Alla mia Asia

di ari3192
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ALLA MIA ASIA ***
Capitolo 2: *** PROLOGO NOVEMBRE 2070 ***
Capitolo 3: *** 1 CAPITOLO MARZO 2070 ***
Capitolo 4: *** 2 CAPITOLO MARZO 2067 ***
Capitolo 5: *** 3 CAPITOLO MARZO 2070 ***
Capitolo 6: *** 4 CAPITOLO SETTEMBRE 2013 ***
Capitolo 7: *** 5 CAPITOLO APRILE 2070 ***
Capitolo 8: *** 6 CAPITOLO MAGGIO 2003 ***
Capitolo 9: *** 7 CAPITOLO MAGGIO 2070 ***
Capitolo 10: *** 8 CAPITOLO GIUGNO 2003 ***
Capitolo 11: *** 9 CAPITOLO MAGGIO 2070 ***
Capitolo 12: *** 10 CAPITOLO LUGLIO 2003 ***
Capitolo 13: *** 11 CAPITOLO SETTEMBRE 2070 ***
Capitolo 14: *** 12 CAPITOLO LUGLIO 2003 ***
Capitolo 15: *** 13 CAPITOLO SETTEMBRE 2070 ***
Capitolo 16: *** 14 CAPITOLO AGOSTO 2003 ***
Capitolo 17: *** 15 CAPITOLO SETTEMBRE 2070 ***
Capitolo 18: *** 16 CAPITOLO SETTEMBRE 2003 ***
Capitolo 19: *** 17 CAPITOLO NOVEMBRE 2070 ***
Capitolo 20: *** EPILOGO DICEMBRE 2070 ***



Capitolo 1
*** ALLA MIA ASIA ***


ALLA MIA ASIA

L'amore non si sceglie, l'amore è chimica e anima. Noi non abbiamo alcun potere su nessuna delle due. Dal momento in cui cominciamo a muovere i primi passi iniziamo a camminare verso quel destino. Ogni azione, ogni parola, ogni decisione ci porta più vicini a quelle braccia che un giorno ci avvolgeranno, a quel corpo che in un futuro tanto incerto quanto prossimo noi stringeremo. Ogni respiro ci guida verso quelle lenzuola che non copriranno scopriranno solo la nostra persona. Siamo un fine invisibile, un'energia inviolabile. Tutti su questo mondo siamo la parte mancante di una metà dispersa, siamo l'equivalente esatto della tanto famosa "mezza mela". E ci illudiamo di poter vivere anche senza trovarla mai ma, nel momento preciso in cui ci rendiamo conto che non è possibile, che come disse il poeta inglese John Donne "Nessun uomo è un'isola", iniziamo a morire lentamente, reprimendo le nostre emozioni fino a non riconoscerle più e cominciamo a smettere di esistere prendendo la forma di un buco nero conosciuto col nome di solitudine. Allora ci chiediamo : quanto siamo disposti a perdere per ritornare a sentirci parte di quella che un tempo era la nostra vita?

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Capitolo 2
*** PROLOGO NOVEMBRE 2070 ***


PROLOGO NOVEMBRE 2070

I piedi erano al limite, dopo soltanto l'infinità dell'abisso. Abbassò lo sguardo, fu un lasso di tempo talmente impercettibile da sembrare eterno. Di nuovo lo sguardo dritto davanti a se. Fiera di ciò che era, di ciò che era stata. Perché lei era pioggia e vento, sole e nuvole. Un altro passo in avanti e sarebbe diventata ciò che era destinata ad essere ma, per i più, solo cenere, un altro corpo senza vita. Un passo ancora indietro e sarebbe stata all'inferno. Il fiume in piena sotto di lei la rilassava come la voce di una madre che rassicura la sua bambina dopo un terribile incubo. Si lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, come se l'avessero già abbandonata. Forse non sapeva che cosa stava facendo, o forse lo sapeva fin troppo bene, era per questo che la paura stava lentamente abbandonando il suo corpo. Inspirò tutta l'aria di cui era capace, fino al punto che i suoi polmoni ne furono completamente saturi, allora espirò provando a lasciar andare ogni ricordo. Ma la verità è che i ricordi erano da sempre, per lei, il bagaglio più pesante da sostenere. Più degli altri, probabilmente, quelli che non aveva ancora mai avuto. Quelli che con un piccolo accorgimento avrebbero reso tutto perfetto. Ma forse era vero, la perfezione non esiste, o semplicemente a lei non era destina. Poi lo vide: lui, solo con lei. Rinchiusi contro l'universo in un attimo sconfinato. Niente parole azzardate, nessun discorso inutile, solo le loro anime nude, la bellezza della loro presenza. Ci pensò e si chiese se allora non esistesse davvero il suo momento perfetto, o fosse lei ancora troppo imperfetta per poterlo cercare. Poi iniziò a sussurrare, più ad alta voce di quanto credesse - Ci abbandoniamo all'illusione di un futuro migliore, senza sapere che ciò che siamo dipende dal momento, e da quanto tempo riusciamo a non perdere dietro farfalle inesistenti. Siamo ciò che pensiamo, ciò in cui crediamo e l'unica cosa da trovare è una forza tanto grande quanto invisibile e presente, una forza capace di farci comprendere che possiamo essere più di quello che gli altri si aspettano che siamo. Nasciamo tutti come pedine radiocomandate ma nulla ci impedisce di spezzare quella sottilissima antenna che ci tiene in suo pugno, e di prendere noi il comando.- Non riusciva a ricordare dove avesse letto quelle parole, né se fosse stato qualcuno a dirgliele però adesso riusciva a percepire perfettamente la gelida pietra sotto i suoi piedi nudi, sentiva ogni singolo battito del proprio cuore ma, più di ogni altra cosa sentiva di sapere perché era proprio lì e non da qualunque altra parte. Asia, questo era il suo nome, come il più vasto tra i cinque continenti. Le antiche mappe medioevali raffiguravano il continente asiatico come un'enorme terra dai confini incerti. E la verità era che nessun nome sarebbe potuto essere più azzeccato per lei. Lei che non aveva mai avuto nulla di sicuro. Nemmeno se stessa. Lei che aveva sempre preso in giro l'amore e adesso era proprio per quello che si trovava su quel ponte. Aveva sempre creduto in tutto, tranne che nel bisogno assoluto di avere qualcuno al proprio fianco. Adesso, però, sola contro ognuna delle certezze su cui aveva costruito la proprio vita, iniziava a prendere atto del fatto che la sua unica sicurezza stava nel dover calciare via ciascuno di quei mattoncini. Doveva autodistruggersi per poter ricostruire. Perché l'unica cosa in cui riusciva a credere era di non poter immaginare una vita senza quel ragazzo dagli occhi che in continuazione si perdevano e ritrovavano. Sapeva che se fosse tornata indietro avrebbe perso quello sguardo e con lui tutto ciò che ancora non sapeva. Senza lui non avrebbe mai conosciuto ciò che lei stessa era. E in quell'acqua profonda e scura a pochi metri dai suoi piedi c'erano i suoi occhi che la guardavano. Come due gigantesche sfere blu l'attiravano come la calamità attira il metallo. Lei, in quel momento, altro non era se non come ferro fuso. Liquido nero destinato a quelle mani che non avrebbero potuto toccare nient'altro all'infuori della sua materia.

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Capitolo 3
*** 1 CAPITOLO MARZO 2070 ***


1 CAPITOLO MARZO 2070

-Va a fuoco! Sta bruciando tutto!- Asia provò disperatamente a gridare ma, neppure una sillaba si librò nell'aria. Era come se qualcosa avesse tagliato di netto le sue corde vocali. Le fiamme, che sembravano essere comparse dal nulla si stagliavano tutt'intorno a lei come tante piccole streghe intente in chissà quale malefico rituale. Incessanti e maligne sacrificavano ogni ricordo ed ogni spiraglio di futuro riducendo tutto quanto in minuscoli granelli di cenere. Una fiammella appena nata le sfiorò il braccio senza però ustionarla. Solo un acuto dolore l'attraversò da parte a parte come se una lama tagliente le avesse penetrato la pelle. Era al secondo piano, sola, le scale erano diventate una trappola mortale. C'era un unico punto che non aveva ancora ceduto al braccio di quell'inferno. La piccola finestra che si affacciava sopra al cortile posteriore sembrava essere immune a qualunque cosa. Asia la guardò, un minuscolo quadrato che sembrava dirle: sono la tua unica possibilità. Si rese conto, allora, che il coraggio era la sua ultima risorsa. Si avvicinò a piccoli passi, pervasa come da un'inaspettata calma, come ipnotizzata si gettò. Un volo che le parve infinito. - Mi ucciderò - Pensò mentre si lanciava nel vuoto. Quando finalmente finì a terra restò immobile per quello che le sembrò un interminabile minuto, convinta del fatto che qualunque mossa l'avrebbe segnata per sempre. Il quartiere era come immerso in un sonno statico, nemmeno il vento sembrava essere presente, era tutto completamente immobile quasi fosse l'unico personaggio di un quadro senza nome. Spalancò gli occhi verso il cielo, la nube di fumo aveva oscurato ogni cosa. Poi si accorse, incredula, che le sue ossa, tutte e duecentosei, erano completamente intatte e prima ancora che potesse gioirne lo scenario cambiò, si ritrovò spersa in un sentiero che si snodava al limite della realtà. Era buio. Una di quelle notti senza stelle e senza luna, un tappeto nero che aveva l'acre odore della morte. Camminò, sapeva che non c'era altro che potesse fare. Il suo unico obbiettivo era restare viva. Tutto ricordava un mondo postapocalittico. Si sentiva come l'ultima superstite. I campi di grano si estendevano a perdita d'occhio su entrambi i lati, piegandosi sotto il volere di una strana brezza. Mentre cercava di capire che cosa stesse succedendo, raccogliendo tutti i propri pensieri, finì con la scarpa contro qualcosa. Un rumore metallico rimbombò nell'aria. Una maniglia sembrava essere comparsa dal nulla sotto di lei, ricordava l'entrata di un bunker antiatomico. Tirò a se l'oblò bronzeo fino a che non si aprì completamente. Una galleria immersa nella più assoluta oscurità si allungava fino a chissà dove. Non aveva mai creduto alle coincidenze ma tutto quello che le stava accadendo sembrava non darle ragione, e ne ebbe la conferma quando un interruttore si materializzò all'improvviso accanto all'entrata della scaletta. Quando lo premette tante piccole luci si accesero una di seguito all'altra. Ogni piolo scricchiolava passo dopo passo, come se gli anni l'avessero indebolito, come un anziano signore che barcolla appoggiato al proprio bastone. Così giunse a toccare il pavimento. La polvere illuminata dalla luce creava strane forme nell'aria, talvolta come stessero ballando una graziosa danza altre librandosi in vortici confusionari. Un'aria senza vita e senza respiro. Brandine e cibi in scatola erano accatastati in ogni angolo. Asia sfiorò con le dita tutto ciò che poteva, ed ogni volta una scarica di energia si impadroniva di lei. Era come se il passato di ciascun oggetto fosse improvvisamente presente. C'era un'unica porta appena visibile in fondo ad un claustrofobico corridoio e come mossa da qualcosa che andava oltre la ragione stessa vi si avvicinò, poi come se stesse sfiorando qualcosa di misticamente raro, la dischiuse. Il vuoto pareva essere l'unica presenza all'interno, solo dopo un secondo sguardo si accorse che non era sola. C'era una gigantesca statua addossata nell'angolo più remoto, ad Asia dette l'impressione di essere lì da prima che il mondo fosse nato. Sembrava raffigurare un giovane ragazzo. Quando fu ad un passo da quella sagoma immobilizzata nel tempo, riuscì a vedere che ogni dettaglio era stato inciso con una cura meticolosa. I capelli che sfioravano le spalle leggermente ricurve assomigliavano a tanti piccoli serpenti. Gli occhi, grandi, sembravano osservarla da ogni angolazione. Sentì l'amore crescerle dentro, come se quella statua non fosse in verità una semplice statua. Così poggiò le sue dita sul marmo, sentì la sua pelle vibrare sotto la meravigliosa fermezza di quella misteriosa scultura. Chiuse gli occhi cercando di immaginare chi fosse colui che aveva ispirato tutto ciò e nel momento esatto in cui nella sua mente quell'ammasso di pietra fredda iniziava a prendere reali sembianze umane, un calore si irradiò lungo i suoi arti.

