Aimer et tuer.

di neurodramaticfool
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda ***



Capitolo 1
*** Parte Prima ***


Autore: Neurodramaticfool
Titolo: Aimer et tuer.
Periodo Storico: Medioevo, XIV secolo.
Genere: Drammatico, Romantico, Introspettivo.
Rating: Pg15, arancioncino dalle nostre parti, T su qualche altro sito. Idek.
Avvertimenti: Character death
Introduzione: Inghilterra, 1349, La peste imperversa, ma la vita deve andare avanti. Due storie, due personaggi, due vite diverse nella stessa situazione. Dove il rimorso e i segreti possono pregiudicare la felicità di un uomo, qualcuno sceglie di affidarsi alla religione, qualcuno ai sentimenti. L’inferno aspetta sia gli amanti che gli assassini, cosa scegli di essere?
Note Autore: Questa storia ha dovuto essere scissa in due parti, per la sua immensa lunghezza. Si spera che piaccia ugualmente. :D Trattate bene i miei piccoli personaggi, mi ci sono affezionata un sacco, non fate loro del male, i miei babieeeesss! :D
Storia:

Aimer et tuer

Hell awaits both killers and lovers, what do you want to be?

 

Parte Prima

Inghilterra, 1349
Bertram, un frate dell’ordine di San Benedetto.

Sarebbe stata una giornata chiara, fratello Bertram lo seppe nel momento stesso in cui uscì dalla propria cella, nella parte più esterna dell'abbazia, per andare in chiesa per assistere alle lodi. Non c'erano nuvole in cielo, né venti minacciosi, tutto lasciava presagire la più bella delle giornate autunnali.

Nell'attraversare i corridoi silenziosi del monastero, fratello Bertram incrociò lo sguardo di due confratelli e di un pellegrino che aveva chiesto loro ospitalità lungo la sua strada verso Canterbury. "È una lunga strada," gli aveva detto Bertram quando aveva fasciato i piedi pieni di vesciche dell'uomo, provato dal cammino. "Ma ogni iarda percorsa è un passo verso il Paradiso." Il pellegrino lo aveva ringraziato con un sorriso e aveva accettato il poco cibo che la foresteria poteva offrirgli; fratello Bertram si dispiaceva sempre di quanto poco riuscisse a fare per tutti quelli che chiedevano asilo all'abbazia, come responsabile della foresteria.

Anni prima, lui stesso era entrato da quella porta, quel varco così anonimo e indistinguibile dagli altri affacci del monastero sulla pianura circostante, diverso solo per quella piccola targa che recitava parole di benvenuto per i visitatori, tratte dal vangelo, scritte in latino, incomprensibili ai più. Fratello Bertram vi era entrato, da bambino, e vi sarebbe uscito dopo vent'anni, con una tonaca nera addosso e la sommità del capo rasata.


 

Dopo le lodi, dopo la sesta, dopo aver lavorato per un'ora nell'orto e aver aiutato il frate farmacista nella preparazione dei suoi decotti, Bertram rispose al suono delle campane che lo chiamava, con i confratelli, nella Sala Capitolare. Non era il momento della lettura del Capitolo, pensò, constatando che, di fatto, era ancora mattina e il Capitolo era analizzato dopo il calar del sole. Doveva essere successo qualcosa.

Quando arrivò si sedette, sorridendo al giovane novizio al suo fianco, e si preparò ad ascoltare cosa l'abate avrebbe detto.

"In nomine patri..." Il vecchio monaco iniziò, la voce tremula e gli occhi appena velati.

"...et filii et spiritus sancti." Risposero in coro tutti gli altri, un unica voce che si alzava nella preghiera all'unico dio.

"Ci è giunta una lettera dalla cattedrale." Annunciò l'abate, sventolando un rotolo di pergamena dall'ambone e suscitando un mormorio curioso. "È una richiesta d'aiuto. Il nostro vescovo, il nostro pastore, chiede il sostegno di questa comunità per compiere l'opera di Dio in città."

Alcuni frati si alzarono e se ne andarono, inorriditi all'idea, fratello Bertram e altri restarono, chi per curiosità, chi per rispetto del vescovo. "Sapete già che la piaga sta avanzando e sta falciando vite e mietendo anime tra i nostri fratelli cittadini come un contadino d'estate. Il vescovo ci chiede di mettere noi stessi al servizio dei malati. Invieremo quattro fratelli. Qualcuno vuole andare?" La voce rimbombò sulle pareti di pietra e si spense.

Un fratello anziano, di nobile origine, che aveva sperato di diventare abate ma non ci era mai riuscito, si alzò e annunciò la propria disponibilità. Così fece un altro fratello, la cui famiglia di provenienza garantiva buona parte delle rendite del monastero. Ne mancavano due. Fratello Bertram sospirò. Non era mai uscito dall'abbazia, ma per tutta la sua vita non aveva fatto che prendersi cura dei bisognosi. Si alzò a sua volta, imitato dal novizio alla sua sinistra.

L'abate annunciò che sarebbero partiti subito.


 

**

Ewan, uno scudiero senza un cavaliere

Stava per farsi buio e le strade non erano più sicure da molto tempo. Ewan sospirò, non ne poteva più di stare in sella, gli faceva male la schiena, aveva le gambe intorpidite e il suo naso gocciolava per l'umidità. Come se non bastasse, la ferita che aveva alla spalla non era ancora guarita e prudeva in modo insopportabile. Imprecò contro il ronzino che stava cavalcando; non era quello che avrebbe scelto, ma lo aveva in pratica rubato, per quanto poco era riuscito a pagarlo e non poteva pretendere qualcosa di meglio.

Si passò una mano sotto il naso, schifandosi lui stesso nel sentire il muco appiccicarsi al dorso della mano, priva di un guanto per la serie di sfortunati eventi che lo aveva condotto lì. Il suo stomaco brontolò- ci mancava solo la fame alla lista dei mancamenti. Sospirò di nuovo. Erano tre giorni che vagava senza meta e non aveva quasi più soldi, forse avrebbe dovuto cercare lavoro da qualche parte. Poteva darsi che in qualche villaggio lo prendessero come bracciante nei campi, era disposto a fare qualsiasi cosa pur di poter mangiare e farsi un bagno. Da quando era tornato dalla Francia, dove il suo cavaliere aveva combattuto per il Re d'Inghilterra, la sua condizione economica era talmente messa male da aver rinunciato a pretendere i velluti e i banchetti con i quali era cresciuto. Alla seta si era sostituito il cotone grezzo e al velluto la lana, ma andava bene lo stesso: aveva ancora tanti anni da vivere, magari sarebbe stato di nuovo accolto a corte.

Ancora perso nei suoi pensieri di re e vassalli, si trovò prima di buio sulla strada che portava a un villaggio. Quando se ne accorse, il sorriso gli si stampò sul volto velocemente e iniziò a cantare tra sé una ballata che aveva sentito giusto qualche sera prima- qualcosa sulla moglie di un marinaio...


 

**

Bertram

Per raggiungere la città, dall'abbazia, ci voleva circa mezza giornata di cammino, per cui i quattro fratelli si misero in marcia quasi immediatamente, in modo da potersi trovare al sicuro all'interno delle mura al calar del sole. Fratello Bertram non aveva molta confidenza con nessuno dei suoi tre compagni, due perché di nobile estrazione e quindi così diversi da lui, che aveva faticato e lottato per prendere i voti, il terzo perché era arrivato da meno di un anno nel monastero e, per questo, aveva trascorso più tempo negli scriptoria che altrove, impegnato nello studio del latino e dei testi sacri. Matthew era il suo nome, e, nonostante la sua iniziale riservatezza, si rivelò presto un piacevole compagno di viaggio, energico e spontaneo, ancora non del tutto alienato dalla realtà esterna al monastero. Benché avesse una piacevole compagnia, che smorzava la fatica della strada, fratello Bertram sentiva la stanchezza scavargli dentro a partire dai piedi.

Bertram non ricordava di aver camminato così tanto dal giorno in cui, vent'anni prima, aveva percorso la strada dal villaggio in cui era nato all'abbazia, sotto la pioggia battente, mista sulla sua faccia alle lacrime che continuava a versare involontariamente, tremando per il freddo e per la paura.

Non aveva ancora otto anni e aveva appena ucciso un uomo.


 

La porta della città era guardata da soldati, che, con le loro cotte di maglia rilucenti alla luce delle fiaccole che ardevano, avevano il compito di non fare uscire nessuno per evitare la diffusione del morbo. Alla vista dei frati, uno di loro dette agli altri l'ordine di far aprire la porta. Nel tempo in cui una guardia gridava a un altro soldato sulle mura di aprire la grata, uno dei due fratelli più anziani iniziò ad agitarsi. Per tutto il viaggio aveva lodato la loro missione, elevando preghiere a dio perché li assistesse e li aiutasse nella loro missione. Anche l'altro dei nobili frati si muoveva inquieto da un piede all'altro, visibilmente nervoso.

Quando la grata fu sollevata abbastanza per poter passare e i quattro fratelli e il messo che aveva portato la lettera furono effettivamente in città, la reale portata della situazione divenne evidente. C'erano abitazioni ammassate su sé stesse, separate da vicoli strettissimi, affollati da oggetti, animali e persone di ogni tipo. L'odore era insopportabile, sembrava che la strada fosse una latrina per tutti i suoi abitanti e che nessuno si preoccupasse di disfarsi delle carcasse degli animali o degli avanzi della cucina. Il senso di marcio che l'odore instillava si rifletteva nella vista del legno tarlito delle case e nell'intonaco ricoperto di disegni volgari. Un paio di donne in abiti succinti cercarono di attrarre i quattro frati all'interno del loro bordello, ma sia Bertram che gli altri rifiutarono le loro lusinghe con qualche benedizione.

Facendosi spazio a fatica nella promiscuità del vicolo, riuscirono a raggiungere una piazza sulla quale si affacciavano una chiesa e un palazzo con dei merli.

"Che fine ha fatto il mercato?" Chiese fratello Matthew, a bassa voce. Era quasi buio, ma, per quello che ricordava, in quella particolare piazza gli scambi commerciali andavano avanti per tutto il giorno. Bertram sentì un nodo d'ansia salirgli alla gola, temeva la risposta.

"Nessuno ha più soldi per comprare. La peste sta facendo troppi danni e troppi morti." Commentò il messo, fermandosi davanti alla porta della chiesa, con un sospiro rassegnato. Bertram si domandò se lui non avesse paura del contagio, poi si chiese con quale animo un uomo potesse rassegnarsi a vedere tutti gli altri intorno a sé morire uno alla volta, soffocati dalle febbri e dalle pustole. Scacciò via il pensiero, concentrandosi sulla chiesa in cui erano entrati in quel momento. Non aveva nulla a che vedere con la chiesa dell'abbazia, nuova, alta e movimentata nelle decorazioni, era più bassa, più massiccia e più cupa. Le poche finestre che c'erano erano piccole e i pilastri non avevano quella vivacità decorativa che aveva preso piede nel monastero, ma erano solidi al loro posto e davano l'idea di accusare il peso della volta che poggiava su di essi.

Da metà della navata centrale iniziava una distesa di letti e barelle che proseguiva fino all'altare, nelle navate laterali e nei rami del transetto. Quella chiesa era un ospedale.

 

**

Ewan

Il villaggio era una strada con qualche casa ai lati, niente di più, ma per Ewan era un luogo come un altro dove provare a cercare un posto per dormire. Si guardò intorno, alla ricerca di una locanda, ma quella che c'era aveva la porta sprangata da assi e la muffa che cresceva sulle pareti. Sospirò, rassegnandosi all'idea di entrare da una finestra e dormire lì da solo. Poi sentì un cavallo che nitriva e quello gli dette nuova speranza, si avvicinò a una delle case e provò a bussare. Aspettò un po', ma poi credette che nessuno avrebbe aperto e si preparò ad andarsene. Poi la porta scricchiolò alle sue spalle e Ewan si girò di scatto.

“Chi c'è?” Non suonava come una domanda, ma come un ordine. Era lo stesso tono che i principi avevano usato per dire all'esercito di muoversi da una parte all'altra in Francia. Un'ondata di ricordi lo sommerse. All'improvviso gli sembrò di essere di nuovo dall'altra parte della Manica a cercare di imporre i vessilli di Edoardo III su quelli con il giglio francese.

“Ewan.” disse, semplicemente. Poi si rese conto che nessuno avrebbe saputo chi era. “Sono un forestiero. Sto cercando un posto dove dormire. Posso lavorare, sono giovane.” Sputò fuori, tutto d'un fiato. La porta si dischiuse un altro po' e nella cornice apparve un ragazzo poco più grande di lui, con gli occhi chiari e i capelli biondo scuro quasi negli occhi. Ciò che più saltava all'occhio, comunque, era che aveva una balestra puntata contro Ewan.

“E' un ragazzo, pa'. Non ci potrebbe uccidere nemmeno se si impegnasse. È disarmato.” Disse il ragazzo alla porta, senza distogliere lo sguardo da Ewan. Non aveva uno sguardo gentile, eppure Ewan sentì conforto nell'essere guardato con interesse da qualcuno, anche se era il genere di interesse che poteva derivare dal decidere se una persona può essere affidabile o meno. Da quando era tornato in Inghilterra, tutti lo trattavano come la peggiore feccia. Sorrise leggermente, anche se il giovane aveva appena sottovalutato ampiamente le sue capacità: lui sapeva combattere e bene, lo aveva dimostrato egregiamente sul campo di battaglia, e non era neppure disarmato... ma forse il ragazzo non doveva saperlo.

“Haelan, levati.” Un uomo adulto buttò il ragazzo con la balestra sulla strada, con uno spintone. Doveva essere il padre, avevano un viso molto simile. Ewan rabbrividì e buttò fuori una quantità indistinta d'aria che non si era reso conto di trattenere, quando Haelan abbassò la balestra. “Chi sei?” chiese l'uomo.

