How I met You

di Restart
(/viewuser.php?uid=710040)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Prologo

Emily era seduta al bancone del pub da ore ormai. I drink scendevano veloci e caldi giù per la sua gola. Il suo unico pensiero quella notte era l'alcol. Voleva annebbiare la sua mente. Voleva nascondere quei pensieri negativi. Voleva nascondere l'immagine del suo fantastico (ormai non più fantastico) ex-ragazzo. Jared. Quel bastardo aveva baciato una cameriera. La sera in cui aveva chiesto a Emily di sposarlo. Alzò la mano sinistra per ammirare l'anello. Sperando che quella fosse l'ultima che lo faceva. E invece continuava ad osservare quell'anello. Si era dimenticata di lanciarglielo in un occhio. Quei meravigliosi occhi blu, come il cielo. Sì. Jared era il suo paradiso. Aveva toccato il cielo con un dito e ora si ritrovava sprofondata sottoterra. Se non fosse stato per le persone che la legavano in Inghilterra, Emily sarebbe già scappata. Suo padre. I suoi fratelli. I suoi colleghi e amici. Il giornalismo e la moda. Il suo mondo. Sarebbe potuta andare in Brasile. Aveva sempre sognato il Brasile. Lo aveva immaginato come un mondo a colori. La sua Londra era grigia. Grigia, nebbiosa, nuvolosa. Della serie tutto fumo e niente arrosto. Eppure c'erano così tante ragazze che fuggivano dal loro paese di origine per andare a Londra. Lei ci sarebbe tornata volentieri nel suo paese di origine. Gli Stati Uniti. Nella sua New York. Nella sua movimentata New York. Strano a dirsi, ma lei lì c'era solo nata. Avrebbe voluto vedere come si vive a New York. Ebbene lei era una sognatrice. Lei era una che si immaginava un mondo completamente diverso dal suo. Voleva diventare stilista, ma al momento era solo una giornalista. Voleva farsi riconoscere, ma era nessuno.

Lei non era una che si soffermava all'apparenza come suo padre, no. Lei era una che entrava dentro alle persone. Come con Jared. Quando è stato strappata da lui, con quel bacio, aveva sofferto come non mai. Aveva pianto come non mai. Aveva bevuto drink come non mai. E suo padre le aveva detto "te lo avevo detto che non ti dovevi affezionare a lui". E "hanno trovato posto all'università, potresti iscriverti e diventare chirurgo plastico come me". Ma a lei fanno impressione sia il sangue che tutte le altre schifezze che faceva suo padre. Lei aveva sempre pensato al chirurgo come una professione di merda. Eppure suo padre lo era. Di sua madre non sapeva molto. Era rimasta a New York, dopo che suo padre l'aveva scoperta a letto con un altro. Aveva preso una bambina di due mesi e l'aveva messa su un aereo per Londra. A quindici anni Emily si era promessa più volte che sarebbe andata a cercare sua madre, una volta maggiorenne. Ora aveva ventuno anni e non era ancora andata da nessuna parte. Aveva visitato la Scozia e l'Irlanda. E non si era spinta oltre. Aveva sempre amato viaggiare, ma non lo aveva mai fatto. E quella sera si promise che tutto sarebbe cambiato. Che non avrebbe vissuto passivamente, come aveva fatto fino a quel momento. Bevve l'ultima goccia dell'ultimo scotch. E si promise che sarebbe stato l'ultimo. Aprì il portafoglio per pagare e il suo sguardo cadde di nuovo sull'anello. Lo zaffiro era incastonato su un anello in oro bianco. Era meraviglioso. E dentro c'era scritto Jared. Distolse lo sguardo e prese la banconota per pagare. Poi arrivò il vero conto da pagare. Quello di riuscire a camminare decentemente dopo qualche bevuta di troppo. Fece alcuni passi barcollanti, per poi passare ad una camminata accettabile. Strinse il cappotto a sé, per pararsi meglio dal gelo che c'era all'esterno del bar. La vista era annebbiata e non riusciva a vedere davanti a sé. Sembrava che i semafori fossero luci da discoteca. Sentiva il bisogno di chiamare urgentemente un taxi. Si sporse dal marciapiede, ma nessuno la notò. Scese barcollante dal marciapiede, mettendosi in strada, ondeggiando la mano. Ma prima che un tassista la vedesse, una macchina le venne incontro.

------------------------------------------------------------------

Allora, questa storia è dedicata a due amiche che vivono per gli One Direction... ma anche a tutte voi che gli amate e che avete deciso di leggere,anzi iniziare a leggere questa FanFiction... Fatemi sapere che ve ne pare! 

a kiss

Restart

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


And breathe, just breathe

◆Anna Nalick {Breathe 2AM}◆

"Incidente stradale;

Questa mattina, verso le due, una ragazza di ventuno anni è stata investita da un SUV, mentre aspettava un taxi. La ragazza è in gravi condizioni, mentre il ragazzo alla guida è rimasto illeso. Si aspettano i referti chirurgici"

Qualcuno una volta mi disse che un secondo prima di morire ti senti pieno di vita. Ecco, io questa notte mi sento morta. Forse è questo il motivo per cui sono ancora viva. Questo era il cambiamento che aspettavo da una vita. Da quell'incidente ho cambiato me stessa.

Sono stesa per terra. I miei capelli castani sparsi ovunque. Sento il sangue spargersi ovunque, dentro e fuori di me. Sento una voce calda che mi rassicura. Sento un parlottare confuso. Non sento e non vedo altro. La mia voce è un rantolo. Le mie braccia si muovono freneticamente. Il ragazzo mi tiene di lato e urla di chiamare un'ambulanza.

"Niall cazzo chiama questa stramaledettissima ambulanza, questa ragazza sta morendo!" riesco a capire. "Hey ti salveremo, non ti preoccupare! Tu respira! Respira cazzo!" mi dice, cercando di tenere la calma il più possibile. Provo a muovermi ma tutto il mio corpo e i miei vestisti sono intrisi di una sostanza calda. Mi sento morta. E poi il buio prende possesso di me.

Harry's POV

La ragazza è dentro quella sala operatoria da poco. Io non trovo un posto dove stare tranquillo. Giro per i corridoi dell'ospedale come se fossi pazzo. Niall è sempre stato al mio fianco. Quel pazzo di Zayn, che l'ha investita è chiuso da qualche parte. È un idiota. Nonostante sia il mio migliore amico non mi spiego come fosse potuta succedere una cosa del genere. È un totale idiota. Lui conferma il fatto che fosse stata lei ad essere in mezzo alla strada. Io non ho visto. È stato fin troppo veloce.

-Cazzo Niall, io esco non resisto un minuto in più qui. Vado fuori a farmi un giro- gli dico.

