Notre Vie

di flatwhat
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Risveglio ***
Capitolo 2: *** Sensazioni suscitate da un 'grazie' ***
Capitolo 3: *** Testardaggine ***
Capitolo 4: *** Varie Incertezze ***



Capitolo 1
*** Risveglio ***


Alcune note dell'autrice, prima di iniziare:
Come ho detto nell'introduzione, questa fic è una sfida con me stessa, nel riuscire a saper rendere le coppie in questione e a dare un motivo convincente alla sopravvivenza di questi personaggi. L'avvertimento OOC si riferisce al fatto che alcuni personaggi che non dovrebbero essere sopravvissuti, Fantine in particolare, potrebbero essere leggermente diversi di come li vediamo nel libro, a causa di character development precedente alla storia o di ciò con cui si dovranno misurare all'interno di questa. Cercherò comunque di attenermi sempre il più possibile ai loro personaggi nei libri, altrimenti la sfida non esisterebbe. 
Si tratterà della mia prima long in questo fandom. Sono un po' nervosa! Tenterò di aggiornare con una certa frequenza.
Un'ultima cosa, riguardo alle ship: no, non sono impazzita. Sempre riguardo alle ship, le principali sono quelle che trovate in descrizione, ma non ho voluto eliminare la possibilità di altre relazioni tra i personaggi, perciò ci sarà sicuramente anche un po' di ExR e, forse, un po' di Valjean/Javert o Valjean/Fantine.
Il raiting di questa storia è variabile e potrà alzarsi, se lo riterrò opportuno, o se lo riterrete voi.
Ciò detto, buona lettura.

 
Notre Vie
 
Capitolo 1: Risveglio

C’era un anziano signore, seduto accanto al suo letto. Leggeva silenziosamente.
Enjolras si guardò intorno. Questa non era la sua stanza e questo certamente non era il suo letto.
Fece per alzarsi, ma delle fitte di dolore accecante lo bloccarono immediatamente.
Quando riuscì a riaprire gli occhi, non senza addizionale dolore in tutto il corpo, vide che l’uomo si era avvicinato.
Ora lo riconosceva. Era il filantropo che era venuto alla barricata.
La barricata…
Un improvviso capogiro distolse Enjolras da questo pensiero.
“Siete sveglio”.
Il suo volto era impassibile e freddo, ma dal tono in cui aveva parlato, Enjolras si accorse di una punta di sorpresa nelle sue parole.
Immediatamente, l’uomo tese le mani in avanti.
Enjolras non si accorse subito che probabilmente sembrava chiedersi se avesse dovuto toccarlo o meno.
L’uomo lasciò cadere le braccia, evidentemente pensando che fosse meglio, ed Enjolras si prese qualche istante per guardarsi intorno, grato che il suo ospite avesse preso questa decisione.
Si sentiva in completa confusione.
Come mai si trovava lì?
“Perdonatemi”, sentì la voce dell’uomo assumere un tono molto calmo e conciliante. Quando ritornò a guardarlo, notò che anche la sua espressione era più dolce.
Sembrava felice.
“Speravamo che vi sareste risvegliato”, continuò lui. 
Speravamo?
“Potete parlare?”, chiese l’uomo. “Avete bisogno di qualcosa? Acqua?”.
Enjorlas si accorse di avere la gola arida e bruciante. Lentamente, e quasi con fatica, annuì.
L’uomo gli porse un bicchiere. 
Enjolras riuscì a mettersi seduto, benché l’uomo gli avesse fatto cenno che non c’era bisogno, e bevve avidamente. Sentì che un po’ di forze gli stavano ritornando.
“Scusatemi un attimo”, disse l’uomo, dopo che Enjolras ebbe bevuto una seconda volta. “C’è qualcuno che vuole vedervi”.
Con un gesto di congedo, uscì dalla camera, lasciando la porta socchiusa. Enjolras, che intanto si era rimesso coricato e stava tornando ad osservare la stanzetta, lo sentì allontanarsi a grandi passi. Non aveva idea di chi fosse quel qualcuno e la testa continuava a dolergli, quindi non ci pensò.
Vi erano delle cose che stava cominciando a capire, tuttavia.
Si concentrò invece sul crocifisso di legno appeso sulla parete di fronte a lui. Sotto di esso, stava un piccolo tavolo, sul quale erano posati due candelabri d’argento. La luce che si propagava da quelle candele lo rilassò al punto da fargli venire voglia di chiudere di nuovo gli occhi e rimettersi a dormire, quando sentì nuovamente dei passi avvicinarsi alla camera, con velocità maggiore di quelli che aveva udito prima. Anzi, con foga.
Un momento dopo, Courfeyrac spalancò la porta.
Enjolras fu fermato dal rimettersi subitamente a sedere solo da un’altra fitta di dolore.
Courfeyrac!
Il suo amico percorse la distanza che c’era tra la porta e il letto in un balzo e si gettò in ginocchio accanto a lui.
Gli prese una mano e se la portò al viso.
“Enjolras… Enjolras…”, sembrava sul punto di scoppiare a piangere. Enjolras provò una pesantezza al petto. Non avrebbe voluto vederlo in quello stato.
La mano febbricitante che Courfeyrac aveva stretto venne liberata con delicatezza. Enjolras la posò prima sulla guancia di Courfeyrac, ad asciugare una lacrima che era finalmente caduta dalle sue ciglia, e poi toccò le bende che gli circondavano la fronte.
Una domanda che non aveva ancora osato neanche fare a se stesso uscì dalle sue labbra prima che lui potesse frenarla.
“Cosa è successo?”, chiese, in un sussurro.
Courfeyrac sollevò la testa e incontrò il suo sguardo.
“Enjolras. Grantaire e Marius sono vivi”.
“Ah!”, fece Enjolras, emettendo una piccola risata. Era la cosa migliore che avesse sentito oggi.
“E Combeferre e gli altri?”.
Courfeyrac chiuse gli occhi.
“Credevo… li avessi visti morire”.
Era vero, li aveva visti.
Ora ricordava.
Sentì il cuore sprofondargli di nuovo, dopo il precedente, brevissimo momento di sollievo.
Courfeyrac si rialzò e si diresse verso la porta.
“Potete entrare, Monsieur, Madame. Non ci disturberete”.
Lentamente, fecero capolino l’uomo di prima e una signora dai capelli grigi. 
“Quest’uomo ci ha salvato”, disse Courfeyrac. L’uomo stava già cominciando a replicare, quando lo interruppe. “Ha portato Marius via dalla barricata e io l’ho seguito. Grantaire ha portato te”.
“Grantaire?”, ripeté Enjolras.
“La signora ci ha assistito in questi giorni”.
Enjolras, cercando di ignorare l’angoscia che sentiva sempre di più, fece un cenno di ringraziamento ad entrambi.
La signora posò una mano sul bracci di Courfeyrac.
“Forse sarebbe il caso di lasciarlo riposare un po’, ora”.
“Oh. Avete ragione, Madame Fantine”. Si avvicinò nuovamente al letto.
“Sei d’accordo, Enjolras? Non hai una bella cera…”.
Enjolras annuì distrattamente, non riuscendo a formulare parole di senso compiuto. Il suo pensiero era altrove. Alla barricata.
“Permettete che rimanga io a stargli vicino? Voi due avete già fatto tanto, e io ora sto bene”, stava dicendo Courfeyrac. I due ospiti avevano evidentemente acconsentito, perché fu Courfeyrac ad occupare la sedia che stava vicino al letto.
Enjolras fissava il soffitto.
Sentendo su di sé lo sguardo di Courfeyrac, si girò su un fianco, dandogli le spalle e chiuse gli occhi.