Quando tornò a guardare si accorse, indietreggiando istintivamente, che non c'era più alcuna statua.

Il giovane che aveva preso il suo posto parlò - Ti stavo aspettando - Le disse.

Asia finì con la schiena contro il muro nel tentativo vano di fuggire. La sua bellezza era paragonabile alla perfezione stessa, a qualcosa in cui non aveva mai riposto fiducia. I suoi occhi erano di un celeste talmente chiaro da risultare quasi trasparente, e i piccoli serpenti di poco prima, che contornavano un volto maestosamente squadrato, erano adesso tante spighe di granturco.

- Mi chiamo Leo, piccola Asia - Stava per chiedergli come facesse a sapere il suo nome ma senza che le sue labbra si muovessero, il ragazzo statua iniziò a sussurrarlo ancora, da prima piano poi sempre più forte - Asia, Asia, Asia...-

Quando riaprì gli occhi si accorse che quello non era altro che uno stupido sogno, di fianco a lei c'era uno sconosciuto.

Sussultò rendendosi conto che il ragazzo seduto al suo fianco e quello del sogno sembrano essere la stessa persona. -Ti chiedo scusa ma stavi gridando "Asia", suppongo sia il tuo nome.- Disse il giovane lanciando uno sguardo al ciondolo che portava al collo. Asia sorrise, forse esistevano le coincidenze, e non solo nel mondo dei sogni.

Ci sono storie che per viverle abbiamo bisogno di tutto il coraggio di cui siamo capaci, e spesso non è abbastanza. Asia aveva venticinque anni e nessun futuro se non quello che si immaginava quando guardava il sole. Si immaginava spersa ai confini del mondo con una macchina fotografica appesa al collo e un pacchetto di sigarette perennemente mezzo vuoto nella tasca dei blue jeans. Ma aveva imparato che quello che si desidera non corrisponde mai al grande disegno che le enormi mani del destino hanno in serbo per noi. Così si cullava nel dolce nettare della fantasia con talmente tanta convinzione da farla sembrare reale. La verità è che aveva tutto ciò di cui aveva bisogno per essere felice, ed era proprio perché ne era profondamente consapevole che non riusciva a comprendere come mai erano sempre più frequenti i momenti in cui l'aria le mancava e la paura di essere fuori posto la graffia internamente lacerandola. Diventava ogni giorno più simile a una morsa che la stringeva provocandole un senso di soffocamento terrificante.

L'unica convinzione che con gli anni non era mai cambiata era che non aveva ancora trovato il suo posto nel mondo. Ma ora che aveva incrociato quegli occhi, seppure si sentisse tremendamente stupida anche solo a pensarlo si chiese se non avesse dovuto rivalutare ogni sua posizione. Le parole tra loro scorrevano a fiumi in quello strano pomeriggio di inizio primavera. Come se il tempo prima non ci fosse mai stato, come se i loro destini fossero stati da sempre obbligati ad incrociarsi per tessere insieme una tela più grande di loro stessi. Non si sfiorarono mai, nemmeno per errore, le loro mani, le loro gambe, i loro piedi, solo aspettarono insieme un treno che non sapevano se li avrebbe condotti nella stessa direzione. A giudicare dal vuoto attorno a loro sicuramente in quel viaggio sarebbero stati gli unici passeggeri. Quando il fischio del treno di fece più vicino si salutarono dandosi appuntamento a una settimana dopo esatta, in quel medesimo posto. 

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Capitolo 4
*** 2 CAPITOLO MARZO 2067 ***


2 CAPITOLO MARZO 2067

- Hai studiato per la verifica di domani? -

- Perché avrei dovuto? -

Testa, così l'avevano soprannominato i suoi amici ormai da due anni, non era mai stato quello che verrebbe definito "un secchione", aveva sempre preferito il pallone ai libri di scuola. Ed era proprio da questa sua grande passione che derivava il suo nomignolo. Era diventato "Testa" quando durante una partita di calcio aveva segnato il goal decisivo grazie, appunto, ad una micidiale testata che con una potenza inaudita aveva mandato il pallone in rete. Lasciando di stucco sia gli spettatori che i giocatori in campo. Così con avversari compresi a bocca aperta, per la prima volta si era sentito fiero di se e soprattutto aveva sentito di far parte di qualcosa di grande.

Quel giorno rientrando a casa trovò soltanto un biglietto "il pranzo è nel microonde, mamma". Dopo aver finito di mangiare, come al solito uscì con Oscar.

Oscar era l'unico fra i suoi amici ad avere già la patente, era anche l'unico ad avere già compiuto diciotto anni.

- Lancia!-

- Gran bel colpo, amico!-

Passavano le loro giornate nel campetto del paese vicino, il sole era alto e sembrava non avere intenzione di scendere, così entrambi, sudati e accaldati, si tolsero la maglietta. Oscar non era certo un palestrato, aveva il fisico di chi ama mangiare ma soprattutto bere. Testa, d'altro canto era sempre stato fortunato da quel punto di vista. Era bello da fare invidia, forse lo era anche di più perché non sapeva di esserlo. Non cercava a tutti i costi di apparire, preferiva di gran lunga la sostanza.

Sua nonna gli diceva sempre " La pelle cadrà un giorno, i tuoi occhi si gonfieranno, si chiama vecchiaia tesoro. Ma la mente è immune ad ogni legge fisica.Non innamorarti mai dell'aspetto esteriore, le modelle sono solo appendiabiti, chi punta sulla propria intelligenza non morirà mai, non avrà mai paura, si illuderà solo di averne perché conoscerà il mondo, quello vero, non quello che gli altri hanno disegnato per lui."

Si sedettero sotto un enorme faggio quando sentirono che la pelle iniziava a bruciare. Era un'atipica giornata che sapeva già di giugno.

- Marzo è sempre stato il mio mese preferito -

- Sarà mica perché è il mese del tuo compleanno!- Oscar lo spalleggiò ridendo

- Manca poco ormai e poi sarò io a scroccarti i passaggi in macchina.-

Testa si sdraiò contro l'erba, sentiva il profumo dei fiori appena sbocciati salire fin dentro le narici, inspirò e chiuse gli occhi. Amava la sensazione piacevole data dall'immergersi nel buio più completo, poteva far finta di vivere in un mondo tutto suo. Un pianeta distante anni luce dal proprio, lontano da ogni regola, da ogni cliché. Poteva volare, ricadere a terra senza provare dolore. Poteva dire e fare qualsiasi cosa senza nessuna conseguenza. Voleva solo essere libero.

- Lavativi! Non si gioca oggi? - La voce di Giò lo riportò alla realtà.

Quando riaprì gli occhi vide la sua mano tesa verso di lui che lo invitava ad alzarsi. Ripresero da dove avevano interrotto, fin quando la luce fu troppo fioca per poter continuare.

Giò si chiuse la felpa fino alla sommità del collo poi salì sul suo motorino. - Ci vediamo domani, belli! - Testa ed Oscar salutarono l'amico con un cenno distratto della mano mentre mettevano borsoni e pallone nel portabagagli dell'auto.

Testa salì allacciandosi la cintura di sicurezza e nel frattempo il cellulare iniziò a vibrare dentro la tasca, sul display lampeggiava la scritta "Mamma" - Sto tornando, fra un quarto d'ora sono a casa. - Disse mentre Oscar stava già mettendo in moto.

Il sole era già quasi scomparso del tutto dietro l'orizzonte.

- Metti il cd nuovo?- Chiese l'amico continuando a guidare - E' nel cruscotto -

Testa si piegò in avanti per cercarlo proprio mentre una luce accecante lo abbagliò alla sua destra, illuminando a giorno l'abitacolo. Non vide nient'altro, il buio che tanto lo faceva sentire al sicuro diventò improvvisamente il suo peggior incubo.

Le palpebre da prima pesanti sembravano essersi decide a dischiudersi. Non riusciva ad immaginare per quanto tempo fosse rimasto privo di sensi, non percepiva più il peso del proprio corpo. Si sentiva annullare lentamente come se qualcosa o qualcuno lo stesse trascinando in profondità. D'istinto provò a muovere le gambe ma era come se il collegamento tra il cervello e le sue funzioni motorie si fosse improvvisamente interrotto. Fissò il cielo scuro sopra di lui, era completamente privo di stelle. Alzò le braccia, o almeno si convinse di averlo fatto, e per un attimo credette di vedere le sue mani elevarsi sopra il suo viso. Seguì con gli occhi la linea della vita fino a che, nel panico soffocante, ogni immagine si dissolse come se non fosse mai esistita.

Quando finalmente riuscì di nuovo a percepire il mondo attorno a lui, fu devastante. Era come se stesse fluttuando sopra le riprese di un film dell'orrore, e lui ne era il protagonista. L'aria era impregnata dell'odore acre che trascina con se la morte quando sta per sopraggiungere. Vide se stesso disteso a terra, il sangue sembrava formare un disegno tutt'intorno, come un agghiacciante "Test di Rorschach", e lui di quell'immagine ne era parte integrante. Provò di nuovo a muoversi ma il corpo, metri e metri sotto di lui, restò inerte.

- Devi muoverti! Fa vedere che sei ancora vivo, che sei ancora qui!- Gridò, ma non uscì alcun suono, eppure riusciva a sentirle: decine e decine di voci aleggiavano chiare dentro la sua testa e come spilli gli provocavano fitte continue.

Non riusciva a vedere Oscar, eppure sapeva di essere stato con lui fino a un momento prima.

Poi vide un raggio di sole in mezzo a tutto quel caos, sua madre si stava facendo largo tra la folla, lo stava cercando. - Sono qua!- Urlò credendo di aver finito in quel momento tutto l'ossigeno di cui disponeva ma, in cuor suo lo sapeva, era certo che lei non avrebbe mai potuto sentirlo.

Continuò ad aleggiare su quello che non sapeva più se essere o meno parte di lui fin quando delle braccia non vennero a portar via quel che di lui restava.

Si addensò un rumoroso silenzio poi qualcuno parlò - Mio Dio, non ce la farà!- Furono le ultime parole che udì prima di sprofondare in un assordante nulla.

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Capitolo 5
*** 3 CAPITOLO MARZO 2070 ***


3 CAPITOLO MARZO 2070

Asia si svegliò con un'insolita energia. Improvvisamente riusciva a percepire ogni cosa coi suoi colori più vivi. Scostò le tende e anche attraverso i vetri il cielo era di un azzurro più vivido, il rosa, da prima spento delle pareti della sua camera, adesso era più acceso. Era come se un pittore durante la notte avesse passato una nuova mano di vernice, e se si sforzava un poco poteva quasi immaginarne l'odore.

Oggi l'avrebbe rivisto, l'unico ragazzo che era riuscito a guardarla esattamente come avrebbe sempre voluto essere guardata. Senza filtri, per la prima volta, attraverso i suoi occhi aveva visto che ci poteva essere del buono anche in quella vita che lei aveva così detestato. Ed in un attimo aveva dato luce a quel buio che per tutti quegli anni aveva fatto suo. Doveva solo raggiungere la stazione.

- E se non si presentasse?- Pensò, e nel medesimo istante si rese conto che la sua vera paura era che accadesse proprio il contrario.

Era paralizzata da un nuovo timore, quello di innamorarsi.

Aveva sempre avuto un'unica convinzione quella che l'anima gemella, oltre ad essere una prerogativa delle favole da "Happy Ending" fosse anche una completa perdita di tempo. Si era convinta di non essere fatta per amare un corpo, bensì credeva che tutto l'amore di cui disponeva fosse destinato a tutto ciò che ancora non aveva avuto la possibilità di vedere, alla curiosità di poter andare sempre più oltre dell'orizzonte stesso. Voleva arrampicarsi su una qualche parete rocciosa in sud America, camminare a piedi nudi su una spiaggia deserta. Desiderava soltanto riuscire ad essere se stessa in ogni singolo angolo del pianeta.

Immobile davanti alla porta d'ingresso per il suo prossimo futuro per la durata di un battito di ciglia credette che sarebbe stato più semplice fare un passo indietro, ma proprio mentre pensava questo spinse la maniglia ed entrò. L'intera stanza era immersa in un desertico silenzio. Deglutì, le mani cominciarono a sudarle, mentre la delusione per quell'immenso vuoto diventava per lei come una seconda pelle. Con gli occhi attraversò ogni centimetro quadrato ma, di lui neanche l'ombra. Si sedette sulla prima panca che trovò. Con la schiena si appoggiò alla parete ed inspirò. Si rese subito conto che c'era qualcosa di strano che premeva sotto di lei, eppure prima di sedersi aveva controllato. Era un piccolo quaderno che aveva le sembianze di un diario. Lo soppesò prima di accorgersi che, scritto con grafia tremante, sopra c'era il suo nome" Alla mia Asia, colei che non credeva di poter credere nell'amore" Si guardò attorno, la ragazza alla biglietteria sembrava immersa in una qualche conversazione telefonica, poi con le dita accarezzò il nastro che lo teneva chiuso, era raso verde "il mio colore preferito" si sorprese ad osservare. Stava per iniziare a leggere quando il cellulare trillò nella borsa. Era suo padre.