-No, Harry! E quando arriveranno i parenti? Ci dobbiamo essere entrambi! - mi urla ma io non lo ascolto. Sono troppo impegnato a scappare da questa orribile realtà. È veramente questo, ciò che voglio vivere ogni singolo giorno? Voglio veramente vivere dipendente da incidenti, traumi, morte e disperazione? L'unica cosa che mi convince a farlo sono i sorrisi. Il sorriso della moglie, del marito, dei familiari che ti rivolgono quando ti dicono che è andato tutto bene, che il marito, la moglie, il parente sopravvivrà. È per questo che voglio diventare un chirurgo. È per questo che voglio vivere per salvare vite. Ma in questo caso non ho potuto fare niente. Quella ragazza è ferita tropo gravemente. Non so se riuscirà a vivere. Per la strada il vento freddo mi trafigge. Scaglie di gelo mi uccidono lentamente. Provo a chiudere gli occhi per assaporare questo dicembre fantastico. Provo a immaginare il Natale, la mia festa preferita. Ma poi l'immagine di quella ragazza che molto probabilmente non potrà festeggiare il Natale si impadronisce di me. Lo squillo del cellulare mi fa risvegliare dall'incubo.

-Pronto, Niall?-

-Oh Harry, sono arrivati i parenti ti vogliono- dice. Merda. Non sono pronto a parlare con i parenti.

-Ok, arrivo subito-

In ospedale, individuo immediatamente Niall. Sta parlando con tre uomini.

-Niall,eccomi.- dico.

-Oh, Harry, lui è il padre di Emily, il signor Eric Black. E loro sono Mark e Luke Black, i fratelli di Emily- mi presenta Niall.

-Piacere, Harry Styles- mi presento. Il padre e i fratelli mi stringono la mano. Poi è Luke a parlare.

-Cosa è successo?- chiede.

-Emily, aspettava il taxi per tornare a casa, ma si è sporta troppo sulla strada, perciò il mio amico non ha fatto in tempo a sterzare, e le è andato contro. Ha un emorragia interna al torace, e subdurale. Braccio destro rotto. Penso che vivrà- dico tutto di un fiato. Il padre mi guarda serio. So chi è. Eric Black, uno dei più famosi chirurghi plastici della Gran Bretagna. E i fratelli di Emily? Neurochirurgo Luke e Chirurgo Ortopedico Mark. Tre mostri della Medicina i Black. Mi sorprende sapere che Emily non lo fosse. In quel momento di grande silenzio, il chirurgo cardiotoracico esce dalla sala operatoria.

-Voi siete i parenti di Emily Black? Allora la ragazza è salva, ma dovrà stare in terapia intensiva ancora per parecchio tempo. Potete andarla a trovare non appena si risveglierà dall'anestesia. È stato un piacere conoscerla dottor Black- dice stringendogli la mano.

-Niall, vado a cercare Zayn, non voglio che si uccida- sussurro al mio amico. Lui annuisce.

Inizio a percorrere i corridoi dell'ospedale. Busso ovunque, cerco ovunque, ma non riesco a trovare Zayn. Alla fine lo trovo. È appoggiato alla porta di una stanza.

-Hey, che cosa ci fai qui?- sta tremando. Il forte, Zayn Malik, sta tremando.

-Cazzo Zayn, dimmi cosa cazzo ti è successo!- urlo talmente forte che le infermiere si girano a guardarci storto.

-Questa è la stanza dove è ricoverata Emily. Verrò buttato in prigione vero?- chiede con gli occhi tristi. Non lo ho mai visto così male. 

Mi siedo accanto a lui e sospiro pesantemente.

-Penso proprio di sì, Zayn, mi dispiace- gli dico e lui getta la testa all'indietro, battendola ripetutamente contro il muro.

-Sai, Harry, stimavo suo padre. Anzi lo stimo anche adesso. Io diventerò come Eric Black, un giorno. Se un mese fa lo avessi incontrato per strada gli avrei chiesto l'autografo. Ma ora, lo evito. Ho investito sua figlia. E mi sento una merda. Io...- un agente blocca il suo monologo. 

-Lei è il signor Malik?- chiede autoritario- Il mio amico annuisce e si alza. Io, lo faccio più velocemente di Zayn e mi metto tra lui e l'agente.

-Non può portarlo via. Non ha fatto nulla. La ragazza si è messa in mezzo alla strada. Non può portarlo in prigione-

-Signore, si tolga dal mezzo. Se non lo fa, ci dovrò portare lei, per resistenza ad un pubblucio ufficiale- mi toglo dal mezzo. E lui prende Zayn. Ed io mi sento inutile. Non ho salvato né Emily, né Zayn

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Harry’s POV

“Cara Emily,

Mi chiamo Zayn, tu non mi conosci, ovviamente. Sai, io sono quello che ti ha ucciso. Io sono quello che guidava quel SUV nero che ti è venuto incontro dieci mesi fa. Io sono quello che sono scappato come un codardo, appena ti ho vista a terra. Ora non posso più scappare. Ora sono rinchiuso in casa, da ben cinque mesi. Non sono arresti domiciliari o cosa, è solamente codardia. Mi sono autorecluso. Non so più cosa fare, non so più cosa dire, non so perché ti sto scrivendo queste righe.

So solamente di avere una paura pazzesca.

Scusa,

Z.”

Rileggo quella lettera un migliaio di volte per essere sicuro di aver letto bene. Sono passato dal mio migliore amico questa mattina, per portargli qualcosa e l’ho trovato peggio dell’altra volta. La barba, i capelli lunghi, gli occhi spenti.

Rileggo quel foglio di carta stropicciato, macchiato irreversibilmente da un inchiostro pece. Poi accartoccio il foglio nella tasca del mio cappotto ed entro nella stanza di Emily.

L’odore del disinfettante mi colpisce subito. Come il fatto che ci sia un qualcuno di nuovo.

Saluto gentilmente la famiglia di Emily, poi mi ritrovo a guardare quell’uomo, biondo, alto, i capelli riccioluti, tenuti lunghi fino alle spalle. Gli occhi scuri mi fissavano straniti, sebbene la bocca grande sorridesse.

“Piacere, Jared” mi dice e io noto subito il suo forte accento australiano.

“Harry, Styles” dico, come in un sussurro.

“Tu sei quello che ha prestato il primo soccorso alla mia fidanzata? Te ne sono veramente grato” mi dice sorridendo di nuovo. Una parola mi ha particolarmente colpito. Fidanzata. Perché non ne sapevo niente?

“Oh, quindi tu e Emily siete fidanzati?” chiedo notando lo sguardo cupo di Eric. Jared si limita ad annuire.

“Allora perché non sei stato al suo fianco in questo periodo? Eh!? Lei è in coma da sei mesi! Io finiti gli studi giornalieri venivo qui, in suo supporto. Invece tu non ti sei mai fatto vedere io…” Mark mi tappa la bocca, prima che io dica altro. “Calmati” mi bisbiglia in un orecchio. Jared ha lo sguardo accigliato, le labbra serrate in una smorfia di disapprovo.