***

Tutto attorno a loro era fumo e morte. I soldati stavano lanciando l’ultimo attacco.
“Tutti verso il Corinthe!”, gridò Enjolras. Ebbe un attimo di esitazione quando vide Combeferre ucciso da tre baionette, poco lontano da lui. Mirò ad uno dei soldati, e riuscì a fare centro, prima che il fumo tornasse ad annebbiargli gli occhi.
Si appiattì al muro esterno della locanda, spronando quanti più sopravvissuti vedeva ad entrare il più velocemente possibile.
Quando sembravano essere finiti, si preparò ad entrare a sua volta, ma in quello stesso istante qualcuno uscì.
“Grantaire!”
Grantaire si era fiondato su uno dei soldati e, dopo averlo atterrato, si era messo a guardare di qua e di là.
“Enjolras! Dove sei?”, gridava.
“Grantaire! Sono qui!”, ma Grantaire non si voltava.
Enjolras gridò ai rivoluzionari dentro al Corinthe.
“Non c’è più tempo! Sbarrate la porta!”. Non appena ebbe finito di pronunciare quelle parole, udì il sibilo di una pallottola. L’improvviso dolore al braccio destro lo informò che il colpo era andato a segno.
Schivò una seconda pallottola e si gettò a sua volta nel fumo.
Raggiunse Grantaire e lo gettò a terra.
“Cosa fai, idiota?!”, esclamò.
“Enjolras… sanguini!”, era tutto quello a cui aveva fatto caso Grantaire.
“Perché sei uscito dal Corinthe? Avresti potuto salvarti!”. Enjolras lo spinse in un angolo della strada, scorgendo alcune ombre dei soldati passare davanti a loro rapidamente. Si stavano evidentemente dirigendo verso la locanda, ma senza dubbio sarebbero tornati indietro anche per loro.
“Sono uscito perché cercavo te. Dammi il fucile, sei ferito!”.
Enjolras non gli porse l’arma, anche se il braccio gli faceva un male cane.
“Ti prego, Enjolras”, disse Grantaire, angosciato.
“Forse c’è ancora modo di farti uscire di qui”.
“Non mi importa, Enjolras. Ascolta!”. Grantaire ebbe la discrezione di afferrargli il braccio sano.
“Voglio essere al tuo fianco. Parlo sul serio”, lo stava praticamente supplicando.
Enjolras ormai lo ascoltava ammutolito.
“Sei l’unico che mi fa credere in qualcosa. Voglio rimanere. Me lo permetti?”.
In quel momento, la percezione che Enjolras aveva di Grantaire cambiò.
Gli sorrise e posò la mano destra su quella di Grantaire, che la strinse.
“Grazie, Enjolras”.
“Grazie a te”.
All’improvviso, gemette di dolore. Altre due pallottole lo avevano raggiunto da chissà dove.
Si accasciò a terra, e vide Grantaire cadere con lui. Ebbe solo il tempo di sentire che il fucile gli veniva strappato dalle mani prima che tutto diventasse nero.

***

Questo era ciò che era successo.
Eppure Enjolras era vivo.
Era a questo a cui pensava, cercando di addormentarsi.
Sarebbe dovuto morire quel giorno, e invece era sopravvissuto.
Si dispiacque di ingannare Courfeyrac, ma non riuscì a dormire. 
Era affranto. 

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Capitolo 2
*** Sensazioni suscitate da un 'grazie' ***


Capitolo 2: Sensazioni suscitate da un 'grazie'

Enjolras sembrava ancora provare dolore, ma se non altro quella mattina aveva parlato più del giorno prima.
Quando rientrò nella stanza portando una caraffa d’acqua, Valjean trovò Courfeyrac sulla sua sedia.
“Pensavo di darvi il cambio, Monsieur”.
“Non disturbatevi. Siete già stato lì tutta la mattina”, gli rispose Valjean, sorridendo. Courfeyrac migliorava di giorno in giorno, ma era ancora ferito e non era proprio il caso di farlo stancare.
Courfeyrac abbassò lo sguardo.
“Posso rimanere un altro po’ qui? Prometto che dopo andrò a riposarmi”.
Valjean non trattenne un altro sorriso a quella manifestazione d’amicizia e acconsentì.
Enjolras era coricato ma non dormiva. Scrutava con gli occhi da tutte le parti.
“Non mi sono ancora presentato. Ah, forse Courfeyrac vi ha già detto il mio nome?”, chiese Valjean, cominciando già a temere una risposta di Courfeyrac.
Ma Enjolras rispose scuotendo la testa e Courfeyrac aggiunse “Ho menzionato il nome di Madame Fantine, ma il vostro ancora no, Monsieur”.
Valjean ringraziò mentalmente Courfeyrac di questo. Lo stesso, si voltò quasi inconsciamente prima di parlare, come se temesse che Enjolras si accorgesse della menzogna.
“Chiamatemi Fauchelevent”.
“Monsieur Fauchelevent”.
Valjean si girò. Era stato Enjolras a parlare. La sua voce era ancora debole ma suonava già più chiara.
“Avete bisogno di qualcosa?”.
“Grantaire”, mormorò lui.
Evidentemente, Courfeyrac non aveva ancora avuto modo di raccontargli tutto.
“Grantaire è al momento a casa dell’Ispettore Javert”.
Ci fu un momento di silenzio. Poi Enjolras si alzò di scatto a sedere.
“Javert? La spia?”, esclamò, allarmato.
Lo sguardo minaccioso del ragazzo era quasi fisicamente avvertibile sulla pelle. Valjean si sfregò un braccio con una mano. Avrebbe dovuto essere più preciso.
“Sì, è vivo, perdonatemi, ma l’ho lasciato andare”, e prima che gli arrivasse un nuovo fulmine da quegli occhi furenti, si affrettò ad aggiungere: “Ma non vi denuncerà e Grantaire non è in pericolo”.
Enjolras non abbandonava il suo atteggiamento aggressivo, ci volle Courfeyrac perché cedesse leggermente.
“È tutto vero, Enjolras. Grantaire è al sicuro”.
“Ma… Come…?”.
“L’ho visto di persona solo un paio di volte. Questo perché gli abbiamo consigliato di non uscire spesso, finché non verrà promulgata un’amnistia. Ma scrive di continuo lettere, e la grafia è chiaramente sua”.
“Lettere…?”, domandò Enjolras con un filo di voce.
“Sì”, Courfeyrac sorrise. “Per di più, è lo stesso Ispettore Javert a recapitarcele. Lui viene spesso qui”.
Enjolras rivolse un’altra occhiata di soppiatto, prima indirizzata a Courfeyrac.
Quando Valjean si sentì arrivare questa occhiata, volle precisare: “L’Ispettore non sta attraversando un bel periodo, di recente. Ma è un uomo d’onore, e ha giurato davanti a me che non sarà più una minaccia”.
Non sarà una minaccia per Valjean. Questo, aveva detto. Ma aveva dimostrato anche di non avere alcuna intenzione di denunciare la posizione dei sopravvissuti della barricata.
“Vi fidate di lui? Siete suo amico?”, chiese allora Enjolras.
Valjean si strinse nelle spalle.
“Lo conosco da molto. Ecco tutto”.
Enjolras si rivolse nuovamente a Courfeyrac, ma parlò a voce sufficientemente alta perché Valjean ascoltasse.
“Se dovesse succedere qualcosa a Grantaire…”.
“Stai tranquillo, Enjolras”, gli disse Courfeyrac, in tono conciliante. “Ho parlato io stesso con quell’uomo, e sai che io me ne intendo, di persone. E, in ogni caso, Monsieur Fauchelevent, qui, è una persona di cui fidarsi. Non avrà ucciso la spia, ma ci ha salvati tutti”.
Enjolras non pareva tranquillo.
“E vale anche per Madame Fantine e per Cosette. Ah, tu non l’hai ancora incontrata, ma il suo nome forse ti ricorderà qualcosa”.
Valjean sorrise al nome della figlia. Courfeyrac stava probabilmente cercando di fare una conversazione più leggera per mettere l’amico a proprio agio e dimostrargli che non aveva nulla da temere.
“Non credo di conoscerla”, disse Enjolras.
Courfeyrac lo cinse energeticamente con un braccio.
“È l’innamorata di quel furbone di Marius! È davvero un angioletto, sai, sta quasi tutti i giorni da lui, ormai. Anche lui si è svegliato da poco”.
La vergogna che Valjean provò alle parole del ragazzo era dovuta al fatto che, per un attimo, quel riferimento a Marius, e all’amore tra lui e Cosette, gli aveva fatto provare stizza nei confronti di Courfeyrac.
E anche se quella vergogna era per se stesso, Jean Valjean era un uomo fondamentalmente debole.
“Penso che sia ora che andiate a riposare, Courfeyrac”, disse, cercando di dare alla sua voce un tono completamente neutrale.
Courfeyrac interruppe le sue chiacchiere e restituì lo sguardo a Valjean, per un periodo che parve infinito. Poi gli rivolse un gran sorriso.
“Avete ragione, Monsieur. Tolgo il disturbo”.
Salutò Enjolras un’ultima volta.
“E tu stammi bene, mi raccomando”.
Quando vide il leggero sorriso che increspò le labbra di Enjolras, Valjean si disprezzò ancora di più.
Interrompere così una chiacchierata tra amici, e tutto perché lui ne aveva provato fastidio.
Per di più, non aveva nemmeno avuto il coraggio di rivelare il proprio nome ad Enjolras, nonostante Courfeyrac gli avesse assicurato che non c’era bisogno di avere timore, e Fantine lo avesse spinto a non farsi tutte quelle preoccupazioni.
Si passò una mano tra i capelli.
Rivolgendo la sua attenzione di nuovo su Enjolras, notò che il ragazzo era ridiventato triste e silenzioso.
“Posso fare qualcosa per voi?”, gli chiese.
Enjolras scosse la testa e si sdraiò.
“Proverò a riposare un po’. Grazie, Monsieur’”.
Quel ‘grazie’ suonò finto alle orecchie di Valjean. Ma, dopotutto, era quello che si meritava.

