The sound of Love

di mizuriko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Il corpo esile giaceva a terra, apparentemente privo di vita, rivoli di sangue scendevano lentamente dal collo , scivolavano sulle spalle per cadere poi con un suono raccapricciante nel viscoso lago porpora. Il respiro era irregolare e si muoveva con inquietanti crisi epilettiche, i nervi erano tesi e le lacrime scivolavano con disperazione giù da quegli occhi neri come il carbone. I capelli biondi come l’oro si erano macchiati di quel liquido così impuro, avevano preso una sfumatura così innaturale. Raph guardava immobile quel corpo magro che si spegneva a pochi passi da lui, fece cadere i Sai a terra e un passo alla volta la raggiunse. Le ginocchia tremavano e con un tonfo sordo gli si inginocchiò accanto.
-No … -
Le prese la testa fra le mani e si dondolò quasi preso da una strana danza, il cuore gli martellava il petto e non poteva fare a meno di stringere quel corpo fragile tra le braccia.
-No!-
Il suo urlo squarciò il silenzio della stanza. I fratelli lo guardavano pietrificati, nessuno abbandonava la sua postazione, nessuno fece  un passo avanti. Nessuno poteva immaginare quello che sarebbe accaduto.
-Non puoi lasciarmi! Respira … ti prego … - disse flebilmente.
Il suo corpo era di un caldo febbrile e le sue braccia stringevano sempre più forte su cadavere. Tutta la sua vita, la sua felicità, gli passò davanti lasciando dietro di sé soltanto una grossa voragine, una landa desolata e devastata …
 
*Flashback*
I piedi di Savannah toccavano a malapena l’acqua, era veramente veloce, dopotutto chi non lo è quando è in ritardo? New York è una giungla, una giungla che diventa sempre più affollata durante i giorni di pioggia.
Le gocce scendevano copiose in una pioggia fitta che sembrava non avere fine.
-Toglietevi di mezzo!- urlò la giovane ragazza prima di travolgere due ignari passanti.
Le porte dell’Università erano ancora aperte, per fortuna. Salì la grande scalinata e entrò nell’aula a mezza luna, il professore di psicologia non era ancora entrato, aveva il tempo di prendere fiato. Si sedette accanto ad una giovane ragazza dai capelli neri, pelle chiara e occhi costantemente truccati di nero.
-Buongiorno, anche oggi in ritardo?- disse la bruna.
-Non ne voglio parlare … -
-Sav, è la terza volta in una settimana-
-Karai … non sei mia madre!-
-Va bene, va bene, come siamo suscettibili-
In quello stesso istante entrò in classe il professore, un uomo sulla cinquantina, capelli brizzolati, molto attraente per la sua età. Portava sempre con sé una ventiquattro ore marrone bruciato che posò sulla cattedra. Con gli occhi azzurri scrutò attentamente la classe.
-Buongiorno a tutti- disse.
-Buongiorno Mr. Gold- risposero in coro.
-Bene, vi vedo molto svegli questa mattina, prendete la teoria dei sogni di Freud, pagina 567-
 
***
Savannah uscì dall’ascensore del suo condominio, appartamento due del settimo piano di un delizioso edificio poco lontano da Central Park. Entrò in casa, sbatté la pesante porta d’entrata e lanciò la borsa sul bancone della cucina. L’appartamento era un po’ troppo grande per una persona sola, una cucina e un salotto open space, un bagno, una sala hobby e una camera da letto molto spaziosa, senza dimenticare l’enorme balcone fuori la vetrata del salotto. Savannah si guardò attentamente allo specchio, cercava di sistemare i lunghi capelli biondo cenere, completamente fradici.
-Che mostro … - disse legando la chioma in una coda alta.
Si avvicinò a grandi passi al pianoforte a coda che si trovava proprio di fronte alla vetrata, ne accarezzò la forma e fece scorrere le dita sopra i tasti, si sedette e cominciò a suonare la scala musicale.
-Do , re , mi , fa … - canticchiava a bassa voce.
Si accomodò e iniziò a suonare “L’orologio degli dei” di Giovanni Allevi. L’aveva sentita una sola volta e se ne era innamorata. Le sue dita scivolavano lente e esperte, ora sui tasti bianchi, ora su quelli neri.  La melodia riempiva tutta la stanza, una cosa che aveva notato era che le finestre della vetrata erano sempre aperte, non sapeva bene perché lo faceva, sentiva di dover condividere con qualcuno quel momento. A volte le sembrava di essere osservata, era diventata talmente paranoica che una volta aveva giurato di aver visto qualcuno sul suo balcone … naturalmente aveva dato la colpa alla stanchezza procuratale dagli studi.
Ma sul tetto accanto, qualcuno c’era.  Non era proprio umano, si nascondeva nella notte. La pelle era verde e gli occhi erano coperti da una bandana rossa. Ogni volta che litigava con i suoi fratelli si ritrovava a correre sopra i tetti, senza una meta, eppure … un giorno la meta l’aveva trovata eccome. Aveva sentito questa splendida musica provenire da uno di quei palazzi e si era avvicinato per vedere chi fosse ed era rimasto fulminato. Un’esile ragazza dalla pelle candida e i capelli biondi accarezzava con estrema dolcezza quei tasti. Da allora, tutte le sere, si sedeva sul tetto del palazzo di fronte e la ascoltava per ore. Una volta era addirittura salito sulla balconata.
