andremo di là e staremo con il nostro bellissimo e sanissimo figlio, giocheremo con lui e lo ameremo, e per una volta i mostri rimarranno fuori di qui. Siamo d'accordo?” Quelle parole erano esattamente quelle che la donna aveva bisogno di sentire. Si alzarono dal letto e si diressero in cucina, mano nella mano.

 

Quella chiamata era stata inaspettata, David non sentiva il suo amico Donald da quasi 30 anni. Dopo l'accademia avevano mantenuto i rapporti per qualche tempo, andando a bere qualcosa ogni tanto, ma la vita poi li aveva divisi, lui era andato a Parigi insieme alla sua prima moglie e Cragen era diventato capitano della omicidi di New York. In altre circostante risentire quella voce gli avrebbe fatto piacere, ma in una situazione come questa no. L'Unità Vittime Speciali della grande mela era una delle più rinomate, e i suoi detective erano molto competenti, era strano, quindi, ricevere una richiesta d'aiuto proprio da loro. Ma questo killer era violento e motivato, non si sarebbe fermato. Rossi lo comprese appena aprì la mail inoltratagli da Garcia. Le foto di quelle donne, i polsi legati, le stesse ferite da tortura, la stessa causa del delitto. Con il loro lavoro sapevano tutti che non esistevano giorni liberi, e Rossi fu obbligato a chiamare Penelope “Garcia, convoca tutti, abbiamo un caso”

 

La coda nella caffetteria di fronte all'ufficio era troppo lunga e Penelope non aveva tempo da perdere. Si sarebbe accontentata dell'acqua sporca riscaldata dell'Unità. Tutti avevano risposto alla chiamata, ovviamente controvoglia, e lei doveva prepararsi per presentare il caso ai colleghi. Quando Rossi l'aveva cercata, si era chiesta cosa ci fosse di tanto urgente da disturbare tutti nel loro giorno di ferie, ma appena viste le foto comprese. I pupazzi e i colori della sua stanza non erano bastati a proteggerla da quelle immagini orribili e agghiaccianti. Ma perché un essere umano avrebbe dovuto fare una cosa simile? Se lo chiedeva spesso, ma non aveva mai trovato una risposta soddisfacente, o almeno plausibile. Dopo aver raccolto tutte le informazione del caso in una cartella le inviò ai tablet degli altri agenti e, mentre aspettava il loro arrivo, andò a prendersi una tazza di caffè. Mentre ne beveva il primo sorso sentì la voce del suo collega sexy: "Ehi bambolina, perché ci hai chiamati?"

L'analista si voltò e vide che con lui c'era anche l'agente Prentiss, “Cavolo-pensò-quei due sono proprio fatti l'uno per l'altra”.

“Tra 5 minuti in sala riunioni" Rispose Garcia con un tono serio, troppo serio. Morgan si accorse che l'amica non aveva usato nessuno dei suoi soliti epiteti spiritosi e spinti. "E' brutto?" chiese lui, e presto i timori del profiler trovarono conferma.

"Molto brutto"

 

Sullo schermo erano comparse sei foto, sei donne, sei cadaveri. Penelope giocherellava nervosamente con il telecomando, aspettando che tutti avessero letto le informazioni sui loro tablet. Ad un certo punto Rossi prese la parola "Ieri mattina il capitano dell'Unità Vittime Speciali di Manhattan mi ha chiamato per chiedermi una mano riguardo al caso del Serial Killer che sta agendo a New York"

"Il Mostro del giovedì, è così che lo chiamano, ho letto qualcosa sul giornale" lo interruppe Derek.

"Perché Morgan, tu leggi anche i giornali?" lo provocò Emily, alleggerendo la tensione che si era creata nella stanza.

"David scusa, ma perché hanno chiamato te invece di fare una richiesta ufficiale?" chiese JJ, che normalmente si occupava della comunicazione con i responsabili delle indagini.

