Piccoli Brividi

di Gino94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prigionieri di un incantesimo (chicken, chicken) ***
Capitolo 2: *** Un mostro in cattedra (creature teacher) ***
Capitolo 3: *** Ectoplasmi! (Ghost Camp) ***
Capitolo 4: *** 1,2,3...Invisibile! (Let's get invisible!) ***
Capitolo 5: *** La nascita di Slappy ***



Capitolo 1
*** Prigionieri di un incantesimo (chicken, chicken) ***


Ciao a tutti, allora la mia raccolta è un po' particolare perchè riguarda la famosa raccolta di libri dei "Piccoli Brividi", io ne sono molto appassionata ma il finale aperto di molte storie mi hanno piuttosto delusa e di conseguenza ho deciso di inventare io un finale alternativo, così, perchè mi va! XD Credo che pochi o nessuno leggerà questa raccolta ma sono speranzosa! ** Ripeto che sono SOLO FINALI ALTERNATIVI, quindi dovrete già aver letto i libri in questione per capirci qualcosa!
Detto questo buona lettura e..."STAI ATTENDO STAI PER PRENDERTI UNO SPAVENTO!".

Prigionieri di un incantesimo (chicken, chicken!)


La mia espressione cambiò radicalmente, mi voltai verso Cole e notai che anche lui era completamente sconvolto da ciò che aveva sentito.
“Ci ha di nuovo fatto l’incantesimo!” pensai esterrefatta e allo stesso tempo terrorizzata. Questa volta aveva deciso di trasformarci in maiali. Fissai ancora per pochi secondi Vanessa che sembrava decisamente scocciata dall’innocente rutto di Cole.
Improvvisamente mi accorsi che Cole si era messo in ginocchio, con la testa alzata rivolta a Vanessa: - ti prego Vanessa perdonaci!- piagnucolò implorandola –non volevamo essere maleducati!-. Mio fratello aveva ragione, come poco fa avevamo compreso Vanessa teneva molto alle buone maniere e l’unico modo per calmarla era quello di chiederle scusa. 
– Sì, scusaci- continuai io con la voce strozzata – abbiamo sbagliato, eravamo talmente felici che non ci siamo accorti…-.
Il cuore mi batteva all’impazzata, speravo con tutta me stessa che Vanessa ci avrebbe risparmiati, ma in segno di disappunto incrociò le braccia e scosse la testa: – Mi dispiace ragazzi, ma questa volta non vi aiuterò, vi avevo avvertiti poco fa e voi siete stati comunque maleducati, meritate una punizione -.
Il suo sguardo serio era fisso su di noi, nulla le avrebbe fatto cambiare idea. Mi sentì svenire “no, di nuovo no!”,cominciai a ricordare i brutti momenti che avevamo passato da galline, chissà da maiali!
Mi tremavano le gambe e comincia a sudare, che altro potevo fare?
– Ti prego! Faremo tutto quello che vuoi! Non trasformarci in maiali!-
Cole insistette, sperando in un qualche miracolo ma Vanessa non si scompose: –Mi dispiace Cole, ve lo siete meritato- detto ciò fece per uscire dalla stanza quando Cole le afferrò un lembo del lungo vestito nero –la prego, la prego!- aveva le lacrime agli occhi e la sua voce cinguettava, era disperato.
Vanessa si girò e vedendo Cole ai suoi piedi sorrise per poi scoppiare in una fragosa risata:
- Ahahahah! Ci siete cascati!- continuò a ridere, la fissai perplessa –pensavate che vi avessi di nuovo trasformato? Beh avrei potuto farlo, ma ho preferito farvi prendere un bello spavento! –.
Cole smise di piagnucolare e la fissò senza parole, io cercai di dire qualcosa ma riuscì solo a farfugliare qualcosa di incomprensibile, ero completamente esterrefatta, ma allo stesso tempo sollevata.
– Adesso avete capito come comportarvi vero? La prossima volta non sarà uno scherzo!- continuò Vanessa ritornata seria.
–S-sì! Certo! Scusaci ancora! – esclamai d’istinto. Mio fratello si alzò ancora con le lacrime agli occhi ma con un sorriso a trentadue denti stampato in viso. 
– Bene- disse Vanessa – ora potete andare- invitandoci ad uscire.
–Okey e ci scu….- non riuscì a finire la frase che sentimmo dei battiti alla porta di ingresso.
–Chi può essere? – esclamò Vanessa sorpresa – non bussa mai nessuno alla mia porta- . Ci avvicinammo all’ingresso e scorgendo dalla finestra notammo che qualcuno stava tirando dei sassi contro la porta.
“Oh no” pensai “se Vanessa li scopre anche loro saranno trasformai in animali!”, avvolta nei miei pensieri non mi accorsi che Vanessa e Cole erano già sulla soglia per scorgere i colpevoli. Li raggiunsi quando notai un ragazzo nascosto nella siepe, guardai meglioe capì che era Anthony.
 –Anthony!- gridai, forse non avrei dovuto farlo, ma il ragazzo si alzò e ci fissò.
– C-cole…c-che ci fai in casa sua?- balbettò.
Si era fatto vedere, notai la sua espressione stupitga e allo stesso tempo terrorizzata, Vanessa sospirò piuttosto arrabbiata.
–Anthony vattene subito da qui! – gridò Cole con aria nervosa. Vanessa si avvicinò a me e mi chiese se lo conoscevamo, feci “Sì” con la testa e come risposta lei si avvicinò e si rivolse ad Anthony: - sei stato tu a tirare i sassi? Perché? – lui la fissò, sembrava che volesse scappare ma non riuscisse.
– I-io…- cercò di spiegarsi – n-non è colpa mia…-.Vanessa sbuffò di nuovo e puntò il dito contro di lui per poi sussurrare:
–Ranocchio, ranocchio-.
“Ecco, ci risiamo!” pensai.
 
Ok, piuttosto banale come finale, ma non avevo molte idee per questa storia, anche se per adesso è la mia preferita. Spero che il finale alternativo vi sia piaciuto, più avanti ne metterò altri.
Grazie per la lettura!

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Capitolo 2
*** Un mostro in cattedra (creature teacher) ***


Ciao a tutti, eccovi un altro finale alternativo di un libro della collana dei "Piccoli Brividi". Questo si intitola "Un mostro in cattedra". Forse nel primo capitolo non l'ho spiegato ma la storia comincia esattamente dove il libro finisce, come se fosse una continuazione. Ho semplicemente allungato la storia già esistente per dare un finale più chiuso al finale aperto inventato dallo scrittore. Spero vi piaccia! ^^
Buona lettura.


Un mostro in cattedra


Marv sorrise di nuovo.
-Non sto scherzando Paul, ho davvero fame-.
Si avvicinò con aria minacciosa e subito indietreggiai terrorizzato.
Non era possibile!
Pochi minuti prima stavo per essere divorato dalla professoressa e adesso da suo figlio!
Mi voltai e vidi l’ascensore dietro di me, così mi venne un’idea.
Puntai il dito verso Marv e gridai: - oh no! Sì è risvegliata!-
-Cosa…?-
Marv si girò pensando che sua madre si fosse svegliata, ma lei era ancora stesa a terra, sembrava svenuta.
Velocemente entrai in ascensore e premetti il pulsante per andare al piano superiore. Prima che Marv potesse entrare le ante si chiusero e l’ascensore cominciò a salire. Mi accasciai contro la parete ed espirai profondamente, ce l’avevo fatta, ora rimaneva soltanto avvertire gli altri e raccontare l’accaduto, sicuramente mi avrebbero aiutato a fuggire dalle grinfie di Marv.
Velocemente uscì dall’ascensore e mi diressi verso il corridoio per poi raggiungere la mia stanza. Speravo con tutto me stesso che anche Brad fosse lì, così avrei potuto avvertirlo.
-Brad! Brad! Sei qui?!-
Mi precipitai nella mia stanza ma non c’era nessuno, guardai il mio letto e per una frazione di secondo mi venne l’impulso di fare le valigie e scappare. Ora che la direttrice era K.O. nessuno avrebbe potuto impedirmi di andarmene, ma quel pensiero fu subito scacciato: prima dovevo avvertire i miei amici e se era possibile salvare tutti i ragazzi.
“Questo collegio è un covo di mostri! Sicuramente anche gli altri insegnanti lo sono…” pensai, un brivido mi passò lungo la schiena al solo pensiero di altri mostri oltre alla Signora Margh e Marv.
Uscì velocemente dalla stanza alla ricerca degli altri, quando andai a sbattere contro qualcosa.
-Paul che stai facendo?- Molly mi fissò perplessa, insieme a lei c’era anche Celeste.
-Perché così di fretta?- chiese poi Celeste.
-Ragazze! La signora Margh…-
-Non c’è, forse sarà nel suo ufficio…- mi interruppe Celeste.
-No! Sta dormendo…ma non è quello il problema! Marv…- non finì la frase che sentì una specie di ruggito dietro di me.
Mi girai di scatto e vidi Marv a pochi metri da me che mi guardava con aria confusa.
-Perché sei scappato?- mi chiese.
Mi tremavano le ginocchia, le mani mi diventarono umide e comincia a sudare freddo.
-Marv…n-no mangiarmi…ti prego- dissi disperato.
Il ragazzo sgranò gli occhi e si avvicinò, io indietreggiai e lo stesso fecero Molly e Celeste.
-Mangiarti?- mi chiese Marv inclinando il capo –Io non ho intenzione di mangiarti!-
-Cosa?!- ero confuso e allo stesso tempo terrorizzato.
- Siamo amici Paul, te l’ho detto, io non mangio i miei amici-
Mi sentii sollevato, forse Marv non era come la madre, forse lui non mangiava gli essere umani.
-Davvero?- forse ero salvo.
-Davvero, non ti mangerò ma…- puntò il dito verso la mia direzione, ma non voleva indicare me, bensì le ragazze dietro.
-Mangerò loro!- urlò leccandosi le labbra.
 
-Noi??!- urlò Celeste con voce strozzata.
Le ragazze si strinsero terrorizzate, le sentì gemere di paura.
-No Marv! Non puoi mangiarle, sono mie amiche!- esclamai.
-Mi dispiace Paul, ma loro non sono mie amiche anzi, mi hanno sempre evitato e mi hanno sempre trattato male, quindi ora le mangerò e se cercherai di fermarmi non te lo perdonerò-.
La bocca di Marv si allargò enormemente, comparvero moltissimi denti appuntiti e una lingua lunga piena di saliva uscì dalla bocca muovendosi energicamente. Il corpo cominciò ad ingrandirsi, le mani e i piedi si fecero più gonfi e le unghie divennero degli artigli, gli occhi si gonfiarono tanto che sembravano uscissero dalle orbite. Mi ero sbagliato, Marv era uguale alla madre, solo un po’ più piccolo.
Molly e Celeste si lasciarono sfuggire un urlo acuto stringendosi ancor più. La testa cominciò a farsi pesante e le gambe sembravano di gelatina. Non sapevo cosa fare, riuscì solo a guardare quella orribile mutazione e Marv che si avvicinata sempre di più con occhi famelici.
-Ho molto…appetito!- ruggì il mostro.
In preda al panico cercai disperatamente una soluzione, un modo per scappare, ma le gambe non volevano muoversi, sembrano incollate al suolo.
Ad un certo punto, come un abbaglio, mi ricordai una cosa.
Mi girai verso le ragazze che stavano piangendo.
-Non preoccupatevi, ci penso io, non muovetevi- sussurrai.
Senza perdere tempo mi avventai verso il mostro, mi buttai a terra e con enorme disgusto cominciai a solleticargli i piedi umidi.
“Forse se lo faccio ridere, anche lui si addormenterà come la signora Margh” pensai, non ero sicuro, ma un tentativo dovevo farlo.
Marv mi fissò confuso mentre cercavo disperatamente di farlo ridere.
Sentì una risata provenire dalla bocca del mostro, ma non era dovuta al solletico
-Ahahah! Credevi davvero che anche io, come mia madre avrei sofferto il solletico?! Mi dispiace ma con me non funziona!- .
Mi rivoltai sulla schiena e cominciai a strisciare indietro, avevo fallito.
-Come hai potuto Paul? Noi siamo amici! Adesso dovrò mangiare anche te!-
Il cuore batteva talmente forte che sembrò uscirmi dal petto, ero spacciato, ci avrebbe mangiati tutti.
 
Il mostro avanzò aprendo e chiudendo la bocca velocemente portandosi davanti a sé le enormi braccia.
“Cosa posso fare? Non possiamo scappare, ci raggiungerebbe!”
Le ragazze urlarono di nuovo quando io mi alzai di scatto lasciandomi sfuggire un sorriso nervoso.
-Vuoi davvero mangiare questi stuzzicadenti?- esclamai indicando Molly e Celeste.
-Sono talmente striminzite che riusciresti solo a mangiare le ossa! Ti consiglio di usarli dopo il pasto per pulirti i denti!-.
Marv si lasciò scappare una risatina quasi divertito dalla mia battuta, il piano stava funzionando.
-Ma lasciando stare che sono due stecchini…hai sentito quanto puzzano? Puzzano talmente tanto che se dovessi mangiarle ti rimarrebbe l’alito di uovo marcio per una settimana!-
La risata del mostro aumentò.
-Paul…ma che stai…?- mi chiese Celeste
-Lasciami fare- le risposi interrompendola.
-E poi sono così stupide! Ma talmente stupide che se chiedo loro “Quando mi vuoi vedere?” ti rispondono “Ma io ci vedo già!”-
Marv continuò a ridere, sempre più forte tanto che il corpo si piegò in due.
-Beh Paul, tu sei così maldestro che cammini con un passo e un inciampo!- esclamò Celeste.
Le risate si fecero sempre più acute, tanto che rimbombarono in tutto il corridoio.
-Basta…ahahahah! Vi prego, basta! Ahahahahah!-
Marv non riusciva nemmeno a parlare, ad un certo punto le sue gambe cedettero e con un tonfo cadde a terra in un sonno profondo.
Mi avvicinai con cautela e con il piede toccai il suo corpo tozzo. Non si mosse di un millimetro, sentì il suo respiro profondo.
-Paul come facevi a sapere il suo punto debole?- mi chiese Molly ancora un po’ scossa.
-E’ stato proprio lui a dirmi il loro punto debole, mi ha aiutato a far addormentare la Signora Margh, ma non aveva previsto che sarebbe successo anche a lui- risposi asciugandoli il sudore dalla fronte.
-Ci hai salvate!- mi ringraziò Celeste con le lacrime agli occhi.
-Ma ora cosa facciamo? E come spiegheremo l’accaduto?- chiese Molly.
-Non lo so- risposi, fissando ancora una volta il corpo di Marv.
-Ma di una cosa sono sicuro, le cose cambieranno d’ora in poi-.
 