“Voglio solo vederla più da vicino …” aveva pensato. Solamente che la ragazza si era accorta della sua presenza e subito smise di suonare.
-C’è qualcuno?- disse spaventata.
Si maledisse, aveva bloccato quell’inno alla vita. Sì, perché la musica di quella giovane ragazza le ricordava quanto amasse la sua famiglia e quanto amasse vivere.
E ora si ritrovava nuovamente seduto ad ascoltarla, senza annoiarsi, semplicemente sognando a ritmo di musica. “L’orologio degli dei” … amava quella melodia, lo faceva pian piano salire in paradiso. Voleva avvicinarsi a quell’umana, voleva rompere gli schemi … forse gli piaceva quella composizione perché gli ricordava la sua situazione, lui era un peccatore e lei era una dea. Un peccatore non può raggiungere una dea, sarebbe accusato di tracotanza e sarebbe punito per la sua passione carnale nei confronti di una creatura così fuori dalla sua portata.
Savannah smise di suonare e lui si destò dai suoi pensieri, la vide avvicinarsi alla finestra.
“Chissà perché la lascia sempre aperta …” pensò il rosso. La bionda stava osservando nella sua direzione ma non poteva vederlo, era nascosto troppo bene. Lui poteva vedere lei, ma lei non poteva vedere lui. La vide appoggiare qualcosa sul pavimento del terrazzo per poi rientrare, chiudere la finestra e coprire il tutto con le tende. Quando fu sicuro che fosse andata a dormire, con un paio di salti arrivò sulla terrazza. A terra c’era un bigliettino con una penna. Il mutante lo prese e lo aprì.
“Ciao, io sono Savannah, qual è il tuo nome?”
Il suo cuore perse un battito, come aveva fatto a scoprirlo? Era riuscita a  vederlo? Impossibile! Allora perché quel biglietto?
Cosa doveva fare? Sapeva benissimo che non era normale che un essere come lui parlasse con una normale umana, anzi no … con una dea.
Prese la penna e cominciò a scrivere.
“Come hai fatto a capire che ti osservavo?”
Posò la penna a terra e fece passare il bigliettino sotto la finestra. Si maledì per quello che aveva appena fatto, stava mettendo a repentaglio l’identità della sua famiglia.
-Sono uno stupido incosciente!- disse spalmandosi la mano sulla faccia.
Fece per andarsene quando vide sbucare un nuovo bigliettino da sotto la finestra.
“Lei è qui dietro!” pensò.
Prese il biglietto in mano e si sedette a terra.
“Non lo sapevo, me lo hai confermato adesso … posso sapere il tuo nome?”
Ora aveva la conferma di essere stato un vero idiota ma non riusciva proprio a fermarsi. Prese la penna e scrisse.
Raphael …”  
Lo lanciò nuovamente sotto la finestra e pregò con tutto se stesso di essere in grado di fermarsi, per evitare ulteriori errori. Ecco di nuovo un biglietto.
“Posso vederti?”
Proprio quello che temeva.
“No … ti prego”
La risposta arrivò subito.
“Perché?”
“Perché non sono come te … sono diverso”
Ogni minuto passato ad aspettare la sua risposta era un’agonia, temeva che prima o poi avrebbe spostato la tenda e lo avrebbe scoperto.
“Allora avvicinati alla finestra, almeno potremo parlare … stanno finendo i fogli di carta XD”
Seppur esitante si avvicinò al vetro freddo e parlò.
-Eccomi-
Alle orecchie di Savannah quella era la voce più bella che avesse mai sentito, melodica, calda e sicura.
-Ciao, Raph –
Voce dolce e forte allo stesso tempo. Perfetta.
-Che si dice?-
-Che ho terminato la carta-
Lo sentì ridere, era strano parlare con qualcuno che non si poteva vedere.
-Da quanto tempo mi osservi?-
-Da quando hai iniziato a suonare con le finestre aperte …-
La sentì sussultare, sapeva che non era normale, non tutti si mettevano a spiare una persona dal palazzo accanto, tutte le sere.
-Ti piace la mia musica?- domandò lei, spiazzandolo.
-Assolutamente … -
Forse aveva messo un po’ troppa enfasi nell’ultima frase.
-Qual è la tua preferita?-
-L’orologio degli dei … -
-Sai come si chiama?-
-Guarda che non sono uno sprovveduto, anche io conosco la musica classica-
Fece il finto offeso, c’era una nota di tristezza in quello che stava succedendo. Lui sapeva benissimo come era fatta lei ma lei non sapeva assolutamente come fosse fatto lui.
La sentì alzarsi e subito scattò in piedi, pronto a fuggire.
-Aspetta qui, se ti piace Giovanni Allevi questa la adorerai-
Sentì i suoi passi farsi sempre più leggeri, poi una melodia cominciò a farsi strada nelle sue orecchie, non era lei a suonare, era sicuramente un qualche cd.
I passi di lei tornarono e la sentì sedersi accanto alla finestra.
-Si chiama “Come sei veramente”, buffo no?-
-Ah sì?- rispose lui.