“Io... sono uno scudiero. Servivo ser Durwyn di Lewes, ma è morto dieci giorni fa e io non so dove andare. Il mio nome è Ewan, ho combattuto per re Edoardo in Francia. Posso fare qualsiasi cosa in cambio di un letto e di un piatto di qualsiasi cosa.” Doveva sembrare patetico, perché il figlio del padrone di casa sorrise beffardo, giocherellando con il manico della balestra. Il padrone, tuttavia, sembrava più interessato all'ultima parte del discorsetto di Ewan che alla sua storia strappalacrime. “Sai zappare? Se sai zappare ti prendo anche per sempre. La peste si è portata via tre braccianti. Basta che non cerchi di farti le mie bambine e poi puoi anche vivere qui.” Ewan sorrise, ringraziando copiosamente l'uomo che gli aveva appena promesso la cena. Anche Haelan ribadì il concetto sulle sue sorelle, e il giovane scudiero fu costretto a sorridere- per quanto belle potessero essere quelle ragazzine, non avrebbero di certo istigato lui a sedurle.


 

**

Bertram

Fratello Matthew sospirò, udendo i colpi di tosse e i lamenti dei malati, osservando il viavai di ecclesiastici incaricati di curare gli appestati e i gruppetti di familiari attorno ai letti dei loro figli, fratelli, mariti o padri. Anche fratello Bertram sospirò, nell'accorgersi che molti di quegli individui erano bambini, mentre, con passi gravi e lenti, percorreva la navata. Quando arrivò all'altare, inginocchiandosi per pregare silenziosamente il Signore di guarire quelle persone, si accorse che solo Matthew lo aveva seguito, pallido ma con una luce di determinazione nello sguardo. Il giovane gli poggiò una mano sulla spalla. “Il nostro Dio è misericordioso, e tu hai sempre percorso la sua strada, fratello, non ti abbandonerà adesso.” Gli disse, con un lieve sorriso che voleva essere incoraggiante. La stanchezza del viaggio, la disperazione scaturita dall'aver assistito a un tale spettacolo di devastazione e miseria, portarono Bertram a rispondere con un cenno del capo, la forza di negare quell'affermazione gli era venuta meno. Forse non era il momento più opportuno per dire a Matthew che non era altro che un peccatore, pentito, era vero, ma pur sempre un uomo che aveva tolto la vita a un altro. Un monaco, abbastanza giovane, alto e dalle spalle larghe, si avvicinò loro, mentre ancora erano inginocchiati sugli scalini del presbiterio, il marmo freddo che sfiorava le loro ginocchia al di sotto del tessuto nero. Li salutò, dando loro il benvenuto, e si offrì di mostrare loro il luogo in cui sarebbero stati ospitati. Matthew rispose solo con un sorriso stanco, abbassando gli occhi, lasciando a Bertram il compito di indicare al giovane monaco gli altri due confratelli che avrebbero approfittato della loro ospitalità. Andarono da loro tutti e tre, e in tre si avviarono verso le celle che avrebbero occupato finché la peste non fosse finita, o finché il morbo non li avesse presi.

I due fratelli più anziani, di nobile estrazione, votati da più di quarant'anni l'uno al servizio e al rispetto di Dio, avevano voltato le spalle a una richiesta d'aiuto. Bertram fece del suo meglio per non urlare contro di loro, Matthew per non piangere; la differenza tra loro non era nella sensibilità del singolo individuo, ma nell'esperienza di ognuno di loro, se il novizio credeva ancora che tutti gli ecclesiastici fossero dotati di voglia di fare, fede vera e propria e desiderio di servire, il fratello più anziano si era già trovato in situazioni simili, con persone simili.


 

Fratello Bertram non dormì quella notte, benché fosse stanco i suoi pensieri erano troppo complessi per permettergli di dormire. Pensava a quelle povere persone nelle navate della chiesa, a Matthew, con i suoi vent'anni, che doveva rischiare la propria vita per salvare quella di qualcun altro, all'abate che aveva mandato quattro frati e ne avrebbe visti tornare due. Poco dopo mezzanotte, si alzò, incapace di stare a letto e si recò in chiesa. Attraversando il chiostro del convento si sentì in pace, forse darsi da fare era la soluzione per non essere più assaltato dall'ansia. Fratello Ralf, il monaco che li aveva accolti quel pomeriggio, era ancora in giro, silenzioso come un'ombra, veloce come un gatto, vagava tra i letti dei malati e cercava di dar loro quanto più conforto potesse.

Bertram ripensò a quando sua mamma faceva lo stesso con lui; quando piangeva e si svegliava urlando nella notte, lei si sedeva sul suo letto, gli scostava la frangia castana dagli occhi verdi e lo baciava sulla fronte. A volte cantava per farlo addormentare di nuovo, altre volte gli raccontava le storie che sentiva raccontare dagli altri abitanti del villaggio. Gli diceva sempre che gli voleva bene, e che sarebbe stato un uomo meraviglioso. Bertram, adesso, non sapeva se era un uomo meraviglioso o meno. Sapeva di essere un uomo, e questo bastava, sapeva che come uomo non sarebbe mai stato perfetto, perché la perfezione è estranea agli uomini, anche se, guardando alcune persone, a volte, sentiva che c'erano casi in cui la perfezione era umana.

Una donna mugolò, chiamandolo vicino a lei. Fratello Bertram si inginocchiò sul pavimento, al fianco della malata.

“Siete nuovo, padre?” domandò, con voce debole, smorzata. Aveva degli occhi straordinari, pensò Bertram, doveva essere stata bella, quando era stata sana. Lui annuì, sforzandosi di sorridere e di scacciare le lacrime. Sapeva di doverle chiedere qualcosa, di doverla aiutare in qualche modo, ma un nodo alla gola lo trattenne dall'esprimersi. Fratello Ralf lo vide e lo chiamò. C'era qualcosa di diverso in fratello Ralf, aveva una luce in lui che lo faceva risaltare tra la folla, una scintilla nella voce che scaldava il cuore degli altri, un calore nel sorriso che faceva scaturire istintiva fiducia in lui.


 

**

Ewan

Ewan aveva mangiato la zuppa di fagioli più buona della sua vita, o così gli sembrava dopo tre giorni che non mangiava, poi era salito per le ripide scale che portavano alla stanza dove avrebbe dormito. Era la stanza di Haelan, scoprì, ma c'erano due letti, per cui uno spettava a lui. Si sedette, a disagio, sul materasso che aveva l'aria di non essere quello del padrone e si tolse gli stivali. Stette a guardare la parete davanti a lui per un po', poi Haelan entrò a sua volta, porgendogli una camicia e un paio di pantaloni. “Credo che ti entrino, sono di mio fratello Ed. Le mie sorelle hanno insistito perché ti dessimo qualcosa di pulito finché non avrai lavato i tuoi vestiti. Domattina ti porto un rasoio, se vuoi.” quello che diceva era gentile, il suo tono lo era un po' meno. Ewan annuì e lo ringraziò, iniziando a slacciare tutto per cambiarsi. Aveva incontrato le famose figlie del contadino, erano tre ragazzine graziose, la più grande poteva essere considerata bella, anche se aveva solo quattordici anni, le altre due erano ancora delle bambine dalle trecce bionde che cantavano e giocavano con le bambole vicine al camino. C'erano sei figli in quella famiglia, tutti quanti biondi e con gli occhi chiari, simili nell'aspetto ma molto dissimili nell'indole. Haelan era il terzo figlio, ultimo maschio, ed era piuttosto scontroso e taciturno, da quanto Ewan aveva visto, sua sorella, la più grande, Sally, pareva una persona molto gentile, invece, ed appariva disposta a dare una mano a chiunque, soprattutto a sua madre, una donna dall'aria stanca ma pacata.


 

“Sei ferito.” Ewan si era tolto la camicia, stava dando le spalle a Haelan, quando quest'ultimo se ne uscì con questa affermazione. Aveva cambiato tono, sembrava preoccupato. Ewan si mise la camicia pulita, a disagio. “Non è nulla, è stata curata.” Disse, borbottando, senza trovare il coraggio di guardare il proprietario della camicia e della stanza, sentendosi anche in colpa perché stava nascondendo qualcosa a qualcuno che gli stava dando così tanto. Sentì delle dita fresche insinuarsi sotto la camicia e tirargliela su. “Alza le braccia, Ewan, lo dico io se non è nulla.” Era davvero preoccupato, pensò Ewan, alzando obbedientemente le braccia.

“E' sempre abbastanza infetta, ti tornerà la febbre tra pochi giorni. Devi lavarla, e farci impacchi con le foglie... dove pensavi di andare in queste condizioni?” Ewan aggrottò la fronte, non era disposto a sentirsi rimproverare da un ragazzo di poco più grande di lui che non aveva mai rischiato più che una cornata da una mucca.

Lottò con se stesso per non rispondergli a tono, ma fallì. “Non parlarmi in questo modo. Non dopo che sono stato tre anni in Francia, non dopo che ho rischiato la mia vita ogni giorno per quasi quattro anni. Non ho una casa a cui tornare, non ho nessuno che mi aspetta, non puoi capire quanto questo possa essere frustrante-” Si fermò, chiudendo gli occhi. “Perdonami, non avrei dovuto...”

Haelan si sedette accanto a lui, guardandolo con curiosità, senza dire nulla. Si tolse i capelli dagli occhi, mordendosi un labbro. Ewan si chiese per un momento cosa sarebbe successo: avrebbe usato un tono acido contro di lui, e avrebbero continuato a battibeccare per tutto il tempo che lui fosse rimasto lì? Oppure avrebbe accettato le sue scuse e non ne avrebbero più parlato? In realtà, c'era una terza opzione che il giovane non aveva contemplato. Il biondo prese un respiro profondo. “Lascia solo che ti medichi la ferita, ti prego, Ewan. Mi dispiace che tu sia ferito, è tutto qui. Naturalmente non posso avere idea di cosa sia la guerra, di cosa possa voler dire vivere ogni giorno come l'ultimo. Mio padre ha combattuto in Francia, ma solo per poco, perché è stato ferito e lo hanno rimandato. Io... a volte penso che chiunque abbia bisogno del mio aiuto. Sembri più giovane di me, ma forse sei cresciuto più in fretta.” Ewan lo guardò negli occhi, erano azzurri come il cielo d'autunno, insoliti sulla pelle bruciata dal sole estivo. Aveva un bel viso, oggettivamente, simmetrico, con linee morbide ma decise. I capelli lunghi sulla fronte proiettavano ombre ballerine, alla luce della candela. Ewan si scostò i lunghi capelli dal collo, distogliendo lo sguardo, era troppo tempo che non se li tagliava, ma non sapeva se voleva farlo. Come leggendogli nel pensiero, Haelan gli domandò se volesse delle forbici per tagliarli. Quando il nuovo arrivato non rispose, il padrone di casa uscì dalla stanza, lasciandolo al buio, per tornare poco dopo con una ciotola piena di poltiglia verdastra. “Mia madre è la levatrice del villaggio, e poi poco tempo fa è passata da queste parti una guaritrice persiana. Ha insegnato di tutto a me, mia madre e Sally.” Spiegò, spalmando la sostanza sulla spalla ferita di Ewan. Era fredda e appiccicosa, viscida al contatto con la pelle, ma il tocco di Haelan era quasi magico, così delicato e forte allo stesso tempo, le sue dita facevano giri concentrici sulla parte infetta, con una pressione sempre maggiore. Ewan si irrigidì, non era abituato a questo tipo di contatto. “Shh, rilassati,” gli sussurrò Haelan da dietro, con un tono quasi giocoso che stonava con l'immagine che aveva dato di sé. “Sei teso come una corda.”


 

Avrebbe voluto rilassarsi, lo avrebbe desiderato davvero, ma con la consapevolezza di essere senza camicia nelle mani di quel ragazzo così ammaliante era davvero difficile. Quando Haelan mise anche l'altra mano sulle sue spalle per cercare di sciogliere i suoi muscoli, Ewan fu sul punto di alzarsi e spingerlo via. Non voleva reagire in nessun modo, voleva solo trovare un lavoro e poter avere dei soldi per quando si fosse rimesso in viaggio. Sospirò, cercando di non agire d'impulso, mentre mille ricordi spiacevoli tornavano a galla, aveva percorso miglia e miglia da quel giorno, pensava che potesse dimenticarlo, ma evidentemente si sbagliava. Haelan aveva quasi sciolto la contrattura, quando Ewan prese le sue mani con determinazione e le posò sul materasso, alzandosi di scatto. Deglutì, mentre anche il ragazzo si alzava, con un'espressione confusa. “Grazie...” borbottò, senza guardarlo e lo sentì quasi ridere mentre si sdraiava sul proprio letto e si copriva, soffiando sulla candela e augurandogli una buona notte. Ewan si stese e si addormentò subito dopo, nonostante non ci sperasse minimamente.

**

Bertram

“Il vostro giovane fratello, non ricordo il suo nome, è riuscito a accettare quello che ha visto quest'oggi?” chiese il giovane Ralf dopo qualche ora che stavano portando acqua e medicazioni ad alcuni degli ammalati, fratello Bertram aggrottò la fronte. Come poteva saperlo? Non aveva più visto fratello Matthew da quando Ralf li aveva accompagnati alle loro stanze, non poteva averne idea. Espresse le proprie perplessità, Ralf sorrise, benevolo.

“E' molto giovane, il vostro fratello Matthew, dovete sentire un senso di responsabilità nei suoi confronti, voi avete l'aria di essere quasi nato con il saio addosso.” Continuò, sempre tranquillo, mentre si spostavano nel chiostro. L'alba si profilava all'orizzonte, lasciando raggi rossastri farsi strada nel buio. Bertram si sedette tra due colonne, prendendosi la testa tra le mani. Nato con il saio, forse non avrei fatto ciò che ho fatto, in tal caso. Si disse. Era da quando aveva lasciato l'abbazia che le immagini di quella sera, di quella notte in cui era scappato di casa, in cui un pugnale insanguinato era caduto dalla sua mano sul pavimento di pietra di casa sua, continuavano a perseguitarlo. Forse era stato un errore uscire dal guscio di pace che si era creato. Sospirò. Lo aveva fatto per difendersi, si disse. Ralf continuava a guardarlo, probabilmente in attesa di una risposta. Poi vide Matthew che usciva da una cappella, dove doveva essersi recato a pregare, e lasciò Bertram ai suoi pensieri.