Spero vi sia piaciuto il finale, forse anche questo un po' aperto ma credo (almeno per me) più soddisfacente di quello originale. XD
Vi ringrazio e al prossimo racconto!

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Capitolo 3
*** Ectoplasmi! (Ghost Camp) ***


Eccomi di nuovo qui con un altro capitolo e un altro finale alternativo, o forse un altro finale banale, ma vabbe!
Buona lettura!

 


Ectoplasmi! (Ghost Camp)


-Noooooooo!-
gridai.
-Ti prego Harry, ti prego- mi implorò mio fratello, anzi Elvis.
-No! Vattene! Rivoglio mio fratello!- gridai di nuovo.
Non potevo credere alle mie orecchie, davanti ai miei occhi c’era Alex ma non era lui. Non era riuscito a sfuggire alle grinfie di quei fantasmi e ora era diventato lui un fantasma.
-Dov’è mio fratello? Ridammi mio fratello!-
- Non so dove sia Alex, credo sia ancora nel bosco, ora che mi sono impossessato del suo corpo il suo spirito è rimasto nel bosco, e credo che ci rimarrà finche non arriveranno altri campeggiatori e potrà così impossessarsi di uno di loro-.
Era vero, ormai per lui non c’era più nulla da fare. Eppure non volevo fingere che Elvis fosse mio fratello, dovevo riportarlo indietro, nel suo corpo.
Fissai il viso implorante di Alex cercando una soluzione, ma nella mia mente vedevo solo quegli orribili spiriti che cercavano di entrare nei nostri corpi.
Mi tremavano le gambe ma riuscì lo stesso a dare uno spintone a Elvis, tanto da farlo cadere sul terriccio umido e a scappare nel bosco alla ricerca di mio fratello.
-Harry! Harry! Non farlo! Si impossesseranno anche del tuo corpo!- Sentì urlare Elvis, ma non mi voltai e continuai a correre più veloce che potevo.
Mi sembrava di correre da una vita ma ad un certo punto pensai che fosse meglio fermarsi per riprendere fiato e pensare a dove potesse essere finito Alex. Mi guardai attorno per capire dove potevo essere finito, ma il bosco sembrava tutto uguale: stessi alberi alti con i tronchi spessi, grandi cespugli e rumori inquietanti di sconosciuta provenienza. Quando ero scappato dagli ectoplasmi non avevo idea di dove potessi finire, ero troppo spaventato per pensarci, l’unica cosa importante era fuggire.
Mi sedetti appoggiandomi al tronco di un albero per riposare, quando un brivido mi percosse tutta la schiena, alzai lo sguardo e dal cielo, quasi del tutto coperto dalle chiome degli alberi, scese una fitta nebbia biancastra.
I miei occhi si offuscarono, non riuscivo più a vedere nulla, cercai di alzarmi ma le mie gambe non volevano muoversi, la nebbia si faceva sempre più fitta quando sentì delle voci.
-Harry…Harry…- fece una voce femminile, quasi sussurrata.
-Chi sei?- chiesi con voce strozzata.
Tutto d’un tratto la nebbia sparì e davanti a me vidi Lucy.
-Lucy!- gridai.
-Harry…- l’ectoplasma si avvicinò lentamente –Sei tornato…ti sei deciso a lasciarmi entrare nella tua mente?-.
-No!- esclamai, riuscì ad alzarmi quando vidi altri ectoplasmi sgusciare da dietro gli alberi.
Vidi lo Zio Marv e tutti gli altri campeggiatori che mi fissavano.
-Dov’è mio fratello?!- chiesi a loro, ma nessuno rispose.
-Ti prego Harry- mi disse poi Lucy –lasciami entrare…-
-Noooooo!- cercai di scappare, ma ero circondato.
Era stata un pessima idea tornare indietro, probabilmente questa volta non sarei riuscito a scappare.
I fantasmi si avvicinarono sempre più, sembrava la fine, quando mio fratello sbucò da dietro un cespuglio e si buttò in mezzo agli ectoplasmi.
-Harry, andiamocene!- esclamò, ma quella era la voce di Elvis.
-Elvis, sei tu?- chiese poi lo Zio Marv.
-I-io…- cercò di rispondere ma le parole gli si mozzarono in gola.
-Ce l’hai fatta Elvis, ma adesso non ti lasceremo andare via con Harry- disse lo Zio Marv con tono severo.
- No lasciatemi! Questo corpo adesso è mio!- rispose cercando di farsi largo tra gli spiriti.
-Dateci il vostro corpo, subito!- gridarono alcuni campeggiatori.
Cercai una via d’uscita, il cuore mi batteva all’impazzata, i miei occhi scattavano nervosamente fissando i vari campeggiatori.
-Alex! Alex! Dove sei? Aiutami!- gridai disperato.
Stranamente non lo vidi in mezzo agli altri, perché non era lì?
-Alex!- gridai di nuovo, i fantasmi ormai erano a pochi centimetri da me e cominciarono a cantilenare “fateci entrare, fateci entrare”.
-H-Harry…-
Sentì la voce di Alex, mi guardai attorno ma non capì da dove proveniva.
-Alex! Dove sei?- gridai di nuovo, la mia mente cominciò ad offuscarsi, ma dovevo resistere.
-H-Harry..finiscila…- disse Elvis, sembrava stesse soffrendo.
Vidi che era in ginocchio circondato da altri campeggiatori, ma non era per loro che stava così male, bensì stava lottando contro qualcos’altro.
Così capì.
Mi feci largo tra i vari ectoplasmi e balzai addosso al corpo di Alex buttandolo a terra.
-Alex! Svegliati! Lo so che sei ancora lì dentro!- gridai scuotendo il corpo di mio fratello.
-No…Harry…no…- mi implorò Elvis.
L’alito degli ectoplasmi mi sfiorò l’orecchio, il più vicino a me disse: -Adesso sei mio!-.
La mia testa si fece sempre più pesante e facevo fatica a parlare.
-Alex…c-canta…c-canta..- riuscì solo a dire.
L’ultima cosa che sentì fu la voce soave e intonata di mio fratello che cantava una delle strofe della canzone del campeggio Spirito Lunare, poi la mia mente brancolò nel buio più totale.
 
Era una notte molto fredda, forse anche troppo per essere estate, la brezza del vento mi gelava il volto e la sentì scompigliarmi i capelli.
Aprì gli occhi lentamente, ma vedevo ancora piuttosto sfocato. Ci misi una manciata di secondi prima di focalizzare il paesaggio intorno a me.
Ero ancora nel bosco, nel buio più totale, sentì il vento sfiorare le sfoglie degli alberi emettendo un rumore piuttosto sinistro, mi guardai in giro, nessuna traccia degli ectoplasmi e nessuna traccia di Alex.
“Cosa è successo? Sono diventato un ectoplasma anche io?”
Mi toccai ripetutamente le gambe, il busto, il volto e mi controllai le mani, sembravo vivo.
-Alex?- esclamai, ma nessuno mi rispose.
Gridai di nuovo il suo nome, quando qualcuno mi bloccò da dietro tappandomi la bocca.
-Harry sei impazzito?! Quelli potrebbero sentirci!-
Mi girai e vidi mio fratello che indispettito si guardava in giro.
-Alex…s-sei tu?- balbettai –O sei ancora Elvis?-
-Shhh- mi zittì – Dobbiamo andarcene da qui!- mio fratello, o meglio, il corpo di mio fratello, mi prese per un braccio e mi tirò, io però mi bloccai e mi liberai dalla presa.
-Che stai facendo?!- sbottò piuttosto nervoso.
-Tu non sei Alex…- dissi ancora scosso.
Alex sorrise e cominciò a canticchiare.
Dalla sua bocca uscì una voce fluida, intonata, era davvero quella di mio fratello.
-Ora sei convinto?- mi chiese sorridendo.
-Siamo dei fantasmi?- gli chiesi ancora confuso.
-Fortunatamente no, non so come sia successo ma, ad un certo punto ho visto tutto nero, sembrava mi fossi addormentato poi…poi ho sentito la tua voce che mi chiedeva di cantare, pensavo fosse un sogno, io ho cantato e subito dopo mi sono svegliato- cominciò a camminare e lo seguì.
- Appena mi sono svegliato, mi sono ritrovato davanti Elvis, Lucy, lo zio Marv e tutti gli altri campeggiatori che volevano di nuovo entrare nella mia mente-.
Lo ascoltai in silenzio, mente camminavamo nella boscaglia senza una meta precisa, fece una pausa e poi continuò.
-Ad un certo punto è scesa di nuovo quella nebbia e senza pensarci sono venuto a cercarti, eri svenuto, così ti ho trascinato più lontano che potevo-.
-Meno male che siamo salvi, cerchiamo di uscire in fretta da questo bosco- dissi facendo un respiro di sollievo, finalmente Alex era ritornato in sé.
-Sì ma…adesso cosa facciamo? Anche se riuscissimo ad uscire da questo bosco, come faremo a ritornare a casa?-
Alex si fermò e mi fissò preoccupato.
Gli sorrisi e gli diedi una pacca sulla spalla.
-Tu continua a cantare Alex, e vedrai che andrà tutto bene.-
Guardai il cielo, la luna stava scomparendo.
Finalmente l’alba.
 
Non so per quale motivo, ma i miei sono tutti lieto fine...mi sa che il prossimo non lo farò tanto lieto (muahahahahah!).
Spero vi si piaciuto il finale e comunque se vi interessa avrei una proposta da farvi! (UNA PROPOSTA CHE NON POTRAI RIFIUTARE! *voce da mafioso*).
Pensavo che se volete potete dirmi voi, attraverso i commenti, che storie scegliere e come vorreste un particolare finale. Io intanto ho intenzione di leggermi tutti i libri di quella collana, di conseguenza se non li ho ancora letti li leggerò e, se non vi è piaciuto un particolare finale e lo vorreste in un altro modo, io potrei scriverlo per voi!
Fatemi sapere e grazie per aver letto!

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Capitolo 4
*** 1,2,3...Invisibile! (Let's get invisible!) ***


Eccomi qui con un nuovo capitolo!
D'ora in poi, ho deciso che metterò le ultime frasi orginali del libro, così da non disorientarvi troppo! Buona lettura.

1,2,3...Invisibile! (Let's get Invisible!)


Dal libro:
"Mancino si preparò al lancio.
No! Non era possibile! Era uno scherzo, un'illusione ottica!
Mancino lanciò, ma stavolta non cercai di prendere la palla.
Ero incapace di muovermi, paralizzato dal terrore.
Mio fratello aveva lanciato con la mano destra!"



-Hei Max, ti senti bene?- mi chiese Mancino fissando il mio volto incredulo.
Ci  misi qualche secondo a rispondere perché i miei pensieri erano ancora confusi. Come era possibile che adesso mio fratello tirasse con la destra?
-Sì, scusa, mi sono distratto.- solita scusa senza senso, ma sinceramente non avevo idea di cosa rispondere.
Nella mia mente continuavo a vedere Mancino che tirava la palla con la mano destra, cercai di capire cosa fosse accaduto o se mi stessi preoccupando per nulla, forse si era allenato con la mano destra e io non ne sapevo nulla.
Impossibile! Mancino aveva sempre usato la sinistra, sempre.
Rimuginai a lungo sull’accaduto, tanto da non accorgermi che mio fratello – o quello che poteva sembrare- si era stufato di vedermi pensieroso e si era messo a giocare da solo.
Finalmente, dopo svariati minuti ricollegai tutto: il giorno prima, dopo essere rimasto invisibile per dieci minuti, mi era sembrato diverso, quasi freddo e distaccato come Erin e Zack, o per meglio dire, come i riflessi di Erin e Zack. Mi tornò alla mente anche la chiamata di Mancino ai miei amici dicendo che avevo cambiato idea riguardo lo specchio.
-Ma certo!- esclamai convinto di aver trovato la soluzione.
Quello che prima stava giocando con me e che ha tirato con la mano destra non era Mancino bensì la sua immagine riflessa.
Ma come era possibile?
Quando lo specchio si ruppe tutti i riflessi erano tornati nello specchio, perché quello di Mancino no?
Che sia rimasto troppo tempo in questa dimensione e adesso appartenesse a questo mondo?
Il pensiero mi fece rabbrividire, dovevo assolutamente portare mio fratello indietro. Anche se questo nuovo Mancino era molto più calmo e serio, e la cosa non mi dispiaceva molto, non era affatto mio fratello. Pensandoci bene cominciò a mancarmi il buon vecchio Mancino, sempre attivo e sempre in vena di fare scherzi.
Mi precipitai in camera mia e presi il telefono, dovevo chiamare assolutamente Zack e gli altri, dovevo chiedere il loro aiuto per far tornare indietro Mancino. Era talmente nervoso che sbagliai più e più volte il numero di Zack finche dopo il terzo tentativo ci riuscì.
-Pronto.- fece Zack, avevo riconosciuto la sua voce.
-Zack ti devo parlare- esclamai senza nemmeno presentarmi.
-Sei tu Max?- mi chiese.
-Certo, sono io, ascolta domani tu, Erin e April dovete venire a casa mia!-  sbottai tutto d’un colpo senza nemmeno spiegarmi.
-Perché? Cosa è successo?- mi chiese di nuovo confuso.
-Riguarda lo specchio- gli risposi semplicemente, ero sicuro che avrebbe capito.
-Oh no no!- fece con una punta di disappunto –Basta con quello specchio, ci ha già portato abbastanza guai!-.
Zack era spaventato quanto me dopo quello che era successo, non tutti i ragazzini hanno l’occasione di vivere un’avventura come la nostra, non credete?
-Lo so Zack, anche io avrei non avuto più averci a che fare con quel maledetto specchio, ma riguarda anche Mancino- risposi con tono triste.
-Che gli è successo?- mi chiese
-Credo che sia ancora intrappolato nello specchio-
-Cosa?? Ma ne sei sicuro?-
Gli raccontai di oggi pomeriggio e del suo comportamento ambiguo in questi giorni, ero molto triste al pensiero che mio fratello non fosse tornato.
-Max, sinceramente non so se ho voglia di vedere ancora quello specchio- ammise Zack.
E come biasimarlo?
-Lo so, ma solo voi potete aiutarmi- lo implorai –Per favore-.
Dopo qualche minuto discussione riuscì a convincerlo, ci demmo appuntamento per il pomeriggio seguente insieme a Erin e April. Elaborai con Zack un piano che forse avrebbe portato indietro Mancino. Non sapevo se avrebbe funzionato ma era la sola chance che avevo.
 