-Questa melodia mi aiuta ad immaginarti, ogni nota è una piccola caratteristica, un piccolo modo di essere che girovaga nella stanza e pian piano da vita alla tua immagine-
Raph sospirò. Nemmeno cento di quelle note avrebbero potuto formare la sua figura, non avrebbe mai potuto immaginare che dietro quella finestra non vi era un essere umano ma un mutante. Avrebbe urlato, lo avrebbe insultato e poi sarebbe fuggita, lasciando il suo cuore a vagare senza una dimora, perché la musica di Savannah era la sua casa …
La melodia terminò e il silenzio regnava sovrano.
-Ora devo proprio andare, mi stanno aspettando- disse lui a malincuore.
-Chi ti aspetta?-
-Non posso dirtelo-
-Va bene … a domani allora-
Raph guardò il palazzo dove fino a pochi minuti prima era seduto.
-Sì, a domani-
Così dicendo si tuffò giù dal tetto, sprofondando nella notte che avvolgeva New York. Ormai ne era sicuro, lo avrebbero di sicuro accusato ti tracotanza …
 
 
*angolo autrice*
Salve signore e signori!
Sono tornata con una storia tutta nuova, per la cronaca Savannah ha più o meno 19 o 20 anni. Non riuscirò ad aggiornare tutti i giorni perché la scuola mi uccide :/
Spero che vi piaccia! Accetto critiche e consigli!!!
Baci, Mizu <3   

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Sulle note di Ludovico Einaudi, Savannah correva per andare a lezione. Era sempre incredibilmente in ritardo, l’università non le lasciava un attimo di respiro. Entrata in classe si sedette al suo solito posto, la lezione era iniziata ma la sua mente era altrove, era rivolta verso l’ignoto … già, perché ignota era le persona con cui aveva parlato il giorno prima.
Sono diverso” … chissà che voleva dire. Molte persone si sentivano diverse per vari motivi. Sapeva solo che non le importava nulla di come era fatto il suo interlocutore, le interessava soltanto poter suonare in sua presenza, sapendo che egli la apprezzasse, nonostante non fosse perfetta.
Dall’altra parte della città, invece, Raphael era totalmente sconnesso con il resto del mondo, nel cervello c’erano soltanto le note dolci e melodiche del pianoforte di Savannah. Quanto avrebbe voluto farsi vedere, avrebbe tanto voluto parlarle senza paura di essere giudicato, senza farla scappare o urlare. Tutto ciò che desiderava era poter suonare con lei e magari osservarla seduto sul suo divano. Conosceva a memoria la sua casa, quando lei non c’era entrava di nascosto, gli piaceva accarezzare il pianoforte e sedersi sopra il suo stesso sgabello, una volta era entrato anche nella sua camera da letto e aveva osservato una ad una tutte le foto in bella vista sugli scaffali bianchi. Forse era così che se ne era innamorato, aveva imparato ad amare ogni sua ciocca fuori posto, ogni sorriso immortalato, tutto era magico in lei. Pian piano aveva anche imparato a suonare qualcosa, aveva letto libri sul solfeggio e si allenava ogni giorno sulla pianoforte che gli aveva costruito il fratello Donatello.
-Come mai vuoi imparare a suonare?- gli aveva chiesto il viola.
-Mah, così … -
E da allora ci provava ogni giorno, perché sperava che prima o poi sarebbe stata lei ad ascoltarlo e non il contrario.
***
Quella sera era titubante se tornare vicino alla finestra o rimanere nella sua postazione così lontana. Savannah era appena rientrata e aveva acceso le luci del salotto. Raph la osservava incantato, la sua figura si muoveva sinuosamente dietro quelle finestre, prima mangiava un panino in cucina, poi si legava i capelli davanti allo specchio, infine si sdraiava sul suo divano a guardare una qualche serie televisiva. Finalmente era arrivato il momento che tanto aspettava, la vide alzarsi e uscire fuori il terrazzo, guardare nella sua direzione per poi rientrare e coprire le finestre aperte con le tende. Significava che lo stava aspettando.
Con un balzò arrivò sul terrazzo e lei subito iniziò a suonare “Nuvole bianche” di Einaudi. Le candide note balzavano da una parete all’altra della stanza per poi giungere alle sue orecchie, era completamente soggiogato e ammaliato da quel suono, in cuor suo, sapeva, che anche vivendo altre mille vite non sarebbe mai arrivato al suo livello. Ma non si scoraggiava, un giorno le avrebbe fatto ascoltare qualcosa di suo, l’avrebbe guardata negli occhi e le avrebbe detto quanto la apprezzasse e quanto l’amasse, più di quanto una persona potesse essere amata. Perché lui l’amava, aveva iniziato con la sua musica e poi si era innamorato del resto.
La melodia terminò e la sentì alzarsi fino ad arrivare a sedersi accanto alla finestra.
-Ci sei?- disse Savannah.
-Ovvio che ci sono-
-Ti è piaciuta?-
-Moltissimo, sai … anche io ho iniziato a prendere lezioni di piano, non sarò mai bravo come te ma me la cavo-
La sentì ridere.
-Sono così divertente?-
-No, non così tanto- rispose lei, ridendo ancora.
-Come è andata la giornata?- chiese lui.
-Mmm, bene, sono arrivata in ritardo a lezione, come sempre, ho inzuppato le mie scarpe preferite e mi ritrovo a parlare con uno sconosciuto affabile e dalla voce molto sensuale, te?-
-Voce sensuale?-
Stava ridendo come un matto.
