Chiamami

di lumieredujour
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prima chiamata ***
Capitolo 3: *** Seconda chiamata ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Chiamami


Prologo

 
Magnus stava dormendo sul suo morbido letto matrimoniale. Un rumore indistinto diede fastidio alle sue sopraffine orecchie. Era un rumore ritmato, come se un picchio avesse deciso di bussare alla sua porta.

Decise d’ignorarlo.

Tornò invece a sognare quel bellissimo paio di maschioni che lo stavano trasportando ad Eldorado, dove avrebbe potuto fare il bagno in un’enorme vasca dorata, magari con qualche—

Il rumore non aveva nessuna intenzione di cessare. Era perfino inutile ignorarlo, visto che la presenza dello stregone era ormai stata reclamata nel mondo dei vivi. Aprendo un occhio solo vide come le spesse tende della stanza coprivano la luce del giorno e ricordò dov’era.

Non era ad Eldorado, era a New York, a Brooklyn precisamente. Scostò la coperta dal suo corpo perfetto- naturalmente dormiva come demone l’aveva fatto-  e mise un piede a terra.

-Chi osa svegliare il Sommo Stregone di Brooklyn?- buttò un occhio all’orologio sul comodino – e per di più alle nove di mattina!-

La testa gli faceva male, ora il picchio si era spostato sulla sua tempia. Maledetto picchio, maledetto sconosciuto che aveva deciso di svegliarlo e maledetto drink mezzo fatato che gli aveva dato quella pixie piuttosto attraente e con due–

-Smettila, vengo ad aprirti, ma smetti di bussare alla mia porta!- disse mettendosi un paio di comodi pantaloni di lino ed andando ad aprire alla porta.

Davanti a sé una splendida figura alleviò i suoi postumi. Coi capelli scuri come la pece e gli occhi blu e grandi Alec Lightwood sostava davanti allo stipite indossando un maglione nero sformato e un paio di jeans strappati sulle ginocchia. Appena lo vide, Magnus sorrise sornione. Quel ragazzo si rendeva conto quanto fosse bello? Molto probabilmente no.

-Buongiorno-

Alec fece scivolare il suo sguardo lungo il corpo dello stregone, aprendo inconsapevolmente gli occhi alla vista della sua mezza nudità. Magnus adorava vedere quello sguardo negli occhi cerulei dello Shadowhunter.

-C’è qualcosa che vuoi in particolare o vuoi rimanere sull’uscio per molto? Basta che me lo fai sapere, così mi regolo di conseguenza- la voce dello stregone era piena di malizia e volutamente bassa.

Il ragazzo arrossì un po’, ma non abbassò lo sguardo.

-Ero solo venuto per…- esitò un po’ prima di continuare, passandosi una mano tra i capelli – non so nemmeno io cosa ci faccio qui. Stavo camminando per New York e senza rendermene conto ero sotto casa tua. Forse sono venuto per ringraziarti-

-Ringraziarmi per cosa?- fece entrare il ragazzo e lo fece accomodare sul divano.

Alec continuava a guardarsi le mani, ora giocandoci ora strofinandole sul paio di jeans.

-Ringraziarti perchè mi hai guarito. Magnus Bane, mi hai salvato la vita e te ne sarò per sempre grato-

Magnus era tornato in salotto con uno sguardo curioso.

-Lo vorresti un caffè? O preferisci un thè?-

Alec lo fissò attonito, sbattendo un paio di volte le palpebre.

-Cosa stai facendo?-

-Ti sto chiedendo cosa vuoi per colazione- rispose Magnus in tono annoiato –ti sei presentato a casa mia alle nove di mattina svegliandomi e, per quello che sembra, nemmeno tu hai fatto colazione, quindi ti sto chiedendo se preferisci thè o caffè. Diamine, voi cacciatori sarete anche bravi a ripulire il mondo dai demoni, ma quando si tratta di pensare, a volte fallite-

Calò un silenzio imbarazzato nella stanza. Alec era arrossito un po’ e aveva mormorato la parola “caffè” mentre fissava  le sue scarpe. Perché ora era così imbarazzato?

