La mia rivincita

di Shayla_the_angel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. ***
Capitolo 2: *** 02. ***
Capitolo 3: *** 03. ***
Capitolo 4: *** 04. ***
Capitolo 5: *** 05. ***
Capitolo 6: *** 06. ***
Capitolo 7: *** 07. ***
Capitolo 8: *** 08. ***
Capitolo 9: *** 09. ***
Capitolo 10: *** 10. ***



Capitolo 1
*** 01. ***


Primo capitolo di una nuova fic. Sinceramente non so come mi sia venuta in mente ^^

In ogni caso voglio tanti commentini perché almeno so cosa ne pensate. Come al solito i Tokio Hotel non mi appartengono (purtroppo) e questo scritto non è stato prodotto a scopo di lucro (???). Ok, a voi la storia.

 

La mia rivincita

 

01.

BERLINO_PER STRADA

 

Stavo camminando tranquillamente. Nessun pensiero, nessun problema. La mia vita proseguiva tranquilla. Non chiedevo niente di più di quanto avevo. Eppure quella mattina accadde.

Oh, avete ragione. Mi sono messa a parlare e nemmeno mi presento!Che sbadata. In ogni caso, mi chiamo Alena e ho diciannove anni. Al mattino lavoro in una piccola cartoleria, mentre di sera lavoro come tecnica del suono per un gruppetto poco famoso. Ok, aggiusto i microfoni e gli impianti al gruppo di mio fratello. A dirlo così però sembra patetico. Vabbè, sorvoliamo.

Quella mattina dovevo andare a prendere un paio di corde per il bassista e chiedere disperatamente al commesso se gli erano arrivati gli spartiti per tastiera degli U2. Entrai nel negozio tranquillamente e mi misi a guardare qua e là, come al solito. Ad un tratto udii delle voci. Il commesso, Daniel, stava parlando con qualcuno, di cui non conoscevo la voce. Sembrava una voce da film, di quelle che senti solo nei doppiaggi dei divi di Hollywood.

Incuriosita, mi avvicinai all’ingresso. Presi a caso una rivista dallo scaffale ed osservai la scena. Un uomo sulla quarantina si era praticamente comprato tutte le corde di chitarra e basso del negozio.

Mi avvicinai alle scatole e notai sconfortata che erano state razziate tutte. Il mio sguardo fece sorridere Daniel.

“A quanto pare oggi ti va male, tesoro” mi disse.

L’altro cliente mi guardò.

“Signorina sta cercando qualcosa?” mi domandò. Il suo sguardo mi irritò profondamente. Sembrava volesse dirmi “Mi dispiace ciccina, ma sono arrivato prima io. Ora ti attacchi!”.

“Beh, sinceramente mi servirebbero due corde…” dissi, osservando il corposo mucchio che l’uomo aveva poggiato sul bancone.

“Oh, mi dispiace, ma la prossima volta ti converrà prenderle prima di gironzolare per il negozio” disse, con un sorrisino.

Ribollii di rabbia.

“Senta, i suoi figli non si arrabbieranno di certo se mi cede due corde, o sbaglio? Ne ha lì almeno trenta per tipo” dissi, cercando di sembrare minimamente calma.

L’uomo rise.

“Ma queste non sono per i miei figli” disse, poi pagò e si allontanò, sempre ridendo.

Sospirai.

“Senti, dammi almeno una buona notizia…” dissi, rivolta a Daniel.

“Mi dispiace, ma niente U2, almeno fino al prossimo mese”.

Ero demoralizzatissima.

“Senti, ma che cazzo aveva da ridere quello lì?” domandai, ai limiti dello sconforto.

“Come? Ma davvero non l’hai riconosciuto?”

“No”

“Eppure era sulla rivista che stavi leggendo”.

Guardai la copertina del giornale.

“David Jost, il manager dei Tokio Hotel si racconta per noi”.

“David Jost…ecco dove avevo già visto quella faccia da schiaffi!” esclamai.

“Senti, te lo prendi quel giornale?” mi domandò Daniel.

“Ma sì. Fammi leggere qualche stronzata. Senti, appena arriva qualcosa di utile, chiama pure Eric”

“Sì, stanne certa. Buona giornata”.

Mi allontanai a passo svelto, leggendo il giornale.

“Stiamo cercando una giovane band ancora sconosciuta per aprire i concerti dei Tokio Hotel per il prossimo tour”. La faccenda era abbastanza interessante. Avevo già sentito parlare dei Tokio Hotel, anzi a dire la verità avevo anche proposto a mio fratello e al suo gruppo di provare qualche cover loro, perché le canzoni mi piacevano abbastanza. Strano che non avessi mai sentito parlare di quel rompi palle del loro manager.

Sospirai, poi entrai in casa. Era il mio giorno libero dalla cartoleria, quindi mi rimboccai le maniche e risistemai quel buco di appartamento dove vivevo con mio fratello e con i suoi amici.

Sì, non prendetemi per una sfigata, ma da quando io e il mio ragazzo avevamo rotto, mi ero ritrovata praticamente in mezzo alla strada e se non fosse stato per Eric, a quest’ora probabilmente non sarei nemmeno qui a raccontarvi la mia storia.

In ogni caso, i ragazzi erano tutti al lavoro. Mio fratello e Matt, il batterista lavoravano per un industria di pittura fuori città, mentre Jo, il bassista faceva il barman in un bar in centro. Erano tutti e tre sempre mega impegnati, ma la musica li rilassava e provavano sempre di sera. La fortuna era che abitavamo in una piccola palazzina fuori città e gli altri inquilini non si erano mai lamentati. Accesi lo stereo, sicura che i vicini fossero tutti fuori casa, quindi mi misi a rassettare cantando ad alta voce.

Non sentii nemmeno la porta aprirsi.

“Sorellinaaaaaaaa!” una voce deliziosa per le mie orecchie.

“Eric!” esclamai, spegnendo lo stereo e correndo tra le braccia di mio fratello.

Era più grande di me di due anni, ma era come se fosse il mio gemello.

Dietro di lui vidi arrivare anche Matt. Alto, biondo dagli occhi grigi ed un sorriso irresistibile.

“Cosa? Stai sistemando?” mi chiese il giovane, scompigliandomi i capelli. Anche lui era coetaneo di mio fratello.

“Ovvio, se non ci fossi io vivreste in un porcile!” esclamai ridendo. Era quasi l’una.

“Ragazzi, che ne dite se andiamo a mangiare da Lu?” chiesi.

Lu era la mia migliore amica. Si chiamava Ludovica, ma siccome il suo nome le faceva schifo si faceva chiamare Lu. Era proprietaria di un ristorantino niente male dove si mangiava da Dio spendendo pochissimo.

Salimmo in macchina, poi mio fratello si mise al volante.

“Oggi che giorno è?” chiese.

“Mercoledì” risposi.

“Oddio! Allora domani sera abbiamo il concerto dentro al bar di Andrea”.

Altra presentazione, scusate sto nominando parecchie persone che voi non conoscete.

Andrea era la ragazza di mio fratello. Stavano insieme dai tempi della seconda media. Una roba pazzesca. Quasi dodici anni di fidanzamento e ancora si amavano all’inverosimile.

“Beh, i pezzi che avete preparato sono bellissimi” dissi, dal sedile posteriore.

“Sì e vorremo che tu cantassi con noi” mi disse Matt.

“Cosa?!?” domandai.

“Sì, dai Ale!”. Solo lui e mio fratello mi chiamavano così.

“Ma come vi è venuta in mente questa cosa?” chiesi.

“Beh, tuo fratello canta bene, ma ci manca la ragazza immagine per il gruppo!” disse, sorridendomi.

“Io? Ragazza immagine? Ma mi hai vista?”.

Ero cicciottella, con i capelli perennemente in disordine e spessi occhiali a nascondermi il viso.

Non mi piacevo e non erano molti i ragazzi ad apprezzare il mio aspetto fisico.

“Dai, non dire così. Adesso ne parleremo a Lu. Scommetto che anche lei sarà dalla nostra parte” disse Eric, parcheggiando.

Scendemmo dalla macchina ed entrammo dentro il ristorante, dove la mia amica ci accolse.

“Ecco, lei potrebbe benissimo fare la ragazza immagine” pensai. Alta, con le gambe chilometriche e il fisico da Miss America. Lunghi capelli corvini ereditati dal padre spagnolo e occhi azzurri della madre norvegese.

“Ragazzi! Che piacere vedervi da queste parti!” esclamò, abbracciandoci.

“Senti Lu, oggi che ci proponi?” chiese Matt.

La mia amica si sfiorò il mento con una mano dalle unghie smaltate.

“Dunque, come primo un piatto di lasagne caserecce, di secondo una bella bistecca ai ferri con contorno di insalata e mais. Frutta fresca di stagione e dessert a scelta tra quelli della casa”

Il giovane bassista annuì. “Apprezzo pienamente la tua scelta!” esclamò, sorridendo.

“Senti, che ne pensi di Ale come nostra ragazza immagine?” chiese mio fratello.

“Strepitoso!” disse Lu.

“Dai, ragazzi. Non prendetemi in giro. Se vi facessi da ragazza immagine probabilmente perdereste tutti i vostri fan” dissi, avvilita.

“Eric, lascia fare a me. Ora mangiate, poi la sequestro io! Non preoccupatevi” disse la mia amica.

Dopo pranzo, infatti, lasciò la gestione del locale ad un ragazzo e mi portò a casa sua.

“Senti, perché devi buttarti giù di morale in questo modo?” mi chiese, mentre guidava.

“Perché? Dai Lu, ti sembra il caso di farmi questa domanda? Guardami…non sono per niente quella che si definirebbe una bella ragazza”

“Oh, che palle! Secondo te tutte quelle che stanno in televisione o che sono famose sono tutte delle strafighe a livello universale? No! La maggior parte sono cesse. Se solo le belle donne potessero fare spettacolo, allora saremmo messe molto male. Ci sono doti migliori della bellezza. Tu hai un cervello che farebbe invidia a molte ragazze belle, fidati. E poi, per la cronaca, se quelle veramente brutte fossero fatte come te, allora sarebbero contente”.

Lu, la mia migliore amica. Sapeva tirarmi su di morale in ogni momento.

“Senti, il trucco o make up, come preferisci chiamarlo, lo hanno inventato proprio per perfezionare i piccoli errori”

Arrivate a casa sua, mi tolsi la giacca. Ormai conoscevo a memoria quell’appartamento. Più volte ero stata invitata a vivere lì, ma mi ero sempre opposta. Preferivo stare con mio fratello.

“Dunque, siccome il concerto sarà domani…vediamo un po’ cosa si può fare. Primo, cambiare taglio di capelli. Con i capelli lunghi sembri Maria Addolorata!” esclamò. Mi fece sedere in bagno, poi cominciò a tagliare.

Aveva aperto un ristorante, ma era anche un’ottima parrucchiera ed estetista.

Quando terminò il suo lavoro mi guardai.

“Mio Dio! Ma che hai fatto?” chiesi.

Mi aveva tagliato i capelli di almeno trenta centimetri. Erano corti dietro e più lunghi davanti.

“Beh, per ora è così, ma magari più avanti puoi tingerli di biondo o di un altro colore” disse, soddisfatta.

“Ok, ora diciamo pure che sembro una povera scema”

“Non è vero. Stai benissimo”

Avevo un dannato ciuffo che continuava a finirmi davanti agli occhi.

Look molto simile a quello di una ragazzina di sedici anni.

“Non sembro un po’ troppo piccola?” chiesi.

“Guarda, fidati di me se ti dico che è sempre un bene che le ragazze sembrino più giovani”.

Sospirai. Quello era un look troppo appariscente. Troppo diverso da me. Mi sentivo a disagio.

Lu mi sorrise dal riflesso dello specchio.

“Senti, non fare quel muso lungo. Scommetto che a Matt piacerai da morire”

Arrossii. Solo lei sapeva che per Matt era più di un semplice amico.

“Senti, domani pomeriggio, prima del concerto vieni qui da me, così ti trucco e ti do dei vestiti adatti”

“Senti, niente mini gonne o top, ti scongiuro!”esclamai.

Lu rise.

“Non ti preoccupare. So quello che faccio”.

La salutai, poi presi un taxi e tornai a casa.

Eric e Matt stavano preparando gli strumenti per la prova generale di quella sera.

“Ale arrivi al momento giusto! Ce la fai a sistemare l’amplificatore?” mi chiese Matt.

“Certo” dissi, chinandomi.

“Hey, ma hai tagliato i capelli!” mi disse.

Io annuii.

“Stai molto meglio” aggiunse, sorridendo.

Io arrossii, poi mi alzai di scatto.

“Bene, qui è tutto pronto. Io vado a preparare la cena, almeno per quando arriva Jo è tutto pronto” dissi, allontanandomi.

Avevamo fatto insonorizzare la stanza per le prove, in modo che il baccano fosse attutito almeno in parte.

In compenso però, almeno una persona doveva entrare in sala prove con il cellulare acceso al massimo volume.

Più volte mi era capitato di chiamarli per minuti interi senza ottenere risposte perché non mi sentivano.

Mi misi ai fornelli e meno di dieci minuti dopo sentii la porta aprirsi.

“Sono a casa!” era Jo. Lui aveva ventitré anni ed era figlio di due immigrati argentini.

Si chiamava Joachim ed era l’uomo più buono del mondo.

Mi salutò, come suo solito, con un bacio sulla guancia.

“Buona sera tesoro” mi disse.

“Ciao maritino”.

Ci divertivamo a fare gli sposini. Ormai era un giochetto che andava avanti dai tempi delle superiori.

“Gli altri due sono in prova” dissi.

“Ah già. Domani è il grande giorno”

“Jo, ascoltami. Lo dico solo a te, perché non voglio mettere in ansia i ragazzi…” dissi a bassa voce, con aria da cospiratrice.

“Che succede?”

“Beh, credo che domani sera ci sarà una sorta di talent scout” dissi.

“Dici sul serio?” mi chiese.

“Sì, ho letto su questa rivista che il manager dei Tokio Hotel sta cercando una band che apra i loro concerti e sta girando praticamente tutta Europa alla ricerca del gruppo giusto. Lui si occupa prettamente di questa città e si da il caso che domani sera l’unico concerto live sia proprio il vostro”

“Nostro vorrai dire. I ragazzi ti avranno certo informata che canterai con noi domani…lo noto dal tuo nuovo look”

Arrossii.

“Beh, sì. Però il gruppo siete voi tre, io mi aggrego solo questa volta”.

Jo rise e mi diede una leggera pacca sulla schiena.

“Ne dubito chica!” disse ridendo.

Andò in sala prove e richiamò gli altri due. Era pronto da mangiare.

A tavola Eric mi illustrò la scaletta di brani che avremmo dovuto fare l’indomani.

“Sono tutti pezzi che conosci, li abbiamo provati migliaia di volte, quindi non ci saranno problemi” mi disse, sorridendomi.

“Ah, se farai carriera perderemo una cuoca favolosa” disse Matt, addentando un pezzetto di stufato.

Ebbene sì, me la cavavo molto bene in cucina e mi piaceva mettermi ai fornelli.

La tensione cominciava a salire. Mancavano più di ventiquattr’ore all’esibizione e già stavo male. Mi alzai per sparecchiare, ma i ragazzi mi fermarono.

“No, ora bisogna provare…a dopo i piatti” disse Jo.

Contro voglia, in quanto maniacalmente contraria al disordine, mi feci trascinare in sala prove.

Presi tra le mani il microfono e sospirai.

Mio fratello prese la chitarra, Jo il basso e Matt si sedette alla batteria.

Provammo per quasi un’ora e mezza.

“Perfetto! Se domani suoniamo così diventeremo la migliore band sconosciuta di tutta la Germania!” disse Eric, soddisfatto della prova.

“Non è detto…potremmo diventare famosi” pensai, sorridendo.

La mattina seguente, quando mi svegliai, i tre pigroni erano ancora a letto. Si erano presi tutti e tre un giorno di ferie, per prepararsi meglio alla serata.