***

Fantine aveva fatto un po’ di tè, nel frattempo.
Quando rivide Courfeyrac in cucina, gli offrì prontamente una tazza, che lui accettò di buon grado.
“Vi ringrazio, Madame. Questo mi riscalderà”, disse Courfeyrac, con un sorriso mesto.
Era ancora estate e Courfeyrac aveva messo la giacca, sopra il gilè. Forse si trattava di un altro tipo di freddo, quello che stava provando.
“È successo qualcosa, lì sopra?”.
“Oh, no, no. Enjolras si sta riprendendo”.
 Quando Courfeyrac ebbe finito di bere il tè, Fantine gli prese la tazza dalle mani.
“Penso che dovremmo cambiare le bende”.
“Oh”, fece lui. “Avete ragione. Ma posso farlo io”.
“Nessun disturbo. È sempre meglio che lo faccia un’altra persona. Non potete vedervi dietro la testa. Ora mettetevi comodo, torno subito”.
Courfeyrac annuì.
 “Va bene. Madame Fantine, siete una santa”, le disse, sorridendo ancora.
Fantine gli restituì il sorriso, facendo attenzione a non schiudere le labbra. Stupida preoccupazione, dato che Courfeyrac sapeva benissimo dei suoi denti mancanti. Eppure non riusciva a non farlo, davanti a lui.
Da quando se l’era visto arrivare in casa insieme a Jean, sanguinante e coperto di melma da capo a piedi, si era presa cura di lui. Qualcosa, della sua indole allegra, le dava una sensazione nostalgica, benché Fantine non riuscisse esattamente a individuare bene che cosa, del suo passato, le ricordasse Courfeyrac. Era troppo vecchia, forse, e aveva passato troppe disavventure.
Mentre lasciava la cucina, si voltò a guardarlo di sfuggita un’ultima volta.
Seduto sulla seggiola, Courfeyrac era curvo e teneva la testa abbassata, e il petto gli si alzò per far uscire un grande sospiro.
Fantine sospirò a sua volta, e si sentì invadere dalla malinconia, come se quella di Courfeyrac l’avesse contagiata. Nei giorni passati, con Cosette preoccupata per Marius, Jean che sembrava più triste del solito, l’altro ragazzo, Enjolras, in pericolo di vita e le visite dell’Ispettore Javert, che portavano la loro personale ondata di tristezza nella casa (senza contare che Fantine non riusciva a fidarsi completamente di lui), il sorriso di Courfeyrac era stato un’oasi, capace, per un momento, di alleggerire un po’ il peso che tutti questi individui, in una sola casa, dovevano portare.
Ma, ovviamente, e di questo Fantine se n’era accorta dal primo momento, quel sorriso avrebbe potuto anche essere completamente falso. Fantine se n’era accorta, eppure si era rifiutata di confessarlo a se stessa.
Illusa, Fantine. Lei li sapeva riconoscere fin troppo bene, i sorrisi falsi.
Un passo e un altro ancora, e fu fuori dalla stanza.

***

C’era fumo ovunque.
Questo fu la prima cosa di cui Courfeyrac si rese conto quando riuscì a mettersi a carponi, dopo essere stato gettato a terra dall’urto del cannone.
La seconda cosa di cui si rese conto, fu il sapore di sangue e bile che si mescolavano in bocca.
Si tastò la testa con una mano. Stava sanguinando.
Provò ad alzarsi, ma una fitta alla gamba glielo impedì.
Tutto attorno era urla, rumore di spari, i passi dei soldati.
Courfeyrac si portò, praticamente strisciando, in un angolo del vicolo. Lì vi trovò un corpo.
“Bossuet… Oh…”.
Si premette una mano sugli occhi, ma quello non era il momento di piangere. Né per Bossuet, né per gli altri compagni caduti.
Adesso era il momento di combattere, e di cadere anche per loro.
Fu quello che pensò finché non vide Marius.
Marius, che poteva essere morto o svenuto, si trovava sulle spalle del vecchio filantropo, che si stava allontanando velocemente.
A quel punto, neanche il dolore alla gamba poté impedire a Courfeyrac di alzarsi di scatto e corrergli dietro.
“Dove lo state portando?”, gridò, disperato.
Il vecchio, per fortuna, lo udì. Si voltò verso di lui.
“Venite anche voi, presto!”.
Courfeyrac era confuso, ma decise di seguirlo. In fondo, l’anziano signore era stato d’aiuto alla barricata, anche se vederlo portare via il suo migliore amico gliel'aveva fatto dimenticare per un momento.
Mosse qualche passo dietro l’uomo, quando ad un tratto, una mano gli afferrò una caviglia.
Courfeyrac quasi perse l’equilibrio e si preparò a sferrare un calcio a quella mano sconosciuta quando, guardando dietro di se con la coda dell’occhio, non ne riconobbe il proprietario.
Era Grantaire.
“Aiuto. Courfeyrac… Enjolras è ferito”.
Sotto Grantaire vi era infatti Enjolras, i vestiti sporchi di sangue. Grantaire gli aveva evidentemente fatto da scudo, ma non sembrava essere ferito gravemente.
Tutte queste osservazioni accaddero in una frazione di secondo. Poi, Courfeyrac aiutò Grantaire ad alzarsi.
“Presto, Grantaire, di qua!”, e riprese nuovamente a correre dietro all’uomo, pregando che nessun soldato vedesse e che Grantaire riuscisse a seguirli.
Il fumo scaturito dalle armi li aiutò. E i soldati dovevano essere occupati a fare breccia dentro la taverna.
Courfeyrac pensò a quelle vite perdute che avevano distratto i soldati per permettere loro la fuga e si sentì terribilmente.
Entrarono nelle fogne.
L’uomo posò Marius sul pavimento si fermò per riprendere fiato un attimo.
“Ah, siete vivi anche voi. Meno male”, disse a Courfeyrac, e a anche a Grantaire che era riuscito a portare Enjolras sulle spalle.
“In che condizioni è?”, chiese l’uomo a Grantaire, parlando di Enjolras.
“È ferito, ma è vivo”.
“Vi aiuto a fasciarlo, ma dobbiamo fare in fretta”.
Tutti e tre prepararono delle bende provvisorie con i propri vestiti per i due feriti e anche per se stessi, dove occorreva. Courfeyrac aveva infatti bisogno di fasciarsi la testa e la gamba, e Grantaire una spalla. Anche l’uomo aveva una contusione alla testa.
Fortunatamente, il sangue cessò di scorrere.
L’uomo si rimise Marius sulle spalle.
“Coraggio, andiamo”.
Si rivolse, però, prima di ripartire, a Courfeyrac.
“Lo sto salvando, non preoccupatevi”.
Courfeyrac gli sorrise.
“Posso portarlo io in spalla, Monsieur”.
“Sciocchezze. Siete ferito. Andiamo”.
“Anche voi lo siete”.
“Voi peggio di me. Andiamo”.
Mentre avanzavano nelle fogne, Courfeyrac sentì Grantaire, dietro, parlare.
“Enjolras mi odierà per questo. Senza ombra di dubbio”.