Il giorno dopo a pranzo tirava una certa aria pesante, fissavo incessantemente mio fratello, notando ogni suo strano comportamento, convincendomi ancora di più che non fosse lui. Avevo lo sguardo fisso sul purè di patate e con la forchetta mischiava l’intruglio per poi portarlo alla bocca.
-Che strano silenzio, non è da voi- fece notare la mamma, portandosi un pezzo di salsiccia alla bocca –Cosa mi raccontate di bello?-.
-Beh…- incominciai io, guardando un ultima volta mio fratello, che zitto mangiava il suo pranzo.
-Ho letto su una rivista che tempo fa alcune persone credevano che gli specchi rubassero l’anima-.
Non raccontai quella leggenda a caso, lo feci aspettandomi una chissà quale reazione di Mancino ma, a mio malgrado non mostrò alcun interesse in ciò che avevo detto.
-Che assurdità!- rispose la mamma ridendo.
 
Per il resto del tempo rimasi in camera mia tutto il tempo, aspettando con ansia che arrivassero gli altri, controllai l’orologio più e più volte. Mancino, o meglio, il clone di Mancino era uscito per andare a giocare a Baseball con amici, così quando Zack e le ragazze fossero arrivati avremmo avuto tutto il tempo per mettere in atto il nostro piano.
Alle tre in punto sentì suonare il campanello, mi precipitai in soggiorno e aprì la porta. Vidi Zack e Erin all’entrata.
-E April?- chiesi guardandomi in giro.
-Doveva fare la babysitter- rispose Erin accomodandosi in casa.
-Zack mi ha raccontato tutto- continuò lei –Ma sei sicuro di quello che dici?-
-Credo di sì…- risposi titubante.
-Ma come facciamo a portarlo indietro, lo specchio è rotto!- fece notare Erin.
-Avevo già pensato anche a questo- risposi –Dobbiamo aggiustarlo, dobbiamo incollare i vari pezzi-.
-Ma è impossibile!- protestò Zack.
-Dobbiamo almeno provarci-.
In fretta e furia, salimmo in soffitta, facendo attenzione che la mamma non ci notasse.
Entrammo nella stanza segreta e come al solito appoggiai il cartone alla porta per non farla chiudere.
Una miriade di cartoni apparvero davanti ai miei occhi, avevamo nascosto lo specchio dietro di essi e con cura cominciammo a toglierli tutti.
-Dove sono i frammenti dello specchio?- mi chiese Zack.
-Li ho messi in uno di questi cartoni-.
Cominciammo a frugare in tutti i cartoni ma nessuno di quelli conteneva i pezzi dello specchio.
-Sei sicuro di averli messi qui?- mi chiese Erin confusa.
-Sì sono sicurissimo!- risposi esterrefatto.
Li ricontrollai tutti uno per uno ma dei frammenti nessuna traccia.
Dove erano finiti?
Che il finto Mancino li avesse buttati via durante la notte?
Alzai lo sguardo verso lo specchio, era stato coperto da un velo grigiastro per evitare che qualcuno si specchiasse ancora.
Presi un lembo del lenzuolo e lo tirai scoprendolo ciò che c’era sotto.
Sia io che Erin e Zack, alla visione dello specchio rimanemmo a bocca aperta.
-Come è possibile?- esclamò Zack incredulo.
Lo specchio era stato aggiustato, tutti i pezzi erano stati messi al loro posto e non vi era nemmeno un accenno di crepe, sembrava nuovo di zecca, come se non lo avessimo mai rotto.
-Ma…- non riuscì a dire nient’altro, non potevo credere ai miei occhi.
-Questo specchio è malvagio- ammise Erin spaventata.
-Meglio così, non dobbiamo perdere tempo ad aggiustarlo- scherzò Zack, ma aveva ragione.
-Ora dobbiamo solo attirare qui Mancino, cioè, il riflesso di mancino.-
Mi avvicinai allo specchio, avevo una paura tremenda nel vedere la mia immagine riflessa poiché mi ritornò alla mente il momento in cui l’altro me mi inseguì dentro lo specchio.
-E poi?- chiese Erin –Poi cosa facciamo?-
-Beh…- cercai di rispondere con lo sguardo fisso sullo specchio –Accenderò la luce e poi non so che accadrà-
-E se non dovesse tornare indietro? E se cercasse di farci ritornare invisibili?- esclamò Erin terrorizzata all’idea.
-Non succederà- la rassicurai –Dobbiamo evitare a tutti i costi che questo accada!-.
Sentì la porta d’ingresso sbattere e la voce di Mancino che avvisava la mamma del suo arrivo.
-E’ qui!- esclamò Zack –Come lo attiriamo in soffitta?-
Feci per rispondere quando sentì la voce della mamma.
-Vai a vedere dove si è cacciato Max- ordinò a Mancino –Credo sia di nuovo in soffitta-.
-Mamma non credo sia il caso…- rispose Mancino .
-Dai, vai a vedere-.
Oh grazie mamma! A quel punto mio “fratello” dovette venire in soffitta per non destare sospetti.
Lo sentì salire le scale ed entrare.
-Eccoti qui!- lo accolse Zack con un sorriso.
Mi chiesi che idea aveva.
-Cosa state facendo?- chiese Mancino sospettoso.
-Stiamo decidendo di cosa fare dello specchio- rispose Zack mettendogli una mano sulla spalla.
-Ma è rotto…- rispose.
-No, si è aggiustato da solo- ammise Zack –Vieni, ti faccio vedere-.
-No io…- Mancino cercò di inventare una scusa ma a quanto pare non gli venne in mente nulla.
Zack lo trascinò nella stanza e io ebbi il modo di notare il terrore nei suoi occhi.
Alla vista dello specchio illeso anche Mancino spalancò la bocca.
-Ma come è possibile? Mi ricordo di averlo rotto con la palla da baseball!- esclamò.
-Nemmeno noi sappiamo perché- rispose Erin.
Mi avvicinai a mio fratello ancora tra le grinfie di Zack.
-Oh beh, io adesso devo scendere- disse tutto d’un tratto preoccupato.
-Perché scusa? Non ti piace più lo specchio?- gli chiesi con un sorriso beffardo.
-Dopo quello che è successo no…- capì che stava facendo di tutto per allontanarsi.
Zack lo teneva stretto per una spalla e io l’afferrai dall’altra.
-Che volete…- cercò di dire Mancino guardandoci entrambi terrorizzato, Erin si piazzò sotto la catenella della lampada.
-Adesso!- gridai e sia io che Zack spingemmo il falso Mancino verso lo specchio ed Erin tirò la cordicella.
Un lampo di luce mi abbagliò e Mancino sparì.
Fu fantastico il mondo in cui ci intendemmo senza aver pianificato nulla.
-Adesso?- mi chiese Erin.
Mi guardai in giro e chiamai Mancino più e più volte ma non rispose nessuno.
-Aspettiamo ancora un attimo e poi tira di nuovo la cordicella- ordinai a Erin.
Non ero affatto sicuro di quello che stavo facendo, così improvvisai sperando in un miracolo.
Passarono diversi minuti e la tensione saliva sempre più. Erin teneva in mano la cordicella, pronta a tirarla da un momento all’altro, mente Zack si sedette per terra con le mani incrociate.
-Posso tirarla ora?- chiese Erin impaziente.
-Sì- le risposi fissando la porta.
La luce intensa di spense e l’oscurità regno nuovamente nella stanza, Zack si alzò e cominciammo a guardarci in giro con occhi vigili.
-Perché non è ancora tornato?- chiese Zack.
-Abbi pazienza- cercai di rassicurarlo ma io stesso ero agitatissimo. Il cuore mi batteva a mille e non avevo idea di chi sarebbe tornato indietro.
I minuti passarono ma nessuno apparve, Erin controllava continuamente l’orologio e subito dopo alzava la testa per fissare lo specchio.
-Max, sono già passati dieci minuti e non è tornato nessuno- mi fece notare Erin.
Cominciai a chiamare il nome di mio fratello in mondo insistente, ma a mio malgrado nessuno rispose.
-Cosa facciamo? Adesso sono spariti entrambi!- puntualizzò Zack portandosi una mano tra i capelli metà lunghi e metà corti.
Fissai il vuoto per qualche secondo, spremendomi le meningi per trovare una soluzione, ma per mia sfortuna ce n’era solo una.
-Vado a prendere mio fratello- risposi, la pelle mi si accapponò –Diventerò invisibile ed entrerò nello specchio-.
Non avrei mai voluto farlo accidenti, ma era mio fratello!
-Ma Max…- sibilò Erin –E se non dovessi ritornare nemmeno tu?-.
Grazie Erin, come se non fossi già spaventato di mio.
Non le risposi e avanzai verso lo specchio ritrovandomelo a qualche centimetro dal naso.
-Accendi la luce- le ordinai.
Nessuno indugiò oltre e la lampada si accese.
Vidi di nuovo quella fastidiosa luce che mi bruciava gli occhi, mi girai in direzione dei miei amici che guardavano un punto imprecisato della stanza.
-Max, sei qui?- chiese Zack.
-Sì…- risposi –Per adesso-.
Cominciai a sentirmi leggero e sempre più lontano da loro, mi lasciai fluttuare in alto e senza che me ne accorgessi la luce divenne sempre più intensa.
Una moltitudine di colori danzavano davanti ai miei occhi e la luce non accennò a diminuire. Sebbene avessi già sperimentato quell’esperienza non riuscivo proprio ad abituarmici.
Cominciai a correre nel vuoto o per meglio dire, nella luce.
-Mancino!- lo chiamai –Dove sei?-.
Gridai il suo nome senza sosta continuando a correre finche uno strano sussurro mi fermò.
-Max!- una voce mi chiamò.
La sentì a malapena, era debole e sembrava lontana,  pensai  fosse quella di Zack o di Erin, ma subito mi accorsi che proveniva da dentro lo specchio.
-Max!- fece di nuovo, la voce rimbombava ovunque –Aiutami!-.
Era la voce di Mancino!
Cercai di capire da dove provenisse, ma sembrava che fosse ovunque, che non venisse da un punto preciso.
Continuai a correre sempre più veloce accorgendomi di come la voce di Mancino  si alzava sempre più ad ogni mio passo.
-Sto arrivando fratellino! Tieni duro- esclamai.
Vidi ombre muoversi in tutte le direzioni e la luce cominciò ad accecarmi la vista da quanto era luminosa. Però continuai ad avanzare seguendo la voce di Mancino che mi implorava aiuto.
Non avevo idea di quanto tempo stavo correndo, mi sembrarono secoli quando la voce guida cessò.
Smisi di correre chiamando ancora mio fratello, ma non rispose nessuno.
Le ombre si fecero sempre più vicine oscurandomi la vista, chiusi gli occhi per qualche secondo e quando gli riaprì vidi me stesso.
-Sei tornato Max- esclamò il mio riflesso con un sorriso gelido –Vuoi fare lo scambio?-
-No!- esclamai –Voglio riportare indietro mio fratello!-.
-Non puoi- rispose –E’ stato troppo tempo qui dentro e ora ci rimarrà per sempre.-
-Non è possibile. Non ti credo!- speravo con tutto me stesso che stesse mentendo, cominciai a tremare al pensiero che mio fratello fosse prigioniero di quel maledetto specchio per l’eternità.
-E invece è così!- tuonò il mio riflesso –E ora, facciamo lo scambio!-
-No!-.
Spinsi l’atro me con forza facendolo cadere a terra per poi correre più lontano che potevo da lui.
-Mancino ti prego rispondi!- implorai.
-Max!- lo sentì di nuovo chiamarmi, non ero mai stato così felice di sentire la tua voce.
-Dove sei?-
-Non lo so…-.
Mi guardai in giro ma vidi solo la solita luce e altri colori che cambiavano ogni secondo. Tutta un tratto un’altra ombra mi si piazzò davanti e mi bloccò il passaggio.
Vidi solo gli occhi spenti e l’espressione triste ma non riuscì a focalizzare per bene la sagoma davanti a me.
-Non puoi liberarti di me- fece la sagoma.
Indietreggiai di qualche passo e pian piano i miei occhi riuscirono a distinguere l’ombra: era mio fratello.
-Tu sei il riflesso di Mancino- esclamai indicandolo.
-Io posso essere un fratello migliore- cercò di convincermi.
-No, io rivoglio mio fratello, quello vero!- urlai.
-Non puoi- rispose una voce dietro di me, mi girai e vidi di nuovo me stesso –Ora voi due appartenete a questo specchio e ci rimarrete per sempre!-
Mi avevano circondato e non avevo nessuno via di fuga, i due si avvicinarono e, prendendomi per entrambe le braccia mi bloccarono. Cercai di liberarmi dalla loro morsa dimenandomi come un animale in trappola ma erano troppo forti e riuscirono a tenere la presa.
-Finalmente!- esclamò il mio riflesso soddisfatto –Possiamo uscire da questo specchio e vivere!-.
Cercai di urlare, di chiamare Zack e Erin ma dalla bocca non uscì alcun suono, pensai di arrendermi, che non c’era più nessuna possibilità quando qualcosa si avventò sul finto Mancino facendolo cadere a terra.
Vidi Mancino, quello vero, che ansimando fissava il suo riflesso. Velocemente mi liberai dalla presa del mio gemello e presi mio fratello per mano.
-Dobbiamo andarcene di qui!- gli ordinai.
Lui non protestò, annuì e cominciammo a correre.
-Noooo!- sentì gridare dietro di noi.
Sapevo che i due riflessi ci stavano rincorrendo ma se mi fossi voltato avrei perso secondi preziosi  così mi limitai a correre, più veloce che potevo con il vero Mancino in parte a me.
Notai la stessa luce che mi aveva accompagnato in tutto il percorso farsi più luminosa davanti a me, come se ci guidasse verso l’uscita, la sentì calda e rassicurante e avanzando sempre più verso quella direzione cominciai a sentire le voci di Zack e Erin.
-Ragazzi spegnete la luce presto!- gridai.
-Max, il tuo riflesso ci sta raggiungendo!- mi avvisò Mancino senza fiato.
-Non dobbiamo fermarci-.
Sentì che mi stavo avvicinando all’uscita, la luce si fece sempre più intensa e dovetti chiudere gli occhi.
-Ci siamo quasi!- dissi a mio fratello.
All’improvviso una mano mi afferrò la gamba facendomi cadere.
-Max! Il tuo riflesso!- urlò Mancino.
Sentì la mano salda del mio gemello trascinarmi indietro, cominciai a scalciare violentemente cercando di liberarmi dalla presa.
-Corri Mancino, corri!- ordinai a mio fratello.
Sentì i suoi passi allontanarsi e capì che aveva ricominciato a correre.
-Non te ne andrai di qui!- gridò l’altro me afferrandomi la gamba con più ferocia.
-Nooooo!- gridai, con tutta la forza che avevo in corpo strizzai gli occhi e mi dimenai con entrambe le gambe.
Quando aprì gli occhi la vista era annebbiata. Strofinai gli occhi e mi accorsi che il mio riflesso non mi stava più tirando.
-Max? Stai bene?- sentì la voce squillante di Erin vicino a me.
Quando aprì nuovamente gli occhi mi accorsi di essere nella stanza segreta, in soffitta.
Ero steso sul pavimento e i ragazzi mi stavano fissando preoccupati.
-Che è successo?- chiesi frastornato.
-Abbiamo spento la luce e siete tornati indietro- rispose Zack.
Mi alzai e mi avventai su Mancino, lo vidi lanciare la palla da baseball contro il muro e riprenderla, con la mano sinistra!
-Mancino!- lo chiamai –Sei tu?-
Mio fratello si girò e cominciò a sghignazzare.
-E chi vuoi che sia?- rispose sarcastico.
-Ce l’hai fatta Max!- esultò Erin gettandosi tra le mie braccia.
-Bleah!- esclamò Mancino disgustato, io invece divenni rosso come un peperone.
 
