Ardentes Mali Flammae

di Mia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ardentes Mali Flammae
Masato Fujiwara
Prologo

Il cielo era sereno, tanto che dal santuario del Supremo era facilissimo distinguere la Terra.
Mr Popo passeggiava per le numerose stanze del palazzo, al fine di controllare, come era solito fare da ormai molti anni, che tutto fosse in ordine. Inoltre, nonostante egli sapesse che era praticamente impossibile che qualcuno giungesse fino al palazzo, da quando, ormai molti anni prima, Son Goku aveva compiuto questa impresa, le certezze del fedele assistente del Supremo erano crollate, ed ora egli faceva ogni giorno un giro di ricognizione. Una volta terminato il lungo ed abituale percorso, andò alla ricerca di Dende, che non si era fatto vedere per tutto il giorno. Lo trovò nella stanza dove era custodito il modellino del Drago Shenron; era immobile, in piedi davanti ad esso e lo fissava intensamente con evidente preoccupazione.
Al fedele Mr Popo, che da anni viveva accanto al giovane namecciano, non sfuggì questo stato d’animo e, dopo essersi avvicinato a lui, gli domandò con una certa apprensione se ci fosse qualcosa che non andava.
I suoi tondi occhi, come al solito, non lasciavano trapelare alcuna espressione, ma il tono di voce compensava questa inespressività, tanto che il namecciano, percependo quest’inquietudine, fu distolto dai suoi pensieri e si girò verso il fedele Mr Popo. Lo guardò per un attimo senza parlare, né cambiare espressione; infine disse, distogliendo lo sguardo: -Sento che qualche cosa di strano sta succedendo al modellino del Drago… non so cosa sia, ma le vibrazioni negative non fanno presagire nulla di buono. E’ come se una grande forza scaturisse da esso, non so se mi spiego… una forza malvagia; non te ne sei accorto anche tu, Mr Popo?-
Detto questo, il giovane Supremo si allontanò di qualche passo, avviandosi verso una delle immense finestre, dalla quale si poteva vedere la Terra. Guardò verso il basso con aria inquieta, come se temesse che il male proveniente dalle Sfere potesse intaccare, o stesse già intaccando, la pace e la serenità del pianeta. Quasi le parole del giovane namecciano fossero state udite dalla forza maligna, l’atmosfera si fece tesa e l’aria parve riempirsi di una sottile elettricità della quale si poteva quasi percepire lo sfrigolio sulla pelle. La sensazione che questa energia dava era quella di un focolare acceso, di ardenti fiamme che sfrigolassero in un camino, apparentemente innocenti e benigne, ma dalle quali avrebbe potuto scaturire un terribile incendio, qualora un solo, piccolo, insignificante tizzone fosse caduto sull’infiammabile pavimento di legno.
Quando, con un’intensa ondata di calore, l’influsso negativo ebbe raggiunto il suo apice, andò via via scemando, fino a scomparire del tutto, lasciando dietro di sé solo un teso e pesante silenzio, carico di dubbi.

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Capitolo I
Il pianto di un bambino ruppe il silenzio della piccola casa nel cuore della Città dell’Ovest, risvegliando Goten dal suo sonno. Il sole ferì gli occhi del saiyan, che si alzò a fatica dal letto matrimoniale sul quale si era coricato, riparandoseli con un braccio dalla luce accecante.
-Potresti andare tu da Matsuo, per favore? Io sto completando un progetto.- la voce di Michiyo lo raggiunse, come una melodia conosciuta, dalla stanza affianco. Con grande sforzo, Goten si alzò, dirigendosi poi verso la camera dalla quale aveva udito provenire la voce di Michiyo.
La vide seduta davanti al computer che dominava la sua ordinata scrivania, intenta a lavorare ad un complicato progetto per la Capsule Corporation dove era impiegata come ingegnere.
Appoggiato alla soglia, il giovane saiyan rimase a fissare la sua donna per lungi attimi, affascinato dalla sua lunga chioma bionda; ogni tanto lei, con un gesto leggero ed affascinante, si sistemava dietro ad un orecchio alcune ciocche ribelli che, inevitabilmente, se lasciate sciolte, tendevano a ricaderle sul viso.
Dopo questa attenta ed ammirata contemplazione, Goten si avvicinò a lei, scostandole gentilmente i capelli dal collo sottile e baciandoglielo delicatamente.
Lei sorrise dolcemente a quel tocco ed affondò le dita nei capelli del suo ragazzo prima di sollevare il capo e lasciare che le labbra di Goten incontrassero le sue.
-Dài, smettila! Vai di là e cerca di far riaddormentare Matsuo.- disse la donna, con tono falsamente severo, dopo essersi divincolata dalla presa del saiyan, cercando di apparire sufficientemente convincente.
-Non serve. - disse lui in un sensuale sussurro, cingendole delicatamente da dietro la vita snella - Senti? Ha già smesso di piangere.-
Contrariamente a quanto il ragazzo si sarebbe aspettato, Michiyo non fu per niente rassicurata da questa affermazione; scattò in piedi e, con aria preoccupata, si diresse verso la camera da letto dove dormiva il piccolo Matsuo. Stizzito per la scarsa considerazione di Michiyo e maledicendosi per averla fatta preoccupare, Goten la seguì nella stanza accanto.
Non appena fu entrato si appoggiò alla porta ed osservò la scena che gli si presentava davanti. Michiyo era in piedi davanti alla culla del piccolo Matsuo ed accanto a lei si trovava sua figlia Emi, che teneva in braccio il bambino profondamente addormentato.
Goten sorrise davanti a quella scena: non c’era da preoccuparsi, poiché il motivo per cui Matsuo non piangeva più era che la sorellina lo aveva calmato.
-Hai visto, mamma, che si è addormentato?- stava dicendo la piccola Emi a sua madre, tutta orgogliosa dell’impresa che era riuscita a compiere. Decisamente sollevata dal fatto che il figlio si fosse calmato non in seguito a qualcosa di grave, Michiyo sorrise ed annuì, lodando poi la figlia maggiore.
-Sei stata bravissima, tesoro! Non si è mai addormentato così velocemente con me!-
-Hai visto Goten? L’ho fatto addormentare io tutta da sola! Sono stata brava?-
La piccola Emi, dopo aver rimesso il fratellino nel lettino, si era diretta verso il giovane saiyan e, sorridendo con aria fiera, gli aveva fatto questa domanda, sperando di venire lodata nuovamente.
-Ma certo che sei stata brava! - rispose lui, con fare paterno, mettendole una mano sulla testa a scompigliarle i corti capelli biondi - Pensa che io non ci riesco ancora!-. Detto questo le sorrise e lei se ne andò via con aria soddisfatta.
“A volte la vita è strana” si ritrovò a pensare Goten dopo che anche lui e Michiyo si furono allontanati dalla stanza dove dormiva Matsuo.
Se avessi studiato come si deve, invece di seguire il pessimo esempio di tuo padre, ora avresti un lavoro stabile e produttivo come tuo fratello! Possibile che tu non mi dia mai retta?! Inoltre non hai la benché minima intenzione di trovarti una fidanzata vera! Non capisco quale gratificazione possa mai darti portare a casa quelle galline senza cervello che tu definisci fidanzate, invece di trovarti una ragazza intelligente con cui sistemarti. E sappi che tuo fratello, alla tua età aveva già una moglie, un lavoro stabile e una figlia!” Questa conosciuta litania che il giovane saiyan, dopo anni, non ascoltava più, era però rimasta dentro di lui come una sorta di melodia infantile. Quasi gli sembrava di sentire sua madre mentre pronunciava quelle parole tanto che gli venne spontaneo sospirare, scuotendo leggermente il capo, soprattutto se pensava a quanto l’atteggiamento di Chichi nei suoi confronti fosse cambiato dopo che le aveva presentato Michiyo e Emi.
Goten arrivò fino al piccolo salotto e si lasciò cadere sul divano, accanto alla sua donna, che aveva deciso di riposarsi leggendo un libro. Messe le mani dietro la nuca, si abbandonò di nuovo ai ricordi ma, soprattutto, ai rimpianti.
Erano passati ormai quasi tredici anni da quando suo padre se ne era andato per allenare quello strano ragazzo dalla pelle scura e nessuno aveva più avuto notizie di lui. Goten ricordava molto bene e con immenso dolore quanto sua madre avesse pianto e quanto avesse inveito contro suo marito, dicendo che a lui non importava nulla della sua famiglia se preferiva allenare un emerito sconosciuto piuttosto che stare a casa con sua moglie ed i suoi figli, ed il fatto che non avesse mai dato sue notizie, diceva, era un’ulteriore conferma a questa teoria. Dapprima Goten non aveva voluto ascoltare la madre; credeva infatti che Goku sarebbe presto tornato a casa da loro, ma ora, a distanza di così tanti anni, l’idea che a suo padre non importasse nulla di loro, si era fatta strada anche nella sua mente.
Del resto, quel ragazzo che Goku tanto bramava allenare era un perfetto sconosciuto e né Goten, né suo fratello Gohan erano mai riusciti a capire cosa loro padre avesse visto di tanto speciale in lui.
“E’ davvero così? - si trovò a pensare Goten, mentre fissava il soffitto della casa che condivideva con Michiyo - Davvero a papà non importa nulla di noi?” Quante cose si era perso Goku, per colpa di quegli anni di allenamento: non era invecchiato accanto a sua moglie; non aveva visto la sua nipotina diventare donna; non aveva visto lui, Goten, crescere e non aveva mai conosciuto Michiyo, né suo nipote Matsuo.
Cosa che gli era capitata raramente nel corso della sua vita, Goten, davanti a questi pensieri si sentì abbandonato, proprio come si era sentito quando suo padre se ne era andato, lasciando dietro di sé un figlio adolescente che, più di qualunque altra cosa, aveva bisogno della figura paterna.
-Che cos’hai? Stai male per caso?- la mano di Michiyo si posò sulla sua spalla e la sua dolce voce lo riscosse dai suoi tristi pensieri.
Il giovane saiyan si girò verso la donna amata e si perse nei suoi intensi occhi castano nocciola e, all’improvviso, tutto il dolore parve attutirsi, affogato nel mare di quello sguardo. Sorrise e, scuotendo la testa, disse: -No: non è nulla.-
Rassicurata, Michiyo si immerse nuovamente nella lettura, mentre Goten, scacciando i pensieri che avevano affollato la sua mente fino a quel momento, si ritrovò a pensare a quanto fosse bella la vita nella pace.