Magnus, lo sapeva, poteva suscitare miriadi di emozioni: felicità, lussuria, ira, molto spesso stupore, eppure su di lui non aveva nessun controllo, come se quel ragazzo fosse ignaro non solo del proprio fascino, ma non conoscesse neppure come poteva essere affascinato. Creatura più unica che rara.

-Perfetto, ti farò assaggiare il caffè come non l’hai mai bevuto, direttamente dal Sud America!- tornò dopo venti secondi con una caraffa di caffè, due tazze e un cesto di biscotti alla cannella che lo seguivano mansueti.

Quando si poggiarono sul tavolino, Magnus versò il caffè in una tazza e la mise fra le mani del ragazzo. Prese lui stesso un lungo sorso amaro, che portò con sé anche ricordi, centinaia di ricordi. Quando una persona vive da sempre, arriva il momento in cui i ricordi si confondono l’uno con l’altro, si accavallano e sbiadiscono. Eppure bastava un gesto, un odore –un paio d’occhi- per far rivivere ricordi che invece non sarebbero svaniti mai.

-Magnus? Ci sei?- Alec lo fissò, sorridendo un po’.

Le tende aperte del salotto inondavano di luce l’intera figura del cacciatore. Assomigliava molto ad un ragazzo che aveva conosciuto tempi prima- cercava di non ricordare quanto tempo prima-, ma era diverso. Era come se un filo lo legasse a lui, come se non potesse fare a meno di fissarlo, di pensarlo, di salvarlo.

Salvarlo non solo dalle ferite fisiche che molto spesso si provocava nella lotta al Male, ma anche ferite che si auto infliggeva senza nemmeno accorgersene. Magnus aveva capito due cose: la prima era che si era innamorato del cacciatore; la seconda era che questa volta avrebbe dovuto combattere per averlo.

-Certo sempre presente come un dio. Stavi ringraziandomi, ma non c’è niente che non avrei fatto per salvarti. Io sono molto generoso con le persone che mi sono simpatiche- abbassò un po’ la voce – così, a pelle-

Sperava che Alec arrossisse anche quella volta, ma il ragazzo prese un sorso di caffè e gli rispose a tono.

-La mia pelle non è fatta per essere simpatica, è fatta per essere coperta di marchi e cicatrici. Sono venuto perché in quanto guerriero ti devo la vita. Il fatto che ti stia simpatico mi lusinga, ma non sei il primo né l’ultimo-

-Così mi piaci cacciatore. Cattivo- e miagolò divertito.

-Questa casa è davvero enorme- cambiò argomento il ragazzo – non ti ci senti mai solo?-

-La solitudine è solo per le persone tristi. Io sono troppo bello e simpatico per essere solo- Magnus si guardò attorno, come se vedesse la sua casa per la prima volta- eppure sì, questa casa è molto grande-

-Dov’è il tuo gatto?-

-Non so, gira per il mondo. Potrei anche metterlo a guinzaglio, ma lui è uno spirito libero, come me. E tu ragazzo, che spirito sei?-

-Uno spirito guerriero. Io mi muovo per combattere, ferire, uccidere a volte. Sono dalla parte dei giusti a combattere contro demoni che vogliono solo demolire il nostro mondo. Sono uno Shadowhunter- finì Alec con una nota d’orgoglio nella voce.

-No, io te l’ho chiesto come ragazzo, non come Shadowhutner. Cosa vorresti fare nella tua vita? Che posti vorresti vedere e che parole vorresti imparare? Di chi ti vorresti innamorare? Parlami di te, Alec-

Il ragazzo rimase per un attimo interdetto, mentre sovrappensiero prese un biscotto e lo morse. Magnus era uno stregone incostante, ma ora era completamente assorto nella conoscenza del suo compagno. In un attimo pensò che il suo nome sarebbe stato un altro tra quelli incisi nel suo cuore. Così come il cacciatore vede riempirsi la sua pelle di cicatrici, lo stregone aveva riempito il suo cuore di nomi. Alcuni erano appena abbozzati nella sua memoria, altri li riusciva a vedere anche chiudendo gli occhi, come se fossero impressi a fuoco dietro le sue palpebre.