Uscendo si avvicinò alla giovane che adesso aveva abbassato la cornetta. Aveva l'aria di chi non ha certo voglia di lavorare.

- Mi scusi, ha mica visto chi ha lasciato questo?- Chiese indicando il piccolo diario ma, la risposta che ricevette la lasciò con tanti punti interrogativi e un senso di inquietudine - Come scusa? Chi ha lasciato cosa?-

- Questo dia...- Si bloccò quando il volto della sconosciuta si trasformò nell'espressione di chi ha appena incrociato un pazzo

- nulla, non ha importanza- e uscì in strada.

Per anni si era sforzata di guardare sempre al di là, senza lasciare che la ragione la frenasse. Aveva imparato a credere nell'incredibile. Così si era convinta che non c'erano pazzi ma solo persone capaci di essere libere al limite della comprensione umana.

"Alla mia Asia, colei che non credeva di poter credere nell'amore", rilesse quella frase altre dieci volte, forse con la speranza di dargli un senso, ma la bellezza di quelle parole era racchiusa nella mancanza di ogni logica. Volò guidando verso casa, nella speranza di bruciare il più possibile l'attesa che la separava dal poter iniziare a leggere le prime righe. Sfogliò la prima pagina, era tutto scritto interamente a mano, in una grafia che trasudava passato. 

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Capitolo 6
*** 4 CAPITOLO SETTEMBRE 2013 ***


4 CAPITOLO SETTEMBRE 2013

Capii che cosa mi ero perso quando la rividi dieci anni dopo, d'istinto la guardai con gli stessi occhi della prima volta. Mi resi conto di aver smarrito, con lei, la parte di me che dava un senso alla mia presenza su questo mondo, che mi rendeva diverso. Solo qualche secondo dopo metabolizzai l'idea che sarebbe stato difficile per entrambi, venivamo da due realtà differenti, da due differenti decenni, ma dicono che l'amore non ha età e se anche fosse siamo noi a non averne una. Gli anni non sono altro che delle cifre messe lì per ricordarci quanto tempo ci resta, ma come poteva sfiorarci a noi l'idea, noi che eravamo l'unico percorso di due differenti cammini. Una cosa avevamo in comune, eppure l'unica indispensabile: la speranza che esistesse l'infinito.

Era il 17 settembre del 2013 e lei scese gli scalini dell'autobus come se stesse scendendo la scalinata di un castello. I suoi capelli si erano allungati, adesso le sfioravano le spalle, gli occhi non sembravano essere stati sfiorati né dai mesi né dagli anni. Erano solo più pieni di quell'universo che lei aveva avuto la fortuna di vedere, avevano la stessa profondità del planisfero che quando ero un ragazzo tenevo appeso a una parete della mia camera. Ciò che la rendeva unica era la semplice incoscienza della bellezza che portava con se ad ogni passo. La lunga gonna nera accarezzava il selciato, mi sorrise e con una mano sfiorò il mio profilo, mi illusi che in quel gesto ci fosse la necessità inconsapevole di rendermi suo ancora una volta, suo per sempre. Una parte di me, probabilmente quella più coscienziosa, mi diceva di assaporare quella giornata come se stessi gustando l'ultima goccia, dell'ultima lattina della mia bevanda preferita e di buttarne subito dopo il contenuto e perfino la cannuccia. Insomma quella fastidiosa vocina interiore mi ricordava, sprezzante, che stavo invecchiando, che su di me quei dieci anni si vedevano tutti, fino all'ultimo decimo di secondo. Era la sua pelle della stessa consistenza di un petalo di rosa, così vicina alla mia che potevo percepirne il pericoloso profumo, erano i suoi pensieri rumorosi che creavano interferenza con la visione chiara delle cose, costruendo nella mia testa fantasie degne del miglior regista.

Quel 17 settembre di ormai quarant'anni fa avevo quarantatré anni e sei mesi esatti mentre quella che pareva un giovane fiore immune al tempo, in piedi di fianco a me, ne aveva appena trentadue, otto mesi e tredici giorni. Aspettai che si perdesse a cercare intorno a sé qualche dettaglio come ricordavo fosse solita fare, poi la guardai. Volevo imprimere nella mia mente l'eterna giovinezza, tra altri dieci anni l'avrei ricordata così: incredibilmente perfetta.

- Vorrei poterti dire che mi ricordi qualcosa, che so un dipinto, un fiore... - Le parole mi uscirono ed io non ebbi il tempo, forse comunque non ne sarei stato capace, per fermarle. Vidi i suoi occhi ingrandirsi, pienarsi di tutta l'attenzione necessaria per ascoltarmi, come se la cosa che più di me le era mancata fossero le mie parole

- Continua - mi sussurrò a mezza voce, intuii, o forse fu solo l'immaginazione, una nota di inquietudine nella sua richiesta, una sorta di paura soffocata dal desiderio di sapere.

- Ecco, hai presente quelle cose che i film, i libri ti insegnano a dire in momenti come questo? "sei così bella che mi ricordi un giardino in fiore", ecco tutto questo non posso dirtelo, non a te. La verità è che tu non potrai mai ricordarmi nulla perché sei troppo bella per poter essere paragonata anche alla più paradisiaca delle cose...-

Ricordo l'attimo di silenzio che ne seguì con la stessa potenza di una bomba a mano.

Lei non distolse lo sguardo dal punto incerto che aveva fissato per tutto il tempo, ma le sue labbra la tradirono, una leggera smorfia le illuminò il volto, anche il più freddo dei cuori può essere sciolto. Eppure quella reazione sorprese anche me, come poteva dopo tutto quel tempo riuscire a sorprendermi ancora.

Avrei voluto chiederle talmente tante cose che alla fine non riuscii a porle nessuna domanda, c'era come un calore, nella profondità della mia gola, che dissolveva ogni mio tentativo.

Fu lei a parlare per prima e le sue parole, o meglio quell'unica pesante parola, mi risuona viva nella testa ancora oggi - Perché?- disse soltanto in quel punto interrogativo c'era tutto quello che saremmo potuti essere e non eravamo riusciti a diventare. C'erano i nostri piedi nudi e vicini nell'oceano, e c'erano le mie mani incerte sul suo seno spoglio. E poi c'era il caldo dei nostri respiri nelle notti d'inverno che non avremo mai vissuto, non insieme. Dischiuse le labbra come per parlare ancora ma si bloccò come se stesse per dire qualcosa di poco importante, poi si voltò. Con lei si mosse una nube di profumo che non avrei mai dimenticato e con un balzo silenzioso come la sua presenza salì sulla balaustra del ponte che stavamo attraversando, allargò le braccia prendendo con se tutta la vita che l'Arno portava tra i suoi flutti.

Con la punta dei piedi si sporse oltre il limite ed io d'istinto l'afferrai.

La sua caviglia si modellò sotto la mia mano, come se l'avessi creata io stesso. Come se lei non fosse altro che una mia fantasia diventata realtà. E mentre quella presa si trasformava in una carezza mi accorsi che si può toccare un sogno, che io ero la chiave in grado di aprire il cassetto in cui per lungo tempo era stata racchiusa la mia vita.

I nostri profili si incrociarono in un soffio di vento, le nostre iridi si guardarono per un attimo senza rimpianto alcuno. Furono solo passione e desiderio.

Firenze era bella, dicevano la città in cui, più di ogni altra, si manifestava la sindrome di Stendhal ed io è così che mi sentii lì, adesso: i battiti del cuore ricordavano cavalli impazziti, la vista annebbiata dal confine in cui tanta bellezza era costretta ad essere circoscritta.

Ed ora è quasi come se la stessi guardando di nuovo ma, al tempo stesso mi chiedo se fosse mai stata reale, se per tutto questo tempo ho vissuto in una realtà parallela, in una bella fantasia che la mia mente, beffarda cara amica ha reso col passare degli anni talmente reale da essere vera.

Si può inciampare così tante volte nel destino? E si può poi, rialzarsi per poter andare avanti e camminare ancora? Il ricordo di quel pomeriggio, della notte che ne seguì e di tutto quello che successe dopo mi dicono che si, è possibile ma, il buon senso mi suggerisce che sono solo un matto, uno dei tanti. Quello che accadde quando lasciammo Ponte Vecchio è scolorito dalla nebbia che salì dal fiume fin dentro le nostre anime, ma alcune macchie di colore hanno resistito all'umidità degli eventi.

Un'ora dopo eravamo distesi tra le lenzuola ingiallite dall'età della mia stanza. Il sole era già affondato dentro le colline mentre il suo viso era immerso tra le mie scapole. Il dolce alitare del suo respiro ha lasciato tracce indelebili sulla mia pelle, segni che tutt'ora posso toccare e con loro tocco lei come in quella notte dove a riscaldarci erano i nostri sussurri soffocati dalla foga del momento, un'istante che aveva l'incombenza di colmare tutto il vuoto di un passato che ci eravamo negati. Cercai di spingermi più oltre del possibile per farla restare dentro di me più a lungo della morte stessa, più in là del probabile.

Le sue unghie graffiarono la superficialità delle risposte che non avrei mai avuto. Perché per conoscere dobbiamo avere il coraggio di sapere e per capire dobbiamo avere la forza di trovare qualcosa che non ci saremmo mai aspettati di incontrare.

Quando si addormentò la fotografai. Su di un fianco, la mano leggera sotto la testa, era il ritratto di una serenità che non avevo mai visto in lei. La luna come una coperta creava ombre degne di un'artista navigato e col pensiero l'accarezzai per paura di svegliarla da chissà quale sogno. Gemette voltandosi dall'altro lato ed io l'amai con tutta la potenza di cui un'insulso essere umano può essere capace, e avrei voluto essere di più per lei, avrei voluto essere un gigante per poter essere alla sua altezza. Mi alzai per bere un bicchiere d'acqua, semiaperta sul pavimento c'era la sua borsa. Il borsello e le sigarette si erano riversati a terra, mi piegai per raccoglierli. Una minuscola fototessera mi scivolò tra le dita: Thomas, la mia ragione di vita. Rimasi immobile di fronte alla dolcezza di quella frase, chi era Thomas? Poi presi coraggio e girai la fotografia.

Non c'era Lisa, ma un piccolo ometto dai capelli riccioli e rossicci, in tutto e per tutto identico a lei. Tranne gli occhi, quando li vidi fu come se mi stessi guardando allo specchio. Persi quasi del tutto l'equilibrio mentre quel tenero volto mi sorrideva quasi fosse in carne ed ossa di fronte a me.

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Capitolo 7
*** 5 CAPITOLO APRILE 2070 ***


5 CAPITOLO APRILE 2070

Come ogni mattino, da quando aveva letto le prime pagine, cercò il diario. Non riusciva a capire come quella storia potesse avere a che fare con lei. Eppure c'era qualcosa di familiare, Thomas, era così che si chiamava suo padre: il temibile avvocato Thomas Bianchi. Ma oltre a quello non c'era nient'altro che la legava a quelle parole se non i suoi sentimenti che mutavano ogni volta che scorreva una nuova riga.

Lo teneva nascosto all'interno di un logoro manuale. Aveva deciso di sacrificare il vecchio libro in favore del suo segreto: era abbastanza grande e poco interessante. Aveva ricavato, dalle pagine al suo interno, un quadrato delle dimensioni esatte di quello strano quaderno, nessuno l'avrebbe mai trovato.

Lo aprì, ma come ogni volta le pagine successive a ciò che già aveva letto erano interamente spoglie ad esclusione di una frase a margine che ormai aveva imparato a memoria: c'è un momento per ogni cosa, quando arriverà non temere lo saprai. Non poteva certo negarlo, trovava assurdo tutto quello che le stava accadendo. Perché lei? Perché proprio in quel momento? Milioni di domande le ronzavano nella testa eppure, nel momento in cui tutto era cominciato, si era promessa che non si sarebbe mai tirata indietro, che avrebbe trovato prima o poi il punto d'inizio di quegli strani eventi.

