Distance (I'll say I love you while you're not listening)

di cup of tea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Oh, Blaine ***
Capitolo 2: *** Non farmi ripetere tutto ottanta volte! ***
Capitolo 3: *** Di fronte a una New York che sta correndo ***
Capitolo 4: *** Ma perché te la sei presa?! ***
Capitolo 5: *** Sì. Tu, più vicino. ***
Capitolo 6: *** Allora, qual è il tuo magico piano? ***
Capitolo 7: *** Che programmi hai per Natale? ***
Capitolo 8: *** Oggi i carboidrati mi sono concessi ***
Capitolo 9: *** Il caffè andrà benissimo ***
Capitolo 10: *** Quale idiota scappa dalla felicità? ***
Capitolo 11: *** Essere uno e due insieme ***
Capitolo 12: *** Puoi scommetterci la lacca + epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo - Oh, Blaine ***


Ciao a tutti!

Volevo solo rubarvi qualche minuto prima della lettura per specificare alcune cosine… detto così sembra un po’ minaccioso, ma non lo è affatto, ahah x)

Allora, questa è stata la prima storia Klaine che ho scritto e pubblicato ormai qualche anno fa. Tempo dopo, ho dovuto cancellarla per poter partecipare a un concorso indetto da una casa editrice, che richiedeva che il racconto presentato fosse inedito. Pur avendo io cambiato nomi e luoghi per ovvie ragioni, e avendo creato così una storia totalmente diversa da Distance, mi sono comunque sentita più tranquilla a cancellarla da EFP. Ora, non avendo ricevuto alcuna risposta da parte degli organizzatori del concorso, e in attesa di pubblicare le fic nuove che giacciono nel mio pc, mi è venuta voglia di ripubblicarla qui nella versione Klaine, ma riveduta e corretta.
E’ tutt’ora la storia che penso mi sia riuscita meglio tra tutte le fic che ho scritto, e la associo a un bellissimo ricordo di quando ho cominciato a immaginarmi la trama con la mia migliore amica. Se non l’avete già letta la prima volta, fatelo ora e ditemi che ne pensate. Abbiate un po’ di pietà, ma allo stesso tempo sentitevi liberi di dirmi qualsiasi cosa. Le critiche saranno tutte benaccette!

Il titolo, “Distance”, mi è stato ispirato dalla canzone omonima di Christina Perri, di cui potete trovare una piccola citazione all’inizio del primo capitolo. Se avete voglia, provate ad ascoltarla, credo aiuti ad entrare un po’ nel mood della storia.

Un’altra cosa importante: la struttura della storia potrebbe essere un po’ complicata, quindi, per evitare di fare confusione, cerco di spiegarvela il più brevemente possibile: il primo capitolo, quello che (se ne avete ancora il coraggio) vi state accingendo a leggere, si apre a metà della storia, a gennaio, con Kurt che non ricorda di essere arrivato nel luogo in cui si trova. Dal secondo capitolo in poi, si tratta di un lungo flashback che ripercorre gli ultimi mesi trascorsi (precisamente il flashback parte dalla giornata di ottobre in cui Kurt e Blaine si vedono per la prima volta dopo molto tempo). Quando poi si arriverà nuovamente a gennaio, la storia riprenderà la normale linea temporale. Se vi sembra tutto confuso, non preoccupatevi, mi impegnerò a specificare l’arco temporale nelle mie note all’inizio dei capitoli, così da evitare problemi.

Per quanto riguarda la frequenza della pubblicazione dei capitoli, direi che posso benissimo farlo quotidianamente, proprio perché, tanto, la storia non è nuova.

Ultima cosa e poi vi lascio, giuro! Vorrei ringraziare quella che amo definire la Blaine del mio Kurt, la mia bravissima e spietatissima beta, che a suo tempo ha creduto in questa storia ancora più di me e ha contribuito a renderla decisamente migliore. La mia dolce Wuthering Heights.

Ora non mi resta che augurarvi una buona lettura! Fatemi sapere cosa ne pensate, qui o nella mia pagina facebook, che trovate all’indirizzo:
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Cup of tea
 
 
N.B. Personaggi e luoghi citati non mi appartengono, sono proprietà di Ryan Murphy e della Fox. Eccetto per i personaggi di Nate, Ashley, Mr Claws e Mrs Claws, che sono di mia invenzione.


 
DISTANCE
(I’LL SAY “I LOVE YOU” WHEN YOU’RE NOT LISTENING)
 






 
"OH, BLAINE" 
OVVERO IL CAPITOLO 1 DI QUESTA STORIA
 
 
“And I will make sure to keep my distance
Say "I love you" when you're not listening
And how long can we keep this up, up, up?”
 
(Christina Perri feat. Jason Mraz – Distance)
 
 
La luce del sole mattutino si stava violentemente infiltrando tra le piccole fessure delle persiane non completamente serrate, dritta sugli occhi ancora chiusi di Kurt.

Ciò che lo riportò indietro dal mondo dei sogni non fu però quel lieve fastidio, ma un respiro profondo e regolare in sottofondo, che certamente non proveniva da lui.
Aprì gli occhi di colpo, spaventato. Non riusciva ad orientarsi, e non solo a causa del terribile mal di testa che gli stava trapanando le tempie, ma soprattutto perché non ricordava dove si trovasse, né tanto meno come ci fosse arrivato.

Da quanto riusciva a vedere, era in una camera da letto esagonale che non aveva mai visto, con pareti alte e ampie librerie bianche colme di volumi di tutte le dimensioni. La grande finestra da cui proveniva la luce doveva sicuramente nascondere una bellissima vista sulle strade della città, perché, se si tendeva bene l’orecchio, si potevano sentire i rombi sommossi dei motori delle prime automobili del mattino. Probabilmente si trovava all’ultimo o al penultimo piano di un qualche palazzo, ipotizzò Kurt.

E il letto. Il letto a una piazza e mezza su cui era sdraiato era occupato da qualcun altro alle sue spalle, e il primo impulso che Kurt sentì fu quello di sbarazzarsi delle lenzuola e assicurarsi di essere vestito.

Oh, grazie al cielo. La tshirt nera e i calzoncini che indossava non erano suoi di certo – un paio di calzoncini verdi a righe verticali non li avrebbe mai comprati, neanche sotto tortura - ma per lo meno indossava qualcosa, e la maglietta aveva un non so che di familiare.

La persona che gli stava accanto stava cominciando a emettere suoni lamentosi ma ancora impastati dal sonno profondo, così Kurt, deciso a scoprire l’identità del suo ospite prima che si svegliasse e prima di farsi prendere completamente dal panico, si girò lentamente verso il centro del letto. Osservò il ragazzo che gli stava dando le spalle: ricci arruffati e scuri, bicipiti scolpiti che conosceva bene… Oh, Blaine.

Sebbene la ragione della sua presenza in camera di Blaine, nel letto di Blaine, non gli fosse ancora chiara, Kurt cercò di calmarsi e riordinare le idee. Insomma, la situazione poteva essere molto, molto più grave di così.

 Si sedette sul ciglio del letto e si accorse che sul comodino qualcuno aveva lasciato un bicchiere pieno d’acqua e un’aspirina. Lo prese come l’ordine di un medico immaginario e ingoiò la pastiglia aiutandosi con un sorso d’acqua.

Quattro mesi prima, quando aveva incontrato Blaine - per la prima volta dopo tre anni dalla loro rottura e un silenzio quasi innaturale – al negozio di spartiti di sua fiducia, non avrebbe mai immaginato che un giorno si sarebbe risvegliato in casa sua. E anche se se lo fosse immaginato, cosa che non era sicuro di voler ammettere, certamente non si sarebbe visto nel suo letto… con i vestiti addosso.  Kurt Hummel, è delusione quella che sento?

Si alzò in piedi lentamente, per non svegliare Blaine - stava sognando così beatamente che a Kurt scappò un sorriso – e anche per non perdere l’equilibrio, considerato che la sua testa, per qualche motivo, non ne voleva proprio sapere di smettere di girare. Ritrovò i suoi vestiti della sera precedente su una sedia nella penombra e, uscendo dalla stanza a passi felpati, accostò la porta. Il corridoio che portava alla cucina era incredibilmente lungo e un grande specchio dominava tutta la parete destra, almeno dove non c’era un’altra libreria bianca uguale a quella in camera da letto. Kurt si fermò un momento di fronte allo specchio per esaminare i danni di una probabile serata di bagordi e una mancata sessione di idratazione serale.

I suoi altrimenti splendidi occhi azzurri erano orribilmente gonfi, ma almeno non c’era traccia di occhiaie, mentre i capelli erano davvero inguardabili. Cercò la porta del bagno e vi si infilò dentro furtivamente. Si sciacquò la faccia con l’acqua fredda, insistendo sugli occhi sperando che si sgonfiassero almeno un po’. Si tamponò poi il viso con un morbido asciugamano blu e rovistò nell’armadietto a specchio sopra il lavandino in cerca di una crema idratante da applicare sulla sua bisognosa pelle vellutata.

Trovata una crema ad azione intensiva, ne applicò qualche dose sulle guance rosee e sulla zona T, la più delicata. Mentre aspettava che la sua pelle solitamente perfetta assorbisse tutti i nutrimenti necessari, si tolse gli indumenti di Blaine e rinfilò i suoi. Poi passò ai capelli: avrebbe voluto lavarli e phonarli per bene, ma non aveva intenzione di passare tutta la mattinata da Blaine… anzi, a dirla tutta voleva andarsene via il prima possibile, ovvero prima che anche lui si svegliasse.

Si limitò quindi a bagnarsi un po’ le mani e a modellare il ciuffo alla bell’è meglio. Era disposto perfino ad usare un po’ del gel di Blaine, in assenza della sua fedele lacca. Come si dice: “a mali estremi”… perciò intinse appena la punta delle dita nel prodotto e completò l’acconciatura.

Non era il suo solito 10 e lode, ma, viste le insolite circostanze in cui si trovava, poteva comunque ritenersi soddisfatto del risultato.

In ogni caso, arrivato a casa si sarebbe fatto subito una bella doccia rigenerante e quella sera stessa avrebbe dedicato ben più di mezzora a trattamenti e impacchi alla camomilla per i suoi poveri occhietti.

Piegò infine la tshirt e i calzoncini, indeciso su cosa fosse più educato fare – se portaseli via per lavarli e stirarli,
oppure lasciarli nel cesto della biancheria sporca vicino alla lavatrice. Optò per questa seconda opzione, un po’ per dispetto – perché era stata sicuramente colpa di Blaine, se ora si trovava in quello stato, o comunque non aveva impedito che ci si trovasse - e un po’ perché non voleva sentirsi costretto a riportaglieli e offrirgli così l’opportunità di raccontargli come era andata veramente la serata. Non era ancora sicuro di volerlo sapere. Almeno, non da lui.

Uscì silenziosamente dal bagno, muovendosi come il protagonista di qualche film di spionaggio, e passò davanti al soggiorno. Si concesse un attimo per ammirare quell’enorme e accogliente ambiente, con un divano gigante in ecopelle e uno splendido pianoforte posto di fronte a una finestra simile a quella della camera da letto. Il davanzale era sommerso da cuscini bianchi di tutte le forme e per un istante - un piccolissimo, insignificante istante – Kurt si vide nel futuro, magari a Natale, seduto proprio lì, con in mano una tazza di cioccolata bollente e marshmellows ad ascoltare le dolci melodie composte da Blaine proprio per lui. Scosse la testa più forte che poté, sperando di cancellare dalla mente quel bellissimo, quanto inappropriato pensiero.

Si costrinse a voltare le spalle alla sala e si diresse in cucina. Una meraviglia di cucina! Ampia e moderna, sprecata per uno come Blaine, che viveva di fast food e schifezze. La cosa che lo colpì di più fu il grande forno con display digitale in cui avrebbe potuto cucinare ottimi muffins ai mirtilli e deliziosi soufflés. Non come il forno che utilizzava a casa, che ormai viveva di vita propria e decideva autonomamente a quanti gradi cuocere i biscotti.

Cercò una caffettiera per prepararsi il caffè, nonostante non fosse affatto sicuro che l’accoppiata aspirina-caffeina fosse raccomandabile. Ne preparò in grandi quantità, e se ne versò un po’ in una tazza con sopra disegnati un paio di baffi e un papillon. Quello avanzato lo lasciò nella caffettiera sul fornello spento, pronto da scaldare per quando Blaine si fosse svegliato, e preparò delle uova al tegamino anch’esse pronte da cucinare. Mise in tavola un’altra tazza – quest’altra con la scritta “I’m the Boss”- un cucchiaio e delle fette biscottate imburrate. Se non ricordava male, quella era la tipica colazione di Blaine quando andavano al liceo, per lo meno quella di quando non prendevano insieme il cappuccino al Lima Bean.

Sciacquò infine la tazza che aveva appena usato e, infilate scarpe e cappotto, lasciò l’appartamento di Blaine per lasciarsi avvolgere dalla frizzante aria di quel sabato mattina di gennaio.

Kurt Hummel, che ti succede? Troppi gesti amorevoli e pensieri dolcemente pericolosi. Ricorda che cosa ti sei promesso. Non puoi permettergli di farti del male un’altra volta. Tanto più adesso, che si frequenta con la versione personificata di Timon de “Il Re Leone”. Scappa via da questa casa!

Camminava a passo svelto per il viale alberato in cui si trovava l’appartamento di Blaine - che, per la cronaca, era davvero al penultimo piano di un elegante palazzo - evitando le pozzanghere dovute alla neve accumulata ai lati del marciapiede. Mentre cercava la stazione della metro più vicina per poter tornare a casa, si stava arrovellando il cervello, al punto che sentiva sarebbe presto scoppiato. Da una parte era intenzionato a capire come fosse finito a casa di Blaine e come non riuscisse a ricordare le ultime ore della serata precedente – l’unica cosa plausibile era che si era ubriacato al punto da perdere il contatto con la realtà; dall’altra, cercava di ricordare a se stesso quanto fosse sbagliato affezionarsi a Blaine di nuovo, nonostante sembrasse cambiato. Erano due problemi nettamente distinti, ma, allo stesso tempo, aveva il sospetto che fossero tremendamente correlati.

 Così, mentre prendeva la linea metropolitana diretto verso casa, cercò di riordinare le idee.
Dunque, la giornata precedente era partita bene… si era alzato di buon’ora, aveva fatto i suoi soliti riti di bellezza in bagno, aveva fatto colazione… qualche riscaldamento vocale per l’audizione per la Nyada nel pomeriggio…

Oh, merda. La Nyada. 

Ora tutto aveva acquisito un senso… o almeno buona parte.

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Capitolo 2
*** Non farmi ripetere tutto ottanta volte! ***


LA TAVOLA DI CUP OF TEA:
E' arrivato anche il capitolo 2 e in merito a questo ho due precisazioni da fare:
1- ci sono riferimenti alla 2x04, 3x18 e alla 4x04
2- ricordo che da qui parte il lungo flashback di Kurt
Buona lettura e… non dimenticate di farmi sapere che ne pensate!
cup of tea


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"NON FARMI RIPETERE TUTTO OTTANTA VOLTE!"
OVVERO IL CAPITOLO 2 DI QUESTA STORIA
 


 
“I could follow you to the beginning
Just to relive the start
And maybe then we'll remember to slow down
And all of our favorite parts”
(Paramore – All I Wanted)
 



 
Essere ammesso alla New York Academy of Dramatic Arts, o semplicemente Nyada, è quello che si può definire come la massima aspirazione per chiunque sogni di esibirsi in futuro su un palco di Broadway, davanti a milioni di persone.
Insegnanti competenti e severi tutors gestiscono corsi di danza, canto e recitazione con metodi all’avanguardia e i programmi più aggiornati, con lo scopo di formare i nuovi Liza Minnelli e Gene Kelly. Ma come succede anche per molte altre cose nella vita, solo in pochi vengono ritenuti in grado di potercela fare, mentre gli altri vengono lasciati in balia di sé stessi e della loro inevitabile corsa a trovarsi un nuovo sogno.

Il fascino di un’università così prestigiosa non aveva lasciato indifferente Kurt, quando la Pillsbury, la consulente del suo liceo, aveva suggerito a lui e alla sua amica Rachel Berry di provare a spedirvi la propria domanda di ammissione.

Sfortunatamente però, le cose poi non erano andate per il meglio per lui, perché – nonostante la sua esecuzione di Not the Boy Next Door avesse fatto una buonissima impressione all’esaminatrice e insegnante di canto, Carmen Tibideaux – non era stato ritenuto all’altezza di frequentare quell’Accademia. Si era così rassegnato a vedere Rachel partire per esaudire il loro sogno, e a lasciare la sua famiglia e quello che all’epoca era il suo ragazzo, per raggiungerla a New York, in cerca di un nuovo scopo nella vita.

Le cose erano migliorate solo quando venne preso come stagista da Vogue.com. Si ritrovò ad ammettere che fosse un ottimo piano B e l’assunzione che ne derivò, poi, fu un toccasana sia per la sua autostima, sia per il suo animo da fashionista eclettico, ma soprattutto per il suo portafoglio, che ora era abbastanza gonfio da permettergli di mantenersi - almeno in parte - gli studi da solo.

Era fortemente intenzionato a riprovare a coronare quello che da sempre era stato il suo sogno, mai completamente messo da parte, però questa volta con l’animo di chi - nel caso malauguratamente le cose non fossero andate bene di nuovo - aveva la certezza di un futuro altrettanto gratificante, in un campo che amava quasi allo stesso modo.



Era l’inizio di ottobre quando aveva cominciato a pensare a quale assolo cantare per il suo primo provino, previsto per gennaio. Insieme a Rachel aveva pensato alle più belle canzoni dei musical di sempre, ma poi lei era dovuta partire per il suo primo tour di Cabaret come stagista, quando ancora non erano giunti a una decisione.

Kurt sentiva che l’appartamento era insopportabilmente vuoto ogni volta che Rachel tornava in Ohio o non era a casa per via degli stage  accademici che la portavano in altre città per pochi giorni.

Non era mai successo prima d’ora che se ne andasse per dei mesi, e Kurt si sentiva quasi abbandonato. Ovviamente era contento per lei, ma il loro modesto loft a Bushwick sembrava tremendamente triste senza la sua adorabile follia. Per fortuna gli rimaneva ancora Mr Claws, il loro grasso ed egocentrico gatto.

Per fuggire da quei tristi pensieri, una mattina uscì di buon’ora per andare al suo negozio di spartiti di fiducia, in cerca di qualche illuminazione per la sua audizione. Il piccolo negozio si trovava vicino a Central Park e raggiungerlo con i mezzi pubblici a volte richiedeva anche più di mezzora, ma Kurt lo amava soprattutto per la sua atmosfera vintage e per la sua ottima fornitura, quindi riteneva che quel piccolo viaggio non fosse affatto una perdita di tempo.

Sebbene gli scaffali fossero sempre ben riempiti e raramente non trovasse quello che cercava, la disposizione degli spartiti non era di facile intuizione. Così, Kurt si avvicinò a una cassettiera in legno scuro simile a quelle che si vedevano nelle vecchie biblioteche. All’interno dei vari cassetti, erano contenuti gli elenchi degli spartiti presenti in archivio, e con le mani sicure di chi sa esattamente dove cercare, il ragazzo aprì lo schedario che conteneva i titoli di tutti i più famosi musical messi in scena sui palchi dei teatri o nei cinema del mondo.

Scorse i titoli in ordine alfabetico.

Across the Universe, Cats, Singin’in the Rain, West Side Story, Wicked… molti dei titoli gli ricordavano il suo passato al Glee Club, l’unica ragione per cui non odiava il liceo McKinley. Si ricordò delle belle performances che aveva fatto all’epoca e non riuscì a credere di non averci pensato prima: “Le Jazz Hot”, da Victor Victoria, era stata una delle sue esibizioni migliori, nonostante avrebbe preferito avere un partner con cui duettare come i suoi compagni. Era una di quelle performances che sentiva più sue, una “masturbazione vocale”, come l’aveva definita Santana.

Scorse le dita di nuovo in su, verso la lettera V, e lesse l’indicazione per trovare lo spartito della canzone scelta: sezione Musical Comedy Film (Metro-Goldwyn Mayer, 1982).
Mentre si dirigeva verso lo scaffale designato, inviò un sms a Rachel per dirle della sua folgorante idea: “Missione compiuta.Le Jazz Hot, baby, ‘Cause I love my Jazz…hot!” Amava mandare messaggi del genere all’amica, perché citare versi di canzoni famose era un po’ il loro linguaggio in codice.
Sentì un grande sorriso nascergli in viso, mentre sfilava la cartelletta di plastica che conteneva lo spartito dal ripiano. La consapevolezza di essere un piccolo passo più vicino al suo obiettivo era tanto rassicurante quanto eccitante, e sentì le mani cominciare a tremargli per l’entusiasmo. Accarezzò la cartelletta che aveva appena preso e, stringendosela al petto, sospirò, dirigendosi verso la cassa.

Non fece in tempo a raggiungerla, perché qualcosa - o meglio, la vista di qualcuno - lo bloccò improvvisamente.
La persona in questione era di spalle, ma bastò quello perché il cuore di Kurt perdesse un battito. Si nascose in fretta dietro uno scaffale, per poter osservare meglio la figura di quel ragazzo a cui era sicuro di poter dare un nome, un volto e una voce senza pensarci troppo.

Quello era senza dubbio Blaine. Blaine Anderson.

Che ci fa a New York?! Che ci fa lui QUI?! Sta profanando il mio tempio della storia della musica con le sue zampacce da hobbit ancora sporche di gel… 

Il ragazzo girò la testa verso Kurt, che, preso alla sprovvista da quello sguardo nel bel mezzo dei suoi insulti telepatici, fece cadere lo spartito e il cellulare che aveva ancora in mano, facendo un gran baccano. Si abbassò tenendo la testa china verso il pavimento, sperando con tutto sé stesso che Blaine non si avvicinasse mentre raccoglieva in fretta i pezzi del cellulare, perché le occhiate curiose degli altri clienti erano già sufficienti a farlo sentire osservato e umiliato senza che ci si aggiungessero le sue.

Ma no, ovviamente Mr Ti-Salvo-Io Anderson deve venire qui a farmi sentire in colpa per aver pensato male di lui! 

Blaine, che lo aveva riconosciuto e che nel frattempo gli si era avvicinato, gli passò lo spartito che nel cadere si era infilato sotto uno scaffale. Rivolse a Kurt uno di quegli splendidi e dolci sorrisi che – una volta, ora non più, sia chiaro! –  erano capaci di mozzargli il fiato.

“Kurt.” Il bellissimo ragazzo ora era inginocchiato sul pavimento davanti a lui. Kurt dovette ammettere a sé stesso che quegli occhi scuri e profondi avevano ancora un grande fascino, anche dopo quasi tre anni che non si vedevano. Forse soprattutto perché erano passati quasi tre anni.
Si sforzò di essere cordiale mentre prendeva il plico che Blaine gli stava ancora porgendo e gli  sorrise timidamente.
“Grazie… queste cartellette di plastica sono davvero… scivolose –ma che stai dicendo? -  e il cellulare… si è messo a vibrare così all’improvviso che mi è…”
“…scivolato?”
“Già.” Kurt gli fu grato per aver assecondato la sua scusa assurda. Si alzarono nello stesso momento, ammutoliti, come se prima di dire qualsiasi cosa sentissero il bisogno di studiarsi per qualche minuto. Sembrava fosse trascorso veramente un secolo da quando si erano visti l’ultima volta, e quell’occasione non si era rivelata nemmeno una delle migliori.

Blaine, dopo qualche settimana da quando Kurt era partito per New York, gli aveva fatto una sorpresa giungendo in città prima della data prevista per la sua visita. Gli aveva portato dei fiori, erano usciti insieme con Rachel e Finn e gli aveva perfino dedicato una versione acustica tremendamente commovente di Teenage Dream al Callback, il bar degli studenti della Nyada. Quella canzone aveva segnato il loro primo incontro e l’inizio della loro storia, ma purtroppo quella sera ne aveva segnato anche la fine. Mentre passeggiavano per le strade del parco, Blaine gli aveva confessato di essere stato con un altro e Kurt non era più stato in grado di perdonarlo. Una volta che Blaine ebbe lasciato New York, Kurt chiuse definitivamente una porta, deciso a non riaprirla mai più. Lo tagliò fuori dalla sua vita, ignorando i ripetuti tentativi dell’ex di rimettersi in contatto con lui. Fino a che quest’ultimo non ebbe deciso di mollare il colpo e lasciargli vivere la sua vita in pace.

Ora, rivederselo lì davanti agli occhi, in tutto lo splendore che solo la lunga lontananza lo aveva reso in grado di cogliere di nuovo, lo faceva sentire come i suoi primi giorni alla Dalton, con inspiegabili farfalle nello stomaco. E questo non va affatto bene, perciò appena arrivi a casa ricordati di  bruciarle bevendo dell’acido.
Blaine sembrava più adulto adesso, non portava più nessun papillon che costringesse il colletto della camicia, lasciando invece libero il suo collo perfetto. Anche i capelli non erano più schiacciati sotto montagne di gel – nonostante fosse evidente che non ci avesse rinunciato ancora del tutto – ed erano più sbarazzini pur risultando nel complesso assolutamente in ordine. Portava ancora i pinocchietto come quando andavano al liceo, però su quello Kurt non aveva mai avuto niente da ridire; anzi, pochi li portavano con il suo stesso impeccabile stile.

“Allora…” cominciò Blaine per rompere il ghiaccio. Si sentiva sotto esame come non mai, e si guardava intorno intimidito dallo sguardo concentrato di Kurt. “…Vieni qui spesso?”
“A volte.” Gli sibilò Kurt.
“A volte.” Ripetè annuendo Blaine. Ora era davvero a disagio ed era come se Kurt fosse contento del risultato. Si rilassò solo quando l’altro gli disse: “Ti trovo bene.”
“Stai bene anche tu.” Ed era vero: Kurt non era stato mai così radioso. L’aria di New York lo aveva reso un bellissimo uomo, sicuro e fiero. Eccentrico come sempre, ma più consapevole e meno stravagante.
“Ora scusami, ma devo andare a pagare questo” Kurt indicò la cartelletta e gli voltò le spalle, lasciandolo lì in piedi e inebetito. Dopo quella lunga lontananza, come poteva Kurt volersene andare via così? Blaine non gliel’avrebbe permesso.  Lo rincorse fuori dal negozio, urlando il suo nome per fermarlo.
“Cosa c’è?!” Kurt era visibilmente scocciato, ma per lo meno aveva smesso di camminare.
“Ti… andrebbe un caffè?” Giunto di corsa a pochi passi da Kurt, teneva le mani sulle ginocchia per riprendere fiato, ma sapeva che il respiro corto non era dovuto a quello scatto da velocista.

Era la paura che Kurt rifiutasse.
O l’emozione che dicesse di sì.
 

 
***

“Non ci credo!”

“E invece devi! E’ tutto vero!”

Rachel aveva telefonato a Kurt quella sera, dopo aver letto il messaggio sull’assolo.
Si era complimentata con lui per l’ottima scelta e per assicuragli il suo appoggio nel caso avesse avuto bisogno di dritte o semplicemente supporto morale nelle prove, e poi lui l’aveva spiazzata con un secco: “Non indovinerai mai chi ho incontrato al negozio!”.
In effetti non aveva indovinato, né tanto meno riusciva a crederci quando lui le aveva svelato il nome.
Il fatto, poi, che fossero finiti a bere un caffè insieme era altrettanto inverosimile, e Kurt dovette ripeterglielo due volte, prima che recepisse il messaggio.

“Beh? E che è venuto a fare a New York? Gita fuori porta?”

“A dir la verità è qui da due anni, almeno.”

“Come?! Due anni?!”

“Oddio, Rachel, non farmi ripetere tutto ottanta volte! Sì, due anni. Mi ha detto che è stato preso alla NYU e ora frequenta il terzo anno in Musica e Arti Teatrali.”

“Uhm, poteva anche venire a salutare! Voglio dire… me, non te, ovviamente.”

“Immagino abbia evitato di farlo per non metterti in difficoltà con me.” Strano difendere qualcuno che fino a quello stesso mattino si era ripromesso di odiare per il resto della vita. Si sentiva tanto come Elizabeth Bennet che accetta di ballare con Mr Darcy a Netherfield.