-Vuoi la verità? Non ne sono sicuro. Vorrei fare mille cose nella vita, vorrei vedere l’India, il Giappone, il Perù, il Portogallo, l’Italia e tanti altri paesi, vorrei imparare le loro lingue. Sono pur sempre un ragazzo-

-Non parli dell’amore, hai paura?- sussurrò Magnus, facendo così avvicinare Alec.

Il ragazzo sembra aver dimenticato la sua reticenza, era ormai completamente rilassato. Non sapeva se fosse normale o no per lui, ma apprezzò la sua capacità di sentirsi a proprio agio.

-No, non l’ho trovato. Ho provato la gelosia, la passione, ma l’amore non lo trovo-

-Forse perché non cerchi nei giusti luoghi. Non eri mai venuto a casa mia, per esempio- Magnus lo fissò negli occhi e aspettò una reazione.

Alec alzò subito lo sguardo e i suoi occhi esprimevano non rabbia, ma curiosità. Quasi come se non avesse sentito bene e non fosse sicuro delle parole
comprese.

-Non ti conoscevo. Quindi pensi di poter trovare qualcuno per me? Sei proprio come mia sorella! E’ meglio che me ne vada, entrambi abbiamo perso fin troppo tempo questa mattina- disse il ragazzo alzandosi molleggiando un po’ coi talloni

-Interessante- Magnus scompigliò ancora un po’ i sui capelli neri sparati in tutte le direzioni e, con uno schiocco di dita, fece comparire un bigliettino sul tavolo.

-Prendilo e chiamami-

-Per cosa?- Alec lesse aggrottando le sopracciglia.

-Chiamami quando non hai nulla da fare, quando hai il bisogno di errare come un vagabondo. Chiamami quando vuoi parlare e quando vuoi ascoltarmi, chiama semplicemente quando pensi d’avere bisogno di me- Magnus aveva usato un tono pomposo, ma era completamente sincero.

Se non fosse stato così maturo, molto probabilmente non avrebbe fatto altro che aspettare al telefono. Il ragazzo mise il biglietto nella tasca e si avviò verso la porta.

-Grazie Magnus, ci vediamo- disse prima d’uscire.

E, Magnus lo sapeva, si sarebbero rivisti molte volte.
E, Magnus lo sperava, una di quelle volte anche Alec si sarebbe innamorato.

Lo stregone fece sparire dal tavolino i resti della colazione e tornò a letto, sperando di sognare di nuovo quella splendida vasca dell’Eldorado, magari con un certo moro con gli occhi azzurri dentro.


angolo della pazza: *mancapocoaCoHFmancapocoaCoHF* non so se esserne felice o provare terrore per la sorte riservata ai miei personaggi preferiti. Quale modo migliore per festeggiare questo lieto evento se non con la pubblicazione della mia prima Malec? (che megalomane che sono).
Che ne dite? E' solo il prologo, ma una recensioncina la lasciate?
Un bacione a tout le mond,
em

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Capitolo 2
*** Prima chiamata ***


 
Prima chiamata

 
Alec non sopportava vivere in una città come New York, soprattutto d’estate. Era troppo calda, troppo caotica, troppi corpi sudati che si muovevano in mille dimensioni e che impregnavano l’aria torrida del loro sudore. Soprattutto quei mondani, quelle persone normali che vivevano una tranquilla esistenza non sapendo i mostri che si nascondevano nell’ombra dietro di loro, non li sopportava. Così fragili eppure così felici.

In quei momenti di così bassa sopportazione preferiva passare un po’ di tempo con Jace parlando di armi, mentre di filato osservava i suoi occhi dorati e sognava di toccare quei morbidi capelli che ricadevano un po’ lunghi sulle tempie. Eppure, lo sapeva, da qualche tempo Jace- il suo Jace- era troppo impegnato nel proteggere quella Clary e, molte volte, anche il suo amico mondano Simon.