Anche quel giorno gettò le armi, il fato aveva vinto ancora una volta. Scese a fare colazione.

- Babbo il latte è finito!-

La televisione accesa in soggiorno era a volume troppo basso perché suo padre non potesse sentire la sua voce, gridò nuovamente.

Affacciandosi al di là dell'arco che divideva la cucina dall'altra stanza vide la sagoma di suo padre alzarsi dalla poltrona, si avvicinò appena in tempo per evitare che cadesse a terra

- Che cos'hai?- Gli chiese iniziando a tremare.

Thomas la fissava con occhi persi, dalla fronte piccole gocce di sudore freddo si allungavano lungo tutto il suo volto. Si sorresse ad un architrave tenendosi il petto, Asia era a dir poco terrorizzata, se l'avesse perso si sarebbe persa.

- Fa male, è come se qualcosa mi stesse schiacciando il petto.- Disse in un soffio, sentì la fatica in quella sua risposta. - Chiama il 118!-

Lo fece sedere mentre quei tre semplici numeri prendevano nella sua testa le sembianze di geroglifici egizi "Posso farcela" si ripeteva cercando di nascondere le lacrime.

La dottoressa che le rispose fu chiara - Infarto -

In quel tempo interminabile in cui l'ambulanza tentava di raggiungerli Asia sapeva di essere l'unica possibilità per suo padre. Si inginocchiò di fronte a lui, dopo averle detto la diagnosi, la dottoressa aveva aggiunto con rapida fermezza - Potrebbe avere un arresto cardiaco, deve stare calma, sdraialo su una superficie dura. Niente materassi o simili. Il punto dove praticare il massaggio cardiaco si trova esattamente poco sotto la metà dello sterno, una volta trovato deve alternare due respirazioni bocca a bocca a quindici compressioni, usa tutta la forza possibile e controlla che avvengano le dilatazioni del torace e dell'addome. Se l'attività cardiaca dovesse riprendere, fermati. -

Mentre ripassava mentalmente tutte quelle nozioni mediche alla velocità della luce, successe. Lo vide piegare la testa all'indietro, come fosse appena sprofondato in un sonno profondo. Corse verso di lui, il polso era quasi completamente assente. Con una precisione impressionante mise in atto tutto quello che le era stato detto e dopo la terza volta che ripeteva il tutto arrivarono i soccorsi. Un medico dai capelli brizzolati le ordinò soltanto di raccogliere tutti gli effetti personali indispensabili.

Poco dopo se ne stava lungo il corridoio principale, non riusciva a tenere fermo il bicchierino di caffè che stringeva tra le mani, in quel momento lo intravide. Fu giusto il tempo di un battito d'ali, ma ne era certa, il ragazzo della stazione era lì. A passo svelto gettò il bicchierino nel primo cestino che trovò e si mise a cercarlo. Si accorse che ogni volta che qualcosa aveva a che fare con lui era come spinta da una forza cento volte più grande di lei, anche in una situazione come quella non poteva far altro che abbandonare chiunque altro per averlo. Era seduto a terra, le gambe incrociate, la schiena rilassata contro la parete quando lo trovò. Si guardò attorno, come la prima ed unica volta che si erano visti, non c'era nessuno attorno a loro.

Sembrava non averla notata. Asia aveva sempre odiato gli ospedali, quell'odoro nauseante di malattia e medicine le diede un senso di vertigine, le mancò l'aria. Inspirò e fingendo che fosse tutto normale parlò

- Che fai?- Chiese avvicinandosi.

Lui per nulla sorpreso, rispose - Cerco un dettaglio, vedi? Lassù nel cielo, al di là della finesta, qualcosa di talmente bello che quasi non si riesce a vederlo-

Asia credette di non essersi mai svegliata quella mattina, forse suo padre non aveva mai nemmeno avuto un infarto

- Sei incredibile - Bisbigliò.

Lui sorrise - Prendi la mia mano -

Asia obbedì. Sentì il suo palmo morbido contro il suo, le sue unghie la solleticarono

- Adesso sono più credibile?- Le chiese.

Si guardarono

- Perché non sei venuto?- Domandò pur sapendo che nessuna risposta l'avrebbe rassicurata.

- Ma io c'ero- Disse lui, l'unica cosa che non si sarebbe mai immaginata di sentire.

Si ritrovarono così vicini da non capire se mai prima fossero stati distanti, poi lui le prese il mento sottile tra le dita annullando completamente tutto ciò che li teneva separati, e la baciò. Uno di quei baci che sembra non debbano mai arrivare, da prima appena sfiorato poi sempre più forte. Quei baci in grado di fermare le lancette degli orologi e il loro fastidioso ticchettio.

- Puoi immaginare l'immaginabile? -

- Posso vederti, quindi posso farlo- E mentre pronunciava quelle parole tornò con la mente al diario, come un istinto primordiale sentiva che la rarità che lo rendeva così speciale era direttamente proporzionale all'unicità di quello strano ragazzo di cui, si sorprese a considerare, non sapeva nemmeno il nome.

- So che ci sono parecchie domande che vorresti fare ad alta voce, quando il tuo cuore riuscirà a battere forte anche contro la tua volontà avrai delle risposte, adesso chiudi gli occhi.-

- Dimmi almeno come ti chiami.-

Ma quando riaprì gli occhi si ritrovò di nuovo al punto di partenza: in piedi nel corridoio centrale. Come se nulla fosse mai accaduto, col caffè ancora completamente intatto tra le mani tremanti.

Un'infermiera la stava fissando - Signorina, va tutto bene?-

- Io, si... mio padre!- Improvvisamente si ricordò dove fosse, perché fosse lì.

- Sono qui per questo, non si deve preoccupare. Si riprenderà. Vuole vederlo?-

Una volta a casa si accorse che il diario si era spostato, come se fosse mosso da vita propria, era aperto sulla scrivania. Nuove parole sembravano essere pronte per essere lette. Così Asia distese le pagine poggiandovi il palmo al centro. Guardò la data, tornava indietro di dieci anni...

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Capitolo 8
*** 6 CAPITOLO MAGGIO 2003 ***


6 CAPITOLO MAGGIO 2003

- Noi siamo quello che sappiamo, quello che ci viene detto non è affar nostro. Allora alziamo gli occhi dai libri che ci viene detto di leggere cominciamo a guardare il mondo come pensiamo debba essere osservato, ragazzi siamo nel ventunesimo secolo! Guardatevi, ancora impauriti da quello che la gente può pensare di voi. Smettiamo di avere paura del prossimo, perché quel prossimo siamo noi, la nostra famiglia, i nostri amici, il nostro vicino di casa, il commesso da cui andiamo per fare la spesa. Allora sollevatevi da quelle poltrone comode, spegnete la televisione e correte a battervi per quello in cui credete, giusto o sbagliato che sia è ciò che pensate che può muovere l'universo. Omosessuali, operai sottopagati, alzatevi e combattete per le vostre ragioni. La libertà è un diritto inviolabile ma non vi verrà concessa se non griderete aiuto, se non vi renderete visibili con ogni mezzo a vostra disposizione. Gridate con me: io sono libero!-

Mi fermai anche io, quelle parole mi colpirono come una pugnalata, chi era quella ragazzina tanto forte da essere già una donna? Mi avvicinai facendomi largo tra la piccola folla che si era creata. Lei senza alcun timore continuava a mostrare la propria voce mentre io, uno dei tanti pensai soltanto che dovevo conoscerla. Con un salto scese dal panchetto che aveva utilizzato come palco improvvisato perdendosi tra amici e non che si congratulavano per quella o quell'altra ragione.

Guardandola da vicino mi accorsi che doveva avere si e no vent'anni.

"Ale che cosa credi di fare? è solo una bambina con il cervello troppo grande per la sua età." mi dissi mentre lei mi sfiorò senza guardarmi, continuando a camminare verso chissà quale luogo. Scoprii dove fosse finita appena qualche minuto dopo, quando la intravidi in una risata leggera nascosta da un boccale di birra scura.


 

Ero fidanzato a quel tempo, Chiara aveva 29 anni e le unghie lunghe perennemente smaltate, parlava e parlava ancora. Parlava sempre. Io di solito smettevo di ascoltarla dopo i primi due minuti. I suoi argomenti erano la palestra e l'ultimo film col bellone di turno ed ogni giorno di più mi chiedevo che cosa ci facessi con lei, forse era il suo seno morbido o l'abitudine di una storia che ormai andava avanti da undici anni, eravamo cresciuti insieme.

- Mi stai ascoltando? Tesoro?- Tornai a guardarla solo per farla smettere di blaterare.

- Devo andare in bagno.-

Mi alzai, avevo bisogno dei miei centoventi secondi di relax mentale. Confuso dal suo fiume di idiozie sbagliai porta. Senza farci caso mi avvicinai al lavandino per bagnarmi il viso, giusto per rinfrescarmi un po' le idee.

- Ehi! Che pensi di fare?- mi intimidii una voce alle mie spalle ma, non era una voce qualunque, mi ci volle un secondo per riconoscerla.

La ragazza dallo spirito rivoluzionario si palesò nello specchio che avevo di fronte. Adesso il suo viso era così vicino che avrei voluto allungare un braccio per poterlo toccare.

- Scusa- risposi mestamente senza distogliere lo sguardo dalla sua immagine riflessa.

Lei esplose in una sonora risata spostandosi di fianco a me. Non poteva davvero essere tanto bella, era troppo intelligente per quei lineamenti dipinti con tanto garbo. Era di una natura superiore, forse addirittura di un altro pianeta.

- Comunque mi chiamo Lisa, e scusami tu è che devo sempre dire la mia.-

- è giusto, io sono Alessandro.-

Mi strinse la mano ed io avrei voluto immobilizzare quel gesto così comune. Per la prima volta mi sentii piccolo inerme, come se improvvisamente lei fosse cresciuta di centimetri infiniti: la gigante e il bambino.

Credetti volesse baciarmi, talmente si avvicinò alla mia bocca, la guardò e poi senza dire nulla se ne andò. Rimasi immobile per un'indefinita manciata di secondi a metabolizzare quel surreale incontro e quando uscii lei se ne era già andata, così mi convinsi presto che non l'avrei più rivista.

Chiara mi sorrise alzando il calice di vino bianco che stava bevendo, ed io mi costrinsi a ricambiare quel sorriso mentre prendevo di nuovo il mio posto di fidanzato dell'anno. L'ipocrisia data da quel bacio, che se ci fosse stato, per quanto tremendamente folle, non avrei mai rifiutato.

- Fatta tutta?- mi domandò ironica

- si - risposi assecondando la sua inutile battuta.

Ma ero stanco di assecondala, ero stanco di essere un altro, di starmene comodamente seduto sulla mia vita, stavo invecchiando senza aver conosciuto la bellezza che scaturisce dalla casualità degli imprevisti. Avevo bisogno di credere che al mondo ci fosse qualcosa di meglio della serenità data dall'abitudine di un rapporto al giorno.

Ma la verità è che non mi rendevo conto se sarei stato pronto a perdere il mio unico punto di riferimento, perché questo era Chiara, un'ancora su cui aggrapparmi quando mi mancavano le forze per stare a galla da solo. Eppure dovremmo imparare a capire che ciò che ci rende sicuri ci rende spesso infelici anche se nella maggior parte dei casi siamo troppo presi da una serenità palliativa per rendercene conto. Ma adesso ero riuscito ad aprire gli occhi, e con quale coraggio avrei mai potuto richiuderli.
 

Quella mattina, come le altre mille precedenti, Chiara uscì dalla doccia nel momento esatto in cui io mi svegliai. E come ogni giorno, alle nove in punto, facemmo l'amore. Ma io di fare l'amore non avevo voglia, a dire il vero non avevo neppure voglia di alzarmi dal letto. Così finsi il desiderio e poi baciandola come si bacia un'abitudine me ne andai richiudendomi la porta alle spalle.

Camminai fino a fermarmi in una traversa a pochi passi da piazza Duomo. Forse l'unica cosa di cui avevo bisogno era sparire per un po, pensai che Chiara non sarebbe mai partita. Con me avevo la carta di credito e la certezza che sarei rimasto disoccupato molto a lungo. Quindi entrai, senza esitazione dissi - Buongiorno, vorrei un biglietto aereo-

avevo da sempre voluto vedere l'oceano e amavo l'odore della pioggia perciò, quando la ragazza dall'impeccabile tailleur mi mostrò il dépliant della costa Gagliega, io dissi - si - chiesi un biglietto di sola andata, avrei deciso lì per lì quando sarebbe stato il giusto momento per tornare.