Mi mossi lentamente dalla mia camera, andai in bagno dove mi lavai e mi vestii, lasciando il pigiama nel cesto della biancheria sporca, poi scesi al piano di sotto per preparare il caffè per tutti.

Dopo una rapida colazione mi lavai i denti, presi le chiavi di casa e della macchina, lasciando un messaggio appeso al frigorifero.

“Dopo il lavoro vado da Lu, ci troviamo direttamente da Andrea per le 21.00. Baci e non distruggete la casa! Ale”

Chiusi a chiave la porta, poi andai in garage, dove la mia piccola smart mi stava aspettando.

Arrivata in cartoleria mi misi dietro il bancone. Non avrei incontrato la mia collega almeno fino alle undici, quindi avevo ben tre ore tutte per me.

Mi sedetti e cominciai a leggere un libro che avevo iniziato qualche giorno prima.

Sentii il campanello tintinnare, quindi alzai lo sguardo.

Era una ragazzina di circa sedici anni. Stava rumorosamente masticando una cicca, sbatacchiando la bocca in maniera poco fine.

“Senti, che ce li hai gli indelebili colorati?” mi chiese, sbiascicando.

Odiavo le ragazzine che si atteggiavano.

Vestiva firmata dalla testa ai piedi.

Portava un paio di ballerine con la tela stampata di Gucci. Al braccio una borsa della Pinko. Jeans della Lee e una maglia di Dolce e Gabbana.

“Sì, sono su quello scaffale” risposi, tornando alla mia lettura.

Mancavano cinque minuti alle otto, sicuramente quella ragazza stava cercando un modo per arrivare in ritardo.

Rimase davanti a quei dannati pennarelli per quasi dieci minuti, poi si avvicinò di nuovo a me.

“Scusa, non è che ce li hai di un rosa più scuro di questo?” mi chiese, porgendomi un pennarello fucsia.

“Beh, più scuro di così c’è solo viola”

“Allora lo prendo così” disse, estraendo un borsellino della Guess.

“Un euro e trenta” dissi, preparando lo scontrino e mettendo l’indelebile in un sacchettino.

“Grazie. Ciao” disse, uscendo.

La vidi uscire dal negozio, poi fermarsi a scrivere proprio sulla colonna davanti all’entrata.

Mi chiesi come potesse essere tanto stupida. In quel momento passò una pattuglia di vigili urbani che notò la ragazzina e la multò.

Sorrisi mio malgrado. Non era nel mio stile comportarmi da stronza, eppure era necessario quel sorriso.

Ripresi a leggere, quando uno dei vigili entrò in cartoleria.

“Buon giorno signorina” mi disse.

Alzai lo sguardo. Aveva una faccia conosciuta, eppure non seppi dire dove lo avessi già visto.

“Buon giorno. Mi dica” dissi, chiudendo il libro.

“Ha venduto lei questo pennarello alla ragazzina che c’è di fuori?”

Io mi sporsi fingendo di non sapere cosa stesse accadendo.

“Ah, sì. Gliel’ho appena venduto, come mai?”

“La ragazza in questione è stata appena multata per aver scritto sul muro qui di fronte”

“Ebbene?”

“Lei è responsabile di aver venduto l’oggetto”.

“Aspetti un secondo. Io cosa c’entro?”

“Le verrà fatta una sanzione”

“Come scusi?” chiesi, sempre più allibita.

“Sì”

“No, aspetti. Se una persona vende un taglierino ad un’altra e quella commette un omicidio, è colpa del venditore?”

“In parte sì”

“Per cortesia, io la rispetto moltissimo, ma non dica cose che non stanno ne in cielo né in terra”.

Il vigile scoppiò in una sonora risata.

“Davvero non mi hai riconosciuto?” chiese levandosi il cappello.

Io lo guardai meglio.

“David?” chiesi.

Lui annuì.

Sorrisi e superai il bancone, poi lo abbracciai.

Eravamo in classe assieme alle medie.

“Come stai?” gli chiesi.

“Bene, te?”

“Bene! Allora, sei riuscito a fare quello che volevi, a quanto pare”

“Sì, te invece?”

“Io adesso lavoro qui e per il gruppo di Eric”

“Ah, beh almeno hai a che fare con la musica, come volevi, no?”

“Sì”

“Senti, ma quella ragazza quanto è stupida…ci ha visti arrivare da in fondo alla via, ma mica si è spostata…”

“Che ci vuoi fare? La gioventù furba e brillante se n’è andata con noi” dissi, ridendo.

Lui mi sorrise.

“Dai, un giorno organizziamo una rimpatriata, va bene?”

“Ok, avvisami appena sai qualcosa”.

Mi diede un leggero bacio su una guancia, poi se ne andò.

“E dire che alle medie mi rivolgeva appena la parola” pensai, sospirando.

La mattinata proseguì placidamente.

Entrò la solita vecchietta a chiedere delle cartucce per il nipote, la solita mamma ritardataria che cercava disperatamente le copertine per qualche quaderno. Il solito, come sempre.

Alle undici, a libro finito, arrivò la mia collega. Dafne.

Bella ed irritante come poche.

“Ciao Alena” mi disse con aria stizzita

“Ciao Dafne”.

Poteva permettersi di arrivare tardi solo perché era la fidanzata del figlio del proprietario e io credevo che fosse anche per quel motivo che aveva ottenuto il lavoro.

Era completamente dipendente dalle altre ragazze, me compresa. Non sapeva fare gli scontrini, non sapeva dov’erano le cose e guai a chiederle di fare l’inventario all’inizio e alla fine di ogni mese.

“Io ho una vita sociale, non posso sprecare il mio tempo in questo buco!” rispondeva regolarmente, al che io e le altre ragazze ci eravamo rassegnate al fatto che stesse in mezzo ai piedi a blaterare dei fatti suoi, mentre noi lavoravamo.

Era proprio grazie a Dafne che il direttore aveva dovuto assumere altre tre ragazze. Io e Marie non riuscivamo a fare tutto il lavoro.

In ogni caso, aspettai fino a mezzogiorno, quando arrivò Marie che mi diede il cambio.

“Buona fortuna. Oggi è di luna storta” le dissi, sorridendo.

“Oh, che meraviglia” rispose lei, sarcastica.

Me ne andai, salutando entrambe, poi corsi da Lu. Non vedevo l’ora di sapere cosa aveva in serbo per me.

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Capitolo 2
*** 02. ***


Bene! Rieccomi tra voi...dunque...tre commenti x il primo capitolo non è male ^^ ma si può fare di meglio...comunque, questa volta mi impegnerò a ringraziare tutti di volta in volta, altrimenti finisce come nell'altra fic che mi tocca fare un capitolo a parte per i ringraziamente...vabbè...

Grazie a:

Jaji: grazie, mi fa piacere che ti piaccia l'inizio ^^

GaaRa92: beh, pure io aggiorno molto lentamente (basta vedere quanto ci ho messo per postare la vecchia fic ^^) comunque mi impegnerò a fare la brava!!!

Billa483: Hi hi...sono contenta di averti incuriosito...ancora non so cosa succederà, però questo capitolo è un po' più tranquillo. Baci

E grazie anche a quelle tre persone che hanno messo la fic tra le preferite ^^ (Billa483, Leleo91 e Pazzerella_92).

Ok, ora ho finito. Kussen a tutti ^^

02.

 

BERLINO_CASA DI LU

 

Suonai il campanello e la mia amica mi venne ad aprire.

“Vieni pure. Immagino tu abbia fame, quindi prima si pranza e poi ti faccio vedere cos’ho preso per te” disse, sorridendo.

Dopo pranzo, che fu ottimo come sempre, Lu mi fece sedere sul suo letto e mi disse di chiudere gli occhi.

Sentii muovere dei sacchetti e quando riaprii gli occhi, vidi almeno una decina di jeans e quasi quindici magliette.

“Ma sei impazzita? Avrai speso una fortuna!” esclamai, notando le marche stampate a caratteri cubitali su ogni capo.

“Non ti preoccupare. Quelli che non ti piacciono posso riportarli indietro” mi disse, sempre sorridendomi.

Provai un’infinità di vestiti, poi, finalmente trovai il look giusto.

Jeans neri, a sigaretta, con una maglia lunga nera e degli stivaletti in camoscio neri che andavano molto di moda in quel periodo. Insomma, stavo veramente bene.

Lu mi saltellò intorno, soddisfatta.

“Che bello, sei bellissima” disse. Restammo insieme per tutto il pomeriggio, durante il quale la mia amica mi truccò, mi pettinò e mi diede anche un paio di lenti a contatto. Sembravo proprio un’altra persona.

“Lu, non so proprio come ringraziarti”

“Beh, basta che questa sera canti e ti diverti, per me sarà la ricompensa migliore” disse, abbracciandomi.

Alle otto e mezza partimmo verso il locale di Andrea. Si trovava proprio in centro ed era il live pub più in voga di quel periodo.

Non appena entrai, vidi mio fratello che stava letteralmente litigando con l’amplificatore.

“Hai bisogno di una mano?” chiesi, sorridendo.

“No, grazie. Adesso arriva mia sorella…” si fermò a metà frase, esterrefatto.

Mi guardò più volte.

“Mio Dio…Ale sei fantastica. Altro che ragazza immagine!” esclamò.

Io arrossii, poi sistemai tutti i cavi dell’amplificatore.

“Non sei mai stato bravo con queste cose…” dissi, sorridendogli.

Dopo aver sistemato le sue cose, mi occupai dei microfoni.

Ero in piedi, sul palco. Mi faceva uno strano effetto. Non avevo mai cantato davanti ad un pubblico. Mi tremarono le gambe, poi sentii una stretta alla spalla. Mi voltai e vidi Matt.

“Non ti preoccupare. Andrà tutto bene” disse, sorridendomi.

Annuii, arrossendo, poi mi preparai.

Ci sarebbe stata proprio Andrea a presentarci.

Alle 21 in punto, la biondissima fidanzata di mio fratello saltò sul palco.

“Buona sera!” esclamò attirando l’attenzione di tutti. Il gruppo di Eric era abbastanza conosciuto, quindi c’era parecchia gente.

“Questa sera, per voi si esibirà il mitico gruppo dei Damned. Con la speciale partecipazione di una voce femminile. A voi Eric, Jo e Matt, accompagnati dalla bellissima Alena!” esclamò.

Subito la luce dell’occhio di bue mi illuminò. Ero letteralmente appesa al microfono. Le gambe mi tremavano da morire.

La musica partì e con essa se ne andò anche un po’ di paura.

Cominciai a cantare, chiudendo gli occhi, per non vedere tutta quella gente.

La prima parte terminò dopo quasi un’ora. Dovevamo suonare ancora cinque o sei pezzi, a seconda di quanta gente d’era ancora.

“Bravissima” mi sentii dire, da una voce dannatamente familiare.

Mi voltai e vidi proprio David Jost. Il simpaticone che mi aveva privato di tutte le corde per i ragazzi.

“Grazie” risposi, fingendo di non conoscerlo.

“Mi scusi, ma lei ha un viso familiare”

“Davvero?”

“Sì, per caso ci siamo già visti?”

“Sinceramente la mia memoria visiva è piuttosto scarsa, mi dispiace” risposi.

“Oh, ora ricordo. Ci siamo visti proprio ieri mattina. Al negozio di musica”

“Ha ragione. Che sbadata, mi scusi, ma ho mille impegni per la testa, quindi…”

“Non si scusi. In ogni caso è lei il leader del gruppo?”

“No, è mio fratello, venga pure che glielo presento” dissi, sorridendo.

Sembrava più simpatico del giorno precedente.

Eric gli strinse la mano vigorosamente.

“Sono David Jost e sono il manager dei Tokio Hotel. La vostra band mi piace. Siete bravi e vorrei che apriste i concerti del prossimo tour del mio gruppo” disse, senza tanti giri di parole.

Mio fratello e Matt si guardarono, mentre Jo mi sorrise. Ce l’avevamo fatta.

“Per noi sarebbe un piacere…” disse Eric.

“Allora domattina vi presenterò ai ragazzi. Facciamo che ci troviamo qui per le otto e mezza?”

“Benissimo signore” disse Matt.

Sorrisi, sapendo che lui era il più pigro dei tre.

La serata proseguì normalmente. Alla fine avevamo ottenuto quello che volevamo. Andrea era entusiasta quando le comunicammo la notizia. Lu continuava a ridere e a scherzare.

Tornammo a casa più o meno alle tre. Tempo di sistemare tutte le cose ed eravamo a letto, ma io non riuscii ad addormentarmi.

Saremmo diventati famosi. Io, quella sfigata e cicciottella che tutti prendevano in giro, avrei aperto tutti i concerti dei Tokio Hotel, avrei girato l’Europa.

Mi sorpresi a piangere dalla gioia. Finalmente avevo ottenuto quello che volevo.

Alle cinque mi alzai. Non riuscivo proprio a starmene a letto. Andai in bagno, mi lavai la faccia, poi scesi di sotto ed accesi la tv.

Feci un po’ di zapping, cercando di trovare qualcosa che non fosse un film porno, quando finalmente mi fermai sul canale della musica.

Ad un tratto vidi una figura familiare.

Ero io! Dannazione, ero in televisione.

Corsi al piano superiore e svegliai tutti quanti.

“Ragazzi! Siamo in tv!” gridai, quasi in preda ad una crisi isterica.

Eric saltò fuori dal letto ad una velocità straordinaria, seguito da Jo.

“Matt! Sbrigati, siamo in tv!” dissi, scuotendolo.

Il mio amico si mosse lentamente.

“Io scendo. Muoviti” dissi, tornando di sotto.

Mio fratello e Jo erano davanti al televisore.

In quel momento stava parlando proprio David.

“Sono molto contento di poter finalmente affermare di aver trovato la band adatta per aprire il tour dei Tokio Hotel. Anche i ragazzi mi sono sembrati entusiasti quando ho mostrato loro il video di questi quattro giovani. Sono quasi coetanei e sono certo che lavoreranno bene insieme. Bill era al settimo cielo quando gli ho dato la notizia. Era in ansia perché temeva non ci fossero band in giro che mi piacessero abbastanza. In effetti ho faticato molto per trovare questi quattro ragazzi”

“Ci dica, cosa ha pensato non appena ha visto i ragazzi?”

“Beh, prima di giudicare a priori, ho ascoltato la loro musica. Abituato alla voce di Bill, mi ha fatto enormemente piacere che ci fosse una ragazza a cantare e questo è stato un punto a loro vantaggio. Stavo cercando un gruppo dove almeno ci fosse una presenza femminile, per attirare anche il pubblico maschile”

“Capisco. In ogni caso ci ha parlato solo di Bill, gli altri tre ragazzi cosa le hanno detto, riguardo ai Damned?”

“Beh, Tom per prima cosa si è lamentato che l’avessi svegliato, poi una volta ripreso ha osservato silenziosamente il video. È rimasto molto impressionato dalla bravura dei musicisti. I giudizi sulla cantante ve li lascio solo immaginare” disse ridendo.

Io arrossii vistosamente. Non volevo nemmeno sapere cosa aveva detto quel ragazzo su di me.

“Ma io lo ammazzo di botte!” esclamò Eric, stringendo i pugni.

“Georg ha parlato a lungo del bassista e del suo strumento. Ha detto che gli piace molto e che vorrebbe suonare con lui, un giorno. Invece Gustav, che è sempre il più tranquillo e giudizioso ha detto semplicemente che era soddisfatto della mia scelta e che sapeva che avrei trovato un gruppo all’altezza del compito”.

La giovane intervistatrice lo ringraziò, poi terminò lo speciale su di noi.

“Cazzo! Certo che potevano avvisarci che ci avrebbero fatti vedere in tv” disse Matt.

“Beh, io ora vado a preparare la colazione. Voi che fate?”

“Io vengo con te…” disse Eric.

“Io vado a farmi una doccia” disse Jo.

“Scusatemi se non mi aggrego, ma sono le cinque, quindi credo che andrò a dormire ancora per mezz’oretta” disse Matt, salendo nuovamente al piano superiore.

Preparai il caffè, poi misi in forno delle brioches.

“Senti, Eric non devi prendertela per quello che potrebbe aver detto Tom” dissi, sciacquando il lavandino e prendendo le tazze.