“Eric posso rimanere da solo con Emily, o devo aspettare che questo ragazzino abbia finito?” chiede lui con sarcasmo. Eric ci scruta entrambi, con lo sguardo che un tempo poteva essere stato limpido.

“No, Harry tu puoi rimanere. Io e te Jared dobbiamo parlare” e si alza, baciando la mano delicata della figlia. Jared annuisce silenzioso ed esce, come i tre Black.

Dopo essermi accertato di essere solo con Emily, mi fiondo su quella sedia vicino al letto della ragazza. Po con più calma mi sfilo il cappotto scuro, e lo appoggio delicatamente al bracciolo della sedia. Così facendo, il foglio di Zayn scivola dalla mia tasca. Se in un primo momento indugio a raccoglierlo, poi faccio lo sforzo di abbassarmi. E’ come stamattina, stropicciato, macchiato. Poi, finalmente, guardo la ragazza. Ha gli occhi chiusi, le labbra aperte per via del respiratore, la mani adagiate sul materasso scomodo.

“Ciao Emily” gli sussurro. Le prendo la mano gelida e la stringo tra le mie, come faccio sempre. Mi alzo, preso dal nervosismo e apro leggermente la finestra.

“Cavolo Emily, sei fidanzata?! Dai è molto più vecchio di te, avrà trent’anni. E poi è antipatico, presuntuoso, dai!” parlo, ma parlo alla finestra da cui passa un’aria leggera, autunnale.

“Emily, ti devo leggere una lettera. E’ stato quell’idiota a Zayn a scriverti” Spiego la lettera e leggo piano, scandendo le parole, sebbene della calde lacrime scivolino sulle mie guance. Prendo fiato tra un singhiozzo e l’altro, sperando che lei non si risvegli in questo momento. Quando finisco di leggerla, alzo lo sguardo verso di lei, ma è immobile, come sempre. Prendo la sua mano gelida e la appoggio sulla mia guancia bollente e umida di lacrime. Resto così per un lungo tempo, prima di alzarmi.

Posiziono i miei occhi all’altezza dei suoi, chiusi.

“Io penso di amarti, Emily” bisbiglio, prima di poggiare le mia labbra sulla sua fronte. Mi siedo nuovamente, incurante del fatto che Eric stia fissando la scena dalla porta. Però sta fermo, immobile, non reagisce. Ci guarda e basta. Mi alzo e raccolgo il cappotto. Dopo essermelo infilato, mi avvio verso l’uscita.

“Penso di amarti anche io Harry” è un sussurro incomprensibile a molti, ma non a me.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Jared POV
 
“Signorina, si può sapere cosa stia cercando di fare?” Chiedo ancora con gli occhi socchiusi. Lei si scosta un poco da me, ma è ancora molto vicina alle mie labbra. La sento sorridere e pronunciare;
“Non capita tutti i giorni incontrare una persona così famosa in un bar così piccolo di Londra.” E questa volta apro gli occhi. Lei ridacchia mentre si allontana. Passo una mano tra i riccioli e vado verso il bancone dove lei sta preparando dei drink.
“E’ australiana?” Chiedo senza mezzi termini. Lei sorride mentre versa nel bicchiere di cristallo, il whisky.
“Cosa glielo fa pensare?” Domanda continuando a sorridere e versare liquori nei bicchieri.
“Il suo accento, è molto forte. Ah e poi, uhm, sono famoso sono in Australia per la mia catena di hotel e anche qui mi chiedo come faccia a conoscermi, visto che ho solo tre hotel sulla costa orientale.” Le sorrido.
“Quanta pazienza ha?” Domanda avvicinandosi. Alza il sopracciglio in attesa della mia risposta. Io le rispondo alzando l’angolo della bocca. Annuisce e si allontana per servire un cliente. In quel preciso istante mi accorgo che Emily è in bagno da troppo tempo. Estraggo il telefono dalla tasca e provo a chiamarla, ma dopo il terzo tentativo lascio perdere. Appoggio i gomiti sul bancone e ordino nuovamente una tequila.
“Ho finito adesso, andiamo a fare un giro?” Riconosco la voce alle mie spalle. Prendo il cappotto e lascio il conto sul bancone, vicino al bicchiere ancora pieno di tequila. Lei si fa largo tra la folla con carattere. Arriviamo al parcheggio e mi fa montare sulla sua auto. Il tragitto non è molto lungo, anche se a un certo punto noto le ambulanze illuminare maggiormente le strade. Una ragazza è stesa a terra. I suoi capelli, cazzo i suoi capelli sono così familiari. I suoi lunghi capelli castani, mossi. Porco cazzo, quella è Emily.  
“Ferma l’auto.” Dico con voce ferma.
“Perché mai dovrei?” Chiede ridendo.
“Fermala!” Urlo alla ragazza, ma lei continua a guidare spensierata. Inizia perfino a fischiettare, quando io inizio a preoccuparmi visibilmente per Emily. Solo il fatto di immaginarmela a terra esamine, col sangue che le cornicia il corpo mi fa venire i brividi.
“E su, rilassati Jared!” Strilla. E strilla ancora, quella voce acidula, arricciando il naso alla francese e strizzando gli occhi insulsi.
“Non ho mai detto che potevi darmi del tu” sussurro, più al vetro del finestrino che alla ragazza. Arriviamo a casa sua e non appena chiude la porta si toglie il giaccone. Poi sbottona il mio cappotto e la giacca. Si toglie il maglione e il reggiseno.
“Ed dai muoviti!” Mi dice, aiutandomi con la camicia. Ringrazio il cielo di essere ubriaco. In futuro non voglio ricordarmi di questa serata. Mi snudo completamente e lei sorride soddisfatta. Si toglie i pantaloni e rimane solo con gli slip. La prendo di peso e l’appoggio sul divano duro. Le disegno la figura con le dita e quando arrivo al bacino mi fermo. Esito a toglierle gli slip, ma alla fine mi convinco che l’alcol mi aiuterà a dimenticare. Mi infilo dentro di lei con un movimento veloce, senza preliminari. Geme quasi subito ed io sono convinto che lo faccia solo per compiacermi, anche le la cosa che sto facendo non mi piace affatto. Il tutto dura sì e no un’ora. Mi voglio togliere al più presto da questa situazione ed andare da Emily. Mi metto a sedere e allungo la mano per prendere i miei pantaloni, ma lei mi ferma.
“No, no, no, no…” Sussurra, muovendo l’indice. “Non penserai mica di andartene così presto. Caro, abbiamo appena iniziato.” La sua voce è cambiata. Se prima era una vivace voce da ragazzina, ora è seria e seducente.
“No, abbiamo finito. E poi la mia ragazza è in ospedale, ha avuto un incidente” dico infilandomi i pantaloni.
“La tua ex, vorrai dire…” si porta l’indice sulle labbra che protrae verso l’esterno. Incurva la schiena verso di me, desiderosa.
“Perché dici questo? Non conosci la nostra storia” domando rabbioso. Alza per la prima volta la testa, per poi portarsi su e fissarsi sui gomiti.
“Ma caro, ci ha visti mentre ci baciavamo” dice malefica.
“Mentre mi baciavi” puntualizzo. Alza l’angolo della bocca, e si alza in piedi. Io lo intercetto con una via di fuga, perciò mi alzo anche io e faccio per prendere la giacca.
Ti ho detto che non abbiamo ancora finito” ringhia a denti stretti. Si volta verso di me, e la prima cosa che mi colpisce è la pistola che ha in mano.
“Cosa vuoi fare?” Chiedo preoccupato. Lei incurva le sopracciglia, per dare al suo viso ancora più cattiveria.
“Sai, Jared io non mi sono ancora presentata” dice avanzando verso di me, quando io indietreggio verso la porta d’ingresso. Liscia ancora una volta la pistola nera, lucida, nuova.
“Ti piace, eh? L’ho comprata oggi, proprio per te, sapevo che saresti venuto nel mio bar. Comunque, presentazione, giusto. Sarah Field, australiana, classe 1985, ho quanto te, caro. L’unica cosa che ci contraddistingue è il fatto che te, sei anni fa, avevi già tre alberghi di extralusso in Australia ed ora, a 31 anni, ne hai quattro, visto che quello a Perth è stato inaugurato il mese scorso. Io invece, ero un vagabonda, una sfrattata, quella perennemente “nuova” perché non si sapeva adattare. E quando, due anni fa, venni a fare il provino per la pubblicità della tua catena, tu mi prendesti, in un primo momento. “Cazzo quella lì ha un corpo da sballo”. Poi arrivò quella inglese, Emily, figlia di Eric Black, il chirurgo plastico che aveva “salvato la vita” a tua sorella. E mi scaraventasti sul marciapiede. Io mi sarei vendicata, l’avevo promesso. Mi hai lasciato per una stupida di quasi dieci anni meno. Perciò questa è la mia vendetta, stronzo!” punta la pistola al mio petto. Non ho via di fuga. La porta è bloccata, non posso uscire. Chiudo gli occhi e penso al sorriso di Emily. Ed è tutto quello che ricordo è uno sparo e un qualcosa di duro che entra nel mio petto, traforandolo.
Poi riapro gli occhi: sono sempre steso sulla moquette polverosa di Sarah, e in modo offuscato la sento urlare al telefono.
“No, cazzo, hanno sparato al mio ragazzo, venite a soccorrerlo, oppure morirà, vi prego!” Corre avanti e indietro davanti al bancone della cucina.
Richiudo gli occhi e il buio mi assale.
Tre mesi dopo
“Piccolo mio, ti prego, risvegliati” la voce di mia sorella è forte e chiara. Sento le sue lacrime bagnarmi la mano. Mi accarezza il viso, mi sposta i capelli dalla fronte, come faceva quando eravamo piccoli. E poi ricade sul mio braccio. Sono tre mesi che assisto alla stessa storia. Lei, mia madre, mio padre. Non posso vivere un altro giorno così.
“Buon compleanno, Amy” bisbiglio. E lei è più raggiate che mai.