Non ero il tipo da colpi di testa come quello, ecco perché quando mi ritrovai di nuovo in strada, mi stupii di me stesso, mi stupii più che altro perché non mi pentii affatto della decisione appena presa.

Mi investii una felicità ancora maggiore quando il cellulare suonò da dentro la tasca interna e sul display lampeggiò la scritta "amore". Risposi quasi subito, senza preoccuparmi affatto della reazione che Chiara avrebbe potuto avere

- pronto -

- tesoro torni per cena?-

- si, senti devo dirti una cosa -

- si, me la dirai dopo, devo assolutamente tornare in ufficio -

-ok - le dissi ma, lei aveva già riagganciato.

Ero abbastanza scontato, come il più classico tra gli uomini, perché quella sera stessa mi presentai a casa con un mazzo di tulipani, i suoi fiori preferiti, e lei come la più tipica delle donne subito si allarmò - Di che cosa ti devi far perdonare? -

- Volevo solo fare una cosa carina "e addolcirti la pillola"- l'ultima parte la pensai solamente. Lei si allontanò tornando con un vaso, gettò i fiori secchi nella pattumiera, e lo riempì d'acqua fino a poco più che a metà.

- Devo partire - confessai in fine mentre era intenta a versarsi del vino in un bicchiere - Che significa che devi partire? -

- Quello che ho detto, tesoro? - ma la parola "tesoro" mi accorsi che non aveva alcuna credibilità

- Ho bisogno di staccare, ho deciso di andare per un po' nel nord della Spagna, la città sembra tranquilla, potrò riprendermi un po'. -

- Riprenderti? Staccare? Da chi? Da me? -

- No, assolutamente! Solo riprendermi, torno presto massimo una settimana -.

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Capitolo 9
*** 7 CAPITOLO MAGGIO 2070 ***


7 CAPITOLO MAGGIO 2070

Erano già due settimane che suo padre era tornato a casa. Si era ripreso velocemente. Asia pensò che quella giornata il sole era decisamente troppo alto per poter stare chiusa in camera.

Si incamminò nel bosco dietro casa. Il fiume le scorreva solitario di fianco, quando fu all'altezza di una diga in muratura dove fin da piccola ogni estate andava a fare il bagno, scese fino all'argine e si sedette su un masso. Si tolse il vestito lasciandolo cadere a terra come se si stesse liberando di un fastidioso strato di pelle morta. Restò soltanto con la biancheria intima.

Con la sigaretta stretta tra le labbra si immerse fino alle caviglie. L'acqua era gelida ma ad Asia piaceva quel brivido freddo che si irradiava lungo tutto il suo corpo, fino alla punta estrema dei capelli. Rimase a fissare il cielo terso per un paio di minuti, era di un celeste appena accennato, ricordava un acquerello tenue.

Qualcosa le suggeriva che se fosse rimasta lì, sola, lui sarebbe apparso.

Aveva smesso di chiedersi come fosse possibile, stava cominciando a sperare, più che credere, che ci fosse qualcosa di più grande di lei al mondo.

Finì un intero pacchetto di sigarette, per ore intere fissò il vuoto pregando un Dio in cui in realtà non aveva mai creduto, ma neanche per un minuscolo secondo pensò di arrendersi. Aveva strenuamente bisogno di lui.

Poi le sentì, non si spaventò, sapeva che non poteva essere altri se non chi stava sperando. Due mani calde le coprirono le spalle. Nel loro abbraccio ascoltò il suo cuore battere, adesso era così veloce che sembrava stesse correndo una maratona, era il suono di un popolo in rivolta che batte a terra i piedi in segno di protesta e così chiuse gli occhi per assaporare ogni passo. Con grandi falcate sentiva che si stava avvicinando alla verità.

- Leo, mi chiamo Leo - Sussurrò mentre le baciava l'incavo del collo.

Sussultò nel sentirgli pronunciare quel nome "Il ragazzo statua!" pensò ma quel soffio di vento caldo che erano le sue labbra sulla sua pelle cancellò ogni cosa, ed improvvisamente realizzò che era così che si doveva essere sentito Ale quando aveva incontrato Lisa. Non sapeva chi fosse ma aveva la sensazione che fosse più parte di lei di quanto riuscisse a credere.

Si voltò lentamente per poterlo baciare sulla bocca. Leo assecondò i suoi movimenti fino a che non furono una persona sola. Era così reale che non avrebbe mai potuto pensare fosse solo frutto della sua immaginazione. C'erano un'energia e una passione a lei sconosciute. Era semplicemente diverso e a lei la diversità l'aveva sempre emozionata. Era eccitante, misteriosa, curiosa. Si ritrovarono completamente nudi, immersi fino alla vita. La paura divenne desiderio così come i loro corpi divennero tele bianche su cui descriversi.

Senza parola alcuna si dissero tutto ciò che si potevano dire. Si portarono fin sotto la cascata che scorreva alle loro spalle, lontani da ogni domanda loro erano le risposte.

Asia comprese che la verità sarebbe arrivata al momento giusto, smise di chiedersi che cosa stesse accadendo e iniziò a vivere, solo così avrebbe capito. Sentì Leo scavarle dentro, con una dolcezza che non aveva mai incontrato in nessun altro prima. Era come se con quel gesto volesse far sua ogni più piccola particella di Asia.

Quando si sedettero sulla riva del fiume lo guardò. Le sue iridi erano più accese di come ricordava. Poi lui si voltò per cercare sicurezza in un punto indefinito

- Era la mia prima volta - Le confessò.

Asia non si meravigliò più di tanto, al contrario lo accarezzò, forse avrebbe dovuto essere preoccupata, ma era felice che uno dei momenti più importanti di Leo ora fosse anche un po' suo.

Si abbracciarono restando distesi sulla roccia, erano come "il bacio", il celebre dipinto di Klimt, e la loro pelle era dorata come il colore che tanto amava l'artista

- Allora è davvero questo che suscita la sindrome di Stendhal, è come se riuscissi a guardarti con gli stessi occhi con cui Ale guardava Lisa, se solo sapessi perché la loro storia è così importante per me...- Si chiese guardando verso l'alto.

Leo si mise su di un fianco, le sfiorò i lineamenti leggeri e poi come se qualcosa si fosse impossessato di lui iniziò a parlare...

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Capitolo 10
*** 8 CAPITOLO GIUGNO 2003 ***


8 CAPITOLO GIUGNO 2003

Riaprii gli occhi. La vista che mi si allargò davanti superava la mia immaginazione. L'Oceano dormiva ancora, come tutta la città e il suo sogno era di una bellezza incomprensibile all'occhio umano. L'alba regalava colori ancora da inventare. Allungai i piedi sullo scoglio più vicino e pensai di aver trovato il paradiso. Mi rollai una sigaretta assaporando una boccata di sale e pace. E se quello fosse stato il posto nel mondo che tanto andavo cercando? Il cielo era stranamente terso. In lontananza riuscivo a scorgere il più antico faro d'Europa ancora in funzione: la Torre de Hércules. La serenità era un lusso che avevo sempre creduto di non potermi permettere, fino ad allora. Avevo trovato un'oasi dove la mano dell'uomo non era ancora arrivata a distruggere illudendosi di fare qualcosa di utile.

La costa si allungava come una bella donna stesa ad aspettare dopo aver fatto l'amore. Col calore di una mattina che da lì a poco l'avrebbe illuminata ed io non potevo che guardarla, toccarla non mi era concesso.

Ripresi a camminare, più proseguivo più tutto prendeva vita, come se ad ogni mio passo le vibrazioni del terreno risvegliassero ogni cosa. Ero il protagonista di me stesso. Due ragazze mi passarono accanto fasciate dalla loro divisa scolastica, ridevano e scherzavano. Un vecchio signore si reggeva a stento al suo bastone aspettando un po' di fortuna all'angolo del marciapiede.

Avevo sempre sognato di visitare la Spagna perché il suo umore mi ricordava quello di un bambino il giorno di Natale. Mi persi fra stradine strette e bollenti. Calde di una familiarità che solo una nazione così forte della sua tranquillità sa donarti. Mi ritrovai tra l'odore di una cioccolata calda e un accento gagliego. Fino a finire per disperdere tutta la mia energia residua sulla scalinata leggermente decentrata di Plaza de Maria Pita. La piazza principale della città. Un gigantesco ring con al centro una statua dedicata all'eroina che liberò la corunyà dall'armata inglese nel 1589, uccidendo, non si sa bene con quale arma, uno dei soldati nemici. Guardai il sole che adesso era alto, bevvi un sorso d'acqua cercando di fare ordine nella mia testa, c'erano un miliardo di cose che valevano la pena di essere viste, solo una non avrei mai pensato di vedere, eppure si palesò davanti a me in un paio di jeans stretti a metà prezzo e una maglia larga, Lisa era lì, contro ogni logica si trovava nella stessa fine del mondo in cui mi trovavo io. Tentai di alzarmi ma mi bloccai, fu la ragione a fermarmi. Ma lei mi vide e un sorriso si allargò sul suo volto, ed io allora smisi di avere timore e ricambiai il suo saluto. Mi porse la mano ed io la strinsi, ancora una volta le sue dita affusolate trovarono perfettamente posto tra le mie.

- Tu credi nel destino? -

- Credo troppo nelle mie capacità per poter credere nel destino. Scrivo io la mia storia. -

Mi rispose senza riflettere nemmeno un secondo, come se avesse quella risposta pronta da tanto tempo. Io però ci credevo, ci doveva essere un motivo se in quella piazza il nostro cammino si era incrociato ancora una volta. Non replicai ma sapevo che lei aveva capito che non la pensavo così.

Mi invitò a seguirla, aveva un motorino. Una volta salito istintivamente le cinsi la vita ma un attimo dopo realizzai che era decisamente meno imbarazzante starmene aggrappato alle due estremità dello scooter. A fatica ci trascinammo su per una strada che saliva ogni metro di più, parcheggiò in uno spiazzo e senza dire una parola s'incamminò, io continuai a seguirla senza fare domande

- Questo è "Monte San Pedro" - Mi informò una volta farma al centro del prato.

Mi sentii come ubriaco di fronte a quell'oasi a pochi passi dal caos cittadino.

L'oceano sotto di noi sembrava un vero e proprio specchio.

- Che cos'è quello? -

A pochi metri da dove eravamo c'era una gigantesca sfera trasparente.

- Faccio prima a fartelo vedere -

Due minuti dopo mi ritrovai sospeso nel vuoto, proprio dentro quella gigantesca bolla. Vidi il mare avvicinarsi sempre più a noi, quasi come se da lì a poco ci fossimo finiti dentro. Quando credetti che davvero mi sarei fatto una nuotata inaspettata, cominciammo a risalire fino a fermarci al punto di partenza.

Ci sedemmo di nuovo tra l'erba e lei mi raccontò del perché fosse lì: sarebbe restata li a La Corunya per tre mesi, aveva vinto una specie di borsa di studio chiamata "Progetto Leonardo da Vinci"

- Come il grande pittore ed inventore, presente? -

Io le sorrisi. Mi disse che faceva la tirocinante presso una ceramicheria della zona, e che divideva il suo appartamento con altre tre ragazze italiane e un ragazzo finlandese. Sentii la felicità risuonare in quelle parole mentre andava sempre più avanti col racconto. -

Leo scosse la testa come per svuotarla, Asia era rimasta immobile ed impaurita per tutto il racconto ma aveva ascoltato con attenzione ogni parola.

- Perché? Che cosa ti è successo? - Disse guardandolo con gli occhi pieni di lacrime che sarebbero potute uscire da un momento all'altro, Leo non le rispose, si alzò, la baciò e scomparve.

La costa si allungava come una bella donna stesa ad aspettare dopo aver fatto l'amore. Col calore di una mattina che da lì a poco l'avrebbe illuminata ed io non potevo che guardarla, toccarla non mi era concesso.

Ripresi a camminare, più proseguivo più tutto prendeva vita, come se ad ogni mio passo le vibrazioni del terreno risvegliassero ogni cosa. Ero il protagonista di me stesso. Due ragazze mi passarono accanto fasciate dalla loro divisa scolastica, ridevano e scherzavano. Un vecchio signore si reggeva a stento al suo bastone aspettando un po' di fortuna all'angolo del marciapiede.