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Capitolo II
-Ti ho già detto che in questi giorni sono molto occupato…-
-Non è vero: questa è solo una scusa! Com’è possibile che tu non abbia mai un momento per stare con me!-
-E invece è la verità, devi credermi! Non so cosa darei per passare più tempo con te, ma non posso proprio!-
Fuori dalla porta del presidente della Capsule Corporation si era radunata una piccola folla di curiosi, che la segretaria stava cercando di disperdere con scarsi risultati. Infatti, era proprio dall’ufficio del presidente che provenivano queste urla.
-Ti prego, amore: torna a casa. Ti prometto che non appena avrò portato a termine questo progetto mi dedicherò solo a te, ma adesso non ho tempo per discutere di queste… queste faccende…- disse Trunks, evidentemente imbarazzato, abbassando lo sguardo sulla montagna di carte che giaceva davanti a lui sulla lucida scrivania di marmo.
-Beh, certo! Tu non hai mai tempo di parlare con me! - sbottò lei, rossa in viso e visibilmente irritata - la verità è che non ti importa niente di me!-
-Non alzare la voce, per favore!- la implorò lui a bassa voce.
-Io la alzo quanto mi pare! - esclamò lei, sbattendo entrambe le mani sulla superficie della scrivania, facendo così cadere molti dei fogli impilati precariamente sul tavolo - E adesso mi ascolterai, perché sono stufa di fare finta di nulla e dartela sempre vinta.-
Quando la ragazza tolse le mani, nel punto esatto dove le aveva sbattute si trovava un visibile solco.
Trunks, dopo aver osservato con preoccupazione quell’incavo sulla sua scrivania nuova, guardò verso la sua ragazza con aria implorante e infine disse, a voce molto bassa: -Pan, ti prego, smettila. Che tu ti senta trascurata lo capisco, ma non ci posso fare nulla. A causa di un recente progetto siamo tutti molto impegnati… anche mia madre, sebbene non venga qui tutti i giorni, è sempre alle prese con questo progetto. Non possiamo fare a meno di lavorarci su: è molto importante e Gohan ci tiene molto…-
-Aspetta, aspetta! - lo interruppe Pan - Cos’hai detto?-
Spaventato dall’apparente calma con cui la ragazza gli aveva posto questa domanda, per paura di dire qualcosa di sbagliato, Trunks ripeté quanto aveva detto prima in linea ancor più generale, ma evidentemente non era questo che voleva sentirsi dire Pan, perché scosse la testa.
-No, no: tu hai nominato mio padre! C’entra anche lui in questo progetto?!-
-Beh… - cominciò, ormai rassegnato al peggio - diciamo che è stata soprattutto una sua idea, che mia madre ha accolto con grande entusiasmo…-
-Ah, davvero?! E tu, naturalmente non hai perso l’occasione di umiliarti davanti a mio padre! Cosa sei, il suo zerbino? Devi capire che non devi dimostrare niente a nessuno: per stare con me non hai bisogno dell’approvazione di mio padre, ma solo della mia!- lo aggredì lei con veemenza.
-No! Non è per quello… è solo che…- Trunks abbassò lo sguardo e cominciò a giocherellare nervosamente con la preziosa penna dorata che teneva in mano, correndo il serio rischio di romperla.
-Che cosa?!-
-Ecco… tu dici che non ne ho bisogno, ma io invece credo di sì…-
Pan spalancò la bocca e rimase a fissare il suo ragazzo incredula per qualche secondo, prima di sentirlo aggiungere: -Insomma, lui ha sempre avuto una grande stima di me ed io ne ho sempre avuta altrettanta di lui, ma da quando stiamo insieme… mi sembra… come dire… di aver mancato nei suoi confronti, ecco: di aver tradito la sua fiducia.-
Era un discorso complicato e dubitava che Pan, per lo più in preda all’umore più nero, lo avrebbe capito fino in fondo o anche solo in parte.
Gohan lo aveva visto crescere accanto a Goten, era stato per molti anni quel fratello maggiore che tanto avrebbe desiderato avere, ma che, per ovvi motivi, non era mai arrivato; lo aveva ammirato, amato e rispettato molto durante tutta la sua vita, ma da quando, alcuni mesi prima, aveva iniziato questa relazione con sua figlia, la coscienza aveva cominciato a rimordergli; aveva paura di averlo, in fondo, deluso.
Questo però Pan non poteva capirlo e infatti lo aggredì con maggior impeto: -E così io sarei solo un peso sulla coscienza, per te?! Per sentirti in pace con te stesso devi vivere in funzione di mio padre e tentare di compiacerlo! Allora vaffanculo! Continua pure a lavorare al tuo stupido progetto e se vuoi trovarti una ragazza chiedi a mio padre di trovartene una! Così almeno sarai sicuro della sua approvazione!- detto questo Pan girò su sé stessa, aprì la porta e se la chiuse con fragore alle spalle, rischiando seriamente di scardinarla.
Appena fuori dalla stanza si imbatté nella folla di curiosi, che la guardavano con aria incuriosita.
-E voi che cazzo avete da guardare?!- li aggredì con fervore, fulminandoli con gli occhi.
Tutti distolsero immediatamente lo sguardo e, lentamente, si dispersero, con grande sollievo della segretaria di Trunks.
-Arrivederci, signorina.- la salutò, ma Pan non rispose, dirigendosi a passi pensanti verso l’ascensore e poi verso l’uscita.
Una volta in strada, dopo essersi assicurata che non ci fosse nessuno nei paraggi, spiccò il volo.