“Io e Donald Cragen, il capitano dell'Unità nella Grande Mela, siamo vecchi amici e abbiamo frequentato insieme l'accademia. Ieri sera ho ricevuto una sua telefonata, in cui mi chiedeva aiuto. Questo S.I ha già ucciso sei persone, e la polizia non ha indizi.” rispose l'agente.

“Le vittime hanno segni di legamento ai polsi e alle caviglie, e delle bruciature distribuite su tutto il corpo” asserì Prentiss leggendo il referto autoptico. “Anche la causa del decesso è la stessa, una pugnalata alla milza, precisa, con la stessa arma in tutti i casi. Il killer sapeva che in questo modo si sarebbero dissanguate lentamente” continuò la profiler.

“Le armi da taglio sono spesso utilizzate dagli SI impotenti come surrogato sessuale” specifico il dottor Reid.

“Il nostro soggetto ignoto non è impotente, le vittime sono state violentate prima di essere uccise” lo corresse Morgan.

“E' furbo, non ha lasciato ne DNA ne impronte, ma lascia le vittime nei parchi pubblici, in posti facili da trovare. L'albero deve avere un qualche significato per lui, è come se sfidasse la polizia. Siamo sicuramente di fronte ad un sadico sessuale a cui piace infliggere dolore e veder soffrire le proprie vittime. L'uso del coltello è probabilmente motivato dal fatto che vuole sentire la vita scivolare via dal corpo delle donne.” intervenne Hotch.

“Statisticamente i sadici sessuali sono i Serial Killer più prolifici, perché spinti da una necessità di uccidere per provare piacere, e circa il 42% di loro ha subito abusi durante l'infanzia” il dottor Reid come al solito espose le sue statistiche.

“Sono i più difficili da prendere, perché non rispondono a canoni specifici. La maggior parte dei sadici crescono in famiglie multi problematiche, in cui subiscono abusi ripetuti da parte di uno o entrambi i genitori, oppure crescono come figli illegittimi o orfani. Come Ted Bundy, cresciuto dai nonni materni credendoli i suoi genitori fino all'adolescenza, quando scoprì la verità in lui si manifestò la psicosi.” terminò Emily.

 

Una cosa era sicura, questo killer sarebbe stata una sfida, una delle più difficili.

 

“Tra mezz'ora partiamo, prendete le quarantottore.” ordinò Hotch.

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Capitolo 3
*** La preda ***


CAPITOLO 3- La preda

 

I mostri sono reali, e anche i fantasmi sono reali. Vivono dentro di noi, e a volte vincono.” Stephen King

 

Quella mattina sulla copertina del New York Post un titolo attirava particolarmente l'attenzione “IL MOSTRO DEL GIOVEDI' HA COLPITO ANCORA. Cosa fa la polizia?” e sotto la foto dei detective Benson e Stabler sull'ultima scena del crimine sembrava un'accusa da parte della stampa proprio nei loro confronti. Il giornale era in bella vista sulla scrivania di Cragen quando i due poliziotti entrarono nel suo ufficio.

 

“L'FBI sarà qui oggi stesso, preparate la sala riunioni.” disse il capitano con tono fermo.

 

La risposta di Elliot arrivò prima ancora che il suo superiore potesse finire la frase: “Non ci servono i federali!”

 

“Tu dici Elliot? La stampa ci sta alle costole, e la faccia che vedo sulla copertina del NY Post non è di certo la mia.”

 

“Capitano non può toglierci il caso. È nostro. Abbiamo sacrificato tutto per catturare questo killer, abbiamo passato notti in bianco a osservare le foto raccapriccianti di ciò che lui provoca, abbiamo lavorato per ore al suo profilo. Nessuno lo conosce meglio di noi, figuriamoci un branco di pinguini federali in giacca e cravatta”

 

“È proprio questo il problema Elliot, avete dato tutti voi stessi per quest'indagine, ma non è stato abbastanza, quel mostro è ancora in giro. Bisogna saper riconoscere i propri limiti e riuscire a chiedere aiuto. Dovete collaborare con l'FBI.”

 

“Ma capitano Elliot ha ragione...”