Avevo sempre sognato di visitare la Spagna perché il suo umore mi ricordava quello di un bambino il giorno di Natale. Mi persi fra stradine strette e bollenti. Calde di una familiarità che solo una nazione così forte della sua tranquillità sa donarti. Mi ritrovai tra l'odore di una cioccolata calda e un accento gagliego. Fino a finire per disperdere tutta la mia energia residua sulla scalinata leggermente decentrata di Plaza de Maria Pita. La piazza principale della città. Un gigantesco ring con al centro una statua dedicata all'eroina che liberò la corunyà dall'armata inglese nel 1589, uccidendo, non si sa bene con quale arma, uno dei soldati nemici. Guardai il sole che adesso era alto, bevvi un sorso d'acqua cercando di fare ordine nella mia testa, c'erano un miliardo di cose che valevano la pena di essere viste, solo una non avrei mai pensato di vedere, eppure si palesò davanti a me in un paio di jeans stretti a metà prezzo e una maglia larga, Lisa era lì, contro ogni logica si trovava nella stessa fine del mondo in cui mi trovavo io. Tentai di alzarmi ma mi bloccai, fu la ragione a fermarmi. Ma lei mi vide e un sorriso si allargò sul suo volto, ed io allora smisi di avere timore e ricambiai il suo saluto. Mi porse la mano ed io la strinsi, ancora una volta le sue dita affusolate trovarono perfettamente posto tra le mie.

- Tu credi nel destino? -

- Credo troppo nelle mie capacità per poter credere nel destino. Scrivo io la mia storia. -

Mi rispose senza riflettere nemmeno un secondo, come se avesse quella risposta pronta da tanto tempo. Io però ci credevo, ci doveva essere un motivo se in quella piazza il nostro cammino si era incrociato ancora una volta. Non replicai ma sapevo che lei aveva capito che non la pensavo così.

Mi invitò a seguirla, aveva un motorino. Una volta salito istintivamente le cinsi la vita ma un attimo dopo realizzai che era decisamente meno imbarazzante starmene aggrappato alle due estremità dello scooter. A fatica ci trascinammo su per una strada che saliva ogni metro di più, parcheggiò in uno spiazzo e senza dire una parola s'incamminò, io continuai a seguirla senza fare domande

- Questo è "Monte San Pedro" - Mi informò una volta farma al centro del prato.

Mi sentii come ubriaco di fronte a quell'oasi a pochi passi dal caos cittadino.

L'oceano sotto di noi sembrava un vero e proprio specchio.

- Che cos'è quello? -

A pochi metri da dove eravamo c'era una gigantesca sfera trasparente.

- Faccio prima a fartelo vedere -

Due minuti dopo mi ritrovai sospeso nel vuoto, proprio dentro quella gigantesca bolla. Vidi il mare avvicinarsi sempre più a noi, quasi come se da lì a poco ci fossimo finiti dentro. Quando credetti che davvero mi sarei fatto una nuotata inaspettata, cominciammo a risalire fino a fermarci al punto di partenza.

Ci sedemmo di nuovo tra l'erba e lei mi raccontò del perché fosse lì: sarebbe restata li a La Corunya per tre mesi, aveva vinto una specie di borsa di studio chiamata "Progetto Leonardo da Vinci"

- Come il grande pittore ed inventore, presente? -

Io le sorrisi. Mi disse che faceva la tirocinante presso una ceramicheria della zona, e che divideva il suo appartamento con altre tre ragazze italiane e un ragazzo finlandese. Sentii la felicità risuonare in quelle parole mentre andava sempre più avanti col racconto. -

Leo scosse la testa come per svuotarla, Asia era rimasta immobile ed impaurita per tutto il racconto ma aveva ascoltato con attenzione ogni parola.

- Perché? Che cosa ti è successo? - Disse guardandolo con gli occhi pieni di lacrime che sarebbero potute uscire da un momento all'altro, Leo non le rispose, si alzò, la baciò e scomparve.

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Capitolo 11
*** 9 CAPITOLO MAGGIO 2070 ***


9 CAPITOLO MAGGIO 2070

Non poteva più vivere in quell'incertezza che ormai da tre mesi le provocava laceranti mal di testa, così si riempì di tutto il coraggio di cui necessitava e andò da suo padre

- Babbo, ho bisogno di sapere alcune cose - Thomas smise di leggere il giornale e la guardò

- Certo tesoro mio, se posso volentieri -

"Non puoi, devi!" Pensò Asia sedendosi sul bracciolo della poltrona

- Chi sono Ale o Lisa? Dimmi che almeno tu lo sai -

Thomas strinse gli occhi come per frugare nei più piccoli cassetti della sua vecchia memoriaù

- Spiegati meglio -

Si rese conto che era troppo rischioso rivelargli dell'esistenza del diario

- Ho trovato una lettera che parla di loro - Fu la prima fantasiosa spiegazione che le venne in mente.

- Come? Stai parlando dei tuoi nonni? -

Quasi cadde dal bracciolo - I miei nonni? -

- Si, non ti ho mai parlato di loro perché sono morti prima che tu nascessi, Alessandro e Lisa erano i miei genitori. Ma di mio padre, tuo nonno, conosco soltanto il nome. Non amo parlare di lui, e tua nonna non mi ha mai voluto spiegare perché ci avesse abbandonati. - Asia sentì il suo cuore cedere, davvero i giovani del misterioso diario erano i suoi nonni? O era solo l'ennesima coincidenza?

- Ma perché non dirmelo, babbo? -

- Non hanno mai fatto parte della tua vita, perdonami -

La sua voce era come mossa da un tremolio leggero, non aveva mai visto suo padre versare una lacrima ma sentiva che se avesse continuato a fagli domande sarebbe successo. Confidava nel diario, forse avrebbe dovuto soltanto continuare a leggerlo.

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Capitolo 12
*** 10 CAPITOLO LUGLIO 2003 ***


10 CAPITOLO LUGLIO 2003

- Mi passi il sacchetto con l'erba? -

Il salone era enorme, tappezzato di disegni e volantini. Le pareti parlavano per i cinque ragazzi che vi abitavano dentro. Robert se ne stava in un angolo fumando tabacco, avvolto in una perenne nube di fumo che lo rendeva immune a qualunque cosa.

Miriam entrò richiudendosi la porta alle spalle, in poco tempo erano diventati una grande famiglia e non li preoccupava ancora l'idea che un giorno le loro strade si sarebbero dovute dividere.

- Vuoi? -

Lisa si accese uno spinello e me lo porse. Io aspirai con avidità, erano anni che non mi sentivo così giovane. La più grande tra loro aveva venticinque anni.


 

Fuori pioveva come al solito ed io erano almeno cinque giorni che non sentivo Chiara. Il solo pensiero mi scatenava un piacevole senso di libertà.

Lisa si voltò, mi tolse lo spinello dalla bocca e mi baciò. Fu talmente repentino ed inaspettato che ancora oggi non mi rendo conto se quella fu realmente la prima volta che le nostre labbra si toccarono, o se fu solo la mia immaginazione a farlo accadere. Il silenzio si materializzò tutto intorno a noi ed io smisi di essere chi ero ed iniziai a diventare chi volevo essere. Mi accorsi che non avevo baciato l'immagine che mi ero creato di lei, ma che, la Lisa, la vera Lisa, superava di granlunga ogni mia aspettativa. Non smise di piovere come accade sempre nei film quando le anime dei due protagonisti si rasserenano, anzi la pioggia iniziò a battere più forte, ma a noi non interessava di che fine avesse fatto il sole.

Rimanemmo soli e le sue mani iniziarono a camminare lungo il mio corpo. Come due piccoli Boy Scout esploravano e giocavano con le mie sensazioni. Come due marinai navigavano in un mare che sembravano conoscere da sempre. Ed io rimasi completamente inerme davanti a tanta audacia. Spiazzato da una decisione che io non avrei mai avuto il coraggio di prendere.

Ero suo, della libertà, figlia di chi è padrone solo di se stesso, non mi importava più. Guardai i suoi occhi chiudersi sotto la luce del tramonto che stava sopraggiungendo, cercare le origini del piacere e la passione disegnarsi sul suo piccolo volto, nell'espressione convinta e concitata di chi sta facendo qualcosa che sapeva da sempre avrebbe fatto. Mi intrisi del suo desiderio facendolo mio, in una Spagna che stava diventando per me come il sogno che non avrei mai pensato di realizzare, l'idea che qualcosa di grande esistesse anche per me. Fu quella la prima volta dove mi sentii completo, un intero esatto.

Il giorno seguente mi svegliò un raggio di sole, accanto a me solo un biglietto e un mozzicone di sigaretta "Se non sarai tu a lasciarmi, io non avrò mai il coraggio di farlo. L. "

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Capitolo 13
*** 11 CAPITOLO SETTEMBRE 2070 ***


11 CAPITOLO SETTEMBRE 2070

Era il 17 settembre, l'anniversario della morte di sua madre. Asia non aveva mai vissuto pienamente il dolore di quella perdita probabilmente perché non aveva mai vissuto a pieno neppure quel rapporto madre-figlia che ogni bambino ha il diritto di avere. Mara si chiamava, di lei Asia aveva preso solo il coloro degli occhi. Aveva abbandonato lei e suo padre che Asia non aveva ancora cinque anni, se ne era andata con un altro uomo lasciando loro solo un misero biglietto, parole che non appena Asia era stata abbastanza grande da comprendere aveva bruciato senza troppi rimpianti.

- Non essere così arrabbiata con lei, ha sbagliato, ma sbagliare è nella natura umana -

Le aveva detto suo padre guardandola gettare ogni ricordo nel caminetto.

- Come puoi definirla umana? - Aveva ribattuto lei, ma non era la rabbia a parlare, era solo profondamente delusa e rassegnata.

- Babbo, ci ha abbandonati, non è umana, è solo un cuore morto. Deve uscire per sempre dalla nostra vita. -

Ricordava ancora l'abbraccio di suo padre, l'unico uomo, aveva deciso quando erano rimasti i soli abitanti di quella casa, che avrebbe mai amato.

Ma diciassette anni dopo avevano ricevuto una telefonata. Diciassette lunghi anni di silenzio erano stati interrotti dal trillo acuto del telefono.

Era un uomo a parlare - So che forse non vorreste sentire quello che sto per dirvi, sono il compagno di Mara, è molto malata, forse non supererà la notte. Mi ha chiesto come ultimo desiderio di poter vedere sua figlia. -

Asia aveva scosso la testa con le lacrime che le premevano contro le palpebre cercando di uscire, ma suo padre l'aveva convinta.

Erano passati tre anni dal momento in cui quei ricordi erano accaduti, tre anni dall'istante in cui Mara se ne era andata sussurrandole un flebile "Mi dispiace" e adesso, mentre entrambi se ne stavano di fronte alla lapide, Asia realizzò che quel pomeriggio di sette mesi prima, alla stazione, non era la prima volta che vedeva Leo.

Scosse la testa con decisione, eppure ne era certa. "Forse è soltanto un incubo" si disse. "Adesso ti sveglierai definitivamente e si ridurrà tutto ad un brutto ricordo passeggero".

Si avvicinò a suo padre chino sulla tomba

- Passami il tuo coltellino svizzero -

Lui la guardò interdetto prendendo la sottile lama dalla tasca.

- Che cosa hai intenzione di fare? -

Asia non rispose, lo aprì e con la lama acuminata si sfregiò da parte a parte il palmo della mano, nemmeno una smorfia sul suo volto, era completamente immune a quel dolore. Il rosso vivo del sangue le macchiò le dita, solo allora si rese conto del dolore lancinante che si irradiava lungo tutto il suo corpo. Successe tutto in un battito di ciglia, suo padre gridò, un urlo che rimbombò rambalzando di tomba in tomba mentre lei immobile guardava la terra sotto di se tingersi si un porpora scintillante.

- E' tutto vero, è tutto reale - Bisbigliò come in stato di shock.

- Dio mio, ma che cosa hai combinato? - Dobbiamo correre all'ospedale, tesoro! -

Asia si destò improvvisamente, lo guardò. Doveva andare all'ospedale, si, ma non era la sua mano il problema. Col tempo la ferita si sarebbe risarcita, ma tutto il resto, adesso ne era certa, sarebbe rimasto per sempre su di lei, come un orribile cicatrice che avrebbe sfregiato indelebilmente la sua pelle.

Saliti in macchina Asia d'istinto accese la radio, riconobbe la voce, era Leo a parlare

- Settembre 2003 - disse, ed Asia capì. Sempre più terrorizzata guardò suo padre, che in preda al panico cercava di guidare il più velocemente possibile.