***

“Vi ringrazio ancora, Madame”, disse Courfeyrac quando Fantine ebbe finito di cambiargli le bende.
La tristezza sembrava essere scomparsa, al momento, ma nulla le impediva di tornare.
Dopotutto, il ragazzo aveva passato dei brutti momenti. E Fantine sapeva quanti pensieri orribili si potevano celare, dietro a quello che sembrava un momento passeggero di malinconia.
“Ascoltate, Courfeyrac”.
“Cosa c’è?”.
“Se avete bisogno di qualcosa, anche solo di parlare, io sono a disposizione”, disse lei, sperando che questo non gli desse fastidio.
Ma Courfeyrac le fece il suo solito sorriso cortese e contento. Aveva davvero un sorriso incantevole. Lo stesso non si poteva dire di quello di Fantine.
Inaspettatamente, Courfeyrac le prese la mano, e Fantine sentì, contro la sua volontà, le guance cominciare ad avvampare. Chi l’avrebbe detto, che avrebbe potuto provare sentimenti simili anche dopo tutto ciò che le era capitato, dopo che il cinismo e la miseria avevano fatto a pezzi l’ingenua Fantine di una volta?
“Sapete, Madame Fantine, ho conosciuto tante donne incantevoli”, stava dicendo lui.
Un tremito scosse Fantine a quelle parole, pronunciate con un tono, una cadenza che le risultava familiare.
“Vostra figlia inclusa, e infatti è da voi che ha preso”.
Si portò la mano di Fantine alle labbra, e la baciò.
“Ma voi, ve l’ho già detto ma lo ripeto volentieri, siete una santa”.
Il rossore che si era impadronito del volto di Fantine lasciò improvvisamente posto al pallore e lei sentì il proprio stomaco capovolgersi.
Rimosse, forse con troppa fretta, la mano da quella di Courfeyrac, e gli diede le spalle.
Ringraziò con un cenno e se ne andò con la scusa di sostituire Jean nel sorvegliare Enjolras.
Per una terribile frazione di secondo, aveva capito cosa, anzi, chi le ricordava Courfeyrac, e questo le aveva fatto venire la pelle d’oca.
Felix Tholomyes.

***

“Chi era, quell’uomo?”, disse Courfeyrac, quando il losco figuro sparì nelle fogne, dietro di loro.
“Un farabutto”, rispose semplicemente il vecchio filantropo, mentre infilava la chiave che aveva ricevuto proprio da lui nella serratura del cancello che li separava dall’aria aperta.
Per il momento, erano salvi.


Note dell'autrice:
sono piuttosto soddisfatta di questo capitolo, che è uscito fuori, contro le mie previsioni, più lungo del precedente. Sono riuscita a inserirvi più o meno tutto ciò che volevo e a cominciare anche le prime interazioni tra Valjean ed Enjolras e Fantine e Courfeyrac. Anche se non è tutto rose e fiori.
Parlando del personaggio di Fantine, sto facendo abbastanza fatica a gestirla in un setting del genere. Se avete perplessità al riguardo, non esitate a condividerle.
Nel prossimo capitolo ho intenzione di mostrare cosa è successo a Grantaire e finire i flashback sulla fuga dalla barricata.
Questa volta sono stata veloce, con l'aggiornamento. Spero di continuare su questo ritmo! XD
Ringrazio sushiprecotto_chan per aver inserito la storia tra le seguite >*<
A presto!

 

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Capitolo 3
*** Testardaggine ***


Capitolo 3: Testardaggine 

“Posso alzarmi dal letto?”.
Monsieur Fauchelevent lo squadrò per un po’, come se stesse soppesando quella proposta.
“Credo che”, disse dopo un po’, “Fareste meglio a rimanere a letto ancora per oggi, Enjolras. Domani proverete a muovere i primi passi”.
Enjolras si appiattì contro lo schienale del letto, cercando di non far vedere quanto fosse dispiaciuto. Non era il tipo da rimanere a letto così tanti giorni, a dipendere così tanto da altre persone. Sentiva come se l’intera attenzione di quel nucleo familiare fosse interamente rivolta verso di lui, ora che Courfeyrac stava bene, e la cosa cominciava a dargli fastidio. Non che Monsieur Fauchelevent e Madame Fantine, e la loro figlia Cosette, con la quale ogni tanto parlava (venendo osservato come se fosse un angelo sceso dal Cielo; ciò lo metteva in imbarazzo), e la loro cameriera Toussaint, che Enjolras vedeva di rado poiché era solita accompagnare Cosette, non fossero gentili e non volessero unicamente il suo bene. Ma la convalescenza non era proprio per lui.
C’era anche il fatto che rimanere a letto, senza poter fare nulla che gli distogliesse la mente dai suoi pensieri, lo faceva cadere in un cupo stato di angoscia dal quale faceva sempre più fatica a rialzarsi.
L’uomo che si prendeva cura di lui se ne era chiaramente accorto e aveva più volte chiesto se qualcosa non andasse, domanda alla quale Enjolras rispondeva sempre con risposte negative che senza dubbio apparivano sempre più false.
Avrebbe dovuto essere onesto, con quest’uomo, decise Enjolras, e decise che ci avrebbe provato da oggi.
“Come vi sentite, oggi?”.
“Male”.