“Invece sì. Quello manco ti conosce  e si permette di fare commenti. Già lo so che è uno sessualmente depresso. Scommetto che mi toccherà litigarci”

Mi voltai e gli diedi un bacio su una guancia.

“Che cavaliere il mio fratellone”

“Ovvio!” esclamò lui, arrossendo.

Jo si unì a noi poco dopo.

“Allora, pronti psicologicamente per conoscere la band tedesca più famosa al mondo?” chiese, imburrando una brioche.

“Guardami. Ti sembro una pronta ad una cosa de genere?” gli domandai, obbligandolo a fissarmi.

Rise.

“No, ma nemmeno noi siamo preparati. Nessuno avrebbe mai scommesso un centesimo su tre ragazzacci come noi”

“Hey, ragazzaccio a chi? Parla per te” disse Matt.

“Senti, mica dovevi dormire te?” gli domandai.

“Con voi che blaterate mica si riesce a dormire e poi sto troppo in ansia per questa cosa. Ma ci pensate che gireremo tutta l’Europa, senza lavoro, donne e altre varie rotture di palle?” chiese.

Sì, lui è un po’ grezzo nel parlare.

Sorrisi.

“Sarà la vostra chance! Diventerete famosi ragazzi!” esclamai.

“Ammò con sto diventerete? Diventeremo famosi Ale. Se non fosse stato per te non ci avrebbero manco presi in considerazione. Hai sentito quello che ha detto David. Gli ha fatto enormemente piacere che ci fosse una ragazza a cantare e questo è stato un punto a nostro vantaggio. Stava cercando un gruppo dove almeno ci fosse una presenza femminile, per attirare anche il pubblico maschile…devo ricordartelo io?” mi chiese Jo.

Abbassai il capo.

“No, hai ragione. Ora siamo un gruppo!” esclamai, sorridendo.

Salii in bagno e mi feci una doccia, almeno per rilassarmi un po’.

Sorrisi, pensando a quanto sarebbe successo di lì a poco.

Andai in camera mia e presi dei vestiti che mi aveva lasciato Lu.

“Tienili, ti saranno utili…” mi aveva detto.

Aveva dannatamente ragione.

Mi vestii e mi truccai, poi scesi.

“Con che macchina ci spostiamo?” chiesi.

“Con la tua!” mi risposero tutti e tre in coro.

“Certo. Perché mi hanno detto che ci stanno quattro persone in una smart!” esclamai.

“Allora prendiamo su la Peugeot di Jo” disse Matt.

“Ovvio. Anche perché è molto meno scassata delle vostre” disse il mio amico, ridendo.

Non appena furono pronti, uscimmo di casa.

Jo mi porse le chiavi.

“Perché?” domandai.

“Fa scena che sia la donna a guidare” mi rispose.

Scrollai le spalle e partii.

Alle otto e mezza precise eravamo davanti al pub ancora chiuso di Andrea, ma di David e dei Tokio Hotel non c’era nemmeno l’ombra.

“Star. Si fanno sempre aspettare” commentò Matt, accendendosi una sigaretta.

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Capitolo 3
*** 03. ***


Ciauuu! Sono molto contenta che la fic vi piaccia fino a questo punto, ma ora cosa accadrà? I Tokio Hotel e i Damned riusciranno a lavorare insieme? Bah, non lo so…o almeno io lo so ma non ve lo dico ^^

In ogni caso, angolino ringraziamenti…dunque:

Jaji danke ^^ sono contentissima che ti piaccia, spero che anche questo capitolo soddisfi le tue aspettative!!

Grazie anche a miki 483 e ad Arumi_chan che hanno messo la fic tra le preferite ^^ Kuss!

 

 

03.

 

ALBERGO_CAMERA DEI GEMELLI KAULITZ, ORE 7.49

 

“Bill! Mio Dio, ma ti vuoi muovere? David ci scuoia vivi se lo facciamo arrivare in ritardo!” sibilò Tom, trascinando il gemello fuori dal letto.

“Ma Tomi ho ancora sonno”

“Non me ne frega se hai sonno! Ci metterai almeno mille ore a prepararti e sai quanto David ci tenga a farci conoscere l’altra band!”

“E va bene!” esclamò il moro uscendo dal letto.

Tom ringraziò tutte le divinità che ricordava, poi scese nella hall per fare colazione. Gustav e Georg erano già pronti.

“Ma tuo fratello?” chiese il bassista.

“Lasciamo perdere!”

“Perché?”

“Ho dovuto trascinarlo fuori dal letto…letteralmente”

Georg rise.

“Ci penso io a farlo sbrigare. Tu muoviti a fare colazione” disse, alzandosi da tavola e prendendo l’ascensore.

Bill stava canticchiando davanti allo specchio, mentre molto lentamente si truccava. I capelli erano ancora una massa informe.

Non sentì nemmeno aprirsi la porta.

“Kaulitz! È tardi!” esclamò Georg.

Bill saltò dallo spavento, tracciandosi una linea nera sul viso, come un pagliaccio in stile IT.

Il bassista non riuscì a trattenersi dal ridere.

“Georg! Mi hai quasi fatto venire un infarto!” strillò il ragazzo.

“Dai, siamo in ritardissimo. Per arrivare in quel posto ci vogliono almeno trentacinque minuti”.

“Uffa. Mi sbrigo, ok? Però non lamentatevi se la nostra immagine ne risentirà!”

“Guarda che quei quattro staranno con noi per tutto il tour. Non sarà certo la prima volta che ti vedranno spettinato!” esclamò.

Bill sbuffò, poi si pettinò rapidamente ed uscì dalla camera.

Alle otto, finalmente, uscirono dall’hotel accompagnati dalle lamentele di David.

 

 

BERLINO_DAVANTI AL PUB DI ANDREA. ORE 8.40

 

La macchina dei Tokio Hotel arrivò con dieci minuti di ritardo.

David scese per primo, seguito da un biondino con un cappellino e da un ragazzo con i capelli lunghi, liscissimi. Gustav e Georg.

“Buon giorno” disse il manager, sorridendoci. I ragazzi erano visibilmente impacciati, al che fui proprio io a fare il primo passo.

Strinsi la mano ai due ragazzi.

“Piacere, io sono Alena. Ale per gli amici” dissi, sorridendo.

“Io sono Georg”

“E io sono Gustav”

“Muoviti!” esclamò una voce all’interno della macchina.

“Ma sono spettinato!”.

Georg si mise a ridere.

“Scusateli. Fanno sempre così” disse, andando a recuperare i due gemelli.

Bill era magrissimo, ancor più che in televisione. I capelli erano stranamente appiattiti e il trucco meno pesante del solito.

Tom invece era identico a come appariva in tv. Solo il suo profumo mi lasciò disorientata. Dannatamente buono.

Sorrisi e mi presentai anche a loro.

In quel momento mi ricordai che David aveva accennato a dei commenti che Tom aveva fatto sul mio conto, quindi arrossii.

“Bene, a questo punto, che ne dite di andare in albergo per chiacchierare come si deve?” ci chiese David.

Annuimmo tutti quanti.

“Sentite, uno di voi può venire con noi, tanto abbiamo spazio in macchina” disse Tom, sorridendo.

Eravamo indecisi. Mio fratello mi guardò come per dirmi “non salire su quella macchina, altrimenti mi tocca uccidere per davvero quel rasta da strapazzo”.

David mi sorrise e mi prese per un braccio.

“Perché non vieni tu, in fondo sei l’unica ragazza, almeno inizi a raccontarci qualcosa” disse.

Non potei rifiutare, quindi lanciai le chiavi a Jo.

“A dopo” dissi semplicemente, salendo in macchina.

Fu così che mi ritrovai seduta tra Tom e Bill.

“Dunque, Alena, che ci racconti?” mi chiese Georg, dal posto davanti.

“Beh, non saprei”

“Iniziamo da quanti anni hai?” disse Tom.

“Diciannove” risposi.

“Ok, altre cose su di te?” chiese nuovamente.

“No, aspetta. Prima mi dici quello che hai detto quando mi hai vista in video” dissi, lacerata dalla curiosità.

In macchina scese il silenzio.

Tom mi guardò, poi guardò David.

“Scusa, ma questa dove l’hai sentita?”

“Stamattina, alle cinque più o meno. Quando una tipa ha chiesto a David cosa pensaste di noi, lui ha espressamente detto che quando mi hai vista hai detto qualcosa…solo che non ha precisamente detto cosa”

“Beh…” era in imbarazzo, si vedeva lontano un miglio.

“Senti, non mi offendo se si tratta di commenti tipicamente maschili, oppure antipatici. Voglio solo sapere cosa hai pensato. Non possiamo lavorare insieme altrimenti”

Il ragazzo sospirò.

“Ho detto che…”

Lo guardai.

“No, dai…te lo dico in privato, ma non davanti a tutti…” disse, arrossendo.

“Ma chi è questa ragazza? Ha messo in imbarazzo Tom!” pensò Georg.

Nella macchina scese il silenzio più totale.

Nessuno osava parlare.

Abbassai lo sguardo e mi osservai a lungo le mani. Ero imbarazzatissima. Non volevo creare quell’atmosfera. Perfino David aveva smesso di chiacchierare.

Scesi quasi di corsa dalla macchina.

“Dannazione, ma perché non tengo mai a freno la mia linguaccia?” mi domandai.

Bill si avvicinò.

“Non ti preoccupare. Fa solo finta di essere imbarazzato. Lo conosco troppo bene” mi disse, sorridendo.

Mi rilassai per qualche secondo.

“Dunque, vuoi veramente sapere cosa ho detto appena ti ho vista?” mi chiese Tom a bassa voce, cingendomi la vita.

Rabbrividii, annuendo.

“Che hai due tette fantastiche”.

Arrossii talmente tanto che forse in quel momento mi meritai il record.

Probabilmente brillavo, addirittura.

Tom rise, e proprio in quel momento arrivò la macchina con gli altri ragazzi. Eric scese di corsa e agguantò Tom per la manica della felpa.

“Senti un po’, ragazzino. Smettila di fare il galletto con mia sorella, altrimenti…”

“Altrimenti cosa?” chiese il rasta, alzando un sopracciglio.

Mio fratello lo afferrò per il colletto della felpa e lo sbatté contro il muro.

A dispetto del suo fisico, era dannatamente forte.

“Altrimenti sarò costretto ad ucciderti” sibilò.

Georg e Bill stavano per intervenire, quando David li bloccò.

“Ragazzi! Per favore, state calmi. Cos’è successo?” chiese con nonchalance.

“Questo simpaticone stava dando fastidio a mia sorella” disse Eric, prendendomi per mano.

“Tom, non fare l’idiota come tuo solito. Eric, non è successo nulla. Ora riacquistate la calma ed entriamo” disse.

“Eric, perché te la sei presa tanto?” chiesi.

“Perché? Me lo chiedi anche? Ho visto come si è comportato quell’imbecille. Ma credo che abbia imparato la lezione”.

“Sei il solito esagerato! Dobbiamo lavorare insieme. E poi so difendermi da sola!” esclamai, entrando in albergo.

Eric sospirò.

“Ma cos’ho fatto?”

“Niño, Alena ha ragione. Ormai è grande e credo che sappia perfettamente rispondere a tono a tipetti del genere. Quelli come lui se li mangia a colazione” disse Jo, dandogli una pacca sulle spalle.

Nella hall non potemmo fare a meno di guardarci intorno, estasiati. Nessuno di noi era mai entrato in un luogo tanto lussuoso.

David ci fece salire su un ascensore talmente grande da poterci tenere tutti.

Nonostante la tensione, il manager continuò a parlare di eventi straordinari e di future interviste.

Eric e Tom nemmeno si guardavano in faccia. Ognuno dei due concentrato sulle proprie scarpe. Io e Bill ci osservavamo, scrollando le spalle.

Avevamo dei fratelli immaturi e non potevamo farci assolutamente niente.

Scesi dall’ascensore, entrammo nella camera dei gemelli.

Era tutto in ordine, quindi ci accomodammo su dei grossi divani candidi.

“Dunque, come vi stavo dicendo poco fa, questo pomeriggio, precisamente tra tre ore, avremo la prima intervista assieme. I giornali la stavano aspettando da tempo e anche le fans, quindi ci sarà davvero molta gente. Voi non dovrete fare altro che rispondere alle domande, ma per carità non una parola rispetto a quello che è accaduto poco fa” disse, osservando mio fratello e Tom.

“Va bene…l’importante è che non faccia il cretino” disse Eric.

Io lo fulminai con lo sguardo.

“Ok, parlando di cose più serie. Ancora non sappiamo nulla di voi” disse Gustav.

“Beh, che cosa vorreste sapere?” chiese Matt.

“Dove vivete? Cosa fate per vivere? Da quanto vi conoscete? Robe del genere, insomma”

“Dunque, io sono Jo lavoro in un bar in centro e conosco questi ragazzi dai tempi del liceo”

“Io sono Matt, lavoro in un’industria di pittura e vivo con Eric e Ale dalla seconda media”

“Io sono Eric, lavoro con Matt”

“Io sono Ale, lavoro in una piccola cartoleria vicino al Gymnasium. Ovviamente conosco mio fratello da sempre, Matt dalle elementari e Jo dalle superiori” dissi, sorridendo.

“Perfetto. Ora organizziamoci. Il tour si svolgerà in quasi  tappe. Parliamo di tre concerti in Italia, quattro in Germania, due in Francia, uno in Spagna e uno in Olanda. Ho nominato esclusivamente l’Europa occidentale, in quanto per ora sono stati stabiliti solo questi. Entro fine dicembre sapremo anche le date per l’Europa orientale”

Feci un breve calcolo. Undici concerti solo per quanto riguardava l’Europa dell’ovest.

Rabbrividii. Avrei dovuto cantare a undici concerti, con migliaia e migliaia di fans.

Mio fratello mi cinse le spalle con un braccio.

“Andrà tutto bene” mi disse, sorridendo.

Restammo insieme ai Tokio Hotel per tutto il giorno. Pranzammo insieme, poi al pomeriggio dovetti lasciarli. Non potevo permettermi di saltare il lavoro in quei giorni.

Sfortunatamente ero senza macchina. Non potevo prendere quella di Jo, altrimenti i ragazzi sarebbero rimasti a piedi.

Presi il cellulare e composi il numero per chiamare un taxi.

“Che fai?” mi sentii chiedere.

Mi voltai e vidi Georg, con una sigaretta tra le labbra.

“Sto aspettando il taxi”

“Perché?”

“Devo andare al lavoro, ma a Jo serve la macchina…”

“Ti accompagno io, tanto ormai siamo colleghi” mi disse, sorridendo.

Annuii.

“Grazie”

“Non preoccuparti. Te l’ho detto, adesso siamo colleghi, quindi è normale aiutarsi a vicenda, no?”

“Sì, hai ragione” dissi, allacciandomi la cintura.

In quel momento cominciò a piovere a dirotto.

“Uffa, gran bella giornata…” dissi.

“La pioggia è bellissima”

“Come scusa? È umida, fa freddo, ti bagni…preferisco il sole”

“Però quando piove puoi startene a casa, oppure puoi uscire e pretendere di stare da solo, a tutti i costi, senza che nessuno ti rompa le scatole”.

Lo disse con una voce talmente triste, che dovetti fare una grande pressione alla mia forza di volontà per non abbracciarlo all’istante. Lo guardai, poi notai che era tardi.

“Grazie del passaggio” dissi aprendo la portiera e scendendo.

Georg mi sorrise, poi inserì la retromarcia e se ne andò.

 

 

Capitolo non lunghissimo, ma che spero abbia punzecchiato un pochetto la vostra curiosità. Vi lascio così, con Georg depresso per non si sa quale motivo…

Uff continuerei a scrivere, ma devo fare obbligatoriamente i compiti.

Tanti baci a tutti e grazie ancora per le recensioni ^^

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Capitolo 4
*** 04. ***


Bene…e dopo aver fatto i compiti eccomi di nuovo tra voi, con un nuovo capitolo ^^.