 

“Non è una richiesta Olivia, è un ordine. Se questo caso non verrà risolto il prima possibile, i capi vorranno dei colpevoli, come i media e il sindaco, e la mia testa non sarà l'unica che taglieranno.”

 

Il capitano Cragen era stato chiaro, se chiedere aiuto era necessario per catturare quel mostro lo avrebbe fatto, mettendo da parte l'orgoglio. Era questo che a Elliot non andava giù. Era una questione di forza, di dignità. Accettare l'arrivo dei federali avrebbe significato arrendersi, e riconoscere la fastidiosa realtà: da soli non avrebbero mai potuto catturare quel killer.

 

“Io con quelli non ci lavoro, è il nostro caso!” Così il detective chiuse la conversazione e uscì dall'ufficio del capitano, seguito dalla collega che condivideva in pieno il suo pensiero.

 

 

Il monitor che segnalava una chiamata di Garcia interruppe l'apparente calma che si respirava sul Jet.

“Ciao miei geni del crimine! Ho raccolto un po' più di informazioni sulle vittime. In ordine cronologico: Amanda Silter, 36 anni, avvocato difensore in uno studio a Manhattan, Jessica Lucas, 38 anni, manager in una società di polizze assicurative, Laura Micheals, 42 anni, direttore di una banca in centro, Veronica Isles, 40 anni, chirurgo pediatrico al Bellevue, Sarah McLee, 35 anni, sottotenente dei marines e l'ultima, Taylor Martin, 37 anni, psicoterapeuta. Tutte brune, donne in carriera senza figli.”

 

“Come molti sadici sessuali anche il nostro SI ha dei gusti molto particolari. Donne di mezz'età, brune, in carriera e senza figli.” Tutti si trovarono d'accordo con l'affermazione appena fatta da Morgan.

 

“Tutte uccise con una coltellata e lasciate esposte sotto un albero nei parchi più frequentati di New York. Corre un bel rischio a lasciarle lì, soprattutto da quanto la sorveglianza a questi parchi è quadruplicata.” continuò Spencer.

 

“E' furbo, e probabilmente passa inosservato, sembra una persona normale e si comporta come tale” sottolineò JJ.

 

“E' per questo che è difficile da prendere.” concluse Prentiss, con un espressione turbata sul volto.

Dopodichè si alzò e si diresse verso il bagno del Jet. Era uno il pensiero che non le dava pace da quando Garcia aveva elencato le caratteristiche delle vittime.

“Brune, dai 35 ai 45 anni, in carriera e senza figli. Ho molte, troppe, cose in comune con queste donne.” Si rinfrescò la faccia per scacciare questi pensieri, ma uscendo trovò Hotch che l'aspettava dietro la porta con lo sguardo preoccupato, come se le avesse letto nella mente.

 

“Ti senti bene?” chiese il profiler.

 

Emily avrebbe voluto mentirgli e dire che andava tutto bene, che era soltanto andata a darsi una rinfrescata, ma lo sguardo del collega esigeva la verità, e forse lei aveva bisogno di dire a qualcuno ciò che provava.

 

“E' solo che... quelle donne... lascia stare, è una cosa stupida”

 

“Quelle donne ti assomigliano.”

 

“Potrebbe benissimo essere successo a me... Scusa Hotch, cancella ciò che ho detto, sto bene.”

 

“D'accordo. Però Prentiss, a volte è normale sentirsi così, essere coinvolti. Finchè ti fai coinvolgere, sei un essere umano.”

 

“Grazie Hotch”

 

“Quando vuoi.”

 

Così il profiler si avvicinò agli altri riprese il suo ruolo di capo.

 

“D'accordo, stiamo per arrivare, Reid e Rossi, voi andate sull'ultima scena, Morgan e Prentiss, i detective incaricati dell'indagine vi stanno aspettando dal medico legale per i risultati dell'autopsia, io e JJ andiamo all'unità e iniziamo a lavorare al profilo.”