-Sì, direi un misto tra Rick di “the Walking dead” e il cantastorie di Hamtaro-
-Ah, bene, quindi la mia voce somiglia a quella di un criceto spastico-
-Non totalmente, in parte- rispose lei ridacchiando.
-Ti piace provocarmi?-
-Molto, spero che così ti venga voglia di picchiarmi e quindi scanserai la tenda, almeno riuscirò a vederti-
Calò il silenzio tra i due.
-Scusa, non volevo-
-No, non fa niente, sono io a doverti chiedere scusa, dopotutto sono io che non voglio farmi vedere-
Vide la mano di Savannah uscire piano da sotto la tenda, le sue mani erano così piccole e affusolate.
-Metti la tua mano sulla mia, voglio almeno sentire il tuo calore- disse improvvisamente lei.
Il cuore di Raph batteva all’impazzata, cosa avrebbe dovuto fare? E se si fosse accorta che aveva solo tre dita? Bastava non farle stringere la sua mano.
Con un movimento lento fece scivolare le dita verdi sulla mano bianca della ragazza, la sentì sussultare e subito la ritrasse.
-No, ti prego, non toglierla- gli disse.
La poggiò nuovamente sulla sua, solo allora si accorse che stava tremando, il suo corpo era preso, letteralmente, da spasmi incontrollati. Non riusciva a mettere a fuoco l’ambiente circostante, la sua mente e la sua anima erano completamente schiavi di quella sensazione.
Dall’altra parte della stanza la ragazza aveva poggiato la mano libera sul cuore e aveva notato, con sua grande sorpresa , che le batteva fortissimo, le sue guance erano diventate rosse e improvvisamente ogni cellula del suo corpo desiderava raggiungere Raph, non le importava chi fosse o cosa aveva di diverso, voleva solo poterlo abbracciare, poter parlare con lui liberamente.
-Rimani qui, torno subito- disse lei.
Andò in cucina e mise sul fuoco dell’acqua, andò in camera e prese una coperta bianca di lana, tornò in cucina e mise in due tazze l’acqua calda con dentro una bustina di thè al miele. Si incamminò verso le finestre e passò sotto le tende tutto ciò che aveva preparato.
-Ti ho preparato del thè e una coperta, è inverno e fuori si gela- gli aveva detto sedendosi dietro la finestra con la sua tazza.
-Grazie- fu tutto quello riuscì a dire Raph.
-Senti, prima non mi hai detto come è andata la tua giornata-
-Giusto, vediamo … mi sono allenato con il mio maestro, ho fatto a botte con un paio di rompiscatole, ho suonato un po’ il piano e poi sono venuto qui-
-Hai un maestro?-
-Sì, è anche mio padre e insegna il ninjitsu a me ed i miei fratelli-
Che cavolo stava facendo? Stava raccontando ad una sconosciuta della sua famiglia!
-Hai dei fratelli?-
-Tre, tu piuttosto, hai fratelli?-
- … No-
-Non ne vuoi parlare?-
-Preferirei di no-
Continuarono a sorseggiare in silenzio la bevanda calda, menomale che aveva quella coperta, fuori facevano almeno quattro gradi sotto zero. Anche se avesse voluto entrare dentro e stare con Savannah al caldo, sotto le coperte, non gli dispiaceva tenere in una mano la tazza di thè e nell’altra la mano della ragazza, il suo corpo era tutto un fremito, desiderava averla.
Sentì la ragazza sbadigliare e repentinamente si alzò e piegò la coperta accanto alla finestra.
-Io vado, si è fatto tardi-
Non ricevette risposta.
-Savannah? … Savannah?-
Scostò leggermente la tenda. La vide lì, con la testa appoggiata alla finestra, Morfeo la stava cullando ormai. Non poteva lasciarla lì, si sarebbe sicuramente ammalata, non poteva neanche entrare, si sarebbe potuta svegliare e lo avrebbe visto.
-Ah, al diavolo … -
E così dicendo la caricò in braccio e la portò in camera da letto, adagiandola con delicatezza e la coprì con le coperte.  Rimase a guardarla per un po’, si sedette accanto a lei, senza svegliarla. Ciglia lunghe, capelli biondo cenere e pelle bianca, era una visione paradisiaca, forse un angelo. Quelle labbra, oh … quelle labbra, cosa avrebbe dato pur di poterle assaporare. Dormiva beatamente e si concesse ancora qualche minuto per osservarla, le accarezzò piano i capelli e poi si avvicinò al suo viso, aveva il suo respiro sul volto, così caldo e pacato, era in pace con sé stesso. Poggiò delicatamente le labbra sulla sua fronte per poi alzarsi e dirigersi nel salotto, spense le luci, uscì sul terrazzo, chiuse le finestra e saltò giù.
Savannah aprì lentamente gli occhi, era tutto buio, come ci era arrivata in camera da letto? Ricordava di essere in salotto a parlare con Raphael, doveva essersi addormentata, dopotutto ogni mattina si svegliava prestissimo. Ma allora Raphael l’aveva portata in braccio fino in camera … lui era entrato in casa sua, l’uomo che desiderava vedere l’aveva stretta fino a letto.
Si mise seduta sul materasso e poi si alzò in piedi, camminò fino al salotto e uscì fuori il balcone, all’angolo c’erano la tazza e la coperta piegata che aveva dato a Raph, sopra ad essa un biglietto:
“Grazie per la coperta, il thè era buonissimo, a domani.