 

Il tempo passava velocemente, tra preghiere, assistenza e sonno, le giornate nel lazzaretto erano ben diverse dal ritmo costante e pacato dell'abbazia. C'erano momenti in cui a Bertram sembrava di non aver fatto altro per tutta la vita, se non correre da una parte all'altra, portando garze e bende ai cerusici e ai farmacisti; in altri momenti, invece, si sentiva stanco come non mai, soprattutto quando gli occhi di qualcuno si chiudevano per sempre davanti ai suoi, ancora vigili e pieni di sentimento e vitalità. Poi c'erano gli eventi particolari, quelli che, come un miracolo, facevano sospendere il naturale ordine delle cose per introdurre un cambiamento. Uno di questi, era stato l'arrivo di una malata accompagnata da una borsa di monete e da una lettera che chiedeva aiuto per lei. Molti si erano chiesti chi avesse richiesto un tale servizio per lei, poiché solitamente chi avesse una tale quantità di denaro si faceva curare in casa.

Quando Bertram la vide, per la prima volta da quando era stata accolta, non pensò che fosse bella, come avrebbero fatto tutti, pensò che era triste, ma la sua tristezza era diversa da quella quieta e rassegnata disperazione degli altri appestati, era una tristezza ben radicata nel suo animo, probabilmente irremovibile. Bertram le porse la ciotola di zuppa che le spettava e lei gli sorrise, stanca per qualcosa che non era la febbre.

“Sembrate stanca,” le disse il frate, dandosi un'occhiata intorno per accertarsi che nessuno avesse bisogno di lui. Tutti stavano mangiando e altri fratelli si stavano preoccupando di loro. “Forse vi farebbe meglio dormire un po'.”

La malata, giovane e ancora forte, nonostante la malattia, lo guardò con aria di compassione. “Lo faccio già tutto il giorno.” Ribatté, distogliendo lo sguardo. Fratello Bertram conosceva bene le persone, aveva accolto ogni genere di individuo nella sua foresteria, e conosceva persone come lei, orgogliose, dure, testarde, ma con un punto di rottura che prima o poi sarebbe emerso. “Padre, voglio andare a fare una passeggiata. Portatemi nel vostro orto.” Disse la malata, dopo aver finito la zuppa. Fratello Bertram le disse di coprirsi e la portò fuori, non faceva ancora molto freddo e lei non era ancora così malata.


 

**

Ewan

La mattina seguente, il fratello maggiore di Haelan, Edmund, lo portò a visitare il villaggio e i campi in cui avrebbe dovuto lavorare. Il villaggio era quieto, con poche case che davano su un'unica strada e alcune più indietro. Uno slargo centrale svolgeva la funzione di piazza, con la forca per le impiccagioni presente lì in mezzo. Ewan sentì scorrere un brivido lungo la schiena, mentre distoglieva lo sguardo.

Gli uomini conoscevano tutti quanti Edmund e lo salutavano tutti, qualcuno anche fermandosi a presentarsi a Ewan con strette di mano vigorose. “Ah, la Francia. Brutta storia la guerra.” Dicevano. “Ti è andata bene, sei giovane e sei ancora vivo.” Stabilivano. “Qui non è come laggiù, la birra non è gratis e devi sudare, ma almeno sai che arriverai al giorno dopo.”

Questi pensieri non alleviavano il senso di colpa che lo tormentava da quando era tornato, quel macigno che gli pesava sullo sterno quando si sdraiava. Haelan si era accorto già che qualcosa non andava, lo aveva svegliato in mezzo alla notte con uno scossone. Stava avendo un incubo, aveva detto, parlava a voce alta e non smetteva di contorcersi. Haelan gli era apparso strano in quella luce, con i capelli che gli sfioravano la fronte sudata e le mani forti sul suo petto, le iridi ferme nelle sue, anche al buio. Aveva scosso la testa. “Non è nulla.” Aveva detto, ma non era vero. Era qualcosa, e qualcosa di grosso, c'erano cose che non aveva detto su di sé e che non avrebbe mai detto. Solo che era stato difficile non sputare tutto con quel ragazzo a cercare di calmarlo.


 

I giorni passarono con calma e regolarità, la sequenza degli eventi sempre uguale a se stessa, nella tranquilla ripetitività della campagna: al mattino il gallo cantava e Haelan gli tirava un maglione sul letto per svegliarlo, sorridendogli assonnato, poi mangiavano qualcosa per colazione e andavano nei campi, mai al mercato, dove andavano Sally e Edmund, pranzavano nel prato, se non pioveva, e tornavano a lavorare, finché non faceva buio. A Ewan piaceva questa routine, gli dava certezze, sicurezze. Sapeva che, se fosse rimasto fino alla primavera, avrebbe amato quella famiglia che gli dava da mangiare ogni giorno in cambio del suo sudore, che avrebbe imparato a giocare con Catherine e Joan come se fossero le sue sorelle, che avrebbe condiviso battute che nessun altro capiva con Edmund e James come i veri amici fanno. Erano Haelan e Sally a metterlo in difficoltà- Sally perché sembrava convinta che tutti gli uomini del mondo dovessero essere attratti da lei e si comportava come se questo fosse vero, evitando ogni sguardo con un sorriso malizioso e ridendo a ogni saluto che le veniva rivolto, Haelan perché, per quanto gentile e premuroso fosse nei suoi confronti quando erano nella stanza in cui dormivano, era scontroso e insopportabile per il resto del giorno, con la sua aria di sufficienza e la sua presunzione di sapere meglio cosa fare perché aveva qualche anno in più di lui. Ewan sperava solo che con il tempo avrebbe imparato a evitare di pensare le risposte secche che ogni tanto evitava di dire per un soffio, invece che mordersi la lingua ogni volta.


 

Erano passati quasi due mesi di assoluta monotonia, Ewan stava iniziando a rimpiangere l'avventura che era stata concentrata nelle sue giornate nei momenti in cui aveva vagato dal sud dell'Inghilterra verso il nord, dove si stava dirigendo, prima di fermarsi. Sally gli aveva chiesto di accompagnarla al mercato nella città vicina perché doveva comprare delle sementi e le serviva qualcuno che le portasse via, ma Haelan da solo non poteva farcela e gli altri due erano occupati con gli animali. Ewan aveva pensato che la preoccupazione del padre per le sue figlie fosse eccesdsiva, ma Sally era molto più bella di quanto fosse sembrata la prima volta, nella tremula luce delle candele, e gli sguardi che gli uomini del villaggio le lanciavano non potevano certo essere definiti casti. Haelan serrava la mascella ogni volta che qualcuno lasciava indugiare gli occhi sui fianchi della ragazza, fancendo pensare che prima o dopo avrebbe preso a pugni qualcuno. Anche Ewan aveva una sorella più piccola, ma aveva dovuto lasciarla e chissà che fine aveva fatto la ragazzina con i ricci che si ricordava. “Perché gli uomini non riescono a tenere le brache allacciate?” ringhiò Haelan, distogliendolo dai suoi pensieri e tirando un calcio a un sasso che si trovava sul selciato della piazza cittadina. Ewan sorrise con tristezza, non comprendeva bene perché Haelan si traesse fuori dalla categoria degli uomini, non credeva che non avesse mai provato desiderio per qualcuno, aveva vent'anni e non era possibile che fosse ancora vergine. Certo, da questo all'essere un uomo di cinquant'anni che sbava per una bambina c'era molta differenza...

“Hae!” lo chiamò Sally, da un banco che vendeva stoffe. Haelan si avvicinò con riluttanza, seguito di malavoglia da Ewan. “Non credi che potrei chiedere a mamma di farmi un abito nuovo con questa?” Gli indicò una lana purpurea, con dei riflessi violacei. Era bella, ma Ewan si domandò quanto potesse costare una cosa del genere e quanto una madre fosse disposta a spendere per la propria primogenita. Haelan prese la stoffa in mano: “Può darsi, ma guarda se trovi qualcosa di meno prezioso. Ewan, vieni, prendiamo i sacchi, o faremo tardi.” In effetti, era già pomeriggio, e dovevano tornare al villaggio, per cui Ewan seguì tranquillamente Haelan al banco dove avevano lasciato i semi che servivano loro. Presero un sacco per uno e si accinsero a pagare il prezzo al venditore, quando sentirono un urlo provenire dal punto in cui si trovavano prima. Sally. Ewan non si rese conto di star correndo fino al momento in cui, fermatosi di fronte alla ragazzina, tirò via con uno strattone il giovane uomo che stava cercando in ogni modo di baciarla. L'uomo tentò di tirargli un pugno, ma Ewan fu più veloce e un fiotto di sangue iniziò a uscire dal naso dell'uomo. “Cane di un demonio.” Borbottò l'uomo pulendosi il sangue con il dorso della mano. Sally stava ansimando poco più indietro, terrea nel volto e tremante. Aveva le lacrime agli occhi e non sembrava in grado di reggersi in piedi ancora a lungo.

“SALLY!” Haelan la prese per un braccio, allontanandosi e abbracciandola affettuosamente. Non appena Ewan fu sicuro che l'uomo che aveva assalito Sally se ne era andato, li raggiunse, prendendo anche il sacco di semi che aveva lasciato cadere e che, per fortuna, non si era aperto. Le persone lo stavano guardando con aria meravigliata, come se non avessero mai visto accadere nulla del genere. Se ne andò con passo deciso, senza guardare indietro verso gli occhi che lo stavano fissando, superando le mura della città e fermandosi immediatamente dopo. Quando una mano si posò sulla sua spalla, quella sana, si girò di scatto, pronto a tirare un altro cazzotto se fosse stato necessario, ma era solo Haelan, che lo studiava con un'espressione di curiosità e perplessità. Con la fronte corrugata, il biondo lo spronò ad andare, facendo scorrere le dita sulla sua schiena nell'allontanare la mano. Ewan trattenne il respiro per un istante e riprese a camminare.


 

**

Bertram

Fratello Matthew li intercettò nel loro percorso, con uno strano sorriso distratto che sembrava avere da qualche giorno a quella parte. Li salutò, continuando per la sua strada. La malata lo guardò con la coda dell'occhio. “Strano frate, quello, padre, lasciatemelo dire. È giovane, ed è bello, perché mai dovrebbe scegliere di chiudersi in un convento? Come voi, del resto. Perché lo avete scelto, voi e il vostro amico? Cosa può convincere un uomo a rinunciare a tutte le bellezze della vita? Niente amore, padre, niente ricchezza, niente capricci...” Fratello Bertram rise, era una domanda che molte persone gli avevano posto, da quando era arrivato, ma una che non si era mai posto da solo. Aveva paura della risposta, lo sapeva, la temeva poiché la conosceva: un omicidio. Sospirò, pensando a Matthew e al fatto che chiunque sembrasse incapace di spostare lo sguardo da lui, non era stato così all'abbazia. Matthew era un novizio, e per questo in pochi gli rivolgevano attenzione, ma qui, in città, era diverso: lui era un medico, un confessore, tutto quello di cui le persone avevano bisogno, ed era diverso dai vecchi frati burberi e aggrinziti, una confessione con fratello Matthew voleva dire vedere il dolore del penitente rispecchiarsi sulla faccia del monaco, il peso del peccato spostarsi sulle sue spalle solide e muscolose, il sollievo della redenzione riflettersi sul suo viso. Perché lui avesse scelto quella vita, non lo sapeva. “Ci sono scelte che sono più grandi di noi, e Dio chiama a sé le persone più disparate.” Le rispose, notando che la giovane era ancora in attesa di una risposta.

“Potete confessarmi, padre?” chiese allora lei, sedendosi su una panca di pietra addossata al muro, sotto i portici del chiostro. Bertram sospirò: la confessione sembrava la cosa più importante per tutte quelle persone, come poteva negargliela? Tuttavia sentiva che la grandezza di tutti i peccati commessi da quelle persone stava iniziando a diventare troppa per lui, se sommata ai propri sensi di colpa. Dette inizio alla procedura, recitando le frasi in latino. “Per che cosa chiedi perdono al tuo Dio?” domandò, dopo aver concluso. La ragazza aveva già gli occhi pieni di lacrime. “Dio deve perdonarmi,” disse, a bassa voce, con un tono disperato. “Deve perdonarmi perché io l'ho offeso- l'ho offeso perché sto male. E la peste è la mia punizione per averlo offeso.” Bertram aggrottò la fronte. Era una storia a cui non era disposto a credere: punire con il male non è degno di un essere tanto perfetto. “Io ho...peccato, padre. Ho ceduto alle tentazioni del mio corpo e a quelle del piacere. Ho... il figlio del conte, non è colpa sua. Lui mi ha solo rivolto la parola...” Bertram la interruppe, supplicandola di calmarsi. Le assicurò che l'amore non è mai sbagliato, che tutto quello che aveva fatto, se accompagnato dal pentimento per aver offeso il Signore, poteva trovare misericordia. La ragazza alzò il mento, altezzosa, era palese che non se ne pentisse, Bertram lo capiva, ma nonostante questo la assolse. Quella giovane donna non si meritava di morire, non così giovane, non così piena di speranze, e qualunque cosa avesse fatto, anche la più orrenda, meritava una seconda possibilità.


 

Bertram concluse la confessione della malata e la riaccompagnò all'interno della chiesa. Quando entrarono c'era una grande confusione. Cinque o sei monaci erano al centro della navata centrale e stavano parlando ad alta voce, cercando di coprire il suono della voce di qualcun altro. Fratello Bertram si avvicinò con circospezione a loro, cercando di capire di cosa si trattasse. Matthew non era tra loro, ma stava osservando con curiosità dall'altra parte del corridoio tra i letti, Ralf al suo fianco.


 

Quando Bertram raggiunse gli altri confratelli, notò che in mezzo a loro c'era una donna, visibilmente sana e determinata, che non riusciva a spiegarsi con gli altri monaci poiché continuavano a parlarle sopra. Quando vide che fratello Bertram li aveva raggiunti, buttò gli occhi al cielo. “Oh no. Non un altro, adesso continuerete a dire che opero contro il volere di Dio e tutto quello che già-” iniziò a protestare lei, con un tono squillante e irritato. Aveva dei capelli molto scuri, pensò Bertram, e belli.