 

Era da dieci anni che lavorava all'Unità Vittime Speciali, ma la sala autopsie non aveva smesso di inquietarla. Quell'odore di disinfettante e putrefazione le entrava nelle narici, e le restava addosso per ore. Quel giorno poi, mentre aspettava gli agenti dell'FBI, sul tavolo autoptico c'era una donna più o meno della sua età, con il suo stesso colore di capelli, con cui aveva molte cose in comune, tranne per il fatto che lei era viva e non aveva attraversato quell'inferno.

Elliot concluse la telefonata ed entrò nella stanza con la Warner, interrompendo i pensieri della detective.

 

“I pinguini stanno arrivando. Se intanto vuoi aggiornarci”

 

“Elliot lo sai, sarebbe meglio aspettare l'FBI. Ho alcune pratiche da firmare nell'altra stanza, quando arrivano chiamatemi.”

 

“D'accordo.” rispose ormai rassegnata Olivia.

 

“Ma che diavolo ha in testa sto tizio?” Sbottò Elliot.

 

“Elliot, so che siamo stressati, ma non dobbiamo perdere la calma, d'accordo? Lo prenderemo. Ce la faremo.”

 

Solo in quel momento Stabler guardò la collega negli occhi, e trovò un riparo dall'orrore in cui era immerso. In quegli occhi trovò però anche qualcos'altro, inquietudine forse, o paura. Vide Olivia, la donna, e non la detective Benson. Allungò la mano verso quella della collega e la strinse appena, subito dopo lasciò la presa. Quel contatto così breve diede forza ad entrambi. “A volte il nostro lavoro è davvero duro -pensò Olivia- e non ce la farei mai se non ci fosse lui con me.”

 

Quel momento di condivisione silenziosa fu interrotto dall'ingresso nella sala autopsie di due agenti, un uomo afroamericano muscoloso e con l'aria da spaccone, e una donna alta, magra, quasi statuaria, con i lineamenti duri e lo sguardo fisso.

 

“Agenti Speciali Derek Morgan e Emily Prentiss della BAU.”

Derek si presentò allungato la mano verso Stabler, che però non contraccambiò il gesto. Fu la collega a fare gli onori di casa.

 

“Detective Olivia Benson e Elliot Stabler, unità speciale. Grazie per essere venuti. Il medico legale sta per arrivare.”

 

Rossi notò una piccola incisione sul tronco. Probabilmente due adolescenti che hanno voluto incidere il simbolo del loro amore, pensò l'agente.

 

“E' meticoloso, non ci sono impronte chiare ne segni di trascinamento, quindi dev'essere in buona forma fisica.” sottolineò Reid.

 

“E ha anche un'alta considerazione di se stesso. Lascia le vittime dove tutti potrebbero vederlo...”

 

“Rossi, cos'è quello?” Disse Spencer indicando un pezzo di carta incastrato tra il tronco dell'albero e il terreno.

David si chinò e raccolse quello che sembrava un ritaglio di giornale, lo aprì e rimase in silenzio per qualche secondo, poi disse: “Sta sfidando la polizia, vuole provare il brivido della caccia, vuole dimostrare di essere più furbo di noi.”

Poi l'agente si diresse verso un poliziotto che stava controllando la zona.

 

“Questa mattina avete controllato il terreno adiacente al cadavere?”

 

“Certo! Ogni centimetro è stato setacciato da due coppie di agenti a turno, non c'era nulla. Perché me lo chiede?”

 

“Allora questo deve averlo messo dopo. Reid avverti Hotch che stiamo tornando, e digli che dobbiamo parlare con il capitano.”

 

Quando Rossi e Reid arrivarono al distretto videro Hotch e JJ intenti a delineare il profilo geografico dell'SI, ma non fecero in tempo a raggiungere la scrivania che Rossi vide il suo vecchio amico venirgli incontro.

 

“David! Sempre in queste circostanze dobbiamo vederci? Sei invecchiato e..”

 

“Donald anche tu non scherzi, e hai messo su anche un bel po' di pancetta.”

 

“Spiritoso! Continuerei a discutere sulla mia pancia per ore, ma il vostro capo mi ha detto che avete trovato qualcosa.”