Dopo quella faticosa e terrificante avventura decidemmo di disfarci definitivamente dello specchio. Lo portammo in discarica e lo abbandonammo in mezzo a un cumulo di rifiuti.
Non mi ero mai sentito meglio in vita mia, ora tutto era tornato a posto. Basta con il diventare invisibile e basta con la soffitta.
Io e Mancino rimanemmo in camera tutta sera a parlare di quello che era accaduto, mi raccontò di quanto fu terrorizzato rimasto intrappolato nello specchio per tutto quel tempo, del suo riflesso che lo aveva obbligato con la forza e di tutto il resto. In fine decidemmo di non raccontare a nessuno quella storia e di farne il nostro più grande segreto.
Era piuttosto tardi ed ero stanco morto. Fare avanti e indietro da uno specchio era piuttosto snervante per non dire faticoso. Mi precipitai in bagno per lavarmi i denti, accesi la luce e mi guardai allo specchio. Mi fissai per parecchi secondi e notai che avevo un ciuffo fuori posto, subito presi un pettine e me lo sistemai. Dopo aver lavato i denti,  mi guardai un altro secondo allo specchio controllando che ogni capello fosse al suo posto e uscì dal bagno.
-Max…- un sussurrò mi bloccò i movimenti.
Mi guardai in giro, forse era la mia immaginazione.
-Max…- lo sentì di nuovo, capì che proveniva da dietro di me.
-Molto divertente Mancino!- ironizzai.
-Max…- sentì di nuovo.
Mi girai pronto a scovare mio fratello quando, guardando lo specchio, rimasi paralizzato.
-Max, ti prego, fammi uscire!- mi implorò il mio riflesso intrappolato nello specchio del bagno.
Spalancai la bocca in un urlo di terrore.

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Capitolo 5
*** La nascita di Slappy ***


Ciao a tutti! Questo capitolo è un po' diverso da quelli precedenti, infatti questo non riguarda il finale di un libro già esistente bensì è una storia inventata da me riguardo la nascita del malavagio pupazzo parlante (Slappy). La sua nascita viene già spiegata a grandi linee nel libro "L'incubo di Slappy" e io ho preso spunto proprio da questo. Per ora non vi dirò nulla più, vi spiegherò meglio dopo la storia.
Detto ciò, buona lettura!


La nascita di Slappy

James McKlain cominciò a sistemare l'asse di legno sul rullo per poi azionare la manovella del macchinario che lo avrebbe tagliato. Il grosso macchinario, ormai un po’ arrugginito emise un suono sordo e cominciò a funzionare.
A James piaceva il suo lavoro, da qualche anno cominciò a lavorare in una ditta che costruiva mobili e attrezzature in legno come armadi, comodini, scaffali ecc. Gli era sempre piaciuto lavorare con il legno, sin da quando ero piccolo.
All’età di dieci anni costruiva le casette per gli uccelli con suo padre, era stato proprio lui a insegnargli i trucchi del mestiere e a trasmettergli la passione. Da lì a pochi anni però cominciò a appassionarsi ai pupazzi da ventriloquo. Ne aveva visto uno in un negozio di antiquariato e da quel giorno il suo sogno era quello di poter costruire un pupazzo tutto suo e usarlo per fare spettacoli e chissà, forse sarebbe anche diventato famoso.
James aveva solo venticinque anni, era un ragazzo piuttosto magro e slanciato, con folti capelli di un castano scuro, occhi grandi color nocciola e la bocca sottile, lui stesso sembrava quasi un pupazzo.
La lamiera del macchinario cominciò a tagliare il tocco di legno emettendo un rumore acuto, il ragazzo indossava una tuta da lavoro, degli occhiali protettivi per ripararsi dalle schegge e dei paraorecchie. Quando il legno fu tagliato, si mise dei guanti, prese i due pezzi di legno e li appoggiò uno sopra l’altro poi li adagiò su una barella.
Quando si tolse i para orecchi sentì delle voci dietro di lui, guardò l’orologio appeso sulla parete, erano le cinque e mezza di pomeriggio, tra poco sarebbe finito il suo turno.
-Hei James!- fece una voce roca dietro di lui.
Si girò e vide il suo collega Brian Stepford che lo guardava con un sorriso beffardo.
-Tutto bene James? Mi sembri un po’ rigido oggi…- esclamò il collega.
-Con tutto quel tempo passato con il legno, sta diventando un pezzo di legno anche lui!- rispose l’altro suo collega Gary Shiman facendo capolino da dietro un altro macchinario.
I due ragazzi scoppiarono a ridere ma James li ignorò.
I suoi colleghi lo avevano sempre preso in giro, alcuni di loro erano stati perfino suoi compagni alle superiori e non avevano mai smesso di deriderlo per colpa della sua passione: le costruzioni in legno.
James era sempre stato un tipo piuttosto chiuso e timido che coltivava il suo hobby da solo. Aveva sempre avuto pochi amici e ormai adesso non li vedeva nemmeno più. Lo scherzavano semplicemente perché gli piacevano le cose che a molti non interessavano, non praticava sport come tutti i suoi compagni e non bighellonava in giro facendo scherzi idioti con i petardi. Anche adesso che era cresciuto, i colleghi non lo vedevano comunque di buon occhio e non perdevano mai l’occasione per prenderlo in giro o fargli scherzi infantili.
Qualche settimana prima per esempio, avevano rovesciato un sacco di vernice rossa e verde sul comodino che aveva appena finito di rimodellare, così si era dovuto sorbire una ramanzina dal suo direttore. Per colpa loro aveva rischiato molte volte di essere licenziato e, se non stava attento, lo avrebbero licenziato sul serio. Molte volte aveva tramato vendetta, ma forse per paura di peggiorare la situazione non aveva mai messo in atto i suoi piani. Sperava che un giorno gli sarebbe capitata l’occasione per vendicarsi di tutti quanti.
Ma non poteva di certo sapere che quel giorno sarebbe arrivato sul serio.
 
Dopo il lavoro, James tornò a casa. Abitava in un modesto appartamento in affitto, con il suo stipendio non poteva permettersi nulla di più. Si accasciò sul divano e accese la televisione, era davvero sfinito, stava per addormentarsi quando, in televisione qualcosa attirò la sua attenzione.  Una giornalista dai capelli biondi e lisci annunciò che nella sua città ci sarebbe stato un mercatino il cui ricavato sarebbe stato donato in beneficienza.
“Forse lì troverò qualche costruzione interessante…o meglio ancora, troverò qualche pupazzo da ventriloquo!”.
Prima di costruirne uno suo decise di comprare un pupazzo già fatto così lo avrebbe usato per esercitarsi e qualora avesse imparato bene ad usarlo e a capirne i meccanismi di costruzione ne avrebbe creato uno che esprimesse la sua personalità.
Il giorno seguente era un sabato e la ditta era chiusa, James ne approfittò per fare un giro ai mercatini che per sua fortuna iniziarono proprio quel giorno. I mercatini furono allestiti a qualche chilometro dalla sua abitazione quindi decise di raggiungerli in macchina. Era una giornata d’autunno piuttosto grigia, le nuvole coprivano tutto il cielo ma fortunatamente non pioveva.
Durante il tragitto vide un grande gruppo di persone andare nella sua direzione: vi erano molte famiglie e bambini che schiamazzavano eccitati, sicuramente era arrivato a destinazione.
Il posto era piuttosto affollato e il mercatino fu allestito su uno stradone molto ampio, vi erano molte bancarelle che vendevano zucchero filato, hot-dogs e frittele, altre che vendevano capi di abbigliamento, sciarpe, cappelli e altre che vendevano braccialetti, libri e caramelle. Sui tendoni delle varie bancarelle brillavano delle luci di ogni colore, sembrava Natale. Alcuni bambini correvano energicamente tra le varie bancarelle altri saltellavano davanti alla vista delle caramelle colorate o davanti ai giocattoli. James, osservò attentamente ogni bancarella ma ancora non ne aveva vista nessuna che vendeva oggetti di antiquariato, o costruzioni in legno e ovviamente nessun pupazzo. Dopo quasi venti minuti si ritrovò dinnanzi alle ultime bancarelle rimaste, stava per arrendersi all’idea che quello che cercava non lo avrebbe mai trovato quando, nascosto da una bancarella che vendeva bigiotteria , scorse un piccolo bancone, il quale vendeva oggetti fatti a mano. Si avvicinò e notò con piacere che molti di questi erano fatti con il legno e per sua grande fortuna notò, seduto su un vecchio baule, un pupazzo da ventriloquo. Lo osservò con attenzione: a prima vista sembrava piuttosto vecchio, aveva dei capelli rossi dipinti sulla testa, due grandi occhi verdi ed era vestito con un completino blu scuro, una camicetta bianca e un fiocchetto azzurro celeste, ai piedi erano state pitturate delle scarpette nere. Pensò che era molto carino, nonostante il suo sguardo freddo lo fece rabbrividire.
Era così attento ad osservare il pupazzo quando una figura misteriosa sbucò da dietro il bancone.
-Ah!- urlò James per lo spavento.
-Salve, come posso aiutarla?- chiese poi l’uomo con un sorriso a trentadue denti.
L’uomo era alto e piuttosto in carne, aveva una barba folta, capelli ricci neri e un paio di guance rosse dovute al freddo.
-Ehm..io…- fece per rispondere James.
- Qui abbiamo ogni tipo di oggetto di seconda mano, i fermacarte li vendo a metà prezzo- continuò l’omone.
-No…ecco, io ero interessato a quel pupazzo da ventriloquo- rispose James indicando l’oggetto in questione.
-Oh! Sei fortunato, è l’ultimo rimasto!-
-Ah, ce n’erano altri?-
-Beh…- l’uomo si passò una mano fra i capelli ricci. - In realtà ho messo in vendita solo questo, ne ho altri a casa, ma vi sono troppo affezionato per metterli in vendita, sa, alcuni li ho costruiti io stesso!-
- Davvero?- esclamò James spalancando gli occhietti marroni  -Sa, io ho una passione per gli oggetti costruiti a mano, soprattutto quelli in legno e adesso mi piacerebbe esercitarmi come ventriloquo-.
-Allora Chris fa al caso tuo!- rispose prendendo in mano il pupazzo la cui la testa si inclinò verso il basso – Questo pupazzo funziona perfettamente, anche i fili che muovono gli occhi sono in perfetta condizione, è solo scheggiato in alcuni punti-.
Notò che la testa del pupazzo era leggermente scheggiata dove c’erano le orecchie e un po’ di colore era venuto via, ma nulla che non si potesse riparare.
Entusiasta James acquistò il pupazzo che l’uomo aveva chiamato Chris e dopo averlo ringraziato si diresse velocemente nel suo appartamento, non vedeva l’ora di poterlo provare.
 