“Vorreste essere tanto gentili da spiegarmi quello che sta succedendo?” chiese, dunque il frate, desiderando capire perché la donna dovesse operare contro il volere di Dio. Si creò un improvviso silenzio, tutti lo guardavano, mentre lui sorrideva benevolo. Aveva sempre calmato le liti tra i suoi fratelli, anche all'abbazia in campagna, gli veniva naturale.

 

**

Ewan

“Grazie. Non dovevi farlo, eppure hai aiutato mia sorella. Non ti sarò mai abbastanza grato, né potrò mai sdebitarmi del tutto.” Gli disse, più tardi, una volta che furono arrivati a casa e Sally fu affidata alle cura e alle ramanzine della madre. Ewan si strinse nelle spalle, sentendo i capelli fargli il solletico tra il colletto della camicia e la pelle. “Non devi sdebitarti per qualcosa che doveva essere fatto.” Replicò, cercando di non dare l'impressione di essere il cavaliere senza macchia e senza paura delle ballate- una parola di troppo e la sua situazione sarebbe cambiata troppo per i suoi gusti, mettendolo in difficoltà.

“Sai...” mormorò Haelan, sedendosi accanto a lui sul prato dietro la casa, dove si erano messi ad aspettare che la cena fosse pronta. “Se tu fossi stato un cavaliere famoso, le canzoni su quello che hai fatto oggi sarebbero spuntate come i funghi all'alba del giorno dopo la pioggia.” Ewan si sforzò di ridere, se fosse stato un cavaliere famoso si avvicinava troppo a se fosse stato un cavaliere e questo si avvicinava troppo a quello che era un segreto. “Ti ci vedo come cavaliere. Ad estrarre la spada in presenza di una fanciulla in pericolo o a cavalcare nelle tenebre al servizio del tuo re...” Haelan stava scherzando, si disse Ewan, guardandolo, ma il suo tono era serio, mortalmente serio, e i suoi occhi scrutavano nel profondo di quelli di Ewan. Dove voleva arrivare? Il più giovane distolse lo sguardo, prima di sentire che il biondo si era avvicinato ancora a lui. “Ewan, guardami.”


 

Guardarlo e ammettere tutto quello che stava cercando di nascondere, tutte le miriadi di segreti che stava accumulando l'uno sull'altro da quando era tornato dalla Francia, oppure continuare a non guardarlo e a nascondere tutto? Che cosa doveva fare? Ewan avrebbe voluto urlare. C'erano due segreti che non poteva rivelare, e trattenerli diventava difficile quando Haelan lo guardava con i suoi occhi celesti. Ma se non lo avesse guardato, avrebbe perso un'occasione irripetibile... alzò lo sguardo. Haelan gli sorrise debolmente, confuso, poggiandogli titubante una mano sulla coscia. Ewan aggrottò la fronte ma non si mosse, sentendo il cuore accelerare. Haelan prese un respiro piuttosto profondo e si morse un labbro. “Io... so che oggi hai fatto tantissimo per noi, per Sally, per me. Non dovrei chiederti altro, dovrei essere io a fare qualcosa per te, anzi...” Si fermò, distogliendo lo sguardo. Ewan sorrise leggermente, notando che Haelan stava lottando con se stesso per non piangere. “Se tu non fossi arrivato in tempo... se lei... io... Ewan, tu non sai che cosa mi avrebbe fatto mio padre.” Ewan si sentì orribile quasi quanto si sarebbe sentito se la colpa dello stato di Haelan fosse stata sua, ma il ragazzo stava piangendo e lui non sapeva cosa fare. La volta che si era messo a piangere in Francia, perché di tutta la compagnia con cui era partito era rimasto solo lui, la consolazione era stata insolita, ma non inefficace. Si chiese, con un sospiro, se la stessa tattica avrebbe funzionato in quel contesto, con la certezza di rivedere Haelan ogni giorno e di dover dormire nella sua stanza. Forse no. Gli prese la mano e gliela strinse, unico gesto di conforto che gli riuscì produrre. Haelan sorrise quasi controvoglia e chiuse gli occhi. “Ti capita mai di pensare a un posto che non riesci a ricordare di preciso, ma hai chiaro in mente? Come se fosse il tuo posto magico che però non hai ancora trovato...” Ewan scoppiò a ridere, di gusto, come non faceva da tanto, mentre Haelan lo guardava, senza capire, con un'espressione confusa e divertita. Il biondo gli tirò un ceffone sulla gamba, per farlo smettere.

“Sì, a volte sì. È un giardino con degli alberi e dei fiori. E non sono solo, ma non vedo chi è accanto a me, perché stiamo guardando avanti.” Ammise, con tono leggero, cercando di non pensare all'ultima persona a cui aveva detto questo, alternando vocaboli inglesi e francesi, nel freddo dell'accampamento, tra le lacrime per le perdite subite e le mani vogliose di qualcun altro. Haelan sollevò un sopracciglio, poi si stese sull'erba, appoggiando la testa sulle gambe di Ewan, che si sentì autorizzato a passargli una mano tra i capelli. “Ad esempio,” disse il biondo. “Io in questo modo non vedo che ci sei, ma so che ci sei. Ho capito. Il mio è un posto più vago- ci sono colline e un villaggio lontano e io sono a cavallo e non so dove andrò.” Il giovane reduce lo guardò con curiosità, giocando con le ciocche bionde e sottili. Voleva fare una battuta sul suo desiderio di viaggiare, ma non gli veniva in mente nulla che non compromettesse la sua posizione.

“Non dire nulla.” Disse, all'improvviso, Haelan, alzandosi e mettendo un dito sulle labbra di Ewan. Gli indicò una lepre che stava saltellando qualche passo davanti a loro, veloce e aggraziata, poi ridacchiò e l'animale scappò. Ewan sorrise divertito, quando Haelan lo baciò rapidamente, scansandosi subito dopo.

Ewan gli prese la mano, d'impulso, trattenendolo, un'espressione di dubbio nello sguardo. Lo trasse più vicino e studiò i suoi occhi con curiosità, non c'era traccia di rabbia o disperazione: perché lo aveva fatto? Haelan fece per aprire bocca, per cercare di spiegare, probabilmente. Facevano tutti così. “Scusa, credevo che... per piacere non dirlo in-” non finì la frase, perché Ewan lo tirò a sé con forza e lo abbracciò stretto, appoggiando la testa sulla spalla dell'altro, sentendone il respiro affannoso, il battito accelerato, il corpo muscoloso scosso da un lieve tremito. Lo allontanò quanto bastava per poterlo baciare decentemente, e sentì che Haelan stava piangendo di nuovo, mentre rispondeva vogliosamente a quell'imprevisto bacio. “Non devi farlo se non vuoi.” Gli sussurrò, asciugandogli una lacrima con il pollice. Haelan sgranò gli occhi colore del cielo e scosse la testa con forza, mettendo la mano su quella di Ewan, per non fargliela spostare. Lentamente, prese a respirare più piano e regolarmente e si appoggiò di nuovo al più giovane, chiudendo gli occhi e passandogli una mano lungo la schiena.

Ewan respirò con cautela, come se temesse di spaventare Halean, come se avesse paura che se ne andasse. Non si sentiva così confuso da tempo e, considerando che spesso era confuso, questo rappresentava un grosso problema. Si disse che sarebbe andato tutto bene, questa volta, che non lo avrebbero fatto sentire tanto in colpa da doversene andare come aveva fatto prima di partire per la Francia, provò a convincersi che, quando la mattina dopo si fosse svegliato, il calore del corpo di Haelan non sarebbe stato un ricordo, come era successo in passato, tentò di persuadersi del fatto che per un po' non sarebbe stato solo. Ma era questo il problema: era sempre stato solo, si sentiva al sicuro nella sua solitudine, come poteva riuscire a cambiare adesso, dopo essere sopravvissuto a un'imboscata da solo e aver attraversato da solo quasi tutta l'Inghilterra?

Passò una mano tra i capelli di Haelan, gli piacevano nella loro morbidezza e lucentezza. Erano diversi dai suoi, più sottili e più eterei, diversi anche nel colore, nella forma e in tutto quello in cui un capello può differire da un altro. Haelan sospirò, spingendolo via con delicatezza. “Dobbiamo andare dentro.” Disse, a bassa voce, passandosi una mano sugli occhi, ancora leggermente arrossati, sorridendo minimamente. Dovette notare la piega nella fronte di Ewan, perché aggiunse precipitosamente. “Ne parliamo più tardi, va bene?” Il reduce annuì senza sorridere e, sospirando, lo seguì all'interno. Non guardarlo sarebbe stato difficile, cercare di non fissare lo sguardo sulle sue labbra piene e- adesso lo sapeva- morbide, dopo questo era... beh, era impossibile.


 

**

Bertram

Prima che uno qualsiasi dei frati potesse aprire bocca, la donna aveva iniziato a parlare di nuovo. “Sono arrivata dalla campagna per essere utile, ho camminato per leghe e leghe, pur di mettere le mie conoscenze al vostro servizio.”

“E' una strega!” La interruppe un monaco, ma lei lo fulminò con lo sguardo ed egli tacque immediatamente.

“Le mie conoscenze, stavo dicendo, riguardano l'uso delle erbe come strumento di cura.” Si fermò, con un sopracciglio sollevato, aspettando che qualcuno dicesse qualcosa. Bertram la osservò per un momento. Era vestita come una contadina, ma qualcosa nel suo sguardo e nel suo modo di parlare avrebbe potuto far pensare che fosse ben di più di una contadina. Aveva occhi scuri e profondi, la sua pelle era chiara e pulita, sebbene dicesse di venire da lontano non aveva sporco addosso che attestasse il suo lungo viaggio. I ricci scuri erano tenuti indietro da una fascia di stoffa colorata, che copriva in parte anche la fronte, ma lasciava alla vista le sopracciglia scure e spesse. Non sembrava inglese, pensò Bertram, ma non sembrava neppure straniera, per come parlava. Stava respirando pesantemente, evidentemente furiosa, con una dura piega tra le sopracciglia.

“E' una strega. Vedete quanto è scura e strana!” Ribatté un frate, deciso. “Nessuna donna per bene può conoscere le erbe.”

Bertram sospirò. Si ricordava bene le pellegrine che passavano dalla sua foresteria, alcune di loro conoscevano un sacco di cose su qualsiasi argomento. Non era da escludere che lei potesse sapere come curare le persone con le erbe. E, se questo fosse stato vero, avrebbero avuto un grande bisogno di lei, in quella situazione. Bertram si sforzò di essere oggettivo, al di là del fascino esotico di quella donna dalla gonna dalle molte pieghe colorate, a chi doveva dare ascolto?

“Tu, donna, dici di conoscere le erbe. Dov'è il frate farmacista?” un monaco sulla trentina si fece avanti, aggrottando la fronte. “Mettetela alla prova, fratello, testate le sue conoscenze. Se dimostrerà di conoscere le erbe la prenderemo ad aiutarci. Non importa cosa abbia fatto fino ad ora, se anche ha servito il demonio, adesso vuole servire Dio.”

La donna sorrise, annuendo, poi lanciò un'occhiata di sfida agli altri.

“La betulla bianca per cosa la useresti?” chiese, di mala voglia, il frate farmacista, senza posare gli occhi sulla bella straniera.

“Reumatismi, per prima cosa, gotta, e per avere una pelle migliore.” Rispose lei, prontamente, con un tono molto neutro. Si passò due dita sotto la tracolla della bisaccia e sorrise di nuovo. Il frate farmacista la guardò per la prima volta, sorridendo a sua volta.

“Lo scolopendrio?” chiese di nuovo; stavolta lei aggrottò la fronte.

“Ferma le emorragie... no, non è vero. I problemi di viscere. Protegge dalla dissenteria.” Rispose, inizialmente confusa. Il frate la guardò, con tranquillità. “Basta così. Sa quanto basta. Tenetela se volete, quando vuoi, donna, la farmacia è a tua disposizione.”

La straniera rise piano, lanciando un'occhiata velenosa a tutti gli altri e seguendo Bertram nel monastero. Ralf li affiancò per farsi raccontare cosa fosse successo.


 

Bertram tornò ad incontrare la donna straniera poco dopo. Si era cambiata d'abito e adesso, con un vestito bianco, la sua pelle non sembrava poi tanto chiara come era sembrata dentro la chiesa.

“Da dove vieni?” le chiese il frate, affiancandola per andare in farmacia. Lei lo guardò con curiosità.

“Persia.” rispose con un sorriso. “Non ci ho vissuto molto, però. Ho viaggiato per tutta l'Europa con mio padre, poi siamo arrivati qui e il vostro re non ci ha più fatti partire.” Spiegò, distogliendo lo sguardo. “Parlo molte lingue, ma il mio nome resta persiano, come me.”

Fratello Bertram sorrise, aveva sentito parlare della Persia, aveva letto le imprese gloriose della Persia ai tempi degli antichi, ma mai aveva visto qualcuno che provenisse da là. “Il mio nome è Bertram, qual è il tuo?”

“Jan. Vuol dire vita. Per questo ho studiato come restituirla a chi sembra averla persa. Nel nome di un uomo vi è il suo destino. Che vuol dire il tuo?” Era curiosa, era una donna assetata di conoscenza. Chissà se, essendo persiana, credeva nell'unico Dio.

“Vuol dire il corvo più brillante.” Replicò lui, guardandosi i piedi. Sua mamma aveva scoperto cosa volesse dire quel nome poco prima che lui fuggisse di casa. Dopo tutto quello che era successo...

“E infatti vesti di nero, tra uomini che vestono di nero, ma sei il più lucente tra loro.” Disse lei, guardandolo negli occhi. “E la luce che hai viene da qui.” Gli toccò la fronte. “Non hai una mente chiusa come gli altri corvi.”

Poi accelerò e lo lasciò indietro.

 

**

Ewan

Non avrebbe dovuto preoccuparsi, però, perché Edmund aveva intenzione di portare il fratello al pub quella sera, e niente lo distolse da quel proposito, così Ewan rimase solo con il resto della famiglia del suo... amante? Occasionale compagno di baci? Amico? Sospirò ancora. Forse doveva andarsene il prima possibile da quel villaggio, ma era inverno inoltrato e la prospettiva di non avere un posto dove essere sicuro di trovare un fuoco acceso e un piatto di zuppa non era così allettante.