||Questo capitolo ha lo scopo di approfondire Jared (che me lo immagino col volto del compianto Heath Ledger). Comunque che ne pensate? Accetto qualunque tipo di commento!
Restart||

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Emily POV
“E quindi a conclusione, oggi sarai dimessa” vedo gli occhi di Luke sorridere mentre mi dice questo. Dopo quasi un anno vissuto dentro questa camera di ospedale mi sento un po’ a disagio a lasciarla. Ma è meglio così. Mio fratello si mette in piedi facendo scricchiolare il ginocchio. Abbozzo un sorriso quando al suo posto arriva Harry. Ha i riccioli raccolti e gli occhioni verdi che brillano. Sorride mostrando le fossette. Adoro le sue fossette.
“Aspetta, Harry. Emily ha bisogno di assistenza, perciò dovrai stare a casa sua, visto che noi non possiamo starci” mio padre appare con il suo camice bianco e blu, con gli occhi grigi di cui sono innamorata. Sembra un angelo. E’ ritornato a essere freddo come sempre. Harry annuisce serio.
“Pensavo di portarla a casa mia” dice con la voce bassa. Mio padre lo fissa ancora per un po’, lo sguardo accigliato. Penso di non averlo mai visto sorridere. E nemmeno piangere. Lui è così, tutto d’un pezzo, senza emozioni, come un chirurgo di fama mondiale deve essere.
“Va bene” acconsente. Si avvicina a me e dopo avermi baciato a fronte se ne va, nel silenzio in cui è arrivato.
Harry si volta verso di me cercando di soffocare una risata. Prende il mio borsone con i vestiti e lo attacca alla mia sedia a rotelle. Ho litigato con tutti pur di non andarci, ma poi mio padre mi ha dato una dose di morfina per calmarmi e mi ha ficcato su questa sedia. Così mi lascio trascinare dal bel ragazzo che è Harry, pronta a conoscere la sua vita.

Zayn POV

Rifai il letto.
Pulisci la camera degli ospiti.

Queste sono state le uniche raccomandazioni che Harry mi ha lasciato. Rifai il letto. Pulisci la camera degli ospiti. In realtà non ho voglia di fare queste cose. So perché mi ha chiesto di farlo.
Emily verrà a stare da noi.
Emily, la stessa ragazza che la sera del compleanno di Harry è finito sotto la mia macchina.
Non sono pronto a questo.

Rifai il letto.
Pulisci la camera degli ospiti.

Perché dovrei farlo, eh Harry? Perché? Tanto te la porterai comunque nella tua camera da letto. Tiro la mela che stringevo in mano sul muro, macchiandolo. Non riesco a contenere la rabbia che covo dentro di me da troppo tempo.
Come dice il mio psicologo io sono autodistruttivo fino all’osso.

No POV

“Zayn cosa stai facendo” la voce di Harry arriva ovattata all’orecchio del ragazzo steso a terra. Generalmente è sorridente, ma in questo momento posso capire che suoi occhi, di solito verdi e brillanti, sono scuri. Urla cercando di svegliare Niall che si era addormentato. Il biondo tira su la testa, nello stesso momento in cui grida dallo spavento. Un rigolo di sangue fuoriesce dal petto di Zayn. Un rigolo troppo vicino a cuore. Si affretta a prendere della carta, mentre Harry prova a mettere in atto le procedure salvavita che all’università gli appaiono così noiose. Ma in quel momento estremamente necessarie. Deve salvare uno dei suoi grandi amici dalla morte che lo sta attendendo. La busta che aveva lasciato a loro è poggiata su una mensola del bagno. Una busta bellissima, in avorio, sembra una di quelle antiche.
L’ambulanza arriva in tempo per aiutare Harry. In solo un mese aveva salvato la vita a due persone. Non si sarebbe mai dimenticato di questo.
Questo flashback tornava spesso nella mente dei tre ragazzi. Niall non si era mai perdonato tutto quello che aveva fatto. L’addormentarsi mentre il suo migliore amico si uccideva l’avrebbe perseguitato a vita.
E Zayn lo fulminò proprio quando era steso a terra, non volendo fare un favore a Harry. Ma poi pensò al fatto che Harry gli aveva salvato la vita. E si alzò in piedi.