 

“Si, e dovete richiamare i due detective responsabili del caso, hanno un problema.”

 

Stabler, Benson, Morgan e Prentiss uscirono dall'ascensore con l'aria sconfitta di chi aveva ricevuto sempre le stesse inutili informazioni dal medico legale, e videro tutti i loro colleghi seduti intorno al tavolo con aria preoccupata. Si avvicinarono e il capitano Cragen si rivolse alla detective Benson.

 

“Olivia, sei fuori dal caso. Da oggi sarai sorvegliata 24 ore su 24. Niente più contatti con media o fotografi. Chiaro?”

 

“Capitano non capisco, quest'indagine è mia”

 

Cragen indico il ritaglio di giornale trovato da Rossi e Reid sul luogo del ritrovamento dell'ultima vittima che adesso era posato sul tavolo in bella vista. Era una copia della copertina del New York Post di quella mattina. La foto dei due detective era stata ritagliata insieme al titolo dell'articolo, e il viso di Olivia era stato circondato da un cuore con sopra una croce con un pennarello rosso. Sotto la foto, con una calligrafia ben leggibile c'era scritto: “Detective, la prossima potresti essere tu.”

 

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Capitolo 4
*** Sussurri e grida ***


CAPITOLO 4 – Sussurri e grida

 

"Indossiamo tutti delle maschere, e arriva un momento in cui non possiamo toglierle senza toglierci la pelle." Andre Berthiaume

 

Il sangue si gelò nelle vene della detective, mentre gli occhi di Stabler brillavano di rabbia.

 

“Figlio di puttana!” Sbottò il detective.

 

“Elliot, dobbiamo mantenere la calma. Olivia sarà sotto protezione 24 ore su 24. Nessuno potrà arrivare a lei.”

 

Quelle parole sembravano aver un po' calmato Stabler. La Benson intanto non aveva ancora mosso un musculo né parlato.

 

Emily le si avvicinò con cautela: “Detective, tutto bene? Forse è meglio che vada a casa...”

 

“Si io... credo di si.”

 

“L'accompagnamo io e l'agente Morgan, venga con noi.”

 

“La scorta è qua sotto e un agente starà sempre di guardia alla porta, non le accadrà niente Olivia.” Disse Derek con il suo tono rassicurante.

 

“Ora vado a controllare i turni, Emily resta un attimo qui con lei.”

 

Lasciata sola con l'agente, Olivia si sentì finalmente libera di mostrarsi impaurita e fragile. Si fidava dell'agente Prentiss.

 

“È strano. Faccio questo lavoro da molto tempo, ho partecipato a scontri armati, ho svolto indagini sotto copertura e in una prigione sono stata aggredita da una guardia corrotta. Ma mi sembra di non aver mai provato una paura del genere. Non conosciamo affatto questo tizio, mentre lui a quanto pare conosce noi, conosce me.”

 

“Lo prenderemo! - disse Emily con voce ferma e decisa – Tutti al distretto stanno lavorando notte e giorno, e lui commetterà un errore prima o poi.”

 

“Prima o poi...” Gli occhi della detective si illuminarono di rabbia, o forse di paura. La profiling capì che quella che aveva davanti non era più una detective fredda e professionale, ma una donna normale, impaurita, insicura e sola. Le si avvicinò e le toccò una spalla in segno di comprensione.

 

“Capitano, noi siamo pronti per un profilo preliminare”

 

“Perfetto, faccio riunire tutti di là allora, grazie agente Hotchner.”

 

La stanza era gremita di poliziotti, alcuni in divisa, altri in borghese. I primi sembravano entusiasti e onorati di poter lavorare al caso con dei federali, mentre gli altri, i detective, erano scettici sull'utilità di un profilo psicologico, ma si erano arresi all'evidenza: i loro metodi non avevano funzionato.

 

“Chiameremo il killer SI, Soggetto Ignoto” La premessa di David era tanto banale quanto necessaria. I soprannomi e gli appellativi dati all'assissino non avrebbero fatto altro che alimentare in lui un senso di orgoglio e nello stesso tempo creare pregiudizi nei poliziotti e nei civili.