Un suono di insolente rifiuto uscì dalla bocca di Alec mentre usciva di soppiatto dall’Istituto, conscio del fatto che lì nessuno avesse bisogno di lui. E lui aveva bisogno d’essere ascoltato, capito, aveva voglia d’essere al centro dell’attenzione, un bisogno che tendeva a nascondere, ma che era intrinseco al suo essere.

E fu con questo pensiero nella mente che il ragazzo, per una volta senza nemmeno pensare, compose il numero che aveva salvato da tanto nella rubrica, ma che non aveva mai avuto il coraggio di chiamare.

Un paio di squilli precedettero la voce registrata del Sommo Stregone; il suo tono era annoiato, quasi come se odiasse essere chiamato al telefono. E forse, pensò Alec, era proprio così.

-Ciao Magnus, sono Alec, forse non dovrei disturbarti perché non hai risposto e magari sei impegnato, ma volevo sentirti per sapere come stai- finì la frase con una nota di dubbio nella voce, come se non ci credesse nemmeno lui.

Chiuse subito il telefono, respirando a fondo l’umida aria newyorkese mentre, a passo veloce e schivo, si avvicinava a Central Park. Forse una passeggiata nel polmone di quella città sarebbe riuscita a chiarirgli le idee e, forse, avrebbe potuto parlare col vento, parlare del nulla, riuscire a trovare un ritmo ai suoi pensieri ormai così caotici.

Si sedette su una panchina di legno, le mani sulle ginocchia e chiuse gli occhi. Cercava di visualizzare i suoi pensieri, di trovare la fonte di tanto turbamento e magari di riuscire a placarla, ma vedeva solo un buio pesto. Una brezza scompigliò i capelli del ragazzo, una folata di vento che sapeva di fresco, di spezie e di cioccolato. Alec aprì gli occhi e se non fosse stato per gli anni di allenamento, avrebbe gridato.

Seduto affianco a lui c’era Magnus, vestito con un’improbabile paio di pantaloni verde pistacchio ed una giubba di pelle- pelle di cosa, Alec non riusciva a capirlo. I capelli erano sparati in tutte le direzioni e le labbra blu erano piegate in un leggero sorriso. Sembrava a suo agio nell’essere apparso dal nulla affianco al ragazzo.

-Hai chiamato- disse Magnus senza smettere di sorridere. Era una constatazione, non una domanda.
-Sì, l’ho fatto. Non c’era bisogno però di venire, bastava anche richiamare- disse Alec sedendosi meglio sulla panchina, raddrizzando ancora di più la schiena e guardando furtivamente attorno a lui.

Il parco sembrava apparentemente vuoto, soltanto una ragazza in tuta era passata dall’altra parte del laghetto. Cosa sarebbe successo se qualcuno l’avesse trovato in compagnia di Magnus? Cosa avrebbero pensato gli altri Nascosti? Asciugò i palmi delle mani sul tessuto dei jeans e si volse verso lo stregone.

-Oh ma ero così annoiato!- rispose guardandosi interessato le unghie – niente succede in questa New York, niente d’interessante. Solo omicidi e rapine, niente che possa rallegrarmi, quindi perché non perdere un po’ di tempo con un Nephilim?-

Alec quasi trattenne il respiro. Era davvero una perdita di tempo? Alzò un sopracciglio e fissò freddamente lo stregone. Sapeva quanto potessero essere inaffidabili i Nascosti, ma anche insolenti?
-Lo sai che potrei benissimo picchiarti per quello che hai detto?-

-Fallo- sussurrò l’altro, assottigliando gli occhi come un gatto pronto a giocare- ma prima dovresti scioglierti un po’ principessa, sembra che tu abbia un obelisco su per il-
Uno schiaffo in pieno viso colpì Magnus, un manrovescio tanto forte da lasciare un segno rossastro sulla sua guancia color caffè.

-E’ stato un errore chiamarti ed è stato un errore pensare che, per una volta, un qualcuno avrebbe scelto di stare con me, di parlarmi o semplicemente di ascoltarmi- si alzò e fissò lo stregone un’ultima volta negli occhi – cancella il mio numero e fa come se non fossi mai venuto qui. Io cercherò di fare lo stesso-

Si avviò verso il viale, i suoi passi che risuonavano sul terreno battuto e la sua mascella tesa fino a fargli male. Nessuno aveva bisogno di lui ed egli non aveva certo bisogno di nessuno. Prima che potesse fare quindici passi, una mano ferma e fredda prese il polso del ragazzo, costringendolo a fermarsi. Non si girò, perché era più facile nascondersi che affrontare l’ignoto.