Ringrazio:

Pandina_kaulitz: eh beh, Tom non si smentisce mai (^^)

Jaji

Billa483: Ah, chissà cosa succederà adesso (^^). In ogni caso ora corro ad aggiungerti su msn, anche se non funziona quasi mai.

Baciiii^^

04.

 

BERLINO_CARTOLERIA

 

Ripensai a lungo su quanto mi aveva detto Georg. Ci conoscevamo da pochissimo tempo, anzi da pochissime ore, eppure ero sbalordita.

Si capiva chiaramente che aveva bisogno di qualcuno con cui parlare.

Composi il numero di mio fratello.

“Pronto, Ale che c’è?”

“Ciao Eric, senti Georg è lì con voi?”

“Sì…”

“Potresti passarmelo mezzo secondo?”

“Perché?”

“Affari miei. Smettila di fare il geloso…” risposi.

Attesi qualche secondo.

“Pronto?”

“Ciao Georg. Senti, scusami se prima ti ho un po’ignorato, ma ero in ritardo, in ogni caso…beh, se ti va di parlare un po’, puoi passare di qui, tanto sono in negozio senza colleghe rompi palle…”

“Ok…arrivo” disse.

Sorrisi, poi attaccai.

Dopo una decina di minuti lo vidi entrare dalla porta. Le punte dei capelli si stavano leggermente arricciando.

“Ciao” dissi, sempre sorridendogli.

Si guardò intorno.

“Quindi è qui che lavori…caspita, ci sarò passato davanti almeno un milione di volte, eppure non ricordo di averti vista” disse.

Arrossii.

“Sinceramente, anche se mi avessi vista l’altro ieri, probabilmente non mi avresti riconosciuta” dissi.

“Perché?”

“Avevo i capelli lunghi, sempre in disordine e gli occhiali”

“Oh, capisco. E la metamorfosi a cos’è dovuta?”

“Al concerto di ieri”

“Solamente?”

“Sì. Non avevo altri validi motivi per voler cambiare. Mi piacevo così com’ero” risposi, sinceramente.

Rimase in silenzio per qualche minuto, sfiorando alcuni pelouches.

“Immagino perché tu mi abbia chiesto di venire qui…È per quello che ho detto in macchina, vero?”

“Sì…mi è sembrata una richiesta abbastanza chiara, la tua”

Sorrise, ma non di felicità. Il suo era un sorriso triste e malinconico.

“Beh, non so nemmeno perché ho detto quella cosa. Mi hai ispirato subito fiducia”.

Arrossimmo insieme.

Rimasi in silenzio, aspettando il suo passo.

“Sai, è un periodo un po’ così. Alla fine, non è che io sia geloso…siamo amici, non potrei mai essere geloso o invidioso, eppure…eppure ci rimango male, quando sento parlare sempre e solo di Bill e Tom. Capisco che Bill sia il frontman e che Tom, essendo il suo gemello, brilli un po’ di luce riflessa, ma certe volte mi chiedo se io e Gustav non siamo altro che spalle…nessuno si interessa molto a noi. Vorrei poteri gridare al mondo che anche noi abbiamo una nostra personalità. Molti ci vedono solo come due idioti, che vivono nell’ombra dei gemelli…non capiscono che abbiamo una nostra dignità, maledizione!”

Lo guardai. Il suo sguardo era cambiato. Gli aveva fatto bene sfogarsi.

“Sai, sinceramente non sono una vostra grande ammiratrice. Ho ascoltato alcune canzoni, ma la mia conoscenza del tuo gruppo si ferma qui. Non posso dirti cosa penso riguardo a questa situazione, ma sono sicura che né Bill, né Tom credono quello che pensi tu. Loro non vi vedono semplicemente come idioti. Si capisce perfettamente da come vi parlano e da come vi guardano. Sono veri amici e forse dovresti parlarne prima con loro che con me…”

“Tu credi?” mi chiese, voltandosi.

“Sì, credo proprio di sì. Sapranno ascoltarti e insieme risolverete anche questo problema”.

Mi guardò negli occhi.

“Grazie…” disse.

Rimase in negozio a farmi compagnia per tutto il pomeriggio.

“In fondo non ho nient’altro da fare” mi rispose, quando gli chiesi come mai restasse tanto tempo con me.

Alle sei, quando chiusi la cartoleria, si offrì di accompagnarmi a casa.

“Una signorina non deve andare in giro a quest’ora” disse.

Effettivamente era già buio.

Arrivati a casa mia, scesi dalla macchina.

“Vuoi salire a bere qualcosa, mio fratello e gli altri non sono ancora arrivati e mi spiace farti andare via subito” dissi.

“Dove parcheggio?” mi domandò.

 

 

BERLINO_APPARTAMENTO DEI DAMNED

 

“Accomodati pure. Cosa ti preparo?” chiesi, togliendomi la giacca e appendendola all’ingresso.

“Ah, non saprei. Cosa propone la casa?” mi domandò, sorridendo.

“Uh, con tre uomini, chiedi qualsiasi cosa…” dissi, dalla cucina.

“Per ora mi accontento di una birra, grazie”.

Tornai in salotto con due bottiglie in mano. Georg era seduto sul divano.

“Sai, è proprio una fortuna che David sia rimasto in città ancora un paio di giorni”

“Perché?”

“Sarebbe dovuto partire due giorni fa, invece ha posticipato il viaggio in Italia fino al week-end. Ed è stato un vero colpo di fortuna, altrimenti non vi avrebbe mai sentiti”.

“Già. Siamo stati fortunatissimi”

“Anche se credo che non avrebbe trovato un’altra ragazza con la tua voce” mi disse.

Arrossii violentemente.

“Chissà cosa c’è in tv!” esclamai, per cambiare discorso. Non mi piacevano particolarmente i complimenti. Mi mettevano sempre in imbarazzo.

Georg rise.

“Posso chiederti una cortesia?” mi domandò.

“Certo”

“Potrei usare il bagno?”

“Oh, certo. Sali le scale. La prima porta a sinistra”

“Grazie”.

In quel momento suonò il telefono. Risposi.

“Ciao amorina!!!”. Era Lu.

“Ciao”

“Non pensavo di trovarti a casa!”

“Sinceramente non pensavo nemmeno che mi chiamassi…”

“Sì, sì. Bando alle ciance…allora? Ci sono già schiere urlanti di fans fuori dalla vostra porta?”.

“Aspetta che ti faccio sentire”. Spostai la cornetta verso l’alto, verso il silenzio più totale.

“No, a quanto senti…”

“Hai già conosciuto i quattro maschioni?”

“Non chiamarli così…mi metti in imbarazzo!”

“Eddai! Sono fighi, no?”

“Primo, non l’ho notato, secondo per me è più importante la musica”

“Non dire cazzate! Scommetto che li hai squadrati tutti…”.

In quel momento Georg uscì dal bagno.

“Alena, io devo andare” mi disse.

“Ah! Di chi è quella voce?”.

Anche il ragazzo la sentì. Urlò talmente tanto che mi fischiò l’orecchio per qualche minuto.

“Lu, stai in attesa un secondo” dissi, con calma.

“Mi dispiace…” disse Georg.

“Oh, non ti preoccupare. È la mia amica, capirà”

“Ci vediamo domani mattina?”

Lo guardai con aria interrogativa.

“Sì, David vuole conoscere il vostro repertorio a memoria, quindi credo che vi farà provare un po’, con la nostra presenza ingombrante” disse.

“Ah, ok. Allora a domattina”.

“Grazie per avermi ascoltato…”

“Di nulla. In fondo l’hai detto pure tu, siamo colleghi” risposi, sorridendo. Lo vidi andare via, poi rientrai nel mio appartamento, dove la voce di Lu sbraitava all’altro capo del telefono.

“Allora? Non fare la santarellina con me! Chi era? Riconosco perfettamente la voce di Jo e sono certa che non era lui, anche perché in casa è l’unico a chiamarti Alena!”

“Vuoi rilassarti?”

“Solo se mi dici chi era”

“Georg…”

“Il bassista capellone? Oddio, ora svengo!”

“Lu? Ci sei?”

“Sì, anche se le mie coronarie ne hanno risentito parecchio…tu eri a casa da sola con il bassista dei Tokio Hotel?”

“Sì e da quando tu sai tutte queste cose sui Tokio Hotel?”

“Da quando ho scoperto che sono tutti e quattro…”

“No, ti prego non finire la frase, perché non voglio sentire il resto! Mi accontento di quanto mi hai detto fin ora. Ci sentiamo domani”.

“No, non puoi mollarmi così. Cos’è successo?”

“Immagina…” dissi, prima di attaccare.

In quel momento entrarono i ragazzi.

“Ah, sei già a casa!” esclamò Jo.

“Sì, per la vostra gioia!” risposi.

“Come mai ci sono fuori due bottiglie?” chiese mio fratello.

“C’è stato qui Georg fino a poco fa. Pensavo l’aveste visto andare via” risposi, preparandomi ad una scenata.

Al contrario di quanto mi aspettassi, Eric non disse nulla, ma andò al piano di sopra e si chiuse in camera.

Matt mi guardò, sospirando.

“Sentite, ma che avete tutti quanti?” domandai.

“Nulla…solo che non p da te, invitare un ragazzo in casa…dopo quello che è successo” mi disse, uscendo in balcone a fumare.

Guardai Jo, in cerca di aiuto.

Anche lui aveva uno sguardo che rispecchiava le parole di Matt. Possibile che la pensassero tutti e tre in quel modo?

Non era accaduto nulla. Ero semplicemente rimasta in compagnia di un amico.

Rimasi senza parole. Recuperai la giacca, poi uscii di casa.

“Alena! Dove vai?” mi chiese Jo, uscendo sul pianerottolo.

“Da Lu! Ci vediamo domani” sbottai, rabbiosa.

Mi credevano una scema? Pensavano che sarei stata nuovamente così cieca? Non mi sembrava di essermi comportata in maniera scorretta, eppure sembrava fosse accaduta una catastrofe. Non sopportavo quando Eric diventava iperprotettivo e con lui anche Matt e Jo. Mi sembrava di tornare piccola, quando dovevo fare i conti con mio padre, se per caso succedeva qualcosa a scuola.

 

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Capitolo 5
*** 05. ***


Me molto contenta per come sta procedendo la fic, ma soprattutto per le vostre recensioni.

Per la gioia di pandina_kaulitz rieccomi con un altro capitolo!!! Eh sì…è un’ingiustizia…pensa che ho comprato il calendario x l’anno prossimo e c’è 1 sola foto di Georg e neanke una di Gustav (>.<). Vabbè…questo cappy è un po’ triste, però non preoccupatevi!!! Kussen

 

05.

 

BERLINO_CASA DI LU

 

“Beh, non puoi biasimarlo. Tutti ricordiamo cos’è successo…” disse Lu, dopo che le ebbi raccontato quello che era successo.

“Ok, ma mi credete tutti così cretina da ricascarci di nuovo? Mio Dio, come faccio a stare con voi, se non vi fidate di me?” chiesi, sull’orlo di una crisi isterica.

“Non è che non ci fidiamo di te…è solo che non vorremmo che tu soffrissi di nuovo”.

“Lu, dopo tutto quello che ho passato, mi so perfettamente difendere da sola…è questo che ancora non avete capito!” esclamai, uscendo anche dalla casa della mia amica.

Salii in macchina e mi misi a guidare, senza una meta.

Possibile che mi credessero tutti una sprovveduta?

Ah già, ma voi non sapete nulla. Comincerò a raccontarvi tutta la storia, allora.

Era natale. Era il mio ultimo anno alle superiori, poi me ne sarei definitivamente andata da quella scuola, che mi aveva insegnato ben poco, per prepararmi ad un futuro brillante come medico. Avevo parecchi sogni e speranze, in quel periodo.

Mi piaceva moltissimo un ragazzo, Alex. Per me era praticamente irraggiungibile. Era il tipo più carino della scuola e aveva sempre attorno una decina di ragazze che continuavano ad adularlo, insomma era un VIP.

Frequentavamo lo stesso corso di fisica e, come nelle migliori storie, io ero la secchiona e lui l’impedito.

Era così disperato di non riuscire a passare l’anno, che mi chiese di dargli ripetizioni. Fu così che cominciammo a frequentarci.

Lui capì che oltre all’aspetto fisico conta pure il cervello e, un pomeriggio, mi chiese un appuntamento. Non ci volevo e non ci potevo credere.

Uscimmo quella sera. Ero talmente su di giri, così contenta che tutto potesse esaurirsi in quel modo, che alla fine cedetti e andai a letto con lui.

Raccontai tutto a mio fratello, era più grande e mi fidavo ciecamente.

Fatto sta che non la prese poi così bene quanto sperassi. Io e Alex uscimmo insieme per qualche tempo, poi i miei genitori morirono. Mio fratello ed io eravamo maggiorenni, quindi decidemmo dove vivere. Lui rimase nell’appartamento dei miei, mentre io accettai l’invito di Alex di trasferirmi da lui.

Insomma, i suoi erano perennemente fuori casa e noi facevamo l’amore tutte le sere. Fatto sta che, nonostante fossi un’alunna brillante, ero anche terribilmente stupida da quel punto di vista, quindi rimasi incinta.

Alex, non appena lo seppe, mi cacciò di casa. In fondo non eravamo legati da nulla. Ero solo una semplice ospite.

Mi ritrovai in mezzo alla strada.

Non sapevo dove andare. Mi vergognavo a chiedere aiuto a mio fratello, ma non potevo portare avanti quella gravidanza. Così andai in ospedale ed abortii. Ancora oggi mi pento di quello che ho fatto.

Rimasi in mezzo alla strada per giorni interi. Ero distrutta sia fisicamente sia psicologicamente.

Non so perché, ma il mio istinto di sopravvivenza mi fece tornare da Eric. Abbandonai la scuola, ovviamente e andai a vivere con lui.

Alcuni mesi dopo trovai lavoro in cartoleria, poi come andò in seguito già lo sapete.

 

Rimasi ferma in macchina a ripensare al mio passato.

Alex mi aveva spezzato il cuore, mi aveva distrutto psicologicamente, eppure ero riuscita a sopravvivere. Ero cambiata. Mi ero chiusa in me stessa, senza permettere a nessuno di avvicinarsi. Ero ingrassata, avevo smesso di curare minimamente il mio aspetto, eppure la musica, quel concerto mi aveva fatto riemergere dalle tenebre in cui ero sprofondata.

In parte Eric aveva ragione a preoccuparsi, ma la cosa che più mi faceva stare male era che non si fidava di me, nonostante sapesse benissimo che ero cambiata.

Con la mia smart arrivai fino in centro e decisi di andare a bere qualcosa da Andrea.

Mi sedetti al tavolo ed ordinai una birra scura.

Nel liquido potei affogare i miei pensieri, tanto che non sentii il ragazzo avvicinarsi a me. Quando mi poggiò una mano su una spalla, trasalii.

 

 

BERLINO_BAR DI ANDREA

 

“Ciao” mi sentii dire. Mi voltai e vidi un viso familiare. Sorrisi.

“Ciao, che ci fai qui?”

“Avevo bisogno di riflettere”

“Anche io” risposi, sinceramente.

“Come mai?”

“Sai, mio fratello è terribilmente geloso”

“Oh, non me n’ero accorto!”

“Quindi si è arrabbiato…”
“Perché sono salito in casa?” mi chiese Georg.

“No…perché ti ho fatto salire”

“Scusa, non afferro la differenza…”

“Oh, la differenza c’è. Solo che non voglio annoiarti. Piuttosto, sei stato in giro fino ad ora?” chiesi.

“Sì. Te l’ho detto, ho riflettuto a lungo su quello che mi hai detto…”

Gli sorrisi e mi chiesi come Eric avesse potuto minimamente pensare che il ragazzo con cui stavo parlando, potesse comportarsi come quel viscido verme di Alex.

Restammo insieme per tutta la sera e mangiammo lì.

Georg prese il cellulare e rispose.

“Pronto? Sì, ciao. No, sono in compagnia. Ma sì, non ti preoccupare. Ok, arrivo. Ciao”

Lo guardai.

“Era Bill, pensava che mi fosse successo qualcosa”.

Sorrisi e guardai il mio telefono, sconsolata.