Si lasciò sprofondare tra i cuscini del divano e cominciò ad accarezzare Mr Claws, che si acciambellò accanto a lui facendo le fusa.

“Oh. Okay. Tu come stai?” Riprese Rachel.

“Bene. E’ stato un bell’incontro, in fin dei conti. E’ contento per il mio lavoro a Vogue, e io sono contento che sia stato ammesso all’università. Era al negozio di spartiti perché deve preparare un progetto per il suo corso.”

“Gli hai detto della tua intenzione di riprovare alla Nyada?”

“Sì, e mi ha fatto gli auguri.”

“Davvero formale.”

“Già. Ma ehi, è normale no? Siamo quasi due estranei.”

“Kurt, tu e Blaine non sarete mai due estranei.”

“Se lo dici tu.”

“E dimmi… avete parlato di… quella sera?”

“No. Nessuna menzione a riguardo. Credo che entrambi non ci volessimo rovinare la mattinata. In ogni caso, siamo andati avanti con le nostre vite. Lui, per esempio, sta con Sebastian, adesso.”

“Sebastian?!”

“Oh, no. Ricominciamo con le ripetizioni?”

“Scusa. Sono solo sorpresa. Sembrava non gli piacesse affatto.”

“Dice che è diverso. Ma cambiamo argomento, per carità. Come vanno le prove? Non te l’ho ancora chiesto oggi…” In realtà, sentire Rachel dirgli per l’ennesima volta come tutto fosse eccitante e incredibile e decisamente broadwayiano non era una grande novità, ma gli serviva al volo una via di fuga per la piega che stava assumendo la conversazione.

“Oh, tutto come al solito. Quello che invece non è affatto “come al solito” è il tuo tono di voce mentre parli di Blaine. Ti sei intenerito?” Cavolo, non ha funzionato.

“Intenerito? Cosa? No! Io.. sto solo provando a guardarlo con un po’ meno pregiudizi. Voglio dire, siamo adulti adesso. E abbiamo due vite completamente diverse. Sentirlo parlare di come sono trascorsi questi due anni mi ha fatto tornare in mente perché alla Dalton mi aveva così colpito: la passione che mette nel fare le cose e nel parlarne, il suo garbo e la gentilezza dei suoi gesti…”

“Kurt, allarme rosso!!”

“Macchè allarme, so badare a me stesso. Nonostante tu lo stia pensando, non voglio affatto rimettermi con lui – anche perché, ripeto, ora sta con Sebastian – ma questo non significa che non possiamo provare ad essere amici.”

“Va bene. Non insisto solo perché adesso devo scappare. Ma non pensare di farla franca, perché riprenderemo presto questo discorso!”

“Vedremo. Buona serata, Rachel.”

“Buona serata anche a te, Kurt. E ricordati che ti adoro!”

Kurt riattaccò ridacchiando, mentre Mr Claws protestava perché aveva smesso di accarezzarlo. Lasciò il cellulare sul divano per alzarsi a preparare la cena, e il gattone lo prese come un invito a fare un dispetto al suo coinquilino umano: si acciambellò proprio sul cellulare e riprese a fare le fusa soddisfatto e beffardo.
Fu solo quando lo sentì suonare e vibrare che saltò via spaventato, soffiando e rizzando il pelo. “Così impari a farmi gli scherzi!” gli disse Kurt, che era appena tornato a riprendersi il telefono.

Lesse sul display l’arrivo di un nuovo messaggio e lo aprì.

“Da Blaine Usignolo” – non ricordavo di averlo salvato così! Dopo la rottura, aveva tenuto il suo numero solo per poter evitare facilmente le sue chiamate o i suoi messaggi, ma adesso la curiosità era troppa per cancellarlo direttamente come era solito fare. “E’ stato bello incontrarti, oggi. Forse potremmo rifarlo.”

Trattenendo a mala pena un sorriso, pigiò sul tasto rispondi. “Forse.”

Di lì a qualche minuto il cellulare squillò di nuovo. “Domani, tre del pomeriggio. Va bene per te?”

“Sarò quello bello e impossibile.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Di fronte a una New York che sta correndo ***


"DI FRONTE A UNA NEW YORK CHE STA CORRENDO" 
OVVERO IL CAPITOLO 3 DI QUESTA STORIA
 
 
“I can't find the best in all of this
But I'm always looking out for you
'Cause you're the one I miss
And it's driving me crazy”

(Blink 182 – After Midnight)




 
Per essere solo la metà di ottobre, la temperatura era decisamente calata e l’aria di New York si era fatta tutt’a un tratto fastidiosamente frizzantina. Tutta colpa di una perturbazione proveniente dall’Atlantico – o almeno così aveva detto il notiziario delle otto.

L’unica cosa positiva di quel gelo improvviso, pensò Kurt, era che poteva tirare fuori dall’armadio i suoi bei maglioni comodi e caldi – ma non per questo meno alla moda – troppo a lungo rimasti trascurati. Ne scelse uno in cachemire color grigio scuro da indossare sopra una dolcevita tono su tono, che abbinò ai suoi fedeli jeans neri attillati.

Prima di uscire per andare al lavoro, bevve al volo una tazza di caffè e riempì la ciotola di Mr Claws di un’abbondante porzione di croccantini, consapevole che, diversamente dal solito, non sarebbe tornato a casa prima di sera. Oltre a incontrare Blaine alla caffetteria, aveva in programma di passare in un negozio di costumi per trovarne uno appropriato per la sua audizione, e quella era una cosa che gli avrebbe di sicuro portato via l’intero pomeriggio.

Salutato il gattone, si infilò le scarpe e prese la borsa a tracolla. Giudicò più che soddisfacente la visione di insieme della sua figura riflessa nello specchio vicino alla porta d’ingresso, soprattutto perché il ciuffo gli era venuto particolarmente bene; infine uscì.
 
***
Fortunatamente quella mattina a Vogue.com si rivelò straordinariamente frenetica e intensa. Kurt passò tre quarti del tempo a rispondere ai telefoni che squillavano insistentemente e, per il resto, a girare di qua e di là come una trottola per svolgere le mansioni che di volta in volta gli venivano affidate. Tutto ciò era davvero stressante e tremendamente stancante, ma Kurt amava il suo lavoro e il ritmo sostenuto di quelle ore era proprio un toccasana, perché gli impediva di controllare paranoicamente il suo cellulare nel caso Blaine gli avesse scritto per avvisare di qualche inventato contrattempo solo per dargli buca.

Non ricevette nessun messaggio, comunque - neanche per confermare che si sarebbero visti – così Kurt cominciò a preoccuparsi veramente quando, intorno alle due e mezza, si preparò per lasciare la redazione e recarsi alla caffetteria. Fece tutto con più lentezza possibile, come se temporeggiare fosse la tattica giusta per dare il tempo a Blaine di arrivare.

Camminò piano per le strade di una New York arancione per le foglie cadute dagli alberi e per gli addobbi di Halloween che già rallegravano i portici delle case, nonostante mancassero ancora due settimane alla festa delle zucche. Dovrei guardarmi in giro più spesso; normalmente vado troppo di corsa e mi perdo queste meraviglie!

Halloween era da sempre la sua festa preferita, poiché poteva dare il meglio di sé nella creazione di stravaganti costumi così originali che mai nessuno era riuscito a copiare o eguagliare per fantasia. Quell’ottobre, però, non aveva ancora neanche pensato a cosa indossare - quando invece era una cosa che solitamente iniziava a fare con larghissimo anticipo - e per qualche ragione la cosa lo rese triste. Era così impegnato a pensare alla Nyada che aveva perso di vista le cose che una volta lo entusiasmavano.

“Kurt!” Una voce lo risvegliò dai suoi pensieri cupi. Per tutto il tempo aveva tenuto la testa fissa sul marciapiede, perciò non si era accorto che Blaine gli stava venendo incontro. Il freddo non doveva averlo colto impreparato, perché stava sfoggiando un bellissimo cappotto blu che gli donava particolarmente.
Kurt gli sorrise in cenno di saluto e, insieme, entrarono alla caffetteria.
 


“Qualcosa non va?” gli chiese Blaine, mentre si sedevano con i loro bicchieroni di caffè su due sgabelli di fronte a una vetrina che si affacciava sulla strada trafficata. “Niente di grave, non preoccuparti.” Lo rassicurò Kurt, ma il suo faccino mesto probabilmente non era d’aiuto, perché Blaine non sembrava convinto. “Davvero, sto bene. Stavo solo riflettendo…” Riprovò.

“Riguardo a cosa? Se te la senti di raccontarmelo, ovviamente…” cercò di incoraggiarlo l’amico, facendo di tutto per non risultare invadente o inopportuno. Kurt ne apprezzò il gesto, così decise di aprirsi con lui, come faceva in passato.

“Ti capita mai di pensare che ti manchi qualcosa? Voglio dire… passiamo la vita a cercarci uno scopo da raggiungere, e quando lo troviamo spendiamo tutte le nostre energie per rincorrerlo. Così facendo, però, ci perdiamo tutte le cose belle che ci sono lungo il percorso. Alcune volte vorrei fermarmi un attimo per godermi le cose, e invece ho la sensazione di essere perennemente di corsa.”

Lo sguardo Blaine si era fatto da indagatore a più dolce e comprensivo. Kurt sapeva di non doversi sentire offeso da quei meravigliosi occhi accondiscendenti, ma in qualche modo aveva la sensazione di essersi reso in pochi istanti più vulnerabile, e l’ultima cosa che voleva era rendersi debole agli occhi di Blaine. Voleva che lo vedesse sempre forte e orgoglioso, come per sottolineare cosa si fosse perso. Ma tutto quello che riuscì a fare in quel momento fu abbassare gli occhi e bere un sorso del suo latte macchiato al caramello, ottenendo esattamente il contrario di quello che sperava. Per un momento odiò sé stesso e la sua maledetta sensibilità.

“Parli dell’audizione alla Nyada?” gli chiese Blaine.

“Parlo dell’audizione alla Nyada, sì, ma parlo anche del fatto che tutto va troppo veloce: al lavoro si corre, al telefono con Rachel si corre…”

“Io e te però adesso siamo seduti, e ci stiamo godendo questo caffè in piena tranquillità.”

 “Sì, ma di fronte ad una New York che - indovina? – sta correndo.”

Blaine aggrottò le sue folte sopraciglia, con il fare di chi la sa lunga. “…Potrei dissentire: il traffico è talmente intenso che di fatto le auto sono ferme. Chissà, magari dentro quella macchina c’è un uomo che ha guadagnato un po’ di tempo in più da trascorrere con sua figlia proprio perché sono imbottigliati tra un taxi e l’altro.”

“E’ più probabile che dentro ci sia qualcuno che sta imprecando perché è in ritardo per qualche incontro importante…” ribattè Kurt, ma in fondo la storia del padre e della figlia gli piaceva parecchio.

“Probabile, sì.” Ridacchiò Blaine. “Ma continuo a credere che almeno io e te siamo riusciti a trovare il tempo per fermarci.” Uno sguardo tanto rassicurante quanto penetrante trafisse Kurt con l’intensità di una scarica elettrica. Per quanto odiasse ammetterlo, Blaine riusciva ancora ad essere la persona che lo sapeva tirare su più di chiunque altro. Lo osservò mentre beveva un sorso del suo cappuccino.

“Te lo concedo.” Disse, e con questo Kurt mise fine all’argomento. “Che fai ad Halloween?” gli chiese poi.

“Andrò ad una festa organizzata in un locale dell’Upper East Side, roba da gente con la puzza sotto il naso… e tu? Immagino avrai grandi piani per la festa che aspetti tutto l’anno…” - Oh, te ne ricordi – “…magari ti vedi con qualcuno in particolare…” Ok, adesso che fai? Sondi il terreno?

Kurt lo guardò di sottecchi, valutando come rispondere. Ovviamente aveva avuto qualche flirt, ma non aveva ancora trovato nessuno con cui valesse la pena di avere una relazione. E non aveva ancora ricevuto alcun invito per nessuna festa... Come poteva evitare di fare la parte dello sfigato? Soprattutto sapendo che Blaine sarebbe andato a un party snob, probabilmente insieme al suo arrogante nuovo ragazzo… Rispondere che non aveva impegni per Halloween probabilmente era la scelta migliore e la più cauta, perché lasciava intendere solo che fosse libero per quella sera, non che lo fosse sempre.

“La mia agenda è ancora vuota.” Disse.

“Sul serio?! Grande! No, aspetta, forse mi è uscita male.”

“Decisamente. Riprova.” L’unico motivo per cui Kurt non se la fosse ancora presa per quello che sembrava trionfo nello sguardo di Blaine, era che non sembrava affatto il trionfo di chi si sente superiore ad un altro, ma quello di chi vede aprirsi una possibilità.

“Volevo dire che è grande che tu non abbia impegni, così puoi venire alla festa con noi.”

“Noi?”

“Dai, sarà divertente! Ci saranno anche Nick e Jeff! Abbiamo in programma di sbalordire tutti con i nostri costumi! Oh, sì - saranno felici di rivederti!” Se Blaine avesse avuto la coda, in quel momento avrebbe certamente iniziato a scodinzolare. La proposta era davvero allettante, e l’entusiasmo che Blaine gli stava dimostrando era decisamente contagioso. Se non fosse stato per un piccolo, insignificante dettaglio che Kurt si affrettò subito a chiarire.

“Mi piacerebbe molto, grazie. Immagino che rivedrò anche Sebastian…?” Azzardò. Non aveva nessunissima voglia di lasciarsi rovinare la sua festa preferita da Faccia-da-Mangusta, anche se umiliarlo con il suo splendido costume sarebbe potuto essere interessante.

“Oh, no, no. Sebastian al momento non è in città. E’ in Europa con la sua famiglia e non tornerà a New York fino ai primi di novembre.” Uuuuh.

Kurt cercò di dissimulare l’enorme sollievo che sentiva, facendo il falso noncurante. “Uhm, ok…  spero si diverta, dicono che ormai Halloween sia diventata una festività celebrata ovunque. Oppure è nata proprio in Europa? Gran Bretagna, credo…”Smettila di farneticare, per l’amor del Cielo. “Ad ogni modo, sei sicuro che posso venire alla vostra festa?”

“Non è la nostra festa, Kurt… è solo una festa. Certo che puoi venire. In effetti può andarci chiunque voglia.”

“Stai cercando di dire che, se fosse stata la vostra festa, io non ci sarei potuto venire? Molto maleducato, Anderson.” Lo prese un po’ in giro Kurt.

“Io non- eddai che hai capito.”
 
***
Non lasciarono la caffetteria prima delle sedici e trenta.

Quando Kurt salutò l’amico per lasciarlo alle sue faccende, questi lo sorprese decidendo di accompagnarlo al negozio di costumi teatrali. Kurt non voleva che rinunciasse a fare altro solo per fargli compagnia, ma si convinse a lasciarlo venire con lui quando un testardo Blaine gli aveva detto che non aveva bisogno di fare nessuna commissione urgente e che per una volta poteva concedersi di fermarsi per un pomeriggio. Promise anche che non avrebbe interferito con le sue scelte e che avrebbe espresso un parere solo se richiesto.

Avere qualcuno con cui confrontarsi alla fine si era rivelato veramente utile, oltre che divertente. Alla fine aveva comprato una giacca e un paio di pantaloni metà bianchi e metà neri, un mantello scuro e lucido e delle lunghe frange bianche e argentate che ora stava applicando a una manica della giacca, mentre Mr Claws lo osservava circospetto, aspettando il momento buono per sferrare l’attacco ai danni di quei bei fili lucenti.

Blaine invece aveva comprato un paio di occhiali finti dalle lenti rotonde e una giacca nera larga e lunga. “Per il mio travestimento di Halloween” aveva detto semplicemente, senza aggiungere altro. Quando Kurt aveva provato a chiedergli da cosa si sarebbe travestito, lui si era rifiutato di rispondere per mantenere il mistero.

Mentre appuntava un’altra frangia alla manica, Kurt si ritrovò ad ammettere che avere di nuovo Blaine intorno era piacevole ed era fermamente convinto che la loro amicizia potesse veramente funzionare. Forse essere amici è la cosa che ci riesce meglio. Alla Dalton insieme eravamo una forza. Amici. E’ la cosa migliore.   

Continua a ripetertelo, Hummel. 

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Capitolo 4
*** Ma perché te la sei presa?! ***


LA TAVOLA DI CUP OF TEA
Ehi tazzine!
Eccolo qui, il capitolo 4, che è il mio preferito, pronto per essere commentato spietatamente da tutti voi!
Ringrazio ancora Wuthering Heights, che all'epoca della stesura aveva nominato un grosso, ruffiano e assolutamente reale gattone rosso proprio come quello della storia, Mr Claws..
E grazie anche a tutti gli altri, chi legge o ricorda o preferisce. Crescete ogni giorno e, con voi, lo fa anche la mia gratitudine. <3
Ah, avvertimenti per i capitolo:
  1. Un po’ di sano angst
  2.  Kurt e Blaine andranno ad una festa di Halloween, ma per la scelta dei loro costumi diciamo che mi sono ispirata a Chris e a Darren, più che ai personaggi che interpretano in Glee. Che volete farci, mentre scrivevo, nella mia mente li vedevo esattamente così:
http://pics.lockerz.com/s/257830386
http://25.media.tumblr.com/tumblr_lhnz6utQNk1qhh0uvo1_250.jpg   (ovviamente Blaine non ha tutti quei capelli! ;) )
Direi che è tutto, vi lascio il mio twitter, se avete voglia di followarmi!
https://twitter.com/Maartucc e la mia pagina facebook: https://www.facebook.com/CupOfTeaEfp?ref=hl 
 Un abbraccio a tutti,
cup of tea


 
 
"MA PERCHE' TE LA SEI PRESA?!"
OVVERO IL CAPITOLO 4 DI QUESTA STORIA
 
 
“He’d look just like you’d want him to
Some kind of slick chrome American prince,
Blue Jeans serenade
Moon River what’d you do to me
I don’t believe you” 
(The Killers – A Dustland Fairytale)
 
 
Kurt passò l’intera giornata del 31 ottobre intento ad apportare le ultime modifiche al suo già abbastanza elaborato costume.

Qualche giorno prima, dopo aver visto un documentario sulla Francia della seconda metà del 1700 – nemmeno lui sapeva bene  perché avesse lasciato su quel canale, forse era rimasto affascinato dai bei vestiti o dalla vita di corte – aveva deciso che si sarebbe vestito da ghigliottina.

Ebbene sì, da ghigliottina, con tanto di testa mozzata di Maria Antonietta al seguito.

Di sicuro sarebbe stato un travestimento singolare, e dubitava fortemente che qualcun altro potesse aver avuto la stessa idea… o aver visto lo stesso programma.

Anzi, probabilmente era stato l’unico telespettatore della serata. Unico, sì, come il tuo costume per la festa!
 

Con la precisione di un chirurgo, sistemò appena l’orlo dei calzoni neri attillati; con la colla, invece, fissò due bretelle marroni ai lati dello scatolone che avrebbe indossato intorno alla vita per simulare la base della ghigliottina. Poi, per essere sicuro che la corda che avrebbe appeso al cartone sopra la sua testa non si staccasse, la assicurò ulteriormente con del nastro adesivo. Sistemò infine il foulard bianco sopra la maglietta nera a maniche lunghe e lasciò il tutto sul manichino accanto al suo letto. Ultimo particolare da spuntare dalla lista: il trucco. Dopo varie prove, optò alla fine di eliminarlo completamente, preferendo lasciare il viso al naturale. Al limite avrebbe indossato quegli orribili occhiali con lenti arancioni che aveva comprato in uno dei suoi raptus di shopping online e che, una volta rinsavito, non aveva mai osato mettere in pubblico.
 
Si allontanò un po’ dal manichino per osservare il costume nella sua interezza e annuì soddisfatto mentre ne scattava una foto col cellulare e la inviava a Rachel. Mr Claws, invece, guardava perplesso il suo coinquilino, e cominciò a strusciarsi intorno alle sue caviglie per attirare quell’attenzione che gli era stata negata fin dalla mattina. Cosa mai poteva avere un manichino più di lui? Meow.
 
“Vieni qua, gattone ruffiano!” disse Kurt, mentre gli strapazzava le orecchie.
 
Ora era decisamente tutto pronto per la festa, che sarebbe cominciata alle otto. Non gli restava altro che indossare il tutto e chiamare il taxi che lo avrebbe portato al locale – prendere la metropolitana conciato in quel modo, da solo e con il buio era fuori discussione, anche per la notte delle streghe.

Era rimasto d’accordo con Blaine che si sarebbero visti direttamente al locale, e questo l’aveva messo un po’ in agitazione, perché era sicuro che si sarebbe sentito un pesce fuor d’acqua fino a che non avesse incontrato qualche faccia amica o conosciuta.

Ma l’agitazione era dovuta anche a un’altra cosa, non irrilevante. Sarebbe uscito con Blaine – ok, non “uscito” nel senso di appuntamento ufficiale, e non si trattava neanche di una novità, considerati tutti i caffè che si erano presi nelle ultime due settimane -  ma c’era qualcosa di diverso in quella serata… forse il fatto che fosse stata pianificata con largo anticipo e non organizzata da un giorno all’altro con un sms come facevano per i caffè, o forse era per l’entusiasmo che aveva percepito in Blaine quando gli aveva detto che sarebbe andato volentieri alla festa…

Le ragioni potevano essere infinite.

Una cosa però era evidente: Kurt non poteva fare a meno di sentirsi come una ragazzina alla sua prima cotta e non riusciva a spiegarsi l’incontenibile fibrillazione che lo stava investendo.

Cavolo. Com’era possibile che Blaine riuscisse sempre a farsi volere bene? Con i suoi modi da ragazzo spavaldo e sicuro di sé che altro non nascondevano se non una profonda insicurezza e fragilità, percepibili e quasi tangibili nei suoi bellissimi occhi da cucciolo. Come riusciva a fargli dimenticare costantemente il motivo per cui si erano lasciati, o della promessa che aveva fatto a sé stesso di non vederlo in altro modo se non come amico, o del fatto che ora c’era di mezzo Sebastian?

In un angolo del suo cuore sentì crescere una vocina che gli suggeriva di lasciar perdere tutte quelle domande e di godersi la serata, di fare la ragazzina al primo appuntamento e di sentirsi felice ed eccitato per qualcosa dopo tanto tempo. Decise di ascoltarla.

In fondo, Sebastian neanche c’è.
 
***
 
Blaine cominciò a prepararsi intorno alle 19.

Calzoni scuri, camicia bianca, cravatta rossa e oro, golfino grigio e mantello lungo scuro. Un perfetto Grinfondoro! Infilò nella tasca la bacchetta magica e indossò gli occhiali finti dalle lenti rotonde; infine, avvicinatosi allo specchio sopra il lavandino del bagno, si tracciò una cicatrice a forma di saetta sulla fronte con una matita nera per occhi. Harry Potter: forse un po’ banale, ma non tutti potevano essere sempre originali. Kurt invece riusciva ad esserlo ogni volta.

La creatività di quel ragazzo era sconvolgente e l’imprevedibilità delle sue azioni lo era ancora di più. Due aspetti che lo rendevano forse la persona più interessante che conosceva – togli pure il ‘forse’.

Era stato bello ritrovarsi dopo tanto tempo; Blaine sentiva che magari il loro incontro al negozio di spartiti era un segno, il segno che a volte si può avere una seconda possibilità. E in quel caso, non l’avrebbe sprecata per niente al mondo.

Vedere Kurt – il suo Kurt -  quasi ogni pomeriggio per un caffè, per lui era stato come tornare indietro nel tempo, e ritrovarlo cresciuto e maturo era bastato a farlo innamorare di nuovo - o a fargli ammettere che non aveva mai smesso di esserlo.

Il problema era capire se Kurt fosse disposto a dargli un’altra occasione, e la cosa gli metteva quasi paura. Si costrinse a non correre troppo con la fantasia: sapeva che avrebbe dovuto fare solo un piccolo passo per volta, per non mandare tutto all’aria – aveva sempre avuto una certa propensione a fare casino con i propri sentimenti.
 
Mentre si ravvivava un po’ i capelli, per una volta assolutamente privi di gel, sentì suonare il citofono.
Strano… non stava aspettando nessuno. Era sicuro al cento per cento che Nick e Jeff lo avrebbero aspettato fuori dal locale e si ricordava bene di aver preso accordi simili anche con Kurt. Che avesse capito male? Non poteva essere lui, non conosceva neanche il suo indirizzo… lasciò la matita sul bordo del lavandino e si fiondò sul cellulare per controllare gli ultimi messaggi: nel caso improbabile in cui a suonare fosse stato Kurt, magari aveva cercato di avvisarlo del suo arrivo con un sms, e allora Blaine avrebbe dovuto nascondere in un lampo le stoviglie sporche ancora nel lavello, se non voleva rimanere vittima delle sue prediche e dei rimproveri per l’imperdonabile assenza di cura nei confronti della cucina. L’ultimo sms di Kurt, comunque, diceva: “Ok, allora ci vediamo là”, perciò Blaine si sentì libero di rilassarsi un momento, prima di rispondere al citofono.
 
“Chi è?” chiese attraverso il ricevitore.

“Sorpresa, mio bel moretto sexy!”

“Sebastian!” Oddio. “C-che ci fai qui?”

“Che ci faccio qui?! Dai aprimi, non ti sono mancato neanche un po’?”

“N- cioè, sì. Mi sei mancato… ma veramente stavo per uscire…”

“Oh, lo so! Ho sentito Nick stamattina. Ho un costume perfetto da abbinare al tuo! Anche se avrei preferito essere un Serpeverde... mi fai salire?”

Merda. Merdamerdamerda.  

“Blaine?”

“Sì sì ok, sto scendendo.” Riappese al volo la cornetta e si fiondò fuori di casa, sentendosi in colpa per non sapeva neanche lui bene cosa.

Fu solo quando fu in ascensore che realizzò di aver dimenticato il cellulare sul tavolo per la fretta di uscire. Come avrebbe fatto ad avvertire Kurt della presenza di Sebastian? Ma in fondo… doveva davvero avvertirlo? …in ogni caso era troppo tardi per tornare su, perché dal portone di ingresso Sebastian gli stava già venendo incontro. Cercò di cancellarsi dalla faccia l’espressione di ansia mista a frustrazione che di sicuro sarebbe stata sospetta e sorrise a quella versione più alta e magra di Ron Weasley, che ormai lo aveva raggiunto e gli stava stampando un bacio sulle labbra.

“Ehi Seb!” lo salutò Blaine, cercando di staccarsi gentilmente dall’abbraccio di Sebastian, ma questi era ancora chinato su di lui e non sembrava intenzionato a lasciarlo andare. Anzi, in un attimo Blaine si sentì mordicchiare un lobo e sussurrare le sue tipiche spudorate provocazioni.

“Non adesso, Seb! Ci stanno aspettando…” Blaine fece una leggera pressione sulle spalle di Sebastian per allontanarlo, questa volta riuscendoci. Sentì sul collo il fiato caldo del ragazzo che sbuffava deliberatamente per la delusione che gli aveva appena dato. “Uffa, qualcuno qui è un tantino noioso stasera. Speravo in un bel regalo di bentornato e invece mi ritrovo ad andare ad una festa vestito come un bambino delle elementari… dai Blaine, saltiamola! Nick e Jeff non se la prenderanno!” Ci riprovò suadente Sebastian, tirando un lembo del mantello di Blaine mentre gli lanciava sguardi eloquenti.

“Ma che hai? – ridacchiò Blaine - Non hai trovato nessuno di interessante con cui intrattenerti in Europa e ora hai l’ormone impazzito?”

“Io ho sempre l’ormone impazzito, Anderson. Come se non mi conoscessi. E comunque, per la cronaca, no, non ho trovato nessuno. Sai, andare via con la famiglia a volte può essere un deterrente a portarsi in camera degli sconosciuti – non so come sei stato educato tu.”

Blaine rise di nuovo. “Quanto sei cretino.” Gli diede un buffetto sulla guancia e si diresse fuori, in strada.

“Allora niente di niente? Neanche un assaggino? Guarda che ho una bacchetta… e non ho paura di usarla!” Gli urlò petulante Sebastian.

“Muoviti!”

 
***
 
Il taxi lasciò Kurt proprio davanti all’ingresso del locale .