***

La furia che provava in quel momento l’Ispettore Javert era indescrivibile.
Ovviamente, fece di tutto per non darlo a vedere, ma era davvero difficile rimanere tranquillo.
Che altro poteva provare, se non furia, dopo che aveva passato ore in attesa di un’esecuzione mai avvenuta, dopo che il suo nemico gli aveva mostrato pietà, dopo che era tornato, esausto, a fare rapporto, ed era stato subito rimesso in servizio? Dopo che aveva inseguito un farabutto e questo si era fatto beffe di lui rinchiudendosi nelle fogne- dove diavolo aveva potuto prendere, quella chiave, poi?
E, certamente, la furia era l’emozione che si era impadronita di lui, dopo che dalle fogne aveva visto riemergere non il farabutto di prima, ma Jean Valjean, il nemico che aveva cercato di arrestare e che per tutta risposta lo aveva risparmiato alla barricata, e che ora portava sulle spalle, a mo’ di croce, il corpo esanime di un ragazzo, e che era seguito da un altro gruppetto di giovani, non come fossero complici, ma come fossero anche loro stati salvati.
E, soprattutto, la furia ardente che gli rodeva le viscere era stata causata dal suo chiedere pietà, non per se stesso, ma per i ragazzi, criminali a loro volta, e dal fatto che lui, Javert, aveva acconsentito a questa assurda richiesta.
E ora, si ritrovava seduto in mezzo a loro, il tanfo di fogna che opprimeva la carrozza, e i loro volti che non esprimevano gioia all’aver preso in giro un rispettabile ufficiale di polizia, ma solo una stanchezza indicibile.
E Javert non aveva idea di come comportarsi, e si sarebbe morso le mani, per questo.
In realtà, sapeva cosa doveva fare ora: portare uno dei ragazzi esanimi, tale Marius Pontmercy (il cui nome gli risultava familiare, ma non aveva voglia di pensarci ora) a casa di suo nonno, perché tanto, se non era morto ora, sarebbe morto di lì a poco. Inutile scomodare un plotone d’esecuzione.
Stesso dicasi per l’altro ragazzo, il capo di quei rivoluzionari, morto o svenuto che fosse, che avrebbe lasciato a casa di Valjean (Che gli aveva dato il suo indirizzo!), perché l’abitazione dei suoi genitori era troppo lontana, e lui non era il vetturino di nessuno. No, grazie.
In quanto agli altri…
Una risata sprezzante provenne dal posto accanto a lui, dove stava l’unico dei rivoluzionari che non aveva scorto alla barricata.
“Ci arresterete, ora, Monsieur l’Inspecteur?”.
Il terzo rivoluzionario, quello che sanguinava copiosamente dalla testa, osservò Javert a sua volta, con uno sguardo più serio del suo compare, ma non disse nulla.
Valjean, sul sedile davanti, in mezzo ai due cadaveri (perché era quello che erano), guardava, e fu l’unico a cui Javert restituì lo sguardo.
“La mia preda è lui, non voi, ragazzini inutili”.
Proprio in quel momento, arrivarono a Rue Filles du Calvair, dove consegnarono Marius.
Quando al cocchiere fu dato il nuovo indirizzo, Rue de l’Homme Armé, il giovanotto che aveva parlato prima lo osservò di nuovo con fare interrogativo e Javert, innervosito, dovette distogliere, ancora una volta, i suoi pensieri da Valjean.
“Tu e il tuo amico scenderete a Rue de l’Homme Armé. Non mi interessate”.
“Oh!”, fece lui, lo stupido. “Proteggete dei rivoluzionari?”.
“Siete uomini morti”, tagliò corto Javert. “Morirete di infezione nel giro di qualche giorno”, disse, cercando più di darla bere a se stesso che a loro.
Per un po’, ci fu silenzio, e Javert ebbe l’occasione di squadrare Valjean dalla testa ai piedi senza essere disturbato.
Non che avesse fatto altro, nel corso di quel viaggio.
Il motivo per cui Valjean occupava tutti i suoi pensieri fino al punto da farlo sragionare al punto da ingannare se stesso sulla sorte dei rivoluzionare, era che quell’uomo, davanti a lui, era un problema a cui l’Ispettore Javert non riusciva a venire a capo.
L’idiota che aveva parlato prima, scelse proprio quel momento per dare di nuovo aria alla bocca.
“Ma allora, non morirà d’infezione anche lui?”, disse, indicando Valjean.
Javert lo avrebbe volentieri strangolato.
Il suo amico gli lanciò uno sguardo torvo, come a rimproverarlo di stare osando troppo, dopo che l’Ispettore imbecille aveva miracolosamente deciso di farseli sfuggire illesi. Per loro fortuna, Javert non fu in grado di rimettersi a ragionare.
“Lui è forte. Lo conosco, resisterà. E finalmente sconterà la sua pena, a cui è sfuggito di continuo. Ma ora sei in mano mia, Jean Valjean!”, esclamò, rivolgendo poi a Valjean il suo sorriso animalesco. Certo, non c’era altra alternativa, e che stupido era stato a dubitarne! Lo avrebbe portato in carcere e…
Valjean sospirò.
“È giusto così”.
Javert poté sentire le proprie budella contorcersi.
Quel maledetto avrebbe dovuto ringhiare come un animale ed opporsi all’arresto, minacciare, e invece se ne stava buono buono, stanco, angosciato, e incapace di guardare negli occhi i giovani che ora lo osservavano silenziosi, e non faceva nulla per evitare che le manette si serrassero di nuovo attorno ai suoi polsi.
Passo qualche secondo in cui l’unico suono che Javert udì fu il ronzio nella sua testa. Tutto il resto tacque.
Sentì poi un leggero movimento alla sua sinistra, dove stava seduto il rivoluzionario ferito alla testa. Si era sporto in avanti, e aveva allungato una mano verso Valjean.
“Non conosco i vostri crimini, Monsieur. Ma ci avete aiutato alla barricata e vi ringrazio”.
Fu come se Valjean si fosse inconsciamente tenuto a distanza, da quella mano.
“Non penso di essere stato molto d’aiuto”.
Il ragazzo non cedette.
“Ad essere onesti, forse no. E forse ho pensato un po’ male di voi, per questo”. Si voltò per un secondo verso Javert. Probabilmente stava pensando alla spia.
“Ma, per come sono finite le cose, vi devo davvero ringraziare. Siete un brav’uomo, Monsieur”.
Per una volta, l’altro rivoluzionario preferì stare zitto e non aggiungere altro.
 Valjean guardò entrambi con quella che sembrava incredula gratitudine.
Ignorato da tutti i presenti, l’Ispettore Javert fremeva.

***

“Mi dite che state male, e ora non volete dirmi che cosa avete?”, Valjean cercò di non suonare petulante. Ma era preoccupato. Temeva di non stare facendo abbastanza, per quel ragazzo.
“A questo punto, forse c’è da aspettare ancora, prima che possiate alzarvi”.
Enjolras sembrò spazientirsi.
“Non è un male fisico, Monsieur”.
“E allora cos’è?”, disse Valjean, impaziente a sua volta.
Enjolras si strinse nelle spalle.
“Preferirei parlarne con Courfeyrac. O con Grantaire”.
Se era perché non si fidasse di Valjean o non volesse farlo preoccupare ulteriormente, non lo disse.
“Volete che dica a Courfeyrac di venire qui, o…?”.
Un altro sospiro.
“No. Non credo di poter riuscire a farlo ora, Monsieur”.
Si girò su un fianco. Valjean se ne andò silenziosamente, per non disturbarlo.

***

Era sembrato piuttosto strano, a Grantaire, il comportamento dell’Ispettore.
Quando il vecchio (Valjean, si chiamava?) gli aveva chiesto di poter salutare un’ultima volta la sua famiglia, la risposta di Javert era stata un brusco: “Fa quello che ti pare”.
Quando tutti erano scesi dalla carrozza, Grantaire era andato con loro per depositare il copro svenuto di Enjolras. Il tempo di fare un passo oltre la porta principale, che tutti si erano accorti che l’Ispettore aveva evidentemente congedato la carrozza e si era allontanato.
Lo stupore tangibile di Monsieur Valjean durò un attimo soltanto.
“Forse tornerà dopo”, disse.
Ma Grantaire, che aveva osservato l’Ispettore da vicino durante il viaggio in carrozza, sentì uno strano presentimento artigliargli le viscere.
“Courferyac, Monsieur. Vi devo chiedere l’ultimo sforzo di pensare voi ad Enjolras”.
“Come…? Ma dove vai, Grantaire?”, gli gridò dietro Courfeyrac quando Grantaire si fiondò di nuovo nella città. Ricevette in risposta solo un rapido “Non preoccuparti. Riposati!”.
Per sua fortuna, Courfeyrac accettò il suo consiglio (doveva essere veramente esausto, e forse aveva notato anche lui qualcosa di strano, nell’Ispettore Javert) e non lo raggiunse per riportarlo indietro.