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Capitolo III
Il sole stava scendendo lentamente verso occidente, ma il giovane Supremo non se ne curava. Aveva mantenuto la stessa posizione accanto ad modellino del Drago Shenron per tutto il giorno e non aveva mai lasciato la stanza. Piccole gocce di sudore imperlavano il suo viso, la mascella gli si era irrigidita e tremava leggermente per via sia della fatica che del timore.
“Ma di cosa ho paura? L’energia negativa si è dissolta e tutto sembra tornato alla normalità… ma allora perché continuo ad avere la sensazione che qualche cosa di terribile stia per accadere?” Dende inghiottì a fatica e prese a camminare nervosamente per la stanza, poiché le gambe cominciavano a formicolargli per via della staticità e della stanchezza.
La Terra… cosa sarebbe accaduto alla Terra se le sue sensazioni si fossero rivelate vere?
Lui era il Supremo ed aveva delle responsabilità sugli abitanti di quel pianeta che era stato, per molti anni, la sua casa.
Se fosse accaduto loro qualche cosa non se lo sarebbe mai perdonato…
Improvvisamente Dende si fermò e cominciò a riflettere intensamente: “Perché mi preoccupo tanto per loro? Cosa hanno mai fatto gli abitanti di questo pianeta per me?” queste due domande cominciarono a rimbombargli nella mente con una violenza quasi insopportabile, tanto che la testa cominciò a pulsargli.
Si sedette.
“Io mi preoccupo per loro, ma nessuno di loro si preoccupa per me… certo, ci sono Gohan e Crili e gli altri amici di Goku, ai quali devo molto, ma, tutto sommato, neppure loro si sono mai interessati veramente a me. - uno sbadiglio interruppe per un attimo il flusso di pensieri del giovane Supremo - “Su Namecc mi hanno usato solo per esprimere i loro desideri e da quando sono sulla Terra… beh… a loro importa soltanto delle nuove Sfere che ho creato, ma non gli importa assolutamente nulla di me… e Goku…?”
Si interruppe nuovamente per sbadigliare un’altra volta, con più stanchezza, prima di interrompere definitivamente il flusso di pensieri.
“Goku? Beh… Goku è morto.”
La testa cadde abbandonata sulla spalla sinistra e Dende si addormentò profondamente.
Poco distante, la stessa cosa accadeva anche a Mr Popo.
Una sottile nebbia avvolgeva completamente il santuario del Supremo; nebbia che si era sviluppata, invisibile, dal modellino del Drago, propagandosi tutta attorno fino ad avvolgere interamente il palazzo.
Sul tondo tavolino decorato, il piccolo Drago Shenron cominciò a fremere leggermente. Quando si fermò dalla sua bocca sgorgò un liquido rosso e denso, dal quale si materializzò una persona dall’aspetto umano.
-Era pure ora: stavo cominciando a stancarmi di te, piccolo, stupido namecciano.- una voce fredda e strascicata ruppe improvvisamente l’atmosfera silente. Camminando lentamente, l’uomo si diresse verso Dende e lo osservò con disgusto per qualche secondo, prima di distogliere lo sguardo e guardarsi attorno: un sorriso malvagio gli increspò le labbra, senza però estendersi agli occhi.
Sollevò poi entrambe le mani e le osservò per lungo tempo, sogghignando perfidamente.
Si scostò infine, con un brusco gesto della mano, una lunga ciocca di capelli biondi che gli era ricaduta sul viso, tornando poi a guardare Dende -Bene: tu per ora non mi servi ancora - disse, rivolgendosi al giovane Supremo, addormentato su una sedia poco distante dal punto in cui si trovava la strana apparizione - e credo che a te non servirà più questo…- passò un lungo dito affusolato sulla superficie marmorea del modellino del Drago; un tocco delicato, che però si tramutò ben presto in un movimento brusco della mano che fece cadere la piccola statuetta, mandandola in frantumi. Non appena il modellino si infranse sul pavimento, da esso scaturirono sette sinistre ombre che si dispersero ognuna in una direzione diversa, simili a neri, velocissimi ratti portatori di peste.
Un ghigno soddisfatto increspò le labbra dell’uomo che, per nulla impressionato da ciò, si voltò verso la grande finestra occidentale e, senza guardarsi indietro, spiccò il volo.
Sul pavimento del santuario del Supremo si espandeva a vista d’occhio un’enorme macchia rossa. Una macchia di sangue.

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV
Chichi sentì bussare e andò ad aprire la porta e subito sorrise entusiasta alle quattro persone che si trovò davanti.
-Ecco qui il mio nipotino! Ma come sei bello! Assomigli tanto al tuo papà quando era piccolo!- esclamò la donna alla vista di Matsuo.
Il piccolo si guardava intorno con aria curiosa, osservando il mondo dall’alto fra le braccia di sua madre, scalciando insistentemente.
-Ma avanti, entrate! Non restate lì sulla porta! Fra poco arriveranno anche Gohan, Videl e Pan: non vedevo l’ora di rivedervi! Da quando anche tu te ne sei andato mi sento così sola…- disse, rivolta al suo ultimogenito, con aria sconsolata.
-Ora non sei più sola, nonna!- le ricordò la piccola Emi con entusiasmo, saltellando da una parte all’altra della piccola stanza.
Emi adorava la casa di Chichi, poiché, essendo nata e cresciuta in città nel piccolo appartamento della madre, venire a contatto con la natura selvaggia di quel luogo sperduto fra i boschi la eccitava non poco.
Inoltre, da quando lei e sua madre avevano conosciuto Goten in quella gelateria, la sua vita era radicalmente cambiata.
Goten non assomiglia a nessuno dei suoi precedenti papà: infatti nessuno di loro sapeva volare e nessuno di loro aveva mai passato così tanto tempo con lei. Tutti preferivano stare con sua madre e la maggior parte delle volte, quando c’erano loro, lei finiva per restare sola. Invece con Goten tutto era cambiato e a lei piaceva moltissimo questo nuovo papà che, nonostante trascorresse molto del suo tempo con sua madre, amava giocare anche con lei.
-Hai ragione, tesoro.- disse Chichi, sorridendo alla nipote acquisita.
-Mamma, posso uscire a giocare?- domandò impaziente la bambina a Michiyo mentre questa sistemava il piccolo Matsuo su di un seggiolone.
-Sì, vai pure, ma torna presto… e ricordati di lavarti le mani, prima di mangiare!- le gridò dietro mentre Emi si allontanava di corsa dopo aver ringraziato.
Poco dopo si sentì bussare nuovamente alla porta e, quando Chichi andò ad aprire si trovò davanti ad un irritato Gohan che la salutò con poco entusiasmo.
Allarmata, Chichi guardò in direzione di sua nuora e di sua nipote e subito capì che doveva esserci qualche cosa che non andava.
-Gohan, che succede, tesoro? C’è qualcosa che non va?- domandò al figlio, dopo che ebbe salutato anche Videl e Pan.
-No, nulla: sappi solo, mamma, che tua nipote ormai è troppo grande e superiore per venire un paio di volte all’anno a trovare sua nonna! Queste sono cose da bambina che non si addicono ad una donna matura come lei!- rispose lui, salendo sempre più di tono con la voce mano a mano che pronunciava questa frase.
-Io ci volevo venire, semplicemente non oggi, e soprattutto non con te!- rispose Pan, di rimando. Videl, visibilmente stremata, si diresse a passi strascicati verso Michiyo e la salutò con voce stanca e, dopo aver salutato nello stesso modo anche il cognato, si mise a sedere sul piccolo divano, con l’aria però di non essere per niente a proprio agio.
Chichi aveva un’espressone sconvolta ed il dolore che questo atteggiamento del figlio e della nipote sortiva su di lei non le diede modo neanche di parlare.
Si ricordava di quando Pan era piccola: Gohan la adorava, era la luce dei suoi occhi ed anche fino a pochi anni prima la sua unica figlia era per lui la cosa più importante del mondo, eppure, da qualche tempo, era nato fra loro questo conflitto che lei, forse avendo avuto solo due figli maschi, forse non essendo un padre che avesse a che fare con un’adolescente, non riusciva a capire fino in fondo.
I due non si parlarono più per parecchio tempo; difatti Gohan andò a salutare suo fratello e Michiyo, per poi sedersi sul divano accanto alla moglie, senza però badare allo sguardo torvo di quest’ultima.
Dopo parecchi minuti passati in silenzio, per rompere un po’ il ghiaccio, Chichi decise di buttarsi sul primo argomento che le venne in mente.
-Allora Michiyo, cara: come va il lavoro? Se non sbaglio in questo periodo siete tutti molto impegnati in un progetto di Gohan.-
-Oh sì: suo figlio è proprio un genio, signora. - rispose lei, con un sorriso contagioso sul viso grazioso - E’ un progetto complicato, ma che darà buonissimi frutti, ne sono sicura.- detto questo sorrise in direzione di Gohan e cominciò a parlare con grande vivacità del lavoro che stava svolgendo.
Il suo parlare era animato da un ricco gesticolare, che però non risultava mai eccessivo o ridicolo, poiché avveniva sempre e comunque con un’impostazione molto seria. Il sorriso della giovane donna aveva la capacità innata di catturare lo sguardo dell’interlocutore e di metterlo di buon umore.
Michiyo inoltre era animata da un entusiasmo naturale che metteva in tutto quello che faceva, ma che, ultimamente, riversava soprattutto sul lavoro e sulla famiglia. Anche prima di conoscere Goten era sicura di averci sempre messo la stessa passione, ma da quando era entrata a far parte della famiglia Son, questa famiglia che lei sapeva essere così speciale, la sua passione era aumentata insieme al suo desiderio di essere da loro amata ed accettata.
Michiyo conosceva molto bene la grande forza ed i grandi poteri che Goten possedeva, così come sapeva che erano propri di tutta la famiglia e proprio per questo lei, così piccola, minuta, fragile, si sentiva come fuori posto, sebbene nessuno glielo avesse mai fatto pesare né tanto meno notare. Era più una sua sensazione personale, che lei però voleva a tutti i costi combattere.
Mentre Michiyo stava ancora parlando, Emi rientrò e allora Chichi decise che era giunto il momento di mettersi a tavola.