-Non ho detto che sei una perdita di tempo, Alec. Regola numero uno: non fraintendere mai cosa dico- una leggera pressione della mano fece girare il ragazzo verso lo stregone, il quale lo stava guardando con una furia cupa – regola numero due: ora torna su quella maledetta panchina e parlami. Sfogati. Non vedi che sei al limite umano del nervosismo?-

Il ragazzo fu guidato dalla mano di Magnus- una mano ferma come il marmo, ma allo stesso tempo gentile- verso la panchina e, una volta sedutosi, cercò di non guardare lo stregone.

-Cosa è successo?- chiese lo stregone – stai bene?-
-Io…- Alec voleva davvero parlargli, ma l’unica cosa che riusciva a pensare era quanto non fosse saggio sfogarsi con un Nascosto.
-Dio mio- questa volta fu il turno di Magnus.
Tirò uno schiaffo ad Alec, uno schiaffo meno forte di quello ricevuto, ma abbastanza potente da risvegliarlo – come per magia- dal suo torpore.

I suoi occhi blu, resi ancora più scuri dal volere della notte, si accesero di una luce. La fiducia entrò dentro il ragazzo, rinvigorì ogni suo muscolo e, prima che potesse anche solamente iniziare a pensare, parlò.
Cercò di non tralasciare niente: iniziò parlando di quanto amasse la sua famiglia, di quanto tenesse a Jace e si sfogò anche riguardo i contrastanti sentimenti che nutriva nei confronti di Clary.

-Mai nessuna delle mondane frequentate da Jace era mai riuscita a risultarmi così odiosa. Molte erano insulse, altre troppo ingenue o troppo sfrontate per lui, ma Clary è semplicemente un’incognita-
-E’ sua sorella. Questo lo sai tu e lo sanno loro- disse Magnus accendendosi con un dito una piccola sigaretta
-Già  e tu pensi che questo fermerà entrambi dal cercarsi?-

Silenzio. Forse si era esposto troppo, forse doveva solamente stare zitto e andarsene, e forse era stato un errore.
-Smettila- disse Magnus, espirando una nuvola blu di fumo
-Smettere cosa?-
-Oh andiamo Alec, vedo le rotelline del tuo cervello ruotare furiosamente. Io sono come una tomba- gli fece l’occhiolino- tutto quello che mi dici non uscirà da qui- e si toccò una delle punte tra i suo capelli ad istrice.

Dopo non sapeva quanto tempo, il ragazzo rise di gusto, distendo i nervi e dando pace alla sua coscienza. Se era così parlare con un Nascosto, allora era un qualcosa di bello. Da troppo tempo non riusciva a parlare perché aveva paura delle reazioni di chi potesse sentirlo. Magnus, invece, era così imprevedibile e, allo stesso tempo, così rassicurante che nessuno poteva rimanere in silenzio davanti ai suoi occhi e al suo odore così diverso.

-Cosa c’è? Ti piace ciò che vedi?- chiese Magnus un po’ sconcertato e molto felice di tutto quell’interesse.
-No niente, stavo pensando al fatto che queste cose non le ho mai dette a nessuno, nemmeno a Jace. Ora invece sto confidandomi con un Nascosto e, lo sai cosa? Mi piace- fece muovere nervosamente il pomo d’Adamo su e giù e poi aggiunse – sì, mi piaci-
Cercò di non distogliere lo sguardo, parlando anche con gli occhi. Cosa diavolo stava facendo?
-Anche tu mi piaci, Alec- disse con un mormorio lo stregone.

Qualunque mondano fosse passato di lì, non sarebbe riuscito a vedere nulla, eppure un qualcuno con la Vista avrebbe assistito al semplice e casto primo bacio di una coppia molto eterogenia.