POV Emily

“Sei sicuro che sia una buona idea, poteri ucciderlo quando tu sei all’università” gli dico cercando di apparire seria. Harry alza l’angolo della bocca, abbozzando un sorriso. Staccò per un attimo lo sguardo dal parabrezza per guardarmi.
“Ti prego non lo fare” mi dice, guardandomi con uno sguardo supplichevole. Gli occhi sono lucidi, sembrano sul punto di piangere. Prima che lo possa accarezzare sul viso, torna a guardare fisso davanti a sé. E tra di noi cala il silenzio.
Arriviamo a casa sua e mi fa scendere dall’auto. Inspiro, sperando di riuscire a muovermi fino al portone. Ad aprilo è Zayn.
“Ciao Haz! Oh, ciao Emily” dice senza espressione, evitando il mio sguardo. Entro in casa e non riesco a capire come la facciano a mantenere così perfetta, da soli. E’ immensa. Sulle pareti del salotto ci sono dei quadri spettacolari, ma anonimi. Mi avvicino ad uno, indefinito. C’è solo una macchia rossa su uno sfondo grigio. E poi è pieno di ombre. Beh a dire la verità, fa paura.
“Bello vero?” l’accento irlandese mi raggiunge da dietro. Mi giro di scatto, colta di sorpresa. Un ragazzo biondo mi sta sorridendo.
“L-l’hai fatto tu?” chiedo. Lui sorride.
“Oh no. Io disegno veramente male, il mio massimo sono le casette con gli alberi. Questo lo ha disegnato Zayn” mi ammutolisco, ritornando a fissare la macchia rossa. Mi fa ritornare in mente quella sera di undici mesi fa. La macchia di sangue a terra, le ombre che mi circondavano, l’asfalto freddo.
“E cosa dovrebbe rappresentare?” chiedo timidamente. Il ragazzo rimane in silenzio, continuando a guardare anche lui il quadro. Ha gli occhi lucidi, il labbro inferiore che gli trema. Si passa frettoloso la mano sugli occhi azzurri, per scacciare le lacrime, che però compaiono di nuovo.
“Questo quadro l’ha fatto un po’ di tempo fa” inizia a parlare con voce tremante. “Inizialmente doveva rappresentare il tuo incidente. Ma da dieci mesi ormai io ed Harry lo colleghiamo a qualcos'altro. All'incidente che ha avuto lui…” non riesce a terminare perché le lacrime che ora non hanno paura a scendere dagli occhi cristallini. Mi avvicino a lui con le braccia aperte, per indurlo ad abbracciarmi per tranquillizzarlo. Lui lo fa. Si butta, piangendo più forte. Dalla sua spalla vedo Harry guardarci serio. Poi bruscamente il ragazzo si stacca da me, passandosi la mano sul viso.
“Mi sono scordato di presentarmi, che stupido. Io sono Niall Horan” dice sforzandosi a sorridere.
“Emily Black” rispondo cordialmente. Continuiamo a fissarci per qualche minuto, i miei occhi incollati ai suoi. Poi ricollego il suo nome. C’era anche lui la sera dell’incidente. Mi getto addosso e lo stringo.
“Grazie, grazie, grazie” gli mormoro alla spalla. Sebbene in un primo momento lui sia sorpreso di quello che faccio, poi ricambia il mio abbraccio.
“Ma non ho fatto niente” sussurra timidamente.
“Non è vero. Ricordo quello che mi hai detto nell'orecchio. Era la tua voce. Mi ricordo il tuo accento irlandese, inconfondibile. Sono state le tue parole a darmi la forza di andare avanti, di risvegliarmi dal coma. Non me le dimenticherò mai. Grazie di tutto Niall




























||Nota autrice|| qui ho voluto approfondire un pochino il personaggio dolce e delicato di Niall che avrà un posto importante nella storia. Ho provato a rendere al meglio l'idea del ragazzo fragile, adorato da tutti. Mi scuso per il ritardo ma è difficile trovare l'ispirazione per quattro storie diverse che dovrebbero avere un aggiornamento settimanale.
Anyway, spero che il capitolo vi sia piaciuto, perciò commentate!
Un saluto e alla prossima,
Restart