Raccolse la testa di Maria Antonietta, pagò la corsa e ringraziò il simpatico tassista che gli aveva fatto i complimenti per il costume, dopodiché si decise a entrare. Era proprio come aveva detto Blaine: un grande bar dall’arredamento sofisticato, frequentato dalla New York più snob. La musica ad alto volume cominciò a martellare subito nelle orecchie di Kurt, mentre le fioche luci provenienti dai grandi lampadari creavano un’atmosfera intima e raccolta.

L’ambiente, addobbato con finte ragnatele e zucche intagliate,  era quasi buio, ma questo non gli impedì di notarel’assoluta mancanza di fantasia delle persone presenti. Potè  facilmente dividerle in due grandi categorie: la prima, composta dalle ragazze in cerca di attenzioni – poco importa se del proprio partner o di quello delle altre - vestite da strabanali gattine o diavolesse sexy, che come galline fingevano di essere spaventate a morte dal marpione di turno armato di maschera da zombie comprata al supermercato; e la seconda, composta  da ragazzi lampadati e con la tipica espressione del “Non mi abbasso certo a trovarmi un costume, quando ho questi enormi bicipiti da palestrato che parlano da soli” stampata in faccia.
 
Che amarezza. Tempi duri per i sognatori.
 
Si sedette su un divanetto in pelle nera, mentre si sentiva tremendamente osservato dai presenti.
 
Blaine Devon Anderson, se non indossi anche tu un costume come si deve, giuro che questa volta abbiamo chiuso. Mentre pensava ai peggiori modi di fargliela pagare nel caso in cui si fosse presentato coi i suoi abiti quotidiani, si sentì chiamare da qualcuno.

“Kurt!” Girò la testa in direzione della voce, e saltò in piedi al volo per andare in contro a Jeff che lo stava salutando allegramente agitando le mani per aria.

“Jeff!! Che bello rivederti! Nick!” abbracciò entrambi con trasporto. Il fatto che quei due gli fossero mancati più di tutti gli altri Usignoli da quando aveva lasciato la Dalton era  sufficiente a giustificare l’affetto che stava dimostrando loro in quel momento, ma anche le loro tutine da Batman e Robin contribuirono parecchio.

“Oh, siete proprio uguali agli originali!” disse loro, grato di non essere più l’unico sotto gli sguardi spocchiosi degli altri. “Dov’è Blaine? Pensavo fosse già arrivato…”

“Oh, sì. Deve essere da qualche parte vicino al bancone…” gli rispose Nick, indicandogli la direzione.

Kurt ridusse gli occhi a due fessure per concentrarsi sulle figure indistinte appollaiate sugli sgabelli.

Gattina, gattina, zombie, oh una vampira, zombie, palestrato, Harry Potter- oh! Harry Potter.

Sorrise tra sé per aver individuato Blaine così in fretta. Non poteva che essere lui.

Dopo aver fatto un passo nella sua direzione, però, si bloccò sul posto. Chi era quello con cui stava brindando? No. Non poteva essere. Non poteva essere Sebastian… Sebastian era in Europa. Sebastian non poteva essersi vestito da Ron Weasley solo per far coppia con Blaine; Sebastian era un predatore, e in pubblico non avrebbe mai denunciato così deliberatamente il suo impegno con qualcuno, rinunciando a conquistare qualche preda. Ma Blaine aveva detto che in qualche modo era diverso da quando lo avevano conosciuto… e quel ciuffo era inconfondibile, tanto più che non si era neanche preoccupato di tingerselo di rosso per essere più simile al Ron originale. Sì, quello doveva essere Sebastian Smythe, e questo significava che Blaine gli aveva mentito.

Da qualche parte, sentì il cuore della ragazzina con la cotta spezzarsi irrimediabilmente. Fortuna che lui, al contrario di lei, era adulto e più che vaccinato contro le delusioni amorose. Hummel, non spararle più grosse di te. A chi vuoi darla a bere?

“Che ci fa qui Sebastian? Pensavo fosse in Europa.” Disse secco a Jeff, ignorando i complimenti che quest’ultimo gli aveva appena fatto per l’originalità del costume.

“Lo era, infatti.” Intervenne Nick. “Stamattina però mi ha chiamato e mi ha detto di essere tornato prima. Voleva fare un’improvvisata a Blaine, così gli ho detto dove saremmo andati e da cosa si sarebbe vestito lui. Mi sembrava una cosa carina… Sebastian non è esattamente uno che dimostra facilmente il suo affetto, perciò non mi sembrava giusto tarpargli le ali nel suo primo atto altruista. Sai, lui non ci voleva neanche venire a questa festa. Ma lo ha fatto perché sapeva che avrebbe fatto felice Blaine.”

“Che tenero.” Rispose tra i denti Kurt, ma era sollevato che Blaine non gli avesse mentito. Aveva solo dimenticato di avvertirlo.

“La cosa non ti dà fastidio, vero?” disse Jeff. “Sai, se lo conosci meglio, Sebastian non è poi tanto male.”

“No, affatto.” Rispose Kurt, stampandosi un falso sorriso in faccia, e cercò di trovare un altro argomento di conversazione con i due amici, rifiutandosi categoricamente di andare a salutare i due novelli innamorati per primo.

Mentre si raccontavano delle novità post-diploma, Blaine e Sebastian finalmente si avvicinarono.

“Kurt! Scusa, non ti avevamo visto arrivare… saremmo venuti a salutare prima.” Gli disse Blaine rivolgendogli uno sguardo che implorava perdono – non esattamente per il ritardo.

Kurt gli sorrise di rimando, come a fargli intendere che andava tutto bene.

“Ma guarda un po’ chi si vede! Kurt Hummel, aka Lady Hummel, aka… cosa dovresti essere? Una ghigliottina?”

“Oh, Mr Acidità è davvero perspicace! Perdonami se non sono venuto a salutarti prima, Sebastian, ma non ti avevo riconosciuto dietro quella maschera da mangusta… a no, scusa, è la tua faccia! Errore mio.”

“Ragazzi, per favore…” Blaine cercò di acquietare gli animi, senza troppi risultati.

“Per tua informazione, Blaine e io – lagnò Sebastian mettendo un braccio intorno alle spalle del più basso, come a sottolinearne la proprietà – potremmo essere chiamati “Harron”, tanto per dirtela con la tradizione di mischiare i nomi del vostro Glee Club da perdenti.”

Nick pensò fosse arrivato il momento di intervenire per evitare spargimenti di sangue. “D’accordo. D’accordo. Ora noi vi lasciamo soli a fare amicizia, ok? Vedete di non farvi male.” Disse, trascinandosi via Jeff e Blaine per dare modo agli altri due di provare a chiarirsi. Dopo tutto erano passati anni, erano cresciuti entrambi, anche se al momento si stavano comportando come bambini. Blaine rivolse l’ennesimo sguardo di scuse a Kurt, prima di farsi definitivamente portare via dai due Usignoli.
 
Prima che il silenzio riempito solo dal rombo della musica fosse rotto, a Kurt sembrarono passate ore. Lo sguardo beffardo di Sebastian era davvero insopportabile, ma riuscì a reggerlo con tutta la  grazia e la tenacia di cui era capace. Fu lui il primo a parlare.

“Allora, Sebastian Smythe… Come te la passi? Deve essere dura per te… Ho sentito che di recente ti sei convertito alla monogamia…”

“Mai detto di essere monogamo.”

“Scusa?!”

 
***
 
 Dopo aver finto un improvviso e ingente bisogno di andare alla toilette, Kurt si sedette su uno sgabello al bancone del bar. Ordinò un drink analcolico, anche se al momento non era proprio quello di cui sentiva il bisogno.

Sapeva di dover rimanere sobrio perché doveva tornare a Bushwick da solo e fortunatamente il suo buon senso non era stato danneggiato dalle rivelazioni shock – o forse non tanto shock – sull’infedeltà di Sebastian nei confronti di Blaine.

C’era da aspettarselo. Tutti sono tipo “E’ cambiato, non è tanto male”, ma io ci vedo meglio di loro. Quelli come lui non cambiano mai.
 
Immerso nei suoi pensieri, si sentì toccare una spalla. Blaine lo aveva raggiunto al bancone per scusarsi nuovamente per non averlo avvisato della presenza di Sebastian e per l’imboscata tesagli da Nick. “Non l’ha fatto con malizia.” Gli disse. “Nick vuole solo che andiate d’accordo. E anche io.”

“Lo so. Lo so. Ma per quanto mi sforzi, non riesco a vedere in Sebastian quel buono che voi tutti dite abbia nascosto non so dove.”

“E’ davvero migliore di quanto si pensi.”

Kurt sentì del fastidio all’altezza della bocca dello stomaco nel sentire Blaine difendere Sebastian – gelosia?
 
Cavolo. Blaine è sempre così propenso a pensare bene di tutti, da risultare persino adorabile. Odio dover essere io a fargli aprire gli occhi.
 
“Che c’è?” lo sentì chiedere, sotto uno sguardo incuriosito. “A che pensi?”

“Io..beh…  non so come dirtelo. Prima, quando ho parlato con Sebastian… sì, insomma… tu lo sai, vero, che ha una concezione tutta sua del vostro rapporto?” Tentò.

“Che intendi dire?”

“Beh, sai… la considera una relazione aperta.” Lo osservò mentre l’altro girava la cannuccia nel suo drink e giocava con il ghiaccio sul fondo del bicchiere, e sperò che non gli cadesse di mano per la brutta sorpresa. Ma la reazione che ne derivò fu ben altra cosa.

“Uh, quello? Sì, sì, lo so.” Blaine rispose con una noncuranza che sconvolse Kurt.

“Oh.” Fu l’unica cosa che riuscì a dire.

“Cosa vuol dire “oh”?” 

“Niente, niente… solo che… a te sta bene così?”

“Sì, cioè... sai, niente pressioni, niente obblighi o altro. Va bene così.”

Blaine non poteva aver detto una cosa del genere. Kurt era sbalordito. E ora, per qualche ragione, anche arrabbiato, come se gli avesse appena fatto un torto personale. “Oh, certo. Sì, sì non fa una piega. Ciao, Blaine.” Disse, lasciando il suo drink sul bancone e allontanandosi a passi svelti, sotto lo sguardo confuso dell’altro.

“Ehi aspetta, dove stai andando?” Sentì urlare alle sue spalle.

“Via, a casa. Non preoccuparti, prenderò un taxi. Salutami Nick e Jeff.”

Blaine gli corse dietro.“Ma perché te la sei presa?!” Esclamò, afferrando Kurt per un braccio per fermarlo.

“Blaine, ma ti ascolti quando parli?! ‘Nente pressioni, niente obblighi’… Da quando prendersi un impegno con qualcuno è diventato un problema, per te?! In questi giorni ho creduto che crescendo forse eri un po’ cambiato… beh comincio a crederci veramente, e se questo è il nuovo te allora forse preferivo quello vecchio! Tu che preferisci non avere una relazione seria e spassartela e basta…” Kurt scosse la testa, ignorando lo sguardo abbattuto e sull’orlo delle lacrime di Blaine. “E quel che è peggio è che io ero preoccupato che tu fossi la vittima in questa storia! Che cretino che sono.” Blaine avrebbe voluto dirgli che non era affatto un cretino, che gli era grato che si fosse preoccupato per lui, e che le cose non stavano esattamente come le aveva appena descritte, ma non ne ebbe il tempo, perché fu zittito nuovamente dalle strilla di Kurt e questa volta lo colpirono fino a fargli cedere le ginocchia. “Cavolo, probabilmente non dovrei esserne tanto sorpreso, considerato che avevo già avuto un assaggio della tua tendenza alla botta e via, anni fa!”

Per Blaine, il mondo poteva anche smettere di esistere.

Rimase immobile, mentre, impotente, guardava Kurt andare via in lacrime. Tutto si fece di colpo astratto e ovattato.

L’unica cosa che gli parve sentire fu un commento fuori luogo di Sebastian, che raccogliendo Maria Antonietta dal divanetto su cui l’aveva dimenticata Kurt, se ne uscì con un “Qualcuno qui ha un tantino perso la testa!” Lo sentì ridacchiare.

“Sta’ zitto.”
 
***
 
Kurt fece appena in tempo a rientrare in casa prima che iniziasse a diluviare. Aveva salvato il suo costume fatto prevalentemente di cartone - e probabilmente in un’occasione diversa ne sarebbe stato grato – ma in quel momento sentiva che, se anche si fosse bagnato e rovinato, non gli sarebbe importato affatto. Avrebbe anche potuto marcire, e forse quella sarebbe stata la perfetta metafora per descrivere la serata.
Si tolse quei pezzi ingombranti e li abbandonò sul pavimento con disprezzo, lasciando che Mr Claws ne rivendicasse la proprietà, e si diresse dritto a fare una doccia calda, come per lavare via i brutti momenti che aveva passato. Si sarebbe concesso anche un lungo trattamento idratante, perché non avrebbe permesso a quelle brutte discussioni di lasciare i loro segni sulla sua pelle.
 
Non gli importava che fosse molto tardi e il sonno pareva essersi dimenticato di fargli visita, perciò - rigenerato almeno nel fisico -  decise di mettere su l’acqua per farsi una camomilla.

Mentre aspettava che si scaldasse nel piccolo bollitore, si perse nel guardare fuori dalla finestra.

Le gocce di pioggia di quella fredda notte novembrina stavano cominciando a martellare con più insistenza sui vetri. Ogni goccia esplodeva al contatto con la superficie, per poi scivolare in rivoli  che si perdevano in altre gocce temporaneamente immobili sul vetro, trascinandole nella loro corsa verso il basso.

La luce della piccola abatjour sul tavolino accanto al divano in velluto color bordeaux bastava a malapena a illuminare l’ambiente, ma il fuoco del camino che aveva appena acceso faceva la sua parte per accendere l’intera stanza di una calda luce arancione. Per quanto però potesse essere piacevole il tepore che si stava diffondendo tutt’intorno, dentro di lui il gelo era tanto pungente quanto quello che doveva essere sceso con la notte.

Ignorò i messaggi di Blaine, e ripensare al tono con cui poco prima si era sentito chiedere perché se la fosse presa tanto lo abbattè ancora di più. Era scappato via senza dare spiegazioni, perché una domanda del genere lo aveva fatto sentire come di fronte al Tribunale dell’Inquisizione, in cui l’unica e vera tortura sarebbe stata ammettere che era geloso da far paura e che teneva a Blaine più di quanto avrebbe dovuto.

 Quando sentì fischiare il bollitore, si versò un po’ d’acqua bollente in una tazza alta, in cui immerse una profumatissima bustina di infuso. Avrebbe tanto voluto che Rachel fosse con lui, in quel momento, per sfogarsi liberamente e mangiare quintali di cioccolato incurante delle calorie; e l’avrebbe persino chiamata al cellulare, ma erano quasi le due del mattino, e non gli sembrava il caso di farla spaventare.

Non sapendo che fare per combattere l’insonnia, decise di prendere un libro a caso da una mensola. Non aveva mai dato troppo peso ai libri, forse li aveva sempre considerati solo parte dell’arredamento, ma magari in quel caso uno gli sarebbe stato utile. Andò sul sicuro, scegliendo Orgoglio e Pregiudizio, di cui almeno conosceva la trama.

Le pagine del volume increspate e ingiallite dal tempo profumavano di inchiostro e di passato, e al contatto con le dita che vi scorrevano o si insinuavano tra esse emettevano un delizioso fruscio che riempiva il silenzio al pari delle fusa di Mr Claws, acciambellato sulla coperta di pile che stava dividendo con lui.

Sul tavolino, a portata di mano, la tazza fumante di camomilla stava cominciando a diffondere il suo aroma dolce e famigliare nell’ambiente, segno che l’infusore era stato immerso nell’acqua bollente abbastanza a lungo. Prese la fotografia che ritraeva lui e Rachel ai tempi del liceo che utilizzava come segnalibro e la inserì tra le pagine 21 e 22, poi chiuse momentaneamente il libro e lo appoggiò accanto a sé. Prese la tazza fra le mani, attento a non scottarsi le dita, ne estrasse la bustina e la lasciò sul piattino sul tavolino. Con un cucchiaino prese a girare l’infuso, aspettando che le due zollette di zucchero si sciogliessero completamente. Annusò quel profumo a pieni polmoni, per poi soffiare dolcemente sul liquido dorato prima di berne un timido sorso. Tutto ciò che voleva provare, in quel momento, era calore, calore e famiglia, ma invece si sentiva  disperatamente solo.

Si asciugò una lacrima, quando d’un tratto sentì dei colpi al portone di ingresso. “Alle due può essere solo un ladro o comunque un malintenzionato… ma un malintenzionato non busserebbe alla porta per chiedere di entrare, vero?” chiese rivolgendosi a Mr Claws, che gli rispose con un “meow” che Kurt interpretò come un appoggio alle sue teorie.

Si avvicinò timidamente alla porta e chiese un “Chi è?” suonando alquanto strano persino a se stesso.

“Kurt, aprimi - sono Blaine.”

“Blaine?! Sono le due del mattino!”

“Beh non mi sembra di averti svegliato. Posso entrare?”

“No, ripassa domani. Ma magari non ti aprirò neanche allora.”

“Ti prego, Kurt! Qui fuori c’è il diluvio universale!”

Kurt roteò gli occhi e cedette solo perché riteneva che sarebbe stato un peccato se con un mal di gola – o, peggio, una polmonite – la splendida voce di Blaine rimanesse compromessa per sempre. Non voleva avere sulla coscienza la fine di una  carriera.

Spinse la porta scorrevole e si ritrovò davanti un piccolo usignolo bagnato fradicio, e gli si strinse il cuore.

“Vieni dentro, ho appena preparato una camomilla.”

Gli intimò di togliersi i vestiti bagnati e gli offrì qualcosa di asciutto, e mentre aspettava che si cambiasse (rigorosamente non davanti a lui) gli preparò una tazza fumante della tisana.

Tornato in cucina, Blaine appariva buffo nella tuta di Kurt, troppo lunga in alcuni punti. Kurt non riuscì a trattenere un sorriso per la tenerezza che gli faceva. “Tieni.” Disse, passandogli la tazza e invitandolo con un gesto a sedersi al tavolo. “Perché sei venuto?” Una mezza idea ce l’ho già.

 “E me lo chiedi?” rispose con calma Blaine. “Stasera sei scappato via, e non mi hai dato modo di spiegare. E ignoravi i miei messaggi, così ho pensato che forse sarei potuto venire qui, e con un po’ di fortuna ti avrei trovato sveglio per lo stesso motivo per cui non riuscivo a dormire io.”

“La fortuna è stata dalla tua parte.”

“Così pare.” Sorrise il moro. “Possiamo parlare di prima? Di me e Sebastian, intendo.”

“No.” Kurt scosse la testa. “Quello che fate voi due non mi riguarda, non voglio parlarne.”

“Ok, ma voglio spiegarti… non puoi sempre chiudere le porte quando le cose si fanno difficili.” Sentì che Kurt si stava irrigidendo per quel commento che era suonato più come una predica. Cercò di rimediare all’istante, e l’unico modo che trovò fu quello di prendergli la mano.

Al contatto con quella pelle liscia e morbida che conosceva da sempre, Blaine s sentì invadere dai ricordi e da un puro senso di sollievo per il fatto che Kurt non sembrava voler ritrarre la sua mano. Cominciò ad accarezzarne il dorso con il pollice, stando attento a rimanere delicato, per paura di poter rovinare quella pelle di seta con un solo tocco delle sue dita ruvide e sciupate per i calli da musicista. Blaine guardò Kurt: sembrava ancora teso, ma forse ora la sua non era più rabbia o irritazione… anzi, quel rossore che aveva appena tinto le sue altrimenti pallide gote, poteva benissimo essere interpretato come un invito a non smettere di fare quello che stava facendo, perché magari la fortuna era ancora dalla sua parte e Kurt stava provando esattamente quello che stava provando lui.

 Avrebbe voluto rimanere così per sempre, con le dita intrecciate a quelle di Kurt, il suo Kurt, ma ora gli doveva delle spiegazioni.

Prese un respiro profondo e cercò le parole più giuste. “Non devi commentare per forza. Puoi anche solo ascoltare, se preferisci.”

L’altro annuì, con gli occhi fissi sulle loro mani.

“Ecco vedi… - riprese Blaine - Sebastian non è quello che si può definire un fidanzato sempre presente e attento, ma quando c’è, c’è veramente.” A quelle parole Kurt ritrasse la mano bruscamente e nascose entrambe le braccia sul proprio grembo. Finita la magia. 

A quel gesto però, Blaine non si interruppe. Era determinato a dire la sua versione. Kurt doveva capire. “S-Sono convinto che se cercassi di mettergli un freno finirei per metterlo nella condizione di mentirmi riguardo a tutto quello che fa quando non è con me, e  otterrei solo esattamente il contrario di quello che vorrei… E a me sta bene così, perché non corro il rischio di affezionarmici troppo.”

“Ottime basi per un rapporto. Sono colpito.” Rispose acidamente Kurt.

“Dai kurt! Sai meglio di me cosa succede quando tengo davvero a una persona. Con te ho fatto un casino dopo l’altro! Mi sono innamorato solo una volta, ed è finita che ho rovinato tutto. Con lui questo rischio non c’è, perché non c’è pericolo che mi ci innamori. Quando vuole sa essere perfetto… l’importante è lasciargli i suoi spazi.”

“Non riesco a capire come tu possa essere felice così.”

“Non lo sono, Kurt. Ma lui c’era quando ho avuto più bisogno, quando io e te abbiamo rotto.  Mentre tutti gli altri mi facevano la predica – quando c’ero già io ad odiarmi per quello che avevo fatto – lui non mi ha mai giudicato per i miei errori, forse addirittura è riuscito a capirmi. Gli vado bene così.” Blaine abbassò lo sguardo sulla sua tazza di camomilla ancora intonsa. Il suo capo chino e le spalle ricurve sotto il peso di chissà quale tormento diedero modo a Kurt di ammorbidirsi un pochino e cercò di apparire un po’ meno duro.

“Continuo a non capire.” Gli disse, quasi dolcemente. “Ma grazie per aver provato a spiegarmi.” Si alzò per riporre la tazza nel lavandino, e nel tragitto posò una mano sulla spalla di Blaine, come a voler dire che non era più arrabbiato.

“Kurt?” Blaine alzò la testa.

“Sì?”

“Mi odio ancora per quello che ti ho fatto.”

“Bene.”

Kurt strinse la presa.

Era grato a se stesso di aver dato modo a Blaine di spiegarsi
.

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Capitolo 5
*** Sì. Tu, più vicino. ***


"SI'. TU, PIU' VICINO." 
OVVERO IL CAPITOLO 5 DI QUESTA STORIA
 


 
“Can we make a searchlight 
From all the bridges that we burn? 
Do you see a rescue 
Or a deeper kind of hurt?”
(Plumb – Drifting)
 



 
A metà tra il sonno e la veglia, Blaine si lasciò cullare dai passi strascicati di Kurt sul pavimento in parquet. Lo sentì fare avanti e indietro, fermarsi, chiudere un armadietto che probabilmente aveva aperto per prendere qualcosa, e appoggiare quel qualcosa sul tavolo della cucina.

Per quanto si sentisse infreddolito, il caldo della coperta e dei cuscini del divano davanti al camino lo stavano dolcemente invitando ad abbandonarsi di nuovo al mondo dei sogni, ma  non voleva del tutto lasciare quello reale.

Si costrinse ad aprire un occhio e vide Kurt appoggiare una tazza di quello che sembrava latte caldo sul tavolino.

“Ehi.” Sorrise Kurt, sedendosi sul ciglio del bracciolo - l’unico angolo libero, essendo il resto completamente occupato da un Blaine evidentemente ammalato.

“Ehi. Che ore sono? Non voglio disturbare ancor-etciù!

NO. IL RAFFREDDORE NO! L’improvvisata a casa di Kurt della sera prima non doveva essere stata una grande idea… e sicuramente non lo era stata uscire senza ombrello sotto quell’acquazzone.

Dopo essersi chiarito con Kurt, gli era venuto un forte mal di testa, ma aveva pensato che fosse dovuto solo alle circostanze stressanti di quella serata… invece, probabilmente, stava covando un’influenza coi fiocchi.

Kurt, che lo aveva visto sofferente, lo aveva convinto a stendersi un momento sul divano, gli aveva rimboccato la coperta e gli aveva suggerito di riposarsi un po’, considerato che alle quattro del mattino e in quelle condizioni non era il caso di prendere un taxi e tornare a casa da solo. Avrebbe passato la notte lì da lui e, se la mattina seguente se la fosse sentita – “Solo in quel caso!” aveva insistito Kurt - sarebbe tornato a casa. Era quasi convinto di aver sentito anche la sua mano morbida accarezzargli una guancia, prima di scomparire in cucina o da qualche altra parte, ma poteva essere stata anche un’allucinazione da febbre. Una BELLISSIMA allucinazione da delirio.

Preferì non indagare sulla realtà dei fatti e godersi il ricordo della sensazione di quella mano famigliare e calda che per un attimo aveva indugiato sul suo viso.

Poi probabilmente doveva essersi appisolato, perché non ricordava di aver sentito Mr Claws salire sul divano e acciambellarglisi sulla pancia.

Kurt afferrò il gattone e lo lasciò andare sul pavimento, permettendo a Blaine di mettersi seduto. “Oh, è presto. Sono le sei. Ma poco fa ti stavo osservando e tremavi, avevi i brividi… ho pensato di scaldarti un po’ di latte e lì c’è la borsa dell’acqua calda.”

Blaine si strofinò gli occhi. “Ma tu non hai dormito?” Non gli era sfuggita la parte in cui aveva ammesso di averlo osservato e nascose il sorriso dietro il fazzoletto con cui si stava soffiando il naso.

“Oh, no. Ma non preoccuparti, sono abituato. Quando quella bestia ha voglia di giocare, fa un casino che sveglierebbe perfino la Bella Addormentata!”

Blaine sorrise. “Il principe deve esserne molto infastidito… voglio dire, battuto sul tempo da un gatto che non porta nemmeno gli stivali!”

“Niente affatto!” Kurt scrollò la testa. “E’ contento, perché gli risparmia un bacio all’alito pesante! Insomma, Aurora rimane cento anni senza lavarsi i denti!” Fece una faccia schifata che fece ridere Blaine.

“Kurt Hummel, dov’è finito tutto il tuo romanticismo?” Prese la tazza e bevve un sorso, senza staccare gli occhi da Kurt.

“E’ sparito qualche anno fa.” Disse questi, facendosi serio e fissando il vuoto.

Rimasero in silenzio per un po’, lanciandosi occhiate di tanto in tanto.

Blaine beveva il suo latte.

Kurt giocherellava con i bordi delle maniche della felpa.

“Ti serve qualcos’altro?” disse infine a Blaine.

SI’. TU, PIU’ VICINO.

“No, no. Non preoccuparti. Hai già fatto più del dovuto. E poi, guarda, credo di stare meglio. Posso tornare a casa, ce la faccio.” La sua testa protestava deliberatamente, ma non voleva davvero pesare ulteriormente su Kurt, che aveva visibilmente bisogno di dormire.

“Non se ne parla. Prima devi provare la febbre!”

Kurt gli passò il termometro digitale e riportò la tazza vuota in cucina.

Mentre Blaine aspettava il bip bip che ne avrebbe determinato la libertà o la prigionia segretamente desiderata, sentì Kurt sciacquare le tazze della sera prima o qualsiasi altra cosa ritenesse aver bisogno di una lavata. Avrebbe voluto dargli una mano, perché in fondo non si sentiva più poi così moribondo, ma sapeva che quando Kurt aveva bisogno di pensare si metteva a pulire. Quello doveva essere uno dei suoi momenti di riflessione, e ne aveva bisogno uno anche lui.

Aveva ragione Kurt… come poteva stare con qualcuno così, senza impegno? Non era neanche lontanamente una cosa da lui. Non riusciva nemmeno a vedere qualcun altro come invece faceva Sebastian, semplicemente perché gli sembrava sbagliato. Eppure, all’inizio gli era sembrata una soluzione più che buona per il suo cuore.

Ora era tutto diverso. Con Kurt vicino, vedersi con Sebastian appariva del tutto senza senso e innaturale. La prima cosa che avrebbe fatto una volta tornato a casa sarebbe stata sicuramente una chiacchierata con lui. Le cose stavano diversamente adesso, non se la sentiva più di andare avanti così. Si sentiva un egoista, ma confidava nel fatto che Sebastian avrebbe capito la situazione.