***

-Non ci pensate nemmeno! Siete mie ospiti: non vi permetterò di lavare i piatti!-
-Ma si figuri: signora, per noi è un piacere.- sorrise Michiyo, spostando uno scolapasta che era da asciugare e accostandosi al lavello.
Videl fece altrettanto dopo aver rassicurato la suocera dicendole che per loro non era un problema aiutarla a lavare i piatti.
Nel frattempo, nella stanza, accanto, Pan stava guardando la televisione raggomitolata sul divano.
Il piccolo Matsuo era stato messo a dormire nella vecchia stanza di Gohan e Goten, che, invece, erano ancora seduti a tavola e stavano parlando fra loro.
Pan premeva con forza sul telecomando, soffermandosi su ogni canale per non più di cinque secondi. Sapeva che nulla avrebbe mai potuto interessarla: fare zapping era solo un pretesto per non dover rimanere seduta a tavola con suo padre e suo zio.
Dopo aver fatto almeno una ventina di volte il giro di tutti i canali, la sua attenzione fu attirata da una voce conosciuta proveniente dal televisore.
“-… sono rimasto decisamente stupito, ma anche piacevolmente colpito! Questo ragazzo è riuscito a mettere ko me: il campione del Mondo indiscusso, Mr Satan!-
-Infatti, tutti noi siamo rimasti impressionati da questo fatto ed il suo racconto è veramente straordinario. Mr Satan aveva infatti mantenuto-” disse il giornalista, rivolgendosi agli spettatori “-il suo titolo di campione del mondo di arti marziali per molti anni, restando imbattuto. Oggi però, in occasione di questo torneo di giovani dilettanti a scopo benefico, per la prima volta dopo oltre trent’anni, ha trovato un avversario degno di tenergli testa e di sconfiggerlo. Il suo nome è Masato Fujiwara ed entrerà nella storia come l’uomo che ha battuto Mr Satan.- ”
Quando il giornalista ebbe finito di pronunciare questa frase, fu inquadrato per la prima volta questo fantomatico Masato Fujiwara.
Un ragazzo alto, muscoloso, con lunghi capelli biondi ed un sorriso allo stesso tempo seducente ed inquietante, poiché coinvolgeva solo la bocca senza estendersi agli occhi. Occhi di uno stranissimo colore castano intenso, tendente al rosso, che parevano quasi privi di pupille da tanto erano scuri.
Pan rimase immobile alcuni secondi a fissare a bocca aperta questo Masato Fujiwara.
Infatti, lo stupore che questa notizia aveva suscitato in lei era grande: nonostante suo nonno fosse molto più debole di lei, Pan sapeva molto bene che, se messo a confronto con uomini normali, egli sarebbe stato comunque in vantaggio. Allora come era possibile che questo Masato lo avesse battuto?
“Che per via dell’età il nonno cominci a perdere colpi…?” si trovò a pensare la ragazza, assorta nei suoi pensieri. Guardò nuovamente in direzione del televisore e rabbrividì incontrando lo sguardo di quegli occhi dal colore così strano…
Dietro di lei, dopo aver sentito il discorso del giornalista, si erano radunati Gohan, Goten, Chichi e Videl, che appariva piuttosto stupita.
-Non credevo che papà potesse prendere così bene una sconfitta…- disse, incredula, dopo aver assistito all’intervista.
-Più che altro è strano… - intervenne Gohan, con aria dubbiosa e sospettosa - tuo padre è pur sempre il campione del mondo e non dovrebbe essere così facile sconfiggerlo…- -Non esagerare - interenne Goten, con aria superiore - Mr Satan non è poi così forte, ed anche per una persona normale ma ben addestrata non deve essere difficile batterlo.-
-Non mi piace per niente quel ragazzo… - disse Chichi, guardandolo storto - ha uno sguardo stano e, per di più, porta i capelli troppo lunghi!-
Tutti si voltarono verso di lei e, dopo un po’, scoppiarono a ridere, dimenticando presto Masato Fujiwara.