- La radio...- Gli disse.

-Tesoro premi più forte, Dio morirai dissanguata...-

- La radio...- Ripeté

- La radio non funziona, amore mio tieni stretta la fascia, poi pensiamo alla radio. -

Restò immobile a guardare il minuscolo stereo parlare, non si stupì del fatto che suo padre non potesse udire quella voce. Ormai neanche la morte avrebbe potuto sorprenderla. Quando nell'abitacolo calò nuovamente il silenzio Leo iniziò a parlare, a raccontare.

Ma Asia adesso lo sapeva, settembre 2003, un'altra pagina del diario doveva essere letta.

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Capitolo 14
*** 12 CAPITOLO LUGLIO 2003 ***


12 CAPITOLO LUGLIO 2003

La trovai quasi subito, era seduta ad un bar, la sigaretta stretta in una mano e il cellulare nell'altra. Mi avvicinai senza far rumore e in silenzio presi posto di fianco a lei.

Riattaccò e mi guardò, un sorriso amaro sulla sua bocca lucida.

- Ho paura -

- Lo so -

Furono le uniche parole che ci scambiammo per quell'ora intera, ma seppure senza dire nulla nessuno dei due lasciò l'altro.

Poi mentre attraversavamo Plaza de Pontevedra Lisa parlò di nuovo.

- Sei la prima persona che è riuscita a trattenersi nei miei pensieri -

- Sei la prima persona che è riuscita a distogliermi dai miei -

- Perché adesso sono anche i miei, e non ho intenzione di restituirteli.-

Sorridemmo e nel bel mezzo della strada ci baciammo consapevoli adesso che l'unica cosa di cui avevamo bisogno per essere felici erano le labbra dell'altro. Palmo contro palmo adesso eravamo un unico intero, petto contro petto avevamo bisogno di un solo cuore per vivere e non più per sopravvivere.

- Voltati - Le ordinai dolcemente e lei obbedì.

Presi una penna dalla tasca interna del giubbotto e le scrissi sull'unica parte spoglia che aveva, proprio sotto l'attaccatura del collo.

- Che cosa mi hai scarabocchiato addosso? - Domandò divertita per quello strano gioco.

- A casa lo scoprirai -

Ci separammo solo quando le nostre palpebre non ebbero più la forza per stare aperte.


 

Ricordo ancora quando sentii vibrare il telefonino, aprii il messaggio e comparve a pieno schermo l'immagine della sua schiena nuda, vestita solo del profumo della sua pelle, potevo sentirlo attraverso l'etere, attraverso i pixel.

Perfettamente come l'aveva lasciata c'era la scritta che avevo fatto poche ore prima: " Ti amo", poco più in basso c'era dell'altro adesso: "anche io".

Improvvisamente sentii l'impulso di stringerla a me.

Uscii di casa correndo sotto la pioggia, volevo abbracciarla, dovevo dare una forma a quell'immagine.

Iniziai a vagare quasi alla cieca fino a che non mi arrestai a pochi metri da una sagoma scura sfocata dal temporale. Era Lisa, le braccia aperte come esili ali, nessuno dei due gridò alcunché ma piano iniziammo a mangiare la distanza che ci separava, fino a lasciare giusto lo spazio di una mano. E continuammo in silenzio a gioire di quella pazzia che, compagna instancabile delle nostre anime, ci aveva condotto su quella strada buia. Adesso sarebbe stato davvero impensabile lasciarla. Il mare accanto a noi schiaffeggiava gli scogli senza tregua, mentre io accarezzavo il suo volto.

- Buenos Dias!- Un mese dopo il mio spagnolo era decisamente migliorato.

Mi sentivo quasi parte di quella gente, a tal punto che avevo ponderato seriamente l'idea di non rientrare più nel mio Paese.

- C'è el Pilar! - Gridò Lisa dentro al mio orecchio dall'altra parte del telefono e dall'altra parte della città.

- Sarebbe? -

- Una settimana di festa, ho chiesto un permesso al lavoro, tanto non sono nemmeno pagata. Ci andiamo? Basta salire su un aereo -

Risi per la sua instancabile voglia di vivere e poi dissi - Okay! -

Due ore dopo aveva già organizzato ogni dettaglio, pensai quasi che avesse già tutto pronto da prima.

Su internet mi informai per bene su dove stavo per finire: " El Pilar, in italiano "La Pietra" ", era una settimana dedicata alla Vergine Maria ma, di religioso, quella festa aveva ben poco. Avrei passato sette interi giorni a ballare, cantare e guardare fuochi d'artificio. Il tutto contornato da cibi e costumi tipici.

Il giorno dopo, appesantiti solo da un borsone ciascuno, eravamo all'aeroporto di Santiago de Compostela, direzione Zaragoza, Aragona.

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Capitolo 15
*** 13 CAPITOLO SETTEMBRE 2070 ***


13 CAPITOLO SETTEMBRE 2070

La radio si interruppe qualche secondo prima che Thomas spegnesse il motore. La garza improvvisata era completamente impregnata di sangue. Suo padre la prese fra le braccia prima che potesse mettere un piede fuori dall'automobile. Cercò di liberarsi ma poi si arrese doveva solo sperare che la medicazione fosse veloce.

Il medico di turno la ricucì da parte a parte, Asia strinse i denti non c'era tempo per provare dolore.

Non appena il medico ebbe riposto gli strumenti e detto - Ecco, ora sei a posto, guarirai. - Asia si fiondò letteralmente giù dal lettino, poi si voltò nuovamente - Reparto terapia intensiva, dove si trova? -

- Secondo piano a destra - Rispose meccanicamente il dottore.

- Un momento, che cosa...-

Ma Asia era già oltre. Riuscì ad arrivare fino all'ultima porta prima del corridoio centrale, un addetto la fermò proprio mentre stava per spingere il portello. Asia si irrigidì, doveva andare lì dentro "A costo di ucciderlo" Pensò.

- Deve indossare questi - La informò passandole due specie di buste verde acqua, restò per qualche secondo perplessa, mentre l'uomo le indicava le sue scarpe, allora ricordò - Certamente - Annuì sorridendo e finalmente fu dentro, adesso doveva soltanto trovare Leo.

- E così hai capito tutto. Sapevo che ci saresti riuscita. Mi stai cercando non è vero? Sai che ogni minuto è prezioso, ne sei convinta. Beh ti garantisco che non è così, non per noi -

Una voce calma e pacata arrivò da dietro le sue spalle, una tranquillità che nascondeva un'arrendevole stanchezza. Una lacrima le rigò il volto ancor prima che riuscisse a realizzare che lui, prima di lei, era riuscito a trovarla.

- Guidami, so che sei qui ma non sei qui -

Lo baciò, consapevole del fatto che il corpo che aveva amato fino ad allora era solo anima. Lei aveva fatto l'amore, aveva desiderato soltanto il suo cuore. Mai aveva toccato, si era solo illusa di farlo, le sue ossa, la sua carne. Leo le prese la mano, come due innamorati che passeggiano per strada tra gli sguardi invidiosi della gente. Ma la loro via era l'inferno, e le occhiate attorno a loro erano quelle di infermieri e dottori che non riuscivano a capire come mai una ragazza in lacrime camminava stringendo il nulla

- Guardami, non mi resta molto oramai -

Asia dischiuse la porta della camera asettica, al centro un letto e sul letto il ragazzo che stava al suo fianco. Sentì il cuore salirle fino alla gola, quasi volesse uscire.

- Siediti - Disse quello che non era altro che un fantasma.

Leo se ne stava lì, morto, i suoi organi tenuti in funzione solo grazie a fili ed altri fili ancora che correvano come tanti bachi attorcigliati lungo la parete. Asia li guardò entrambi, il Leo cinereo e ormai privo di vita e il Leo abbronzato e con due gigantesche iridi blu. Non sembravano nemmeno essere la stessa persona.

- Che cosa succederà adesso? Che cosa ne sarà di noi? -

- Io non ho più armi per combattere, la morte vincerà. Ho sperato fino all'ultimo, ma la speranza è ciò a cui ci aggrappiamo anche sapendo che prima o poi cadremo -

- Se perdi tu, perdo anche io - Disse lei sfiorandogli la guancia.

- Eri tu, il diario, dimmelo!-

- No, io ero solo un tramite. Qualcun'altro voleva a tutti i costi che tu lo leggessi, ma io ero l'unico che poteva vedere entrambi. Ancora per poco, però -

Adesso le lacrime scorrevano senza sosta dagli occhi di Asia, ma la sua voce era ferma, sicura.

- Che significa ancora per poco? -

- Tu puoi vedermi perché sono in una specie di limbo, un cono invisibile che mi permette di muovermi tra il mondo dei vivi ed il mondo dei morti, ma quando il mio cuore cesserà di battere, questo mondo non potrà più essere mio -

Asia aveva capito eppure tutte quelle parole le vorticavano nella testa, solo una cosa era sempre rimasta la stessa in tutti quei mesi, un unico pensiero: non l'avrebbe perso.

Mentre cercava qualcosa da dire il Leo di fianco a lei si eclissò, al suo posto, sulla medesima sedia dove fino ad un attimo prima si trovava lui, comparve il diario. Asia non perse tempo, ricominciò da dove era rimasta...

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Capitolo 16
*** 14 CAPITOLO AGOSTO 2003 ***


14 CAPITOLO AGOSTO 2003

"L'intelligenza è la virtù dei ribelli, di quelli col cuore più grande della cassa toracica stessa. Io sono nata libera e libera morirò, ci è stato dato un cervello per imparare ad accrescere la percentuale del suo utilizzo ogni giorno di più. Non esiste l'ignoranza se non l'incapacità di comprendere noi stessi." Furono queste le parole con cui mi diede la buonanotte in quella sera in cui il domani non aveva poi così importanza se non avevamo con noi la preziosità del presente. Poi chiuse gli occhi e non mi rimase che la sua schiena, nella penombra dei miei dubbi e delle mie certezze. Eravamo ancora a Zaragoza ed io non avrei più rivisto la Galizia.

Esattamente ventiquattro ore prima mi aveva telefonato mia sorella.

- Devi tornare il prima possibile, mamma si trova all'ospedale in questo momento. - Aveva detto, e dal tono della suo voce avevo capito che la situazione era grave.

- Ti farò venire a prendere all'aeroporto - Aveva aggiunto subito dopo senza specificare da chi.

Lisa si addormentò forse nella speranza di non svegliarsi mai più, io chiusi gli occhi convinto che se non avessi dato a quella notte il mio sonno il giorno seguente non sarebbe mai arrivato. Ma il sole continuò a sorgere e Lisa contro la sua volontà aprì gli occhi di nuovo, io la fissai per tutto il tempo come un instancabile amante.

Per tutta la durata del volo mi convinsi che non sarei mai atterrato, che era meglio la morte di una vita senza lei. Però, contro la mia volontà, l'aereo toccò terra, con una puntualità devastante. Ad attendermi all'ingresso del mio inferno c'era Chiara, con un sorriso a trentadue denti e le braccia spalancate, mi salutò ed io per la prima volta non finsi gioia. Avevo imparato una cosa da quelle sei settimane, avevo capito che l'amore non può esistere se non coesistere, sapevo che ero molto più forte di quando ero partito da quello stesso aeroporto e non potevo più fare marcia indietro. Non la abbracciai, né la baciai. La guardai solamente sapendo che avrebbe compreso, ma ero io a non aver capito nulla, lei non era Lisa, con lei non bastava uno sguardo e allora fui duro come la pietra e devastante, forse, come un fiume in piena.

- E' finita - Le dissi solamente.

E lei probabilmte finse di non capire.

- Vieni dammi il bagaglio tesoro -

Allora mi irrigidì, la maniglia della valigia stretta in una mano.

- No, è finita, mi dispiace ma non può più continuare -

Chiara scoppiò in un pianto che mi lasciò inquietantemente indifferente.

- Perché? - Singhiozzò, ed io avrei potuto facilmente risponderle con un mare di parole, ma sapevo che non ne avrebbe ascoltato nemmeno la metà.

- Perché non provo più amore, per te - Mi limitai a confessarle e uscii in strada accendendomi una sigaretta nella speranza che se mi fossi voltato lei non sarebbe più stata lì. Chiara era per me solo un nome fra i tanti adesso.

Aspirai una boccata di fumo che si espanse a macchia d'olio nell'aria, poi attraversai il parcheggio assolato in cerca di un autobus o un taxi che mi avrebbero portato il più lontano possibile da quella giornata da dimenticare.