Kurt sciacquò dal detersivo l’ultimo cucchiaio. Poi spense il rubinetto e prese lo strofinaccio per asciugare bene tutte le stoviglie.

Avere Blaine in casa, febbricitante, apparentemente sinceramente pentito sia per il passato, sia per la brutta serata, gli stava facendo uno strano effetto. Niente più ragazzina con la cotta: ora, una matura persona consapevole che si possono commettere degli errori stava prendendo il controllo della situazione. Era disposto a perdonargli tutto, perché quando Blaine lo aveva tradito erano solo dei ragazzini che cercavano disperatamente di trovare la loro strada. Ora l’avevano trovata, ed erano cresciuti.

Si sentiva davvero disposto a dargli un’altra possibilità, se lui gliel’avesse chiesta.

Il problema però era Sebastian: Blaine gli aveva spiegato come andavano le cose fra loro, che non lo rendeva felice, ma non aveva accennato a volerlo lasciare. Sempre che, per due che si “fanno compagnia” si usi il termine lasciarsi. Allora doveva trovare un modo per riconquistare l’attenzione di Blaine. Oppure doveva solo trovare qualcun altro con cui riuscire a voltare pagina.

Bip. Bip.

Il suono del termometro ridestò Kurt dai suoi pensieri, prima di veder comparire Blaine sulla soglia della cucina.

“Trentasette e mezzo. Penso che posso cavarmela e tornare a casa.” TI PREGO CHIEDIMI DI RIMANERE.

Oh già te ne vai?

Kurt gli si avvicinò e posò una mano sulla sua fronte per testarne la temperatura.

“Sì. Ora sei più fresco. Ti chiamo un taxi.”

“No no. Prenderò i mezzi!”

“Non se ne parla. Vai a cambiarti, i tuoi vestiti sono asciutti sullo stendino in bagno. Poi stai qui buono finchè non arriva il taxi.”
 
***
Dlin Dlon. Dlin Dlon.

DlinDlonDlinDlonDlinDlon.

Blaine si attaccò al campanello di Sebastian con insistenza, finchè non sentì la sua voce impastata dal sonno arrivare da dietro la porta.

“Arrivo, arrivo! Chi è che rompe alle otto del mattino??”

“Seb, apri, dai. Devo dirti di ieri sera!!”

Sebastian, con i capelli per aria e gli occhi gonfi di sonno, aprì la porta in mutande, del tutto incurante del fatto che qualche vicino potesse vederlo.

Per entrare nell’appartamento, Blaine spinse Sebastian all’indietro con un po’ troppa foga. “Oh. Oh. Piano! Qualcuno qui sta ancora dormendo!” protestò quest’ultimo.

“Non ti lamentare! Quello che sta peggio qui sono io. Ho la febbre, non puoi arrabbiarti con me.” Esclamò, sedendosi sul divano con ancora addosso la giacca, le mani che massaggiavano le tempie e i gomiti sulle ginocchia.

Sebastian si fece serio, preoccupato di vedere Blaine in quello stato.“Va bene. Che è successo? Ti ascolto.” Si sedette vicino a lui e fece per prendergli una mano. Ma poi si limitò a dargli una pacca affettuosa sulla spalla, perché il consolare e le sdolcinatezze non facevano per lui. Blaine lo guardò negli occhi.

“Seb, io… “ si aspettava un incoraggiamento ad andare avanti, ma non ebbe niente di tutto questo. Anzi, vide solo disagio. “…io non me la sento più.”

“Ok, ok. Ora spiegami cos’è successo ieri sera, dopo che mi hai detto che saresti andato da Hummel.”

“Seb… Seb.” Prese un respiro profondo per trattenere l’agitazione mista a entusiasmo, mista a “non so che succederà adesso”. “Mi ha lasciato spiegare. Capisci? Gli ho detto di noi e lui non mi ha buttato fuori! Gli ho preso una mano… e Dio! Non l’avrei lasciata per nulla al mondo. Ma mi sono preso l’influenza e probabilmente sto infettando tutto il tuo appartamento, in questo momento, ma chissenefrega, mi ha fatto stare da lui! Mi ha preparato il latte, la coperta… Seb, potrebbe tornare tutto al suo posto!”


“Rallenta, rallenta! Stai andando come un treno!”

“Seb. Tu sei il mio migliore amico. E non voglio che tu ci rimanga male, ma… forse ho un’oppurtunità con Kurt. Non voglio sprecarla.”

Sebastian rimase un attimo in silenzio, prima di parlare. Osservò Blaine, le guance rosse o per la febbre o per la speranza in ciò che poteva riservargli il futuro.

“Cavolo. Anderson sei cotto a puntino!”

“Dai, non prendermi in giro.” diede una gomitata giocosa nel fianco di Sebastian, ridacchiando. “Seb, ricordi il nostro patto? Avremmo continuato a fare quello che facevamo solo fino a quando non avremmo trovato la persona giusta. Non è così?”

L’altro annuì, pensieroso.

“Io penso di averla trovata… o ritrovata.” A quelle parole, Sebastian provò una morsa allo stomaco, che cercò di ignorare. Si sciolse, nel vedere gli occhi lucidi di Blaine e sospirò roteando le pupille.

“Va bene. Qual è il tuo piano?”

“Riconquistare Kurt.”

“No. Quello è l’obiettivo. Qual è il piano?”

Blaine si guardò intorno spaesato.

“Ok, ci penso io. Qui, se Smythe non prende in mano la situazione, non si va avanti.” Sebastian si alzò per andare in camera a cambiarsi. Lì così, però, non riuscì a trattenersi dal provocare Blaine. “Sei sicuro di voler rinunciare a questo ben di Dio?” Si affacciò alla porta girando su se stesso fieramente come mamma l’ha fatto.  Blaine ridacchiò chiudendo gli occhi e girando la testa dall’altra parte.

“Seb?” lo chiamò Blaine dandogli ancora le spalle. “Grazie.”

L’altro sorrise, anche se dispiaciuto per qualche motivo. Forse stava per fare il suo primo gesto veramente altruistico, lasciando andare Blaine - pur non avendolo mai costretto alla fedeltà – nonostante l’idea gli facesse quasi male.

“Ma ti pare?” disse, lanciandogli dietro un cuscino. Troppo sentimentalismo rischiava di diventare deleterio.
***
Una volta che Blaine ebbe lasciato casa sua, Kurt era crollato esausto sul suo letto, addormentato profondamente. Quando si fu svegliato, l’orologio sul comodino segnava le quattro del pomeriggio. Con un po’ di fortuna, avrebbe trovato Rachel al telefono, perché intorno a quell’ora lei era spesso in pausa.

Si allungò a prendere il cellulare e, ancora sdraiato sul letto, cercò il suo numero tra i preferiti in rubrica.

“Pronto?”

“Rachel! Rachel! Oh, per fortuna che ti ho trovata!”

“Kurt? Ma ti sei appena svegliato? Hai una voce…”

“Sì, sì ma non importa. Ascolta! Ho bisogno di uno dei tuoi piani diabolici come quello che avevi escogitato per riprenderti Finn con la banconota da 100 dollari a San Valentino! Possibilmente più efficace, perché quello non era servito a un bel niente.”

“Ehi! Quello era un grande piano!”

“Come ti pare! Ora metti in moto le tue meningi per favore.”

“Ok. Ok. Mamma mia. Allora, devi lasciarmi un po’ di tempo per pensarci… chi dobbiamo far cadere ai tuoi piedi?”

“Blaine.”

“Ok, Blaine.”

 “Aspetta! Com’è che questa volta non me l’hai fatto ripetere duecento volte?”

“Andiamo Kurt. Ti conosco. E conosco lui. Sapevo che sareste finiti con innamorarvi di nuovo. E tutti i messaggi che mi hai mandato nelle ultime settimane parlano da soli. Già solo quello che mi hai scritto perché ti ha toccato una mano era una dichiarazione d’amore verso di lui. E io sono contenta per te, credimi, ma… spero solo che tu non ti faccia male di nuovo.”

“No, io… oddio. Oddio, magari dovrei lasciar perdere, hai ragione tu. C’è sempre Smythe, e io tendo a dimenticarmelo. Ok, grazie.”

“No, Kurt. Io non ti ho detto di lasciar perdere. Ti ho detto solo di stare attento. Sta ancora con quello là? Benissimo, serve qualcosa per farglielo dimenticare. Che c’è di meglio di un po’ di gelosia per riprendersi qualcuno?”

“Rachel, sei crudele!” esclamò Kurt girandosi a pancia in giù e appoggiando il mento sul polso libero, con le orecchie ben tese per ascoltare il piano comunque molto interessante di Rachel.

“Crudele? No! Dai, funziona sempre: ti ricordi Finn, quando io stavo con Jesse? E poi, scusa, ma Blaine merita di penare un po’. Ok, solo un po’, però, perché gli vogliamo bene.”

“Uhm. Ci penserò su. Tu come stai?” Cambiò argomento Kurt.

“Bene, siamo agli sgoccioli. Ci mancano solo sei serate, e poi il tour sarà finito. Torno a casa entro il venti di questo mese!”

“Rachel è fantastico!! Che bello torni qui!! Dobbiamo pensare a cosa fare per Natale!”

“Ehi ehi!” rise Rachel. “E’ un po’ presto, per pensarci! Ahah, però non vedo l’ora di fare uno dei nostri pigiama party!”

“Oh sì!” finalmente casa sarebbe stata di nuovo casa.

“Kurt, tesoro, ora devo lasciarti. Ci sentiamo presto!”

“Va bene, va bene! Ti terrò aggiornata sul piano!”
 

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Capitolo 6
*** Allora, qual è il tuo magico piano? ***


 "ALLORA, QUAL E' IL TUO MAGICO PIANO?" 
OVVERO IL CAPITOLO 6 DI QUESTA STORIA
 
 
 
 


 
“Cause I was born to tell you I love you
And I am torn to do what I have to, to make you mine”

(Secondhand Serenade – Your Call)


 
 
Sebbene Blaine avesse voluto sentire subito quale piano Sebastian avesse in mente per aiutarlo, la febbre non glielo permise.

Non volendo sottovalutare il suo raffreddore e il suo mal di testa – e, a dirla tutta, anche per preservare il suo appartamento da una probabile proliferazione di germi - Sebastian lo convinse a farsi riaccompagnare a casa, promettendogli che appena si fosse sentito meglio avrebbero messo a punto il programma per riconquistare Kurt.

Lo lasciò poi solo e tranquillo per qualche giorno perché potesse riposare e gli inviò qualche sms di tanto in tanto giusto per verificare che fosse ancora vivo.
Gli ci volle quasi una settimana per guarire del tutto, una lunga settimana in cui un solo messaggio da parte di Kurt aveva raggiunto il suo cellulare. Un solo “Spero tu ti senta meglio, mi mancano i nostri caffè delle tre del pomeriggio”, che non servì ad altro se non a rendere la degenza ancora più insopportabilmente noiosa e a farlo sentire irritabile e impotente. Avrebbe voluto uscire, prendere ogni maledetto pomeriggio il caffè con Kurt e mettere in atto il piano di Sebastian – anzi, forse prima avrebbe dovuto sentire di cosa si trattasse – per riaverlo con sé, una volta per tutte. E invece era costretto a letto, con il naso tappato e un bombardamento continuo della testa.

Per questo, appena si sentì in grado di reggersi in piedi, obbligò letteralmente Sebastian ad incontrarsi in una caffetteria.

Considerato che, dopo essersi seduti sulle poltroncine di fronte a una grande vetrata, Sebastian non sembrava intenzionato nemmeno ad accennare alla sua idea, ma anzi gli stava raccontando futili aneddoti su gente che nemmeno gli aveva mai presentato,  Blaine decise che se non gli avesse detto niente entro qualche minuto sarebbe esploso.

“Allora, qual è il tuo magico piano?!” Sbottò ad un certo punto, interrompendo Sebastian mentre gli stava parlando del mal di denti di un suo lontano cugino di terzo grado.

“Era ora Anderson! Mi stavo chiedendo quanto ancora avresti resistito, e io stavo per esaurire le storie!” Rise dell’espressione imbronciata di Blaine mentre si rendeva conto di essere stato preso in giro, e decise che torturarlo sarebbe stato, d’ora in avanti, il suo gioco preferito. “Cavolo, hai cominciato a far traballare la gamba da un pezzo, ma avrei scommesso che di qui a poco ti sarebbe anche partito il tic all’occhio! Il 911 era già pronto sul cellulare per chiamarti un’ambulanza!” Schivò il tovagliolo appallottolato appena tiratogli da Blaine, che ora rideva divertito.

“Smettila di fare lo stronzo e metti fine alle mie sofferenze, ti prego!”

“E va bene. Merda, i tuoi occhi sono davvero un’arma letale, lo sapevi? Riuscirò a resistere, un giorno!” Bevve un lungo sorso di caffè, con l’aria di chi ha appena lanciato un guanto di sfida.

“Continua a crederci, ma tanto non ce la farai mai. Allora?” insistette Blaine.

“Allora, il piano è molto semplice. Mi sono chiesto come non avrei agito io in una situazione del genere e la risposta è venuta più naturale di quanto pensassi, portandosi dietro un’idea geniale. Come non mi comporterei? Non metterei mai a nudo i miei sentimenti con qualcuno – semmai mi metto nudo io – e non riconoscerei mai apertamente gli errori che ho commesso. E questo è invece ciò che dovrai fare tu.”

“Ci ho già provato a chiedere scusa. Din din! Ti ricordo che non ha funzionato.”

“Vuol dire che non l’hai fatto a dovere. Se vuoi un consiglio, non nasconderti dietro un pianoforte o una chitarra per cantargli quanto lo ami o quanto diventi rincitrullito ogni volta che ti è vicino, inv-“

“Ehi!”

“Oh, non provare a negare! Comunque, Hummel non ti ha ascoltato quando hai provato a scusarti con le parole, cantate o parlate che siano? Prova con quelle scritte. Non sottovalutare il potere di una lettera ben scritta; Mr Darcy si scusa con una lettera lunga pagine e pagine; è così che ha conquistato Elizabeth Bennet.”
Blaine lo guardò perplesso, mentre Sebastian nascondeva il viso dietro un altro sorso di caffè. “Da quando ti piace “Orgoglio e Pregiudizio”?”

“Mai detto che mi piaccia. Ehi, le mie A alla Dalton non erano dovute a favori sessuali ai professori! Per guadagnarmele ho studiato, e alcune cose le ricordo ancora!” Si finse offeso.

“Ok, ok. Non posso far arrabbiare il mio consulente matrimoniale. Lettera, hai detto? E lettera sia.”
 
***
 
Reduce dall’ennesimo appuntamento andato male della settimana, Kurt decise che si sarebbe concesso un caffè al solito posto.

Aveva seguito il consiglio di Rachel: trovarsi qualcuno con cui farsi vedere da Blaine e farlo ingelosire. Ma le cose non stavano andando esattamente come avrebbe voluto… le poche volte che in settimana era riuscito a trovare qualcuno di minimamente interessante nella sua rubrica ed era riuscito a uscirci, lo aveva poi liquidato senza troppi giri di parole perché ogni volta si era sentito tremendamente in colpa nell’usare una persona così spudoratamente.

Sconsolato, si sedette su un alto sgabello di fronte al bancone e cominciò a girare uno stecchino di legno nel suo bicchierone di caffè. Fu solo quando sentì una risata spaventosamente famigliare che alzò e girò la testa in quella direzione.

Sebastian… con Blaine. Oh, certo. E’ troppo malato per venire a bere un caffè con me, ma non con il signorino Viscidone Smythe! Ah, la prossima volta che sta male, si scordi pure di venire a rompere le scatole a me. Brutto (oddio, non tanto) ingellato approfittatore di divani e-

“Rischierai di rompere quello stecchino e di scheggiarti, se lo stringi ancora di più.”

“Come scusa? Oh, Nate, sei tu.” Lasciò andare bicchiere e stecchino e sfregò le mani sui pantaloni.

Nate, uno dei bei baristi della caffetteria (peccato che sia etero!), nonché amico suo e di Rachel e compagno di corso di quest’ultima, lo stava fissando incuriosito, piegato in avanti sul bancone e appoggiato sui gomiti.

“Qualcosa non va? E’ strano vederti qui da solo. Ultimamente eri sempre in compagnia di un ragazzo coi capelli scuri.”

“Oh, vuoi dire lui?” indicò con la testa in direzione di Blaine e Sebastian, troppo presi dal ridere (e a parlare di lettere di scuse, ma questo Kurt non poteva saperlo) e dallo scherzare per accorgersi della sua presenza. “Mi ha detto che è stato male tutta la settimana, ma toh’ deve essere guarito. Probabilmente non vedeva l’ora di rivedere il suo ragazzo. E io che pensavo che tenesse ai nostri caffè! Quanto sono stupido. Scusa, non dovrei annoiarti con le mie paturnie. In momenti come questi di solito mi sfogo con Rachel, ma lei non è qui e non credo mi risponderà al cellulare, se la chiamo a quest’ora.”

“Scherzi? Non mi stai annoiando. Anzi, mi interessa. Lui ti piace?”

“E’ un po’ più complicata di così, ma… sì. Se vogliamo metterla in questo modo, sì, mi piace.” Rispose, rigirandosi verso il bancone. “Rachel mi ha consigliato di farmi vedere insieme a qualcun altro, così, giusto per attirare la sua attenzione. Ma indovina: sono troppo poco subdolo per manipolare le persone. Forse mi conviene lasciare perdere. Tanto a quanto pare è in buona compagnia.” Lo sguardo fisso di nuovo sul bicchiere.

“Lo faccio io.”

“Che cosa?” Kurt levò lo sguardo dal suo bicchiere solo per incontrare quello di Nate, che faceva saltellare le sopraciglia chiare ammiccando scherzosamente.

“Il tuo finto fidanzato!”

“Nate, lascia stare. Non posso chiederti un favore del genere. Cosa penserà Courtney , se ti vede mentre la tradisci andandotene in giro sottobraccio con un ragazzo?”

“Ma no! Ascoltami! E’ perfetto! Lui non mi conosce, non sa che sono etero. Farò un favore a te, sì, ma tu allo stesso tempo lo starai facendo a me!”

“Ok, ora non ti seguo e ho anche un po’ paura.”

“Non averne: per il mio corso di recitazione, alla Nyada, la prossima settimana devo interpretare un ragazzo gay. Mi servirà per esercitarmi! E Courtney sarà ovviamente al corrente di tutto questo.”
“Wow, sono impressionato. Bene, allora. Da questo momento saremo i (finti) Kate… o Nurt. Scegli tu.”

“Oh, no. Ti prego. Risparmiami quella roba.”

“Sono d’accordo. Ora sarà meglio che vada. Sarà meglio che torni a casa ad esercitarmi per l’audizione alla Nyada. Manca poco più di un mese, ma ultimamente mi sembra di aver perso un sacco di tempo in altre cose. Grazie mille, comunque.”

“Aspetta, quando dobbiamo farci vedere in giro?”

“Oh, ora che ci penso, forse non servirà essere in giro.” Disse, con fare cospiratorio. “Ti mando un messaggio stasera con i dettagli.”
 
***
 
 
Appena tornato a casa, Blaine si mise al lavoro.

Scrivania, carta, penna, musica in sottofondo… tutto pronto per “mettere a nudo i sentimenti”, come aveva detto Sebastian.

Ciò che non era pronto però erano le idee. Come si fa a raccontare la propria interiorità? Sì, farlo con le canzoni era decisamente più facile: rubavi le parole a qualcun altro, ci mettevi un po’ di brio e di emozione e il gioco era fatto.

Parlare di sé era tutto un altro paio di maniche.

Rimase alzato fino a tardi, buttando giù qualche riga, giudicandola patetica, accartocciando il foglio, prendendone un altro per poi accartocciare e buttare anche quello.

Alla fine, però, qualcosa di buono riuscì a metterlo nero su bianco e quasi si sentiva soddisfatto di sé stesso. Se Kurt non si fosse deciso a perdonarlo dopo tutte quelle parole, allora voleva dire che per loro non c’era davvero più niente da fare.

Mentre si stava infilando sotto le coperte orgoglioso e pieno di speranza e aspettative, ricevette un messaggio proprio da Kurt: “Forse a quest’ora stai dormendo. Ma te lo chiedo comunque: se stai un po’ meglio, hai voglia di prendere un caffè? Offro io… e voglio presentarti una persona.”

Troppo eccitato per la prima parte del messaggio, l’attenzione di Blaine non si curò della seconda, e la risposta gli uscì esplosiva. “Diamine, sì. Ti devo dare una cosa.”
 
***
(01.13)
“Nate, la missione “Salviamo il mio Usignolo buffo e dolce dalle grinfie dell’Usignolo porco e cattivo” inizia domani al solito orario.”

(01.15)
“Roger. Anche se mi sfugge la faccenda degli Usignoli…”

***

Blaine uscì di corsa dall’università per riuscire ad arrivare in orario alla caffetteria. Armato di lettera e ansia, attraversò  quella che gli parve essere mezza New York a piedi, ma arrivò in tempo.

Alle 15 in punto, Kurt era già al bancone a confabulare con Nate, per mettere a punto gli ultimi dettagli. Vide entrare Blaine e gli fece un cenno con la mano.

Confuso dalla confidenza che sembrava esserci tra Kurt e il barista che stava giocando con una manica del suo golfino, Blaine si avvicinò circospetto. “Ciao…?” Suonava più come una domanda che come un vero e proprio saluto.

Si sedette sullo sgabello vicino a Kurt, tenendo gli occhi sempre sulla manica del golfino.

“Blaine, ti presento Nate.”

“Ciao…Nate.” Rispose ancora più confuso Blaine.

“Nate e io… sì, ecco…noi…” Ecco, al solito! Quando devi mentire non ti vengono le parole. E poi, guardalo… dai è adorabile. Non riesco a fargli una cosa del genere. 

“Io e Kurt ci frequentiamo.” Intervenne Nate. “Voleva presentarci, perché so che sei uno dei suoi più cari amici…”

“Amici…sì. Beh, sono contento per voi.” Sospirò Blaine, cercando di non dare a vedere il panico che lo aveva appena colto.

“Vi lascio un momento soli, purtroppo come potete notare è il mio turno di servizio.” Nate si allontanò, allungando uno sguardo di incoraggiamento verso Kurt, senza farsi vedere da Blaine.

“Da quanto uscite insieme?” chiese Blaine, dopo aver raccolto tutte le sue forze.

“Da un po’… non da molto… cioè… solo una o due volte…” Diamine,quello sguardo. 

“Oh. Succedono un sacco di cose quando uno è malato…”

Sì, perché ieri tu eri davvero così malato che sei riuscito comunque a vederti con Sebastian.

“Eh è capitato così… uh, pensa, adesso potremmo uscire in quattro!” Inutile, non ci riesco ad essere arrabbiato con te per più di un minuto. “Ma, ehi, non dovevi darmi qualcosa?” disse Kurt, dandogli un buffetto su un braccio.

“Cosa? Io… sì. Ma guarda che sbadato… l’ho dimenticata a casa… non era poi così importante.”

“Oh.”

“Ehi, forse è meglio che vada ora e-“

“Ma sei appena arrivato…”

“Lo so, ma… scusa, devo andare.”

Kurt guardò Blaine alzarsi e andarsene via di corsa. Qualcosa non andava: non poteva esserci rimasto davvero male per questa faccenda di Nate… dai, non può pretendere che io non mi rifaccia una vita – seppur finta – mentre lui continua a frequentare Sebastian…

“Il tuo amico è già andato via?” Nate era ricomparso dietro il bancone.

“Lui… sì. Nate, penso che abbiamo esagerato. Non credo di voler andare avanti.”



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LA TAVOLA DI CUP OF TEA

Lo so, lo so. Povero Blaine. D’altra parte, il titolo di questa storia è “Distance”, perciò non posso far riconciliare i Klaine già al sesto capitolo! Abbiate pazienza, tutto si risolverà!
*Spera di non ricevere pomodori in segno di protesta per non aver fatto consegnare la lettera a Kurt*
Piccolo Spoiler, anche abbastanza ovvio: la lettera prima o poi arriverà tra le mani di Kurt… e con lui, naturalmente, la leggerete anche voi!
Intanto, fatemi sapere cosa pensate del capitolo, se avete voglia!
A domani!
Cup of tea

 

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Capitolo 7
*** Che programmi hai per Natale? ***


LA TAVOLA DI CUP OF TEA

Ehi tazzine!

Il Natale si già fatto sentire a casa vostra?
Be' anche per Kurt è Blaine è tempo di festeggiare, in questo capitolo!
Continuate a seguirci
Un abbraccio,
cup of tea



 
"CHE PROGRAMMI HAI PER NATALE?"
OVVERO IL CAPITOLO 7 DI QUESTA STORIA
 
 
 
 
 
“Just let us start it over again
And we'll be good
This time we'll get it... 
Get it right”


(Muse – Exogenesis Symphony Part 3)
 
 
 
“Blaine! Blaine Anderson! Apri questa cazzo di porta o-“

“Ciao Seb.” Blaine aveva aperto prima che l’amico potesse rovinare il legno della bella porta di ingresso a suon di pugni.

“Ah, hai anche la faccia tosta di essere vivo! Considerato che non mi rispondi al telefono da settimane e che non ti sei fatto vedere in giro per tutto questo tempo, come minimo dovevi essere morto!”

“Non essere melodrammatico, ti prego.” Blaine lo invitò a entrare, nonostante non ce ne fosse bisogno, considerata la foga con cui Sebastian stava facendo irruzione nel suo appartamento.

“Melodrammatico?! Io?! Chi tra i due ha fatto una tragedia dell’ultimo interesse amoroso di Hummel?! Ha trovato qualcun altro con cui fare i suoi patetici rituali di bellezza, e allora? Non è un buon motivo per tagliare i ponti con il mondo!” Sebastian si morse la lingua per evitare di ricoprirlo con una valanga di insulti. Ma era arrabbiato, perché Blaine non si era fatto più sentire da quel giorno in caffetteria e lui si era veramente preoccupato. Fece un respiro profondo per calmarsi, soprattutto perché Blaine aveva gli occhi pieni di lacrime. “Dai, non fare così.” Disse dolcemente e, guidato da chissà quale sentimento, lo abbracciò forte, mentre singhiozzava rumorosamente.

Aspettò paziente che si calmasse, rimanendo così, immobili – se non fosse stato per i sussulti provenienti dal petto di Blaine – per un tempo che parve infinito, in mezzo alla stanza.

Blaine piangeva, perché le braccia forti che lo stavano avvolgendo erano sì familiari e rassicuranti, ma non quelle di cui aveva bisogno al momento. Sentiva l’esigenza del tocco delicato e lieve degli abbracci di Kurt, quelli che una volta riempivano il suo mondo. Essere circondato dalle braccia di Sebastian non faceva altro che ricordargli che Kurt non era lì con lui e, con ogni probabilità, non ci sarebbe mai più stato. Era finita.

Quella nuova, disperata consapevolezza lo ammutolì. Niente più singhiozzi, perché l’idea di aver perso Kurt – di nuovo! – gli aveva mozzato il fiato. Solo lacrime silenziose gli rigavano le guance e piovevano sulla camicia dell’amico. Quante volte ancora il suo cuore poteva spezzarsi?

Sebastian, scambiando quella apparente quiete per la fine della tempesta, lo allontanò poi con dolcezza, giusto per riuscire a vederlo in faccia ed esaminare i danni. Ciò che vide non gli piacque, ma almeno sembrava aver smesso di piangere. “Amico, se rimaniamo ancora abbracciati così, non potrò fare a meno di farmi venire in mentre strani giochini non troppo innocenti, in cui tu sei la fanciulla in difficoltà e io il principe che con metodi non esattamente decorosi ti fa tornare il sorriso…” Sperò di non essere stato inopportuno, ma in fondo era sempre Sebastian, e l’unico modo che conosceva per tirare su qualcuno – non che lo facesse poi così spesso – era fare battutine idiote.

Sembrò funzionare, comunque, perché Blaine aveva abbozzato un sorriso sghembo e lo aveva spinto scherzosamente. “Sai che non succederà più.” Quello che uscì dalla sua bocca assomigliava a una risata, ma decisamente bagnata.

“Oh, peggio per te. Ora vai a metterti su qualcosa che non sia un pigiama, ti porto fuori a cena.”
 