Georg mi fece alzare lo sguardo.

“Hanno capito che vuoi stare da sola per un po’. Non è che ti ignorano” mi disse, come se mi avesse letto nel pensiero.

Gli sorrisi, grata.

“Grazie…” dissi semplicemente.

“Dai, ti riaccompagno a casa” mi disse.

“Ma no, ho la macchina, non c’è problema” dissi.

“Insisto”

“Davvero non ce n’è bisogno” risposi.

Annuì, quindi mi accompagnò alla macchina.

“A domani” mi disse.

“A domani. Buona notte”

Non appena mi allontanai dal parcheggio mi resi conto che una macchina mi stava seguendo.

Ero tranquilla, probabilmente avrebbe svoltato una volta in periferia.

Nulla da fare, quell’auto continuò a starmi attaccata.

Il semaforo divenne rosso. C’era parecchio traffico e mi fermai.

Un uomo scese dalla macchina e cercò di forzare la mia portiera. Presa dal panico non riuscii a reagire minimamente.

Ero terrorizzata. L’uomo, con tanto di guanti e passamontagna, mi sfondò il finestrino. Urlai.

Vidi Georg prendere quel tipo per le spalle e colpirlo in faccia con un pugno.

Aprì la portiera e mi fece scendere.

“Va tutto bene?” mi chiese. Cominciai a piangere convulsamente. Ero terrorizzata e mi lasciai accarezzare dalle sue mani forti.

“Ora va tutto bene. Ho già chiamato la polizia. Sei al sicuro adesso”.

Annuii, sempre stretta tra le sue braccia.

Dopo circa mezz’ora di pratiche, tra interrogatorio e deposizioni, mi feci riaccompagnare a casa.

“Sei sicura di stare bene?” mi chiese, prendendomi per mano.

“Sì, adesso sì. Ti devo la vita…” dissi.

Sorrise, poi mi diede un bacio su una guancia.

“Ora vai. Tuo fratello e gli altri saranno preoccupati” disse.

Arrossii, poi andai a casa.

 

BERLINO_CASA DEI DAMNED

 

Quando entrai dalla porta, Eric mi corse incontro.

Gli raccontai tutto, della serata e dell’incidente.

Mi strinse a sé.

“Mi dispiace. Mi sono comportato da completo imbecille. Mi dispiace”. Lo sentii piangere, ma non alzai lo sguardo. Rimasi al sicuro tra le braccia di mio fratello, contenta che quella lunga giornata fosse giunta al termine.

Andai a letto. Ero stesa sotto le lenzuola, quando sentii bussare.

Entrò Jo, che si sedette sul bordo del letto e mi accarezzò la testa.

“Spero tu abbia capito quello che volevamo dirti noi tre…anzi quattro, visto che Lu ci ha chiamati, dopo che sei andata via anche da casa sua”.

Sospirai.

“Non devi pensare sempre in negativo. Alena ai miei occhi sei ancora una bambina e non perché ci siano tanti anni di differenza, ma perché in te conservi ancora quell’ingenuità genuina che è propria dei bambini. Si tratta di un dono prezioso che la tua vita crudele non è riuscita a strapparti. Se ti accadesse qualcosa, saremmo persi…parlo anche a nome di Eric e di Matt. Ormai la tua presenza è indispensabile qui. Non riusciamo a fare nulla senza di te. Siamo tre ragazzacci e ci sentiamo in dovere di proteggerti”.

“Jo, quello che non riesco a farvi capire, è che non sono più una bambina che ha bisogno di essere protetta…”

“Ah, amor qui ti sbagli. Se non ci fosse stato Georg, non voglio nemmeno pensare cosa ti sarebbe successo…so che questa affermazione ti sembrerà sessista, ma non lo è. Nutro profondo rispetto per voi donne, ma avete bisogno di essere protette. Non perché siate più deboli od indifese, ma perché alcuni uomini sono geneticamente cattivi, e come al solito i cattivi se la prendono con quelle creature che suppongono siano più vulnerabili”.

Abbassai lo sguardo.

“Non ho forse ragione?” mi chiese, dopo qualche istante di silenzio.

Annuii.

“Ora dormi. Domattina dobbiamo provare con i ragazzi” disse, baciandomi la fronte.

“Buona notte” aggiunse, chiudendo la porta.

Rimasi sveglia per tutta la notte, tormentandomi sul fatto che, forse avevo sbagliato ad arrabbiarmi con tutti. Forse dovevo prendermela esclusivamente con me stessa, perché non era vero che sapevo difendermi da sola. Ero totalmente vulnerabile.

Non volevo perdere tutti, di nuovo. Non volevo essere lasciata sola.

Piansi per ore, nel silenzio della mia camera.

Quando finalmente mi addormentai, sentii Matt alzarsi e scendere per fumare la sua solita sigaretta mattutina.

Mi svegliai una decina di minuti dopo, con un mal di testa terribile e una sensazione di nausea.

Andai in bagno, mi feci una doccia, tanto per riprendermi dalla nottata insonne e mi vestii, poi andai in cucina a preparare il caffè, come ogni mattina.

Vidi la figura di Matt attraverso le tende. Eric gli aveva proibito di fumare in casa.

Dopo qualche istante lo sentii rientrare.

“Oh, buongiorno” mi disse, con freddezza.

Era la prima volta che mi parlava così.

Finii di preparare il caffè. Bevvi la mia colazione, poi andai a sistemare il salotto.

Accesi la tv, visto che erano quasi le otto e gli altri dovevano svegliarsi in qualsiasi caso.

Passai l’aspirapolvere, poi mi misi a pulire i mobili, mentre in casa tornava ad esserci la vita.

Matt era di cattivo umore e rispondeva a monosillabi a qualsiasi domanda gli venisse posta, al che dopo il terzo mugugno Eric gli chiese cos’avesse.

“Niente. Cazzi miei” rispose, andando nuovamente in balcone. Era la terza sigaretta in meno di mezz’ora.

Guardai i ragazzi che scrollarono le spalle.

Uscimmo di casa alle nove. Il punto d’incontro era ancora il bar di Andrea, in quanto non saremmo andati in albergo, come il giorno precedente.

Ero tesa. Sapevo che avrei dovuto cantare nuovamente ed ero esausta, ma soprattutto mi agitava la presenza di Georg, e ancora non riuscivo a spiegarmi perché.

 

Bene, e per oggi mi fermo qui, anche perché sono stanca morta (ieri sera era l’1 quando sono andata a letto…^^) e domani c’è scuola. Vi prometto che penserò intensamente alla fic, in modo da avere tante idee per il week-end!!! Grazie mille per le recensioni, che mi spingono a dare il meglio di me ^^. Baci e buona notte a tutti!!!

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Capitolo 6
*** 06. ***


Innanzitutto chiedo scusa a billa483. Hai ragione, ma quando mi sposto su Word per scrivere mi dimentico per strada la metà dei nomi che leggo e siccome era tardi quando ho scritto la zona ringraziamenti, mi è sfuggito il tuo nome…Sorry me!!!

Cooomunque, angolino ringraziamenti…

Pandina_kaulitz: grazie mille ^^, comunque non posso certo dirti che ha Matt…ma chissà se in questo capitolo racconto qualcosa in più sul passato dei tre disperati che vivono con Ale…non lo so neppure io^^

Billa483: Ancora scusa, davvero non l’ho fatto intenzionalmente ^^. Comunque, all’inizio non avevo pensato ad una storia tanto triste, ma visto la mia indole depressa, ecco che ricomincio a raccontare cose deprimenti…Ah, per msn, non si connette quasi mai (x motivi ignoti, oltretutto), quindi non so di preciso quando riuscirò a contattarti…odio il mio pc!!!

-inguaribile sognatrice_:tranqui anche se recensisci solo adesso. Mica mi offendo, anzi sono contenta delle new entry! Comunque chissà perché Matt è così inca??? Bah, chi lo sa???

Passiamo a chi ha messo la fic tra i preferiti…siccome mi sono beatamente dimenticata (come al solito) di chi ho già nominato e chi no, li metto tutti!!!

Arumi_chan
billa483
cris94
Leleo 91
miky 483
pazzerella_92
tokiohotellina95
_inguaribile sognatrice_

In ogni caso, ora vi lascio per farmi venire idee sul capitolo, visto che i miei compagni oggi non mi hanno fatto pensare (U.U)

 

06.

 

BERLINO_DAVANTI AL BAR DI ANDREA

 

Stavamo aspettando i ragazzi. Guardai Matt. Il suo sguardo era perso nel vuoto. Possibile che fosse arrabbiato con me?

Lo presi per una manica e lo trascinai lontano dagli altri.

“Che vuoi?” mi chiese, in modo sgarbato.

“Che voglio? Me lo chiedi anche? Cos’hai?”

“Saranno anche cazzi miei, no?”.

Senza pensarci su, gli tirai uno schiaffo. Odiavo quando si comportava così e lo sapeva benissimo.

Rimase a guardarmi, con la sigaretta a penzoloni tra le labbra e quegli occhi grigi che sembravano ancora più freddi di prima.

“Senti, ascoltami una volta per tutte. È da stamattina, anzi da ieri che ti comporti in modo strano. Non voglio comportarmi da mamma, né tantomeno da coscienza perché hai già entrambe, ma non voglio assolutamente vederti così!”

“Perché?”

“Perché sei mio amico e ti voglio bene…perché sei una persona importante e perché senza di te, probabilmente non sarei come sono adesso…ti basta come risposta?”.

Lo guardai negli occhi.

Mi abbracciò.

“Grazie Ale, ma vedi…probabilmente sto rifacendo dei grossi errori, solo che né tu né nessun altro mi potete aiutare…” disse, poi mi lasciò da sola.

Mi fermai a pensare a quali errori avesse potuto fare in passato. A cosa si stava riferendo?

Sospirai. L’unico ricordo spiacevole che avevo di Matt era che, quando era appena un ragazzino era entrato nell’oscuro mondo della droga, ma dubitavo che potesse esserci tornato dentro.

Il suo migliore amico era morto per overdose e lui aveva deciso di smettere…eppure ripensai al suo sguardo. Triste, spento…malinconico e al tempo stesso spaventoso.

Ripensai a poco prima e rabbrividii. Dovevo assolutamente parlarne con Jo. Lui era l’unico che poteva farlo ragionare.

Non volevo che Matt s’insospettisse, però. Lasciai arrivare i Tokio Hotel ed andammo insieme alla sala di registrazione.

Una volta là, David c’informò che avremmo registrato un disco e che sarebbe stato venduto in tutta la Germania. Non potevamo crederci. Stavamo diventando famosi per davvero.

Attesi qualche istante, poi mi appartai in un angolino con Jo.

“Te che ne pensi?” gli domandai, dopo avergli spiegato tutta la situazione.

“Beh, a dire la verità è già da qualche giorno che mi preoccupo”.

“In che senso?”

“Te al mattino sei già fuori casa, ma io lo vedo com’è conciato appena sveglio. Cioè, non so che effetto possa fargli il fare la pipì, ma mi pare un po’ troppo allegro quando esce dal bagno…”

Rimasi in silenzio e sospirai.

“Non so come fare…ho provato a parlargli, ma te l’ho detto come mi ha risposto”

“Appunto…è una situazione drammatica” mi rispose.

Tornammo dagli altri, senza sapere bene cosa dire.

Altro che situazione drammatica, era una storia ingestibile.

Provammo alcuni pezzi davanti ai ragazzi. Io ero abbastanza tesa e la notte insonne si fece sentire parecchio. Mi sembrava di avere la voce in cantina.

Georg non mi levava gli occhi di dosso, sembrava quasi terrorizzato all’idea di vedermi sparire da un momento all’altro.

“Bravi ragazzi! Mi fa piacere vedervi carichi anche in questo momento. Io direi che potremmo provare a registrare un pezzo solo, tanto per vedere come va” disse David, applaudendoci.

Annuimmo tutti. Mio fratello faceva guizzare lo sguardo da me a Georg in continuazione. Ero un po’  preoccupata. Non volevo che si agitasse com’era successo con Tom.

Lo vidi avvicinarsi al bassista.

“Senti, hai salvato mia sorella” disse, porgendogli la mano.

Georg era visibilmente in imbarazzo, non si aspettava certo una reazione del genere.

“Oh, ma non devi ringraziarmi”

“Invece sì. Ti devo ben più che un semplice favore” aggiunse, poi si allontanò.

Georg mi guardò, ma io mi limitai solamente a scrollare le spalle. Era una novità pure per me.

Vidi anche Jo prendere Matt per una spalla e parlargli.

Stava succedendo tutto nello stesso momento, tanto che mi dovetti sedere. Mi girava la testa, sicuramente per colpa della stanchezza.

“Tutto bene?” mi sentii domandare.

Alzai lo sguardo e vidi Gustav, con un sorriso enorme.

“Certo, grazie mille. È che sono un po’ stanca”.

“Immagino, beh dai, David ci lascerà qualche minuto libero, per dare tempo ai tecnici di preparare la sala”.

Come previsto dal batterista, il manager ci lasciò mezz’ora libera, al che uscirono praticamente tutti per fumare. Io mi aggregai al gruppo, ma solo per la compagnia.

Matt e Jo non erano ancora tornati e io ero combattuta dall’idea di andare a cercarli.

Rimasi in balcone per qualche minuto, ma la testa mi girava da morire, quindi rientrai e mi misi a riguardare un po’il testo della canzone che avrei dovuto cantare.

“And if you go, I wanna go with you

And if you die, I wanna die with you”

“Testo perfetto…” pensai. Certo che era strano come una canzone potesse adattarsi perfettamente ad una situazione. Sorrisi, pensando che era proprio per quel motivo che il mio sogno segreto era sempre stato entrare nel complesso mondo della musica.

“Jo mi hai rotto i coglioni! Non sei mio padre!”

Vidi Matt uscire di corsa da una stanza, con Jo praticamente attaccato alle costole.

Probabilmente non mi avevano vista, quindi mi nascosi dietro un pannello di compensato e rimasi in ascolto. Dal riflesso della finestra vidi Jo afferrare Matt per le spalle e sbatterlo contro il muro.

“Senti ragazzino…non ti permetterò di rovinarti la vita una seconda volta! Voglio che sbatti questa roba nel cesso!” esclamò, sventolandogli sotto il naso una busta di quella che sembrava essere cocaina.

Rabbrividii. C’era ricaduto. Maledizione!

“Ti ho detto che non sei mio padre! Non puoi starmi addosso così!”

Jo lo guardò e gli disse qualcosa in italiano.

“Ti stai comportando da completo imbecille! Non pensi a Gian?”

“Cosa c’entra Gian?”

“Lui è morto per colpa di questa cazzo di droga! Ha perso la vita a sedici anni!”

“Tu non devi impicciarti di questa storia!”

“Invece sì, perché Gian è stato il tuo monito fino ad ora. Non vedo perché tu debba dimenticartelo proprio in questo momento!”

Io non ci capivo nulla. In quelle parole avevo riconosciuto solo il nome di Gianluca. L’amico di Matt, quel ragazzo che aveva conosciuto quando era rimasto in Italia con i suoi genitori.

Erano molto amici, anzi erano quasi come fratelli, solo che Gian era entrato nel giro della cocaina e con lui anche Matt. Quando il ragazzino, allora sedicenne, fu trovato morto in un parchetto per colpa di un’overdose, i genitori di Matt decisero di trasferirsi nuovamente in Germania.

Da quel giorno il mio amico aveva smesso di usare la droga, nonostante fosse finito in clinica, per disintossicarsi. La morte di Gian era stata d’aiuto per farlo uscire da quel tunnel infinito.

Sospirai, pensando che Jo era stato forse troppo cattivo nel ricordargli quella storia, eppure ero dalla sua parte. Non potevamo permettere che Matt sprofondasse, senza tentare di aiutarlo.

Se ne andarono in quel momento e io rimasi sola.

Perché ci stava accadendo tutto in quel momento?

Rimasi in silenzio, nascosta dietro il compensato per qualche minuto. Matt era un drogato e noi non ce n’eravamo mai accorti.

Dovevamo fare qualcosa, altrimenti lo avremmo perso.