In questa coppia si notava un ragazzo coi capelli scuri e gli occhi spalancati, blu profondi quasi quanto la notte stessa ed un altro ragazzo, apparentemente strano, con una mano a toccare gentilmente il ginocchio del primo, cercando così d’avvicinarsi leggermente di più.

Alec era in completo shock e, per la prima volta in quella serata, aveva deciso che non pensare era l’unica soluzione e che, se quello significava lasciarsi andare con un persona che era lì con lui e per lui, gli andava benissimo. Alec, inconsapevolmente, aveva iniziato a rispondere al bacio perché gli sembrava la cosa giusta da fare e chiuse gli occhi, facendosi sopraffare dalle proprie emozioni.

Niente parole, solo sensazioni. Niente mondo, niente mondani, niente di niente. Solo lui e quello Stregone, quell’unione improbabile eppure così piacevolmente giusta. E, pur essendo stata una nottata torrida, l’alba per il ragazzo arrivò troppo presto tra un brivido e l’altro.





*angolino* ssssscusate per il ritardo, ma ho avuto un blocco e semplicemente non sapevo come continuare,
Ditemi cosa ne pensate,
tanto amore
Em

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Capitolo 3
*** Seconda chiamata ***


*NdA in questa parte della storia, che si colloca appena dopo Città di Vetro, Max non è morto*



Seconda chiamata

 
Alec iniziò a disfare la valigia molto lentamente, ancora scosso da ciò che in poco tempo era successo. Clary era stata la chiave, la rottura del fragile equilibrio che era stata la loro vita fino a quel momento e, incredibilmente, gliene era grato.

Senza di lei, come sarebbe riuscito a fare ciò che da anni non aveva avuto il coraggio nemmeno di pensare? Certo, le aveva portato rancore per tutto ciò che era successo, ma aveva capito che non era colpa sua se il suo parabatai non l’amava e, anzi, aveva scoperto di non amare Jace, non in quel senso.

Non era Jace colui che lo strappava al sonno, che lo lasciava sveglio perché semplicemente non nelle sue braccia. Non era Jace colui che lo portava ad un passo dalla pazzia e che faceva ribollire in maniera così ambigua il suo sangue nelle vene. Alec sospirò mesto, consapevole di quanto fosse assoluto e profondo ciò che provava per Magnus.

Dopo tutto ciò che era accaduto ad Alicante, dopo il bacio scambiatosi e la presentazione ufficiale ai suoi genitori, Alec non aveva avuto il coraggio di chiamare Magnus, eppure lo stregone non l’aveva abbandonato nemmeno un secondo.

La sua voce lo destava nei momenti più disparati, le sue mani sembravano accarezzare i capelli scuri del ragazzo sempre più spesso, perfino la sua assenza l’aveva stremato perché, anche se non era materialmente con lui, la sua presenza era lì, vigile come un ombra. E il cacciatore di ombre era diventato ironicamente la preda.

Ecco perché Alec stava sistemando i suoi vestiti con una lentezza snervante, perché aveva bisogno di sentirsi solo per un po’, perché tornare a casa significava andare avanti, quando tutto quello che voleva fare era fermare il tempo nell’esatto momento in cui le sue labbra avevano trovato quelle di Magnus nel bel mezzo di Idris.

Chiuse le ante lentamente e stendendosi sul letto, si trovò a fissare il soffitto candido della propria camera. Era ad un passo dalla felicità, e allora perché si sentiva così debole? Era questo l’amore? Debolezza?

Dopo poco tempo, il telefono suonò.

-Pronto?- disse Alec, continuando a fissare il soffitto.

-Ora che siamo tornati a casa cerchi di evitarmi? Non farmi fare la parte del fidanzato geloso- disse la voce calda di Magnus e il ragazzo, suo malgrado, sentii un brivido scendere lentamente lungo la sua schiena, quasi come se lo stregone fosse proprio dietro di lui a sussurrargli nell’orecchio.

Il ragazzo arrossì al solo pensiero e, alzandosi di scatto, sorrise divertito. Quando era Magnus a chiamare, quando era lui a cercare le sue attenzioni, Alec si sentiva più padrone di se stesso. Riusciva quasi a controllarsi, a superare quel blocco caldo di emozioni che ogni volta rischiavano di sommergerlo.