***
 
La serata con Sebastian fu piacevole e i drammi quasi superati. Con il punto di vista esterno dell’amico, Blaine arrivò alla conclusione che forse la sua reazione era stata effettivamente un po’ esagerata: in fondo, Kurt non gli aveva mica detto di essere in procinto di sposarsi con quel… quel… comesichiama. Pensandoci bene, non gli aveva neanche detto di starci insieme, ma solo che “si frequentavano”, che voleva dire tutto e niente. I giochi erano ancora aperti.

Ciò che era certo, comunque, era che la famosa lettera sarebbe rimasta nel cassetto del suo comodino ancora per un po’, giusto il tempo di avere chiara la situazione. In ogni caso, si ripromise che avrebbe lottato con le unghie e con i denti per riconquistare Kurt e non avrebbe ammesso di uscire dal campo da perdente. Quel Nate poteva anche cominciare a dire le sue ultime preghiere. OK, DEVO FINIRLA DI VEDERE FILM THRILLER.

Blaine stava camminando lungo il marciapiede da solo: Sebastian aveva flirtato tutta la sera con il cameriere del ristorante con successo, e probabilmente in quel momento si trovava in sua dolce compagnia.

La passeggiata serale solitaria gli fece bene: l’aria gelida di quel dicembre appena cominciato gli rinfrescò le idee e si sentì rigenerato nel corpo e nella  mente. Uscire era stata l’idea migliore, al contrario della clausura che si era imposto nelle ultime settimane limitando i suoi percorsi a casa-università/università-casa, al solo scopo di evitare di incontrare malauguratamente Kurt con quel biondo finto.

Una volta giunto al suo palazzo, girò le chiavi nella serratura ed entrò nell’atrio. Quasi si spaventò quanto il portinaio cinese lo chiamò con la sua vocina squillante. Possibile che quell’omino lavorasse ventiquattr’ore su ventiquattro?

“Signol Andelson, ho qui pacco pel lei!”

“Un pacco?”

“Pacco, sì, pacco! Lo plenda, lo plenda!”

“Lo plend- voglio dire, lo prendo, me lo dia pure, signor Lin. Sa chi me lo ha mandato?” Prese in mano la scatola che il portinaio gli stava porgendo e la esaminò con attenzione. Sembrava un pacchetto di quelli che contengono le ciambelle da asporto, ma non c’era stampato alcun nome di nessun bar o pasticceria.

“Lagazzo con occhi azzulli. Lui chiede di signol Andelson, io dico signol Andelson uscito. Lui dà a me pacco.”

“Ok, ok. La ringrazio. Buona notte, signor Lin.”

Si congedò e salì in fretta le scale, impaziente di aprire la scatola che Kurt – perché “lagazzo con occhi azzulli” non poteva che essere lui, o almeno sperava fosse lui – gli aveva mandato.
Per l’eccitazione sbagliò la chiave della porta più di una volta, ma infine riuscì ad aprire ed entrare nell’appartamento. Buttò le chiavi su una mensola, la borsa per terra e il cappotto sul divano.

Eccola lì. La scatola era sul tavolo in cucina e lo stava fissando in attesa solo di essere aperta.

 Per qualche motivo ora era spaventato. Cosa poteva contenere?

Era leggera, quindi di certo non era una bomba. QUANTO SEI CRETINO. APRILA E BASTA.

Si fece coraggio e alzò il coperchio.

Un profumo di muffin al cioccolato lo investì con tutta la loro dolcezza. Kurt aveva preparato quei dolci con le sue mani, per lui. Sospirò e un grande sorriso prese forma sul suo viso.

Prese uno dei muffin e cominciò a mangiarlo, fortuna che aveva saltato il dessert al ristorante. Con quel gesto, liberò un biglietto incastrato tra un pirottino e l’altro.

Lo lesse e, per qualche ragione, riconoscere la scrittura di Kurt lo riscaldò almeno tanto quanto lo fece anche il contenuto
.
 
“Non ci vediamo, né sentiamo da giorni. Tempo fa mi hai detto che non si può semplicemente scappare quando c’è un problema e che invece bisogna affrontarlo. Ora lo dico io a te.

Spero tu stia bene, comunque. Goditi quei muffin; se domani mattina li metti in forno per qualche minuto, saranno buoni come appena fatti. Tu ce l’hai un forno, vero?

Kurt

 
P.S. Che programmi hai per Natale? Papà, Carol e Finn vengono a trovarci. Credo ci siano anche i Berry. Vuoi unirti a noi? A Rachel – e a me - farà sicuramente piacere rivederti.
 
Blaine non aspettò un momento di più. Afferrò il cellulare e inviò un messaggio a Kurt. Il primo impulso era stato quello di chiamarlo, ma era quasi mezzanotte e aveva il terrore di svegliarlo. Inoltre temeva una reazione simile a quella di Sebastian: come si era isolato non rispondendo alle chiamate dell’amico, a maggior ragione aveva evitato quelle di Kurt, che non erano state poche.

Scrisse semplicemente: “Mi farebbe davvero piacere.” E andò a dormire con il cuore leggero e la mente sognante.
 
***
 
La mattina del 25 dicembre, Kurt si svegliò di buon’ora. Doveva trasformare casa Hummel-Berry da loft modestamente decorato per le feste a grande reggia da sogno per i suoi ospiti. Svegliò Rachel saltando sul suo letto e gridando un allegro e musicale “BUON NATALE!! FELICE HANUKKAH!!”, e le diede il suo regalo. Ancora assonnata, lei aprì il pacchetto con un sonoro “Awww” di apprezzamento: una vecchia foto di loro due in una cornice a forma di stella stava per dominare il suo comodino. Lo abbracciò e gli diede il suo: due biglietti per un musical a scelta a Broadway.

Kurt poi la trascinò giù dal letto e le diede istruzioni per decorare la tavola. Le concesse solo dieci minuti per fare colazione e mettersi all’opera. Lui si sarebbe ovviamente occupato della preparazione del menu, perciò infilò il grembiule per non sporcare i bei vestiti da occasione che aveva già indossato e si mise subito al lavoro.

Gli ospiti sarebbero arrivati per pranzo e lui voleva che tutto fosse perfetto.

“Che mi dici di Blaine?” gli chiese a un certo punto Rachel, mentre accendeva le candele in tavola.

“Viene qui anche lui, te l’ho detto.” Fece il finto noncurante, infornando la teglia con il pollo.

“Sì, ma… si è smosso qualcosa?” Insistette lei. quando Rachel Berry vuole qualcosa, di solito la ottiene.

“Solo i miei sensi di colpa, per il momento. Non sai che sguardo aveva quando Nate gli ha detto che uscivamo insieme” fece il gesto delle virgolette dicendo “uscivamo”, ma siccome indossava ancora i guanti da forno, il risultato fu piuttosto buffo.

“E questo è un buon segno, direi!”

“Sì, cioè… non lo so. Ha smesso di parlarmi fino a quando non gli ho mandato i muffin.”

“Ai tuoi muffin non resiste nessuno, Kurt. Vado a cambiarmi, potrebbero arrivare a momenti e non vorrei mai che Finn mi trovasse ancora in pigiama.”

“Come se non ti ci avesse mai visto” ridacchiò Kurt, alzando la voce perché lei era già nell’altra stanza.

“Lo so, ma non lo vedo da tanto, e voglio che mi trovi perfetta.”

Kurt sorrise fra sé e sé mentre teneva d’occhio il pollo.

“Sai, sono contento che almeno voi alla fine siate riusciti a perdonarvi e a rimettervi insieme.” Disse.

“Succederà anche a voi, te lo prometto. Come mi vedi?” Rachel era ricomparsa in un tubino rosso e collant con le renne. Gli ricordò con nostalgia la vecchia Rachel del liceo, ma con più gusto e stile. I capelli le ricadevano perfetti sulle spalle e gli orecchini a forma di stella le illuminavano il viso.

“Perfetta.”

Lei fece giusto in tempo a lanciargli un bacio aereo prima che suonasse il campanello. I primi ad arrivare furono gli Hudson-Hummel, seguiti poi dai due papà di Rachel. Blaine arrivò per ultimo, ma non in ritardo. Abbracciò Rachel, salutò Finn, strinse la mano a Burt e si presentò a Carol e ai Berry. Incrociò poi lo sguardo di Kurt, che gli si avvicinò senza esitazione e lo abbracciò calorosamente, sorprendendolo.

“Tutti a tavola!” esclamò infine Kurt.

Il pranzo trascorse in tutta serenità. Si complimentarono con il cuoco per l’ottima scelta di piatti e per la loro preparazione, chiesero a Rachel della vita da attrice di Broadway, Finn raccontò del Glee Club al McKinley (“I ragazzi sono particolarmente dotati, quest’anno!”) e Blaine raccontò dei suoi corsi alla NYU. I genitori proposero una partita a tombola a fine pranzo, ma venne bocciata per una sessione improvvisata di canti natalizi. Blaine aveva portato la chitarra proprio con l’intento di cantare tutti insieme e sarebbe stato scortese farlo tornare a casa senza averla suonata “solo perché voi vecchietti volete giocare a tombola!”

L’atmosfera di famiglia aleggiava in tutta la casa e Blaine desiderò con tutto sé stesso di potervi fare parte ufficialmente.

Kurt, da parte sua, per tutta la giornata non lo perse di vista un momento. Lo seguiva con la coda dell’occhio nei movimenti, si ritrovava a sorridere quando le loro ginocchia si sfioravano essendo seduti vicini sul divano, si riconobbe orgoglioso dei suoi successi universitari e, sì, ammise a sé stesso che, per quanto cercasse di negarlo, Blaine era l’uomo della sua vita.

Rachel doveva aver notato gli sguardi di entrambi, perché, una volta che Carol e Burt e i suoi due papà ebbero lasciato l’appartamento per fare una passeggiata, lei trascinò fuori anche Finn per lasciarli un po’ da soli. Avevano bisogno di parlare e lei lo sapeva.

Una volta soli, il primo a parlare, contro ogni aspettativa, fu Blaine.

“Allora… come sta Nate?”

Kurt cominciò a sistemare la cucina mentre pensava a cosa rispondere. Blaine lo seguì, passandogli i piatti da lavare e il resto delle stoviglie.

“Lui, ehm… io non lo so.” Fissò il lavandino e i piatti per nascondere il viso.

“Cosa vuol dire che non lo sai?”

“Noi… beh diciamo che non è andata.” Optò per fingere che fra loro non fosse decollata, dal momento che comunque Blaine non li avrebbe mai più visti insieme. Non potè fare a meno di notare, mentre lo diceva, che Blaine sembrava sollevato. A quanto pareva, per quanto breve la finzione con Nate fosse stata, aveva comunque funzionato. Se ne rallegrò.

“Oh, mi dispiace.”

Si vede… sì. Blaine, non sei mai stato capace di mentire.

“Che vuoi farci, a volte va cos-“ si bloccò, perché non si era aspettato di avere Blaine così vicino. Questi gli sfilò il piatto che stava lavando dalle mani e lo appoggiò sul fondo del lavandino, sotto l’acqua che ancora scorreva dal rubinetto. Fece tutto con estrema lentezza, e Kurt sentì il proprio respiro farsi più veloce e poi quasi affannoso, quando Blaine intrecciò le loro dita bagnate.

Kurt era spaventato. Doveva essere diventato paonazzo, perché sentiva le sue guance bollenti. Era quasi sicuro di quello che stava per succedere, perché Blaine stava lentamente colmando la distanza che li separava e l’unica ragione plausibile che Kurt trovò per un movimento del genere fu che volesse baciarlo.

E cavolo se lo voleva anche lui! Ma per qualche motivo si sentiva pietrificato e il suo corpo non rispondeva ai comandi. Aveva paura che Blaine potesse interpretare tutto come un rifiuto, quando invece in quel momento avrebbe voluto dargli tutto.

I loro nasi si sfiorarono. A quanto pareva, Blaine non si era lasciato intimidire dall’involontaria rigidità di Kurt.

Con le dita gli accarezzava le mani, paziente. Le sentì  cominciare a rispondere, più rilassate, fino a che Kurt abbandonò tutte le difese. Quando infatti finalmente ne liberò una per circondare il collo di Blaine, furono interrotti dalla suoneria del cellulare di quest’ultimo.

Come risvegliato da un bel sogno, Kurt sospirò contrariato e si allontanò da Blaine liberando anche l’altra mano.

“S-scusa… è… è Cooper, devo rispondere.”

Kurt sfoggiò uno dei suoi sorrisi finti alla “Facciamo finta che non sia successo niente”.

“Rispondi, non c’è problema. Io devo sistemare qui.”

CI RISIAMO. SISTEMARE = RIFLETTERE.

“Ci metto due minuti. Ehi Coop!” rispose al cellulare allontanandosi dalla cucina.

Meglio così. Si disse Kurt. Che non gli salti in mente che con me può fare quello che vuole. Se a Sebastian sta bene che se ne vada in giro a baciare altri, sono affari suoi. Io non voglio dividerlo con nessuno. O lui, o me.

“Kurt!” Blaine rientrò in cucina tutto allegro, interrompendo il suo flusso di coscienza.

“Sì?”

“Cooper ha ottenuto una parte importante in un film a Hollywood! Non posso crederci, ce l’ha fatta!! Domani lo raggiungo in California per passare il resto delle vacanze da lui.”

“Accidenti, ma è fantastico! Sono contento per lui! E tu almeno passerai un po’ di tempo con tuo fratello! La famiglia è importante, soprattutto in questo periodo dell’anno.” Nonostante il pessimo tempismo della telefonata, era contento delle buone notizie, e vedere Blaine entusiasta per suo fratello era fantastico. In fondo, era l’unico della sua famiglia che si era fatto vivo per quelle festività.

“A proposito, grazie di aver fatto parte della mia, almeno per oggi.” Lo disse con sincerità, sentiva che Blaine era davvero parte della sua famiglia, comunque andassero le cose.

Blaine rimase spiazzato da quelle parole. Trovò poi la voce per dirgli: “Ehi, intanto che sono ancora qui, perché non cantiamo uno dei nostri duetti natalizi? Mi sono mancati in questi ultimi anni.”

“Anche a me. Non sai quanto.”
 
 

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Capitolo 8
*** Oggi i carboidrati mi sono concessi ***


LA TAVOLA DI CUP OF TEA
EEEEEEEhi :D
Ho alcuni avvertimenti per il capitolo:
1-Ci sono un po’ di riferimenti a fatti accaduti nel corso della seconda stagione (non elenco ogni singolo episodio a cui mi riferisco solo perché sono sicura che siete così attenti e affezionati alla serie da capirlo da soli)
2-Non c’è bisogno di dire che NON promuovo l’alcol come mezzo per dimenticare i problemi
Infine, i soliti ma sempre dovuti ringraziamenti a chi preferisce, a chi ricorda, a chi segue e a chi semplicemente legge: sento di dovervi molto e se potessi fare fusa come Mr Claws, lo farei!
A wuthering heights, somma maestra della nobile arte del suggerimento di nomi e cognomi, costruirei una statua onoraria. Il nome di un personaggio nuovo in questo capitolo è uscito dalla sua mente brillante, così come l’accurato betaggio.
LOVE YOU, SOCIA!
Ci risentiamo in basso per un paio di altre cosine… intanto fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo :)
 





"OGGI I CARBOIDRATI MI SONO CONCESSI" 
OVVERO IL CAPITOLO 8 DI QUESTA STORIA




 
 
 
 
“Before the worst, before we met 
Before our hearts decided
It was time to love again 
Before too late, before too long 
Let's try to take it back 
Before it all went wrong”


(The Script – Before The Worst)
  



 
 
Il resto delle vacanze di Natale volò in un attimo, sia per Kurt che per Blaine.

Il primo fu impegnato in numerose attività padre-figlio. Burt si era fermato qualche giorno in più per poter passare del tempo di qualità con lui e soprattutto per parlare. Kurt aveva sempre avuto la tendenza a non chiedere nessun consiglio a suo padre – se ne ben guardava  specialmente se si trattava di questioni amorose - perché era convinto di potercela fare in ogni situazione; però accettava di buon grado quelli che Burt gli dava. Pur buttandoglieli lì con il suo fare goffo e a volte burbero, era sempre chiaro quante riflessioni ci fossero dietro e di quanto amore paterno fossero carichi.

Era successo anche in quel periodo: una sera, Kurt era seduto al tavolo e studiava lo spartito per l’ormai vicino provino, mentre Burt leggeva il giornale sul divano. Seppur concentratissimo, Kurt riusciva a sentire suo padre schiarirsi la voce di tanto in tanto, proprio come faceva ogni volta che stava per dire qualcosa ma se la rimangiava prima di dirla. “Ti serve qualcosa, papà?” Gli chiese con apprensione.

“Io…- Burt si schiarì di nuovo la voce – Allora, tu e Blaine… sì, insomma, vi vedo in buoni rapporti.”
Avendo capito che la conversazione avrebbe richiesto un po’ di tempo, Kurt abbandonò lo spartito e raggiunse suo padre sul divano. Prima di rispondere, si accoccolò tra i cuscini e liberò Burt dalle grinfie di Mr Claws, che stava giocando con i bordi della sua  camicia a quadri. Si mise il gattone in grembo e cominciò ad accarezzarlo come gesto meccanico e anti-stress.

“Noi… sì, siamo di nuovo amici.”

“Di nuovo? Kurt, stento a ricordare un momento in cui tu lo abbia considerato solo un amico.”

“Beh, allora ok, diciamo che cerchiamo per la prima volta di essere amici. O per lo meno io… lui a Natale ha tentato di baciarmi…” si maledisse per aver detto quell’ultima parte, che più che altro era una riflessione a voce alta.

“E a te andava bene?” gli chiese Burt, con un po’ troppa tensione perché fosse solo una domanda di circostanza. Kurt sentì il bisogno di correre ai ripari e di tranquillizzarlo, prima che suo padre si fiondasse a prendere un aereo per Los Angeles e andasse a minacciare Blaine con un fucile per averci provato con il suo piccolo. Senza contare che probabilmente l’avrebbero anche arrestato in aeroporto per possesso di armi.

“Non preoccuparti, papà. Una telefonata provvidenziale lo ha – ci ha interrotti.”

Bastò quel plurale perchè Burt capisse che a Kurt non sarebbe dispiaciuto se le cose fossero andate secondo la piega che avevano preso. Quello che non gli era chiaro allora era perché suo figlio avesse definito “provvidenziale” l’interruzione.

“Blaine non è esattamente single.” Precisò Kurt interpretando l’espressione confusa del padre. “E io non ho intenzione di dividerlo con nessuno. Ho abbastanza amor proprio e rispetto per me stesso per pretendere di essere l’unico per la persona che amo.” Si bloccò. Aveva appena detto di amare Blaine?

Burt lo guardò come una leonessa guarda il suo cucciolo riuscire per la prima volta nella caccia: con dolcezza e fierezza.

Il discorso sul non gettarsi via allora era servito.

“Blaine è uno stupido se pensa di poter tenere il piede in due mocassini, e io non ho voglia di perdere tempo dietro a uno che non sa scegliere.” Concluse Kurt, alzando il mento in modo quasi altezzoso.

“Non credi che prima di saltare a conclusioni affrettate dovresti dirgli ciò che hai appena detto a me?”

Kurt rimase in silenzio. Come aveva appena detto, non aveva voglia di perdere tempo: aveva altro a cui pensare al momento, per esempio l’imminente audizione. Sentiva però anche un’insistente vocina in un angolo del cervello che sosteneva che in realtà avesse solo paura.

Paura che, di fronte all’ultimatum, Blaine avrebbe scelto Sebastian – d’altra parte che ne so io della natura del loro legame? In tre anni accadono tante cose.

Ma soprattutto aveva paura che avrebbe scelto lui. E quello avrebbe significato abbandonarsi completamente di nuovo a una persona che l’aveva già ferito, per quanto gli avesse anche fatto toccare il cielo con un dito in numerose occasioni. Avrebbe significato distruggere la corazza che in tanto tempo si era costruito e che lo proteggeva. Avrebbe significato rimanere indifeso.
Non era decisamente il momento di provocarsi ulteriori ansie. Bastavano quelle per la Nyada.
Se ne sarebbe riparlato dopo l’audizione.

Burt lasciò cadere la domanda, perché leggeva la guerra che nella testa e nel cuore di Kurt era appena scoppiata. Riprese a leggere il suo giornale, soddisfatto.
 
***

Blaine passò la settimana a Hollywood con suo fratello, che lo travolse con lezioni sulle opportunità che vanno e vengono e improbabili consigli di vita, in perfetto stile Cooper Anderson.

Blaine gli lasciava fare la parte del saggio fratello maggiore e ascoltava in silenzio i suoi oracoli e le sue rivelazioni, ma in realtà prendeva con le pinze ogni parola che diceva e soppesava ogni suggerimento.

Non parlarono mai di lui e Kurt, quanto più sul futuro di Blaine, ora che era vicino alla laurea. Cosa avrebbe fatto dopo? “Hollywood apre un sacco di porte, soprattutto ai gay talentuosi e di bell’aspetto!” gli diceva Cooper quando non suggeriva: “La California offre molte possibilità, io e te potremmo fare strada nello spettacolo come “Fratelli Anderson” e avere i nostri show in televisione!”

Ma Blaine aveva già ben chiaro cosa avrebbe fatto dopo la laurea: sarebbe rimasto a New York, avrebbe provato a sfondare come musicista e, se non ci fosse riuscito, sarebbe andato a insegnare musica ai bambini e sarebbe stato felice comunque. L’importante era che avesse accanto il marito che amava e i loro due bellissimi bimbi.

Ovviamente, questo a Cooper non lo disse. Annuiva e fingeva di prendere in considerazione le sue proposte e intanto fantasticava sui nomi da dare ai propri figli.

La settimana con lui fu comunque piacevole, nonostante fosse riuscito a sentire la voce di Kurt solo a Capodanno.

Fu abbastanza buffo, perché quando ricevette la sua telefonata, a Los Angeles mancavano ancora tre ore a mezzanotte e il party lì era appena cominciato. Ma fu contento di poterci parlare - per quanto la linea fosse disturbata – piuttosto che scambiarsi un arido “Buon anno!” via messaggio.

Dopo il “quasi-bacio” nella sua cucina, nessuno dei due ne parlò. Blaine si chiedeva perché Kurt facesse finta che non fosse accaduto niente e aveva il sentore che la sua partenza fosse arrivata nel momento sbagliato. Moriva dalla voglia di chiedergli quantomeno come si sentisse al riguardo, ma farlo per telefono, quando entrambi erano avvolti dal rumore e dallo stordimento legato alla festa di Capodanno,  non gli sembrò la scelta migliore. Parlarono quindi del più e del meno, promettendosi di rivedersi davanti a un caffè per raccontarsi delle vacanze non appena Blaine fosse tornato a New York.

Blaine, però, su insistenza di Cooper prolungò il suo soggiorno a LA e non tornò prima della metà di gennaio.

E per allora Kurt non potè dedicargli nemmeno un minuto perché il giorno dell’audizione era finalmente arrivato. Erano entrambi dispiaciuti di non potersi vedere, ma tutti e due avevano capito quali fossero le reciproche esigenze: Blaine aveva voluto dedicare un po’ di tempo al rapporto con suo fratello - l’unico della famiglia ad averlo voluto con sé durante le vacanze – e Kurt aveva l’occasione di coronare il suo sogno e non aveva bisogno di distrazioni.

Anche questo voleva dire essere maturi: pensare all’altro e non a sé stessi.

E, comunque, dopo avrebbero avuto tutto il tempo che volevano.

 
***

La mattina del gran giorno, Kurt si alzò di buon’ora.

Fece i suoi trattamenti di bellezza, lunghi ma necessari per calmarsi, e si preparò una colazione da atleta.

Niente caffè, o i nervi gli sarebbero certamente saltati, bensì un bicchiere di spremuta d’arancia, marmellata e fette biscottate (oggi i carboidrati mi sono concessi!) e yogurt. Valutò se cucinarsi anche un uovo: la giornata sarebbe stata lunga e avrebbe avuto bisogno di tutta l’energia possibile. Pensò quindi che fosse meglio abbondare.

Dopodichè fece qualche riscaldamento vocale, mentre controllava il cellulare. La sua posta era stata invasa dai messaggi di incoraggiamento di Rachel, che era tornata in tour, di Finn e Burt, che gli esprimevano il loro appoggio da Lima e, ovviamente, di Blaine: “In bocca al lupo, gli altri non hanno speranze! Ah, alla fine ci sarà un caffè ad aspettarti.”

Kurt non capì la seconda parte, ma era ugualmente deliziato dal bel pensiero.

Si preparò infine per uscire, prendendo la borsa già pronta con il costume e i trucchi per fare Le Jazz Hot.
 
***

Fu strano entrare nel teatro della Nyada senza Rachel. Le volte che vi si era recato era sempre rimasto tra i sedili del pubblico ad applaudire alle spettacolari esibizioni dell’amica.

Ora, quello ad essere sul palcoscenico era proprio lui, circondato da una ventina di altri ragazzi e ragazze, tutti visibilmente più giovani di lui, pronti per rispondere all’appello per poi esibirsi.

Kurt li studiò uno ad uno, finchè non fu improvvisamente colto da un panico incontrollabile: le gambe cominciarono a tremargli, sentiva freddo e aveva le mani completamente sudate. Come posso anche solo sperare di passare il provino?! La Tibideaux cerca giovani talenti… io qui sono vecchio decrepito al confronto di questi adolescenti! 

“Kurt Elizabeth Hummel.” Tuonò la Tibideaux.

“P-Presente.”

 L’appello andò avanti finchè non furono chiamati tutti i presenti, che poi furono fatti accomodare dietro le quinte in attesa del loro turno.

L’ansia di Kurt non sembrava diminuire. Guardava i ragazzi intorno a lui, ognuno si stava riscaldando, o aveva un suo rito scaramantico, oppure abbracciava un amico come un tempo avevano fatto anche lui e Rachel per darsi sostegno.

Tirò fuori dalla tasca un piccolo ciondolo a forma di stella che l’amica gli aveva lasciato come portafortuna e lo strinse tra le mani e il cuore.

Le audizioni intanto procedevano veloci, perché la Tibideaux aveva un talento naturale nel decidere chi avesse stoffa o no. Si vedevano gli aspiranti studenti entrare e uscire dal palco con le espressioni più disparate, e ognuna di esse spaventava a morte Kurt.

Si costrinse a smettere di guardare.

Così, avendo infilato il costume, cominciò a truccarsi. Le mani però gli tremavano ancora incontrollatamente e rischiò di fare un disastro con l’eyeliner. Gli sfuggì un gemito di sconforto e frustrazione che attirò l’attenzione di una ragazzina minuta.

“Sei nervoso?” gli chiese.

No, certo che no! Io AMO fare audizioni per una donna che mi ha già ritenuto inadatto una volta e soprattutto mi piace sentirmi vecchio a 21 anni. Secondo te?!?! 

Trattenne l’impulso di vomitarle addosso tutto il suo sgarbo, solo perché la ragazzina aveva una faccia simpatica e gli ricordava un’amica speciale.

“Già…”

“Da’ qua. Ci penso io.” La ragazzina gli prese il pennellino dell’eyeliner e ordinò a Kurt di chiudere gli occhi.

“Mi chiamo Ashley, comunque. Sai cosa faccio io quando sono nervosa? Mi ripeto quanto io sia speciale e cerco di ricordarmi quanto ho lavorato duramente. Se voglio una cosa, lotto con le unghie e con i denti fino a che non la ottengo. Niente può fermare Ashley Pevensie quando si mette in testa una cosa! Lo sai da chi ho imparato tutto questo? Rachel Barba Berry! E’ una specie di leggenda qui alla Nyada… E’ stata la prima matricola a partecipare allo showcase di Natale organizzato tutti gli anni dalla Tibideaux, lo sapevi?! E sul blog della Nyada c’è sempre qualcosa su di lei! E’ il mio idolo, anche perché nonostante venga da uno Stato come l’Ohio è riuscita a sfondare! Wow. E’ davvero d’ispirazione. Il mio secondo sogno è incontrarla, un giorno – ovviamente il primo è entrare in questa scuola e diventare un’attrice di Broadway! Ecco fatto. Ho finito. Non sei di molte parole, sai?”

“Io…  tu… Grazie.” Era rimasto senza parole. Rachel era naturalmente insostituibile per lui, ma quella Ashley le assomigliava non poco ed era riuscita quasi – quasi – ad assumerne le veci. “Se passo l’audizione ricordami che ti devo un favore!”