Buonanotte, Raph”
Sentì il cuore battere all’impazzata, come aveva fatto una persona di cui non conosceva neanche le sembianze ad avergli rubato il cuore?
 
*Angolo autrice*
Scusate il ritardo ma ho avuto così tanto da fare che non ho potuto aggiornare!
Il capitolo è un po’ corto ma prometto che il prossimo sarà più corposo, intanto ci sono stati miglioramenti, è riuscito ad entrare in casa di Sav. La storia del fratello verrà spiegata in seguito non vi preoccupate.
Ringrazio tutti per i complimenti e anche i lettori silenziosi!
Baci, Mizu <3

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


I giorni passavano e ogni sera, Raphael si sedeva davanti alla finestra di Savannah, parlandole e osservando la sua ombra che si muoveva dietro le tende. Quanto desiderava poterla stringere davvero e magari parlarle faccia a faccia, gli piaceva rimanere lì fuori ad ascoltarla ma sapeva che la loro amicizia non era del tutto sincera.
-E così avresti sconfitto una banda di teppisti tutto da solo?- disse la ragazza ridacchiando.
-Avevi dubbi? Sono molto bravo in queste cose, non sono mica “Miss arrivo tardi alle lezioni perché ho troppo sonno per alzarmi” – controbatté.
-Ti ho detto che è successo solo tre volte!-
-Più oggi-
La sentì sbuffare dietro la finestra.
-Ti va di ascoltare qualcosa?-
-Cosa?-
- … Suono io, ma dovrei aprire la finestra, altrimenti non sentiresti bene-
Raph si irrigidì e si nascose prima che lei potesse aprirla. Lasciò le tende davanti in modo che il suo interlocutore potesse rimanere ignoto. Il rosso si mise seduto dietro di essa.
-Non so se posso fidarmi di te … chi mi dice che non sei un pazzo maniaco che entrerà e mi sgozzerà?- disse Savannah ridendo sotto i baffi.
- Se fossi stato un maniaco saresti già morta, Sav- rispose lui ridendo.
Sav … solo gli amici più intimi la chiamavano così e a dir la verità non le piaceva moltissimo, storpiava il suo nome. Detto da Raphael, però, aveva tutt’altro sapore. Pura dolcezza, c’era qualcosa di caldo nella sua voce, un calore vergine. Aveva intuito che non era il tipo di persona che esternava i propri sentimenti a tutti.
-Per te va bene “Il Bacio”?-
-Il Bacio?-
Si accorse che la pelle verde stava acquistando un colorito rossastro, si era forse rammollito? Il solo pronunciare quella parola lo aveva scosso dentro, uno spasmo intenso che gli aveva appena attraversato la schiena e adesso gli faceva sentire un po’ di freddo. La cosa che non sapeva era che, anche Savannah, era leggermente arrossita. 
-Sì, Giovanni Allevi-
Finalmente aveva trovato il coraggio di parlare.
-Va bene … - Raph aveva la gola secchissima.
La ragazza si sistemò meglio e cominciò a suonare, nota dopo nota Raph sentiva le scosse sempre più forti, gli attraversavano il guscio e il piastrone, poi colpivano dritto al cuore. Poggiò la testa in mezzo alle ginocchia e chiuse gli occhi, assaporando ogni piccolo suono, New York era diventata soltanto un sottofondo inesistente, non riusciva più a sentire il rumore dei clacson e delle volanti, non c’erano più persone che urlavano o che parlavano al telefono. I pianti dei bambini erano scomparsi, proprio come il ronzio delle lampadine quasi fulminate dei lampioni circostanti. Tutta la sua anima e il suo corpo erano concentrati nell’ascoltare Savannah suonare, consumava quei tasti come fossero scarpe.
Quando la melodia terminò, sentì una goccia cadergli sulla testa, grandi nuvole sorvolavano minacciose la città, da lì a poco sarebbe scoppiato un bel temporale. Sentì Savannah alzarsi dallo sgabello e fare qualche passo, poi la sentì sedersi davanti alla finestra aperta. Il suo cuore batteva a mille, gli stava letteralmente perforando il petto, una tenda lo divideva da lei. Certo che la vita era veramente ingiusta, era così vicino alla sua felicità eppure così lontano dal poterla ottenere.
-Mi è piaciuta, anche se preferisco quell’altra-
Decise di rompere il silenzio che si era creato per essere sicuro di tenerla occupata, in modo che non avrebbe provato a sbirciare.
-Davvero?-
-Sì-
- … vorrei chiederti una cosa-
-Dimmi-
-Che cosa vuol dire che sei diverso?-
Proprio quello che temeva.
-Non capiresti comunque-
-Se mi permettessi di vederti, capirei-
La sentì alzarsi e scostare la tenda, subito il rosso si aggrappò alla ringhiera del terrazzo e si nascose.
-Torna dentro!- le urlò.