Appoggiò il pupazzo sulle spalle e vi infilò la mano nella apposita fessura, dopo un paio di tentativi imparò a far muovere anche gli occhi e cominciò a farlo parlare.
-Ciao Chris, come stai?- chiese James al pupazzo.
-Come vuoi che stia?- fece rispondere a Chris – Ho una mano infilata nel fondoschiena!-.
-Su, non essere così scorbutico, ti piace la tua nuova casa?-
-Beh, rispetto al baule dove vivevo prima…-
-Allora ti piace?-
-No! Questa è molto più sporca e puzzolente!- .
James provò per ore la sua performance, ma non era ancora soddisfatto, doveva trovare battute più divertenti se voleva piacere alla gente.
In quei giorni non faceva altro che esercitarsi, appena tornava dal lavoro si dedicava subito al suo nuovo amico Chris, aveva anche trovato un libro di barzellette piuttosto divertenti, ovviamente le sue battute erano studiate per intrattenere un pubblico di bambini quindi non dovevano essere troppo volgari.
Però il tempo sembrava non bastare mai, così un giorno decise di portarlo al lavoro. Durante la pausa pranzo avrebbe avuto un po’ di tempo per provare e magari far divertire i suoi colleghi anche se sapeva che molto probabilmente lo avrebbero solo scambiato per un idiota, ma tentò comunque.
Il lunedì seguente mise Chris in un piccolo baule e lo portò alla fabbrica.
Durante la pausa pranzo decise di presentarlo a al suo amico Bender. Lui era l’unico che gli parlava in tutta la ditta, forse perché come lui aveva degli hobby strani, come quello di collezionare monete antiche e oggetti di ceramica. Aveva più o meno la sua stessa età, era un ragazzo minuto e piuttosto basso, con due splendidi occhi azzurri nascosti da un paio di occhiali e una chioma rossa sempre spettinata.
-Hey Bender, non indovinerai mai cosa ho trovato ai mercatini sabato!- disse James esaltato.
-Mh…non lo so…un nuovo cervello?- rispose il suo amico divertito dalla sua stessa battuta.
James non rise e gli mostrò il pupazzo.
-Oh mio dio!- esclamò Bender rimasto a bocca aperta –Dove hai trovato quel coso? Fa impressione…-
-Lo vendeva un tizio alle bancarelle, non è bellissimo?-
-Mi fa venire i brividi…ma lo sai usare?-
-Certo! Mi sono allenato molto in questi giorni-.
Adagiò il pupazzo sul tavolo sistemandogli i piedi e cominciò a farlo parlare.
-Ciao Bender, sono Chris!- disse il pupazzo.
-Allora Chris, cosa ne pensi del mio amico?- chiese James.
-Ah è tuo amico? Pensavo fosse il tuo animaletto da compagnia!- rispose Chris.
Bender fece una smorfia e finse di ridere.
-Potresti fare di meglio…in ogni caso, cosa è questa storia del pupazzo? Già la gente ti insulta perché sei fissato con le costruzioni, se adesso te ne esci con questa storia ti tormenteranno a vita!- bofonchiò l’amico mentre mangiava un sandwich al burro di arachidi e marmellata.
-Non mi interessa…lo sai, quello che dice la gente per me è aria…e poi parli tu, che sei fissato con quegli assurdi vasi di ceramica!- rispose James seccato.
Continuarono a discutere quando qualcuno strappò il pupazzo dalle mani di James e cominciò a ridere.
-Ma cosa abbiamo qui? Oddio, ma cos’è un pupazzo?- esclamò Brian.
-Ridammelo subito Brian!- gridò James attirando l’attenzione degli altri colleghi.
-Non ci credo…James, lo sappiamo tutti che sei innamorato degli oggettini di legno ma qui andiamo oltre! E’ il tuo nuovo fidanzato?- tutti scoppiarono a ridere alla battuta di Brian, tutti tranne James e Bender.
Brian fece muovere la bocca del pupazzo.
-James amore mio, dammi un bacinooooo…- fece dire a Chris avvicinandolo al volto del ragazzo. James gli strappò dalle mani il pupazzo e corse via, cercando di togliersi dalla mente tutte le risate e le battutine della gente.
Passò una settimana d’ inferno, i colleghi continuarono a prenderlo in giro per il pupazzo e, come se non bastasse, gli scherzi aumentarono facendolo ripetutamente finire nei guai con i superiori.
Quando arrivò sabato fece un respiro di sollievo, si chiese come riuscì a superare quella settimana e pensò a un modo per distrarsi così prese il telefono e cominciò a comporre il numero di Bender.
-Usciamo.- disse quando l’amico rispose alla chiamata.
-E dove vuoi andare?-
-Pensavo di fare un giro qui ai mercatini, so che oggi è l’ultimo giorno e poi chiudono.-
-Non lo so…-
-Dai Bender! Ti vengo a prendere io in macchina-
-Okay va bene, a dopo- e riattaccò.
 
I due cominciarono a girare per le bancarelle, nonostante fosse l’ultimo giorno vi era ancora molta gente, il cielo era di un azzurro intenso e il sole era molto caldo nonostante fosse autunno inoltrato.
Bender comprò un frittella, un hot dog e una birra. Sebbene fosse molto magro mangiava sempre come se non si fosse nutrito per giorni.
Girarono per più di mezzora finche non arrivarono alla bancarella dove James acquistò Chris. C’era ancora l’uomo che lo aveva servito l’ultima volta, si avvicinarono e li salutò con il suo solito sorriso.
-Ah! Salve! Le è piaciuto il pupazzo?- chiese l’uomo.
-Sì molto, grazie.- rispose James.
-Sono contento di rivederla Signor…-
-Mi chiamo James, e lui è Bender. Ci dia pure del “tu”.-
-Oh piacere, il mio nome è Frederic, ma tutti mi chiamano Fred-.
Dopo le presentazioni Bender notò un quadretto con esposte delle monete molto antiche.
-Oddio, ma queste sono monete del ‘35!- esclamò esaltato come un bambino.
-Vedo che te ne intendi di monete antiche, vieni te ne mostro altre- disse Fred.
I due cominciarono una lunga e noiosa discussione sulle monete che James non provò nemmeno a seguire.
Mentre i due erano occupati a parlare si guardò in giro aspettando che finissero quando vide qualcosa che catturò la sua attenzione: dietro il bancone, appoggiato sopra un cartone notò un libro piuttosto massiccio con una copertina nera senza alcuna scritta.
Sapeva che non era affatto educato ma la curiosità lo assalì, così senza pensarci una seconda volta prese il libro e cominciò a sfogliarlo.
Quando aprì il libro sulla prima pagina vi era scritto solo il titolo: “Come animare gli oggetti” di J.B.
James inarcò un sopracciglio confuso, non aveva mai sentito di un libro con quel titolo assurdo, la cosa lo incuriosì ancora di più.
Lesse le pagine successive sfogliandone qualcuna a caso e notò come il libro non avesse nessun prologo, nessun ringraziamento, sembrava quasi un libro di ricette o qualcosa del genere, spiegava per filo e per segno come poter animare un oggetto, come se quelle istruzioni fossero realmente applicabili. Le frasi erano scritte con dell’inchiostro che in alcuni punti era sbavato, le pagine erano giallastre e avevano un odore pungente, doveva essere piuttosto vecchio.
Quel libro scatenò in lui una grande curiosità, ne era quasi incantato. Quando si accorse che i due avevo smesso di parlare, d’istinto nascose il libro sotto la giacca.
-Bene ragazzi, è stato un piacere conoscervi- fece poi Fred.
-Anche per noi!- rispose Bender, i due a quanto pare avevano fatto amicizia.
-Il mercatino finisce proprio oggi, ma se volete venire di nuovo a trovarmi, da queste parti c’è il mio negozio- disse l’uomo mostrando due biglietti color bianco sporco. James lo osservò, era il biglietto da visita di un negozio, vi era scritto il nome “Le meraviglie di Fred – qui troverete tutto e anche di più!” , sotto riportava l’indirizzo del negozio e il numero di telefono.
Dopo un oretta James e Bender decisero che era meglio tornare a casa. Nonostante fosse quasi ora di cena la gente non era affatto diminuita, si sentivano ancora gli schiamazzi dei bambini e le urla dei loro genitori. I due tornarono in macchina e solo in quel momento, prima che allacciasse la cintura, James si accorse di avere ancora il libro sotto la giacca. Lo sfilò dalla tasca nascosta e guardò in direzione del mercatino.
“Forse dovrei riportarlo indietro…non è mio questo libro”.
Eppure, osservandolo di nuovo, sembrava quasi che questo lo chiamasse, si prese qualche secondo per rimuginare sul da farsi e alla fine decise di tenerlo, almeno per quel giorno e dopo l’avrebbe restituito al legittimo proprietario.
-Che cos’è?- chiese l’amico interrompendo i suoi pensieri.
-Un libro…credo- rispose girandoselo tra le mani.
-E dove l’hai preso?-
-Em…l’ho trovato per terra, così l’ho raccolto-
-E di cosa parla?-
Anche Bender sembrò incuriosito dal libro, tanto che glielo sfilò dalle mani e lo aprì.
-Come animare gli oggetti…- lesse il titolo e anche lui a primo impatto inarcò un sopracciglio, poi scoppiò a ridere fragorosamente.
-Che roba è? Un libro per bambini?- chiese ridendo.
-Non ne ho idea, ma lo scoprirò- rispose James eccitato all’idea di scoprirne il contenuto.
Quando tornò a casa, ormai il sole era calato e si era fatto buio, sentì l’abbaiare di cani in lontananza e il fruscio delle ruote  sull’asfalto.
Si sedette sulla poltrona e accese la lampada posizionata vicino, una luce giallastra illuminò il libro che James teneva saldamente tra le mani. Quella sera decise che non si sarebbe esercitato con Chris, bensì avrebbe dedicato la sua attenzione al nuovo oggetto.
Cominciò a leggerlo, le prime pagine raccontavano le origini dell’arte di animare gli oggetti, da quanto vi era scritto, risaliva a tempi molto antichi ed era stato tramandato di generazione in generazione. La cosa che lo colpì molto fu: il racconto e la scrittura, tutto sembrava molto convincente, come se l’autore credesse veramente in ciò che scriveva. Dopo qualche pagina, James iniziò a leggere le istruzioni per poter animare correttamente un oggetto, più leggeva più la cosa lo incuriosiva, non poteva credere ai suoi occhi.
 
-Bender, non hai idea di cosa ho scoperto!-
Durante la pausa pranzo, James si precipitò dall’amico Bender intento a mangiare un piatto di spaghetti. Fece roteare più volte la forchetta per arrotolare qualche spaghetto ma ogni volta questi cadevano di nuovo nel piatto.
-Cosa?- chiese l’amico infilandosi qualche spaghetto in bocca.
-In questi giorni ho letto tutto il libro- rispose James a bassa voce, non voleva farsi sentire dagli altri colleghi.
-Intendi quello che mi hai fatto vedere sabato?-
-Sì, a quanto pare quel libro fornisce tutte le istruzioni per poter animare un oggetto-
- E quindi?- l’amico lo guardò confuso, sembro non capire il suo entusiasmo.
-Ma come non capisci? Con questo libro posso dar vita a un oggetto qualsiasi!-.
Bender mise sul tavolo la forchetta e lo fissò per qualche secondo.
-Tu non stai bene…lavori troppo- gli rispose riprendendo la forchetta e continuando a mangiare.
-No tu non capisci, anche a me sembrava assurdo ma leggendolo ho capito che non è uno scherzo.-
-Sì, va bene, ma a cosa ti serve animare un oggetto?-
James rimase spiazzato da quella domanda, si portò una mano sul mento e alzò lo sguardo. Pensandoci bene, nemmeno lui sapeva a che scopo utilizzare quel libro.
-Beh potrei provare ad animare qualcosa, tanto per vedere se funziona.-
-Se lo dici tu…- rispose Bender non troppo convinto.
-Il libro spiega che l’oggetto che si vuole utilizzare deve essere strettamente personale e, in base al tipo di oggetto questo si animerà in modo diverso.-
-Stai dicendo che se dai vita, che ne so, alla televisione, questa si accende da sola e cambia i canali senza il telecomando? - ironizzò l’amico –Sarebbe fantastico! Così non devo perdere ore a cercare il telecomando!-
James ignorò la battuta.
-Io avevo pensato di animare Chris-
-Chi? Il pupazzo? Così eviti di allenarti e fai parlare lui al posto tuo?-
-Beh non è male come idea, ma è solo per vedere se funziona, nell’ultima pagina viene riportata una formula magica, credo sia quella che fa animare gli oggetti.-
-Che assurdità! Lascia perdere, è solo una perdita di tempo. Anzi secondo me ti porterà solo guai.-
Bender non poteva sapere di avere assolutamente ragione.
 
La sera stessa James, provò ad animare il suo caro pupazzo Chris. La pioggia ticchettava sulle finestre e il vento emetteva un suono agghiacciante.
Appoggiò il pupazzo sulla poltrona e rilesse le istruzioni: “durante la prestazione disegnare un cerchio con un materiale a vostra scelta (sangue, inchiostro, gesso), poi con lo stesso disegnare in mezzo al cerchio un pentagono con la punta rivolta verso il basso e posizionare delle candele in ogni angolo del pentagono. Poi posizionare l’oggetto a cui vorreste applicare l’incantesimo in mezzo al cerchio e accendere le candele. Infine spargere la cenere intorno all’oggetto formando di nuovo un cerchio più piccolo e recitare la formula.”
James seguì alla lettera le istruzioni: prese un gessetto e cominciò a tracciare le sagome, posizionò le candele e in mezzo al pentagono il pupazzo, accese le candele, prese dal tavolo un sacchetto da cui estrasse una manciata di cenere e ci fece un cerchio attorno al pupazzo, poi cominciò a recitare la strana formula.
-Karru Marri Odonna Lomma Molonu Karrano…- la recitò piano per non sbagliare le parole –Che lingua sarà?-
In quel momento un fulmine squarciò il cielo e un violento tuono fece tremare i vetri. James sussultò e per un secondo, fu davvero convinto che stesse accadendo qualcosa. Il suo sguardò finì sul pupazzo che era rimasto immobile seduto in mezzo alle varie sagome, aspettò qualche minuto, ma non accadde nulla.
-Lo sapevo che era una cavolata, domani lo riporto subito al negozio.- si disse James piuttosto deluso.
Ripulì il pavimento, mise Chris sul tavolo e accese la televisione.
Trasmettevano un programma noiosissimo sull’accoppiamento degli insetti, vedere tutti quegli esserini avvinghiarsi l’uno con l’altro lo fece rabbrividire, fece per cambiare canale quando un rumore lo fece sobbalzare.
Si guardò attorno ma non vide nulla di strano, così si dedicò di nuovo ai programmi. Continuò a fare zapping ma nulla sembrava interessarlo, dopo qualche minuto, sentì un forte tonfo, come se qualcosa fosse caduto. Si alzò dalla poltrona e notò che Chris era caduto a terra con la faccia rivolta verso il pavimento.
Prese il pupazzo da terra e lo osservò per vedere se non si era scheggiato ulteriormente, i suoi occhi erano diversi, sembravano vivi come se lo stessero guardando.
In quel momento il pupazzo gli afferrò un dito.
-Ah!- gridò il ragazzo lanciando Chris a terra.
Il pupazzo si alzò in piedi e fissò James con aria confusa, fece qualche passo verso di lui e ricadde a terra inerme.
-Non è possibile!- urlò James incredulo.
“Il pupazzo si è mosso da solo! Non sono pazzo!”
Prese di nuovo Chris in mano ma non fece più nessun gesto, i suoi occhi ritornarono ad essere finti ed assenti.
Quella notte James non riuscì a prendere sonno, aspettava invano che il pupazzo si muovesse di nuovo, ma dopo quei pochi passi non aveva accennato un minimo movimento.
 