Tornai in balcone, dove mio fratello stava tranquillamente conversando con Tom.

Lo guardai, esterrefatta.

“Fino a ieri lo avrebbe volentieri ucciso…ora sta qui a chiacchieraci assieme” pensai, allibita.

Scrollai le spalle. Un pensiero in meno di cui preoccuparmi.

Se Eric e Tom andavano d’accordo, c’era solo da guadagnarci.

Jo mi raggiunse in quel momento.

“Alena io ci ho parlato, ma non vuole sentir ragioni…non so più come comportarmi” mi disse, abbracciandomi le spalle.

“Hai fatto quello che potevi. Ora spetta a lui la decisione” dissi, sospirando.

David venne a chiamarci, così entrammo in sala e registrammo il pezzo.

 

“Such a lonely day
And it’s mine
The most loneliest day of my life
Such a lonely day
Should be banned
It’s a day that I can’t stand

The most loneliest day of my life
The most loneliest day of my life

Such a lonely day
Shouldn’t exist
It’s a day that ill never miss
Such a lonely day
And it’s mine
The most loneliest day of my life

And if you go
I wanna go with you
And if you die
I wanna die with you
Take your hand and walk away

The most loneliest day of my life
The most loneliest day of my life
The most loneliest day of my life

Such a lonely day
And it’s mine
It’s a day I’m glad I survived”

 

I Tokio Hotel ci osservarono attentamente. Erano concentratissimi.

“Bene, ora venite qui che vi faccio sentire com’è venuto” disse David.

Ero terrorizzata. L’idea di sentirmi cantare mi metteva un’ansia che nemmeno potete immaginare.

La registrazione partì.

La chitarra di Eric emise le prime note, quindi sospirai.

Sapevo che di lì a poco si sarebbe sentita la mia voce.

Trattenni il fiato a lungo. Ero agitatissima. La cosa che mi preoccupava di più era indubbiamente il duetto con mio fratello nel finale.

Quando anche l’ultima nota della chitarra smise di risuonare, mi azzardai ad alzare lo sguardo verso gli altri.

Bill aveva uno sguardo sognante e Tom osservava di continuo le mani di mio fratello.

“Ma siete strabilianti!” esclamarono in contemporanea.

Arrossii visibilmente.

“Ehm…grazie” dissi, sorridendo.

“Ragazzi, mi pare proprio che con un singolo del genere conquisterete le vette delle classifiche!” esclamò David, sorridendoci.

 

Ave popolo! Capitolo tristemente corto, ma era giusto che fosse così, almeno potete leggerlo in fretta ^^.

In ogni caso non credo abbiate pensato che quel testo sia uscito dalla mia testolina. Ebbene, avete ragione. Il testo, nonché la canzone che ho ascoltato durante la stesura del capitolo è “Lonely Day” dei System of a Down. Aggiungo una piccola nota per chi non l’avesse mai ascoltata.

Tom osserva le mani di Eric perché la parte di chitarra di questo brano è MOLTO difficile, anzi quasi impossibile, quindi è per questo che è profondamente ammirato.

Ok, ora vi ho spiegato. Aspetto tanti commentini!!! Baciiiii!

Ah, un’altra cosa…scusatemi per tutte le parolacce nel cappy ^^.

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Capitolo 7
*** 07. ***


Rieccomi. Dunque, che dire? I Damned hanno registrato un pezzo, David è entusiasta e i gemelli sono al settimo cielo. C’è un gigantesco problema da risolvere però. Matt fa uso di cocaina. Come aiutarlo, ma soprattutto come fare per non far scoprire questa amara verità anche ai Tokio Hotel e al loro manager? Bene, ora vi lascio con l’angolino ringraziamenti e al capitolo numero 7! Küssen!

Grazie a:

billa483: Eh, ancora non so come far evolvere la storia di Matt…in ogni caso spero tu abbia ascoltato la canzone, perché è veramente bellissima!!! (anche se è cantata da un uomo...)

pandina_kaulitz: mah, sinceramente credo poco in una possibile relazione tra Ale e Tom…(più avanti capirai perché)

jaji: non preoccuparti se non hai recensito, l’importante è che ogni tanto mi fai sapere come la pensi sulla storia (anche se è piacevolissimo vedere sempre le stesse persone che recensiscono ogni capitolo ^^). Sono contenta che ti piaccia e x il tempo…beh, neppure io ho tanto tempo per scrivere, solo che quando sono ispirata vado anche piuttosto in fretta!! ^^

Grazie anche a:

evol

che ha aggiunto la fic alle preferite e ovviamente a tutti coloro che leggono la fic, anche senza scrivermi niente (=^^=)

 

 

07.

 

BERLINO_SALA DI REGISTRAZIONE

 

Eric e Tom parlarono a lungo e il giovane rasta provò e riprovò il nostro pezzo, fino a memorizzare il breve inciso da suonare.

Rimasero insieme per tutta la mattina, continuando ininterrottamente a suonare le loro chitarre.

Ero troppo giù di morale per godermi quel momento di pace, tanto che mi isolai in balcone. Aveva cominciato a diluviare, ma non m’importava.

Alzai lo sguardo al cielo e sospirai, sentendo mille gocce gelide sfiorarmi le guance e mischiarsi alle mie lacrime tiepide.

Stavo piangendo senza nemmeno rendermene conto. Stavo piangendo perché ero certa che avrei perso Matt. Lo sapevo…sapevo già cosa sarebbe accaduto.

Me lo sentivo…era come una sorta di presentimento.

Sospirai, restando appoggiata alla ringhiera. Ormai i capelli li avevo incollati. I vestiti da buttare via e il trucco in una situazione penosa, ma non m’importava. Stavo malissimo.

Ad un tratto sentii la porta-finestra aprirsi. L’acqua ticchettare sulla stoffa di un ombrello.

“Ale, vieni dentro o ti ammalerai”. La voce di Georg.

Scossi la testa, un po’ per dirgli di no, un po’ per scacciare il freddo che mi stava penetrando fino alle ossa.

“No…Georg. Lasciami sola” dissi in un sussurro, tanto che dubitai che mi avesse sentita.

La pioggia smise di picchiarmi in testa, al che intuii di trovarmi al riparo di un ombrellino.

“Non ti fa bene tutta quest’acqua” mi disse, sorridendomi.

Piansi ancora di più.

“Che hai?” mi domandò preoccupato, lasciando cadere l’ombrello ed abbracciandomi.

“Si tratta di Matt…”

“Cos’è successo?” era visibilmente preoccupato.

“Sta male…” dissi.

Non mi rispose.

“Sniffa cocaina…solo che lo faceva già da ragazzo…” dissi tra i singhiozzi.

Georg sospirò.

“Ne hai già parlato con gli altri?” mi chiese.

“Solo con Jo”

“Non con tuo fratello?”

“No…Eric potrebbe morire dal dispiacere. Matt è come un fratello per lui…” dissi.

“Senti, questa situazione migliorerà. Te lo prometto” mi disse, poi rientrammo.

Ero fradicia e tremavo di freddo.

“Cos’è successo?” chiese Bill, correndomi incontro.

“Nulla. Stavo pensando e non mi sono accorta che avesse cominciato a piovere” dissi, sorridendo.

In quel momento un fulmine fece saltare la corrente e, dopo pochissimo si udì un tuono terrificante.

Da creatura pavida quale sono, mi gettai addosso alla prima persona che trovai, in quanto terrorizzata dal temporale.

Caso volle che fosse proprio Georg la persona più vicina a me.

“Ragazzi!” esclamò Bill.

“Siamo qui” rispose Georg, tenendomi tra le braccia. Ringraziai il buio per poter arrossire a dismisura, senza che qualcuno se ne accorgesse.

“Bill! Georg! Siete qui?” la voce di Gustav.

“Sì…segui la mia voce” disse Bill.

Eravamo al buio, ma almeno eravamo assieme.

“Ragazzi! Ce la fate ad arrivare fin qui?”. Era la voce di David.

“Aspetta! Forse ci riusciamo. Continua a parlare!” disse Gustav.

La voce di David ci guidò. Chiusi gli occhi, per affinare gli altri sensi.

In breve tempo il mio udito e il mio olfatto migliorarono nettamente, non più distratti dalla vista.

Il profumo di Georg mi invase la mente. Era buono, fresco.

Mi tenne per mano, finché non raggiungemmo David.

“Chi manca all’appello?” chiesi.

“Io ci sono, e anche Tom” disse mio fratello.

“Jo? Matt?” domandai.

“Qui” risposero insieme.

“Ok, allora ci siamo tutti. Un tecnico è andato a controllare il generatore, dato che non si sono accese nemmeno le luci di emergenza” disse David.

Anche di fuori era buio. I nuvoloni neri del temporale avevano oscurato il sole, tanto che non si vedeva ad un palmo dal naso.

“Beh, almeno siamo sicuri che la luce non è andata via solo qui” dissi, osservando il mondo esterno, attraverso quella fitta cortina di nebbia e pioggia.

“Oh, la cosa è confortante!” disse Bill, rabbrividendo.

Sorrisi, poi fu il mio turno ad essere percorsa da lunghi ed incessanti brividi. I vestiti bagnati mi pesavano addosso e, senza rendermene conto cominciai a battere i denti.

“Cos’è questo rumore?” chiese Bill, terrorizzato.

“S-sono io!” esclamai, rabbrividendo.

Georg mi strinse di più.

“Tieni questa” mi disse Tom, porgendo alla cieca la sua felpa extralarge.

“Non puoi tenere su quei vestiti fradici” mi disse Georg.

Io lo guardai, o almeno, mi voltai nella sua direzione.

“Come scusa?” chiesi, esterrefatta.

“Tirati via quei vestiti fradici e mettiti la felpa di Tom. È abbastanza grande per coprirti tutta” disse.

“Un attimo…” disse Eric.

“Stai tranquillo…non mi vede nessuno” dissi, slacciandomi i jeans che pesavano una tonnellata.

Una volta libera dai miei vestiti, mi infilai nella felpa di Tom, calda, enorme e soprattutto asciutta.

Sospirai, soddisfatta.

In quel momento tornò la luce.

Mi guardai. Sembravo una trovatella.

“Ti sta bene la mia felpa” esclamò Tom, sorridendo.

Georg mi strinse le spalle, sorridendomi.

“Bene, per oggi direi che possiamo anche andare a casa. Ragazzi, domattina vi telefono per dirvi bene le date del tour, poi parto per organizzare le cose in Italia. Mi raccomando, mentre sarete qui da soli, niente disastri” disse, rivolgendosi soprattutto a Tom e a Georg.

“Certo David, non devi preoccuparti!” esclamarono.

“Ehm…ragazzi io mica posso uscire conciata così, sennò chissà cosa pensano le persone…” dissi, arrossendo.

“Beh, ma qui di vestiti non ce ne sono…” disse Tom.

“Aspettate! Qui ci sono alcuni vestiti, o almeno c’erano fino a qualche giorno fa!” esclamò Bill prendendomi per una manica e trascinandomi con sé. Gli altri ci seguirono, visibilmente preoccupati.

Ogni volta che Bill aveva un’idea, quasi sempre si trattava di un disastro cosmico.

Mi portò in una sala più piccola della precedente.

“Aspettami qui…dovrebbe esserci qualcosa che ti va bene” disse guardandomi e sparendo dietro ad una porta.

“Ehm, qualcuno ha la minima idea di cosa stia accadendo qui?” chiesi.

“Oh, ora ho capito! Vi ricordate quando Bill ci ha parlato di quei vestiti?” chiese Gustav.

“Sì, i meravigliosi abiti che aveva trovato nascosti vicino alla sala prove?” domandò Tom, imitando la vocetta del gemello.

“Tom guarda che ti ho sentito!” esclamò il frontman raggiungendoci. Tra le braccia portava un vestito rosso porpora in velluto scuro.

“Quello cos’è?” chiesi, additando il prezioso abito.

“Si tratta di un prezioso vestito. Lo hanno usato alcuni giorni fa per un servizio fotografico. Credo che possa andarti bene!” esclamò.

Io arrossii.

“Beh, allora vado a provarlo” dissi, rassegnandomi all’idea che, in qualunque caso mi sarei vergognata a morte, una volta fuori dallo studio di registrazione.

Chiusa nello stanzino con quel vestito tra le mani pensai a quella giornata.

Sospirai, poi mi vestii. Purtroppo non c’erano specchi, quindi non riuscii a farmi un’idea di come potessi apparire agli occhi degli altri.

Uscii, sperando di essere invisibile. Gli occhi di tutti erano puntati su di me.

“Caspiterina! Sicura di provenire da questo secolo?” mi chiese Bill, sorridendomi.

Abbassai lo sguardo ed arrossii.

Eric mi prese sotto braccio.

“Sembri una dama del medioevo” mi disse.

“Stai benissimo” mi disse Jo.

Erano tutti così carini. Facevano il possibile per non farmi sentire a disagio. Sorrisi e ci incamminammo di fuori.

Jo salì in macchina, seguito da Matt e da Eric.

“Ci vediamo a casa?” mi chiese mio fratello.

“Perché?”

“Immagino tu voglia stare con loro” mi disse, indicando i Tokio Hotel.

“Beh…sinceramente prima di tutto vorrei cambiarmi” dissi, sorridendo.

“Ragazzi! Ci state per una pizza da noi?” chiese mio fratello sporgendosi dal finestrino.

I quattro lo guardarono.

“Abbiamo pure la playstation” disse Jo.

“Ok! Ci siamo!” esclamarono Georg e Tom.

Sorrisi.

“Maschi…basta giocare e sono contenti” pensai ridendo. Salii in macchina e mi preparai psicologicamente a rientrare in un comodissimo paio di pantaloni.

 

 

BERLINO_CASA DEI DAMNED ORE 18.45

 

Io ero in tuta, seduta in salotto a guardare mio fratello e Jo che sfidavano Tom e Georg ad una partita virtuale di calcio.

Scossi la testa, esasperata. Gustav era sul divano insieme a Matt e tutti e due si stavano facendo una sorta di interrogatorio reciproco riguardo la batteria.

Bill invece stava passando in rassegna tutti i miei profumi. Sembrava un tossico.

“Ma questo è buonissimo!” esclamò, mostrandomi la boccetta di Alien di Therry Mugler.

“Grazie. È quello che uso sempre” risposi, sorridendogli.

Non appena eravamo entrati in casa, Bill mi aveva chiesto di usare il bagno e, dopo ne era uscito estasiato. Mi aveva chiesto di poter esaminare minuziosamente tutte le boccette colorate che avevo al piano superiore e io, ingenuamente, avevo acconsentito.

Certo non avrei pensato che avrebbe portato tutti i miei profumi in salotto, che si sarebbe seduto a terra e che li avrebbe annusati tutti, uno per uno.

Sorrisi. Sembrava un bambino.

Stavo male a guardarlo. Pensavo al mio bambino, a quello che non avevo mai avuto. A quel bambino che avrei chiamato Sebastian, come il personaggio di un cartone animato, perché mi era simpatico. A quel bambino che, se fosse nato avrebbe avuto quasi un anno.

Mi alzai di scatto dalla poltrona e mi allontanai. Sarebbe stato sciocco mettermi a piangere davanti a tutti e non volevo dare delle spiegazioni inutili.

Salii in camera, fingendo di dover recuperare il cellulare, che avevo chiaramente in tasca.

Mi sedetti sul letto e rimasi in silenzio, finché i singhiozzi non uscirono spontaneamente dalle mie labbra.

Il passato tornò ad assalirmi violentemente. Mi sembrava di stare ancora in quel maledettissimo incubo.

Ero persa nei miei pensieri, quando mi sentii abbracciare.

“Ale, ora va tutto bene. Ci sono qui io”. La voce di mio fratello mi rassicurò un po’. Il mio corpo fu percorso da un lungo brivido.

“Eric…”

“Sssst. Non parlare” mi disse in un sussurro.

Rimasi stretta a lui per minuti interminabili.

Sentii suonare il campanello. Jo andò ad aprire e la vocetta di Bill ci chiamò.

Non ottenendo risposte, udii i suoi passi frettolosi avvicinarsi alla porta.