-Ma Raph! Ti prego … -
-Ho detto di andare dentro! Non potresti capire, nessuno ci riesce! Non voglio … non voglio che questo finisca-
Aveva iniziato a piovere e le gocce cadevano sul suo guscio. Savannah sospirò e rientrò, chiuse le tende e la finestra. Quando fu sicuro che lei non potesse vederlo tornò sul terrazzo ma non si sedette, rimase in piedi guardando quell’unico ostacolo che lo divideva da lei … si avvicinò lentamente e poggiò la fronte sul vetro freddo e bagnato. Dall’altra parte la ragazza era in piedi davanti alla tenda e la fissava, lei non capiva … cosa non poteva capire? Avevano passato tutti quei giorni a parlare e lui non le aveva mai permesso di vederlo. Avrebbe tanto voluto toccarlo, sentire il suo respiro, ogni volta che lo ascoltava cercava di cogliere la parte più dolce e speciale del suo tono. Era un tipo tosto, iroso, focoso, tutto l’opposto di lei. Era cresciuta in una piccola città dell’ Ohio, con sua madre e suo fratello più grande, era stata costretta a crescere in fretta, soprattutto dopo la morte di suo fratello, la guerra glielo aveva portato via, lasciando in lei e in sua madre un vuoto che non poteva essere colmato. Con il pianoforte, poi, era diventato tutto più semplice, era riuscita a staccarsi dal mondo intero, anche lui amava suonarlo e lei cantava accanto a lui. Ma dopo la sua morte … non aveva più cantato, non ci aveva neanche più provato, la voce le si strozzava in gola.
Ora era riuscita a trovare qualcuno che la riusciva a far sentire viva, sentiva che con Raph poteva essere se stessa e che forse, un giorno, avrebbe anche potuto riprendere a cantare. Ma non ci sarebbe riuscita se lui non l’avesse accettata, se lui non avesse mai accettato di guardarla direttamente negli occhi.
Si sedette a terra, accanto alla finestra e con una mano si mise a giocherellare con i lembi della tenda bianca.
-Raccontami un po’ di te- disse improvvisamente lei.
Non ricevette risposta, temeva che se ne fosse andato.
-Vivo qui a New York, se così si può definire, con la mia famiglia, studio l’arte del ninjitsu e non per vantarmi ma sono il mastro dei sai-
Fin qui non c’era nulla di strano, almeno così pareva a Savannah.
Senza farsi sentire si alzò in piedi e fece un passo in avanti.
-Te?- disse Raph.
-Io vivo qui da più o meno tre anni ma sono nata in Ohio, sono qui da sola perché mia madre non ha voluto seguirmi-
-Capisco … quindi sei una di quelle depresse, Emo solitarie-
-Se dicessi di sì, scapperesti?- rispose lei ridendo.
-Assolutamente no-
Una risposta secca. Lei mise una mano sulla tenda, non sapeva cosa avrebbe trovato dietro di essa ma voleva scoprirlo, voleva sapere chi fosse la persona in cui aveva ritrovato la speranza.
-Non so se mi perdonerai per questo … -
Un movimento fulmineo e la tenda si scansò. Gli occhi speranzosi di Savannah incontrarono quelli scioccati di Raphael.
Tutto il mondo si era fermato, niente l’aveva preparata a quello che si ritrovò davanti, un’enorme tartaruga parlante con una benda rossa legata intorno al viso. Le labbra di Raphael erano socchiuse e le mani gli tremavano. Solo dopo qualche minuto la ragazza cominciò a fare qualche passo in avanti, lasciando cadere la tenda dalla mano, aprì la finestra e senza distogliere gli occhi da quella creatura così mistica, uscì sul balcone.
-Tu non sei un … - disse allungando una mano verso il piastrone.
-No! Non sono umano! Perché l’hai fatto?!-
La mano di Savannah si poggiò sul piastrone scivolando e accarezzando ogni minimo dettaglio. Non era spaventata da lui, non le aveva dato motivo di esserlo, forse non si aspettava proprio una tartaruga ma non si poteva dire di esserne rimasta delusa, il suo aspetto combaciava con la sua voce. Le sue spalle trasmettevano sicurezza ma le sue mani tremavano.
All’improvviso Raph si scostò dal suo tocco, così caldo, dandole le spalle.
-Raph … aspetta- cercò di trattenerlo.
-Ora devo andare- disse lui, secco.
-A domani allora … -
Non rispose, le fece solo un leggero cenno con la testa, poi saltò giù dal palazzo, svanendo nell’ombra, come aveva sempre fatto.
***
Aveva buttato a terra almeno una cinquantina di bidoni lungo il suo cammino verso casa. Lei lo aveva visto, nonostante avesse promesso che non avrebbe mai fatto mosse azzardate, lo aveva tradito. O forse no?
La pioggia cadeva sempre più copiosa ed era ora di tornare al rifugio.
Camminò a grandi passi lungo il salotto di casa per evitare che Mikey e gli altri gli facessero qualche domanda. A quanto pareva quella sera la fortuna non era dalla sua parte.
-Dove vai tutte le notti?-
Leonardo era sempre stato un rompiscatole, possibile che sapeva sempre dove fosse?
-Non ti importa-
-Sì che mi importa, non dirmi che sei andato a fare a botte! Lo sai che non possiamo … -
-“Che non possiamo farci vedere”, lo so, lo so … non succederà più, tranquillo, torna pure nel tuo dojo a meditare per tutto il giorno-
Dicendo questo si rinchiuse in camera, sbattendo la porta. Pochi secondi dopo la voce di Donatello ruppe il silenzio che si era creato nella sua testa.
-Raph, tutto bene?-
Ci mise un po’ a rispondere.
-Sì, tutto bene-
“No che non andava tutto bene, la sua vita era un disastro dopo l’altro!”