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6                                                                                                                
And I need you now tonight
And I need you more than ever
And if you’ll only hold me tight
We’ll be holding on forever
Bonnie Tyler – Total Eclipse of the Heart
Emily POV
Mi agito sotto le coperte. Sono stata svegliata dall’ennesimo incubo. L’ennesimo riguardante l’incidente. Mi sforzo a tirarmi su ed andare in cucina. Bevo un po’ d’acqua per poi ritornare in camera. Così facendo noto una cosa che prima non avevo notato: un porta non del tutto aperta, rivela una stanza illuminata. Mi avvicino a piccoli passi, cercando di non fare rumore. C’è un ragazzo dentro che sta fissando uno scorcio di parete vuoto, bianco. Poi si gira nella mia direzione ma non si accorge di me. Ed io continuo a fissarlo nervosa.
Muove in modo quasi impercettibile la bocca sottile, ma allo stesso tempo rosea e carnosa. E’ piena di pellicine e graffi, soprattutto sul labbro inferiore. I denti bianchi e perfetti si intravedono a malapena.
Si passa la mano tra i lunghi capelli pece. Sebbene per qualche secondo questi rimangano disordinati sulla parte superiore della testa, poi gli ricadono scomposti davanti al viso spigoloso. Se li sposta di lato, ma gli ritornano sugli occhi. Con fare spazientito si porta i capelli sulla nuca legandoli in una piccola coda.
Prende la mascherina bianca e se la poggia sulla bocca e il naso. Raccoglie una bomboletta spray da terra e inizia a disegnare.
Si volta per un secondo verso la mia direzione ed io chiudo la porta con uno scatto disadatto. Forse non mi ero nemmeno resa conto che lo stessi guardando.
Quel ragazzo mi affascina, con il suo fare misterioso, oscuro, quasi. Con i suoi occhi magnetici, le mani delicate, con le dita lunghe, da pianista. Il fisico leggero, slanciato, che lo fa sembrare più alto di quanto sia realmente.
Faccio qualche passo verso la porta della mia camera, ma sento quella alle mie spalle aprirsi.
“Ehi” sussurra alle mie spalle. Mi volto di scatto, impaurita dalla sua voce.
“Ehi” gli rispondo cercando di apparire più disinvolta possibile. Lui fa una paio di passi verso di me, ma io indietreggio.
“Mi spiavi?” chiede con tono che cerca essere gentile. Annuisco, continuando a mantenere forte il contatto con il pavimento gelato. Lo fisso come se da un momento all’altro dovesse sgretolarsi sotto ii miei piedi.
“Sono andata a prendere un bicchiere d’acqua, avevo gli incubi, come ogni notte” riesco con non so quale forza a dire ciò. Lo fisso con un sguardo che cerca di essere supplichevole. Lui mette da parte lo sguardo pieno di odio con cui sono abituata vedermi fissata, e mi osserva con fare compassionevole.
“Anche io ho gli incubi. Ogni notte, mi sveglio, il più delle volte urlando. Se poi non riesco a prendere sonno di nuovo, vengo qui e disegno. Vuoi vedere?”
“Oh non lo so; non ti voglio disturbare, sai” mi avvio verso la mia camera.
“Non mi disturbi affatto” appoggia una mano dietro la mia schiena e sento il suo calore divamparsi in tutto il mio corpo.
“Okay” acconsento, sebbene l’io interiore mi dica di non accettare.
Entro in quella stanza come se entrassi in un universo parallelo. I graffiti sulle pareti brillano al barlume della lampada appoggiata sul pavimento. Appoggio due dita sul muro, come per cercare di reggermi alla realtà. Lui mi fissa da dietro, e già mi immagino il suo volto pieno di orgoglio e soddisfazione
“E quindi questo è il tuo regno?” domando ancora stupefatta.
“Esatto” acconsente. Osservo in silenzio lo spazio intorno a me. Poi mi soffermo su una piccola chiazza in un angolo buio della stanza. Una piccola pozza di sangue che ai miei occhi non è solo un neo in confronto agli altri graffiti, ma qualcosa che si estende velocemente. Indietreggio spaventata, rannicchiandomi per terra, racchiusa in un piccolo bozzolo, le mani che premono contro gli occhi, le ginocchia che mi sfiorano le labbra. E piango, impedendo però alle mie lacrime di strisciare sul mio volto teso.
Nella camera si odono solo i miei singhiozzi disperati. Lui viene vicino a me, ma non mi sfiora nemmeno. Rimane sdraiato a terra, tanto vicino da poter sentire il suo calore, ma tanto lontano da non poter sentire le sue emozioni. E’ immobile, non fa alcun movimento. Quando piano piano i miei singhiozzi posso capire che anche lui sta piangendo. Un pianto silenzioso, sebbene qualche volta di piccoli singhiozzi, impercettibili, fuoriescono dalla sua bocca carnosa. Mi accosto a lui, appoggiando la tempia sulla punta più esterna della sua spalla.
Rimaniamo così, minuto su minuto, in silenzio, con le lacrime orde di rancori, di rimorsi, di rimpianti.
I nostri visi ancora tesi, a fissare quel neo di sangue che si dilaga per la stanza, sommergendoci.
“Ho sbagliato, Emily. Due volte. Quella macchia, anzi quelle macchie, non ci sarebbero dovute essere nella graffito che è la mia vita. Tutte le volte che guardo quel punto, impazzisco. Ho dovuto fare molta pratica per l’autocontrollo. Pensavo di essere l’unico a cui faceva questo effetto. Mi considero un debole. Cazzo, un che sviene solo a vedere una macchiolina rossa sul muro, è un folle… Io” non riesce a finire il discorso, per vie delle lacrime che inondano il suo volto.
“Non sarai mai solo. Non sarai mai un perdente. Almeno non l’unico” provo a sorridere e anche lui lo fa.
Iniziamo a ridere insieme, dimenticando per un attimo tutti i rancori, le paure che ci legavano, il sangue sulle pareti sta scivolando via, come dai nostri corpi. Le nostre risate all’unisono fanno in modo che si secchino le ferite, le nostre ferite, i nostri sbagli. Per continuare a sorridere.











|Nota autrice|
Due settimane sono tante, troppe. Ma in questo periodo è stato particolarmente difficile utilizzare il computer. Comunque questo potrebbe definirsi l'ultimo capitolo, se praticamente nessuno mi dice cosa ne pensa. Per me si potrebbe concludere così, in sospeso. Quindi, per favore, se ve ne interessa qualcosa, anche in negativo, fatemelo sapere.
Scusate, non amo i ricatti, però non avevo molta scelta. 
Restart