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


Capitolo V
L’atmosfera che regnava nella palestra di Mr Satan era frizzante, tanto che Pan faticò a riconoscere il luogo che, fino a pochi mesi prima, migliaia di giovani, silenziosi e seriosi, bramavano di frequentare per la sua nomea. Ora, quegli stessi giovani, invece di attendere in religioso silenzio l’inizio delle lezioni, parlavano vivacemente fra di loro del fenomenale incontro che, qualche giorno prima, aveva visto affrontarsi Mr Satan e Masato Fujiwara, enfatizzando fino all’inverosimile i particolari di quell’ormai epico scontro.
La ragazza avanzò a passo fermo attraverso i familiari corridoi della palestra e, durante il percorso, alcuni frammenti di conversazioni giunsero alle sue orecchie.
-… questo Masato è stato fenomenale! Mai visto uno scontro così!…-
-Hai visto quando Mr Satan gli ha tirato quel calcio che lui ha parato con una mano sola?! Strepitoso!-
-… all’inizio sembrava in difficoltà, ma poi… non so neanche come abbia fatto a recuperare lo svantaggio iniziale, ma è stato fantastico!-
-Non è mai stato in svantaggio! Era tutta una tecnica per studiare l’avversario! Mr Satan sarà pure l’eroe che ha sconfitto Cell, ma comincia ad avere la sua età…-
-E la fine dell’incontro?! Quella è stata la parte migliore!-
-Già: quando gli ha tirato quel pugno potentissimo e lo ha steso!-
-Chissà, magari sceglierà Masato come erede della palestra!-
-Lo credo anche io…-
Pan stava per girare l’angolo quando suo nonno apparve davanti a lei improvvisamente, tanto che la ragazza non avrebbe saputo dire da dove fosse arrivato.
-Pan! – esordì vedendola – Sono felicissimo di vederti, devo assolutamente presentarti una persona! Seguimi.-
Le parole gli uscirono una dopo l’altra, con l’effetto di una cascata, tanto che Pan non ebbe neppure il tempo di rispondere al saluto o di dire qualunque altra cosa, che già Mr Satan l’aveva afferrata per un polso, trascinandosela dietro senza che lei facesse resistenza.
Suo nonno appariva molto eccitato per qualcosa o, probabilmente, per qualcuno; e Pan credeva di aver capito cosa lo animasse così tanto.
“Dev’essere ancora per via di quel Masato Fujiwara che si comporta così. Sono propria curiosa di vedere cos’ha di tanto speciale…”
In realtà i motivi che l’avevano spinta fino a Satan City erano altri, ma a questo punto la curiosità aveva preso il sopravvento su ogni preoccupazione o cattivo pensiero.
Lei e suo nonno stavano percorrendo da alcuni secondi un lungo corridoio quando Mr Satan si voltò verso di lei per domandarle: -Ora che mi ci fai pensare, non dovevi essere a casa di Chichi?-
Questa domanda fece ripiombare bruscamente Pan nel vortice dei suoi pensieri amari, perciò rispose in modo piuttosto brusco: -Infatti, ma me ne sono andata. Non potevo rimanere un minuto di più con papà: non lo sopporto più!- Il terrore si dipinse sul volto di Mr Satan dopo aver udito quell’affermazione della nipote: era pur vero che Pan era ormai maggiorenne, e che era perciò responsabile di sé stessa e delle sue azioni, ma era altrettanto vero che i suoi genitori si sarebbero preoccupati moltissimo non trovandola più.
Pur conoscendo già la risposta, il campione del mondo azzardò questa timida domanda: -Hai detto a qualcuno che venivi qui?-
-No.- rispose duramente.
Come immaginava: né sua figlia né suo genero sapevano nulla circa questa uscita di Pan ed ora lui non sapeva più cosa fare. Da un lato avrebbe voluto chiamare Videl per avvertirla che Pan era da lui, ma dall’altro temeva la reazione della nipote.
Vedendo che suo nonno non dava segno di voler proseguire il cammino, per far capire che non voleva sprecare altre parole su quell’argomento, la ragazza riprese a camminare lungo il corridoio, costringendo Mr Satan a seguirla.
Egli però rimase soprappensiero per parecchio tempo, indeciso sul da farsi. Da anni si portava dentro questo rancore nei confronti del consuocero ed ora aveva finalmente l’occasione di prendersi la rivincita.
Mr Satan infatti si ricordava fin troppo bene gli sguardi adoranti che Pan lanciava a Goku e quanto si divertisse con il nonno paterno. Invece, quando Gohan e Videl la portavano a trovare lui, l’atteggiamento della bambina era molto diverso, e questo gli faceva molto male.
Perché la nipote preferiva Goku a lui?
Perché si divertiva di più con lui?
Perché preferiva andare a trovare lui?
Erano tutte domande che molte volte si era posto, ma alle quali non aveva saputo trovare risposta: sapeva solo che era così e che doveva farsene una ragione.
Quando Goku se ne era andato, aveva riacquistato speranza e fiducia in sé stesso e si era molto impegnato per prendere il posto del consuocero nel cuore della nipotina, ma non ci era riuscito: Pan per parecchi anni aveva continuato ad essere triste e a rimpiangere Goku e, infine, crescendo, si era distaccata tanto da lui quanto dal nonno materno, poiché i suoi interessi erano altri.
Ma ora che sua nipote era in difficoltà e sembrava avercela col mondo, lui poteva approfittarne per sentirsi, almeno una volta nella sua vita, il nonno preferito che mai era stato. Decise perciò di non avvertire la figlia della fuga di Pan, ma di appoggiare la nipote in questa occasione.
Presa questa decisione, Mr Satan la seguì più di buon grado e, quando furono giunti davanti alla porta scorrevole di una delle numerose stanze dove si tenevano le lezioni di arti marziali, la aprì e introdusse la nipote nella stanza, dove la ragazza non fu sorpresa di trovare Masato Fujiwara, in piedi davanti a un punch ball, ricoperto di sudore, poiché aveva appena smesso di allenarsi.
-Pan, vorrei presentarti Masato Fujiwara. Avrai sentito parlare di lui, immagino: infatti questo ragazzo è stato in grado di battermi quando mai nessuno, prima di lui, ci era riuscito!-
Vedendo l’occhiata eloquente che Pan gli aveva lanciato dopo questa ultima affermazione, Mr Satan si schiarì la voce, leggermente imbarazzato, per poi riprendere: -L’ho invitato qui offrendogli la possibilità di allenarsi per migliorare la sua tecnica in modo che un giorno, chissà… possa ereditare la palestra, dato che né tua madre, né tuo padre, né tuo zio vogliono saperne…-
Ma Pan non lo stava più ascoltando: la sua attenzione era stata catturata dagli occhi di Masato. Già vederli in televisione l’aveva fatta rabbrividire, ma la sensazione di inquietudine che riuscivano a trasmettere dal vivo era doppiamente angosciante.
A vederlo così sembrava un ragazzo come tanti, i cui muscoli davano un’apparente sensazione di forza, ma qualcosa diceva a Pan di non fidarsi delle apparenze. Tutto di quel Masato Fujiwara la intrigava ed avrebbe tanto voluto sapere che tipo di combattente fosse.
-Piacere di conoscerti.- il ragazzo avanzò verso di lei e le porse la mano affinché lei la stringesse, cosa che si affrettò a fare, piuttosto imbarazzata, poiché solo ora si era resa conto di averlo fissato a lungo con insistenza.
Quando le loro mani furono una nell’altra Pan provò una strana sensazione, simile a quella provocata dal fluire di un liquido caldo sulla pelle, quasi un’energia particolare, mai avvertita prima, le stesse entrando nel corpo attraverso quel contatto. Non appena le loro mani si separarono, i due si guardarono intensamente negli occhi per lungo tempo.
-Beh, io me ne vado: ho moltissime cose da fare, ma ci tenevo a farti conoscere meglio Masato, Pan.- disse Mr Satan, e, con un sorriso soddisfatto sul viso, se ne andò, lasciando soli i due giovani.
Fu la ragazza a rompere il silenzio: -E così tu saresti il famoso Masato Fujiwara: colui che ha battuto il grande Mr Satan, eh? Beh, un’impresa notevole.- aggiunse poi, con un sorriso ironico.
Lui ascoltò le sue parole senza battere ciglio né proferir parola, obbligando Pan a proseguire il suo discorso: -Sarei però curiosa di vedere se saresti in grado di battere anche me.-
Si posizionò davanti a lui, che la fissava dall’alto della sua statura, mani sui fianchi ed un sensuale sorriso di sfida dipinto sul volto, in attesa di una sua risposta a questa provocazione: era infatti troppo curiosa di scoprire qualcosa di più circa questo misteriosi ragazzo che, dopo essere saltato fuori praticamente dal nulla, aveva sconfitto suo nonno.
Dopo alcuni secondi passati a fissarsi intensamente, quasi l’uno volesse leggere i pensieri dell’altro, Masato annuì leggermente per poi dire, con voce profonda e suadente: -D’accordo, ti accontenterò, poiché anche io sono curioso di vedere se sei veramente così forte come ti dipingono tutti quanti qui .-
Questa risposta illuminò il viso di Pan di un sorriso di soddisfazione.
-Perfetto! Allora cominciamo subito.-
Si posizionarono l’uno di fronte all’altra, senza mai perdersi di vista.
Pan, dopo essersi scostata una lunga ciocca di capelli neri dal viso, incrociò le braccia sul petto e lanciò, all’indirizzo del suo avversario, un’occhiata sprezzante che lui sostenne senza problemi. Incontrare gli occhi di Masato le provocò un brivido.
Si inchinarono, come disponevano le tradizioni delle arti marziali, ma queste formalità durarono bel poco. Immediatamente Pan, si lanciò sul giovane, cercando di colpirlo violentemente al viso con un pugno. Masato lo parò facilmente con una sola mano, sorprendendo la sua avversaria.
“Come avrà fatto ad evitarlo?”
Lei si riprese subito da questo momento di stupore e sorrise: -Ero sicura che non fossi un ragazzo qualunque…-
Si liberò agilmente dalla presa e lo attaccò nuovamente, attentando alle sue gambe in scivolata, ma Masato schivò il colpo con sorprendente prontezza.
-Avanti, puoi fare di meglio!-
-Lo so bene: non ho neanche cominciato.-
Pan lo colpì con un calcio all'altezza del petto, il ragazzo schivò anche questo e, in compenso, colpì la sua avversaria con un movimento sorprendentemente veloce della mano, mandandola lunga distesa sul tappetino di lotta.
-Non male…-
“Nessuno era mai riuscito a mandarmi a terra…” Pan si rialzò in fretta e contrattaccò. Anche questo suo movimento fu bloccato da uno altrettanto abile del suo avversario.
-Sei molto bravo: sono sorpresa.- scherzò lei, respirando affannosamente.
-Grazie. Anche tu.- rispose lui, mettendosi in posizione d’attacco.
Questa volta fu Masato ad agire per primo, attaccandola con sorprendenti velocità e precisione.
“E’ impossibile! Come fa ad essere così veloce?!”
-Tutto qui quello che sai fare?! – domandò lei, parando tutti i suoi attacchi, seppure, a volte, con una certa difficoltà – Mi deludi: pensavo potessi fare di meglio!-
-Davvero? Eppure mi pare che tu sia in difficoltà.- ribatté lui, con un sorriso sarcastico sul viso imperlato di sudore.
Il combattimento fu lungo ed affascinante, poiché la bravura di entrambi i combattenti era tale da renderlo più simile ad una danza.
Pan, inoltre, più lottava, più si sentiva attirata da quel ragazzo: i suoi movimenti erano precisi ed aggraziati, il suo corpo, quando si muoveva, era una poesia ed i suoi occhi di un castano così simile al rosso, ora, invece di turbarla, l’attraevano.
I due atterrarono l’uno dinnanzi all’altra. Ansimavano entrambi, senza mai perdere di vista l’avversario.
-Già stanca?-
-Io?! Qui mi pare sia tu quello stanco.-
Lo scontro riprese con maggior vigore, nonostante la stanchezza di entrambi i contendenti.
-Sei lenta, mia cara.-
-Questo non ti permetterà ugualmente di vincere!-
Un sorrisino derisorio e provocatorio era dipinto sul volto del giovane, che sembrava convinto di essere in vantaggio.
-Mi aspettavo di più dalla nipote di Mr Satan!-
-Sta’ zitto!- lo aggredì lei, tentando di colpirlo con un rapido movimento della mano che lui però schivò, sebbene con qualche difficoltà.
Lo scontro continuò ancora, come una sensuale danza di corpi, fra le battute di Masato e la divertita irritazione di Pan. E fu proprio un misto di irritazione e di orgoglio della ragazza a porre fine all’incontro. Nonostante la profonda ammirazione che provava per quell’avversario così diverso dagli altri, mai avrebbe permesso ad un qualunque normale ragazzo di battere lei, la figlia di un saiyan. Mentre questi pensieri si facevano strada nella sua mente, il suo corpo reagiva loro in modo istintivo e immediato. Pan si piegò leggermente in avanti ed incrociò lo sguardo del suo avversario per una frazione di secondo, ma abbassò subito gli occhi, per paura di perdere la concentrazione. Cominciò a muoversi sempre più velocemente, guidata dall’irritazione e dall’orgoglio ferito. Il braccio della ragazza si piegò di scatto e, quando fu giunta abbastanza vicino al suo avversario, si abbatté su di lui con irruenza.
Il colpo assestato al suo avversario fu più potente e preciso dei precedenti. Senza quasi accorgersene, Pan si era avventata sul suo antagonista con una velocità maggiore rispetto a prima e lo aveva colpito con una potente gomitata nel costato.
Il giovane, colto di sorpresa da questo colpo, non fece in tempo a scansarsi per evitarlo. Il suo bel volto si contrasse in un’espressione di dolore prima che l’attacco sortisse il suo effetto. La violenza di quella gomitata lo mandò al tappeto, facendolo volare alcuni metri più in là rispetto alla sua avversaria.
-Gran bella lotta. – le disse Masato, rialzandosi – Allora era vero quello che dicono su di te: sei davvero molto abile.-
-Grazie.- arrossì lei, lusingata da quelle parole.
Stanca, si sedette piuttosto scompostamente sulla panca di legno per riprendere fiato, poi, afferrato un asciugamano si diresse verso le docce: -Io vado a farmi una doccia.- lo informò.
-Anche io dovrei, ma dopo, se ti va, posso offriti qualcosa per ringraziarti della splendida gara.- le propose gentilmente.
-Okay, grazie.- sorrise lei, prima di allontanarsi.
Quando ebbe finito di lavarsi, si vestì in fretta ed uscì dalla stanza e trovò Masato ad aspettarla.
-Allora, - esordì lui – cosa ti va? Un’aranciata?-
-Sì, grazie mille: sei davvero molto gentile.-
Detto questo, i due ragazzi uscirono insieme dalla palestra e cominciarono a percorrere il lungo corridoio, diretti verso il bar.
-Bellissima gara davvero.- esordì lui, guardando davanti a sé, come assorto nei suoi pensieri.
-Ti ringrazio: ma il merito, ovviamente, è anche tuo.- rise lei, girandosi verso di lui ed incrociando lo sguardo dei suoi occhi scuri.
-Sei molto forte. – aggiunse, quasi non avesse sentito ciò che la ragazza aveva detto – Mi chiedo come mai tu non abbia mai preso il posto di Mr Satan come campionessa.- Pan non si aspettava una domanda del genere, ma non si fece problemi nel dare la risposta.
-Sinceramente, non ne ho mai sentito il bisogno. Non mi serviva un titolo per essere sicura di essere una brava guerriera, e poi mio nonno ha sempre tenuto così tanto al suo…- lasciò la frase in sospeso, ma era chiaro che, uno dei motivi principali che le avevano sempre impedito di diventare campionessa del mondo, era stato l’attaccamento che suo nonno aveva nei confronti di quella carica.
Dopo aver superato l’ampio corridoio, i due fecero per entrare nel bar quando un suono penetrante ed acuto squarciò l’aria, facendo sbuffare Pan, che si infilò una mano in tasca e ne estrasse il cellulare. Diede un’occhiata al display e l’espressione sul suo viso cambiò repentinamente.
-Al diavolo!- bisbigliò fra i denti, spegnendo il cellulare e rimettendoselo in tasca con una certa violenza. -Qualcuno di sgradito?- domandò Masato, con tono neutro.
-Il mio ragazzo.- rispose brevemente lei, con aria piuttosto seccata, cominciando ad avviarsi.
-Per l’appunto sgradito, o mi sbaglio?-
-Infatti! Non ho la minima intenzione di parlare con lui fino a che non avrà il coraggio di chiedermi scusa di persona! Come al solito si ricorda di me solo quando gli fa comodo…!- lasciò in sospeso questa frase, arrossendo leggermente, e ricominciò a camminare, diretta al bar della palestra.