-Dimmi che sei libero perché ho appena finito di disfare la valigia- “e già mi manchi” fu quello che non aggiunse, lasciandolo trasparire nel silenzio che caratterizzava le chiamate con lo stregone.

-Per te sono sempre libero. Anzi, se dovessi scegliere tra vederti o andare a salvare il mondo- una breve pausa, mentre la risata di Magnus squillò vivace nelle orecchie dello Shadowhunter –beh, che dire, sarei davvero molto molto egoista-

Il continuo gioco di battute, le allusioni a quanto si volessero bene, era questo che rassicurava Alec. Loro due non si prendevano sempre sul serio, anzi la buttavano molto spesso sul ridere, perché la felicità sta anche nel viversi giorno per giorno, cercando di pianificare il meno possibile.

-Incontriamoci alla nostra panchina- rispose semplicemente, prima di chiudergli senza molte cerimonie il telefono in faccia e avviarsi a grande falcate verso il loro punto d’incontro.

Era strano come molte volte alcuni posti o emozioni sembrassero appartenere solo a loro, come se questi ultimi non facessero parte di un mondo che esisteva al di la della loro relazione, ma fossero stati creati solo perché dovevano significare qualcosa di più, perché dovevano essere qualcosa di più. Perché loro due erano qualcosa di più e ormai nessuno poteva negarlo.

Alec sorrise ad una bambina all’entrata del Parco, cercando di trattenersi dal saltellare, mentre una leggera brezza accarezzò la sua nuca. Distrattamente passò una mano tra i capelli, cercando con lo sguardo la ormai familiare figura del suo fidanzato.

Ogni tanto il cacciatore si rinchiudeva in bagno e, piantandosi davanti allo specchio, iniziava a ripetere cose come “Sono fidanzato” e “Il mio fidanzato di nome Magnus” e puntualmente un sorriso radioso spuntava sulle sue labbra, illuminandogli gli occhi d’emozione.

In quel momento però, i suoi occhi furono catturati da un uomo mollemente seduto sulla panchina con su un pantalone di pelle e una giubba quasi militare.

-Tu, amore mio, sei bipolare- lo salutò con un sorriso sulle labbra Magnus, prima di lasciargli un fugace bacio alla base del collo.
Il cacciatore non disse niente, cercando di godersi Magnus nella sua interezza; perché, quando lo stregone si lanciava in uno dei suoi incredibili aneddoti o quando gli parlava dei suoi pensieri più profondi, Alec capiva davvero cosa amasse di lui. Non il suo aspetto, né il suo incredibile fascino, ma il suo essere al tempo stesso semplice e complicato, una contraddizione nata solo per farlo impazzire. Senza filtri, senza mezze misure, semplicemente vivace, imprevedibile e il profondo Magnus che l’aveva stregato. Ed era un qualcosa di cui non si sarebbe mai stancato.

-Stavo pensando che forse dovremmo cenare all’aperto stasera- buttò lì lo stregone, offrendogli uno sguardo tranquillo e appoggiando il braccio sullo schienale della panchina, avvolgendogli le spalle.

-Non inizia a fare un po’ troppo freddo per mangiare fuori?- si lamentò Alec, strofinando un po’ le mani per riscaldarle leggermente.

-Dio, sei davvero una vecchia signorina piena di acciacchi- disse ironicamente esasperato Magnus, lanciando le mani al cielo e facendole casualmente cadere su quelle del ragazzo – e poi, il freddo è una scusa per stare anche un po’ più vicini-

Alec aprì la bocca per rispondere, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu prendere fiato prima che le labbra di Magnus lo raggiungessero. Alec, nei suoi anni da adolescente, aveva già baciato altre persone- ragazzi e ragazze-, ma nessun ricordo poteva mai battere ciò che lo stregone gli faceva provare.

Era come cercare di rallentare mentre si corre lungo una discesa; l’unica cosa che riusciva a fare era prendere il ritmo con le labbra di lui, con il suo respiro e cercare di non rabbrividire ad ogni tocco.