Avrebbe voluto volentieri dirle che conosceva Rachel Barba Berry di persona e addirittura ci viveva insieme, ma aveva paura che la ragazzina lo avrebbe assalito per l’entusiasmo, facendolo cadere e rompendogli così qualche osso con conseguenze irreparabili per il suo provino.

“KURT ELIZABETH HUMMEL!” ok, ok. Toccava a lui. Toccava a lui. Tutto ciò per cui aveva lavorato stava per essere mostrato. E Tutto ciò da cui dipendeva il suo futuro era un Sì o un No da parte di quella signora in abiti eleganti e foulard che lo stava aspettando giù dal palco.

“Oddio sto per morire.” Kurt si era pietrificato e sentì mancargli il fiato. Come avrebbe cantato in quello stato?

“Sei tu? Ce la puoi fare. E l’unica persona che morirà stasera sarà la Tibideaux, perché sarai esplosivo, ne sono sicura. Coraggio.”

Bene, questa ragazzina deve essere tipo il mio angelo custode, perché altrimenti sarebbe solo un’inquietante sosia di Rachel che parla come Blaine.

Ad ogni modo, quell’ultimo incoraggiamento gli diede la forza di andare sul palco. O meglio, Ashley gli diede uno spintone.

Bene, respira. La Tibideaux sta aspettando.

“Sono Kurt Hummel e canterò Le Jazz Hot, da Victor Victoria.”

La musica partì e lui, con tutta la naturalezza e la sicurezza che gli appartenevano ogni volta che si esibiva, cominciò a ballare e cantare. Incredibile, per quanto gli piacesse lavorare a Vogue.com, quello era il suo destino: dominare il palcoscenico, arrivare a note impensabili con la sua voce cristallina, conquistare il cuore del pubblico con le sue espressioni e i gesti. Si sentiva a suo agio, era nato per quello. Sentiva il cuore leggero e fece una perfetta piroetta che gli diede la sensazione di volare. Prese velocità, ne fece un’altra. Un salto e un’altra ancora. Ma questa volta scivolò sul parquet cerato e cadde su un fianco, battendo anche il polso. Il dolore era molto acuto, ma non si lasciò intimidire. Improvvisò qualche passo a terra e poi si rimise in piedi, come se tutto fosse stato programmato. Cantò l’ultimo pezzo ignorando il livido che probabilmente si stava già formando sulla curva dell’anca e concluse il tutto in grande stile. Si inchinò e lasciò il palco.



Un disastro. Un disastro!

Kurt si mise le mani fra i capelli e, dopo aver fatto avanti e indietro in un metro quadrato di spazio, si lasciò sprofondare su una panchina dietro le quinte.

Ashley accorse con un sacchettino di ghiaccio. Aveva assistito a tutta la scena ed era corsa a prenderlo nel suo kit di primo soccorso, che teneva sempre in borsa. Ognuno ha le sue paranoie, lei aveva il terrore di farsi male e compromettere il suo futuro.

“Dai Kurt, vedrai che non si è accorta dell’errore. Io non me ne sono nemmeno resa conto fino a che-“

“Ti ringrazio, ma il ghiaccio non è una prova a tuo favore.” Si lamentò Kurt, anche se gli dispiacque di prendersela con lei, che finora era stata davvero gentile con lui. “Scusami… è che ho appena buttato all’aria ciò che sogno da quando ho imparato a camminare. Sarà meglio che vada a casa, ora. In bocca al lupo. Hai già un concorrente in meno.”

La sentì dire qualcosa in lontananza come “Sarà meglio farti dare un’occhiata al pronto soccorso”, ma la verità era che non aveva bisogno di un ospedale in quel momento, perché ciò che faceva più male dell’anca e del polso era il livido nel suo animo. La sensazione era la stessa di essere stato preso a pugni da se stesso.

Non era il pronto soccorso che gli serviva. Oh, no. Aveva bisogno di bere.

Che c’è? Kurt Hummel non può farsi una birra? In fondo si dice “bere per dimenticare”, e io voglio dimenticare questo disastro e tutto il lavoro che lo ha preceduto. Possibilmente anche tutti gli anni al Glee Club che hanno alimentato le mie speranze.

Spinse il portone all’uscita fissando l’asfalto del cortile.

“Ehi, Straniero!”

Kurt alzò la testa al suono di quell’inconfondibile voce.

Un bel moretto teneva in mano due caffè e aveva uno splendido sorriso stampato in viso.

“Blaine!” Kurt gli corse incontro e lo abbracciò, in lacrime.

L’altro fu colto di sorpresa e quasi rovesciò addosso a entrambi il caffè caldo, ma riuscì con chissà quale mossa da Jedi a non far cadere i bicchieri e allo stesso tempo prendere Kurt al volo.

“Ehi.” ‘Qualcosa non va?’ sarebbe stata una domanda assolutamente stupida e si trattenne dal farla.

Invece, tenne lì Kurt, lasciandolo sfogare liberamente. Gli avrebbe chiesto tutto dopo, quando si fosse calmato.

“Blaine. Portami da qualche parte, ti prego. Via da questo posto.”

Blaine annuì silenzioso e comprensivo e lasciò l’abbraccio. Diede uno dei due bicchieri a Kurt e raccolse la borsa che l’amico aveva lanciato per terra prima di corrergli incontro.

Salirono sulla sua auto e viaggiarono, semplicemente.

Diretti non sapevano bene dove, ma lontani da New York e dalla Nyada.

Fosse esistita una località che avrebbe allontanato Kurt dalla sua mente e dai suoi tormenti, sarebbe stata la loro meta. Blaine però avrebbe comunque preferito prendere un biglietto per Kurtlandia, in modo da capire cosa fosse successo di tanto grave. Non poteva essere solo la sensazione di non aver dato il meglio, perché in quel caso Kurt non avrebbe martoriato in quel modo i polsini della sua camicia, e soprattutto… o mio dio, soprattutto non avrebbe avuto un sacchetto di ghiaccio sopra un enorme livido viola sul polso destro!

“Kurt, vuoi dirmi che diavolo è successo?” disse, dividendo le occhiate tra la strada e lo sguardo vuoto dell’amico.

Kurt fissava un punto indefinito fuori dal finestrino del passeggero. Non rispose subito, ma poi vomitò fuori tutta la brutta storia.

Blaine accostò nel parcheggio di un’area di servizio, perché, non si sa bene come, erano finiti col prendere l’autostrada. Abbracciò Kurt, che pianse, urlò, si vergognò delle sue reazioni e infine tornò alla calma e al possesso di sè.

Blaine propose di passare al più vicino pronto soccorso, ma Kurt rifiutò. Preferiva mangiare qualcosa al ristorante dell’area, visto che ormai si era fatta sera ed era praticamente ora di cena. Sembrava davvero tornato in sé, ma Blaine sospettava che il cambiamento era stato troppo veloce perché fosse vero. Decise di assecondarlo, ma anche di tenerlo d’occhio.
 
 

Kurt si sentiva morire. Ma come quando si piange troppo per una cosa, a un certo punto è inevitabile che si raggiunga un livello di immobilità e apatia, e probabilmente lui ci era appena arrivato. Mangiò delle patatine fritte accompagnate da un bicchiere grande di birra, ignorando gli sguardi sospettosi di Blaine. Non guardarmi così. Non sei l’unico che può ubriacarsi. Posso farlo anche io e non ho bisogno dei tuoi rimproveri silenziosi.

Bevve tutto il bicchiere e non toccò nemmeno il secondo piatto di patatine che Blaine aveva ordinato per lui.

Si sentiva un po’ più allegro adesso, forse l’alcol era davvero la soluzione…

“Lo sai? Penso che non è poi così un problema. La Nyada non mi vuole? Bene. Che si tengano i loro studenti… io non ho bisogno di loro. Non ne ho bisogno.”

“Ok, Kurt. Però quello di cui hai bisogno adesso è andare a dormire…”

“Zitto, tu. Non ho bisogno neanche di te! “ era chiaro a tutti e due che non avrebbe detto niente del genere se non fosse già uscito di testa per un solo bicchiere, ma Blaine non nascose a sé stesso di esserci rimasto un po’ male.

“Me ne vado!” biascicò Kurt alzandosi dal tavolo.

Blaine pagò al volo e corse fuori dal ristorante, giusto per prendere al volo Kurt, che stava per inciampare sul gradino del marciapiede.

Lo trasportò praticamente addormentato fino alla macchina e lo cacciò sul sedile del passeggero. Gli sistemò la testa con cura e gli legò la cintura di sicurezza. L’ultima cosa che Kurt sentì furono le mani di Blaine sfiorargli i fianchi con quel gesto, dopodiché, il buio.
 
***

Quella fu anche l’ultima cosa che Kurt riuscì a ricordare.

Più o meno era riuscito a ricostruire tutta la storia, ma il vuoto che rappresentava l’arrivo nell’appartamento di Blaine, nel letto di Blaine era un tormento.

Cosa aveva fatto? Cosa aveva potuto dire d’altro – di acido o di sdolcinato - sotto gli effetti dell’alcol di un unico bicchiere di birra? Patetico. Ti ubriachi per la prima volta e lo fai con la birra scadente di un autogrill. Hai proprio toccato il fondo.

Per risolvere tutti i suoi dubbi, comunque, non gli rimaneva che una cosa da fare – per quanto fastidiosa.
Doveva chiamare Blaine e farsi dire per filo e per segno che cavolo avesse fatto o fosse successo dopo essersi addormentato sul sedile della sua auto.



E se gli sono saltato addosso?





LA TAVOLA DI CUP OF TEA – PARTE 2

Ebbene sì, siamo giunti alla fine del lunghiiiiiiiissimo flashback di Kurt, iniziato nel secondo capitolo. Ciò significa che il prossimo sarà ambientato esattamente durante il giorno dopo il risveglio di Kurt nel letto di Blaine.
Pronti a conoscere la verità? Prevedo del fluff ;)

A domani,
cup of tea


 

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Capitolo 9
*** Il caffè andrà benissimo ***


La tavola di cup of tea
Buonasera, care tazzine!
Oggi nota breve, perché il capitolo è ricco di rivelazioni e non voglio farvi perdere tempo! 
Avvertimenti:
  1. riferimento alla 2x14
  2. ricordo che il flashback è finito e che la trama riprende da quando Kurt ha lasciato l’appartamento di Blaine
  3. scambio di messaggi tra Seb e Blaine, nella più pura tradizione di Little Numbers http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=910153
 
Ci risentiamo giù!


 
“IL CAFFE’ ANDRA’ BENISSIMO.” 
OVVERO IL CAPITOLO 9 DI QUESTA STORIA
 



 
“Morning is waking up
And sometimes it’s more than just enough
When all that you need to love
Is in front of your eyes
It’s in front of your eyes”
 
(Josh Groban – February Song)
 
 
 
 
La prima cosa che Kurt sentì la necessità di fare  - una volta arrivato a casa dopo essere scappato da quella di Blaine – fu infilarsi direttamente sotto la doccia, ignorando deliberatamente lo sguardo offeso di Mr Claws.
 
Il gattone protestava senza ritegno per non aver ricevuto la dose di coccole che riteneva appropriata dopo la sua notturna assenza senza permesso, e Kurt gli urlò irritato da dietro la porta del bagno che nemmeno lui l’aveva prevista, e che non era riuscito ad avvisarlo per tempo. C’era poco di cui lamentarsi!

Si appoggiò al lavandino e finse di non sentire gli artigli di Mr Claws che grattavano arrabbiati sul legno. Sospirò: quella bella e liscia porta era una delle poche a non essere stata ancora battezzata dal gattone.

Ora invece starebbe stata solo un’altra prova del caratteraccio del suo gatto e l’ennesima dimostrazione che la convivenza di due dive (tre, se c’era anche Rachel) sotto lo stesso tetto significava solo una cosa: mobili rovinati.

Continuo a dimenticarmi perché ti abbiamo dato questo nome. Un giorno quegli artigli te li taglio.Pensò, un po’ acidamente.

Si rilassò solo quando le proteste dall’altra parte della porta cessarono, e ricominciò quello che aveva abbozzato a casa di Blaine: l’analisi dei danni di fronte allo specchio.

Si compiacque dello scoprire che la situazione non era del tutto irrecuperabile. Niente che una bella doccia non avrebbe sistemato. Fortunatamente era sabato, perciò avrebbe avuto tutta la giornata per rimettersi in sesto.

Si svestì in fretta, lanciando con grazia i calzoni attillati e la camicia nel cesto della biancheria da lavare.

Una volta entrato nella doccia, girò il regolatore della temperatura sul freddo. Per quanto fosse gennaio inoltrato, sentiva il bisogno di un getto rinfrescante, perché tutto il pensare di quella mattina lo aveva come surriscaldato. Proprio come quando una macchina lavora troppo.

Abbondò con lo shampoo, per essere sicuro che non rimanesse nemmeno una traccia del gel che aveva preso in prestito. Passò poi al balsamo e, mentre aspettava che i cinque minuti di azione passassero, si insaponò bene tutto il corpo. Arrivato al fianco destro saltò via per il male: abbassò lo sguardo sull’enorme livido sull’anca, che gli ricordò ancora una volta del fallimento alla Nyada, e gli venne da piangere. Così occupato a pensare al suo risveglio inusuale, si era dimenticato la cosa più importante: il suo futuro si era sgretolato in quattro minuti di esibizione. Tutti i suoi sforzi nel prepararsi si erano rivelati inutili.

Compulsivamente, afferrò la bottiglia di bagnoschiuma e abbondò con il sapone. Si passò la schiuma sul viso con aggressività, insistendo sulle tempie come se potesse lavare via quei ricordi dolorosi. Fece la stessa cosa con il polso destro: nonostante fosse meno viola della sera prima, costituiva comunque una prova del suo disastro.

Come farò a dirlo a Rachel?! …E a mio padre?! Sono un buono a nulla.  Strinse i denti per la rabbia.

Ma forse… forse, non tutto era ancora perduto. Quando aveva tentato con Not the Boy Next Door,era convinto di avercela fatta, eppure non era stato ammesso. Chi lo sapeva come ragionava quella donna? Magari questa volta la fortuna sarebbe stata dalla sua parte.

Rincuorato appena da quell’opera di auto-convincimento, si accorse dell’assurdità del gesto e smise di sfregare i lividi.

Sciacquò anche il balsamo e uscì dalla doccia.

L’accappatoio - fino a poco prima appoggiato sul calorifero – fu una coccola per la sua pelle ora decisamente infreddolita, e si ricordò a chi invece le coccole erano state negate. Uscì dal bagno ancora gocciolante per cercare Mr Claws. In fondo, una carezza se la merita.

Lo trovò in cucina a rotolarsi sul pavimento tra i croccantini, probabilmente rovesciati per ripicca.

Kurt alzò gli occhi al cielo e, invece di arrabbiarsi, lo grattò con dolcezza in mezzo alle orecchie, per poi andare in camera a vestirsi. Era sicuro di poter percepire le occhiate confuse del gattone saettare tra lui e i croccantini, perché non aveva ottenuto il risultato voluto. Kurt ridacchiò fra sé per quella piccola vittoria. Avrebbe sistemato dopo.

Una volta vestito, si sedette con Mr Claws sul divano. Alle carezze  del coinquilino umano, il gatto non seppe resistere. Decise che poteva anche perdonarlo, ma solo se per pranzo gli avesse concesso doppia razione di fegatini di pollo.

Senza smettere di lisciargli il pelo, Kurt prese il cellulare e, per una volta, non gli importò se avrebbe svegliato Rachel o se l’avrebbe disturbata. Aveva bisogno di un’amica.

“Pronto?” Sbadigliò Rachel dall’altra parte del telefono.

“Ehi.”

“Kurt, ma cos- Oh mio Dio. Kurt! L’audizione! La Nyada! Com’è andata?!”

“Bensvegliata, Rachel. Notte movimentata?” La mia sì. Non sai quanto. (Ok, in realtà, in parte, nemmeno io…)

“No, io… lo show è finito tardi ieri sera. Ma chissenefrega di me! Non tenermi sulle spine! Che ha detto Carmen?”

Kurt sospirò. Stava per deludere la sua migliore amica.

“Rachel, io…” Singhiozzò. “…Io non lo so. Sono scappato via prima che potesse commentare. Ma tanto è meglio così, perché quello che avrebbe detto non mi sarebbe affatto piaciuto.”

“Kurt, non capisco. Che stai dicendo?”

“Sto dicendo che l’audizione è stata un disastro! Un dannato disastro!”

“Non ci cred-“

Kurt la interruppe prima che potesse dire qualsiasi cosa. “Rachel, è così. Sono scivolato nel bel mezzo di una piroetta e sono caduto. Ho fatto finta di niente e ho improvvisato come potevo, ma la Tibideaux non è stupida. Secondo te prenderebbe mai uno che potrebbe cadere nel bel mezzo dello spettacolo? Io non credo proprio.”

“Beh… magari uno che cade nel bel mezzo di uno spettacolo no. Ma uno che cade nel bel mezzo di uno spettacolo e si rialza in grande stile come se non fosse successo niente, beh, uno così lo prende di sicuro. Come si dice, “The show must go on”. E tu le hai dimostrato di essere uno che non molla.”

Le parole di Rachel furono un’ondata di rassicurazione. Ma non voleva sperarci troppo. Per lo meno, però, ora non temeva più l’arrivo della lettera.

“Grande stile? Rachel, tu non mi hai visto.”

“Andiamo, Kurt. Io ti conosco. Tu probabilmente fai anche la cacca con stile.”

Kurt non riuscì a trattenere una risata.“Grazie. C’è un motivo per cui ti voglio bene.”

“Tesoro, sono qui per questo.”

Kurt sorrise come se Rachel potesse vederla. Ora che si sentiva più o meno rassicurato sul fronte Nyada, rimaneva l’altra questione da risolvere: Blaine. Salutò Rachel con la scusa di lasciarla dormire ancora un po’, ma le promise che la telefonata successiva da parte sua sarebbe probabilmente stata ricca di gossip.

Riagganciò proprio mentre lei implorava qualche anticipazione.
 
***
 
(11.03)
Kurt se n’è andato.
 
 
(11.09)
Eh?
Sei ubriaco?
 
 
(11.11)
Seb, non scherzare. Kurt è rimasto qui, stanotte. Ma se n’è andato prima che mi svegliassi.
 
 
(11.13)
Uhm. Non lo facevo così sgualdrina. Ok, beh. Blaine, capisco che tu ti senta usato – anche tutti quelli che abbandono io nel cuore della notte si sentono così - ma ehi! Guarda il lato positivo: almeno avete fatto un passo avanti.
E hai ottenuto quello che volevi senza neanche dargli la lettera!
Sono colpito.
L’allievo supera il maestro.
 
 
(11.17)
Seb! Che hai capito?! Kurt ha DORMITO qui. DORMITO!
 
 
(11.18)
Ok ok. Allora, uhm… peccato…? Scusami, amico, ma proprio non ti seguo.
 
 
(11.20)
Alloooooora. Riassunto delle puntate precedenti: Kurt ieri ha fatto un’audizione per la Nyada. Non è esattamente sicuro che sia andata bene, perciò si è ubriacato. Io ero con lui, non era in grado di tornare a casa, quindi l’ho fatto stare qui. Stamattina mi sono  svegliato e lui non c’era già più. Però mi ha preparato la colazione.
 
 
(11.22)
Tenero.
 
 
(11.22)
Vero? *-*
 
(11.23)
Blaine, per favore.
Io dicevo per ridere.
 
(11.23)
Oh.
(11.30)
Beh?
Nessun commento più profondo?
Nessun grande consiglio?
Nessuna rivelazione sulla vita ?
Niente di niente?
 
 
(11.35)
Noto con preoccupazione che il tuo disperato bisogno di una guida peggiora di giorno in giorno.
Non sono più sicuro che questa cosa funzioni.
Non è sano.
Forse dovrei provare a buttarti nella tana del lupo da solo e vedere come te la cavi.
Prima o poi dovrai camminare con le tue gambe.
Io non ci sarò per sempre.
 
 
(11.37)
Seb, non ti pregherò, se questo è il tuo scopo.
Lo sappiamo tutti e due che aiutarmi ti fa piacere perché gonfia il tuo ego.
 
 
(11.38)
E va bene.
(11.39)
Chiamalo.
 
 
(11.39)
Tutto qui?
 
 
(11.39)
Tutto qui. Le cose non devono sempre essere complicate, sai?
Vuoi sapere perché se n’è andato? Bene, alza il telefono e chiamalo.
 
 
(11.40)
Odio che tu abbia sempre ragione.
 
 
Blaine si fece coraggio e, mentre addentava una fetta biscottata imburrata, cercò tra i preferiti il numero di Kurt.

Da una parte sperava che l’altro non rispondesse, perché non sapeva esattamente cosa dirgli – “Ehi, ciao. Il letto era terribilmente vuoto stamattina. Non è che vuoi tornarci?” Decisamente poco appropriato – dall’altra voleva che Kurt gli desse una buona ragione per essere scappato via in quel modo. E solo dopo lo avrebbe ringraziato per la colazione che - diamine! - era veramente la più deliziosa che avesse fatto da un sacco di tempo.
 
Il cellulare comunque squillò solo una volta.
 
“Pronto, Blaine? Stavo per chiamarti!”
 
“D-dawevo?” bofonchiò Blaine, con la bocca ancora piena.
 
 “Oh, stai mangiando! Scusa, forse dovevamo sentirci più tardi…”
 
“No! Kurt, ehi, ti ho telefonato io.”  Lo bloccò lui, che abbandonò del tutto la fetta biscottata sul piattino e si concentrò sulla chiamata.
 
“Oh. E’ vero. Beh, allora prima tu. Cosa volevi dirmi?”
 
“Io… insomma, volevo ringraziarti per la colazione…” E CHIEDERTI PERCHE’ CAVOLO NON SEI QUI A DIVIDERLA CON ME.
 
“Scherzi? Tu ieri mi hai praticamente salvato da me stesso, e non eri affatto tenuto a farlo! Era il minimo che io potessi fare.” Ora, sei sicuro di non volermi dire altro?! Tipo… come sono finito tra le tue lenzuola??
 
“Kurt, forse non ero tenuto a farlo, ma lo rifarei anche subito.”
 
Dall’altra parte della cornetta non percepiva nessun suono. “Ehi? Sei ancora lì?”
 
“Io… si, si sono qui. Blaine, hai voglia di un caffè oggi pomeriggio? Dovrei…dovrei chiederti un paio di cose. Se il caffè non ti va, posso farti un tè, un cappuccino, una cioccolata, anche un brodo di carne, se preferisci.”
 
“Il caffè andrà benissimo. Vengo per le tre?”
 
“Perfetto.”
 
***
 
Kurt ebbe giusto il tempo di sistemare i croccantini sparsi sul pavimento e cucinarsi qualcosa di veloce per pranzo, prima che Blaine arrivasse.

Lo fece accomodare al tavolo, mentre preparava la moca.

Sentiva lo sguardo dell’altro non lasciarlo un minuto, mentre lui faceva avanti e indietro e aprire i cassetti per prendere zucchero, tazzine e cucchiaini. Sapeva che prendere tempo non sarebbe servito a niente, ma tutti quei movimenti erano terapeutici contro la sua ansia.

Avendo poi posato tutto sulla tavola, caffettiera bollente compresa, cominciò a parlare a macchinetta.

Raccontò a Blaine tutto, per filo e per segno, ciò che si ricordava. Arrivato al buio, non ebbe altra scelta che chiedere la fatidica domanda. Prese un bel respiro e si buttò in caduta libera.

“Blaine, metti fine ai miei tormenti. Dimmi per favore che è successo dopo che sono crollato sul sedile della tua auto.” Teneva la tazzina tra le mani con un po’ troppa forza, ma non poté farne a meno.

“Tu… beh… eri ubriaco. Oh, decisamente ubriaco.” Ridacchiò Blaine al ricordo. “Perciò ho guidato fino a casa mentre dormivi, e date le tue condizioni ho pensato fosse meglio non lasciarti dormire a casa da solo.”
 
Oh, ho dormito. Solo dormito! Non posso averci provato impunemente con lui mentre dormivo. Non posso aver causato danni, dormendo. Giusto?
 
Rassicurato un po’ dalle parole di Blaine e dai suoi pensieri, riprese l’atteggiamento di temperata presunzione che lo caratterizzava. Tirò su la schiena e si portò la tazzina alla bocca. Bevve un piccolo sorso e poi lanciò la stoccata, la cosa che più gli premeva.
 
“Quindi noi non…”
 
Fortunatamente, Blaine capì al volo a cosa si riferisse.
“Noi? No, no. Noi non.” Sembrava un po’ imbarazzato, ma rimediò subito. “Insomma, per chi mi hai preso? Sono un gentiluomo, Kurt Hummel.”

Oh, Blaine. Non ero preoccupato che tu te ne approfittassi. Ero piuttosto preoccupato per la tua incolumità.

Kurt provò a scherzare per ristabilire un minimo di serenità. Sembrava che la conversazione si stesse facendo tesa.

“Un gentiluomo? Ah! Blaine Anderson, un vero gentiluomo mi avrebbe lasciato tutto il letto e avrebbe dormito per terra, o in una qualsiasi altra stanza del suo enorme appartamento. Scommetto che il divano in ecopelle in soggiorno è molto comodo.” Rise, mentre beveva un altro sorso.

Blaine invece aveva lasciato la tazzina vuota già da un po’, e in quel momento sembrava fissarlo anche troppo intensamente.

“Kurt. La mia intenzione era proprio quella.”

“Come?” Kurt fu colto di sorpresa.

“Non avrei mai preteso di dormire con te.”

“Ma? Paura del buio o dell’uomo nero?” cercò di scherzare di nuovo, ma la verità era che provava un misto di paura fottuta e di  aspettativa. Si sentiva come in mezzo a un uragano, sbatacchiato di qua e di là.

“Niente del genere.” Blaine invece era fin troppo calmo.

“E allora?”

“E allora, tu mi hai chiesto di non lasciarti da solo.”

Oh cielo. Kurt concentrati o ti cadrà la tazzina! Strinse la presa onde evitare danni.“Oh.” Fu l’unica cosa che fu in grado di dire.

“Già. Eri ubriaco fradicio, perciò ho pensato che non sarebbe stata una cattiva idea, quella di tenerti d’occhio. Avrei dormito davvero per terra, ma tu hai voluto che ti abbracciassi fino a che non ti fossi addormentato. Ti sei attaccato come Rachel con Finn alla sua festa, anni fa. Stai tranquillo, lo so che da sobrio non mi avresti mai chiesto niente del genere, perciò non volevo assecondarti, ma tu hai cominciato a piangere e a minacciare di tornartene a casa in taxi – e ti assicuro, non eri nella condizione di andare da nessuna parte. Quindi ti ho accontentato, ti ho abbracciato e aspettato con te finché non ti sei addormentato; dopodiché ho cercato di lasciare andare l’abbraccio, per spostarmi a dormire sulla poltrona, ma tu mi avevi preso una mano e non eri intenzionato a lasciarla andare, quindi ho pensato di aspettare finché non avessi rilassato la presa, ma nell’attesa mi sono addormentato anche io. Scusa, ma erano le 4 del mattino anche per me.”

Kurt ascoltò ogni singola parola, immobile e ammutolito. Osservava gli occhi di Blaine e ne soppesava i gesti delle mani, alla ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi per fare una battuta o per aspettare il momento in cui l’altro gli avrebbe detto che stava scherzando e che si era inventato tutto.

Non accadde niente di tutto ciò.

Perciò Kurt prese al volo l’unico dettaglio che ancora non era stato spiegato. “Beh, e come spieghi i vestiti?”

“Oh. I vestiti? Io… So quanto ci tieni che i tuoi vestiti siano perfetti. Dormire con un paio di pantaloni attillati e firmati con il rischio piuttosto alto di sgualcirli irrimediabilmente sarebbe stato inconcepibile per il Kurt Hummel sobrio che conosco, perciò ho provato a convincerti a infilarti qualcosa di mio. Hai ceduto solo quando ho detto “grinze e strappi”.”

Kurt si ritrovò a sorridere. Era stato davvero un gesto molto tenero e premuroso da parte di Blaine.

“In questo caso… ti ringrazio davvero. Per tutto quanto.” Niente battute. Era la pura verità.