***
-E così sei venuta ad allenarti nella palestra di tuo nonno per sfuggire a tuo padre, eh? Ti capisco: non è facile convivere con un padre a cui non va bene nulla di quello che fai…-
Pan si stupì ed osservò il suo interlocutore con estremo interesse per alcuni attimi prima di chiedergli spiegazioni.
-Mio padre…anche lui era molto severo. – esordì lui, con tono piatto ed espressione amara – Mi ha praticamente sempre tenuto rinchiuso, sperando, così facendo, di cambiarmi. Ma io mi sono... opposto.- Masato fece una pausa, durante la quale lanciò un’occhiata penetrante ad un’interessatissima Pan, che lo seguiva con il fiato sospeso.
-Combattere contro tuo nonno e riuscire a vincere è stata un’enorme soddisfazione per me, che finalmente riuscivo in qualcosa che amavo. Per questo ho detto che comprendevo il tuo stato d’animo: anche io ho avuto un padre simile al tuo.-
-A dire il vero prima mio padre non era così, anzi: io e lui andavamo molto d’accordo. E’ da qualche tempo che è cambiato, credo sia da quando sto con Trunks.- la ragazza si appoggiò con entrambe le mani al muretto e si diede sostegno buttando la testa all’indietro, offrendo in questo modo i lunghi capelli neri alla fresca brezza. Non sapeva perché, ma da quando erano usciti aveva cominciato a parlare piuttosto apertamente con Masato. La sua voce era per lei rilassante e gradita ed egli sembrava trasmetterle un senso di sicurezza che nessun altro era mai riuscito a darle.
Inoltre, sembrava capirla meglio di chiunque altro. Si intendevano con poche parole, quasi si conoscessero da sempre. Gli sguardi che lui le rivolgeva avevano per lei lo stesso effetto di un abbraccio rassicurante; la sua voce era più distensiva di qualsiasi musica e alla ragazza procurava piacere ascoltarla.
Era giovane, un guerriero anche lui… probabilmente la capiva così bene perché aveva attraversato le sue stesse difficoltà.
Pan e Masato parlarono a lungo dei più svariati argomenti e presto la ragazza cominciò a perdere la cognizione del tempo.
Più i loro sguardi si incontravano, più Pan si smarriva negli occhi del suo interlocutore, rendendosi sempre meno conto di quanto accadeva attorno a lei. Infine dopo averli incrociati ancora una volta, la ragazza interruppe il flusso di parole con uno sbadiglio ed un senso di sonnolenza la avvolse.

Stupida! Lo sai che a lui non importa niente di te, allora perché continui a sperare? Sei soltanto una sciocca…

Una voce bassa, cattiva, sibilante, maligna le rimbombò nella testa.
Pan si guardò attorno, cercando di vedere chi fosse stato a parlare, ma non scorse nessuno: si rese solo conto di essere in un luogo che non aveva mai visto prima.
Tutto attorno a lei era scuro: una fioca luce sembrava illuminare una stanza dalle pareti porpora, ma del tutto priva di mobilia.
La ragazza avrebbe voluto parlare, ma nessuna parola le uscì dalla bocca.

Lo sai che sta con te solo per portarti a letto!
Stupida… e tu cerchi in lui il “vero amore”…


Ancora quella voce. Pan non avrebbe saputo dire da dove provenisse, ma sapeva che essa non faceva altro che dare voce ai suoi pensieri più occulti, quei pensieri che mai aveva osato dire e che, quasi per sbaglio, si era ritrovata a pensare.

“Il vero amore”: roba da bambine.
Favole; favole che le madri raccontano per farti addormentare e tu ancora ci credi?

Una risata ruppe l’aria greve di quel luogo indefinito. Una risata fredda, priva di felicità, solo crudele, mirata a ferire l’animo più in profondità di qualsiasi coltello.

Nessuno ti ama: questa è la verità.
L’amore non esiste.
Esiste solo l’odio, il rancore, la vendetta…
Tutto il resto sono sciocchezze…
Usarti e poi gettarti via quando non servi più: questo per te è amore?
No.


Queste parole avevano risvegliato migliaia di ricordi nella mente di Pan, alcuni dei quali faticava a riconoscere come suoi, tanto a lungo erano rimasti sepolti nei meandri della sua mente.
Aveva dodici anni. Trunks era seduto sotto un albero, e lei lo guardava in silenzio ed uno strano calore le arrossava le guance, facendole battere forte il cuore. Pochi minuti dopo, quel calore era sparito per lasciare spazio al tepore salato di alcune lacrime che le offuscavano la vista. Esse avevano aspettato che Trunks se ne andasse per sgorgare, affogando quel riso falso che le teneva imprigionate.
Aveva diciotto anni. Le sue labbra bruciavano al contatto di quelle di Trunks; lui da parte sua, appariva impreparato, ma non stupito.
Alcuni mesi dopo, si trovava in una buia camera da letto. Dopo essersi tirata un umido lenzuolo fin sopra la spalla destra nuda, girò il capo e posò un leggero bacio sulla fronte di Trunks, per poi addormentarsi abbracciata a lui.

Impedirti di fare ciò che vuoi per farti sottostare alle sue volontà: questo per te è amore?
No.