“Ragazzi! È pronto…”. Le parole gli morirono sulle labbra.

“Scusate…non volevo disturbare” disse a bassa voce, allontanandosi dalla porta.

Eric lo guardò.

“Beh, le pizze sono giù” disse il ragazzo, prima di scendere di sotto.

“Ale, stai bene?” mi chiese mio fratello.

Io annuì, anche se non ero pienamente convinta di quella risposta.

“Sicura?”

“No…cosa ho fatto? Chi mi ha dato il diritto di ucciderlo?” chiesi.

“Ale…ormai è passato un anno. Non puoi continuare a pensarci. La tua vita va avanti…” mi disse.

“Lo so…solo che oggi Bill…era seduto sul pavimento…con i miei profumi…” dissi, piangendo ancora più forte.

“Alena, capisco. Lo so che fa male, ma devi farti forza. Hai solo diciannove anni. Hai tutta la vita davanti…”

Sospirai.

“Hai ragione. Ora scendiamo”.

Eric annuì, poi mi aiutò ad alzarmi.

“Vado a sciacquarmi la faccia” dissi, entrando in bagno.

Sospirai e mi guardai allo specchio.

Non so cosa mi passò per la mente, aprii l’armadietto dei ragazzi e presi una lametta per la barba, poi la strisciai sul polso destro.

Una sottile linea di sangue cominciò a colare sulla ceramica bianca del lavandino.

Subito mi chiesi per quale motivo avessi compiuto quel gesto. Nella mia mente si affacciò un nuovo pensiero.

“Pagherò con il sangue tutto il male che ho fatto…” pensai in quell’attimo di follia.

Aspettai che l’emorragia si fermasse, poi pulii tutto e mi riguardai allo specchio. Nei miei occhi brillava una luce diversa. Nella mia testa era cambiato qualcosa…

Ancora non immaginavo quanto grave fosse quel qualcosa.

 

Ecco, finito questo capitolo. Sempre più all’insegna del tragico…però intanto che David è in Italia deve pur succedere qualcosa, o sbaglio?

In ogni caso non prendetevela troppo ^^.

Sarò brava (prima o poi). Un bacio ragazze (e ragazzi, nel caso qualche maschio legga). Buon rientro domattina.

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Capitolo 8
*** 08. ***


Dunque…siamo già all’ottavo capitolo…il tempo corre in fretta quando ci si diverte ^^.

Ma bando alle ciance che il tempo è prezioso!

Angolino ringraziamenti:

Billa483: visto ho aggiornato presto (sono stupita di me stessa!!!). Kmq chissà cosa succederà senza il buon manager…beh posso anticiparti che non ci saranno terremoti, o meteoriti ^^

_inguaribile sognatrice_: da buona Laura quale sei, pure te vai matta x le cose tragiche ^^. Beh sinceramente pure io spero che la mia mente malata faccia riprendere sia Ale che Matt (visto che è lei che idea tutto…io sono solo uno strumento per i suoi loschi piani °_° ) Pure io tvtttttttttb^^

Miss hiphop: Che gioia immensa leggere una recensione nuova!!!! (Non che le altre mi stanchino, per carità non direi mai una cosa simile…). Sono contenta che ti piaccia la mia fic, e hai ragione…per fortuna che David si era raccomandato, ma come vedi per una volta non è Tom a combinare disastri!!!

Grazie anche a:

Alexgirl che ha messo la fic tra le preferite

Tanti baci ragazze, e grazie mille ^^

 

08.

 

 

BERLINO_APPARTAMENTO DEI DAMNED ORE 23.04

 

Ero esausta. Il pianto di qualche ora prima mi aveva debilitata e in quel momento mi trovavo sul divano, con la testa appoggiata ad una spalla di Georg. Eravamo tutti quanti stanchissimi.

“Ragazzi, restate qui a dormire?” chiese Jo, osservando le facce stanche dei quattro amici.

“Eh?” chiese Tom emergendo da uno stato di semi torpore.

“Non mi sembra il caso che vi mettiate in macchina adesso. Siete tutti e quattro stanchi” disse Eric, sopprimendo uno sbadiglio.

“Vi preparo i letti” dissi, alzandomi ed andando al piano superiore.

Presi cuscini, federe e lenzuola, poi tornai di sotto.

“Ragazzi devo farvi sposare, però” dissi.

Tom trascinò suo fratello verso la poltrona.

Aprii il divano in modo da farlo diventare un letto e cominciai a prepararlo.

“Eric dà loro delle tute. Mica possono dormire in jeans” dissi, mettendo i cuscini nelle federe.

“Ok…” mi rispose mio fratello andando di sopra. Jo e Matt erano in terrazzo a fumare, insieme a Tom.

Bill stava sonnecchiando sulla poltrona, mentre Georg e Gustav mi stavano aiutando.

Nel sistemare il primo letto, mi si alzò lievemente la manica della felpa. Quel poco bastò per far notare la mia ferita.

Georg lasciò andare immediatamente il cuscino per terra e mi prese il polso.

“Alena che ti sei fatta?” mi chiese, preoccupato.

“Lasciamo stare. Mi sono tagliata in cartoleria con dei fogli che ho dovuto pure buttare via! Un giramento di scatole che neanche immagini! Sono troppo maldestra” dissi, inventandomi al volo la scusa.

Sospirai. Grazie a Dio avevo una fervida immaginazione ed ero sempre stata brava a raccontare palle su palle.

“Sicura che non sia nulla? Mi sembra profondo” disse lui.

“Certo, stai tranquillo. Sono ancora viva, quindi non è grave” risposi, recuperando il cuscino.

Una volta sistemato il letto, guardai Bill.

Si era addormentato, accoccolato sulla poltrona come un gattino.

Sorrisi.

“Beh, io non lo alzo di peso, anche se immagino quanto possa pesare un affarino come lui” dissi, preparando l’altra poltrona.

Tom, che nel frattempo era rientrato, scosse il fratello per svegliarlo.

“Che c’è?” chiese Bill, intontito.

“Mettiti questa, poi puoi dormire” gli rispose il gemello.

Il moro si trascinò fino al bagno e ci rimase per una decina di minuti.

Io ero riuscita a sistemare tutte e due le poltrone-letto.

“Bene ragazzi, qui è tutto pronto. Potete dormire sonni tranquilli adesso” dissi, sorridendo.

Bill riemerse dal bagno e si buttò sul letto, addormentandosi all’istante.

“Quando si scaricano le batterie si riduce sempre così” disse Tom, guardandolo con un sorriso.

“Sentite, mi dispiace che dobbiate dormire nello stesso letto, ma altro non posso fare…” aggiunsi.

“Tranquilla. Sono abituato ad avercelo sempre addosso…” mi rispose.

Attesi che fossero tutti pronti, poi mi ritirai.

“Rimarrei qui a farvi compagnia, ma ho un sonno assurdo. Ci vediamo domattina” dissi, salendo le scale.

“Buona notte” dissero tutti insieme.

Sorrisi ed entrai in camera.

I ragazzi erano tutti svegli, ma pochi minuti dopo sentii salire anche Matt, Jo ed Eric.

In casa scese il silenzio più totale. Chiusi gli occhi e ripensai al momento in cui mi ero tagliata.

Mi ero sentita felice. Avevo sentito il dolore andarsene insieme al sangue giù per lo scarico del lavandino.

Mi alzai, aprii la porta ed andai in bagno. Conoscevo bene la casa e non dovetti accendere nessuna luce.

Chiusi a chiave la porta ed accesi la luce dello specchio, poi presi la lametta di qualche ora prima e, nuovamente la strisciai sul polso, quella volta un po’ più verso il gomito.

Sciacquai il lavandino e la lametta, poi uscii in corridoio.

Udii dei passi e mi nascosi dietro un angolo.

Riconobbi la sagoma di Matt scendere di sotto.

Lo seguii silenziosamente ed entrai con lui in cucina.

Prima che chiudesse la porta, mi intrufolai e mi nascosi.

Era troppo rincoglionito per non accorgersi della mia presenza, oppure faceva apposta?

Accese la luce, poi lo vidi prendere una bustina dalla tasca. Si mise sul marmo scuro dell’isola, poi con una carta di credito fece tante strisce. Ne contai cinque. Rabbrividii. Prima che si mettesse a sniffarle uscii dal mio nascondiglio.

“Che cazzo ci fai qui?” mi domandò a bassa voce, trasalendo per lo spavento.

“Potrei farti la stessa domanda” dissi.

“Ale…vai via!” esclamò.

“No! Sei un drogato! Ti rendi conto che ti stai uccidendo? Vuoi morire?” gli chiesi.

Lui chinò il capo.

“Ormai non posso più smettere”.

“Da quanto tempo vai avanti?”

“Da quasi due mesi. Prima sniffavo solo una striscia al mattino, prima del lavoro e mi bastava per tutta la giornata. Ora devo per forza farmene almeno una decina al giorno”

“Matt, non arrivi a fine mese se vai avanti così!” gli dissi allontanandolo dalla cocaina.

“Ale, lasciami stare!” disse.

Io feci per tirargli uno schiaffo, ma lui mi fermò, afferrandomi il polso.

Subito la manica del pigiama si intrise di sangue e una striscia rossa lo segnò in modo indelebile, macchiando anche le dita di Matt.

“E questo che cazzo è?” mi chiese, guardandosi la mano.

Io chinai il capo.

“Ale che cazzo sta succedendo?” domandò, prendendomi per le spalle e costringendomi a guardarlo.

“Non lo so…Matt non lo so…” risposi in un sussurro.

“Ale, guardami negli occhi e dimmi solo che è la prima volta che succede, che ti sei tagliata con una scheggia di vetro…”

I miei occhi si riempirono di lacrime.

“Se è questo quello che vuoi sentirti dire…allora sì. Mi sono tagliata con del vetro…”

“Alena, hai solo diciannove anni…”

“Tu ne hai ventuno! Che razza di ragionamento è?”

“Hai diciannove anni. La tua vita è fantastica! Non puoi farti questo!”

“Parli tu? Mi fai la predica tu? Avevi giurato che non avresti più toccato mezzo milligrammo di droga ed ora sei qui! Quando ti guardi allo specchio non ti vergogni nemmeno un po’? Non ti accorgi che io e Jo stiamo soffrendo per questa cosa? Non ti rendi conto che se Eric venisse a saperlo probabilmente morirebbe dal dolore di vederti in questo stato? Quanto credi di poter andare avanti con questa farsa? Un giorno? Un mese? Un anno?”

Ero stata cattiva, odiosa. Una vera stronza e non mi sentivo affatto bene ad avergli detto quelle cose, anzi mi sentivo peggio di prima.

“Hai ragione…ma adesso fa parte di me. Non riesco a rinunciarci. Impazzisco se non assumo droga”

Sospirai e lo lasciai da solo.

“Fai quello che vuoi…” dissi, prima di richiudere la porta.

Tornai in bagno.

Avevo provocato altro dolore. Avevo fatto soffrire Matt e dovevo pagare per quello che avevo compiuto.

La lametta era ancora lì. La strisciai con maggiore forza sul mio polso. Uscì molto più sangue, ma non m’importò. Sciacquai tutto, poi cercai di tamponare l’emorragia.

Nulla, il sangue continuava a scorrere. Lentamente la vista cominciò ad offuscarsi.

“Sto morendo” pensai in quel momento.

Caddi a terra e picchiai la testa, perdendo i sensi. Era la fine…

 

 

OSPEDALE_ORE 5.00

 

Mi svegliai nel letto. Pensai fosse stato tutto un sogno.

“Adesso mi alzo e scopro che non abbiamo nemmeno cantato” pensai.

Provai a muovermi, ma avevo le braccia legate. Mi guardai intorno. La testa di mio fratello appoggiata al bordo del letto.

“Eric…” lo chiamai. Ero in preda al panico.

“Ale! Sei sveglia!” esclamò abbracciandomi.

Mi tenne stretta al suo petto, accarezzandomi i capelli.

“Ale…ti prego, dimmi che non lo farai mai più” mi disse, guardandomi negli occhi.

Io chinai il capo. Non avevo il coraggio per guardarlo in faccia.

“Eric…mi dispiace” dissi, piangendo.

“Perché lo hai fatto?”.

“Perché…perché mi sento in colpa…”

“Nei confronti di chi?”

“Del mio bambino, di te, di Jo, di Matt…”

Eric mi strinse ancora.

“Tu non hai nulla da rimproverarti. Io e i ragazzi siamo contenti di averti accanto. Sei una persona speciale, sorellina”.

Rimasi con lui per tutto il giorno. Mi spiegò che mi avevano legata al letto perché i tentativi di suicidio venivano trattati in quel modo.

I polsi feriti erano coperti da delle garze candide, ma la posizione in cui mi trovato era abbastanza scomoda.

Ad un tratto sentii bussare alla porta e vidi Tom e Bill fare capolino.

“Ciao!” esclamarono insieme.

Eric uscì, lasciandoci soli.

“Beh, per fortuna che David si era raccomandato tanto con noi!” disse Tom, sorridendo.

“Già…senti Ale…se hai bisogno di parlare con qualcuno…” disse Bill, prendendomi per mano.

Lo guardai, poi osservai il suo gemello. Avevano lo stesso sguardo, gli stessi identici occhi.

“Bill, ieri sera quando ti ho visto seduto a terra con tutti i miei profumi, mi hai fatto venire in mente…”

“Alena non puoi raccontarglielo! Non sai nemmeno chi siano questi due!” pensai, eppure mi fidavo ciecamente. Era una sensazione nuova per me.

Raccontai loro tutta la storia, tutta la mia vita precedente. Tutto il mio dolore e tutte le mie sofferenze.

Bill pianse con me, mi tenne saldamente la mano e non mi interruppe mai.

Avevo commesso un grosso errore, ma con loro al mio fianco, capii che avrei seguito la strada giusta. Ora mancava solo Matt, poi sarebbe tornato tutto alla normalità.

Altro cappy finito! Lo so, è orrendo e se non recensirete più vi capisco… solo che ogni tanto mi vengono queste crisi “dello scrittore” quindi abbiate almeno la pietà di sopportarmi…

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Capitolo 9
*** 09. ***


 Good nono capitolo…non so quanti ce ne saranno ancora, ma non credo molti…^^

Dunque…

Danke a:

billa483: beh, oltre che a sentirci su msn, che posso dire??? Grazie davvero, perché mi fanno sempre piacere i tuoi commenti ^^

_inguaribile sognatrice_: addirittura capolavoro??? Me arrossisce molto ^///^. Davvero, non credo proprio sia degno di essere chiamato così, ma sono felice che ti piaccia. Wow le tue recensioni sono sempre lunghissime!!! Che soddisfazione leggerle!!!

Alexgirl: Altra new entry nelle recensioni. Danke, sono contenta che ti piaccia la mia storiella.

Jaji: ^^ mi stavo preoccupando non vedendo il tuo commento! Danke cara.

Baci a tutti!!!

 

09.

 

BERLINO_OSPEDALE ORE 11.50

 

 

I gemelli rimasero con me ed Eric per tutta la mattina. Ero contenta che il rapporto tra mio fratello e Tom si fosse risanato.

Verso metà pomeriggio, i ragazzi mi lasciarono da sola perché dovevano andare a fare delle commissioni.

Scusa poco plausibile, visto che meno di mezzo secondo dopo entrò Georg.

“Strano che mio fratello mi abbia lasciata sola…che stia cambiando radicalmente?” pensai, sorridendo.

Georg mi guardò negli occhi, prima di lasciar cadere il suo sguardo sulle bende che mi fasciavano i polsi.

“Non ti chiederò perché lo hai fatto. Hai tutte le ragioni di questo mondo. Piuttosto ti chiederò se non ti sei resa conto delle conseguenze che il tuo gesto avrebbe portato? Hai pensato a quello che sarebbe successo a tuo fratello e agli altri? Non hai pensato a me?”.

Rimasi spiazzata da quella domanda.

“Te?” chiesi.

“Sì, a me…”.

Si sedette e mi prese una mano.