Il giorno seguente si precipitò al lavoro per raccontare a Bender ciò che era successo la sera prima. Mentre l’auto si dirigeva al parcheggio dell’azienda James ripensò a quella notte, era piuttosto perplesso e deluso, non riusciva a capire il motivo per cui il pupazzo dopo quei pochi movimenti non aveva più fatto nulla. Era ritornato un normalissimo pupazzo da ventriloquo.
“Forse ho sbagliato qualcosa” pensò “O forse è stata solo un’allucinazione”.
Eppure lo aveva visto veramente muoversi,  non era impazzito, in ogni caso voleva risolvere a tutti costi quel mistero.
Entrò nella fabbrica e un odore di legno tagliato gli arrivò alle narici, adorava quel profumo, lo faceva sentire a casa. Timbrò il cartellino e fece per andare alla sua postazione quando il suo capo, un uomo basso e paffutello, con baffi lunghi e grigi e capelli brizzolati, si piazzò davanti a lui impedendogli di proseguire.
-Salve Signor Sunday- lo salutò James.
Aveva un espressione severa e stressata.
-Signor McKlain, mi segua per favore, le devo parlare.-
James cominciò a sudare freddo, solitamente il proprietario dell’azienda non si faceva mai vedere durante il loro lavoro fatta eccezione per eventi importanti o emergenze.
Lo fece accomodare nel suo ufficio e con un sospiro si sedette dietro la scrivania. Appoggiò i gomiti sul tavolo lucido e si portò le mani vicino al volto coprendo l’espressione che sembrava assai indispettita.
-Signor McKlain- fece nuovamente.
A James cominciarono a tremare le gambe, qualcosa non andava.
-E’ possibile che sia successo di nuovo?- sbottò poi guardandolo.
-Come?- riuscì solo a dire non capendo le parole del suo superiore.
-Hai lasciato di nuovo il macchinario acceso, la lamiera.-
-Come?!- esclamò di nuovo James.
-Non faccia finta di nulla! Il macchinario si è surriscaldato e adesso non funziona più. Sa quanto costa? Per non parlare dell’energia elettrica che abbiamo sprecato!- la sua voce si fece più grave e irritata.
-Signore, ma io l’ho spenta, me lo ricordo…lo chieda a Stepford e Shiman…-
-Sono stati proprio loro ad avvertirmi che la macchina non funzionava, l’hanno spenta  stamattina appena arrivati.-
-Cosa…? Ma io l’avevo spenta ieri sera prima di finire il turno, ne sono sicuro!-
-E’ successo altre volte James…ma questa volta ha superato il limite.-
-No, Signore la prego, non sono stato io, sono stati loro! Sono sempre stati loro!-
-Basta! Non mi importa!- urlò Sunday alzandosi dalla sedia-
Sospirò di nuovo e si rimise a sedere.
-Mi dispiace Signor McKlain, ma non possiamo più tollerare tutti questi incidenti…-
-Ma…-
-Lei è licenziato. Prenda le sue cose e vada a casa. Domani le spediremo per posta la sua liquidazione.-
-Ma Signore non può!-
-Le avevo già mandato un avviso qualche settimana fa. Mi spiace Signor McKlain, davvero, lei è stato un bravo dipendente.-
James rimase seduto per qualche secondo ancora scioccato dalla notizia, non poteva crederci.
Il suo capo lo accompagnò fuori dall’ufficio e lo invitò a tornare a casa.
Durante il tragitto verso l’uscita l’occhio si posò sulle postazioni dei suoi colleghi che gli accennarono un sorriso.
Erano stati loro, avevano acceso la macchina così da farla surriscaldare e per colpa loro era stato licenziato.
“Me la pagheranno. Me la pagheranno tutti.”
Rabbia, collera, odio, vendetta.
In quel momento non provava altro. Più di ogni altra cosa desiderava vederli strisciare ai suoi piedi, quella volta non avrebbe fatto più finta di nulla. Basta con il James buono e debole, si sarebbe vendicato una volta per tutte.
Entrò nel suo appartamento sbattendo la porta violentemente, accecato dalla rabbia cominciò a prendere a pugni il muro e rovesciare alcuni libri e oggetti posti sulla libreria, sfogò il suo nervoso urlando e buttando sul pavimento ogni cosa che gli capitava, prese un porta gioie che aveva costruito qualche anno prima e lo ruppe gettandolo per terra. Quando la rabbia e il nervoso si attenuarono, si sedette sulla poltrona. Si portò le mani sul volto rosso e sudato quando il suo sguardo finì sul libro nero che nella confusione era finito ai piedi della poltrona. Lo raccolse e subito pensò di gettarlo via, poi però ebbe un’idea.
Aveva sempre avuto la soluzione tra le mani ma non lo aveva mai capito, fino ad allora. Quel libro era la soluzione a tutte le sue sventure, a tutte le prese in giro e agli scherzi che aveva subito, nonostante la sera precedente l’incantesimo non fosse andato a buon fine avrebbe scoperto il modo per poter animare il suo pupazzo. Aprì il libro e lo lesse nuovamente, cercando di capire se avesse dimenticato qualcosa, ma solo in quel momento si accorse che le ultime pagine erano state strappate.
L’ultima frase scritta era la formula magica che avrebbe dovuto animare gli oggetti eppure, girando la pagina notò che, in realtà, ci sarebbero dovute essere altre pagine, ma qualcuno le aveva tolte.
“Perché?” si chiese “Perché qualcuno le avrebbe dovute strappare? Erano rovinate? O nascondevano qualcosa?”. Queste domande non lo lasciavano stare, doveva sapere cosa vi era scritto, doveva trovare quelle pagine.
Chiuse il libro e si precipitò alla ricerca della giacca che aveva indossato l’ultima volta che era stato ai mercatini. L’aveva riposta nell’armadio e quando la trovò cominciò a frugare nelle tasche. Dalla tasca destra estrasse un biglietto, era quello che Fred aveva consegnato a lui e a Bender. Lesse l’indirizzo e il nome del negozio.
Il pomeriggio stesso salì nella sua automobile in direzione del negozio.
Fred era il proprietario del libro e sicuramente lui poteva saperne qualcosa delle pagine mancanti. Non era sicuro che lui potesse aiutarlo ma valeva la pena provare, era la sua unica speranza.
Durante il tragitto rielaborò il piano che aveva escogitato la mattina dopo essere stato cacciato dal lavoro.
“Se riuscirò ad avere le pagine mancanti, darò vita al mio pupazzo e lo userò per vendicarmi dei miei colleghi e di quella carogna del mio capo che non ha mai creduto in me!”
Era un’idea assurda ma era l’unica che aveva, quel libro gli sembrò come un segno divino o un gioco assurdo del destino. Se avesse usato Chris per vendicarsi nessuno avrebbe mai dato la colpa ad un pupazzo ne tantomeno a lui e nel caso qualcuno avesse avuto dei sospetti o avesse scoperto il suo segreto nessuno gli avrebbe creduto. In quel momento per James la cosa più importante era la vendetta.
 
Si ritrovò davanti a un piccolo negozio, con l’insegna “Le meraviglie di Fred” posta a qualche centimetro sopra la porta e la vetrina. Guardò gli oggetti esposti  e vide qualche vaso antico, la collezione di monete a cui Bender era tanto affezionato, qualche oggetto in legno e una macchina fotografica piuttosto vecchia.
Entrò e un odore acre lo pervase, notò con molto piacere moltissimi oggetti di antiquariato e oggetti da collezione situati su scaffali di legno, più in fondo notò un bancone e dietro di esso Fred che stava servendo un cliente.
Aspettò che questo se ne andasse per avvicinarsi a lui.
-Oh James! Che piacere rivederti!- esclamò con tono amichevole.
-Salve Fred, anche per me è un piacere, sei occupato?- James cominciò ad agitarsi, non sapeva minimamente come avrebbe reagito l’uomo se avesse scoperto che era stato proprio lui a rubargli il libro.
-Non ti preoccupare, per ora non ci sono clienti, dimmi pure. Hai bisogno di qualcosa?-
-Beh…- si guardò in giro pensando a come impostare la frase –Vedi…vorrei parlarti di questo…-
Estrasse il libro da sotto la giacca e glielo mostrò.
Fred strabuzzò gli occhi e lo fissò per qualche secondo, subito dopo alzò lo sguardo verso James e la sua espressione divenne seria.
-Ecco dov’era finito…- disse semplicemente, la sua voce apparve apatica. –Lo stavo cercando, sono felice che tu me lo abbia riportato.- finse un sorriso.
-Sì però ecco…prima vorrei chiederti un paio di cose…-
-Lo hai letto vero?- chiese subito lui come se fosse già a conoscenza della domanda.
-Sì.- rispose freddamente James. –E vorrei saperne di più.-
-Cosa vuoi sapere?-
-La pagine mancanti…tu sai dove sono o cosa c’era scritto?- .
Il cuore di James cominciò a battere freneticamente.
-No, mi dispiace, non so di cosa stai parlando. Ora devo finire di sistemare una cosa…-
James afferrò l’uomo per la manica della camicia e lo costrinse a rimanere sul posto.
-Ti prego…vorrei solo sapere come continua…ti posso pagare…- la sua voce risultò implorante.
-Perché? Non sono cose che ti riguardano.- rispose Fred seccato, glielo si leggeva in faccia che l’argomento lo infastidiva se non addirittura lo spaventava.
-Questo libro mi ha molto incuriosito e semplicemente vorrei sapere come finisce…Davvero si possono animare oggetti? Ne vorrei sapere di più.-
-Lascia perdere- tagliò corto Fred –Non serve a nulla saperlo ne tanto meno praticare ciò che c’è scritto, porta solo guai…-.
-Tu non capisci, io sono solo interessato al libro, non a praticare ciò che c’è scritto!- mentì James, la sua voce tremava ed era molto agitato.
-Da come ti comporti non sembra proprio…Ascolta, io l’ho letto quel libro e penso che siano solo cavolate.-
-Tu sai dove sono le pagine?- cambiò discorso James.
-Sì lo so.-
-E dove sono?-
-Le ho strappate dal libro e le ho bruciate-.
Quelle parole furono un duro colpo per James, come una pugnalata al petto, ma non si arrese.
-Ma le hai lette? Sai cosa dicono?-
-Sì lo so, ho letto tutto il libro-.
-E cosa dicono?-
-Ascolta, ho molto lavoro da fare e non ho tempo da perdere con queste sciocchezze!-
Fred si liberò dalla presa e si diresse nel retrobottega quando James si piazzò davanti a lui bloccandogli la strada.
-Se me lo dici, ti do 50 dollari.- prese dei soldi dal taschino e glieli porse.
-Anche se te lo dicessi non ti piacerebbe affatto.- rispose cercando di oltrepassarlo, ma James lo fermò nuovamente.
-Non mi interessa, voglio solo sapere cosa manca!-
Fred sospirò e alzò gli occhi.
-Io ti ho avvertito ragazzo, sappi che dopo quello che ti dirò non vorrai più avere niente a che fare con quel libro maledetto.- esordì arrendendosi.
-Il libro spiega esattamente come celebrare il rito per animare un oggetto, ma non basta quello, prima di tutto questo oggetto deve essere costruito personalmente da colui che vorrà eseguire l’incantesimo, dopo di che dovrà fare ciò che è scritto e pronunciare le parole magiche.-
Fece un attimo di pausa, gli riusciva difficile continuare, James però pendeva dalle sue labbra.
-Il contenuto delle pagine mancanti spiega che per rendere efficace il rito occorre che la persona imprima dentro l’oggetto tutto il male, l’odio e il desiderio di vendetta che possiede. Solo una mente contorta e malvagia farebbe una cosa simile.-
James rimase a bocca aperta, non poteva credere a ciò che aveva sentito.
-Quindi se dovessi animare che ne so…un pupazzo, cosa accadrebbe?- chiese poi di getto, subito capì che aveva commesso un grave errore.
- Se dovessi animare un tuo pupazzo questo potrebbe far del male alla gente. Dopo quello che ti ho detto vuoi davvero fare una cosa del genere? - esclamò Fred sorpreso.
-N-no…era…era solo una domanda.-
-Ridammi il libro, sapevo che avrei dovuto distruggerlo tempo fa, dammelo così più nessuno potrà farne uso, nemmeno tu..-
-Ma…- prima che potesse proferir parola, Fred gli strappò il libro dalle mani.
-Spero che adesso tu sia soddisfatto, ti ho raccontato tutto. In ogni caso, non posso permettere che qualcuno esegua il rito, senza l’incantesimo non puoi fare nulla…-.
James guardò ancora per qualche istante il libro, avrebbe voluto riprenderselo, ma così avrebbe solo peggiorato le cose.
-Ora vattene per favore.- disse in fine Fred.
Girò i tacchi e uscì dal negozio, prima di dirigersi in macchina, frugò in una delle tasche del giaccone ed estrasse un foglietto giallo, lo aprì e sopra vi erano scritte le parole dell’incantesimo.
James sorrise.
-Povero stupido, pensava davvero che bastasse togliermi il libro? Le varie fasi le conosco a memoria e ora che ho la formula e la soluzione per celebrare perfettamente il rito , nessuno potrà fermarmi!-.
Lui aveva tutto ciò che serviva: odio verso chiunque lo avesse preso in giro, desiderio di vendetta verso i suoi colleghi e verso colui che l’aveva licenziato e soprattutto rabbia, una rabbia incontrollabile che non vedeva l’ora di sfogare. Questa volta, sarebbe stato lui a ridere.
 
La sera stessa ricevette una chiamata da Bender.
-Ho saputo che sei stato licenziato, mi dispiace molto James…- disse il suo amico dall’altra parte della cornetta.
-Dispiace anche a me…- rispose semplicemente.
-Scommetto che sono stati Brian e gli altri a farti licenziare…sono delle carogne!- esclamò.
-Sì, sono stati loro, ma non ti preoccupare, ho in serbo qualcosa di speciale…-
-E cosa?-
-E’ una sorpresa!-
James non stava più nella pelle, nel pomeriggio aveva già pensato a come costruire i suoi nuovi amici.
-Non farai nulla di stupido vero?- chiese poi Bender, la sua voce sembrò preoccupata.
-Non ti preoccupare Bender, so quello che faccio!-.
 