***

“Enjolras voleva parlarmi?”.
“Sì. Ma forse avrei fatto meglio a non dirvelo”, Monsieur Valjean si passò una mano sui capelli.
Courfeyrac gli sorrise.
“Non gli dirò che me lo avete riferito voi”, disse, sentendo il gran sospiro dell’uomo.
“Mi dovete scusare”, disse lui. Non disse “Sono nervoso quando parlo con lui”, ma Courfeyrac lo percepì lo stesso. Era da quando si era svegliato e Monsieur Valjean aveva parlato con un Enjolras sveglio che pareva non essere a suo agio. Forse, perché il risveglio di Enjolras era avvenuto quasi contemporaneamente a quello di Marius? O forse la faccenda riguardava Enjolras più direttamente?
Courfeyrac gli avrebbe ripetuto che non aveva nulla da temere, nel rivelare la propria identità ad Enjolras. Non voleva essere pedante.
In ogni caso, lo disse più tardi a Madame Fantine. Lei glielo avrebbe potuto ricordare.
“Va bene. Proverò a dirglielo”, disse Madame Fantine, guardando altrove.
Ultimamente sembrava essere diventata più fredda, nei suoi confronti. Ogni tanto, Courfeyrac si chiedeva se era successo qualcosa o se lui l’aveva in qualche modo offesa.
Era un peccato. Era stata sempre così aperta con lui e Courfeyrac scoprì di essere dispiaciuto. Madame Fantine aveva pure cominciato a piacergli.

***

Era stata grande, la rabbia di Javert, quando quell’idiota lo aveva trascinato a forza via dal ponte e si era messo alle sue calcagna finché Javert non aveva acconsentito a tornare a casa.
Il problema era stato che l’imbecille lo aveva seguito e che non se ne era più andato.
Perché quando erano entrati entrambi, aveva costretto Grantaire a farsi un bagno, gli aveva dato un paio di pantaloni e una camicia e poi aveva cercato di medicare la sua ferita alla spalla, affidandosi alle proprie basilari conoscenze di medicazione. Il tutto con i continui commenti di Grantaire (“Questo appartamento è più piccolo del mio. Davvero spartano”, “Certo che siete alto, Monsieur l’Inspecteur. Forse anche più di Enjolras”, “Visto che ho seguito lezioni di medicina, vi posso dire io se state eseguendo bene il medicamento”). Javert aveva eseguito tutti questi compiti con la rabbia che gli ribolliva dentro da quando se l’era ritrovato all’uscita dalle fogne insieme a tutti gli altri, e Grantaire aveva subito tutto questo avendo solo la forza di continuare a parlare. Per il resto, erano entrambi stanchi nel corpo e nella mente.
E così, anche se una piccola parte del suo cervello aveva cercato di dire a Javert che avrebbe fatto meglio a cacciarlo fuori di casa, che se ne tornasse da Valjean e dal tizio di nome Enjolras (del quale non aveva smesso di citare il nome), per qualche ragione a una parte ancora più grande di esso era bastato bisbigliare che con i feriti ci si doveva comportare in un certo modo. Che quel ferito fosse un fuorilegge, Javert lo dimenticò, o la follia glielo fece dimenticare.
Così aveva finito per cedergli il suo letto, poiché non aveva poltrone o divani, e Grantaire aveva pure protestato, dicendo che poteva dormire anche per terra. Ma, con una sola spinta da parte di Javert, il suo corpo esausto era caduto sul materasso e il giovane si era addormentato in poco tempo. In quanto a Javert, lui si era accasciato su una seggiola e, prima che il sonno lo reclamasse, ebbe a malapena il tempo di registrare che Grantaire non se ne sarebbe andato.
I giorni che seguirono furono altrettanto stancanti. Javert fu in grado di procurarsi un secondo materasso dove Grantaire avrebbe potuto dormire, ma si rifiutò di prendere anche del vino. Così il ragazzo fu costretto a rimanere sobrio, ma non c’era differenza, nel suo modo di essere irritante.
Mandarlo da Valjean era inconcepibile. Non solo perché Grantaire avrebbe fatto meglio a rimanere nascosto il più possibile, e di un Ispettore di polizia come Javert non avrebbero sospettato così facilmente, ma anche per altri due motivi addizionali, quasi inconsci.
Primo, il rispetto che Javert aveva cominciato a provare per Jean Valjean gli impediva, per quanto il vecchio galeotto fosse comunque capace di innervosirlo, di castigarlo ulteriormente con la piaga di Grantaire.
Secondo, era a Grantaire che doveva la vita. Nel bene o nel male che ciò comportava.

***

“Andiamo, Monsieur l’Inspecteur. Solo stasera e poi non vi chiederò più niente”, piagnucolò Grantaire.
Javert si premette una mano sugli occhi.
“E va bene”, acconsentì. “Potrete venire con me da Valjean”.
 

Spazio autrice:
Questo capitolo è stato un po' faticoso da scrivere e sono meno soddisfatta, stavolta.
In ogni caso, questo, nella mia testa, era l'ultimo capitolo "introduttivo" della storia. Da questo momento, non credo ci saranno ancora molti capitoli. Avrei intenzione di renderla più veloce, ma è un po' difficile con tutti i personaggi che voglio gestire. Per questo, i capitoli stessi potrebbero diventare più lunghi.
Il fatto che questa storia è soprattutto psicologica mi fa preoccupare un po', ma farò di tutto per non renderla uno strazio da leggere! X'D Se trovate che sia noiosa, o che ci sia un qualunque problema, ditemelo tranquillamente così magari posso salvarla in corner.
Ringrazio LouSantara23 per aver messo la storia tra le seguite /o\
Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Varie Incertezze ***


Capitolo 4: Varie Incertezze
 
‘Solo stasera e poi non vi chiederò più niente’, aveva detto Grantaire, ma Javert non era uno stupido. Sapeva che, appena tornati, avrebbe ricominciato a lamentarsi di come gli stavano finendo i colori per dipingere.
Non c’era nessuno per strada in quel momento, ma Javert accelerò il passo, aspettandosi che Grantaire facesse altrettanto, dietro di lui.
Il ragazzo sapeva essere davvero fastidioso, se voleva, ma più Javert ci pensava, più doveva convenire che l’essere rinchiuso tutti i giorni con solo pochi momenti di libertà, e con Javert come unica compagnia avrebbe reso isterico chiunque.
A proposito di Grantaire, era strano che non avesse ancora detto una parola. Javert si volse a guardarlo e lo vide tenere il capo chino a osservare attentamente dove metteva i piedi, passo dopo passo.
Javert soppesò l’idea di chiedergli cosa non andasse, dopo che ebbe rallentato il passo facendo in modo che Grantaire lo raggiungesse, ma lui alzò la testa e parve capire senza che gli venisse detto nulla.
“Sono un po’ nervoso, Monsieur”, disse, scrollando le spalle come a dire ‘Non è niente di grave’.
Javert lo fissò per un lungo momento e poi volse di nuovo lo sguardo verso la strada.
“Valjean si fa chiamare Fauchelevent, davanti a sua figlia. E al vostro Enjolras. Cercate di fare attenzione”.