Quando Haelan tornò era notte inoltrata, Ewan dormiva già da un po', ma riuscì comunque a sentire il rumore degli stivali dell'altro sul legno. Il biondo si chiuse la porta alle spalle e si sedette sul letto, sospirando. “Haelan?” sussurrò Ewan, mezzo addormentato, aprendo gli occhi a fatica, cercando di decifrare la figura del compagno di stanza nel buio.

“Ewan, torna a dormire. Parliamo domattina, se è quello che ti preoccupa.” Ewan si tirò su un gomito, stringendo gli occhi per cercare ancora una volta di concentrarsi sul profilo di Haelan.

“Vieni qui,” disse piano, la voce piena di stanchezza e di speranza, “ti prego.” Sentì un peso accanto a sé e una mano sulla spalla, poi tra i capelli, e seppe che Haelan stava sorridendo.

“Ewan, ti giuro che se provi a fare discorsi complicati ti butto fuori da questa casa a calci nel culo. Ho bevuto troppo e non vorrei... 'fanculo tutto. Non fare caso a cosa dico, vai più in là e non muoverti troppo.” Disse il biondo, spingendo il ragazzo un po' più verso la parete e mettendosi un braccio attorno alla vita, prima di addormentarsi. Anche Ewan tornò volentieri a dormire.


 

**

Bertram

Da quando era arrivato in città, Bertram aveva ritrovato il sollievo e la tranquillità, che la sua vita in campagna sembrava avergli garantito fino ad allora, nel lavorare la notte. Il convento, la notte, si trasformava: da luogo affollato da persone inquiete e bisognose di attenzioni, diveniva un tempio di sussurri e fruscii. Niente riusciva a turbare la pace che la notte portava in quel posto, neppure i sommessi colpi di tosse di alcuni malati, o la violenza della pioggia contro il tetto, alle volte. Così, Bertram si sforzava di restare sveglio per assistere i malati di notte, a volte Jan, sbadigliando, si sedeva sugli scalini dell'altare a intrecciarsi i capelli e a tenergli compagnia, altre volte era Matthew, o Ralf, a sedere con lui.

Una notte, mentre Jan stava ricamando un pezzo di stoffa che, a detta sua, sarebbe dovuto diventare la parte frontale di un vestito, e Ralf stava sfogliando una copia della Bibbia in latino, la porta laterale della chiesa si aprì scricchiolando. La donna guardò il frate con un'espressione perplessa, ma non disse nulla, e smise di ricamare, incastrando l'ago nel tessuto, mentre il monaco aggrottò la fronte, preoccupato, terrorizzato dall'idea che qualcuno si fosse introdotto lì per fare del male a qualcun altro. Ma forse, si disse, era solo qualcuno che voleva pregare, o che aveva bisogno d'aiuto. Fece per alzarsi, ma Jan lo trattenne per il saio, sgranando gli occhi con un gesto di impazienza. “Stupido corvo,” gli sibilò, minacciosa. “Sta' zitto, e fermo!”


 

Tra le file di candele vicine ai letti dei malati emerse un'ombra, una figura imponente, ma nell'insieme armoniosa. Bertram l'osservò con curiosità, indeciso su cosa fare. Vagò per un po' tra i letti, fino a fermarsi, spaesato, davanti a un pilastro, tirandosi giù il cappuccio del mantello. Voltandosi verso l'altare, lo straniero sembrò accorgersi dei due individui in chiesa e trasalì. Jan sorrise nel suo modo sbilenco e, a modo suo, affettuoso, agitando una mano in segno di saluto. Il monaco la guardò scuotendo la testa e si alzò, per dirigersi verso il visitatore. “Buonasera, messere, vi serve qualcosa?” domandò, ormai abbastanza vicino da potergli parlare senza svegliare nessuno.

Lo straniero tentò di rimettersi il cappuccio, ma un'occhiata sbilenca di Jan, da dietro il pilastro, lo fermò. Bertram non capiva il bisogno di quella donna di sapere sempre tutto, di capire ogni cosa e di voler sempre aver ragione. Forse, pensava, dipendeva dalla sua immensa intelligenza- lui si sentiva così stupido, se confrontato con lei.

“Carys.” Disse con un sospiro preoccupato. “Come sta? Posso vederla?” Il frate corrugò la fronte. Perché qualcuno avrebbe dovuto venire nel cuore della notte per vedere una persona, quando durante il giorno chiunque poteva entrare in chiesa e far visita ai malati? Tuttavia, Carys era una delle pazienti preferite di Bertram, sebbene si sforzasse di non avere delle vere preferenze, perché era la prima con cui aveva davvero parlato, la ragazza dagli occhi profondi che gli aveva confessato il suo amore illegittimo per un uomo ben più ricco di lei. E, benché fossero le tre del mattino e Bertram non si ritenesse rapido di intelletto, capì che tale uomo, che aveva fatto perdere la testa a Carys, era quello che gli stava davanti.


 

**

Ewan

Si svegliò con entrambe le braccia intorpidite e il primo istinto fu quello di stiracchiarsi, allungando ogni arto. Tuttavia, provando a portarsi in posizione supina, si ricordò che Haelan era accanto a lui e tutti i fatti del giorno prima gli tornarono in mente. Si morse il labbro inferiore, senza sapere cosa fare.

“Perché diamine sono nel tuo letto?” borbottò Haelan, probabilmente svegliato dal movimento di Ewan. “Dimmi che non l'ho fatto davvero.” Sembrava davvero dispiaciuto, e questo offese Ewan non poco, tanto che non rispose nulla, ma si alzò, scavalcando il più grande e aprendo la finestra. Era quasi l'alba, potevano anche restare svegli.

“Ewan,” il tono di Haelan era supplicante. “Torna qui e chiudi le imposte. Non mi alzerei mai, se fosse per me, ma ora non è certo il momento di alzarsi.” Lo scudiero sollevò gli occhi al cielo, in un'intima protesta, ma non chiuse le imposte, anzi, si girò a guardare il biondo padrone di casa.

“No.”

Haelan si passò una mano tra i capelli e si girò dall'altra parte. Poi si girò di nuovo. “Ewan. Spero tu sappia che mi fa malissimo la testa e potrei lamentarmi costantemente per tutto il giorno per questo e perché tu mi hai tolto un altro po' di sonno.” Stava scherzando, probabilmente, ma per Ewan non aveva importanza, non adesso.

“Avresti potuto non bere.” Commentò, asciutto, senza spostarsi dalla finestra. “E avresti potuto tornare a casa prima, dato che mi avevi promes-”. Fu interrotto dalla voce dell'altro che, ancora una volta, mormorava il suo nome con tono di preghiera. “E smetti di chiamarmi per nome ogni volta!” Sputò velenosamente, guardandolo in quegli occhi troppo azzurri e improvvisamente svegli.


 

“E va bene.” Haelan si sedette, la camicia aggrinzita per averci dormito e i capelli ancora spettinati. “Ewan. Non avevo intenzione di mantenere quella cazzo di promessa. Non volevo parlarne, perché non so cosa devo dirti. Cosa vuoi che ti dica? Che sì, mi piace farmi toccare da altri uomini e che me ne vergogno come un ladro? Che per due mesi ti ho guardato come un cane affamato che vede un brandello di carne avanzata? Che non so che cosa pensare di te? Che non possiamo stare in questa casa insieme perché se mio padre lo sapesse io sarei già morto? Ma, sai, forse ti interessa solo sapere che, in effetti, mi chiedo che cosa ne sai tu, di tutto questo, tu che hai combattuto in Francia e che, di sicuro, hai visto cose molto peggiori. Però, Ewan- sì, Ewan,- non voglio davvero dirti questo, perché nessuno me lo ha mai chiesto, neppure tutti quelli che sono arrivati prima di te. E tu non sei certo più speciale.” gli vomitò tutto questo addosso e poi si mise le mani tra i capelli, sospirando. Quando alzò lo sguardo, Ewan stava valutando se tirargli un pugno nel naso oppure prendergli una mano. Bella differenza, qui. Si disse, andando a sedersi sul letto di Haelan, dall'altra parte della stanza. Prese un bel respiro.

“Non sono speciale, lo sapevo, grazie di avermelo ricordato.” Iniziò, e no, non era quello che voleva dire, ma oramai lo aveva detto e quello che avrebbe voluto non contava più. “Ma sono più simile a te di quanto pensi. Io... Haelan, che diavolo, non pretendo di essere una grande cosa per te, vorrei solo che tu mi parlassi. Non puoi baciarmi e dormire nel mio letto e non dirmi come vuoi che gestiamo questa cosa. Non puoi mettere la tua lingua nella mia gola e sperare che non ti chieda se...” si fermò, distogliendo lo sguardo, nel momento in cui Halean alzò il mento, stringendo gli occhi. “Se vuoi solo che io... che tu... se vuoi solo poter fare queste cose con qualcuno, e andrebbe bene, se questo è quello che vuoi, oppure se c'è-”

“Ewan,” di nuovo, l'interruzione e il nome. “ti prego di calmarti. Tu mi piaci.” Era una cosa strana da sentire, Haelan sembrava confuso nel dirlo, come se non avesse mai detto qualcosa del genere. “Diavolo se mi piaci. E no, non vorrei mai solo poter fare queste cose con qualcuno... non sarebbe giusto. Ma non è molto giusto neppure baciarti, o dormire con te, o qualunque cosa io possa fare a te, o con te. Tu non vuoi davvero costringere te stesso alla dannazione eterna.” Abbassò lo sguardo, prendendo un respiro profondo, poi si morse un labbro pure lui. Ewan gli fu vicino in un battito di ciglia.

“Ho visto uomini uccidere altri uomini come se fossero formiche, ho visto sangue sparso come sale, Haelan. Ho ucciso altri uomini, più di quanti mi piaccia ricordare. Non credo che, se anche a Dio importasse di chi ha diritto a mettermi le mani addosso, se anche Dio esistesse e gli importasse di me o di te, potrei essere salvato dall'Inferno. E, Inferno per Inferno... Haelan, per piacere, preferisco mille volte finirci per aver amato un uomo, piuttosto che per averne uccisi quaranta.”

Haelan scoppiò a ridere sommesamente, prendendolo per mano e tirandolo a sedere sulle sue gambe. Poggiò la fronte sul suo petto. “Dimmi la verità, allora.” Sussurrò, passandogli mani troppo calde lungo le cosce. “Perché non hai detto a tutti chi sei davvero?”

 

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Capitolo 2
*** Parte Seconda ***


Parte Seconda

Bertram

Sospirando, lo condusse al letto della malata, mentre Jan li seguiva con interesse, senza pronunciare una parola. L'uomo si sedette accanto al letto, sfiorando delicatamente i capelli della giovane donna, con un sospiro leggero.

“Come sta?” chiese di nuovo. Bertram aveva visto malati morire, altri restare stabili per tutto il tempo, altri guarire, addirittura. Carys stava lentamente migliorando, ma non era da escludere che potesse peggiorare di nuovo. Doveva anche aggiungere, forse, che Jan in persona si prendeva cura di tutte le donne, e che, quindi, era più probabile che guarisse lei che qualsiasi altro uomo presente in quel luogo. I frati avevano proibito a Jan di esaminare fisicamente gli uomini, ma il fatto che lei fosse una donna aveva facilitato non di poco la loro cura delle donne, dato che si vergognavano come dei ladri di dover visitare delle donne. “E' una cosa oggettiva, come può risultare loro perversa?” continuava a domandare la persiana, ogni volta che venivano sollevate obiezioni allo svolgimento della sua attività, Bertram scuoteva la testa e la lasciava brontolare.

“Meglio,” rispose Jan, con un tono serio e una bonaria espressione sul viso. Bertram scosse la testa, detestava che dovesse sempre fingersi una suora, nel modo di fare, quando era quanto di più simile all'eresia si potesse trovare in una sola persona. “Ma il recupero è lento, sembra annoiarsi così tanto da aver perso la voglia di vivere, sembra che non ci sia nulla per cui valga la pena di vivere... nulla... o nessuno...


 

Mi sbagliavo, questa donna non è una strega, è il demonio fatto persona. Si disse Bertram spingendola via con forza, e dicendo all'uomo che poteva trattenersi per quanto avesse voluto. “Donna, essere immondo, peccatrice e eretica, cosa passa per la tua testa da infedele?” Rantolò Bertram, una volta fuori dalla portata d'orecchio del visitatore. Jan sorrise forzatamente e poi aggrottò la fronte quando si accorse che Bertram non scherzava.

“Carys sta morendo di noia, qui dentro. Corvo brillante, la tua luce si è offuscata con la stanchezza... il tuo cuore ha mai amato? Sai quanta forza può dare la prospettiva di essere riunita al suo amato a una donzella come Carys?” Il frate le voltò le spalle, lasciandola sola sotto la volta a crociera della navata di destra. No, non aveva mai amato, non in senso romantico, almeno, ma era amore, per lui, quello che donava a chi avesse bisogno di aiuto, a chi chiedeva qualcosa da mangiare dopo ore di cammino. Per lui era amore svegliarsi ogni giorno all'alba, dopo quasi due ore di sonno, per cercare di salvare la vita di qualcuno. Si passò una mano sul viso, sapeva da sempre che esistevano varie forme d'amore, non per forza ce n'era una migliore delle altre.

Non fece in tempo a uscire dalla chiesa che già fratello Matthew si profilò nel chiostro, anche lui iniziava ad essere stanco, e soprattutto sembrava sempre più preoccupato per qualcosa che Bertram non riusciva a capire del tutto.

“Bertram,” lo salutò, con un tono strano nella voce. “Ci sono novità?” Il fratello più anziano sollevò un sopracciglio. “L'unica novità è vederti qui a quest'ora.” Fece notare, proseguendo per la propria strada, diretto nella farmacia a prendere alcune cose che sarebbero servite dall'alba in poi.