Aveva quindici anni. Li aveva compiuti quel giorno, che ricordava come il migliore della sua vita.
Per la prima volta era riuscita a parlare apertamente e a lungo con suo padre. Lei lo ammirava e lo amava, ma lo vedeva anche come qualcuno di irraggiungibile. Eppure, parlare con lui era stato così facile, così bello… anche lui, come sua madre, era disposto ad ascoltarla.
Aveva diciotto anni. Tremava di rabbia sotto il freddo sguardo che suo padre le aveva rivolto dopo che lei si era confidata con lui.
Pochi minuti dopo le loro voci squarciavano l’aria con parole che mai un genitore vorrebbe sentirsi rivolgere dalla figlia e viceversa.
Seguì una breve pausa, che però a Pan sembrò durare secoli. Infine la voce maligna riprese, con rinnovata cattiveria.

Abbandonarti a soli quattro anni di età per allenare un perfetto sconosciuto: questo per te è amore?
No.


Tu lo amavi molto, ma lui ti ha abbandonato.
Vi ha abbandonato, e sai perché?
Perché non gli importa nulla di voi, ecco la verità.
E a te non deve importare più niente di lui, né di nessun altro; devi anzi vendicarti di tutti coloro che ti hanno fatto credere di amarti per poi tradire la tua fiducia.

Aveva quattro anni. Suo nonno Goku le dava il suo gelato per sostituire quello che le era caduto dopo aver sbattuto contro un altro bambino.
Poche ore dopo, suo nonno la salutava con la mano e si allontanava con un ragazzo di cui non riusciva bene a distinguere il volto, ma che sentiva di odiare con tutte le sue forze.

Mi seguirai, dunque?

Domandò la perfida voce, con in tono solenne.

Chi è simile a me?
Chi può combattere contro di me?
Chi può rifiutare una mia offerta?
Ciò che mi è stato dato, io lo do a chi voglio.
Vuoi la vendetta?
Io ti permetterò di ottenerla, a patto che tu mi segua.
E mi seguirai.


La voce si spense e tutto si fece buio.
Pan non riusciva a muovere un solo muscolo, ma non le importava: difatti sia la sua mente che il suo corpo erano concentrati e tesi per riuscire a formulare una semplice, monosillabica parola, che, alla fine, parve uscire da sola dalle labbra della ragazza, prima che questa cadesse in un sonno profondo come la morte.
-Sì.-
-Molto bene, mia giovane guerriera: grazie a te potrò finalmente avere la mia vittoria.-
Gli scuri occhi di Masato si posarono su Pan e subito il corpo della ragazza cominciò si sollevò lentamente da terra, le braccia che dondolavano inerti nell’aria così come la testa.
Anche il giovane uomo si alzò in volo e seguì il corpo inerme di Pan, che stava volando verso occidente.

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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI
Chilometri e chilometri di nuda terra color argilla si estendevano a perdita d’occhio in linea retta per poi innalzarsi improvvisamente fino a formare un’alta catena montuosa arida e rocciosa.
Qui Masato decise di fermarsi.
Atterrò dolcemente sulla secca superficie, sollevando parecchi nuvoli di polvere grigia e soffocante. Il corpo privo di sensi di Pan atterrò poco distante, sollevando altre nubi polverose all’impatto col suolo.
Dopo essersi guardato attorno per parecchi secondi, Masato ghignò soddisfatto. Avvicinatosi a Pan la osservò a lungo e, una volta distolto da lei lo sguardo, lo rivolse al cielo.
Dopo averlo osservato per alcuni istanti, levò in alto le braccia e liberò un’immensa forza spirituale, sollevando un’autentica tempesta di polvere che fece alzare anche numerosi sassi: voleva che la percepissero, voleva essere trovato.