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
Emily POV
Scosto leggermente le coperte per poter scendere dai cuscini. Mi fa male la schiena e ho la gola secca, ma non ci faccio caso. Faccio con più calma e silenzio possibile a rientrare in camera mia.
Appena chiudo la porta alle mie spalle, il cellulare si illumina.
Zayn.
‘Perché sei fuggita? ’
Rimango spiazzata. Inizio a fissare il cellulare, con lo schermo luminoso che mi sta facendo pizzicare gli occhi, ma non ci voglio pensare.
Un altro messaggio.
‘Sono fuori, aprimi’.
Non so cosa fare. Aprirgli, o no? Mi mordo insistentemente il labbro. Poi mi volto e faccio scattare la maniglia della porta.
Zayn è in piedi davanti a me. Sta tenendo tutto il suo peso su un piede solo, i suoi occhi sono stanchi, ma luminosi. Ha i capelli sciolti che gli coprono il viso.
“Posso entrare?” mi domanda e io annuisco.
“Oggi ti porto in un posto. Tu hai bisogno di un taglio drastico” gli dico e lui si passa la mano tra i capelli scuri. Sebbene la stanza sia buia, riesco a vedere il suo sorriso.
“Anche tu” e sorride di nuovo. Mi passa la mano sui capelli castani.
“Li dovresti fare molto corti…” con un dito mi sfiora il collo e io mi rendo conto di quanto siano fredde le sue mani.
“Hai avuto un tremito, Emily, hai freddo?” mi chiede e io scuoto la testa.
“Le tue mani, sono gelate Zayn”. Sorridiamo insieme. La mano che prima mi accarezzava i capelli è scesa alla mia mano, stringendola. Mi trascina dentro il letto, sotto il piumone e mi stringe a sé. Ho la testa premuta contro il suo petto e sento il suo cuore battere. Forte troppo forte. Sono stata cresciuta da due medici, so quando un cuore batte irregolarmente.
“Ti faccio questo effetto?” chiedo timida, più al tatuaggio che ha sulla clavicola che a lui.
“Che cosa intendi?” sussurra, poggiando il mento sui miei capelli. Premo leggermente le labbra all’altezza del suo cuore.
“Intendo questo. Il tuo cuore batteva all’impazzata” lo sento irrigidirsi intorno a me, allora lo rifaccio. Premo le labbra sul suo cuore e lui si rilassa.
“Sì” è debole, ma l’ho sentito. Ha la fronte premuta sulla mia e il suo naso mi sta sfiorando le labbra.
“Hai un naso molto lungo lo sai?” scherzo, forse per paura di quello che potrebbe accadere.
“Ho detto molte bugie nella mia vita” schietto, diretto.
“Mi piaci”
No, non l’ho detto. Oddio, l’ho detto seriamente?
Cosa?” Zayn ha lo sguardo divertito.
“Era solo un pensiero ad alta voce, seriamente non ci devi fare caso, sul serio io…” non mi lascia finire. Le sue labbra sono sulle mie in un attimo. Per una volta nella mia vita pensare ad alta voce è servito a qualcosa.
La mia impulsività diventa bella in queste occasioni.
Ci baciamo per alcuni minuti, poi mi ricordo di Harry. Jared, l’incidente, Harry, Zayn. Improvvisamente mi sento una sgualdrina. Non mi posso, non posso essere innamorata di tre ragazzi in contemporanea. Ma Jared fa parte del mio doloroso passato. Mi ricordo che il suo anello è ancora nella borsa di pelle appoggiata sulla sedia di legno di cucina. Mi ricordo di Harry che mi ha svegliato dal coma. Che mi ha tenuto compagnia quando dormivo. Che tiene nascosta una scatola blu, dove sicuramente c’è un anello dentro. E Zayn. Mi sto baciando con uno con cui condivido dei legami di ferite, sbagli, errori.
Mi stacco da lui. Zayn mi guarda perplesso.
“Ufficialmente io sto con Harry. Teniamolo nascosto, okay?” lui annuisce ed esce dal mio letto.
“Oggi andiamo a tagliarci i capelli. Alle quattro fatti trovare pronta” e chiude la porta.
---
“Signorina come li vuole?” la parrucchiera mi fissa sorridente. Guardo allo specchio dove si vede il riflesso di Zayn che sta parlando con il barbiere. Lo vedo parlare serio, annuendo.
“Molto corti” prende le forbici e ai miei piedi iniziano a formarsi dei cerchi di ciocche castane.
-
“Fammi vedere” mi posa una mano sul cappello che indosso. Alza un sopracciglio e io acconsento. Ho i capelli molto, molto corti. Qualche ciuffo mi ricade sulla fronte, ma mi piace.
“Sei bellissima” sussurra sorridendomi.
“Smettila di comportarti così. Sei troppo dolce” gli punto il dito contro il petto, nello stesso punto in cui stamattina gli ho lasciato dei baci. Lui ride e io mi unisco a lui. Poi si avvicina a me e mi sussurra in un orecchio:
“Posso baciarti?” io annuisco. E’ un bacio rubato, veloce, ma pieno di emozioni.
“Ho fame” annuncio e lui mi trascina in un bar dall’altro lato della strada. Lui prende un caffè mentre io rimango a fissare i gusti dei gelati.
“E’ inverno. Sei sicura di prenderti un gelato?” è alle mie spalle.
“No, ovviamente, ma mi ricordano quei pochi giorni in cui potevamo passare un po’ di tempo con mio padre. Lui era sempre assente per via del lavoro che fa, ma in quei giorni ci portava a prendere il gelato, anche se nevicava. Era così bello. Mio padre è una persona fantastica, ma io non voglio stare mezza giornata alla settimana con i miei figli. Anche per questo mi rifiuto ad andare alla Facoltà di Medicina come hanno fatto Mark e Luke” lo guardo con le lacrime agli occhi. “Dio te ne sto parlando come se fosse morto. No, lui è vivo, ma riesco a vederlo raramente” continua a guardarmi serio, ma poi gli angoli della sua bocca si piegano leggermente.
“Ti ci porto adesso se vuoi” propone, ma io scuoto la testa.
“Ha sempre odiato quando andavamo a trovarlo. Sai, lui non c’era, ma io stavo con la mia matrigna. E con lei ogni tanto andavamo in ospedale. Io, Mark e Luke ci chiudevamo nell’ufficio di papà e facevamo lì i compiti. Lui faceva capolino tra un intervento e l’altro. Io avevo otto anni, Mark tredici e Luke quindici”
“Vuoi bene hai tuoi fratelli?” mi guarda fisso. Ci siamo seduti ad un tavolino, mentre aspettiamo i caffè che abbiamo ordinato.
“Certo, che domande. Loro sono i miei fratelloni. Ero così disperata quando se ne andarono all’università. Io ero rimasta sola con mio padre. La mia matrigna è morta quando avevo dieci anni.”
“Mi dispiace” mi prende la mano e inizia a tracciare cerchi invisibili sul dorso dei essa.
“E’ passato molto tempo. E’ stata più madre lei che di quella che mi ha messa al mondo” accenno un sorriso alla cameriera che ci consegna le due tazze. “E invece tu? Raccontami della tua famiglia” lui scuote la testa amareggiato.
“Non c’è niente da dire. Ho passato una vita di merda” si porta la tazza alla bocca e io capisco che è il momento di stare zitta.
Poco dopo ci alziamo e facciamo una passeggiata al parco. Mi blocco però quando vedo venirmi incontro un agente di polizia.
“Signorina Amelia Black?” accanto a lui c’è una donna che non conosco. Zayn si volta verso di me confuso.
“Mi chiamo Emily” lui si volta confuso verso la donna e ha uno sguardo come spiazzato.
“Ti ha cambiato nome, quel vigliacco di tuo padre?” è ancora abbastanza giovane e bella, sebbene abbia qualche ruga.
“Modera i termini, non conosci abbastanza bene mio padre per chiamarlo vigliacco” ringhio, pronta a scattare. Ma Zayn mi stringe entrambe le braccia.
“Oh, mia cara, lo conosco, molto bene. In dodici anni di matrimonio, ho imparato a conoscerlo”
E improvvisamente la rivedo in quella piccola fototessera sgualcita che cadde una volta dal portafoglio in pelle di mio padre. Con i capelli lunghi castani, gli occhi identici ai miei, i jeans corti e una camicetta verde. Mio padre sorrideva e anche lei.
“Tu sei…”
“Tua madre, Amelia”
------------




Tante novità per questo capitolo, che ho fatto molto più lungo per scusarmi della mia assenza. Scusatemi.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, un bacio,
Restart