-Se hai bisogno di qualcosa, sai dove trovarmi- disse il genio.
Donnie era sempre stato il più premuroso, quello che ti ascoltava quando ne avevi bisogno e quello che ti faceva ragionare se avevi perso il lume della ragione … e lui in quel momento aveva perso il senno, lo aveva perso per Savannah.
La sua mente ripercorse velocemente tutti quei giorni che aveva passato ad ascoltarla, senza muoversi, senza neanche respirare, per paura che lo sentisse o che riuscisse a vederlo … e ora?
Lei lo aveva visto, lo aveva toccato e lo aveva guardato negli occhi. Lui le aveva permesso di entrare nel suo territorio, di rompere gli schemi e di innamorarsi perdutamente di lei, di quei capelli biondi e di quelle mani affusolate, di quegli occhi neri e di quella voce che aveva sognato tutte le notti. In fondo lei lo aveva accettato, non sembrava spaventata più di tanto. Allora perché era fuggito?
Forse era lui che non riusciva ad accettarsi e non il contrario …
 
*angolo autrice *
Salve miei cari lettori, silenziosi e non, ecco un nuovo capitolo.
Finalmente Raph viene visto da Savannah ma non so quanto possa essere positivo come incontro … adesso sapete perché non voleva parlare del fratello, ovviamente Raph non ne sa nulla.
Ringrazio ancora una volta tutti quanti!
Baci, Mizu <3

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Era passata più di una settimana da quando Raphael era fuggito da sotto gli occhi increduli di Savannah. Nelle sere precedenti lei era sempre uscita fuori nella speranza di vederlo seduto ad aspettarla, ad attendere il suono della sua musica, invece non c’era mai. La delusione e la tristezza che assalivano la ragazza in quei momenti erano indescrivibili, lo stomaco le doleva e le sue mani tremavano, lacrime silenziose solcavano le guance infreddolite. Da quando Raph non si affacciava più alla sua finestra non aveva più voglia di suonare il piano, ora quella casa appariva ancora più vuota di quanto non lo fosse già in precedenza. Non riusciva a comprendere la sua reazione, ovviamente era scioccata dal fatto che il suo interlocutore fosse uno strano mutante ma sapeva anche che non doveva averne paura perché per lei, Raph, era molto più di questo. Doveva dirglielo, doveva rivederlo, non poteva lasciarlo andare così … ma come poteva trovarlo? Non sapeva quasi nulla di lui. Rientrò in casa sulle note di “I’m not the only one” di Sam Smith, quella canzone le piaceva davvero, le sarebbe piaciuto provare a cantarla ma ora non ce la faceva. Tutta la sicurezza che stava acquisendo con la vicinanza di Raph, ora stava svanendo, lasciandole un’enorme voragine nel petto, quel senso di smarrimento stava tornando a tormentarla. Tutti la abbandonavano prima o poi, era successo con suo padre, con suo fratello,sua madre  e adesso Raphael.
Si lasciò cadere al suolo accanto allo stereo, con le dita picchettava il parquet imitando le note ironiche di Sam. Lo sguardo perso oltre la finestra, spalancata, l’aria gelida entrava in casa e le faceva salire i brividi lungo tutta la schiena.
-Questa sensazione … - aveva sussurrato.
Era la stessa che aveva provato quando Raph le aveva parlato, quando le aveva afferrato la mano e quando lo aveva guardato negli occhi.
Sapeva di dover studiare per l’esame imminente ma non ne aveva voglia, voleva solo poter suonare nella speranza di essere ascoltata da lui. Ma Raph non arrivava e l’aria era sempre più fredda, faceva quasi male, proprio come il vuoto che aveva dentro.
***
Raph  non era più tornato da lei, non era neanche più uscito dalla tana. I suoi fratelli gli giravano intorno senza dire una parola. Lui era concentrato a cambiare canale senza fermarsi, non c’era nulla che lo potesse smuovere da quella pigrizia convulsa. Perché cavolo non era più tornato lì? Perché se ne stava immobile sul divano di casa senza muovere un muscolo? La verità era che aveva paura … aveva paura che lei potesse sbattergli la porta in faccia, che non gli avrebbe più dato la possibilità di ascoltare la sua musica e lui non avrebbe fatto altro che costruire un  muro ancora più alto.
-Raph, potresti darmi una mano in garage?-
-Non ne ho voglia-
Donatello cercava in tutti i modi di smuoverlo da quello stato pietoso.
-Non puoi rimanere sdraiato su quel divano per sempre-
-Scommettiamo?-
Aveva un tono sprezzante ma al fratello non importava. Lo prese dalle braccia e lo trascinò di peso fino ad arrivare al tarta-carro. Il viola si sedette a terra poggiando il guscio contro la ruota del veicolo, guardò Raph che era rimasto in piedi a fissarlo, tenendo le braccia incrociate.
-Sputa il rospo-
-Come scusa?- rispose il rosso.
-Non è da te rintanarti in casa per giorni, senza distruggere qualcosa o prendere a botte qualcuno, cosa ti succede?-
-Niente di importante-
Donatello sospirò e abbasso il capo per qualche minuto.
-Quella sera ti sei chiuso in camera tua senza uscire per giorni, non hai più rivolto la parola a nessuno, ora non venirmi a raccontare che non è successo niente-
-Ho conosciuto una ragazza, umana intendo-
Donatello sollevò la testa guardandolo negli occhi, incuriosito.