***

“Prego, entrate, Messieurs”.
Javert e Grantaire entrarono , facendo un cenno di saluto a Toussaint.
Fantine scorse, con la coda dell’occhio, l’espressione di Jean, notando come avesse già indossato l’espressione più gentile che poteva, mentre lui e Cosette accoglievano i due ospiti in modo quasi festante.
Da parte sua, Fantine non andò oltre al suo mezzo sorriso con le labbra chiuse.
I convenevoli andarono avanti per un po’.
“Monsieur Grantaire, sono lieto di vedervi in forma. Ah, questa è mia figlia Cosette”.
“Incantato, Mademoiselle”.
“Piacere di conoscervi, Monsieur”.
“Ah, Javert, vorresti accomodarti? Ah, Monsieur Grantaire, siete qui per Enjolras, giusto?”.
“Beh…”.
“Vi accompagno da lui, Monsieur, c’è anche Courfeyrac. Toussaint, vieni anche tu, così intanto ci prepariamo per uscire”.
“Fate pure”, aggiunse Fantine, rivolta a Toussaint, che stava venendo trascinata da un’entusiasta Cosette, insieme a Grantaire. “Non avremmo bisogno di niente, stasera”.
Cosette annuì. 
“Sì. Lasciamoli a discutere di cose barbose”, borbottò, facendo poi l’occhiolino a Fantine.
Fantine non poté resistere ad un sorriso più sincero che le increspò le labbra.
Prima che avesse il tempo di sentirsi in colpa per sua figlia, e la vita che sia lei che Jean le nascondevano da sempre, la porta si chiuse con fragore, lasciando nel piccolo salotto solo quei tre tristi anziani. Fantine si includeva nella definizione.
Sospirò, vedendo gli altri due che si sedevano sulle poltrone, per poi prendere posto a sua volta. 
Le sue personali riserve verso Cosette avrebbero potuto aspettare, come anche le preoccupazioni di Jean, perché quella sera l’Ispettore Javert era venuto di nuovo a intrattenerli con le sue. E se Fantine poteva pensare a lui con fredda oggettività quando lui non c’era, si ritrovava a reprimere moti improvvisi di puro fastidio, quando si trovava in sua presenza.
Ricordava, quando Jean era tornato insieme a Courfeyrac, quella sera di giugno, ricordava com’era stata alzata tutta la notte incapace di prendere sonno, ad aspettarlo, pregando che questa volta il suo spirito di sacrificio non gli fosse fatale.
Ricordava di come, anche quando Courfeyrac era improvvisamente crollato dopo una giornata da incubo e Jean aveva cominciato a delirare su come sarebbe dovuto tornare in galera, anche mentre lui e Fantine si accingevano a prendersi cura dei due svenuti, anche dopo che lei lo aveva visto tornare in uno stato pietoso.
Ricordava di aver alzato la voce, forse aveva addirittura urlato, al punto che aveva svegliato la povera Toussaint, che preoccupatissima si era immediatamente precipitata fuori a cercare quel medico tanto buono, tale Meunier, il quale viveva a pochi isolati ed era degno di fiducia. Certamente, Toussaint aveva già capito precedentemente tutto al riguardo della vita che Jean e Fantine (spinta dal pensiero di lui; fosse dipeso da lei, si sarebbe liberata dai segreti da tempo immemore) si ostinavano a nascondere, anche se non l’aveva mai palesato. E se non l’aveva saputo prima, non c’era modo che non l’avesse scoperto quella notte, quando Fantine aveva gridato verso lo spettro di quell’uomo che era il fantasma pauroso della Legge.
‘Non lascerò che ti porti via! Lo ammazzerò!’, era ciò che aveva gridato, tra le altre cose. Solo l’espressione che era passata sul volto di Jean in quel momento era bastata per imprimerle quel momento nella sua memoria e in quell’istante Fantine si era sentita come tornata a tanti anni prima, quando quel signorotto l’aveva maltrattata e lei aveva reagito.
(Quando poi Javert era passato dalla porta di casa, Fantine era stata pronta a graffiare, prima che Grantaire facesse capolino annunciando che l’Ispettore non si sentiva bene e lo avrebbe accompagnato a casa).
Di quel momento, Fantine ricordava anche che Courfeyrac aveva iniziato a riprendere conoscenza e aveva udito anche lui quelle urla disperate.
Questo ultimo pensiero le riportò alla mente Courfeyrac. Ma prima che Fantine potesse anche solo provare ad aggiungere a questo turbinio di riflessioni il comportamento che avrebbe dovuto tenere con quel ragazzo, ora che Fantine aveva preso ad osservarlo cautamente per scoprire se le somiglianze con Tholomyes si fermassero solo a determinati atteggiamenti, Jean parlò.
“Come va il lavoro?”.
Fantine si riscosse.
La domanda era stata rivolta all’Ispettore Javert che, Fantine glielo leggeva in faccia ogni volta che Jean gliela poneva, non avrebbe potuto detestare di più di come faceva attualmente.
Fantine registrò le rapide contrazioni del suo volto prima che lui rispondesse.
“Nulla di nuovo. Stiamo cercando un evaso che non si fa trovare”.
“Capisco”, disse Jean.
La conversazione parve finire lì, ma ad un tratto l’Ispettore Javert si posizionò dritto sulla poltrona, una mano sul mento, squadrando Jean da capo a piedi.
“Ciò mi ricorda che forse tu sai dove si trovi”.
Fantine si irrigidì. Javert gli dava del tu per sua stessa richiesta, ma era il tono con cui si era appena rivolto a Jean che fece nascere un principio di sdegno in Fantine. Oltre che quella strana assunzione.
Jean allargò leggermente le braccia, innocente.
“Non saprei. Lo conosco?”.
Javert si risistemò contro schienale.
“Lo hai incontrato nelle fogne, quando… quella sera”.
“Ah”, fece Jean. “Sì, ho incontrato-”, si bloccò di colpo.
“Immaginavo”, aveva ripreso Javert. “Non saresti potuto uscire senza una chiave”.
Jean pareva essere diventato muto, tanto che le successive parole di Javert furono pronunciate in tono esitante, quasi imbarazzato.
“Forse non avrei dovuto. Perdonami”.
Ma non era stato il ricordo di quel giorno a fermare Jean.
“Va tutto bene. Ma non proprio dove sia andato”.
La rapida occhiata che gettò a Fantine di soppiatto la fece raggelare. Era la prima volta che lei udiva parlare di un fuggitivo dentro le fogne, poiché né Jean né Courfeyrac lo avevano mai menzionato. E ora, negli occhi di Jean, le era sembrato di scorgere una strana riservatezza.
‘Che cosa mi sta nascondendo?’.
Fu lei a parlare, questa volta, con voce alta e autoritaria.
“Ispettore, potete dirmi come si chiama, l’uomo che state cercando?”.
Javert la fissò, sorpreso da quello scatto improvviso. Fantine notò, con la coda dell’occhio, che anche Jean la stava guardando, le sopracciglia curvate quasi impercettibilmente.
“Si chiama Thenardier”, rispose Javert, con nonchalance.
Una frazione di secondo dopo, notò l’espressione sgomenta di Fantine. Non ci volle molto prima che ricordasse, e che il suo volto assumesse un’aria simile.

***

Quando la porta del salottino si chiuse dietro di loro, Grantaire aspettò di venire accompagnato da Enjolras e Courfeyrac.
Ma Cosette sembrava restia ad allontanarsi dalla porta, guardandola intensamente.
Un rapido pensiero attraversò la mente di Grantaire, che ricordò le parole di Javert.
‘Valjean si fa chiamare Fauchelevent davanti a sua figlia’.
Cercò di schiarirsi la voce nel modo più educato possibile, e quando Toussaint si voltò verso di lui con un’espressione apologetica dopo aver richiamato Cosette, offrì solo un gran sorriso.
“Scusate voi, Madame. È solo che non vedo l’ora di rivedere i miei amici”.
Cosette gli sorrise a sua volta e lo prese di nuovo per un braccio.
“Toussaint, voi intanto andate a prepararvi”.
La cameriera si accomiatò con un leggero inchino.
“Dopo andrò a trovare Marius, sapete”, cinguettò Cosette, scortando Grantaire nel corridoio.
“Ah! Posso chiedervi di portargli i miei saluti, Mademoiselle?”.
“Certamente! Ecco, questa è la stanza”.
L’esitazione di Grantaire evidentemente non le passò inosservata, quando passò qualche secondo e ancora lui non aveva fatto cenno di aprire la porta.
Si protese in avanti verso di essa, con il pugno alzato sulla porta e guardò Grantaire, con una domanda rinchiusa nel suo sguardo.
Grantaire annuì e Cosette bussò.
“Posso? Sono Cosette”.
Socchiuse la porta.
“È arrivato Monsieur Grantaire”.
Scorgendo Enjolras e Courfeyrac, Grantaire non poté trattenere un sorriso.
“Io andrò a trovare Marius e a portare i vostri saluti. Buona serata”.
Dopo un piccolo inchino, Cosette si volse verso Grantaire e gli fece un altro dei suoi sorrisi.
“Vi lascio soli”, disse, a voce bassa, e se ne andò dopo un altro inchino.
Grantaire trattenne il fiato ed entrò nella stanza, illuminata da due candelabri d’argento, e chiuse la porta dietro di sé.