***
La porta della camera da letto si aprì di scatto, facendo sobbalzare Videl, ed entrò Gohan, serio in volto. La donna finì di vestirsi in fretta per poi domandare: -L’hai trovata?-
-No.-
Videl si lasciò cadere sul letto, pallida e preoccupata, i lunghi capelli neri scomposti. Dopo aver nascosto il viso fra le mani per alcuni secondi, si rivolse con aria minacciosa al marito, gli occhi lucidi di pianto: -Come puoi essere così calmo?! Nostra figlia è sparita e tu non dici niente; non fai niente!-
-Farsi prendere dal panico non risolve nulla.- ribatté lui, dandole le spalle.
Lo fissò incredula, con la bocca spalancata, per parecchi secondi: come faceva, in ogni situazione, ad essere sempre così maledettamente razionale?!
-E’ tua figlia, Gohan! – lo apostrofò quando si fu ripresa – Qualche anno fa avresti fatto pazzie per lei e adesso che è scomparsa tu non fai niente!- le lacrime cominciarono a sgorgare dagli occhi cerulei di Videl, che faticava ogni giorno di più a riconoscere nell’uomo freddo e cinico con cui viveva il ragazzo che aveva amato e l’uomo che aveva sposato.
-E cosa dovrei fare, secondo te?!- la aggredì lui, visibilmente irritato.
-Beh, magari mostrarti un po’ più dispiaciuto, o quanto meno fingere di esserlo! – gli urlò contro la moglie, sempre più incredula ed arrabbiata – E’ colpa tua se tua figlia se ne è andata, quindi ora devi essere tu a cercarla e a farla ritornare a casa e le dovrai anche chiedere scusa per il modo orribile in cui l’hai trattata ultimamente!-
A questa frase Gohan si voltò di scatto, visibilmente adirato, tanto che Videl si spaventò di fronte a tanta ira che gli trasfigurava il volto, così simile a quella rabbia che era stata la rovina dei nemici del saiyan. Stava per rispondere alla moglie ma si fermò, folgorato dall’aura che aveva percepito.
Era un’aura strana, diversa da tutte quelle che aveva sentito fino ad ora: le sue vibrazioni erano potenti e si capiva che probabilmente provenivano da un luogo molto lontano.
Inoltre, la sensazione che questa aura suscitava era molto simile a quella che si doveva provare in una fornace o in mezzo a fiamme ardenti: non era un’aura benigna. Gohan si precipitò fuori dalla stanza, chiamando a gran voce suo fratello.
Sentimenti contrastanti si erano risvegliati nel suo cuore: da una parte lo attanagliava il timore, dall’altra la necessità.
Era scosso da questo possibile nuovo pericolo, poiché è facile abituarsi alla pace, ma quando giunge il momento di allontanarsi da essa, il distacco non è semplice. E questo stupore recava in sé una parte di timore.
Non era un timore vile, ma un timore razionale, dettato soprattutto da due fattori: l’età e la responsabilità. Ormai erano lontani i tempi della sua giovinezza, quando il desiderio di combattere, sebbene a volte non fosse strettamente necessario, lo animava: non era più il ragazzino che, con l’ardore della rabbia, aveva sconfitto Cell, né il ragazzo che aveva lottato contro Majin-Bu. Ora era un uomo di quarant’anni, con una moglie, una figlia, una madre… l’avventura ed il pericolo, se messi davanti a tutti questi affetti, avevano un sapore molto diverso, più amaro. Nulla, in altre circostanze, lo avrebbe invogliato a combattere, ma in questa particolare situazione c’era in palio qualcosa di troppo importante per essere ignorato… Goten comparve subito davanti a lui, scuro in volto.
-L’hai sentita anche tu?- domandò il maggiore con tono greve; l’altro annuì in silenzio, mentre Chichi e Michiyo arrivavano di corsa.
-L’avete trovata?- domandò Chichi, pallida in volto e vestita solo a metà.
-No, - rispose Gohan, sempre più serio – ma purtroppo credo di sapere dove sia…-
-Intendi dire – intervenne il fratello – che, chiunque sia colui che sprigiona questa energia, ha incontrato Pan?- -O forse è stata lei a cercarlo… – completò Gohan, poi, con un sorriso amaro, aggiunse – Degna nipote di suo nonno.-
-Gohan…- la voce di Videl ruppe il silenzio che si era creato. Era sottile, flebile, incerta, impaurita, tanto che Gohan fu costretto a girarsi verso la moglie, che guardò con estrema freddezza per via dello screzio di poco prima.
-Gohan, cosa succede?- la voce le era uscita ferma al momento di porre quella domanda, ma angosciata dal timore della risposta.
Gohan, dopo aver fissato a lungo la moglie negli occhi, distolse i suoi da quello sguardo azzurro e rispose, in modo piuttosto freddo: -Ho avvertito un’aura di straordinaria potenza provenire da un luogo molto lontano: Pan potrebbe trovarsi lì…-
Il volto di Videl sbiancò e Chichi quasi svenne fra le braccia di Michiyo, atterrita dall’idea che un nuovo nemico fosse venuto a porre termine a quella pace che durava ormai da più di ventiquattro anni. Ma la cosa che la spaventava di più era l’idea che, come più volte queste battaglie avevano allontanato da lei suo marito, questa le portasse via i suoi figli, lasciandola di nuovo, ma questa volta definitivamente, sola.
Anche Videl temeva per la vita di suo marito e fu per questo che, quando Gohan fece per allontanarsi insieme al fratello, gli posò una mano sul braccio dicendo: -Vengo con te.-
Questa affermazione stupì tutti, in particolar modo Gohan che, per la prima volta da quando avevano litigato, guardò la moglie con preoccupazione e non con lo sguardo freddo e distante precedentemente adottato.
-No, potrebbe essere troppo pericoloso. L’aura sprigionata da costui, chiunque o qualunque cosa sia, è molto potente e non voglio che tu corra inutili rischi: resta qui, è meglio.-
-Se nostra figlia è davvero dove tu credi che sia, è in pericolo ed io voglio andare a salvarla.- la determinazione con cui pronunciò questa frase era tale che neppure Chichi, le cui labbra si erano già schiuse per parlare, riuscì a trovare un argomento da opporle, rimase perciò muta.
Guardando la moglie negli occhi, Gohan vi scorse un ardore ed una convinzione degni di quella Videl che lo aveva ricattato affinché le insegnasse a volare, di quella Videl che, nonostante i duri colpi inflittile da Spopovich, non si era arresa, rischiando quasi di morire pur di vincere, di quella Videl della quale lui si era innamorato.
Quasi intenerito, Gohan le sorrise: sapeva che, qualunque cosa avesse detto, non sarebbe servita per distoglierla dai suoi propositi, perciò prese le mani della moglie fra le sue e, continuando a sorriderle, le disse che, se proprio ci teneva, poteva venire anche lei.
Un sorriso illuminò il volto della donna, che si preparò poi per seguire il marito e il cognato, legandosi i lunghi capelli neri che, durante il volo, sapeva, le avrebbero dato fastidio.
Dopo aver assistito a tutta questa scena in silenzio, Michiyo fece un passo verso Goten e lo guardò negli occhi. Uno sguardo intenso, penetrante quello di quegli occhi castani, più eloquente di qualsiasi parola.
Mai prima di allora Michiyo si era trovata nel bel mezzo del pericolo, ma aveva sentito così tante volte i racconti delle imprese eroiche compiute dai componenti di quella straordinaria famiglia della quale era entrata a far parte che ora, sebbene la paura le avesse accelerato i battiti del cuore, le sembrava quasi di aver già vissuto quel momento, quella tensione, quello sgomento.
Goten prese le mani della sua donna nelle sue, senza però dire nulla; forse perché non trovava nulla da dire.
Lei avrebbe voluto trattenerlo, impedirgli di andare, ma le sembrava troppo egoistico, perciò pensò a qualcos’altro da dire. Era difficile trovare le parole giuste in una situazione del genere, poiché è nei momenti di massima tensione che le parole acquistano un peso maggiore di quello che normalmente hanno. Ogni parola potrebbe essere l’ultima, perciò era importante non dare adito a fraintendimenti.
-Torna da me.- fu tutto ciò che le uscì dalle labbra; non avrebbe saputo cos’altro dire, poiché quello era il suo unico desiderio.
Goten annuì: -Te lo prometto.- le disse, prima di posarle un leggero bacio sulle labbra ed allontanarsi.
Gohan, Goten e Videl salutarono Chichi prima di uscire e spiccare il volo verso occidente.
-Dove va Goten, mamma?- la voce assonnata di Emi raggiunse le orecchie di Michiyo, che cercò di nascondere le lacrime che avevano cominciato a sgorgarle, copiose, dagli occhi, prima di voltarsi verso la figlia e dirle: -Tornerà presto, tesoro: non ti preoccupare.- ma in cuor suo qualcosa le diceva che avrebbe potuto anche non essere così.
Il pianto del piccolo Matsuo giunse fino a lei dalla stanza accanto, portando con sé pensieri funesti: Goten avrebbe lasciato un orfano, facendo subire a suo figlio lo stesso destino terribile che aveva patito lui; più volte avevano parlato della morte di suo padre durante la battaglia contro Cell e tutte le volte Michiyo aveva notato con dolore quanta tristezza ci fosse nelle parole del suo uomo, quanto rimpianto per suo padre, che aveva avuto modo di conoscere così poco…
Le lacrime ripresero a scorrere sulle sue guance e, prendendo Emi per mano, si mosse verso la stanza di Matsuo, dove, poco dopo, la raggiunse anche Chichi.
-Cosa stai facendo?- domandò a Michiyo, vedendola con in braccio il piccolo ed in mano il telefono.
-Chiamo una baby-sitter.- fu la semplice risposta. Ora una strana determinazione ardeva nei suoi occhi castani al posto delle lacrime, tanto che Chichi ne fu spaventata e le chiese il perché di quella decisione.
-Voglio raggiungere Goten: voglio essere con lui.-
-Io non ho bisogno della baby-sitter, mamma: sono grande ormai!- si lagnò Emi, tirando la maglia della madre in segno di protesta.
-Baderà a tuo fratello.- tagliò corto lei, mentre aspettava che qualcuno rispondesse alla sua telefonata. -Posso badare io a Matsuo.- propose con orgoglio la piccola, ma la madre non le diede questa soddisfazione. Dopo aver spiegato alla ragazza che aveva accettato l’incarico il complicato percorso per giungere alla casa, mise giù e si voltò verso Chichi, che la guardava ancora incredula, ma che non osava parlare in presenza della bambina.
-Emi, tesoro, perché non vai in cucina a fare colazione?- propose in un gentile tentativo per allontanarla dalla stanza in modo da poter parlare liberamente con Michiyo.
-Va bene.- rispose lei, ancora stizzita per via della poca considerazione della madre, e si allontanò strascinando i piedi.
-Ma sei impazzita? E’ molto pericoloso!- disse alla giovane donna dopo che Emi se ne fu andata.
-Può darsi, ma io voglio andare lo stesso! … Lei non è preoccupata?- le domandò poi con tono molto serio. Ancora faticava a capire certi atteggiamenti di quella famiglia così strana e poteva anche darsi che Chichi, dopo tanti anni passati in mezzo a quegli individui straordinari che erano i saiyan, si fosse abituata a situazioni di quel genere e non si preoccupasse più tanto.
-Certo che lo sono, ma…-
-E non ha come la sensazione che, se Gohan, Videl e Goten dovessero… - la parola le morì sulle labbra, poiché non trovò la forza né il coraggio per pronunciarla, quindi abbassò lo sguardo e ci rinunciò, riponendo fiducia nell’interpretazione della sua interlocutrice - …insomma… non avrebbe come il rimpianto di non aver detto loro tutto ciò che avrebbe voluto?- non sapeva in che altro modo spiegare questa pesantezza che le attanagliava lo stomaco e sperava vivamente che Chichi fosse riuscita ad comprendere fino in fondo questo suo punto di vista.
Michiyo, se Goten fosse morto in questa impresa, sarebbe impazzita per il dolore non solo per la mancanza dell’uomo che amava, ma anche per via del rimpianto di non aver potuto trascorrere la vita con lui. Infatti già adesso, dentro di lei, cominciavano a pungere come spilli e a pesare come massi dettagli che, fino al giorno prima non avrebbe faticato a definire insignificanti. Ogni litigio, ogni parola non detta, ogni parola di troppo le risultava odiosa e, se avesse potuto tornare indietro, era sicura, avrebbe cambiato le cose.
La sera prima, quando si erano coricati, non aveva voluto fare l’amore con lui perché, si ricordava bene quelle parole, “era stanca”; in quel momento, perfino un inezia del genere le pesava sulla coscienza e sperava che Chichi, in qualità di moglie e madre di tre saiyan costantemente in pericolo di vita, riuscisse a capire questo suo stato d’animo. Posò perciò gli occhi su di lei, in attesa di una risposta, che le arrivò, prima ancora che per mezzo delle parole, attraverso lo sguardo della sua interlocutrice: da esso si capiva che anche lei, almeno una volta nella vita, aveva provato quella sua stessa sensazione e che perciò la capiva, e le parole che pronunciò poco dopo lo confermarono: -Sì, avrei questo rimpianto come l’ho avuto in passato.- fece una pausa, durante la quale si fermò a riflettere.
Alla fine sollevò lo sguardo su Michiyo, che poté scorgervi una grandissima determinazione, e disse, con uno strano sorriso sulle labbra: -Andiamo.-

***
Le due donne, con un sorriso di intesa, non appena fu arrivata la baby-sitter, uscirono dalla casa, presero la macchina volante con la quale erano arrivati Michiyo, Goten e i figli e decollarono, dirigendosi verso occidente.

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