I giorni successivi riuscì a rimediare il legno necessario per cominciare a costruire. Spese metà del suo stipendio acquistando gli strumenti necessari per creare il pupazzo perfetto. Rimediò anche un libro di istruzioni e, prendendo spunto da Chris, fece qualche tentativo. I giorni passarono e l’appartamento di James pian piano divenne un laboratorio dedicato esclusivamente alla costruzione dei pupazzi. Ne realizzò qualcuno di prova, ma quasi tutti non funzionavano o erano sproporzionati, nessuno di quelli che creò sembrò soddisfarlo a sufficienza.
Non usciva più di casa se non per andare al super mercato vicino o per comprare i componenti delle sue creazioni,  lavorava giorno e notte al suo piano, mangiava di rado e non dormiva, a volte si svegliava a ore imprecise immerso nel legno e nella pittura. Non rispondeva nemmeno più alle chiamate di Bender che, preoccupato per lui, cercava di avere sue notizie. Nella sua mente vi erano solo pupazzi, non voleva vedere o sentire nessuno, l’unica cosa che gli importava era la vendetta. Odio e rancore crebbero sempre più e si insediarono in lui come un parassita.  Giorno dopo giorno migliorò sempre di più  tanto da diventare un vero e proprio professionista, ma nonostante tutti i suoi sforzi non era ancora soddisfatto, tutti quei pupazzi dallo sguardo glaciale e dai sorrisi malefici riempirono poco a poco la sua casa, ma nessuno di loro era quello giusto per James.
-Non va bene! Affatto!- urlò isterico, gettando la sua nuova creazione sul pavimento freddo –Manca qualcosa…ma cosa?…-.
In quel momento, sentì qualcuno bussare alla porta.
Controllò l’ora sulla piccola sveglia posizionata sopra un comodino, erano già le dieci di sera, si accorse di non avere più la cognizione del tempo.
Si avvicinò alla porta e guardò dallo spioncino, era Bender.
Aprì la porta e se lo ritrovò davanti ad occhi sbarrati.
-James…dove sei finito?- chiese l’amico fissando le occhiaie che gli erano apparse il volto.
-Scusa, ero occupato…- rispose James.
-Ti ho chiamato in questi giorni ma non mi hai mai risposto…-
-Scusami…- disse semplicemente, anche la presenza del suo unico amico ora gli dava fastidio.
-A cosa stai lavorando? – gli chiese subito, cercando di entrare nell’appartamento, ma James si piazzò davanti alla porta impedendogli di entrare.
- C’è molto disordine, non voglio che tu veda tutto questo porcile.- rispose inventando una scusa.
-Allora, a cosa stai lavorando?- chiese ancora Bender.
-Sto costruendo dei pupazzi, ora che non lavoro ho più tempo da dedicare alle mie passioni-.
-Dovresti cercare un lavoro.-
-Lo sto cercando- mentì –Ora scusami ma devo rientrare.-
-Non mi vedi da giorni e mi mandi già via?- l’amico sembrò piuttosto offeso ma non solo, era anche preoccupato: James aveva l’aria esausta ed era anche dimagrito.
-Sì scusami ma ho molto lavoro da fare.- fece per rientrare in casa quando Bender lo prese per un braccio.
-James non ti riconosco più…Cosa ti sta succedendo? Da quando sei stato licenziato sei cambiato: non esci più di casa, non ti fai mai sentire…-
-Ascolta- esclamò interrompendo bruscamente l’amico –Capisco che tu sia preoccupato e mi dispiace, ma io sto bene, ho solo molto lavoro da fare, ma quando sarò riuscito nel mio intento, vedrai che ritornerà tutto come prima.-
-Sarà…posso almeno vedere una tua creazione?-
James entrò in casa lasciandolo sulla soglia, dopo pochi secondi tornò con un pupazzo.
Bender lo osservò ammaliato.
Aveva dei capelli colorati di nero, occhi marroni e un sorriso agghiacciante.
-Wow! Ma è fantastico! Sei bravissimo!- esclamò l’amico toccando il volto del pupazzo.
-Grazie, però ecco, non sono ancora soddisfatto…mi manca qualcosa…- James sbuffò deluso – Vorrei costruire un pupazzo terrificante, che faccia venire la pelle d’oca, ma tutti quelli che faccio non sono abbastanza, come posso dire, cattivi.-
-Forse potresti usare un materiale diverso, un legno più scuro…- suggerì Bender
–Potresti fare come nei film horror e prendere qualche parte di un cadavere al cimitero!- scherzò aspettandosi che James ridesse ma invece lo vide fissare il vuoto pensieroso.
-Devo proprio rientrare Bender- concluse facendogli un sorriso –Grazie per essere passato-.
-Stammi bene James.-
Bender gli accennò un saluto e ne se andò.
Quando James chiuse la porta si accorse che il suo amico aveva avuto una geniale idea.
 
Era una notte molto fredda, la luna piena splendeva in cielo illuminando il manto nero punteggiato di stelle, James guardò la sveglia: erano le due.
Dopo aver elaborato nei minimi dettagli il suo piano, mise nell’automobile tutto l’occorrente e rapidamente si avviò verso il cimitero della città. Solitamente a quell’ora per le strade non vi era anima viva e fu felice di non vedere nessuno durante il tragitto.
Arrivato a destinazione parcheggiò l’automobile in un punto nascosto il più vicino possibile al cimitero.
Aprì il bagagliaio e ne tirò fuori una vecchia pala e uno zaino in cui erano stati messi una corda arrotolata, una torcia e un martello.
Si diresse a passo felpato verso la struttura, controllando ripetutamente che nessuno fosse nei paraggi, si avvicinò al cancello che segnava l’entrata e controllò se fosse aperto.
Il ferro era molto freddo, espirò profondamente e un fumo bianco dovuto dalla condensa gli uscì dalle labbra. Il cancello ovviamente era chiuso a chiave così decise di aggirare il cimitero sperando di trovare una porta secondaria. Dopo svariati minuti di cammino, sempre cercando di fare il minimo rumore, notò, vicino a una siepe piuttosto spoglia, un piccolo cancello chiuso con un lucchetto dorato. Alzò il lucchetto, osservandolo per poi estrarre il martello dal suo zaino e con forza picchiarlo sul lucchetto per romperlo.
Un rumore assordante fece eco nel silenzio della notte, cosa che preoccupò molto James. Il cancello si aprì da solo e dava sulla parte laterale del cimitero. Entrò in punta di piedi e si diresse verso le tombe.
Il posto sembrava proprio la sceneggiatura di un film horror: una sottile nebbia circondava le tombe e non vi era nessuna luce, era talmente buio che James dovette accendere la torcia per riuscire a vedere qualcosa. Un silenzio agghiacciante gli fece accapponare la pelle e per un secondo pensò di tornare indietro ma oramai era troppo tardi per rinunciare. Con la torcia illuminò le varie lapidi, alcune erano nuove e ben messe altre erano rovinate probabilmente dalla pioggia e dal vento. Cercò quella più nascosta e più vecchia, guardò le varie date di morte dei defunti, ambì alla tomba con il defunto più vecchio così, quando l’avesse aperta, si sarebbe trovato davanti solamente un mucchietto d’ossa e si sarebbe risparmiato la visione di un corpo in putrefazione. Ne trovò una in fondo al cimitero, piuttosto malridotta, illuminò la lapide e lesse le incisioni: Jason Sallyvan , 12/03/1903 – 25/06/1955, che il Signore ti accolga nel suo regno.
Si fermò qualche secondo ad osservarla, per poi illuminare il terriccio che avrebbe dovuto rimuovere con la pala. Lo stomaco si fece pesante e il cuore cominciò a battere forte. Si chiese se veramente avesse il coraggio di fare una cosa del genere, se ne valesse davvero la pena. Avrebbe potuto escogitare qualcos’altro e lasciare in pace quel pover uomo. Ma quel pensiero fu subito scacciato quando nella sua mente vide le facce compiaciute dei suoi colleghi. Doveva avere la sua vendetta e avrebbe fatto qualunque cosa per ottenerla.
Senza rimuginare ulteriormente cominciò a scavare rimuovendo una gran quantità di terra ad ogni spalata. Fu un lavoro molto faticoso che richiese tempo ed energie, prendeva una pausa ogni cinque o sei spalate e subito dopo ricominciava. Dopo quasi un ora riuscì a vedere la bara del defunto ricoperta ancora da qualche piccolo strato di terra umida. Dopo aver tolto definitivamente il terriccio che la ricopriva la illuminò con la torcia, era di un legno lucido color marrone nocciola, era perfetta.
Estrasse la lunga corda arrotolata dallo zaino e, dopo averla sciolta, la legò alla lapide facendoci un saldo nodo, dopo di che lasciò calare l’altra estremità nella fossa. Sapeva che non sarebbe stata piuttosto profonda, almeno qualche metro e, se non avesse portato la corda non sarebbe più riuscito a risalire. Si calò nella fossa tenendosi ben aggrappato alla corda, per poi finire ai piedi della bara.
Pensò che forse sarebbe stato meglio chiedere aiuto a Bender, ma sapeva che non gli avrebbe mai dato il suo appoggio anzi, lo avrebbe preso per pazzo. Imbracciò di nuovo il martello e, con la torcia nell’altra mano osservò le giunture della bara. Notò che era stata sigillata e si chiese il perché dovessero farlo, il morto non sarebbe mica scappato!
Con forza picchiò il martello contro l’estremità della bara, fece qualche tentativo, ogni suo colpo emetteva un rumore assordante e pregò che nessuno lo sentisse, da lì in poi avrebbe dovuto velocizzare i tempi. Finalmente dopo qualche colpo, la bara si aprì, lasciò cadere il martello e, alzando il giaccone sin sopra il naso, si preparò al tanfo che sarebbe uscito una volta alzato il coperchio. Lo sollevò, e un odore lancinante di corpo in putrefazione lo pervase facendogli venire una gran nausea. Vide il corpo all’interno: era rimasto solamente un mucchio d’ossa coperto da qualche straccio che ai tempi doveva essere stato un vestito, alcuni capelli erano rimasti attaccati al cranio, per il resto era solo polvere.
Stava per vomitare ma cercò di trattenersi con tutte le sue forze. Recuperò il martello e colpì violentemente le giunture che tenevano unito il coperchio al resto della bara. Dopo averlo staccato del tutto lo sollevò, non era molto pesante ma fece comunque un po’ di fatica a tenerlo sotto braccio. Con il braccio libero si aggrappò alla corda tenendo i piedi ben saldi sul terriccio. Era buio pesto e i suoi occhi ci misero qualche secondo ad abituarsi all’oscurità, dovette rimettere la torcia nello zaino per avere le mani libere. Cercò di risalire più velocemente che poteva, facendosi leva con le gambe ma, un pezzo di terra cedette e si ritrovò appeso alla corda con un solo braccio. Stava per cadere, non avrebbe resisto per molto.
Cercò di dondolarsi verso il terriccio, flettendo le gambe.
Per sua fortuna riuscì ad appoggiare i piedi sulla parete di terra che sembrò molto più stabile di quella precedente, si sollevò ancora di qualche centimetro e, con forza sollevò il coperchio della bara verso l’uscita. In quel momento sembrò pesare una tonnellata, cominciò a sudare per lo sforzo e le mani si fecero umide. Fece un ultimo sforzo spingendo il coperchio sulla ghiaia e, avendo finalmente libero anche l’altro braccio, si arrampicò velocemente sulla corda e risalì.
Senza perdere tempo prese di nuovo la pala e ricoprì la bara con la terra che prima aveva rimosso, poi slegò la corda e cominciò a trascinare il coperchio fino all’uscita nella più completa oscurità.
Un rumore sospetto lo fece sussultare, si fermò e immobile, si guardò attorno cercando di capire da dove provenisse. Sentì di nuovo quel rumore e ascoltando meglio, si accorse che era un verso, alzò lo sguardo e notò che proveniva da un pipistrello che si aggirava nei dintorni. Fece un sospiro di sollievo, il cuore smise di battere all’impazzata e si rimise in cammino.
Arrivato alla macchina ripose la pala e lo zaino con dentro il martello e la torcia nel bagagliaio lasciando la corda sotto i suoi piedi, estrasse poi un cumulo di sacchi della spazzatura uniti insieme con lo scotch infilandoci il coperchio della bara. Subito dopo lo appoggiò delicatamente sul portapacchi che il pomeriggio stesso aveva posizionato sopra la sua macchina e lo legò con la corda.
Il piano riuscì alla perfezione, nessuno lo aveva scoperto e non vi erano stati troppi inconvenienti. Lo aveva organizzato nei minimi dettagli: dopo che la sera precedente il suo amico Bender gli aveva suggerito quella brillante idea, rimase in piedi tutta notte escogitando un piano per poter rimediare il legno di una bara e poterci così costruire il pupazzo perfetto.
Voleva che fosse terrificante e maligno sin dal principio, sarebbe stato il suo ultimo pupazzo ed era sicuro che questa volta non sarebbe rimasto deluso.
Tornato a casa, liberò il legno dai sacchi che lo avvolgevano e lo appoggiò ad una parete.
Era troppo esausto per mettersi subito al lavoro così decise di posticipare al giorno seguente. Era così soddisfatto di se stesso, finalmente poteva compiere la sua vendetta, finalmente sarebbe stato lui il più forte. Questi pensieri lo cullarono mentre si lasciò scivolare nel sonno.
Nei giorni seguenti lavorò senza sosta al pupazzo, unì il legno della bara ad altri pezzi che gli erano avanzati dopo la costruzione dei precedenti fantocci e pian piano il suo progetto cominciò a prendere forma. Il mercoledì pomeriggio, effettuati gli ultimi ritocchi, James creò finalmente il pupazzo tanto desiderato, lo appoggiò sulla poltrona e aveva gli occhi lucidi dall’emozione: era perfetto.
In quel preciso momento, sentì una voce provenire da dietro la porta.
-James! Sei in casa? – era la voce di Bender.
-Entra.- rispose James.
L’appartamento era un disastro, tocchi di legno e segatura erano sparsi ovunque, attrezzi da lavoro erano stati abbandonati sul divano, e pezzi di giornali pieni di pittura sul pavimento.
Bender entrò e rimase senza parole alla visione di tutta quella confusione.
-Devo farti vedere una cosa.- esclamò James sorridendo compiaciuto.
L’amico si limitò ad avanzare aspettandosi il peggio.
James sollevò il pupazzo e glielo mostrò, era così orgoglioso della sua nuova creazione che gli sfuggì una risata eccitata.
Bender osservò il pupazzo sbigottito: dei capelli marrone scuro ero stati colorati in modo impeccabile sulla testa, aveva due occhi azzurri gelidi e penetranti che lo fecero rabbrividire, labbra rosse fuoco formavano un sorriso maligno e sul corpo era stata disegnata una camicetta bianca. Inoltre era vestito con un completo grigio e i piedi erano stati infilati in due scarpette nere.
-Oddio…-riuscì a dire Bender sconvolto.
-Si chiama Slappy- disse James che teneva in braccio il pupazzo come fosse suo figlio.
-Ciao Bender!- esclamò il pupazzo.
L’amico sussultò spaventato, non aveva mai visto nulla di più terrificante.
-Calmati Bender, sono stato io a parlare!- lo rassicurò James divertito, fece muovere la bocca e poi le pupille.
-Funziona benissimo, credo che questa sia la mia miglior creazione, lo adoro!- continuò James accarezzando la testa al suo nuovo amico.
-E l’altro pupazzo? Come si chiama…Chris?- chiese Bender cercando di distogliere lo sguardo da Slappy.
-E’ lì sul comodino, ormai non lo uso più, adesso c’è Slappy!- rispose James stringendolo ancor di più.
-Non vorrai usare questo nei tuoi spettacoli vero? Fa paura…- chiese l’amico.
-Non è per gli spettacoli che ho creato Slappy- rispose James tornando serio.
Bender si limitò a guardarlo confuso aspettando che continuasse a parlare.
Forse non era saggio raccontare il suo piano ma con qualcuno doveva pur sfogarsi, sperava che almeno il suo amico lo avrebbe capito.
-Userò Slappy per vendicarmi di Brian e degli altri.-
-E-e come farai?- balbettò  Bender.
-Riporterò in vita Slappy, con la formula magica e il rito descritto nel libro nero.- rispose James accennando un sorriso maligno.
-Stai scherzando vero?- esclamò l’amico con la paura negli occhi.
-No, questa volta non sto scherzando, quando Slappy sarà vivo mi aiuterà a vendicarmi.-
-Sei impazzito! Non si possono portare in vita i pupazzi James! E tu lo sai!- rispose Bender scuotendolo.
James si liberò dalla morsa e lo spinse.
-Sei tu che non sai nulla! Sono riuscito a portare in vita Chris anche se solo per pochi secondi! Ma ora che ho scoperto il segreto per riportare in vita gli oggetti nulla mi può fermare!- dalla sua bocca uscì una risata, una risata malefica.
-Quel libro ti ha fuso il cervello! Non sai nemmeno più distinguere la fantasia dalla realtà! James, butta via questo pupazzo, credimi, ti sentirai meglio e…-
-Zitto Bender!- lo interruppe James, all’amico cominciarono a tremare le gambe. Non era più il solito vecchio James, riservato, timido ma buono e leale, in quel momento aveva davanti un pazzo, un perfetto sconosciuto.
-Niente e nessuno potrà interferire con il mio piano, nemmeno tu…- continuò James –E se solo ci proverai, ne subirai le conseguenze.- lo intimidì con occhi minacciosi.
Bender aprì la bocca per parlare ma non uscì alcun suono, indietreggiò terrorizzato dal suo stesso amico.
-Pensavo che almeno tu mi avresti sostenuto…- il tonò di voce di James cambiò, era piuttosto deluso.
-Come posso appoggiare una simile assurdità?- riuscì a rispondere l’amico.
-Per favore Bender, vattene- esordì James con tono più gentile.
Bender si limitò ad uscire dalla porta senza nemmeno salutarlo.
James si pentì subito di aver reagito così male, sapeva che non lo avrebbe mai appoggiato. Ma non vi era tempo per i sensi di colpa, quando avrebbe ultimato il suo piano, Bender gli avrebbe creduto e sicuramente si sarebbe scusato.
 