 

Matthew, nella sua solita insistenza, lo seguì, con un sorriso divertito. “La donna continua a farti impazzire?” Chiese, insolente come solo i giovani di buona famiglia sanno essere, anche dopo anni in convento. Bertram lo fulminò con lo sguardo, ma il ragazzo non si scompose, senza neppure distogliere gli occhi. Il più anziano si stupì di questo, da quando erano arrivati in città, il più giovane aveva acquisito più sicurezza- forse non ce ne sarebbe stato bisogno.

“Nessuno può farmi impazzire più di te.” L'affetto nella sua voce, tuttavia, smorzò l'asprezza delle sue parole. Matthew era una delle persone a cui voleva più bene. Non aveva mai avuto un fratello, non davvero, ma quel ragazzo era quanto di più simile avesse. Il giovane gli sorrise, prendendo alcuni dei barattoli che il più anziano cercava di trasportare, sfidando le leggi dell'equilibrio.

“Fratello,” iniziò, ancora una volta, il nobile che adesso indossava il saio. “Devo chiederti una cosa, ma prometti che non dirai niente a nessuno.” Bertram era sul punto di negargli la possibilità di chiedere, ma la curiosità, quella solita, dannata, curiosità che aveva causato così tanto scompiglio nella sua vita, era troppa per poterlesi opporre. Sorrise, incoraggiandolo a chiedere.

**

Ewan

Ewan sbiancò, e persino il calore delle mani di Haelan perse gran parte dellla sua forza. “Io.. non ho mentito.” Provò ad articolare, prima che il biondo lo catturasse in un bacio inaspettato. Per quanto avesse voglia di baciarlo, di toccarlo, di sentirlo con sé, in quel momento la menzogna pesava così tanto tra loro che Ewan sentì di essere lontano miglia e miglia dal bel contadino dalle spalle muscolose che stava lentamente slacciando la sua camicia e i suoi pantaloni nel tepore della mattina autunnale. Quando sentì le labbra del giovane intorno al proprio inguine, tuttavia, ogni preoccupazione svanì per lasciare il posto a ogni sensazione che la pelle gli mandava. Chiuse gli occhi, dopo essere stato ribaltato sul letto con impeto, mentre Haelan faceva cose con la lingua che non avrebbe mai pensato possibili. Per essere il rozzo contadino per il quale si spacciava, Haelan era estremamente delicato e sensuale. Era tutto muscoli e masse scolpite, ma era armonioso come un gatto aristocratico e sentire le sue mani ruvide e forti attorno alle proprie gambe robuste e più morbide nelle forme di quelle del più grande era più di quanto Ewan avesse mai sperato di provare. Quello che stava accadendo era persino meglio di ogni cosa successa in Francia e prima di andarci, era più giusto e più bello... “Sdraiati, Hae, è il mio turno.” Riuscì ad articolare, quando il biondo ebbe raggiunto il suo scopo. Hae. Era strano chiamarlo così, ma non poteva fare diversamente, era quanto di più naturale ci fosse, in quel contesto.

Temette di non essere all'altezza di quello che Haelan aveva fatto a lui, ma, quando sentì il suono inizialmente inarticolato e poi sempre più vicino al suo nome che il ragazzo stava cercando di soffocare mordendosi le labbra a sangue, seppe di non essere poi così male come aveva creduto.

Haelan lo baciò come se avessero appena rischiato di non vedersi mai più- come se avesse paura di perderlo- e lo strinse a sé, mentre Ewan sperava che nessuno avesse sentito niente e che nessuno li avrebbe scoperti così.


 

**

Bertram

“Sei mai stato innamorato?” Bertram credette di non potersi più affidare alle proprie orecchie. Era arrivato a ventotto anni senza che nessuno gli avesse mai posto quella domanda e adesso, nello stesso giorno, due persone glielo chiedevano. Prese un respiro profondo, inalando l'atmosfera rilassata e piena di libri polverosi e spezie della farmacia, cercando di riordinare i propri pensieri. L'amore, nel senso in cui Matthew sembrava intenderlo adesso, era qualcosa che gli era noto attraverso le altre persone, ma non lo aveva mai provato lui stesso, quello non poteva dirlo. Da quando aveva otto anni era stato confinato in un monastero di campagna, per propria scelta, il che non gli aveva dato molte possibilità di innamorarsi, ma nemmeno di cedere più di tanto agli istinti fisici, avendo imparato fin da piccolo a ignorare il proprio corpo o, nella peggiore delle situazioni, a tenerlo sotto controllo. Non era neppure una di quelle persone che, costrette dagli eventi a stare lontani dalle donne, diventavano incontrollabilmente eccitati in presenza di una qualsiasi rappresentante del gentil sesso. Aveva conosciuto donne di ogni genere, lavorando nella foresteria, e adesso nel lazzaretto, e tutto l'interesse che avevano suscitato in lui era puramente intellettuale. Se avesse dovuto dare una risposta vera e sincera alla domanda di Matthew, avrebbe detto che sì, era stato innamorato e lo era ancora, della conoscenza, della possibilità di conoscere le storie delle persone, della vita degli altri, del mondo- anche se il suo mondo per vent'anni era stato un'abbazia nelle campagne del nord dell'Inghilterra.


 

“No.” Sospirò, alla fine, guardando gli occhi del giovane rabbuiarsi. Sorrise debolmente. “Ma ne so più di molti altri, per cui, puoi dirmi tutto.” Propose, sapendo che dietro a una domanda del genere si celava qualcosa di personale e di non molto disinteressato. Matthew arrossì violentemente, prima di mordersi il labbro inferiore.

“Devo ancora prendere i voti, ma questo non mi rende meno un monaco di quanto già sia,” premetté il giovane, e Bertram aggrottò la fronte. “Ma c'è un motivo se mio padre ha deciso che io non ero il figlio giusto da far sposare e rendere erede del feudo. E la religione era una parte marginale di quel motivo.”

Bertram gli mise un braccio sulle spalle, dopo aver di nuovo poggiato i barattoli sul tavolo. Il ragazzo sospirò, continuando a spiegare. C'era quasi sempre un altro motivo per cui le persone entravano a far parte di un ordine religioso, era raro che qualcuno fosse davvero deciso a fare questo a se stesso, poi, una volta entrati, si poteva decidere di apprezzare e stare bene nella situazione in cui ci si trovava, come era accaduto per Bertram, che non aveva mai più lasciato i frati che lo avevano accolto quella piovosa notte di tanti anni prima. Certo, quando ci ripensava, essere un monaco non era il suo sogno, da bambino. Voleva essere un cavaliere, famoso possibilmente, ma non era mai riuscito in questo, evidentemente. Sorrise al pensiero di un piccolo Matthew che sognava anche lui di poter cavalcare nelle pianure e nelle colline, comparato a quel ragazzo snello e forte che tirava su le coperte dei malati tra i pilastri di una chiesa.

“Matthew,” gli disse, e il ragazzo lo guardò, in cerca di una risposta ai suoi dubbi. “Non scordare mai che la tua promessa non è a una persona, ma a Dio, se la infrangerai sarà più grave ai tuoi occhi, ma Lui, Lui sa perdonare. Non dimenticare nemmeno, tuttavia, che infrangere la tua promessa vorrebbe dire fare infrangere la propria anche all'altra persona.” Matthew annuì, lievemente consolato.

“Perché?” chiese, però, dopo poco. “Perché devo essere un peccatore in così tanti modi?” Aveva le lacrime agli occhi. Apparve, per la prima volta da quando avevano lasciato l'abbazia, il ragazzino che era. Quando Bertram alzò gli occhi su di lui, non vide il ventenne disperato perché il suo corpo non rispondeva come avrebbe voluto, ma il figlio del conte che, due anni prima, era arrivato in campagna, si era tolto gli abiti di velluto e aveva messo del cotone grezzo sulla pelle nuda, piangendo come un bambino alla prospettiva di essere frate. Vide il viso di quel ragazzino che si sforzava di seguire tutte le funzioni e che zappava con tanta violenza da far credere che avrebbe liberato Lucifero dall'Inferno, rivide l'espressione di sorpresa che aveva avuto quando, per la prima volta, aveva visto crescere i fiori nella serra, o le piantine nell'orto, la trasformazione che era avvenuta in lui quando aveva ascoltato tutta la Regola di San Benedetto letta dall'abate. Quel ragazzino, suo fratello, aveva bisogno di conforto, ora. E tutte le sue belle parole sull'amore donato agli altri sarebbero state polvere se non avesse in qualche modo aiutato quella povera pecorella smarrita a trovare la sua via ancora una volta.

“Matthew.” Lo richiamò, forzandolo a tenere lo sguardo fisso nei suoi occhi. “Non dire nemmeno per gioco che sei un peccatore. Lo sei, certo, come tutti gli uomini, non sei diverso da nessuno, non sei più speciale, né più perfetto. Ma non osare pensare di essere peggiore di tutti. Hai ancora la possibilità di non commettere... quel peccato- non di nuovo, almeno,” si affrettò ad aggiungere, vista l'improvvisa ondata di rossore sulle guance del ragazzo. “Ma non pensare, nemmeno per un istante, che amare un uomo sia peggiore che ucciderne uno.”


 

Matthew lo guardò per un momento piuttosto lungo, prima di aggrottare la fronte e dischiudere leggermente le labbra, per poi serrarle subito dopo. Bertram seppe che il più giovane aveva perfettamente capito che cosa intendesse dire, ma non voleva ammettere di essere nel giusto. Stava probabilmente pensando che il grande Bertram, colui che ogni notte dormiva solo due ore per poter aiutare gli altri, non poteva aver fatto una tale cosa... eppure, aveva inteso bene.

“Ma tu non puoi saperlo...” provò, debolmente, distogliendo lo sguardo. Bertram sospirò stancamente, alzandosi e dirigendosi di nuovo in chiesa, con i barattoli di erbe medicinali. Oh, fratello mio, lo so meglio di quanto mi piacerebbe.


 

Ralf lo guardò strano per tutto il giorno, probabilmente Matthew doveva avergli detto qualcosa. Bertram non si sentì offeso, era piuttosto normale che le persone lo guardassero male, era la punizione naturale per il crimine che aveva commesso. Una voce nella sua testa, prontamente soppressa, provò a dirgli che erano trascorsi vent'anni, che non valeva la pena di punirsi per fatti così remoti. Un'altra, anch'essa rapidamente ridotta al silenzio, tentò di persuaderlo a non ritenersi più deviato di un frate che sognava che un altro frate dormisse con lui. Amare o uccidere. Si ripeté, prima di andare di nuovo da Carys, che dormiva beatamente, dopo molti giorni e notti insonni.

Poggiò una mano sui capelli chiari della giovane, svegliandola delicatamente per poterle dare l'intruglio che, teoricamante, avrebbe dovuto abbassare la sua febbre.

“Padre,” mormorò, assonnata, la ragazza, aprendo gli occhi chiari e mettendo a fuoco il frate. “ho sognato che il mio principe era qui questa notte, e mi teneva la mano, dicendomi che mi aspettava.” Bertram sorrise amalapena, sapendo che non era un sogno, ma indeciso se dirglielo o meno.

“Non hai sognato, figliola mia.” Disse, accarezzandole di nuovo i ricci disordinati, sperando di convincerla a dormire. Un lampo di determinazione passò nei suoi occhi, prima che lei si decidesse a rimettere la testa sul cuscino. Dopotutto, Jan avrebbe potuto aver ragione.


 

 **

Ewan

Le giornate divennero molto più brevi, e più strane. Haelan era tranquillo, riusciva con facilità a non comportarsi in modo strano, mentre Ewan faceva più difficoltà a fare finta di nulla. Cercava di non guardarlo troppo, di non dare origine a pettegolezzi in paese; sapeva che prima o poi sarebbe successo, tuttavia, soprattutto perché non c'era verso che in un villaggio di così poche persone nessuno sospettasse nulla. Iniziò a pensare che doveva andarsene, non poteva mettere a rischio Haelan per una cosa del genere. E restare con lui sarebbe stato solo egoista. Non negava di provare qualcosa di molto profondo per lui, e ne era spaventato, più spaventato di quando era stato in guerra. Là c'era l'adrenalina, la passione degli altri, la certezza che qualcuno si sentiva esattamente come lui, qua, invece, era tutto incerto, nebuloso... Che cosa mi hai fatto? Si trovò a chiedersi, guardando il ragazzo che ogni notte dormiva accanto a lui, stringendolo con delicata possessività, mentre metteva in tavola la zuppa per tutti. Con un sorriso, Haelan gli porse il piatto, e Ewan sentì il proprio stomaco annodarsi. Gli avrebbe detto tutto quella sera, così non ci sarebbero state più scuse per restare lì, così tutto sarebbe finito. Si può essere spaventati di essere felici? Ewan credeva di sì, ormai, dato che da mesi stava nascondendo la propria identità al proprio amante. Haelan gli rivolse uno sguardo interrogativo, nel vederlo pensieroso, e il peso nelle viscere del più giovane si fece ancora più importante.

Disse di non sentirsi bene e si alzò, uscendo fuori e respirando a pieni polmoni la fredda aria invernale. Gli girava la testa, sapeva di doversene andare adesso oppure non lo avrebbe più fatto, ma il pensiero di Haelan che si incolpava per la sua fuga e che piangeva perché era stato abbandonato lo fermò. Sapeva che quel ragazzo gli stava dando più di quano si meritasse, sapeva che non poteva andare avanti così.

“Ewan,” ecco, lo aveva anche raggiunto. Si passò una mano sugli occhi, per darsi un contegno. Che cosa avrebbero pensato i genitori di Haelan? Che cosa gli avevano chiesto, prima che lui riuscisse a convincerli di essere semplicemente preoccupato perché, condividendo una stanza, temeva di ammalarsi lui stesso? “va tutto bene?”

No. Non va bene, ti ho mentito per quattro mesi. Non può andare bene. Perché ti amo e non riesco a dirti la verità? Perché ogni sera provo a dirti che cosa sono e ogni volta fallisco? Per quale motivo, quando tu mi dici “dimmi quello che stai pensando”, arrabbiato, frustrato perché non ti dico nulla, offeso perché dico di amarti e poi mi comporto come se non lo facessi davvero, non riesco a dirti nulla e cerco ancora i tuoi baci, come se quelli dicessero più di mille parole? Haelan, che cosa mi sta succedendo? Che cosa mi stai facendo succedere?