 

“L'SI ha un'età compresa tra i 25 e i 35 anni. Probabilmente ha precedenti penali giovanili, come violenze su animali o coetanei, episodi di piromania o aggressioni.”

 

“Tuttavia si presenta come un uomo normale, poiché è riuscito ad avvicinare lungo la strada vittime a basso rischio, donne in carriera, sveglie e intelligenti che non avrebbero mai seguito un individuo poco affidabile.”

 

“Il modus operandi e la vittimologia ci dicono che l'SI agisce in modo razionale, ha un tipo di vittima e lo rispetta.”

 

“È di certo un sadico sessuale e gode nell'umiliare le proprie vitttime. Pensiamo inoltre sia impotente, e usi un'arma da taglio come surrogato sessuale. I parchi devono avere un qualche significato per lui, forse è lì che la madre lo portava da bambino e lui ne ha una visione negativa.”

 

Mentre gli agenti Reid, Rossi, Hotch e Jeraux continuavano a parlare, Elliot si era estraniato dal discorso. Pensava alla sua collega, alla sua migliore amica in pericolo. E più ci pensava, più sentiva salire la rabbia. Quella rabbia alimentata dal sentimento di impotenza che provava e dai “pinguini in giacca e cravatta” che continuavano a elencare informazioni in modo freddo e preciso, senza pensare, o almeno così credeva lui, alle donne che quel mostro aveva ucciso, e alle donne che erano ancora in pericolo. Come Olivia.

 

Non avevano ancora terminato di esporre il profilo geografico che il telefono di JJ squillò.

 

“Garcia dimmi...”

 

“Un'altra vittima. L'ambulanza è già sul posto,vi conviene raggiungerla direttamente in ospedale.”

 

“Come in ospedale? È viva?”

 

“Si, è in condizioni critiche, ma è viva. Ah dimenticavo, prima di perdere i sensi ha detto a un agente di voler parlare con il detective Benson.”

 

“L'ha lasciata vivere? Ma perché? Lui è bravo, non sbaglia.” Disse Olivia in preda alla confusione che l'aveva colta appena saputa la notizia.

 

“Non penso abbia sbagliato. La vittima ha detto di avere un messaggio per lei. Lui potrebbe averla tenuta in vita solo per questo.” Spiegò Derek.

 

“In ogni caso dobbiamo andare a parlare con lei. La macchina è qui fuori, muoviamoci.” Lo interruppe Emily, che aveva notato la reazione di Olivia alle parole del collega. Si sentiva in colpa e impotente per quello che quella ragazza aveva subito.

 

“Liv che diavolo ci fai qui? E voi due, perché le avete permesso di uscire?”

 

“Elliot, la vittima ha detto che vuole parlare con me. In casa non posso fare nulla, qui posso rendermi utile. Quindi ora lasciami passare.” Gli scontri tra i loro due caratteri forti non erano una novità e molto spesso Elliot si chiedeva se non fossero causati dalla troppa intimità che li legava.

 

“Come sta?” chiese la detective a un medico che era appena uscito dalla stanza della donna.

 

“È sotto shock, ma è viva. Ha abrasioni su ginocchia, polsi e caviglie. Ferite da difesa su braccia e mani. Ha combattuto. Il kit stupro ha evidenziato violenze ripetute, ma nessun DNA. Inoltre sono presenti ferite da arma da taglio sul tronco e sui seni. Ora è vigile, ma mi raccomando detective, ci vada piano. Quella donna è sopravvissuta all'inferno.”

 

“Certo, grazie mille dottoressa.”

 

Una parte di Olivia sarebbe voluta scappare. Non era pronta a sentire i racconti di un'altra vittima. L'istinto da detective però predominava sull'angoscia e la paura. Fece un bel respiro ed entrò nella stanza.

 

JJ era già seduta accanto al letto sopra il quale Olivia vide sdraiata una donna di 36 anni, capelli castani e ricci. Olivia sapeva che Georgia McJoyss era a capo di un'agenzia di assicurazioni molto importante nel Paese, ma vista così, inerme in una vestaglia di carta, non assomigliava alla donna in carriera, bensì a una ragazzina spaventata.