“Non so…probabilmente sono stato poco incisivo…quindi mi vedo costretto a dirtelo esplicitamente. Mi piaci…mi piaci un sacco”

Rimasi senza parole. La notizia mi lasciò talmente scossa che cominciai a piangere, senza un vero ed apparente motivo.

Piansi senza potermi asciugare le lacrime. Quei dannati legacci mi tenevano imbrigliata al letto.

Georg mi prese il viso e mi baciò a lungo. Assaporai il gusto salato delle mie lacrime che, dalle mie guance era passato sulle sue labbra.

Rimasi in silenzio a singhiozzare per un tempo che mi parve eterno, poi lo guardai.

L’idea di cominciare una nuova storia mi terrorizzava.

Tremavo dalla paura.

Dovevo raccontare anche a lui quello che mi era successo, affinché capisse.

Parlai interrompendomi pochissime volte e lui mi guardò sempre. Non distolse mai il suo sguardo dai miei occhi.

Quando finii il mio racconto presi un profondo respiro ed abbassai lo sguardo.

“Adesso si alzerà e mi lascerò da sola…di nuovo” pensai in quel momento.

Mi prese la mano e mi guardò intensamente.

“D’ora in poi non sarai più sola. Ci sarò sempre io al tuo fianco” mi disse, poi mi baciò.

Rimasi con lui per tutto il pomeriggio, poi l’infermiera di turno lo fece uscire.

“Ci vediamo domattina” mi disse, baciandomi un’ultima volta.

Distesa al buio pensai che finalmente mi ero presa una piccola rivincita sulla mia vita.

 

 

BERLINO_CAMERA  DEI TOKIO HOTEL. ORE 23.00

 

Bill stava finendo di scrivere un testo, siccome si sentiva particolarmente ispirato. Tom era in balcone a fumare e Gustav stava distrattamente sfogliando una rivista.

Da quando Alena era in ospedale, regnava una sorta di calma apparente, anche se eravamo tutti tesi e pronti a scattare come molle. Avevo lasciato il numero di cellulare ad Eric, in modo che mi avvisasse per ogni novità.

“Speriamo vada tutto bene stanotte” pensai.

Il telefono squillò qualche secondo dopo il mio breve pensiero.

Scattai in avanti per prenderlo dal tavolo, al che i miei tre amici si voltarono verso di me.

“Pronto?” dissi

“Ciao Georg…sono Eric”

“Dimmi tutto…è successo qualcosa?”

“No, tranquillo. Mi ha appena telefonato l’ospedale per dirmi che Ale la dimettono domattina verso le undici…quindi pensavo di organizzare qualcosa di carino qui da noi…”

“Oh, sì. Sarebbe un’ottima idea…come ci mettiamo d’accordo?” domandai.

“Beh credo che potresti andare a prenderla te, no?”

“Uh? Sì, va bene…”

“Intanto noi prepariamo la casa”

“Ok, allora ci vediamo per mezzogiorno a casa vostra” dissi.

“Ok, a dopo”.

Attaccai il telefono sorridendo, al che i ragazzi tirarono un sospiro di sollievo.

“Che succede?” mi chiese Bill.

“Ale uscirà domani mattina, e siccome suo fratello vuole organizzarle una festicciola, andrete tutti a casa loro e a mezzogiorno mangeremo lì tutti assieme”.

I ragazzi annuirono, poi andammo a dormire, sarebbe stata una giornata lunga.

 

 

BERLINO_OSPEDALE ORE 10.55

 

Fu Georg a venirmi a prendere e la cosa mi riempì di gioia, nonostante fossi preoccupata per l’assenza di Eric.

“Purtroppo doveva fare una cosa e non è potuto venire” mi disse il ragazzo.

Uscimmo dall’ospedale alle undici in punto. In macchina ascoltammo parecchia musica, senza parlare. Per arrivare a casa mia fece un giro stranissimo, tanto che impiegammo un’ora per arrivare.

“Come mai questa strada?” domandai, scendendo dall’auto.

“Così, avevo voglia di stare un po’ in macchina con te” rispose semplicemente aprendomi la porta di casa.

Era tutto buio, con anche le tapparelle abbassate.

“Dimmi te…gliel’avrò detto mille volte di lasciare le tende aperte, sennò mi muoiono le piante!” esclamai.

In quel momento si accesero le luci e vidi uno striscione immenso con scritto “BENTORNATA ALE!”. Riconobbi la calligrafia di Lu.

Poi c’erano tutte le firme. Eric, Bill, Jo, Matt, Georg, Gustav, Tom e Lu.

Sorrisi, commovendomi. Erano stati gentilissimi e non mi sarei mai aspettata una sorpresa del genere.

Ringraziai tutti e, con mio sommo stupore vidi anche una splendida torta. Restammo insieme per tutto il giorno, fino a sera e non ricordo di essere mai stata tanto felice in vita mia.

Alla fine se ne andarono tutti e io continuai a sorridere, nonostante tutto.

 

Capitolo indegno d’essere chiamato tale, ma finalmente l’ho finito ^^. In ogni caso chiedo umilmente perdono se ci ho messo così tanto, ma tra open day dell’università, scuola e tutto il resto ho ben poco tempo per star dietro alla fic. Un bacio a tutti…


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Capitolo 10
*** 10. ***


Ciao a tutti! Rieccomi. Scusatemi immensamente per il ritardo, ma ste settimane ho avuto un concerto di giovedì (20) e i giorni prima ho fatto solo prove (dire che ero stanca morta non rende bene l’idea ^^). Poi una mia compagna mi ha passato Twilight, New Moon ed Eclipse, quindi il computer non l’ho degnato molto ^^…Comunque, sono molto contenta delle vostre recensioni, mi fa piacere leggere che siete soddisfatte della storia.

Grazie a:

Kessy993: new entry! Wow che emozione… non preoccuparti, a volte recensisco fic che sono state completate mesi fa, quindi non ti agitare ^^

Billa483: oh ma mica mi sono offesa x la matta, lo so benissimo!!! Comunque sono contenta che il famigerato bacio ti sia piaciuto ^^

_inguaribile sognatrice_: macché logorroica, a me piacciono le recensioni lunghe!!! Comunque non ho capito che parte non ti è piaciuta (???)

Bene e ora proseguiamo con il…decimo capitolo!!! (Di già??? Oddio come vola il tempo ^^)

 

10.

 

 

BERLINO_CASA DEI DAMNED ORE 11.00

 

Mi svegliai con il sorriso sulle labbra. Ero felicissima. Mi stiracchiai, poi mi schermai gli occhi con una mano. Il sole stava inondando la mia camera. Mi mossi leggermente ed andai in bagno.

Sentii delle voci provenire dal piano inferiore. Riconobbi la voce un po’ roca di Tom e quella squillante di Bill, nonostante il cantante si sforzasse in ogni modo di parlare piano.

Sorrisi nuovamente, pensando che ormai facevano parte della famiglia a tutti gli effetti.

Entrai in bagno e vidi Matt. Ci guardammo per qualche istante e notai che aveva almeno una decina di bustine sul pianale del bagno. Inorridii. Tra le mani ne stringeva due, vuote.

Feci per uscire, sconvolta, quando mi sentii afferrare per il polso.

“Aspetta. Non è come credi tu” mi disse, sorridendomi.

“Come dovrebbe essere?” domandai.

“Ho deciso di smettere. La mia forza di volontà è superiore…le sto buttando via”.

Solo in quel momento vidi alcuni grammi di cocaina rimasti nel gabinetto. Stava dicendo la verità.

Commossa lo abbracciai. “Grazie Matt…” dissi.

“Grazie a te. Mi hai salvato la vita” rispose, gettando via il resto.

Scesi con lui al piano di sotto, dove erano tutti svegli.

In quel momento suonò il cellulare di Bill.

Lo vidi incupirsi, poi sorridere e cominciare a saltellare, prima di concludere la chiamata con un “Ciao David!!!”.

“Buone notizie?” chiesi, mentre Georg mi dava un bacio su una guancia.

“Ottime! David torna domani…e poi, come già sapete lunedì avremo il primo concerto!” esclamò, sorridendo.

Il gruppo cominciò a bisbigliare, esultante.

Eravamo tutti su di giri quando, il giorno dopo, arrivò David.

Ormai i Tokio Hotel erano di casa lì da noi, quindi il manager ci raggiunse in appartamento.

“Ragazzi, spero che questi giorni senza di me siano andati bene” disse, sorridendo.

“Perfettamente” risposero i gemelli in coro, sorridendo.

Lu non potè essere con noi quella sera, ma al concerto era in prima fila, pronta ad acclamarci.

 

 

BERLINO_ORE 21.00

 

Ero tesissima, ma avevamo provato tanto ed andò tutto bene. Anche le numerosissime fans ci applaudirono, il che mi rese felicissima. Temevo non apprezzassero la nostra musica, invece furono entusiaste. Non appena terminammo il nostro piccolo concerto, mi ritirai dietro la quinte, al riparo dal boato terrificante che ci fu non appena i ragazzi misero piede sul palco.

Il concerto durò quasi due ore e mezza, ma non mi stancai affatto. Dalla mia posizione potevo vedere benissimo Georg. Non mi guardò mai, fortunatamente. Temevo che avrei potuto distrarlo.

A concerto terminato Bill e gli altri furono assaliti da una schiera di ragazze. Alcune spupazzarono un po’ Georg e, non so perché, ma ribollii di rabbia e gelosia.

“Non preoccuparti, lui ha occhi solo per te” mi disse mio fratello.

“Lo so” risposi, secca.

“Ho saputo che aprirete tutti i concerti di questo tour…” ci disse una ragazza, avvicinandosi a noi.

“Sì” risposi.

“Beh, mi chiedevo…se potevate farmi un autografo pure voi…la vostra musica è molto bella e credo che andrete avanti, anche senza i Tokio Hotel” disse, arrossendo.

Io le sorrisi e presi il foglio e il pennarello che aveva tra le mani.

“Grazie. È molto gentile da parte tua” le dissi, firmando.

Passai il foglio a mio fratello, poi a Matt e infine a Jo.

La ragazza si allontanò, felicissima.

Quella serata era andata a meraviglia, nonostante i giorni prima mi apparisse tanto lontana, quanto impossibile.

Una volta seduta sul divano dell’hotel tirai un sospiro di sollievo. Era accaduto tutto al doppio della velocità.

Faticavo a ricordare cos’era accaduto dopo il ritorno di David…anzi dopo la chiamata di David.

Provai a ripensarci. Mi stesi e chiusi gli occhi, mentre Eric e Tom stappavano bottiglie di spumante, di birra e di altre sostanze alcoliche.

David aveva chiamato Bill e alla notizia che il lunedì successivo ci sarebbe stato il concerto, avevamo cominciato a provare, saltando addirittura il pranzo. Io e Bill avevamo sperimentato addirittura dei duetti, mentre Gustav osservava meticolosamente il lavoro di Matt.

Dopo ore ed ore di estenuanti prove eravamo usciti a mangiare al ristorante. Alla fine i ragazzi avevano lievemente discusso su chi dovesse pagare. Io non me ne preoccupai. Solo il fatto che ero l’unica ragazza implicava che non dovessi nemmeno uscire di casa con il portafoglio.

Come al solito dormirono tutti da noi e David, come già raccontato, ci raggiunse in appartamento. Dopo il suo arrivo andammo allo stadio a provare tutto quanto. Dalle luci ai vestiti.

Ora di sera eravamo esausti ed utilizzammo il  week-end per riposare.

Lunedì arrivò immediatamente, tanto che non mi resi nemmeno conto che la domenica era trascorsa.

Il concerto andò bene.

Riaprii gli occhi, in tempo per vedere i gemelli cominciare a schizzarsi con lo spumante.

Sorrisi e presi a giocare con loro. In fondo mi meritavo anche io un po’ di divertimento.

 

 

2 ANNI DOPO

 

Non ve lo aspettavate questo salto temporale, vero? Beh non c’è molto altro da dire, riguardo quel periodo. I concerti andarono a meraviglia. Ogni volta c’era l’ansia creata dal palcoscenico, ma la combattemmo bene. Terminato il tour Georg mi propose di prendermi una vacanza. Io e lui da soli, per tutta l’estate.

Ovviamente accettai e andammo a farci una vacanza relax in un’isoletta della Grecia.

Matt aveva definitivamente chiuso con la droga e aveva collaborato con la polizia per arrestare un tizio che aveva cominciato a spacciare fuori dalle scuole medie della città.

Durante la vacanza tagliai i ponti con la Germania, salvo mandare parecchie cartoline a Lu e ai ragazzi.

In quei tre mesi ritrovai me stessa, la mia pace interiore e dimenticai definitivamente gli orrori del mio passato.

Tornata dalla Grecia scoprii che Lu e Gustav si erano messi insieme, mentre Eric aveva definitivamente chiuso con Andrea, cominciando a frequentare una ragazza che aveva conosciuto durante il tour.

Insomma, la nostra vita era cambiata in maniera radicale, ma in positivo.

Nei due anni successivi cominciammo a fare nostri concerti e David ci trovò una band d’apertura.

I rapporti con i Tokio Hotel rimasero saldissimi, tanto che Bill mi aiutò parecchio con la scelta dei testi e insieme cantammo un duetto che scalò le classifiche mondiali in pochissimo tempo.

Alcuni mesi dopo, però mi ritirai dalle scene. Avevamo ottenuto successo e io non volevo montarmi la testa.

In ogni caso avrei dovuto rinunciare di lì a poco perché scoprii, con grande gioia, di aspettare un bambino.

Nessuno volle crederci, finché non portai a casa la prima ecografia. Erano tutti su di giri.

Nove mesi dopo, ovvero due mesi fa, nacque Celine.

Tom mi chiese spesso perché scelsi un nome francese. Gli rivelai che la nonna di mia madre era francese e poi era una sorta di pegno nei confronti di una grande cantante che mi aveva spinta ancora di più verso la musica.

Georg non ha mollato i Tokio Hotel, anche perché gliel’ho impedito. Nonostante sia passato del tempo, sono pur sempre sulla cresta dell’onda. Con il passare degli anni ci sono state numerose band emergenti che hanno tentato di sostituirli, ma le loro fans sono rimaste fedeli al loro primo amore.

Bill ha lasciato un po’ da parte il look trasgressivo, senza abbandonare il total black. Grazie al cielo è leggermente ingrassato. Anche lui si sta per sposare con una ragazza davvero carina, di nome Sarah. Tom invece ha messo la testa a posto da quasi un anno. No, non è ancora convolato a nozze, ma almeno ha la ragazza fissa e ha smesso con le sue sveltine.

Gustav e Lu, invece sono in attesa di un bambino. Ancora non si sa se sarà maschio o femmina, ma sinceramente saremo tutti contenti, in qualsiasi caso.

Il periodo dei Damned è terminato, ma in modo fantastico.

Ah, Jo è andato per qualche tempo in Argentina, a trovare dei parenti, mentre Matt è entrato nella polizia.

Beh, credo di non aver più nulla da dirvi. Grazie per avermi prestato attenzione.

 

Bene, e anche questa fic è finita. Se mi metto d’impegno riesco anche a fare un lavoro decente in poco tempo!!! Comunque vi chiedo scusa se ci ho messo tanto, ma come al solito ho sempre troppo da fare e pochissimo tempo per farlo…vi chiedo scusa se il finale non è come ve lo aspettavate e se vi ha deluse, ma io ho preferito farlo così…forse è un po’ scontato, ma almeno finisce tutto bene…nella mia mente c’era un’altra possibilità, più drammatica. In ogni caso, alleggerisco la situazione, dicendo un grazie gigante a:

Alexgirl; Arumi_chan; billa483; cris94; evol; Leleo 91; miky 483; pazzerella_92; tokiohotellina95; _inguaribile sognatrice_

Che hanno messo la fic tra le preferite e a

Alexgirl; Billa483; GaaRa92; Jaji; Kessy993; Miss hiphop; Pandina_kaulitz; _inguaribile sognatrice_

Che hanno recensito esprimendomi i loro pareri e i loro dubbi riguardo la storia. Grazie mille ragazze. Vi devo molto ^^.

Grazie anche a tutti quelli che hanno letto e che recensiranno anche dopo che avrò terminato la fic. Un bacio

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