Non si rese conto di essersi seduto sullo scalino della porta, con il braccio di Haelan sulle spalle, finché non scosse la testa e sorrise debolmente. “E' tutto a posto.” Il biondo scrollò la testa, per niente convinto, ma non si spostò.

“Puoi dirmelo, sai?” disse, piano, passando una mano tra i lunghi capelli di Ewan, che si sentì divorare dal senso di colpa. Non si meritava quel ragazzo. No. Lo so che posso. Sono io che non ce la faccio.

“Dirti cosa?” Un'altra bugia, un'altra ferita al cuore. Prima o poi sarebbe morto di questo, e Haelan sarebbe morto con lui, perché ogni bugia era un taglio nel cuore dell'uno e dell'altro. E questo era peggio.

Haelan sospirò, continuando a giocare con i capelli di Ewan. Gli posò un rapido bacio sulla fronte e tornò all'interno, senza dire nulla. Se non glielo avesse detto, le cose sarebbero degenerate, lo stava perdendo, lo sentiva. Si prese la testa tra le mani.


 

**

Bertram

Non si rese conto di essersi addormentato, finché non si svegliò quasi urlando per un incubo. Si sedette sul duro materasso, passandosi una mano tra i capelli e deglutendo con forza. Prese un respiro profondo e cercò di riportare il battito cardiaco a una velocità normale, ricercando conforto nel freddo del pavimento contro i palmi dei piedi. La sensazione della gelida pietra a contatto con la pelle lo riportò a una dimensione più reale, ma non riusciva comunque a scacciare il senso di panico che lo stava pervadendo. Si disse che non aveva più otto anni, che era cresciuto, che era un uomo forte, prima di tutto, ma non ebbe successo, poiché si trovò a singhiozzare come un bambino, con la testa tra le mani. E d'improvviso tornò a essere il ragazzino terrorizzato che correva nella campagna, con un terribile evento alle spalle, le mani ancora sporche di sangue, non metaforicamente ma materialmente, e le lacrime agli occhi.

Non lo aveva fatto apposta, non avrebbe voluto farlo, ma la curiosità, già allora, era stata troppo forte. Abitava in una casa piccola, di due stanze, con sua madre; il padre combatteva in Francia, per il Re d'Inghilterra. E quella notte c'era una festa in paese, Bertram aveva supplicato sua madre per tutto il giorno di portarlo a vedere i giocolieri, e alla fine lei aveva ceduto. Non si ricordava molto di sua madre, era un'immagine sfocata nella sua mente, una donna alta e forte, con una bella voce intonata- amava cantare-, con dei capelli chiari e voluminosi. Lei lo aveva accompagnato, raccomandandosi di non allontanarsi troppo, come ogni madre fa, ma, quando lui si era allontanato dalla piazza per vedere l'accampamento dei vagabondi che eseguivano acrobazie sul selciato della chiesa, lei non lo aveva visto, quindi, non lo aveva seguito. Bertram si sentiva grande, a otto anni, poiché conosceva la strada da fare per tornare a casa, di conseguenza si inoltrò tra le variopinte tende del circo e si lasciò avvolgere dai rumori, dagli odori e dalla strana atmosfera che permeava il luogo.


 

C'erano due uomini, tra le tende, due uomini che parlavano tra loro fittamente, in un idioma che non conosceva. Ridevano sguaiatamente, ed erano soli. Bertram, troppo curioso, non resistette e si avvicinò ancora, consapevole di saper essere silenzioso se fosse servito. Li vide: erano seduti intorno a un sacco di monete, le contavano con soddisfazione e si scambiavano commenti giocosi, ridendo a alto volume. Erano veramente tanti soldi, pensò Bertram, chissà come erano diventati così ricchi. Quando, più grande, ripercorse i ricordi che aveva di quella serata, capì che, probabilmente, erano soldi rubati, di certo non di provenienza dei nomadi. Nondimeno, Bertram era ipnotizzato da quelle monete, dai riflessi scintillanti che acquistavano quando la luce delle fiaccole le colpiva con i suoi raggi, del ticchettio metallico che si produceva quando i due le ammucchiavano l'une sulle altre, o le lasciavano scorrere tra le mani. Non riusciva a staccare lo sguardo da quello spettacolo, perse la concezione del tempo, senza sapere più da quanto tempo si trovava nascosto dietro a un tendone.

“Bertram! Dove ti sei infilato, piccolo diavolo?” La voce di sua madre lo colse di sorpresa, era lontana, ma non troppo, e si stava avvicinando. Il senso di colpa per averla mollata in mezzo alla piazza senza neppure avvertirla si insinuò nel bambino, che decise di muoversi per raggiungerla. Si fermò, tuttavia, quando vide che uno dei due uomini aveva estratto un coltello, lanciando occhiate preoccupate all'altro. La donna dovette vedere la luce delle fiaccole, perché arrivò velocemente lì. “Bert, sei qui?” chiamò di nuovo, ma l'uomo aveva già puntato il coltello alla sua gola.

“Mamma!” Urlò il bambino, con un coraggio che non sapeva di avere. La donna sbiancò, ma l'uomo non si smosse.

“Bene.” Disse, invece, con un accento assurdo. “Due ladri. Non sai, bimbo, che la notte è pericolosa? E tu, donna?” Sua mamma tremava, ma il bambino non era minimamente terrorizzato, se non per il destino della madre. Il secondo uomo prese Bertram per un braccio, ma lui scalciò, riuscendo a liberarsi, ma il primo uomo accoltellò sua madre, a sangue freddo.

“Bertie...” fu tutto quello che lei disse, prima di serrare le labbra e crollare a terra, dignitosa anche nella sua morte. Il coltello cadde, mentre l'uomo sospirava, rassegnato, borbottando qualcosa nella sua strana lingua. Coltello. Bertram corse, silenzioso e invisibile nella penombra, e lo raccolse, sentendosi all'improvviso invincibile.

“Bravo bimbo dà coltello a buon uomo.” Disse il secondo uomo, con un accento ancora peggiore del primo. Parlava in modo duro, senza gli articoli, e per Bertram era tutto sbagliato e impossibile. “Ora. Da' coltello a me, bravo bimbo.” Ripeté.

Il primo uomo- l'assassino di sua madre- si avvicinò per strapparglielo di mano, dovette pensare che un bambino di otto anni, magrolino e con dei ridicoli capelli lunghi e polverosi, non potesse essere una grande minaccia. Nemmeno Bertram pensava di essere una grande minaccia, ma colpì l'uomo nella pancia, con il coltello, per mille e mille volte, finché non crollò su di lui, tra le urla sorprese del suo compare. Bertram realizzò cosa era successo quando sentì il peso dell'uomo su di sé, spingendolo via e correndo a zig-zag tra le tende. Sentì che l'altro urlava in quella lingua e poi diceva: “Bravo bimbo fatto me ricco!”


 

**

Ewan

Le coperte graffiavano la pelle, erano grezze, ma tenevano caldo, e forse non erano state pensate per coprire direttamente la nuda pelle, ma ormai Ewan ci aveva fatto l'abitudine. Erano ruvide tanto quanto la pelle di Haelan era liscia, graffianti quanto la sua voce era suadente, nei momenti, come quello, in cui lo accarezzava con delicatezza e forza allo stesso tempo, ansimandogli di fare di più, di più, di più, fino a crollare sotto di lui con un sospiro di soddisfazione. Con un mezzo giro su se stesso, Ewan si stese accanto a lui, fissando il soffitto, mentre il biondo gli abbracciava la vita e gli appoggiava la testa sul petto, pronto a dormire. “Ewan, sei meraviglioso.” Gli sussurrò, passandogli un dito lungo i fianchi, solleticandolo con i capelli e con il respiro. Anche tu. Anzi, tu di più. “Non è vero, Hae.” Haelan si sollevò su un gomito, i capelli appiccicati alla fronte corrugata. “Sono una persona orribile.” Haelan sbuffò, come se non lo prendesse sul serio, e si allungò per dargli un bacio, ma Ewan si spostò di scatto, lasciandolo a bocca asciutta.

“Che c'è?” chiese, un po' offeso e un po' preoccupato, sedendosi e tirando la coperta fino a coprirsi anche le spalle.

Ewan prese un respiro profondo. “Io... io ti ho mentito, per tutto questo tempo.” Haelan sollevò le sopracciglia e borbottò qualcosa, in un'espressione di completa delusione. Il più giovane capì che aveva probabilmente frainteso, quindi si accinse a spiegare. “Io... io non sono la persona che ti ho detto di essere.” No, questo non aiuta. “Non che io non... Dio, Haelan. Non te l'ho mai detto perché è da quando sono venuto via dalla Francia che non dico più chi sono davvero, potrebbero uccidermi se sapessero chi sono, potrebbero pensare che il mio omicidio serva a far rientrare il re in patria, oppure che io valga un sacco di soldi... avevo paura, il mio scudiero era stato ucciso, mi sono spacciato per uno scudiero io stesso.”

Haelan deglutì, con un'espressione arrabbiata. La sua voce, però, era piuttosto calma, troppo calma, quando disse: “Ti prego di dirmi chi è la persona con cui ho scopato ogni notte da due mesi a questa parte, allora.” La sua calma urtò Ewan, che fu sul punto di singhiozzare e mettersi a piangere.

“Mio padre è il consigliere del Re.” disse, senza guardare l'altro, che rise amaramente.

“Un nobile. Mi sono fatto fottere per due mesi da un nobile, e per i restanti due ho sognato di farmi fottere da un nobile.” Ewan tentò di toccarlo, ma Haelan lo scansò con un gesto brusco. “Non toccarmi! Cosa sei, barone? Conte? Eh?” Lo apostrofò, spostandosi quanto più lontano da lui riuscisse, senza ancora scendere dal letto, pensiero che rincuorò un po' Ewan.

“Cavaliere.” Mormorò, alzando gli occhi solo dopo aver pronunciato le sillabe incriminate. Haelan stava respirando a fondo, evidentemente cercando di metabolizzare le informazioni che aveva ricevuto. Poi si sdraiò e poggiò la testa sull'unico cuscino che avevano, tirandolo dalla sua parte. Stava dando le spalle a Ewan e non aveva preso il suo braccio per metterselo attorno, come faceva sempre.

Il cavaliere sospirò, mettendosi sdraiato pure lui, dopo aver spento la candela.

“Non so se voglio dormire con te.” Disse, dopo un po', il biondo, senza girarsi.

“Sono sempre la stessa persona, Haelan!” Ribatté Ewan, cercando di non piangere. “Non cambia niente se sai il mio titolo o no. Sono sempre la persona che hai detto di amare e che ti ama e-”

“No, non è vero che non cambia niente. Cambia tutto! Perché diamine non me lo hai detto prima? Perché? Cosa ti cambiava se dici che non cambia niente? Eh? E poi, sai cosa cambia? Cambia che tu mi hai mentito per mesi, Ewan, per mesi. E io lo sapevo, ma non lo ammettevo a me stesso. Mi dicevo che ero io che mi preoccupavo troppo, ma lo sentivo. Non potevi dirmelo la prima volta che te l'ho chiesto? O la seconda? Perché mentire per mille e mille volte? Non è degli altri che hai paura, Ewan, hai paura di te stesso e di metterti sul serio in gioco.” Dopo essersi voltato per sciorinare tutto ciò, si girò di nuovo dall'altra parte. “Adesso, per favore, non provare a toccarmi, ser.

Ewan si asciugò l'unica lacrima che gli era sfuggita e si girò verso la parete. La mattina dopo se ne sarebbe andato.

 

**

Bertram

Quello che successe dopo non se lo ricordò mai più, il suo ricordo seguente era il vagare sotto la pioggia nella campagna, quando un uomo a cavallo lo avvicinò. “Bambino, vai al riparo, va' a casa.” Gli ingiunse, con tono perentorio, ma, quando Bertram si mise a piangere ancora più forte, scese dal cavallo e lo montò in sella. “Spero che tua madre non sia preoccupata per te,” borbottò, “ma ci penseranno i frati a dirle che stai bene- se non avrai la febbre dopo quest'acquazzone.”

Lo lasciò nella foresteria del convento, avvolto nella sua coperta, spiegando ai frati in che stato lo aveva trovato. Bertram non ricordava nulla di quell'uomo, se non che poi sentì dire che era un importante nobile della regione. Tuttavia, fu lui che lo consegnò al suo destino, dandolo in cura a quegli uomini anziani che lo crebbero meglio di quanto qualsiasi madre avrebbe potuto fare.


 

Bertram si sedette, erano passati vent'anni, ma in lui quella notte era ancora troppo vivida per essere considerata un ricordo. Non aveva voluto uccidere quell'uomo, voleva solo poter scappare, ma sua madre...

Bussarono alla porta. “Avanti.” Esclamò, asciugandosi gli occhi, sperando che nessuno ci avrebbe fatto caso. Era Jan, con un'aria stanchissima e un sorriso tirato. “Ti vogliono, Carys, cioè. Ti vuole Carys. O Carys ti vuole, non so più nemmeno parlare la tua lingua.” Poi aggiunse qualcosa in una lingua che Bertram non capiva. Nonostante tutto, dette una leggera pacca sulla spalla di Jan e andò velocemente in chiesa. Carys era seduta sulla sua branda, i capelli biondi sparsi sulle spalle, una luce allegra negli occhi. “Padre, potete celebrare un matrimonio?” chiese, ex abrupto, senza neppure aspettare che il frate si fosse del tutto avvicinato. Il giovane uomo che era venuto a trovarla era al suo fianco, tenendole la mano. Bertram sbatté gli occhi un paio di volte. Voleva dire molte cose, chiedere perché avessero avuto quest'idea, perché lo avessero chiesto a lui, sapere se fossero sicuri o no della scelta che stavano per fare, ma tutto quello che uscì dalla sua bocca fu:  “Adesso?!”.