***

“Thenardier”, Fantine ripeté.
Valjean si premette una mano sul volto.
“Thenardier”, udì Fantine ripetere di nuovo, con voce tremante.
Un fruscio di vesti lo convinse ad abbassare la mano. Fantine si era alzata, e teneva le labbra serrate, come a voler trattenere le parole che minacciavano di uscire fuori come un’eruzione.
Valjean vide Fantine che prendeva fiato un paio di volte.
“Fantine”, cercò di dire, ma lei fulminò con lo sguardo prima lui e poi Javert.
“Quell’uomo è ancora a piede libero”, disse lei. Lo sforzo che stava facendo per suonare calma era chiaramente udibile nella sua voce tremolante.
Javert, che forse ora ricordava tutte le malefatte di Thenardier, abbassò gli occhi, di fronte a lei.
Persino Valjean si dovette sforzare, per riuscire a guardarla. Il peso che aveva sul cuore era difficile da ignorare.
Fantine sembrava voler dire parecchie cose, schiudeva le labbra e poi le richiudeva, si stringeva le mani.
Ma alla fine, si risedette.
“Trovatelo”, mormorò. “Vi prego”.
Nessuno osò parlare, e la stanza sprofondò nel silenzio, per alcuni interminabili momenti.

***

“Grantaire!”, esclamò Courfeyrac, andando incontro all’amico e stringendogli la mano.
Grantaire fu felice nel constatare che la sua stretta era forte e vigorosa.
Ma anche se era contento di rivedere Courfeyrac, il suo sguardo si spostava inesorabilmente verso Enjolras e tutto il suo corpo fremeva dalla voglia di parlare con lui.
Alla fioca luce proveniente dai candelabri, il viso del ragazzo appariva quasi ultraterreno, e sempre bello in modo angelico, nonostante fosse scavato dalla convalescenza.
Enjolras gli stava sorridendo.
Courfeyrac aveva mollato la presa, e Grantaire si avvicinò al letto di Enjolras, in silenzio.
“Come stai?”, riuscì a dire, poi.
Enjolras fece una risatina.
“Mi trovi in un momento non facile, Grantaire. Pensare che domani avrei voluto uscire da questo letto”.
“Non so se ti convenga farlo”, intervenne Courfeyrac.
Enjolras sbuffò.
“Devo, Courfeyrac. Anche solo per qualche minuto, altrimenti sento che impazzirò. Tu come stai, Grantaire?”.
Prima che Enjolras si rivolgesse a lui, Grantaire era rimasto in silenzio ad osservarlo come una visione. Quella domanda lo riscosse.
“Io sto bene”.
Enjolras, però, si accigliò.
“E l’Ispettore?”.
Grantaire si strinse nelle spalle.
“Non è una minaccia. Non te lo avevano già detto?”, disse, voltandosi poi a guardare Courfeyrac.
Ma sentì che Enjolras gli stava sfiorando la mano e non poté non abbassare gli occhi ad ammirare quell’evento.
“Volevo sentirlo da te”.
Per un lungo momento, i due si guardarono, senza dire una parola.
Nello sguardo e nel sorriso appena abbozzato di Enjolras, Grantaire scorse qualcosa. Esitazione?
“Enjolras”, sussurrò, stringendogli la mano.
Il ragazzo non tentò di rimuoverla ma, quasi teneramente, ricambiò la stretta.
“Perché mi hai salvato, Grantaire?”, chiese Enjolras, il sorriso che non gli arrivava agli occhi.

***

Grantaire si sistemò la giacca, cercando di proteggersi con il colletto. Gli venne in mente che avrebbe fatto meglio a indossare una sciarpa, prima di respingere il pensiero con una risata. 
Il fresco serale sembrava così gelido da essere fuori posto, in quel periodo dell’anno.
L’Ispettore Javert camminava, meditabondo, a pochi passi dietro di lui. 
“È successo qualcosa, Monsieur l’Inspecteur?”, gli chiese, cosa che lo fece sbuffare.
“No”, rispose lui, e poi rigirò la domanda. “E a voi?”.
“No”, disse Grantaire.
Il rumore dei passi di Javert si fece più veloce. In un attimo, l’Ispettore fu accanto a Grantaire.
“Si nota abbastanza quando mentite, sapete?”.
Grantaire non riuscì a trattenere un ghigno.
“Vale anche per voi, Monsieur”.
Javert lo fissò, un lampo di rabbia negli occhi, ma non disse nulla. Per un po’, udirono solamente il rumore dei propri passi sulla strada.
In quei minuti, Grantaire rimuginò su quanto era successo. Aveva aspettato ma anche temuto quell’incontro per tanto tempo, e ora non sapeva bene come si sentisse.
Realizzò di avere bisogno di parlarne.
“Domani”, disse, e l’attenzione di Javert si focalizzò di nuovo su di lui. “Domani avreste voglia di ascoltarmi, Monsieur? In cambio, ascolterò volentieri voi”.
La prima risposta che udì, fu un sospiro.
“Se ci tenete”, disse Javert, poco dopo.

***

“Quando tornerà Cosette?”, chiese Jean, guardando fuori dalla finestra con aria nostalgica.
“Non lo so. Le ho dato il permesso di rimanere fino a tardi”.
Fantine gli posò una mano sulla spalla e si mise a guardare insieme a lui, anche se lei, in realtà, non stava veramente guardando qualcosa in particolare.
“Così non avrebbe sentito?”.
“Sì”, ammise Fantine. Sospirò.
“Penso che dovremmo parlarne, un giorno”.
“Sì, lo credo anche io”, rispose Jean.
Aveva risposto con una voce così mesta che Fantine sentì una stretta al petto. La sua mano lasciò la spalla di lui per afferrargli, quasi con forza, la mano appoggiata sul davanzale.
“Devi perdonarmi, per oggi”.
Jean si voltò a guardarla, e la malinconia nei suoi occhi fece sentire Fantine ancora più piccola. 
“Sono io che dovrei scusarmi. Avrei dovuto dirti di Thenardier”.
La mano di Jean era grande e fredda, nella sua. Fantine la strinse più forte, pensando a Thenardier e a come tornava sempre per mettere in pericolo le persone che amava.
Ma non voleva parlarne ancora.
“Sai”, balbettò, esitante. “Courfeyrac mi ha ricordato di dirti che devi sentirti libero di dire chi sei ad Enjolras”.
Jean emise un suono che poteva essere un sospiro o uno sbuffo, e si allontanò dalla finestra, lasciando anche la mano di Fantine.
Ma, prima di andarsene, si voltò verso di lei.
“Lo farò. Proverò”, disse.

***

Courfeyrac risedette sulla sedia, e nascose la testa fra le mani.
“Era questo che volevi dire?”.
Enjolras non rispose.
Non sarei dovuto sopravvivere.
Courfeyrac alzò la testa e la rivolse al soffitto, incapace di guardare l’amico, girato su un fianco sul letto.
E lui, Courfeyrac, che cosa provava?

 
Spazio autrice:
Lo so, è passato un bel po' di tempo dall'ultimo aggiornamento. X_x Mi dispiace presentarmi così e con un capitolo più corto del previsto, ma pazienza XD
In realtà, anche questo capitolo mi ha messo in difficoltà, non so se si nota XD, è sempre per via della povera Fantine... forse ho esagerato un po' nella sua reazione, ma questa è una Fantine che ha visto con i suoi occhi come i Thenardier hanno trattato la figlia.

Ringrazio tutti coloro che stanno seguendo la storia, e Alchimista per aver accettato di farmi da beta! <33
Al prossimo aggiornamento! Sto pensando di lasciare in pausa questa long per qualche giorno, ma giusto perché avevo in cantiere qualche altra robetta e questa long mi fissava malissimo e mi faceva venire i sensi di colpa, lol. Ma spero di non aggiornare troppo tardi! XD

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