-Si chiama Savannah e da qualche mese la vado a trovare tutte le notti, suona il pianoforte, studia all’Università e se ti stai chiedendo se è attraente, la risposta è sì-
-Hai detto il pianoforte?-
-Sì, perché?-
-Scusa ma non è proprio un pianoforte quello che mi hai fatto costruire qualche mese fa?-
Raph divenne scarlatto e voltò la testa di lato per poi guardare il soffitto, imbarazzato.
-Sì ma non è questo il punto-
-E quale sarebbe?-
-Lei mi aveva promesso che non avrebbe mai fatto nulla di azzardato e invece lo ha fatto, mi ha tradito, mi ha guardato dritto in faccia e io sono scappato … -
-Ha urlato?-
-No-
-E allora perché sei fuggito?-
-Non mi hai sentito? Mi aveva promesso che non ci avrebbe mai provato!-
-Stronzate-
-Come scusa?-
Non era da Don utilizzare un gergo così poco decoroso.
-Sei solo un fifone-
-Io sarei un fifone?- si stava arrabbiando.
-Hai detto che ti aveva promesso di non guardarti, ma lo ha fatto e non è scappata urlando e tu sei fuggito … sei semplicemente un vigliacco, non hai avuto il coraggio di affrontarla, ti sentivi protetto nella tua campana di vetro, non è vero?-
Raph lo guardava duro, era ancora in piedi e aveva tutti i nervi tesi.
-Ma certo, fai pure la vittima. Non vuoi accettare di esserti innamorato e ancora peggio, non accetti un rifiuto. Quindi meglio fuggire prima di essere feriti, giusto? Pensi che starai meglio quando la vedrai passeggiare allegramente per strada con qualcun altro? Ti rimpiazzerà e tutto perché tu non hai le palle di guardarla dritta negli occhi e dirle “Sì, sono un mutante, e allora? Sono anche innamorato di te se è per questo!”-
Raph si avvicinò ancora di più, poi corse via. Solo in quel preciso istante Don si rese conto di trattenere il respiro, aveva appena dato del fifone a quella testa calda, pensava che prima o poi lo avrebbe preso a pugni.
***
Venne svegliata da uno strano suono. Savannah si tirò su a sedere, si era addormentata sul divano mentre ascoltava la musica. Si alzò con la coperta di pail e si avvicinò alla finestra.
-Perché è chiusa?-
Guardò fuori, New York dormiva e il buio regnava sovrano.
-Non sai che dormire con la finestra aperta fa male?-
Una voce familiare la fece sobbalzare. Si voltò lentamente, senza lasciare la coperta.
Nella penombra del salotto intravedeva una figura alta e possente che camminava nella sua direzione, quando fu abbastanza vicino lo riconobbe.
-Raph … -
-No, non parlare, fa parlare me- la zittì improvvisamente.
-Mi dispiace di essere scappato e di essere sparito, non volevo lasciarti sola. Ho avuto paura, mi sono comportato come un vigliacco … non scappare-
Savannah aveva gli occhi spalancati, non riusciva a smettere di guardare quella pelle verde e quei muscoli così definiti, forse li stava fissando un po’ troppo e cominciava a provare un certo imbarazzo. Lo guardò negli occhi e improvvisamente quel vuoto si colmò.
-Dispiace anche a me, non avrei dovuto coglierti di sorpresa … ti va di sederti?-
Disse indicando il divano dove aveva dormito.
-Sì … grazie-
C’era una strana atmosfera, la giovane ragazza sentiva scosse lungo tutto il corpo e stranamente provava ancora quella strana sensazione di freddo, era ovvio che ci fosse molto imbarazzo, dopotutto era la prima volta che parlavano guardandosi.
-Ho un’idea- Raph ruppe il silenzio creatosi.
Si alzò e andò vicino allo stereo, diede un’occhiata veloce alla parete dei dischi e poi ne inserì uno.
-Hans Zimmer- disse lui.
Lei annuì e lo osservò attentamente, non era niente male. Raph si mosse fluidamente tornando accanto a lei.
-Bella vero?- disse lei guardandolo negli occhi.
Quel verde le faceva perdere la testa, c’era così tanta chimica tra di loro, le guance le scottavano. Si specchiava dentro quelle due pozze luminose senza accorgersi della loro vicinanza.
-Bellissima … - rispose lui.
Prese la testa della ragazza fra le mani e fece combaciare le loro labbra, era un bacio appassionato, disperato e liberatorio. Le loro mani scottavano, tutto bruciava e l’unica cosa che riuscivano a sentire erano i battiti dei loro cuori. La coperta cadde a terra e Savannah venne scossa da un brivido, Raph la fece sdraiare senza interrompere quel contatto poi si stese su di lei, intrappolandola. Incastrò le dita dentro i nodi oro dei suoi capelli, lei sospirò e lui le morse il labbro inferiore assaporando intensamente quel momento.
Si staccarono per riprendere fiato e si guardarono, per poi azzerare nuovamente la loro distanza. Non servivano parole …
 
 
*angolo autrice*
Chiedo umilmente scusa, non ho avuto tempo di scrivere a causa della scuola ma finalmente eccomi di nuovo qui. Spero che questo capitolo vi abbia emozionati come ha emozionato me. Grazie ancora per la pazienza.
Baci, Mizu <3

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