 
Quella notte ci fu un burrascoso temporale, i fulmini seguiti da tuoni rumorosi squarciarono il cielo: era la serata perfetta per risvegliare Slappy.
James cominciò i preparativi: disegnò il cerchio e il pentagono e posizionò le candele, inoltre si ricordò che il libro consigliava di usare qualche goccia di sangue per rendere più efficace il rito, la prima volta aveva evitato, non essendo sicuro di quel che stava facendo, ma questa volta decise di provare. Prese un coltello da cucina e si fece un piccolo taglio sul palmo.
-Ah!- gemette mentre vedeva il sangue scorrergli lungo la mano.
Prese quel poco sangue che gli uscì con un dito e tracciò di nuovo il cerchio e il pentagono, il sangue si mescolò con il gesso lasciando un colore roseo sul pavimento.
Si diresse subito in bagno a curare la ferita con alcool e bende e poi continuò.
Posizionò Slappy in mezzo al cerchio, accese le candele e fece un ultimo cerchio con la cenere.
Era tutto perfetto, mancava solamente la formula magica e, finalmente, il suo piano di vendetta avrebbe realmente avuto inizio.
Prese di nuovo Slappy da terra e infilò la mano nella fessura.
Il pupazzo mosse le pupille e la bocca si aprì.
-Slappy, sei pronto?- chiese James al suo amichetto.
-Più che pronto James, quando sarò vivo, ci divertiremo un sacco insieme!- rispose.
James rise divertito, la sua risata gelida riecheggiò nell’appartamento buio. 
Ripose Slappy sul pavimento e lo guardò.
Faceva davvero venire i brividi, gli occhi gelidi e il ghigno malefico gli fecero raggelare il sangue.
Pensò a come potesse risultare Slappy una volta capace di muoversi e di parlare da solo.
Lo avrebbe ascoltato?
Avrebbe eseguito i suoi ordini?
Oppure si sarebbe ribellato contro di lui?
Quei pensieri furono bruscamente interrotti da un violento tuono.
James prese il foglio su cui era stato scritto l’incantesimo, e cominciò a leggerlo.
Cercò di pensare ai suoi colleghi, al suo capo e a i suoi ex compagni di scuola, a tutti gli scherzi e le battute che dovette subire in quegli anni .
Pian piano l’odio cominciò a pervaderlo, il rimorso, la rabbia e la voglia di vendicarsi aumentarono.
- Karru Marri Odonna Lomma Molonu Karrano!- esclamò con tutto il fiato che aveva in corpo.
Un altro lampo abbagliò il cielo seguito immediatamente da un boato.
Chiuse gli occhi in attesa che accadesse qualcosa ma quando li aprì, Slappy era rimasto esattamente dove lo aveva riposto.
Lo guardò per diversi minuti, aspettandosi un qualche cenno, ma nulla.
“Forse non ho trasmesso abbastanza odio e rancore…eppure…”.
Una fitta alla testa gli bloccò i pensieri, si portò le mani sul capo urlando.
Sentì come delle martellate sul cranio e la stanza cominciò a girargli intorno sempre più veloce.
-Aiuto!- urlò cadendo sulle ginocchia.
La stanza non smetteva di girare e la nausea cominciò a salire, cercò di alzarsi ma sentì la testa troppo pesante e fu costretto a rimanere in ginocchio.
La nausea aumentò e senza nemmeno accorgersi cominciò a vomitare una strana sostanza.
Riuscì a guardare quella sostanza, era di un colore verdognolo ed emetteva un odore di uomo marcio che gli fece ritornare la nausea.
La vista cominciò ad annebbiarsi e si sentì stanco, stanchissimo, cercò in tutti modi di rimanere sveglio ma non ci riuscì e cadde a terra privo di sensi.
 
Un odore di segatura gli impregnò le narici, cercò di capire dove fosse quando si rese conto di essere steso a terra.
Era molto confuso e la testa gli faceva maledettamente male, riuscì a sedersi e poi ad aprire gli occhi.
Si guardò attorno e si rese conto di essere nel suo appartamento, ma qualcosa non andava.
Cercò di alzarsi ma le gambe cedettero facendolo finire di nuovo a terra, sembrava che fossero rimaste immobili per anni.
Dopo qualche sforzo riuscì a mettersi in piedi ma si sentiva rigido e molto strano.
Si guardò di nuovo attorno e notò come l’intera casa si era fatta più grande, la poltrona sembrava molto più alta, anche il divano e il comodino. Avanzò verso la poltrona e si accorse di come ogni suo passo emettesse un curioso tonfo. Si guardò i piedi e al posto delle sue normali scarpe da tennis vide delle piccole scarpette nere lucide. James divenne ancora più confuso, poi guardò le gambe ed emise un gemito inorridito.
Fuori dai pantaloni grigi spuntavano due gambe di legno.
Velocemente si tastò tutto il corpo e il viso, era fatto completamente di legno!
Senza perdere altro tempo si diresse verso la camera da letto per guardarsi allo specchio.
I suoi movimenti erano rigidi e impacciati e rischiò più volte di perdere l’equilibrio, ma riuscì comunque a raggiungere la stanza.
Cercò di accendere la luce, ma dovette mettersi in punta di piedi per arrivare all’interruttore.
Si avvicinò allo specchio posizionato al lato del letto, sembrava enorme in quel momento, chiuse gli occhi e si posizionò davanti, quando li riaprì un urlo di terrore gli uscì dalla bocca.
Davanti ai suoi occhi, riflesso nello specchio vide Slappy. Si toccò il viso, e i vestiti, si strofinò gli occhi e davanti a lui c’era ancora la stessa immagine. Aveva i capelli marroni e gli occhi azzurri, le labbra color rosso vermiglio e un ghigno inquietante. Indossava un completo grigio e scarpette nere.
Con la manina legnosa toccò il suo riflesso.
-Sono un pupazzo!- urlò portandosi le mani al volto –Sono Slappy!-.
Sentì il suo cuoricino battere e si chiese come era possibile, non riusciva a smettere di guardare il suo riflesso, incredulo di ciò che stava accadendo.
“Sto sognando, ne sono sicuro, adesso torno in soggiorno e mi riaddormento!” pensò trovando quella spiegazione l’unica plausibile.
Corse in soggiorno, o almeno ci provò.
Era quasi impossibile correre con quelle gambe rigide, dovette sforzarsi di non inciampare nei propri piedi e restare in equilibrio.
La stanza era pressoché buia, l’unico bagliore proveniva dalle candele accese. Il suo sguardò calò subito verso il cerchio e notò che effettivamente non vi era più nulla in mezzo. Si avvicinò cercando di pensare che era solamente un brutto sogno ma, quando fu ai piedi del cerchio vide una sagoma accasciata per terra.
Per lo spavento James, perse l’equilibrio e cadde a terra, la vista era annebbiata e la sagoma era avvolta nell’oscurità. Prese una candela e si avvicinò illuminandogli il volto.
Un espressione stupita e allo stesso tempo inorridita apparve sul suo viso fatto di legno, davanti ai suoi occhi increduli vide il suo corpo, senza vita, con il volto imbrattato di una sostanza verdognola e puzzolente.
-Non può essere… cosa sta succedendo?!- esclamò senza fiato.
 Un ennesimo tuono fece tremare i vetri e un lampo illuminò il suo volto umano.
In quel preciso momento una violenta fitta lo attaccò alla testa, il corpo si fece più pesante e sentì una voce che lo chiamava.
-James…James…- lo chiamò una voce stridula e gracchiante.
-C-chi sei?- balbettò James guardandosi intorno terrorizzato.
-Sono Slappy!- rispose la voce – O è meglio dire che sono te!-.
James si sentì confuso, non capiva cosa stava succedendo, era impazzito?
Stava sognando?
Eppure tutto era così maledettamente reale.
-Cosa…- riuscì solo a dire, il dolore alla testa si attenuò ma quella voce continuò a parlargli.
-James, non essere spaventato, ascoltami.- lo rassicurò la vocina con tranquillità.
James si lasciò andare e la ascoltò.
-Ora noi siamo diventati una cosa sola, ora tu sei Slappy.- continuò ridacchiando.
-Ma non è possibile, io ho eseguito perfettamente l’incantesimo!- esclamò James cercando di ottenere una risposta.
-L’incantesimo è stato perfetto James, tutto il tuo odio, il rancore e la malvagità sono entrati nel pupazzo e con loro anche la tua anima.- rispose la voce.
James cominciò a tremare, incredulo, senza parole.
-Ora possiamo fare tutto ciò che vogliamo, potrai compiere la tua vendetta e nessuno ti scoprirà mai!- lo incoraggiò la voce facendosi più decisa.
-Davvero?- chiese James fissando il vuoto.
-Sì…tu ora sei Slappy, non più James, il povero e debole James. Ora tutti coloro che ti hanno fatto del male diverranno tuoi schiavi per sempre!- rispose.
L’espressione di James cambiò, il terrore svanì in un attimo e tutto si fece più chiaro.
-Sì…- esclamò James. -Hai ragione, ora che sono un pupazzo posso fare tutto quello che voglio! Posso finalmente compiere la mia vendetta!-
James alzò la testa e aprì la bocca in una risata malefica.
-Me la pagherete cara…- bisbigliò.
Si avvicinò al cadavere e gli strappò dalla mano la formula per poi metterla nella piccola tasca della sua nuova giacca grigia, dopo di che tirò dei violenti calci al comodino facendo cadere il pupazzo Chris.
Lo prese per il collo e cominciò a tirargli la testa.
-Preparatevi al peggio.- disse staccando la testa a Chris. –Slappy sta arrivando.-
 
 Fine.
Spero vi sia piaciuta, come vi avevo accennato all'inizio, nei libri era già stata raccontata la sua nascita ma veniva solamente spiegato che Slappy fu costruito da un  mago che trasferì tutta la sua malvagità nel pupazzo. Ovviamente io ho storpiato questa "leggenda" traformando il mago in un ragazzo qualunque che sfortunatamente non ha avuto vita facile. Se qualcuno di chiedesse il perchè Slappy non abbia memoria della sua vita da umano posso dire semplicemente che con il passare del tempo, più l'anima di James rimaneva nel pupazzo, più questo perdeva memoria della sua vita prima di diventare Slappy così da convincersi di essere sempre stato un pupazzo. Vi aspetto con altri capitoli e spero di avervi divertito! (e spaventato ;) )

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