 

“Salve Georgia, il mio nome è Olivia Benson...”

 

“Detective, finalmente...” disse la donna singhiozzando. “Lui... lui vuole che le racconti quello che mi ha fatto, mi ha lasciata vivere solo per questo, e ha detto anche che può tornare a finire il lavoro quando vuole.” Le parole erano fuoriuscite dalle labbra della vittima come un fiume in piena, tutte d'un fiato.

 

“D'accordo, ora si calmi, è al sicuro” Le parole di JJ sembrarono funzionare.

 

“Ci dica con calma quel che è successo, cominciando dal principio.”

Olivia si sedette su una sedia accanto al letto, pronta ad ascoltare una storia raccapricciante, ma della quale era convinta di conoscere a memoria ogni dettaglio. Man mano che la donna raccontava, la detective si vedeva passare davanti tutti i fascicoli letti nell'ultimo mese e mezzo, ogni conversazione con il medico legale, ogni fotografia dei cadaveri che avevano infestato i suoi incubi per settimane. Quello che però mancava, in tutti quei documenti, erano i sentimenti, il dolore umano provato da quelle donne, che ormai non erano più in grado di descriverlo. Ma Georgia si, e i suoi occhi non avrebbero potuto essere più chiari a riguardo.

 

“Avrei voluto solo che mi uccidesse, che la facesse finita. E invece continuava, mi faceva malissimo. Sentivo spezzarsi ossa che nemmeno sapevo di avere, mi vergognavo. Ho tenuto gli occhi chiusi quasi per tutto il tempo. Quando mi ha portata nel parco pensavo che mi avrebbe finalmente uccisa, ma mi ha detto solamente di raccontare al detective Benson tutto ciò che mi aveva fatto dettagliatamente, e di dirle che finché lei non si concederà a lui, lui continuerà a divertirsi con altre donne.”

 

A queste parole l'agente Jeraux si girò verso la detective, visibilmente scossa da quelle parole. Olivia, però, sapeva fare il proprio lavoro, e con la delicatezza che la contraddistingueva disse: “Grazie mille Georgia, è stata bravissima. Sappiamo che non lo ha visto bene, ma sarebbe in grado di descrivere quell'uomo?”

 

“Io... io credo di si, ma avrei dovuto graffiarlo meglio, avrei dovuto fare di piu.” A quel punto la donna si lasciò andare e fece uscire tutto ciò che teneva dentro da troppo tempo. Dopo qualche secondo JJ prese la parola, tendendo la sua mano verso quella della vittima.

 

“Mi ascolti, lei ha fatto quello che doveva per sopravvivere, e ora è qui, salva. È stata davvero brava. La colpa non è sua, ma di quel mostro. Faremo il possibile per sbatterlo dentro. Nel frattempo la sua stanza sara sotto controllo 24 ore su 24. È al sicuro adesso.”

 

“Emily, stai bene?” Chiese Morgan alla collega, intenta a leggere la cartella clinica della vittima.

 

“Si, è solo che non pensavo una persona potesse sopravvivere a questo.”

 

“È una donna forte, e con il sostegno adeguato ne verrà fuori. Lo sai. Cos'altro c'è?”

 

“Nulla. Davvero Derek, sto bene.” Il fatto che il collega si preoccupasse per lei le faceva piacere, ma a volte era difficile essere a contatto con profiler tutto il giorno. Lui sapeva benissimo cosa c'era che non andava. Quelle donne erano come lei, e lei non si era mai sentita così vulnerabile. Una mano sulla spalla le provocò un brivido lungo la schiena. Le labbra del collega le si avvicinarono all'orecchio “Io ci sono, se ne vuoi parlare.”

 

In quell'istante suonò il telefono di Emily.

 

“Garcia, dimmi.”

 

“Non ci crederete mai, ma forse questa volta il nostro uomo ha fatto un errore.”

 

 

 

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