- Stazione centrale - Dissi al tassista che si era accostato di fianco a me col finestrino già abbassato.

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Capitolo 17
*** 15 CAPITOLO SETTEMBRE 2070 ***


15 CAPITOLO SETTEMBRE 2070

Non appena richiuse il diario capì perché era arrivato proprio nelle sue mani, una frase in particolare le risuonava nella testa "meglio la morte di una vita senza lei". Fu in quel momento che il silenzio assoluto che l'aveva circondata fino ad allora s'interruppe. Un suono assordante si sprigionò dal macchinario di fianco al letto di Leo. Successe tutto in pochi devastanti minuti, fu sbattuta fuori dalla stanza mentre dottori ed infermieri si precipitarono rapidi all'interno della camera. Sapeva esattamente che cosa stava accadendo ma si illuse fino all'ultimo che non fosse così.

Mentre se ne stava immobile di fronte alla porta chiusa Leo si palesò di nuovo accanto a lei.

- Sta per finire tutto e questa è l'ultima occasione che ho per dirti che vorrei vivere solo per amarti ancora, per amarti per sempre. -

La sua voce si faceva più flebile ad ogni parola, Asia non lo guardò sarebbe stato troppo doloroso, ma trovò la sua mano e la strinse, voleva soltanto andare via con lui, e se era la morte il prezzo da pagare, lei non si sarebbe di certo tirata indietro.

- Verrò con te, è una promessa -

- Non fare promesse che non puoi mantenere -

- Te lo giuro, non ti lascerò, se perdi tu perdo anche io, ricordi? -

Sentì che Leo aveva più paura per lei che per se stesso, si morse le labbra e una punta di dolore l'attraversò.

- Andrà tutto bene - Bisbigliò in fine.

- Solo se tu starai bene - Aggiunse Leo stringendole la mano con ancora più forza.

Nel marasma generale, in quell'odore soffocante di dolore e disperazione loro si sentirono per un attimo immuni a qualunque destino avverso. Per un istante rinchiusi l'uno dentro la speranza dell'altro credettero di poter ancora vincere.

Asia restò in ascolto, al di là della porta le arrivavano distinti i rumori, gli incitamenti di coloro che assieme a loro stavano combattendo per far succedere l'impossibile, per evitare l'inevitabile, poi non udì più nulla, ed uno ad uno medici ed infermieri le sfilarono davanti, sul loro volto i segni di un'ennesima sconfitta. Ed in quel momento si rese conto che era di nuovo sola, ma qualcos'altro adesso se ne stava stretto fra le sue dita.

Sapeva già esattamente che cosa fosse, erano le ultime pagine, poi sarebbe toccato a lei scrivere il suo destino.

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Capitolo 18
*** 16 CAPITOLO SETTEMBRE 2003 ***


16 CAPITOLO SETTEMBRE 2003

Era da un mese esatto che non vedevo Lisa, da lontano l'avevo intravista una settimana prima lungo l'Arno, ma ero rimasto nascosto a spiarla, senza trovare il coraggio per avvicinarla.

Me ne stavo sdraiato sul letto a fissare il vuoto era come se il mio cuore, da quando l'avevo persa, avesse iniziato a battere più lentamente. Mentre studiavo senza interesse una crepa sul soffitto, suonò il campanello. Trillò tre volte perima che riuscissi a trovare la forza di lasciare la comodità del materasso.

Lisa era dello stesso colore del grano tenero e non mi dette il tempo di dire nulla, semplicemente mi abbracciò annullando così quei trentuno giorni che avevamo passato separati. Mi prese con se e mi trascinò sul pianerottolo. Mi legò un fazzoletto attorno agli occhi.

- Fidati di me - Disse.

Quando mi tirò fuori dal buio, non saprei dire con esattezza quanti minuti dopo forse un'ora, davanti a me comparve l'immensità di un prato ancora verde nonostante l'aridità di quell'estate che stava per giungere al termine.

C'erano decine di balle di fieno sparse un po' ovunque.

- Questo è il mio posto segreto - Confessò scegliendo il cumulo più vicino e arrampicandovicisi sopra, con la stessa agilità di un'antilope un attimo dopo era in piedi sopra il mondo con una mano tesa verso di me. Ci spogliammo di tutta la tristezza data dall'esserci persi per un po', rivestendoci della gioia di esserci ritrovati. L'odore dei nostri corpi nudi misto al profumo di erba tagliata mi riempii le narici. Era forse quello il profumo più buono che avessi mai indossato. Mi lasciai aderire completamente alle sue forme come il tassello mancante di un puzzle che si incastra perfettamente all'unica parte, all'interno della scatola, in grado di dargli un senso. Nulla mi garantiva che quel momento avrebbe scaturito un certo futuro insieme ma, da lei avevo imparato a vivere di secondi, nemmeno di minuti, mi aveva insegnato che ogni respiro che facciamo non sarà mai uguale ad un altro ed è per questo che ha importanza. Mi abbandonai all'idea che i ricordi sono tali perché un tempo hanno fatto parte di me come presente e che la loro potenza è più impetuosa di una Guerra Mondiale.

Per la prima volta la sentii così dentro di me che ogni legge fisica si annullò, provando che è ciò che non ha un senso a vincere.

Perché eravamo lì, perché proprio noi, perché quel giorno e in quel posto non era dato a noi saperlo. Qualcosa di più grande aveva scelto al posto nostro e noi di quella decisione ci eravamo pienati. Eppure sapevo che avremmo potuto scegliere un qualche altro modo, scegliere di non perderci affatto, avevamo però lasciato che la debolezza ci guidasse verso un percorso alternativo, due anime che non erano più costrette a vagare sole. Eravamo come il vado di Pandora dopo essere stato aperto, col vento ballavano le nostre emozioni, danzavano ritmici i nostri sentimenti. Ed iniziò a volteggiare anche lei, i piedi nudi sull'erba, al suono di una musica che solo le sue orecchie potevano udire. Non sapevamo allora che altri dieci anni sarebbero passati da quel pomeriggio, che non saremmo mai stati una famiglia di quelle a cui tutti sono stati abituati, eppure avevamo appena fatto l'amore e da quel rapporto avrei scoperto soltanto anni dopo, era nato l'unico essere al mondo che avrebbe potuto tenerci insieme: Thomas, nostro figlio.
 

Alessandro, Firenze 2040

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Capitolo 19
*** 17 CAPITOLO NOVEMBRE 2070 ***


17 CAPITOLO NOVEMBRE 2070

Asia guardava il fiume, mentre il fiume guardava altrove. Il frusciare dei suoi flutti contro le pareti le ricordava un rumore di passi, così non si sentì più sola. Erano ore ormai che se ne stava lì, in bilico sul suo futuro. Aveva preso, inconsciamente, la sua decisione ancora prima di finire su quella balaustra ma l'ignoto la spaventava ancora terribilmente. Quando aveva letto le ultime righe del diario aveva visualizzato chiaramente quale era il suo posto nel mondo, con grande stupore di era resa conto che il luogo adatto a lei non faceva parte di nessun continente conosciuto. Come aveva letto tra le righe scritte da Ale, che adesso sapeva essere con certezza il nonno che non aveva mai conosciuto, sarebbe stata felice solo al fianco di Leo, e per quanto fosse assurdo sapeva con abbagliante certezza che lui si trovava al di là di quel salto che per quanto spaventoso, avrebbe dovuto fare. Chiuse gli occhi ma non riuscì ad immaginare alcunché. Poi prese coraggio, allargò le braccia come un'aquila che spiega le ali per prepararsi a volare, il suo ultimo volo. Il vento la accarezzò come per infonderle sicurezza, pensò a suo padre, l'unica persona di cui avrebbe sentito la mancanza, ma la convinzione che un giorno non molto lontano si sarebbero abbracciati ancora la tranquillizzò. Non sarebbe mai giunta a compiere ventisei anni, amaramente si disse che così sarebbe stata giovane per sempre. Poi spiccò il fatidico salto ed improvvisamente fu buio, il gelo.

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Capitolo 20
*** EPILOGO DICEMBRE 2070 ***


EPILOGO DICEMBRE 2070

Non sapeva per quanto tempo era rimasta priva di sensi, lentamente sentì che le sue palpebre si stavano dischiudendo quando vide di nuovo la luce, pensò soltanto - Ce l'ho fatta -

Tanti occhi la fissavano preoccupati.

- Benvenuta piccola mia - Disse qualcuno facendosi largo tra la folla curiosa.

Un vecchio signore le tese la mano.

-Nonno!- Esclamò Asia incredula.

- Sono io - Confermò baciandole la fronte.

Si guardò attorno spaesata, tutto attorno a lei sembrava imbiancato da una purezza sconosciuta, come se lì il sole fosse più tenue. Come se tutto fosse coperto da una leggera nebbiolina perenne. Si sentiva leggera, sembrava di camminare su una gigantesca nuvola,

- Vieni con me voglio mostrarti una cosa -

Notò che tutti, compreso suo nonno, si spostavano senza toccare terra, sospesi nel vuoto. Lei però non ci riusciva, provò a saltellare, ma ricadde sulla superficie. Si fermarono vicino a quello che aveva tutta l'aria di essere un lago.

- Vuoi pescare, nonno? - Chiese Asia ridendo.

Alessandro non le rispose, sorrise fissando lo specchio d'acqua poi con un dito increspò la superficie perfettamente liscia, e come per magia vi apparvero delle immagini, da prima sfocate poi sempre più nitide, finché ogni contorno fu perfettamente delineato.

- Vedi tesoro, da qui noi possiamo sbirciare nel mondo dei vivi, io non ti ho mai perso d'occhio, sono sempre stato al tuo fianco ed è per te che ho deciso di scrivere quel diario. Ho pensato che la mia storia ti avrebbe potuta aiutare a trovare la tua -

Asia lo guardò piena di ammirazione. - E' come un reality -

Alessandro sorrise stringendola a se in un tenero abbraccio.

- Che cosa succederà adesso? -

- Nulla, qui non c'è fine - Asia si sentì il respiro bloccare, provò come un nauseante senso di soffocamento "Non c'è fine" si ripeté.

Ormai aveva preso la sua decisione, tutto il resto era solo il passato. Non poteva fare altro se non prendere quel tempo infinito e farlo suo. Mentre cercava di scacciare lontano quell'angoscia che l'aveva avvolta, sentì una presenza alle sue spalle.

- Mi sei mancata. - Disse, e a quelle parole Asia non riuscì a trattenere le lacrime.

- Ti amo. - Rispose singhiozzando senza voltarsi.

Leo restò immobile a pochi passi da lei, solo allora decise di girarsi, sentì l'impulso di vedere di nuovo quei giganteschi occhi blu.

Si ritrovarono l'uno di fronte all'altra, erano ad un passo dal potersi toccare nuovamente. Asia provò a muoversi ma fu come se delle braccia immaginarie sotto di lei le stessero bloccando le caviglie. Suo nonno restò in silenzio ma dal suo sguardo si capiva che nemmeno lui riusciva a comprendere che cosa stesse accadendo. Leo gridò qualcosa allungando un braccio, ma Asia né poté toccarlo né poté udirlo.

Poi una folata di vento improvvisa la spinse con violenza nel lago alle sue spalle, e mentre sprofondava fu di nuovo freddo e buio.

Vicino a lei arrivavano appena udibili tante voci diverse. Riuscì a riconoscerne una soltanto, era suo padre. Il freddo divenne sempre meno insopportabile fino a trasformarsi in calore ed il buio era ogni secondo meno denso fino ad essere luce. Tornò a vedere, le immagini tremolanti ricordavano il soffitto di un ospedale, quando la sua vista si stabilizzò si accorse che da un lato c'era un uomo coi baffi, il camice bianco e di fronte a lei c'era Thomas con un largo sorriso stampato in volto, parlò - Dio Tesoro! Mi hai fatto prendere un bello spavento sai? Che cosa volevi fare? Sei così giovane amore mio, non è ancora tempo per te di lasciare questo mondo! -

A quelle parole Asia capì, non era ancora arrivato per lei il momento di riabbracciare il suo Leo, e si chiese, tra le lacrime, se sarebbe mai arrivato.

Nel muro, al di là dell'unica finestra in quella stanza c'era una frase: l'amore crede di essere forte, di poter sfidare la sorte. Ma il destino è un nemico che difficilmente si lascia abbattere delle mani dell'uomo.


 


 

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