Blaine sorrise, ed era decisamente uno di quei sorrisi alla Blaine innamorato.

Fu contento di aver omesso qualche dettaglio sulla serata, perché Kurt era già visibilmente provato solo per le cose che gli aveva detto. Sapere tutto, sarebbe stato troppo.

Per esempio, non gli disse che a un certo punto, arrivati a casa, Kurt  aveva cominciato ad aprire i suoi cassetti a caso, dicendogli che, visti i suoi terribili gilè, aveva bisogno di un cambio di look e che lo avrebbe mandato in uno di quei programmi televisivi in cui rifanno il guardaroba dei malcapitati. Non gli disse neppure che, poco dopo, aveva deciso che la camicia di Versace che stava indossando gli stava facendo venire caldo – era così agitato che sarebbe stato strano il contrario - e che se la tolse. Blaine si era sentito in dovere di non lasciarsi affascinare da quel corpo perfetto e di obbligare l’amico a mettersi la maglietta nera che gli aveva appena lanciato contro, perché - fosse stato per Kurt - sarebbe rimasto con addosso solo i pantaloni. E anche lì Blaine dovette pregarlo di infilarsi un paio di calzoncini a caso per dormire. Fu in quel momento che le parole magiche “grinze e strappi” fecero il loro effetto.
 
“Kurt? Perché te ne sei andato senza svegliarmi?”

Per l’ennesima volta nella stessa conversazione, Kurt fu colto alla sprovvista. “Io… tu stavi dormendo così bene. Non volevo disturbarti…” Al diavolo. “No. La verità è che ero solo spaventato.”

“Di cosa?”

Diamine. “Di me! Ero sconvolto per la Nyada… Ero ubriaco… E… Cavolo, a Natale ci siamo quasi baciati! Io… il ricordo continua a ronzarmi in testa! Non sapevo se ieri mi fossi spinto oltre… Insomma, se proprio deve succedere qualcosa, non voglio dividerti con Sebastian!”

Ecco. L’aveva fatto. Aveva appena sputato il rospo. Addio alla corazza protettiva.

Blaine rimase zitto, con un’espressione piuttosto confusa.

“Di’ qualcosa, ti prego.”

“Kurt, ho lasciato Sebastian poco dopo Halloween.”



La tavola di cup of tea – parte 2
Bene, bene, bene. Non vi aspettavate tutte queste rivelazioni, vero?
Spero solo che sia stata chiara la storia dei vestiti… in pratica Kurt si è spogliato e Blaine ha cercato disperatamente di farlo rivestire. Confido nella vostra perspicacia!
Non dimenticate di farmi sapere cosa pensate del capitolo! :)
Ci risentiamo domani!
Cup of tea, che vi adora tutti quanti <3

 

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Capitolo 10
*** Quale idiota scappa dalla felicità? ***


“QUALE IDIOTA SCAPPA DALLA FELICITA’?”
OVVERO IL CAPITOLO 10 DI QUESTA STORIA
 
 
 



 
“When we collide we come together
If we don't we'll always be apart
I'll take a bruise, I know you're worth it
When you hit me, hit me hard.”

(Biffy Clyro – Many of Horror)
        
 


 
[…]“Di’ qualcosa, ti prego.”

“Kurt, ho lasciato Sebastian poco dopo Halloween.”

 

La tazzina scivolò dalle dita di Kurt e rimbalzò dal tavolo al pavimento, finendo in mille pezzi.

Un rumore di vetri rotti.

Di edifici che crollano.

Di corazze che si infrangono.

Di certezze che esplodono.

Rumori stridenti, eppure incapaci di raggiungere le orecchie di due che comunicano con tutto fuorché con la voce.

Occhi negli occhi, pugni sul tavolo, caffè avanzato dappertutto.

Lacrime, rabbia, voglia di urlare tutto il non detto.

Sedie che cadono, gatti che scappano.

Mani che viaggiano, colpiscono il vento, afferrano il corpo.

Pelle che si sfiora, respiri mozzati.

E poi baci.

Baci rudi.

Baci bagnati.

Baci urgenti e infiniti per recuperare tutti quelli mancati.

Incontro di corpi, incontro di spiriti.

Ma una voce… una voce tetra dice che non bisogna fidarsi. Una voce oscura dice di non abbassare la guardia. Una voce…

Kurt si svegliò di soprassalto, completamente sudato e ovviamente solo.
 
Nel buio, si mise seduto a gambe incrociate tra le lenzuola. Si passò una mano sulla fonte, massaggiandosela, mentre realizzava che il sogno che aveva fatto era il riassunto perfetto degli avvenimenti di quel pomeriggio.

Quando sarebbe stata la prossima volta che avrebbe dormito tranquillo?

Sentiva ancora sulle labbra il sapore acido degli insulti che aveva rivolto a Blaine, dovuti prima all’incredulità – insomma, in caffetteria li aveva visti! – poi alla frustrazione e all’incapacità di comprendere perché mai avesse aspettato tanto a metterlo al corrente della rottura.

Sentiva ancora il sapore salino delle sue lacrime e di quelle di Blaine.
Sentiva Blaine.
Ritirò la mano che era scesa fino alle labbra, desiderosa di accarezzarle al ricordo. Si oppose a quel gesto così naturale, perché sentiva che qualcosa in sé stesso non andava.

Possibile che anche in quel momento, quando gli ostacoli della non comunicazione erano stati finalmente completamente abbattuti, provasse ancora delle riserve ad abbandonarsi completamente all’amore?

Possibile che in quegli anni in cui lui e Blaine erano stati separati -  anni in cui non era passato giorno senza che si fosse sentito ferito e tradito nella fiducia - si fosse inasprito al punto da non riuscire più ad amare del tutto?

Raccolse le ginocchia al petto e le circondò con le braccia, affondando il viso nel gomitolo d’uomo che era diventato.

Vedendolo in crisi, Mr Claws saltò sul letto e si strusciò contro il fianco del suo coinquilino, che alzò la testa e lo accarezzò con fare riconoscente.

Kurt decise di alzarsi solo per dare i croccantini al micione e di tornare a letto subito dopo.

Entrò in cucina e non poté fare a meno di pensare a quanto potesse essere pericoloso quel luogo.

Innanzitutto, era stato il teatro del primo vero riavvicinamento con Blaine, con lo sfioramento delle mani la notte di Halloween. Accarezzò con un lieve tocco di polpastrelli il legno del tavolo ancora in disordine. Poi, il quasi-bacio a Natale, vicino al lavandino. Non gli vennero i brividi a pensarci solo perché aveva già avuto di meglio. Infine, infatti, il terremoto del pomeriggio precedente.

Ma come tutte le cose pericolose, anche quel posto era ormai diventato tremendamente attraente e intrigante. Proprio come Blaine, che lo faceva sentire in pericolo e al sicuro allo stesso tempo. Blaine, che quel pomeriggio aveva capito subito la sua richiesta muta di lasciarlo riflettere da solo e in tranquillità, ed aveva lasciato l’appartamento senza chiedere spiegazioni o insistere per rimanere. Blaine, che lo conosceva meglio di chiunque altro e che per questo costituiva allo stesso tempo un porto protetto e uno spaventoso rischio di rimanere ferito.

Mentre rovesciava un porzione di croccantini nella ciotola di Mr Claws, sentì una lacrima farsi strada lungo la guancia. Quella confusione di sentimenti l’avrebbe presto spezzato, di sicuro. Bloccò la lacrima sulla linea del mento con il dorso della mano libera e, rimessa a posto la scatola, tornò a letto, con la speranza che quei pensieri lo avrebbero lasciato in pace, almeno in sogno. Per qualche ragione non era poi così fiducioso.

Si arrotolò sotto le coperte per chiudere fuori il mondo.

***

Erano le cinque del pomeriggio e Kurt non si era ancora fatto sentire.

Non che fosse obbligato a farlo.

Però in cuor suo Blaine sperava che lo avrebbe fatto.

Uscì di casa per ingannare il tempo e non fissare il telefono in continuazione. Comprò il giornale, passeggiò per Central Park, allungò la strada del ritorno e rientrò a casa.

Ancora nessun messaggio.

Accese la televisione e guardò un reality a caso.

Ancora silenzio.

Ma non c’era scritto da nessuna parte che lui non potesse cominciare per primo a scrivergli, giusto? Prese il cellulare e digitò concitato qualcosa di neutro, magari sul reality – Kurt li conosceva tutti.

(19.13)
Interessante piega degli eventi. Jenny sta per essere eliminata perché il suo vestito è fuori tema.
 
Silenzio. Magari Kurt stava facendo qualcos’altro.
 
(19.30)
Wow, non posso credere che l’abbiano salvata, alla fine.
 
Silenzio. Magari Kurt non aveva fatto la ricarica e non voleva sprecare gli ultimi centesimi in messaggi futili. Oppure il cellulare era scarico e Mr Claws aveva nascosto il caricabatterie.
 
(20.18)
Se fossi preoccupato che mi stai evitando, in questo momento sarei in paranoia.
 
(20.56)
Kurt… non mi stai evitando, vero?
 
Decise di prendere quell’ennesima risposta mancata come un rifiuto non celato, anzi piuttosto palese.
Ma andava bene così, perché era sicuro che Kurt avesse una buona ragione.
 
Non poté però più nascondere a sé stesso di esserci rimasto male, quando il mutismo proseguì anche il giorno dopo, e il giorno dopo ancora.
A metà settimana smise di scrivergli.
E ora della fine decise che i segnali erano abbastanza chiari: Kurt non voleva più aver niente a che fare con lui.
Non sapeva il perché – quella era la parte peggiore - e non riusciva nemmeno a immaginarselo: l’unica cosa che sentiva era che, per la seconda volta in pochi mesi, con lui era finita. Quella volta davvero.
 
Le forze per continuare a rincorrerlo le aveva ancora, e lo avrebbe aspettato anche per tutta la vita, per quanto lo riguardava. Ma, preso dallo sconforto, si chiese quanti rifiuti sarebbe stato in grado di sostenere ancora e quante volte il suo cuore avrebbe potuto spezzarsi prima di smettere di battere del tutto.
Kurt ne valeva completamente la pena, ma era evidente che lui non valesse la pena per Kurt.
 
Con le lacrime agli occhi, prese la lettera dal cassetto del comodino e la buttò direttamente nel cestino.
Poi, chiamò Sebastian e gli impose di portarlo fuori.
 
 
***
 
 
Kurt si mandò al diavolo.

Lo stava facendo di nuovo.

Blaine aveva ragione: quando le cose si facevano difficili, lui alzava veramente un muro e sceglieva sempre la fuga.
 
Codardo.
 
E da cosa stava scappando, questa volta?
Forse, dalla felicità?
Quale idiota scappa dalla felicità?!
 
Tornato a casa di sera tardi, dopo il lavoro, trovò qualcuno ad aspettarlo davanti al portone. Di tutte le persone in cui avrebbe potuto aspettarsi di incappare, incontrò l’unica impensata: Smythe.
Era proprio lì, appoggiato al muro e con le mani in tasca, e lo stava aspettando.
Non si era perso, né era passato di lì per caso.
 
Per qualche ragione Kurt sentì attorcigliarglisi le interiora.
 
“Smythe.” Non lo guardò neanche in faccia, mentre gli passava davanti e girava le chiavi per entrare.

“Hummel.” Sebastian si alzò e lo seguì senza aspettare di essere invitato a entrare.

“Cosa ti porta a Bushwick?” Kurt continuava manifestamente a ignorarlo e il tono utilizzato era volutamente supponente. Gli diede le spalle e si abbassò per accarezzare Mr Claws che cominciava già a soffiare all’estraneo. “Shh, non fare così. Ti dico io quando è il momento di attaccare.” Disse Kurt, questa volta lanciando una frecciatina diretta all’intruso.

“Sai, Hummel, io ho un amico.”

“Mi fa piacere.”

“E mi piacerebbe continuare ad averlo intero. Sono stufo di raccoglierne ciclicamente  i pezzi.”

Sebastian a quel punto aveva attirato l’attenzione di Kurt, che si alzò  lasciando perdere il gatto ma rimase in silenzio. Con occhi ridotti a due fessure ascoltò cosa quell’arrogante aveva da dirgli.

“Per prima cosa, mettiamo in chiaro che non lo sto facendo per Blaine, ma per me. Ha rovinato un sacco di mie camicie con le sue lacrime e odio quando diventa musone perché guasta la festa anche a me.”
Sebastian si sedette comodo sul divano, come se si trovasse a casa sua. Kurt lo seguì con gli occhi e con le orecchie, ma non si sedette.

“Seconda cosa, se questo tuo tira e molla è un modo per farti desiderare, risparmiati la fatica, perchè ti vuole già al punto di star male.”
Qui Kurt non poté fare a meno di notare la pausa e la voce quasi incrinata di Sebastian. Ma il tutto durò poco più di un istante, perché l’usignolo riprese subito nascondendo qualsiasi emozione diversa dalla severità.

“E, terzo, se non riesci a capire cosa ti perdi, allora lasciati dire che sei davvero una testa di cazzo.”
Nello sguardo di fuoco di Sebastian, Kurt lesse le sue intenzioni. Non c’era volontà di insulto dietro quelle parole, bensì fermezza e determinazione a fargli aprire gli occhi.

“E’ stato lui a mandarti qui?” Chiese.

“Blaine? Non dire sciocchezze. Non sa neanche che sono qui. Scommetto che in questo momento è chiuso in casa, seduto al pianoforte a diventare matto su chissà quale melodia inventata, come fa da un po’ di giorni.”

Kurt rimase zitto perso in qualche immagine di Blaine davanti ai tasti bianchi e neri; lo vide accarezzarli, poi premerli con rabbia, gettare all’aria gli spartiti e poi riprenderli e correggerli.

“Ah, se vogliamo dirla tutta, il mio arrivo qui non è l’unica cosa di cui è all’oscuro.”Kurt si ridestò dai suoi pensieri solo per vedere Sebastian tirare fuori dalla tasca una busta bianca piegata a metà.

“Questa te l’ha scritta lui mesi fa. L’ho trovata nel suo cestino e mi sembrava un peccato che finisse nella spazzatura prima che qualcuno la leggesse. Tieni.”

Kurt prese la busta che sul davanti recava il suo nome. Fissò incredulo Sebastian.

“Non guardarmi così, Hummel. Lo so che non è corretto dartela alle sue spalle. Ma pensavo che ormai mi conoscessi: io non sono mai corretto.” Alzò le spalle. “Beh, suppongo che il mio lavoro qui sia finito. Posso anche andare via, anche perché… cavolo Kurt, come puoi vivere in un quartiere del genere? Fa venire i brividi.”

“Smythe che ha paura? Pensavo fossi abituato alle zone losche. Lo Scandals non era certo nella parte più rispettabile di Lima.” Lo punzecchiò un po’, grato che la situazione tra loro fosse tornata quella normale in cui si lanciavano frecciatine e non più quella appena sperimentata in cui uno era Cupido e l’altro la sua vittima.

Sebastian rispose con un’altra alzata di spalle e si diresse verso la porta di ingresso, salutando in silenzio Kurt con un gesto della mano che ricordava quello dei militari.

Kurt lo bloccò prima che uscisse. “E così lo stai facendo per te stesso, vero?”

“Mai avuto vero interesse verso nessun altro.” Gli rispose l’altro, con uno sguardo alla “a buon intenditor poche parole”.

Kurt lo vide uscire e sorrise tra sé: aveva sbagliato di grosso nel giudicare il nuovo Sebastian, e riconoscerlo non era poi così traumatico.
Come avevano cercato di dirgli tutti, forse era davvero cambiato. Per quanto l’usignolo non l’avrebbe mai ammesso, non era più l’egoista di un tempo. A Blaine ci teneva davvero. E la cosa bella era che a Kurt non importava nemmeno di indagare sulla natura di quell’interessamento.
Le uniche cose importanti, in quel momento, erano sé stesso, Blaine e la busta che teneva ancora fra le mani.

La osservò, ne accarezzò i contorni, passò un dito sul nome del destinatario. Infine strappò la carta per liberare la lettera di cui non riusciva a immaginare il contenuto. O forse sì, date le capriole che il suo cuore stava facendo.

Il foglio a quadretti che tirò fuori era scritto fitto e in bella grafia. In alcuni punti i tratti erano più marcati, lì dove si poteva percepire l’impegno e la fatica di trovare le parole giuste.

Già alle prime righe, Kurt sentì la necessità di sedersi su una sedia, prima che le ginocchia lo tradissero del tutto, e si portò una mano alle labbra, sull’orlo delle lacrime.
 

 
“Cominciare questa lettera è la cosa più difficile che mi sia mai trovato a fare.
Cerco le parole, ma si perdono per strada prima che riescano ad arrivarmi.
 
Perciò, lasciami chiedere scusa, per cominciare.
 
Lasciami chiedere scusa per quello che ho detto, o non ti ho detto. Per quello che ho fatto e per quello che non ho fatto.
 
Ho avuto ciò che mi merito: non passa giorno senza che mi maledica per quello che ti ho fatto tre anni fa. Vorrei esistesse la macchina del tempo per tornare indietro e cambiare le cose, ma nemmeno io sono così ingenuo da pensare che ripartendo da capo non rifarei gli stessi errori.
 
Ma gli errori ci rendono quello che siamo, ed è per questo che invece di cambiare il passato preferisco migliorare il futuro.
 
Con te tutto ha un senso. IO ho un senso, e per te non mi fermerei davanti a niente.
Non riesco a fare a meno di pensare che l’amore, quello vero, dura veramente per sempre e che è questa la cosa che conta davvero. Più degli errori commessi, più delle difficoltà, più della lontananza.
Più del fatto che fino a pochi mesi fa la mia vita non era vita.

Perché so che non c’è vita senza di te.

Nel bene e nel male, so che non potrebbe esserci nessun altro per me.

So anche che ho incatenato il tuo cuore e l’ho distrutto.

E so che ora voglio curalo e liberarlo.

Quello che invece non so è se mi permetterai di farlo.

Permettimi di farlo, ti prego. Non tenerlo più nascosto.

Ti amo, Kurt Hummel. 

Ti amo oltre ogni cosa.

Blaine”
 

Kurt non aspettò altro.

Si asciugò le lacrime, prese il cappotto e uscì al volo.

Rincorse un taxi e lo prese quasi saltandoci dentro. Direzione: Upper West Side.

Il mezzo sfrecciava tra le strade deserte, mentre nella sua testa una confusione gridava e strillava e urlava solo un nome: Blaine, Blaine, Blaine. Non riusciva a pensare ad altro.

Pagò il tassista e si precipitò fuori dall’automobile, correndo verso il portone del palazzo. Solo prima di suonare il citofono si rese conto di che ore fossero.

Due del mattino. Bel colpo, Kurt. Che farai adesso?
Citofonerò, questo è certo. Blaine non è l’unico che può fare le improvvisate notturne!

Ci volle un po’, ma alla fine il portone fu aperto.

Kurt corse su per le scale facendo i gradini a tre a tre fino alla porta dell’appartamento di Blaine, già aperta, con lui sulla soglia.

“Kurt, ma ch-?”

“Hai mentito!”

“C- Cosa?”

“Hai detto che non ti saresti fermato davanti a niente!” Kurt indicò la lettera. “Non fermarti più davanti alle mie fughe, per favore.” Disse semplicemente.
Poi si fiondò finalmente tra quelle braccia tanto desiderate.


 
La tavola di cup of tea 
La lettera!!! La lettera è arrivataaaaa!!
Mamma mia, sono agitatissima, spero di aver reso giustizia a Blaine e ai suoi pensieri. Vi invito caldamente a farmi sapere che ne pensate, perché ho davvero il terrore di aver scritto una schifezza e di aver deluso le vostre aspettative!
Ci tengo a sottolineare che l’ho scritta ascoltando tre canzoni a ripetizione: “In Between” (Linkin Park), “Life After You” (Daughtry) e “Hidden Away” (Josh Groban). E’ probabile che qualche verso lo riconosciate tra le parole di Blaine.
Per il resto… ancora qualche capitolo e poi Distance sarà finita. Ho già le lacrime!
Ma manca ancora qualcosina (non avrete mica dimenticato la Nyada, vero??) perciò… a domenica prossima!
Cup of tea <3

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Capitolo 11
*** Essere uno e due insieme ***


“ESSERE UNO E DUE INSIEME”
OVVERO IL CAPITOLO 11 DI QUESTA STORIA
 
 
“I still have trouble
I trip and stumble
Trying to make sense of things sometimes
I look for reasons 
But I don't need 'em
All I need is to look in your eyes*”
 
(Darren Criss – Not Alone)
 
 
 
 


 
Fu bello svegliarsi nel letto di Blaine e ricordarsi come esserci finito.

Kurt si girò dalla sua parte facendo attenzione a non sciogliere l’abbraccio in cui Blaine lo stava ancora tenendo. Non l’aveva lasciato neanche un momento da quando si erano addormentati dopo aver fatto l’amore e Kurt non aveva alcuna intenzione di essere il primo a slegarsi.

Trovandolo ancora profondamente addormentato, pacifico e sereno, non resistette dal baciargli dolcemente la punta del naso.

Sorrise. Non avrebbe più smesso di baciarlo per il resto della vita, croce sul cuore.
 
Così, tra le sue braccia, Kurt si sentiva davvero a casa. Blaine era casa. Che stupido averne dubitato.
Spostò un ricciolo ribelle dalla sua fronte con il tocco lieve di un polpastrello e proseguì lungo le folte sopraciglia, la linea del naso e poi delle labbra.

Blaine si svegliò in quell’istante e riconobbe quelle dita delicate nonostante fosse ancora intontito dal sonno. Le baciò e aprì gli occhi sbattendo piano le ciglia scure. Nella penombra, incontrò quelli azzurri e profondi di Kurt e gli sorrise con la dolcezza di mille batuffoli di zucchero filato, mentre scioglieva l’abbraccio solo per riattivare la circolazione di una mano e intrecciare subito dopo le dita con quelle dell’amore della sua vita.
 
“Ciao.”

“Ciao.”

“Sei rimasto.”

“E sono qui per rimanere.” Kurt lo baciò di nuovo, sul naso, sulla bocca. Non se ne sarebbe andato per nulla al mondo.
 
Per un momento Blaine approfondì il bacio, ma poi rotolò fuori dal letto ordinando un “Non muoverti di lì” a Kurt, che non potè fare a meno di sentire un gran senso di vuoto e mise su il broncio. Blaine in risposta gli fece una linguaccia per poi sgusciare fuori dalla stanza, divertito.

A sapere che Blaine avrebbe lasciato così presto il loro nido, Kurt non l’avrebbe affatto svegliato. Però ridacchiò tra sé, mentre si metteva seduto con la schiena contro la testiera del letto e si chiedeva cosa stesse combinando di là.  

Forse era andato in cucina, perché si sentiva un rumore di stoviglie e armadietti che sbattevano. Pregò che, qualsiasi cosa stesse facendo, non avrebbe mandato a fuoco l’appartamento.
 
Sorrise tra sé mentre si guardava in giro; trovò tutto come se lo ricordava, o perlomeno quello che ricordava. In quella tranquillità si scoprì ad apprezzare il gusto di Blaine in fatto di arredamento: il bianco dei mobili e dei muri rendeva l’ambiente elegante ma non freddo e i libri sugli scaffali rendevano il tutto più colorato e divertente – il che poteva essere anche un buon modo per descrivere lo stesso Blaine.
 
Nel mezzo delle sue riflessioni, gli cadde l’occhio sulla piccola sveglietta sul comodino. Segnava le 13.40.
Wow. Non ricordava quando fosse stata l’ultima volta che aveva dormito così tanto e così bene.
Vicino alla sveglia trovò anche un piccolo telecomando che immaginò dovesse servire a tirar su le tapparelle, quindi pigiò un tasto e fece entrare più luce di quella che già filtrava tra le fessure.
Era una bella giornata.
Oh, sì. Era una bella giornata.
 
Blaine rientrò poco dopo, spingendo la porta con la schiena perché aveva le mani occupate.
Indossava solo un grembiule legato dietro al collo e al fondoschiena e un paio di boxer. Kurt trovò il tutto alquanto sexy, ma mai tanto quanto il fatto che Blaine gli avesse preparato la colazione. Aveva tra le mani un grande vassoio con due tazze e due bicchieri, fette biscottate imburrate, marmellata e uova al tegamino. Lo vide muoversi con cautela per non rovesciare il caffè e la spremuta d’arancia, fino ad adagiare il tutto sul letto e a sedersi accanto a lui.
 
“So quanto tieni alla linea, ma oggi voglio coccolarti.” Si sentì dire, mentre gli veniva passata una fetta biscottata. Kurt l’accettò di buon grado e lo baciò sulla guancia.
 
Quella non fu l’unica coccola.
Si coccolarono per tutto il weekend.
In due giorni lasciarono le braccia dell’altro e le lenzuola solo per reali e non trascurabili necessità, e anche in quei casi lo fecero con riluttanza.
Guardarono tv spazzatura mangiando cibo spazzatura – Kurt in realtà stava già progettando un programma di smaltimento delle calorie, parte del quale stava già mettendo in atto proprio con il suo ragazzo – e recuperarono tutto il tempo che avevano perso negli ultimi tre anni.
 
Parlarono, anche.
Parlarono del fatto che Blaine avesse scritto la lettera mesi prima, ma che non fosse mai riuscito a dargliela. L’ultimo tentativo risaliva al giorno dell’audizione di Kurt, quando lo aveva sorpreso fuori dal teatro con il caffè, ma per ovvi motivi aveva cambiato idea pensando non fosse il momento adatto. Poi Blaine giurò che ne avrebbe dette quattro a Sebastian per avergliela rubata dal cestino e averla consegnata a lui senza il suo permesso. Sentendo però Kurt difendere il suo acerrimo nemico, si calmò: era evidente che Sebastian doveva stranamente averlo fatto con le migliori intenzioni, e vedere Kurt così sereno al riguardo gli fece sperare, in un angolo del suo cuore, che forse i due non si sarebbero più odiati.
Kurt inoltre gli chiese perché avesse aspettato così tanto a dirgli della rottura. Blaine non potè che confessare che  fondamentalmente si era trattato di una questione di amor proprio: quando aveva appena lasciato Sebastian, si era trovato davanti Nate e invece di affrontare la situazione si era rinchiuso in sè stesso. E proprio perché lo credeva insieme a Nate, non voleva esporsi troppo dicendogli di aver lasciato Sebastian per lui. Si diede anche dell’idiota, ma Kurt capì il suo comportamento - perché aveva reagito allo stesso modo quando lo aveva visto in caffetteria insieme a Sebastian.
“Ho chiesto a Nate una mano per farti ingelosire…” confessò. “Solo ora mi rendo conto della stupidità del mio piano. Mi sembra di essere ancora al liceo!”
Blaine strinse l’abbraccio, sollevato dalla rivelazione.
“Ma non siamo più degli adolescenti” continuò Kurt, mentre con delicatezza strofinava il naso contro il suo, riempiendolo di baci da eschimese.
Blaine annuì e Kurt gli prese una mano.
“Facciamoci una promessa” esclamò con fare solenne, intrecciando le loro dita. “Non ci terremo più niente nascosto. Quando qualcosa non va, non inventeremo stupidi piani, ma ci diremo chiaramente quale sia il problema. D’ora in avanti, metteremo da parte il nostro stupido orgoglio e non scapperemo se le cose si faranno difficili – ok, questa vale soprattutto per me.” Ridacchiò e rimase in attesa.
Blaine baciò le loro mani come a sigillare il patto appena stilato.
“Promesso.”
Kurt si perse nelle iridi color nocciola che lo stavano guardando come se non esistesse altro al mondo. “Ti amo, Blaine”, si lasciò sfuggire. “Non ho mai smesso.”
E si abbandonarono di nuovo l’uno nell’altro.
 
***
 
Il lunedì mattina arrivò decisamente troppo presto.
Kurt dovette lasciare con amarezza l’appartamento di Blaine, tentato di rimanere da dei “Non andartene” e dei “Ti amo” e dei “Casa è già più vuota”. Ma Vogue lo stava aspettando e, prima di lui, anche Mr Claws.
 