Entrambi i giovani scoppiarono a ridere, un suono strano in quel posto, inusuale. Questo dette moltissima speranza a Bertram, ma fu comunque costretto a dire loro di far piano o avrebbero disturbato gli altri. Il giovane uomo, reprimendo le risate, spiegò la situazione al padre: se la ragazza fosse guarita in una settimana, come sembrava possibile che sarebbe successo, lui avrebbe chiarito con il proprio padre che, qualunque cosa avesse detto fino a quel momento, lui avrebbe sposato solo Carys. Il fatto che lei fosse guarita dalla peste era certo un segno della benevolenza di Dio verso quella unione, soggiunse, sorridendo alla ragazza.

Bertram seppe in quel momento che in quell'affermazione c'era lo zampino di Jan e delle sue manipolazioni degli animi dei cristiani per farli credere a qualsiasi cosa, con la scusa di “Dio lo vuole”, che lei stava usando fin troppo. Si ripromise di spiegarle che il fatto che il suo dio avesse un altro nome non implicava che potesse giocare con le convinzioni degli altri per raggiungere i propri scopi. Sospirò, pensando a quanto la salute della ragazza che aveva davanti dipendesse in egual misura dall'amore che quel giovane provava per lei e da quanto la peste decidesse di essere morbida con lei, lasciandola andare con qualche cicatrice e qualche brutto ricordo, oppure strattonandola con sé all'ultimo secondo. Si rese conto che Carys, al suo sospiro, era sbiancata, terrorizzata dall'ipotesi che Bertram potesse rifiutarsi di sposarla. Aveva già gli occhi lucidi. Il monaco le sorrise con benevolenza, prendendole la mano libera, e prendendo anche quella del ragazzo.

“Come potrei rifiutare di unirvi? Conosco persone che direbbero che Dio ha fatto sì che steste insieme e che nessun uomo dovrebbe dividervi.” Una di queste persone adesso probabilmente era crollata addormentata sulla branda di Bertram, pensò sorridendo a se stesso.


 

Fu una settimana carica di aspettativa, per Carys e per Bertram. Il frate non aveva mai celebrato un matrimonio ed era un po' spaventato alla prospettiva di sbagliare qualcosa, ma la sua ansia non era paragonabile al livello di instabilità di Carys stessa- ogni prurito, ogni colpo di calore o di vento erano una minaccia irrimediabile alla sua salute. Non appena le faceva male qualcosa, per qualsiasi ragione, chiamava insistentemente uno qualsiasi dei medici per accertarsi che non ci fosse nulla di non sano. Arrivò persino a piangere quando vide del sangue sulle lenzuola, dopo essersi scordata dell'esistenza del ciclo mestruale. In quell'occasione, Jan la punì facendole lavare le lenzuola sue e di altre cinque persone. “Quella ragazza sarà la mia morte.” Commentò la guaritrice, giunti ormai all'ultimo giorno prima del matrimonio della giovane. Bertram non le rispose, limitandosi a sollevare un sopracciglio, quando, con un'espressione sconvolta, fratello Matthew entrò in farmacia, dove loro si trovavano. Jan lo prese per mano e lo fece sedere con cautela, porgendogli anche un bicchiere d'acqua, mentre Bertram cercava di capire cosa fosse successo. Era difficile superare lo scoglio del suo sconvolgimento e arrivare a comprendere il perché di quella confusione. Il giovane frate mormorava frasi sconnesse, singhiozzando tra una parola e l'altra e quel poco che si riusciva a capire era alterato dal suo tenersi le mani sul viso. Bertram non sapeva come riuscire a calmarlo, stava provando in ogni modo conosciuto, ma nulla sembrava avere effetto.

Dopo un po', Matthew sembrò riprendere il controllo di sé, proprio nel momento in cui Jan stava per mettere a scaldare dell'acqua per un infuso di valeriana. “Non voglio la valeriana.” Fu la prima cosa che disse, facendo sorridere il frate più anziano, suo malgrado. La donna, avvicinandosi di nuovo, si sedette sul pavimento accanto a lui, prendendogli le mani nelle proprie. “Che cosa è successo?” chiese, poi, a bassa voce, come se parlasse a un bambino o a qualcuno di instabile- categoria in cui al momento sembrava rientrare Matthew.

Il giovane sospirò, cacciando indietro le lacrime. Poi si passò una mano sugli occhi. “Ralf morirà.”


 

Bertram aggrottò la fronte, mentre Jan lo guardava, spaesata, entrambi senza parole. Non c'era dubbio nella verità di quelle parole, la sfumatura della voce di Matthew non lasciava spazio al dubbio. Era una certezza, una cosa sicura come si è sicuri del sorgere del sole ogni mattina, per questo, Bertram non riuscì ad avere altre reazioni che lo stupore. Si sedette, fissando il pavimento per un po', un lasso di tempo ben maggiore del necessario. Jan si schiarì la voce e si decise a porre la domanda che aleggiava nell'aria da qualche istante. “Come puoi esserne sicuro?”

Matthew si asciugò altre lacrime, con rabbia. “La peste.” Disse, alzandosi di scatto, inaspettatamente, e andandosene dalla stanza. La donna, guardando per un secondo Bertram, gli corse dietro, sollevando la gonna da terra per potersi muovere meglio. Il frate più vecchio, passandosi rapidamente una mano sulla faccia, si decise a continuare a fare quello che stava facendo, raccolse gli ingredienti per l'unguento che gli era stato commissionato e si mise a misurarli con precisione. Triturò varie foglie, mescolò il tutto con l'olio che gliera stato raccomandato dall'erborista e lasciò il composto a riposare su una mensola. Poi, tornò in chiesa, più per pregare e cercare di riflettere con calma che per dare una mano, per una volta.


 

**

Ewan

Era l'alba, era freddo, ma non pioveva. Ewan sospirò, passando piano piano un dito lungo la sagoma di Haelan sotto le coperte. Era bello, pensò, erano belli i suoi occhi e belle le sue labbra, belle le pieghe della sua fronte quando pensava troppo, bello il suo modo di alzare il mento quando si sentiva sfidato, bello il suo odore quando stava per tanto tempo all'aria aperta. Era bello e gli sarebbe mancato.

Avrebbe capito? Oppure si sarebbe chiesto per sempre perché lo aveva lasciato?

Chiuse gli occhi per un istante e poi uscì dalla stanza, con gli stivali in mano per non fare rumore. Quando arrivò alla stalla, per prendere il cavallo con cui era arrivato quattro mesi prima, esitò un attimo, ma sellò l'animale e si mise in sella, lasciandosi piano piano alle spalle quel villaggio in cui aveva sperato di poter essere felice.

Che ne sarebbe stato di quella famiglia che lo aveva accolto con tanto zelo? Che ne sarebbe stato della giovane e pericolosa Sally? E di Edmund e della ragazza di cui si era innamorato? L'avrebbe sposata? E James? Avrebbe davvero iniziato a vendere la lana come sognava di fare? E... Haelan? Avrebbe mai trovato le colline che sognava sempre?

Si fermò a una curva della strada, bisognoso di far smettere di girare la testa. Come aveva potuto essere tanto sciocco da innamorarsi? Come aveva solo pensato di poter assecondare i suoi desideri deviati?

Si immaginò come sarebbe stato se Haelan fosse arrivato, con un altro cavallo, l'aria snervata ma risoluta che aveva ogni volta che battibeccavano prima di finire di nuovo abbracciati l'uno all'altro, dicendo che aveva lasciato tutto per lui e non sarebbe mai tornato indietro. Lo vide, quasi, mentre si toglieva i capelli dalla fronte con un gesto scocciato e sollevava un sopracciglio, nel vederlo così infelice sotto a un pioppo solitario. Era quasi reale, il cavallo con i suoi passi regolari e quieti, il giovane con una tunica pesante non ancora allacciata e gli stivali polverosi, sorridente ma triste.

“Dove pensi di andare?” Ewan sbatté gli occhi, riscuotendosi dal suo sogno ad occhi aperti per scoprire che non era affatto un sogno. Incapace di articolare qualsiasi suono, si limitò a fissare il volto ormai troppo conosciuto di Haelan, che, con un mezzo sorriso, lo stava apostrofando dal bordo della strada.

“Haelan...” gli corse incontro. “Pensavo, dopo ieri sera, che tu non mi volessi più?” Haelan buttò gli occhi al cielo.

“E perdere l'occasione di essere il compagno di avventure di un cavaliere errante?” Lo prese in giro, ma forse era serio. “Non credo proprio, ser.” Era così diverso da come lo aveva detto la sera precedente, ed era più bello. Haelan scese da cavallo e Ewan lo abbracciò stretto, deciso a non lasciarlo mai, mai, più andare.

“Scusami.” Gli sussurrò, cercando di non sembrare troppo sentimentale.

“Sei più che scusato, e lo sarai ancora di più se mi permetterai di essere ancora il tuo amante.” Ewan non aveva pensato neppure per un secondo che, essendo di nuovo con Haelan, le cose potessero prendere una piega diversa. Gli tirò una pacca sul sedere, scherzando, prima di andare a riprendere il proprio cavallo.

“Allora, ser, dove andiamo?” Chiese il biondo, trattenendo a stento l'entusiasmo nel salire in sella.

“Dove ci porta la strada.”


 

**

Bertram

Nessuno lo disturbò, mentre cercava di capire cosa fare: tornare in campagna con Matthew per cercare di non farlo impazzire, mandarlo da solo, sperando che tutto si risolvesse per il meglio, o non scrivere a nessuno di quello che stava succedendo? Cercò di analizzare le varie possibilità, trovando aspetti positivi e negativi in ciascuna. Se se ne fossero andati, in città sarebbero stati a corto di aiutanti almeno per due giorni, ma avrebbero potuto mandare loro due persone in grado di svolgere adeguatamente il loro lavoro. Se avesse mandato Matthew da solo, avrebbero solo avuto bisogno di una persona, ma non sapeva cosa sarebbe potuto succedere lungo la strada, era bene non viaggiare da soli, di quei tempi- i briganti si nascondevano dietro ogni angolo. La verità è che non potevano né restare lì, dove stava diventando sempre più pericoloso, tra povertà e malattia, né tornare indietro, infrangendo una promessa di servizio.

Non smise di pensare per ore, restando immobile in ginocchio, davanti all'altare principale, con l'ombra del blocco di pietra che lo investiva a momenti, a seconda della luce, finché il tocco gentile di una mano non lo distolse. Era un frate molto giovane, poco più di un bambino, con una ciotola di zuppa e un'espressione timorosa. “Scusate, fratello, ma siete lì da questa mattina, pensavo che aveste fame.” Balbettò, porgendogli il piatto. Bertram gli sorrise, nel prenderlo, sentendo tutte le giunture scricchiolare e tornare alla loro posizione naturale dopo tante ore di immobilità. Il giovanotto gli ricordava tantissimo se stesso alla medesima età, gli stessi occhi curiosi, così in contrasto con la timida venerazione per i fratelli più anziani.

"Porti notizie, oltre che cibo?" Gli chiese, notando che restava lì ben più a lungo del dovuto- dopotutto, aveva portato la zuppa, perché starsene sul presbiterio se non aveva altro da dire?

"Sì, padre. Mi dicono che dovete venire con me dal priore."


 

Bertram sentì il sangue gelare nelle vene, mentre una brutta sensazione si faceva strada in lui. Matthew, che hai fatto? La sua mente lo chiedeva ripetutamente, ma parte di essa conosceva già la risposta. Quasi di corsa si diresse nell'ufficio del priore, superando il ragazzino dopo i primi passi. Quando arrivò nella stanza, cupa, dall'aria pesante, dove il vento della sera si infiltrava a malapena, il priore lo abbracciò con aria di compassione. "So che era come un figlio per te. E, ti giuro, mi dispiace davvero. Ma non possiamo seppellirlo qui."


 

Fu come uno schiaffo in pieno viso. Bertram si piegò su sé stesso fino a trovarsi a singhiozzare in ginocchio sul pavimento. Che Matthew potesse fare qualcosa del genere era un'ipotesi così remota che gli sembrava di piangere per un fatto che non era vero. Tuttavia, mentre il priore continuava a spiegare, dicendo che il ragazzo era stato trovato nella farmacia insieme a fratello Ralf, entrambi apparentemente privi di sensi, lo scenario diventava sempre più probabile.

"Si sono tolti la vita, devono essere posti in terra sconsacrata." Concluse il priore. E allora, Bertram alzò la testa, inghiottendo le ultime lacrime. Pensò che sarebbe tornato alla sua abbazia, da cui non sarebbe più andato via, ma avrebbe portato con sé il corpo di Matthew. Era giusto che fosse sepolto lì, e non importava che il resto dei frati sapesse che era morto di sua volontà.

"Ci penso io. Datemi un carro e la vostra benedizione, padre." Supplicò, cercando di sembrare meno sicuro di quanto si sentisse.


 

Viaggiò per quasi tutta la notte e, quando arrivò, i frati che lo avevano cresciuto lo accolsero con lo stesso calore di venti anni prima, ancora una volta asciugando le sue lacrime. Non aveva celebrato il matrimonio di Carys, non celebrò il funerale di Matthew. Non aveva dato l'addio a Jan, non lo dette a Ralf.

Passarono i giorni e Bertram non smise per un attimo di lavorare e pregare. Ora et labora, Benedetto sarebbe stato fiero di lui. Dopo qualche mese, una donna bussò alla porta della foresteria. "Corvo Brillante, è questo il modo di andarsene?" Chiese, non appena lui aprì. Jan si fece spazio e gli consegnò una lettera sigillata, indirizzata a lui.

Bertram la aprì con curiosità, leggendola avidamente, quando finì guardò la guaritrice con aria stupita. "In Francia? Come medici sul campo di battaglia?" Chiese incredulo, sebbene sapesse cosa aveva appena letto. La persiana annuì. "Per ordine del vescovo, Corvo." Aggiunse.


 

Bertram sorrise, pensando al nuovo viaggio. Per la prima volta non si sentì colpevole di quell'omicidio, era pronto a lasciare indietro l'abbazia ancora una volta. Adesso sapeva cosa volesse dire tornare a casa dopo una lunga assenza, e sapeva che ci sarebbe sempre stata una casa ad attenderlo.

 

And in the end, what is life if not the union of Heaven and  Hell themselves?

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