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Amelia.
Cristo, è un nome orribile.
Amelia.
Mi sento come la strega cattiva nei fumetti di Paperino.
Amelia.
Ora capisco perché mio padre mi ha cambiato nome.
“Tu mi stai mentendo. La donna che mi ha messo al mondo è a New York a regalarla a tutti, mentre mia madre è morta. Quindi, stammi lontana” balbetto confusa, indietreggiando, ma lei mi segue.
“Sono tua madre Amelia” continua a ripeterlo, ma io continuo ad essere sicura che sta mentendo.
“Tu stai mentendo” e scuoto la testa, ma lei continua ad essere sorridente.
“Ehi, calmiamoci, okay? Emily, o Amelia, non so come chiamarti, comunque, dovresti comunque darle una chance. E’ tua madre” Zayn è tranquillo, ma questo non vuol dire che lo sia anche io.
“Come fai a sapere che non sta mentendo, eh?” mi scaglio contro di lui, anche se non ha colpe. Ormai la mia mente è annebbiata, non capisco più niente.
“Lo vedo nei suoi occhi. Sono limpidi, brillanti, come i tuoi. E’ tua madre, ne sono certo” mi poggia delicatamente le labbra sulla guancia e io mi rilasso al suo tocco.
“Come hai fatto a trovarmi?” le chiedo, mantenendo il tono duro e distaccato che si usa con gli sconosciuti.
“Ho rintracciato Mark, ho parlato con lui. Volevo solo vederti, tutto qui. Tuo padre mi ha portato va da te senza che io ti potessi conoscere. Eri così piccola…Lo so che te sei cresciuta con Mary, e le sono molto grata. Sai io l’ho conosciuta lei. Era una donna in gamba. Lavorava nello stesso ospedale di tuo padre, a New York. Io vedevo tra di loro molto feeling, sapevo che dovevo farmi da parte, è quello che ho fatto. Mi sono fatta da parte, ma così facendo ho perso te, Mark e Luke. I mie più grandi amori, insieme a tuo padre. Ero spersa. Non credere che dopo che partiste per Londra me la spassai. Ogni giorno guardavo la posta nel caso in cui tuo padre mi dicesse qualcosa. Ma niente per ventuno anni. Ho dovuto voltare pagina per un po’, ma poi sono tornata indietro e sono venuta a Londra, mi sono messa in contatto con Mark e sono riuscita a trovarti. E quindi eccomi qua, davanti a te” sorride, ma il suo sorriso non è affatto contagioso. Cerco lo sguardo di Zayn, ma lui sta fissando gli alberi. Il suo sguardo è fisso, so che sta avendo uno dei suoi momenti. Perciò gli prendo la mano e gliela stringo, per fargli capire che io sono qui con lui. E sul suo volto torna a farsi vedere un sorriso.
“Ti lascio il mio numero di telefono, okay? Se hai voglia di parlare con me mi chiami. Torno a New York tra quattro giorni. Se vuoi venire a farmi visita là” mi porge un biglietto da visita.
“Devo parlarne con mio padre” le dico schietta e lei ridacchia.
“Ma cara, hai ventuno anni. Sei maggiorenne. Non c’è bisogno che tu chieda il permesso a tuo padre per prendere un aereo” io continuo a guardarla scontrosa e anche il suo sorriso si affievolisce.
“Devo parlarne con mio padre. Arrivederci” giro sui i tacchi, trascinandomi Zayn e mi allontano da quella donna.
-
Butto i pantaloni a lavare ma mi accorgo che nella tasca posteriore c’è un biglietto avorio. Lo prendo e lo leggo attentamente un paio di volte, anche se ormai so a memoria cosa c’è scritto.
“Jeanne Blanche, psichiatra” e poi il suo numero.
E’ solamente un foglietto di cartoncino color avorio, semplice, con i caratteri scuri, chiari. Me lo infilo in tasca ripromettendomi di chiamarla. Corro per le scale per raggiungere il telefono.
“Sì pronto, Jeanne, mamma, sono Emi, ehm, Amelia. Vorrei parlare con te” la sento ridere dall’altro capo del telefono.
“Va bene tesoro. Ci vediamo venerdì al bar sotto casa mia. Ti lascio l’indirizzo” scrivo quello che mi dice. Riattacco la chiamata e sospiro, troppo rumorosamente.
“Ha chiamato tuo padre oggi. Ha detto che hai saltato la visita di controllo oggi. Ci devi andare domani” Harry è davanti a me le braccia incrociate sul petto e lo sguardo che mi fissa severo. Mi mordo ripetutamente il labbro inferiore che a forza di fare così si è rovinato completamente.
“Dove eri finita Emily?” le sue labbra sono strette in una linea sottile, quasi invisibile. Dovrei dirgli la verità? Che ero uscita con Zayn e che ho incontrato mia madre?
“Non posso dirtelo” sussurro leggermente. Lui annuisce serio, distogliendo lo sguardo da me.
“Devi sapere una cosa molto importante di me. Sono molto possessivo e di conseguenza geloso. Se non vuoi stare con me, ma con qualcun altro, dillo, ora perché se poi la nostra relazione dovesse prolungarsi in meglio, sappi che non voglio intralci di tradimenti o altro. Uomo avvisato, mezzo salvato” torna a fissarmi duramente.
“Sono andata fuori con una mia amica, una mia collega, Claudia, forse la conosci, l’abbiamo vista una volta da Harrod's” mento spudoratamente. Non voglio rovinare il nostro rapporto, ma soprattutto il suo con Zayn. Però il suo volto si è addolcito.
“Sì, mi ricordo di lei. Siete andate dal parrucchiere vedo. Ti stanno molto bene così” mi bacia la fronte sorridente.
“Chiama tuo padre. Quando hai fatto ti aspetto su, in camera mia” sussurra alla mia fronte e quando io annuisco timidamente se ne va, non prima di avermi baciato delicatamente sulle labbra. Digito il numero di mio padre e lo chiamo. Risponde un’infermiera.
“Sì, sono la figlia di Eric Black, gli può chiedere quando è libero domani per la visita di controllo?” sento un brusio, classico di mio padre e poi l’infermiera mi dice di andare alle undici. Biascico qualcosa di simile a un ringraziamento e riattacco.
Gli devo parlare di Jeanne. Ma ora devo pensare solo a Harry, molto probabilmente nudo, che mi sta aspettando in camera.
Ho voglia di sesso.
Ho una voglia matta di sesso.
Il sesso con Jared era spietato, infuocato, bello, emozionante, ogni volta. Anche quello con Harry lo è.
Mi tolgo le scarpe e le lascio davanti al mobile del telefono e piano piano che salgo le scale mi tolgo tutti i vestiti che indosso dimenticandomi di Niall e soprattutto di Zayn.
Apro la porta della camera di Harry che sono completamente nuda. Anche lui lo è, steso sul letto e mi sorride. Mi avvicino e lo bacio appassionatamente. Anche lui lo fa, mentre mi stringe con vigore i glutei con le sue grandi mani. Poi passa ai seni, giocherellando con i capezzoli. Un piccolo gemito mi scappa dalla bocca. Lui si mette sopra di me e sento la sua eccitazione pulsare sulla mia gamba. Entra piano piano e poi con più forza dentro di me ed io mi sento felice. Non penso al fatto che non indossi il preservativo. In questo momento non mi importa di niente. Afferro le lenzuola stringendole nelle mie mani sudaticce e urlo a pieni polmoni dal piacere.
Amo il sesso con Harry.
Amo Harry. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2931361