Prese al volo la metro e arrivò a casa di corsa.
Era strano pensare a come il suo desiderio di fermarsi, espresso mesi prima – che sembravano più secoli – si fosse realizzato proprio quel weekend, in cui avevano tagliato fuori il mondo, il tempo e anche lo spazio, essendo già in presenza di tutto ciò di cui avevano bisogno. Tutto era stato Blaine, Kurt, Kurt e Blaine.
La sensazione era quella di essere interi di nuovo, le cicatrici delle ferite scomparse, forse addirittura mai esistite.
Si sentiva strano, perché nel giro di una settimana erano successe molte cose ed era passato da non voler aver più niente a che fare con Blaine, a non poter sopravvivere senza. Come poteva essere una cosa normale?
Come poteva essere una cosa logica?
Probabilmente l’amore era così: essere ferito e voler essere curato dalla stessa persona. Credere di potercela fare da solo ma essere felice di non esserlo. Essere uno e due insieme.
Cercava una ragione a tutto questo, ma non ne aveva bisogno. Tutto quello di cui aveva bisogno erano gli occhi di Blaine.*
 
Entrando in casa, sperò che Mr Claws non avesse distrutto l’intero arredamento in segno di protesta, ma quello che trovò fu del tutto inaspettato.
Mr Claws dormiva beatamente acciambellato sul divano e… non era solo. Un altro musetto sbucava tra i cuscini: una bellissima micetta bianca sonnecchiava adorabile accanto a lui.
Finalmente Mr Claws deve essersi deciso a usare la porticina basculante che gli abbiamo comprato!
Kurt si lasciò sfuggire un “Awwww” e poi un “E’ stato un grande weekend per noi due, non è vero?!” e ridacchiò mentre strapazzava le orecchie dei due piccioncini. “A te bisogna trovare assolutamente un nome. Appena torno, sarà la prima cosa che faremo.”
I due mici lo osservarono perplessi e non del tutto interessati mentre riempiva due ciotole e si cambiava velocemente prima di uscire di nuovo.
 
***
 
(11.53)
Oggi la lezione è coooosì noiosa. Raccontami il tuo weekend.
 

(12.02)
Seb, hai ripreso a frequentare le lezioni? Credevo preferissi studiare a casa.
 

(12.05)
Vuoi scherzare? Non sai quanti bei giovanotti aspirano a diventare avvocati. Sarebbe un peccato sprecarli.
 

(12.20)
Allora forse non dovresti perdere tempo a messaggiare con me.
Dovresti escogitare un modo per chiedere il numero a qualcuno di loro.
 

(12.24)
Da quando sei diventato tu il consulente amoroso?
 

(12.26)
Da quando il mio weekend  è stato la panna montata sulla cioccolata calda, la crema dentro il croissant appena sfornato, il cuore morbido di una caramella che si scioglie in bocca.
 

(12.39)
Non riesco a capire se siano sottili metafore sconce, o se tu sia in carenza di zuccheri.
 

(12.41)
Ecco. Hai rovinato tutto. Intendevo dire che è stato il weekend più dolce che abbia mai trascorso.
 

(12.44)
Dio, Blaine, mi verrà un attacco di carie.
Ma sono felice per te.
Ora vuoi dare al tuo migliore amico, nonché reale fautore della vostra riappacificazione, qualche particolare impudico?
Credo di averne il diritto.
 
 
(12.49)
Ciao Seb. Torna alla tua lezione.
 

(12.50)
Eddaaaai.
Sei così ingiusto.
Quando diventerò procuratore vedrò di farti processare per alto tradimento verso il tuo maestro di vita.
Evvabene.
Penso che andrò a rubare il numero a qualche matricola.
Au revoir.
 
 
***
 
Come sempre, anche quella giornata di lavoro scorse veloce.
Kurt salutò i colleghi e si avviò verso la metropolitana per tornare a  casa, impaziente di chiamare Rachel e aggiornarla sulle ultime non proprio irrilevanti novità sulla sua vita e sull’ultimo acquisto di casa HummelBerry.

Trovò un posto libero sul mezzo e le telefonò.
Rachel non fu tirchia di entusiasmo nel sentire che le cose con Blaine si erano finalmente sistemate; Kurt dovette allontanare il cellulare dall’orecchio, perché lei stava letteralmente urlando ed esultando. Era sicuro che di lì a poco si sarebbe messa a cantare dalla gioia.
“Kurt, ma è fantastico! Ora vi sposerete, e avrete tanti bambini, e vivrete per sempre felici e contenti, e tu andrai alla Nyada e lui starà a casa a fare i biscotti e-“
“Rachel, per favore! Sono in metropolitana!”
“Tesoro, voglio solo che tutti siano invidiosi di te!”
Kurt la lasciò fangirlizzare in libertà sulla sua ri-neonata storia d’amore con Blaine, aspettando che tornasse a un livello base della sua caratteristica follia. Poi le disse che in serata l’avrebbe contattata su Skype per decidere insieme il nome per l’amica di Mr Claws.
La salutò e scese dal treno.
 
Arrivato davanti al portone, controllò la posta, come aveva fatto tutti i giorni - e più volte al giorno - da quando aveva fatto l’audizione.
Credeva di aver perso le speranze. Non pensava di aver alcuna possibilità, nemmeno di essere tra i finalisti, ma non riusciva a trattenersi dal guardare nella casella ogni volta che ci passava davanti.
 
Ed eccola. Quel lunedì di fine gennaio la posta era arrivata, e con lei anche la lettera della Nyada.
Kurt smise di respirare per un attimo, immobile con la busta appena ritirata in mano.
Era curioso come ultimamente il suo destino fosse legato a fogli di carta contenuti in altrettanti involucri di carta.
 
Un’anziana signora passò di lì e, vedendolo notevolmente provato, gli chiese se stesse bene.
“Qualcosa non va, caro?”
“Non lo so.” Rispose lui. Accorgendosi però della preoccupazione della donna, che quasi aveva già digitato il 911 sul suo cellulare, si riprese e le sorrise. “Voglio dire, spero di no.” Ed entrò dal portone, lasciandola lì davanti ancora basita.
 
Chiusa la porta dietro di sé, Kurt vi si appoggiò con la schiena, per riprendersi dal colpo. Chiuse gli occhi e sospirò, per un tempo che gli parve infinito.
 
Quando sentì un dolce strofinio intorno alle sue caviglie, aprì riluttante un occhio. Mr Claws gli stava dando il bentornato a casa. La gatta bianca li osservava da lontano.
 
Salutò entrambi e poi scrisse a Blaine.
“Sei ancora in università? Puoi venire qui? E’ arrivata la risposta dalla Nyada”.
Il tempo di mordicchiarsi un labbro che Blaine gli aveva già risposto. “Dammi mezzora.”
 
Sollevato, Kurt accese il computer e contattò Rachel.
Incapace di stare fermo in un posto solo, cominciò a passeggiare freneticamente per l’appartamento con il pc al seguito.
“Ehi.”
“Rachel. Rachel, finalmente! La lettera, è arrivata la lettera della Nyada!”
“Ok, calma, niente panico. E smettila di fare avanti e indietro, o mi verrà il mal di mare!”
Kurt le lanciò un’occhiataccia alla “Non dire fesserie, non stai realmente dondolando!” ma poi si sdraiò a pancia in giù sul letto, con lo schermo davanti agli occhi.
“Aspetto che arrivi Blaine e poi la apro. Voglio che ci siate entrambi. Bontà celeste, mi verrà un infarto se non mi calmo.”
Mentre l’amica cercava di infondergli tutta la sicurezza di cui aveva bisogno, due gatti saltarono sul materasso.
“Ciao, gatto pestifero!” Rachel e Mr Claws avevano un rapporto di amore e odio che andava oltre l’immaginario comune. “E tu? Ciao!” La gatta bianca allontanò il musetto dalla webcam - spaventata dal suono della voce proveniente dalle casse.
“Dobbiamo trovarle un nome. Sembra intenzionata a restare.”
Prima che Rachel potesse rispondere, il citofono suonò.
Kurt si precipitò ad aprire a Blaine, e lo spinse in camera da letto senza neanche salutarlo.
 
La voce di Rachel salutò il nuovo arrivato, che ricambiò. Entrambi, poi, consapevoli di essere sotto lo sguardo impaziente di Kurt, si zittirono e rimasero in attesa.
 
Kurt aveva la busta in mano.
“Ci siamo.”
Prese un bel respiro.
Fissò il lato apribile della busta.
E sbottò: “Non ce la faccio!” con un gesto di frustrazione la gettò in mano a Blaine e ricominciò a girare per la stanza.
“Kurt, dovrai aprirla, prima o poi.” Gli disse lui.
“Blaine ha ragione, quest’ansia ti ucciderà”.
“Aprila tu.” Pregò Kurt.
Blaine era perplesso. Quella era una cosa che avrebbe dovuto fare lui e solo lui. “Sei sicuro?”
“Sì. Cioè no! Oh, dammi qua.” Bisognava mettere fine a quell’agonia.
Prese la busta e voltò le spalle a Blaine e a Rachel, che se avessero potuto, si sarebbero tenuti per mano.
 
Prese un altro bel respiro e strappò la carta.
 
Gentile Signor Hummel,
 
la New York Academy Of Dramatic Arts
è orgogliosa di informarla che è stato inserito nel gruppo dei finalisti.
 
L’audizione è prevista per 
mercoledì 13 Febbraio,ore 11
Sala Ovale
 
In fede, 
Carmen Tibideaux
 
 
Kurt si girò verso i suoi amici.
La sua espressione doveva essere illeggibile, perché entrambi lo stavano osservando preoccupati e in attesa di un qualche segno da parte sua.

“Sono tra i finalisti.” Sussurrò.

“SONO TRA I FINALISTI!”  

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Capitolo 12
*** Puoi scommetterci la lacca + epilogo ***


La tavola di cup of tea
No. Non può essere vero.
Siamo arrivati alla fine.E’ l’ultimo capitolo
 - per la seconda volta! 

Ho le lacrime agli occhi, ci credete?
Beh, volevo dirvi che scrivere questa storia per me non è stato solo un modo divertente per passare il tempo. Anzi, mi ha permesso di conoscere tante persone meravigliose.
Non ho idea se quelli che hanno avuto il coraggio di arrivare fino a qui siano tanti o pochi, ma quello che so è che significate il mondo, per me – passatemi il brutto italiano.
Ringrazio soprattutto chi ha recensito - mi avete reso una tazzina felice! 

E’ per questo che, per ringraziarvi tutti, vi invito al mio tea party virtuale.
Vi adoro tutti, dal primo all’ultimo.


 
 
 
P.s. Esiste una one shot di Distance, dal punto di vista di Sebastian… la trovate tra le mie fic!
 


 
“PUOI SCOMMETTERCI LA LACCA”
OVVERO IL CAPITOLO 12 DI QUESTA STORIA
 
 




 
“Falling slowly, eyes that know me
And I can't go back
Moods that take me and erase me
And I'm painted black
You have suffered enough
And warred with yourself
It's time that you won”

(Glen Hansard and Markéta Irglová – Falling Slowly)
 
 


 
Se l’euforia per aver superato la prima audizione per l’accademia dei suoi sogni fu incontenibile per ancora molte ore dalla lettura della lettera, l’angoscia che provò alla realizzazione che il tredici febbraio non era affatto lontano colpì violentemente Kurt come un fiume in piena.

“Due settimane! Capisci?!”

“Kurt, calmati. Hai tutto il tempo per prepararti al meglio.” Blaine era seduto a gambe incrociate sul letto del suo ragazzo e lo stava guardando agitarsi e fare avanti e indietro per la stanza come una trottola, rimbalzando prima contro l’angolo del comò e poi inciampando in Mr Claws che soffiò, decisamente irritato.

“Tutto il tempo?! Vuoi scherzare?! Sai quanto tempo ho dedicato alla preparazione di Le Jazz Hot?! Mesi! Anni, se consideri anche le prove al liceo!” La sua voce aumentava di tono ad ogni parola, raggiungendo note talmente acute che Blaine si chiese come fosse possibile che i vetri delle finestre non fossero ancora andati in mille pezzi. Ovviamente si guardò bene dall’esprimere il suo dubbio ad alta voce, onde evitare di aggravare la tensione.

“Avanti, vedrai che troveremo qualcosa nel tuo repertorio…”

“Blaine, tesoro – Kurt si lanciò sul letto e gattonò fino a due centimetri dal viso di Blaine, che teneva il mento appoggiato sui due pugni – tu non capisci. Da questo provino dipende il mio futuro e la considerazione che ho di me stesso. Non può assolutamente andare male, non ora che mi manca tanto cos- e smettila di ridacchiare! Cosa c’è di così divertente?!” Kurt cercò di tirarsi su per mettersi in ginocchio, ma qualcosa era appena saltato sulla sua schiena.

“Scusami – Blaine continuava a sghignazzare – ma Mr Claws ti ha appena fatto un agguato e tu non te ne sei neanche accorto!” Senza smettere di ridere, Blaine prese il gattone e lo lasciò andare sul pavimento, dove la micetta bianca ancora senza nome lo stava aspettando. Finalmente liberato, Kurt si sdraiò teatralmente come una sirenetta sugli scogli, perché era fermamente convinto che una posizione del genere conferisse la giusta quantità di dramma per dimostrare la sua disperazione e frustrazione. Come poteva il suo ragazzo pensare al gatto in un momento del genere?! Si sarebbe anche toccato la fronte con il dorso della mano su cui non era appoggiato, per essere sicuro che il suo stato d’animo fosse inequivocabile, ma Blaine lo precedette prendendola tra le sue.

“Kurt,” gli disse, “andrà tutto bene. Te lo prometto.” Provò a dargli un bacio, ma Kurt stava già cavalcando l’onda di un nuovo pensiero ed era rotolato giù dal letto, riprendendo ad andare di qua e di là.

“Ho trovato! Oh sì, è perfetto! Decisamente perfetto!” Si riavvicinò a Blaine e gli stampò un bel bacio sulla guancia, prima di chiedergli solennemente: “Blaine Warbler, vuoi preparare un duetto per la Nyada con me?”

Lo stupore sul viso del suo ragazzo era tanto evidente quanto il suo uso sconsiderato di gel. “Io… Kurt, è la tua audizione… non credo sia una buona idea…”

Kurt impallidì. “Non- non vuoi duettare con me?” Era già agitato come il cielo il quattro di luglio, ora ci mancava solo quel rifiuto.

“Kurt, andiamo, sai che non è perché non voglia. Io amo duettare con te, ma-“

“E allora qual è il problema?! Le nostre voci insieme sono sempre esplosive!” Kurt sentì la speranza divampare di nuovo.

“Sono d’accordo. E te lo dissi proprio io prima che cantassimo Candles alle Regionali… e, ricordi? Abbiamo perso.”

“Ovvio, le Nuove Direzioni si esibivano con canzoni originali, e  quella è stata l’unica ragione per cui possano aver vinto contro di noi… o forse è stata la scelta di cantare una canzone che parla di due che si mollano durante un black out a non essere stata opportuna… ancora mi chiedo come ti fosse venuta.”

“Eddai, tu volevi sapere che canzone avremmo cantato, mentre io morivo dalla voglia di baciarti. E’ stata la prima che mi è venuta in mente e l’ho buttata lì.” Blaine si finse un po’ offeso solo per farsi abbracciare.

“D’accordo, ti perdono per quella tua caduta di stile solo se duetterai con me il 13.” Kurt fece appello a tutte le sue doti seduttive – ormai ben più efficaci di quelle di un cucciolo di pinguino – ma non servì a niente, perché Blaine rifiutò di nuovo.

“Kurt, me lo stai chiedendo solo perché al momento sei spaventato a morte. Sono sicuro che a mente lucida la  penseresti come me, e cioè che questa è la tua battaglia. Tu devi farcela. Tu devi fargli vedere chi sei, e devi farlo da solo. Io, puoi starne certo, sarò nel pubblico e ti guarderò trionfare, perchè sono sicuro che ce la farai. Convincitene anche tu.” I suoi occhi profondi color nocciola avrebbero convinto anche un muro e Kurt finalmente smise di insistere. Si accomodò meglio accanto a Blaine  e dopo qualche attimo di silenzio gli disse un semplice e sincero “Grazie di essere qui”.

Blaine gli accarezzò una guancia con dolcezza e rimasero così per un po’, cullati dalle fusa dei mici. Blaine intanto rifletteva. Voleva davvero aiutare Kurt, ma non poteva farlo duettando con lui. Doveva trovare un altro modo. Ma quale?

L’unica conclusione a cui giunse quel pomeriggio fu che non fosse salutare per Kurt continuare a rimuginare. Doveva uscire all’aria aperta e pensare ad altro o la testa gli sarebbe scoppiata, perciò gli propose: “Usciamo, Kurt. Ti offro un gelato.”

Intanto gli sarebbe venuto in mente qualcosa di meglio.
 
***
 
Quando ci si prepara per una qualsiasi forma di test, si instaura con la data fatidica una certa forma di Sindrome di Stoccolma. Odi quel giorno con tutto te stesso, ma lo aspetti e non vedi l’ora che arrivi, così da mettere fine alle torture.

Kurt aveva passato le due settimane precedenti all’audizione dividendosi tra Blaine, il lavoro, i gatti e le prove. Aveva scelto la canzone da solo e si era rifiutato di rivelare quale fosse, come forma di scaramanzia.
Persino lui si era meravigliato della scelta, trattandosi di qualcosa di completamente fuori non solo dal suo repertorio, ma proprio dai suoi gusti personali. Eppure il testo l’aveva colpito in modo particolare e gli era sembrato perfetto, visto quello che lui e Blaine avevano passato da quel giorno al negozio di spartiti.

Il 13 poi era arrivato e ora si trovava esattamente dietro le quinte della Sala Ovale.
Niente costume, niente trucco. Solo lui, al naturale. E con la stessa sensazione del mese prima di essere vecchio come un maglione infeltrito.

Ashley, che era stata anche lei inclusa tra i finalisti, sbirciava il pubblico tra le pieghe del sipario delle quinte, mentre sul palco i primi aspiranti studenti si stavano esibendo e venivano giudicati dalla Tibideaux.

“AAAAAAH!!! Kurt! Kuuurt!”

“Shhh non urlare! Non vorrai far infuriare Carmen!” Kurt le tappò la bocca.

“Bbbah wee recelll mewwwi!” mugolò lei.

“Cosa?!” liberò la bocca della ragazza quel poco che le bastasse per articolare i suoni.

“C’è Rachel! Rachel Berry!! Nel pubblico!”

“Cosa?!” ripetè Kurt, ma questa volta non perchè non avesse capito. Non poteva essere. Rachel era davvero lì?! Si precipitò dove prima si era messa Ashley e sbirciò. Il pubblico era al buio, ma era illuminato quel tanto che bastava per riconoscere i volti di chi era seduto nelle prime file.

E Rachel era lì, accanto a Blaine.

Le due persone più importanti della sua vita erano lì a sostenerlo.

Sentì le lacrime pungergli gli occhi per la commozione, ma le respinse.

Non poteva fallire.

Ce l’avrebbe fatta.



“KURT ELIZABETH HUMMEL” la Tibideaux riusciva sempre a fargli tremare le ginocchia.

“Dai, Kurt.” Ashley gli sorrise incoraggiante e lui uscì sul palcoscenico.
Il silenzio in cui fu inglobato era quasi opprimente e riusciva a sentire ogni singolo battito del suo cuore che aumentava di velocità.

TU-TUM. Prendi un bel respiro.
TU-TUM. TU-TUM. Coraggio, non hai dimenticato come si fa.
TUTUMTUTUMTUTUM. Ora o mai più.

“Sono Kurt Hummel e dedico questa canzone all’amore della mia vita.” Solo dopo si rese conto che forse una dichiarazione del genere era inopportuna da fare di fronte ad un’insegnante lì per giudicarlo. Un po’ come il bacio tra Rachel e Finn alle Nazionali al terzo anno. Beh, ormai.

La musica partì e Kurt cominciò a cantare, sentendo ogni parola nascere dal suo cuore.
 
I don't mean to run
But everytime you come around
I feel more alive, than ever

 
Guardò Blaine negli occhi e fu felice di trovarli già ad aspettare i suoi. Gli tremavano ancora le gambe, ma le ignorò.
 
And I guess it's too much
Maybe we're too young
And I don't even know what’s real
But I Know I've never
Wanted anything so bad
I've never wanted anyone so bad

 
Era vero: Kurt non voleva altro che non fosse Blaine. Forse persino la Nyada perdeva importanza se avesse dovuto metterla sulla bilancia e sarebbe stato felice comunque anche se malauguratamente non fosse andata bene. Dal momento che Blaine sarebbe rimasto con lui, tutto si sarebbe sistemato. Probabilmente era per quello che si era lasciato andare alla dedica. Perché voleva farglielo sapere.
Vide il suo ragazzo guardarlo rapito e mangiucchiarsi le unghie per la tensione.

 
If I let you love me
Be the one adored
Would you go all the way
Be the one I'm looking for
(If I say It’s ok You can stay)

 
Si sarebbe lasciato amare per tutta la vita. Ora non aveva più paura.

 
Help me come back down
From high above the clouds
You know I’m suffocating, But I blame this town
Why do I deny
The things that burn inside,
Down deep I'm barley breathing
But you just see a smile
 
Lo aveva negato a se stesso per fin troppo tempo, Blaine era tutto ciò di cui aveva bisogno e l’unico che sarebbe stato in grado di amare. Si diede dell’idiota per aver cercato scuse inutili per tenerlo lontano. E, di nuovo, voleva farglielo sapere.

 
And I don't wanna let this go
Really I just want to know

If I let you love me
Be the one adored
Would you go all the way
Be the one I'm looking for
If I let you love me
Be the one adored
Would you go all the way
 
Be the One I'm looking for
 
Lasciò andare le lacrime solo a quell’ultimo ritornello e solo perchè non resistette alla vista di quelle di Blaine. Era completamente commosso e Rachel gli stava tenendo la mano, mentre sorrideva a Kurt.
Kurt chiuse gli occhi e aspettò che la musica finisse.
“Bene signor Hummel.” Esordì la Tibideaux. Ci siamo.
“Noto con piacere che ha smesso di propormi esibizioni condite di payettes e cigni. Finalmente ha smesso di mostrarmi solo la sua superficie. Qui alla Nyada istruiamo artisti, performers che non hanno paura di mostrare la loro vulnerabilità e il loro cuore. Questo è proprio ciò che ho visto oggi, e questo è ciò che esigerò da lei fin dal primo giorno di lezione. Benvenuto alla Nyada, signor Hummel.”
Oddio. Sono campane quelle che sento? Cori angelici?!
Ce l’ho fatta. Bontà Celeste, ce l’ho fatta!
Santo Alexander McQueen, appena arrivo a casa devo farti un altarino!

 “Signor Hummel?” lo incalzò la Tibideux.

“Cosa? Oh, sì certo! Grazie Madame Tibideaux – si inchinò – grazie, non se ne pentirà!” Era completamente entrato in un mondo parallelo e dovette impegnarsi per ricordare come muovere le gambe per lasciare il palco o come chiudere la bocca dopo aver ringraziato. Ma continuava a sorridere come un ebete.

Rachel e Blaine nel frattempo erano corsi dietro le quinte e poi sul palco per portarlo via, mentre Ashley veniva chiamata per esibirsi.

“O mio Dio, Kurt! Ce l’hai fatta!”

“Rachel, oh sei qui! Sei venuta! Non posso crederci!” Kurt l’abbracciò forte come se non volesse mai più lasciarla andare.

“Certo che sono venuta! Un certo Usignolo mi ha detto ora e luogo e io sono volata qui. Per una volta il teatro potrà fare a meno di me!” Rise lei.

 Kurt la baciò su una guancia e la lasciò andare per rivolgersi a Blaine che era in attesa del suo turno. Kurt non gli aveva più permesso di partecipare alle prove per il provino – e solo ora capiva il perché – così, l’unico sistema che aveva trovato per aiutare il suo ragazzo era quello di riportargli a casa la sua migliore amica. Si sentì circondare dalle braccia di Kurt, e gli vennero di nuovo gli occhi lucidi. “Pensavi davvero a ciò che cantavi?” chiese contro il suo petto.

“Ogni singola parola.” Gli rispose Kurt, staccandosi da lui solo per guardarlo bene. “Ti amo, Blaine Anderson. Da questo momento non voglio più separarmi da te.” Blaine sentì le labbra di Kurt premere gentilmente sulle sue e mai come in quel momento si sentì veramente vicino a lui. Non si sarebbero mai più separati, poteva scommetterci la lacca.

In tutto questo, Rachel non poté che farsi sfuggire un “Awwwww!” sognante.
Risero tutti e tre e poi, su richiesta di Kurt, ascoltarono la fine dell’esibizione di Ashley.

Purtroppo, la Tibideaux la ritenne ancora troppo acerba per la Nyada, perciò si vide costretta a respingerla.
Quando la ragazzina ritornò dietro le quinte in lacrime, Kurt le corse incontro per abbracciarla e confortarla.

“Ashley, non devi mollare, mi hai capito? Conosco più di una persona che ha dovuto fare qualche tentativo prima di riuscire a entrare. Una di loro ora è la leggenda di questa accademia e presto anche di Broadway. L’altra ce l’hai davanti. Ce la farai, ok?”

“Ok”, singhiozzò lei.

“Vieni, devo presentarti una persona.” La trascinò dai suoi amici.

“Ashley Pevensie, ti presento Rachel Barbra Berry, la migliore amica che si possa desiderare, nonché il tuo mito vivente.”

Tra urletti e salti, per Rachel e Ashley fu come guardarsi allo specchio. Due gemelle separate alla nascita. Non c’è bisogno di dire che si piacquero subito, anche se Rachel dovette soffocare il pensiero che di come lei ce n’era una sola.
 
Kurt guardò Blaine.
Vide il suo sorriso spontaneo.
Vide i suoi occhi teneri e rassicuranti.
Vide il loro futuro.

Finalmente tutto sarebbe andato come doveva andare.

 
***

 
EPILOGO

 
Le settimane successive furono alquanto frenetiche per Kurt.
Dovette preparare i documenti di iscrizione per la Nyada, perché stava per iniziare il secondo quadrimestre e come nuovo studente poteva già cominciare a frequentare i corsi.
A Vogue.com dovette pregare Isabelle di modificare lievemente i turni per non farli coincidere con le lezioni, e grazie a chissà quale coincidenza astrale riuscirono a far incastrare tutto.
Infine, dovette aggiornare parenti e amici delle novità - e quella fu la parte più impegnativa, lunga e snervante.
 
Anche per Blaine le cose stavano andando decisamente alla grande. Aveva ricevuto un’offerta di lavoro per insegnare musica in un corso extracurricolare ai bambini di una scuola elementare, e il fatto che non fosse ancora laureato non sembrava essere un problema.

Proprio per questi nuovi impegni e i nuovi orari a cui dovevano fare fronte, avevano deciso insieme di alternarsi a dormire una volta da uno e una volta dall’altro. Kurt si portava i gatti appresso quando andava da Blaine e Blaine aveva cominciato a lasciare la sua chitarra da Kurt quando sapeva che avrebbe dovuto lavorare il giorno dopo.

La ripetitività della loro vita quotidiana era diventata dolce e rassicurante.
 
Un giorno, mentre sistemava casa, Kurt si rese conto che la micetta bianca non aveva ancora saputo il suo nome.
Rachel era dovuta partire al volo il giorno successivo alla sua audizione e non avevano fatto in tempo a deciderlo.

(15.12)
Rach, che ne dici di chiamarla Mrs Claws?

(15.15)
Banaaaaaaale.

(15.17)
Proponi qualcosa tu, allora.

(15.30)
Uhm, pensavo a qualcosa come Hope, speranza.
(17.00)
Kurt?
 
(22.15)
Matrimonio.
 
(22.16)
Ok, ok. Se proprio ci tieni. Sposeremo Mr Claws e lei, che diventerà Mrs Hope Claws, per quanto suoni male.
 
(22.19)
No, Rach. Non hai capito.
Io mi sposo.
 
(22.22)
Scusa, cosa?!
 
(22.25)
Blaine, lui… è venuto qui, con fiori e cioccolatini e mi ha rapito. “Sposami”, ha detto. E io ho detto “Sì”.
 
 
 
 
 
Ovviamente, riferimenti alla seconda stagione e alla terza e le parole della Tibideaux sono prese dalla 4x09.
La canzone che Kurt canta all’audizione è “Adore” dei Paramore. Lo so, del tutto fuori dai suoi gusti. Ma è una bella canzone, piuttosto melodica, e penso ci stia bene :)
 
Un bacio, vi adoro! <3

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