Una scossa elettrica che non finiva mai, che lo lasciava come sempre stupito; ma la cosa che lo stupiva davvero era la propria reazione, quel cercare le mani di Magnus e accarezzare la sua nuca e giocare con i capelli ispidi, essere parte attiva di quel rapporto a due.

Si staccarono dopo poco, cercando di recuperare quanto più ossigeno possibile fissandosi intensamente, prima di scoppiare a ridere.

-Hai davvero così freddo?- gli chiese incuriosito lo stregone, fissando le foglie che meste cadevano dai grandi alberi di Central Park.

-Diciamo che l’autunno non è la mia stagione preferita- disse molto diplomaticamente Alec – però non fa ancora così freddo. E poi, l’hai detto anche tu, è un motivo in più per stare vicini-

Magnus si voltò a guardarlo assorto in chissà quale pensiero e, dopo qualche attimo di silenzio disse:

-Ho un’idea-

Alec s’irrigidì leggermente, al tempo stesso incuriosito e terrorizzato. Cosa poteva essere? Perché lo sguardo felino di Magnus era diventato improvvisamente vitreo?

-Cosa?- disse cauto il ragazzo, cercando di non far trasparire le proprie emozioni.

-Visto che a te non piace l’autunnoo e io non ho abbastanza potere da bloccare il ritmo regolare delle stagioni, stavo pensando che forse potremmo optare per un viaggio- disse semplicemente, tornando alla realtà e sorridendo.

-Un viaggio? Ma siamo appena tornati- fu la prima cosa che gli era venuta in mente.

Partire e lasciare tutto e tutti alle spalle? Era sempre stato il ragazzo affidabile, quello su cui tutti contavano e lui era diventato duro come il marmo per cercare di sopportare tutte quelle responsabilità. Ed ora, fresca come una folata di vento, una proposta di fuga da parte dell’unico uomo che sentiva d’amare con tutto se stesso, con un’intensità che a volte lo lasciava senza fiato.

-Sì, beh, pensavo che ti sarebbe piaciuto visitare un po’ il mondo. Quando venisti a casa mia, mi raccontasti di quello che volevi fare e vedere quindi ho pensato che potremmo magari vivere assieme qualche tuo sogno- disse con un tono quasi imbarazzato Magnus, passandosi una mano sul retro della nuca e sorridendo al suolo.

Alec non rispose, buttò semplicemente le sue braccia attorno al collo dello stregone e gli sussurrò nell’orecchio:

-Okay, ci sto. E, comunque, io con te l’ho sto già vivendo un sogno-

Lo stregone ricambiò la stretta, prima di scoppiare a ridere nel vedere la faccia di Alec passare dalla gioia più pura alla confusione.

-Che c’è ora, mio piccolo bipolare?-

Il cacciatore mise a fuoco la figura di Magnus, prima di sbuffare e incrociare le braccia.

-Potevi dirmelo prima che volevi partire-

-E perché mai?- lo stegone alzò interrogativo un sopracciglio

-Ho già disfatto la valigia e per di più ho impiegato moltissimo ed inutilissimo tempo-

Magnus iniziò a ridere e non si fermò più, fino a che non si trovarono entrambi a ridere come due sciocchi con le lacrime agli occhi, sentendosi anche un po’ pazzi.

Ma d’altronde, cos’è l’amore se non un po’ di pazzia condivisa?
 







*notedellasdolcinata*: Salve, c'è nessuno? Scusate per l'indecente (e anche molto offensivo) ritardo, ma tra blocco e scuola e mille impegni sono riuscita a finire la storia solo oggi! Prima di tutto, tiriamo un sospiro di sollievo per come è andata a finire con The mortal Instrument e poi, non so se avete notato, ma Jace in CoHF ha ROTTO IL TELEFONO DI ALEC. Come farà ora il nostro cacciatore a sentirsi con il suo amato?
Il tutto al prossimo capitolo.
Un bacio fortissimo a voi che recensite, preferite o comunque buttate un occhio ogni tanto. Vi voglio davvero molto bene
Em

 

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