Servitus

di Larryx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Servi sunt, immo homines ***
Capitolo 2: *** Servi sunt, immo contubernales ***
Capitolo 3: *** Servi sunt, immo humiles amicis ***
Capitolo 4: *** Servi sunt, immo conservi ***
Capitolo 5: *** Libertas ***



Capitolo 1
*** Servi sunt, immo homines ***




Il destino è crudele con molti di noi.
Al giorno d'oggi, nel Sacro Impero Romano, c'è chi vive nell'aristocrazia, si preoccupa di ciò che la gente può pensare, di ciò che deve indossare durante una serata mondana, alla corte del re Carlo Magno.
Poi ci siamo noi, servi e schiavi, con i corpi completamente devastati e privi del nutrimento adeguato, trattati come se fossimo degli oggetti parlanti, semplici utensili dotati d'anima, con l'unico scopo di servire il proprio padrone.

Ecco chi sono io: Geta, un povero ragazzo nato nel braccio della schiavitù; condannato, sebbene io non abbia fatto nulla di male.

Oh, padrone, la vita è così crudele, ma voi lo siete ancora di più

Io, diciassettenne strappato dall'abbraccio caldo di mia madre, anch'ella schiava, alla tenera età di tre anni, sono qui, in piedi, ai lati di un tavolo colmo di leccornie che non potrò nemmeno sfiorare.

Servi sumus, immo homines1, perché ci fate questo?


Mi dite che sono il più bello, che devo partecipare al banchetto.
E io ubbidisco. Resto qui, immobile, a osservare voi, ricchi prepotenti, che vi riempite lo stomaco fino a scoppiare, sdegnando il nostro stato di poveri e affamati.
Il banchetto prosegue, mio signore, il cibo è di vostro gradimento, lo capisco dalle risate incessanti che infestano l'aria.
Non resisto, padrone, perdonatemi.
Uno starnuto prende il sopravvento, echeggia nel silenzio che si è creato. Voi alzate lo sguardo fino a incontrare il mio, siete adirato.
Mi sgridate, mi frustate fino a farmi sanguinare le braccia, che uso per proteggermi il volto, mi dite che la mia punizione arriverà molto presto.
Non lo metto in dubbio.

La vita è così amara.


Ed eccomi qua, solo, nudo nel mezzo della notte, costretto a stare in piedi, senza poter riposare, senza poter riscaldarmi.
Potrei morire qui e non importerebbe a nessuno.
Le membra tremano per via del vento impetuoso che accarezza la mia pelle, i denti fanno rumore sbattendo tra di loro. Spero che lui non se ne accorga.
Le ferite delle frustate sono ancora lì, il sangue sgorga copioso, lo sento: è così caldo, scivola lungo il braccio, s'infila tra le mie dita e, goccia dopo goccia, cade al suolo.
Ho macchiato il pavimento. Quel rosso cremisi proveniente dal mio corpo indegno è sparso su tutta la superficie sulla quale poggiano i miei piedi.
Le forze mi stanno abbandonando, il freddo intorpidisce le mie gambe.


Devo resistere, devo farcela.




 

Note:
  1. Servi sumus, immo homines: in latino significa “Siamo servi, quindi uomini”. È una citazione leggermente modificata dell'Epistulæ ad Lucilium scritta da Seneca al suo amico Lucilio, nella quale elogiava l'amico perché egli trattava gli schiavi come membri della sua famiglia. Nell'originale, la citazione è “Servi sunt, immo homines”- “Sono schiavi, quindi uomini”.

Tutti i titoli delle flash – apparte l'ultimo – sono tratti da quest' “opera”.

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Capitolo 2
*** Servi sunt, immo contubernales ***


Io sopravviverò.

I giorni passano, ma la mia condizione di schiavo non passerà mai.

La mia mansione è cambiata, oramai.
Sono l'addetto alle provviste, devo cercare da mangiare, indovinare i gusti del mio padrone, evitare cose che non gli piacerebbero.
Nessuno ha voglia di altre frustate, tantomeno io.

Con un cesto alla mano, parto alla ricerca di qualcosa di commestibile, evitando funghi che non saprei riconoscere.
Non vorrei sbagliare specie, non sono abbastanza colto da poter prendere una decisione di tale peso.

Mentre mi aggiro nei campi coltivati la vedo.
Bella come il sole, con un vestito logorato dal tempo e i lunghi capelli neri raccolti sotto una cuffia, intenta a raccogliere ciò che aveva seminato qualche mese prima.
Mi lascio trasportare da quella visione così angelica, sento un calore indescrivibile dentro al mio cuore.
Il tuo canto mi raggiunge e la tua voce s'insinua nella mia mente.
Cosa mi succede?
Quanto vorrei che qualcuno me lo spiegasse.
Forse Amore1 ha deciso che questo è il mio momento, forse il buon dio ha deciso di scagliare una freccia benevola contro questo povero ragazzo malandato.

Chiudo gli occhi, il vento mi carezza il viso scompigliandomi i capelli, inalo l'odore dell'erba fresca e sospiro.
Quando li riapro, lei non c'è più.

Oh, Aelia, mia cara, sebbene io ti osservi in lontananza, sappi che io sono qui, solo per te.
Spero tu possa notarmi al più presto.
Intanto mi affretto a raccogliere erbe, verdure e legumi per la cena del nostro signore.

Preghiamo insieme per la nostra salvezza e per un futuro più limpido.

Ho deciso: scapperò e tu verrai via con me.




Note:

  1. Amore: s'intende il dio dell'amore, Cupido, pertanto va scritto con la lettera maiuscola.
  2. Servi sunt, immo contubernales: traduzione Sono schiavi, quindi compagni di tenda/coinquilini”.

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Capitolo 3
*** Servi sunt, immo humiles amicis ***


Sventrare gli uccelli, che terribile lavoro.
Il peggio è che voi, padrone, vi divertite a vedermi far ciò.
Afferrò uno dei volatili da voi prescelto, esso svolazza ancora, cercando di scappare, ma la mia presa è più salda che mai, non ha scampo.


Lo poggio sul piano di lavoro, afferro una lama affilata, chiudo gli occhi, trattengo il fiato e, con un colpo secco, gli stacco la testa.
Riprendo a respirare affannosamente, ho paura di aprire gli occhi, so bene che il sangue di quella povera bestia sarà sparso ovunque. Sollevo leggermente la palpebra destra, disgustato.

Allento la presa sul collo dell'animale e inizio a spennarlo per bene.
Gli dei non vogliano che il padrone trovi una piuma mentre sta banchettando!
Ne strappo una alla volta, per poi iniziare a farlo più velocemente, con una foga decisamente maggiore.

Ora la bestia è completamente nuda, priva del suo manto del quale, probabilmente, andava molto fiera.
Osservo l'ammasso di piume ammucchiato al suolo, mischiato con la polvere e il sangue.
Prendo un respiro profondo e riafferro quella lama già insanguinata.
Essa penetra lentamente nella carcassa del volatile per poi scivolare sempre più giù, creando uno squarcio che mi permetterà, poi, di prelevare le interiora.
Allargo la fessura, trattenendo un conato di vomito.
Chiudo nuovamente gli occhi.
Non vorrei farlo.

È così crudele.

 

Infilo la mano in quell'ammasso di organi appartenenti a un essere che, solo qualche minuto prima, respirava e viveva proprio come me.
È tutto così caldo e viscido.
Tiro fuori quanto più riesco a tirare per poi tagliare con il coltello i vincoli che legano gli organi alla carcassa.
Potrei svenire.


Continuo a lavorare, sebbene ciò che faccio non mi renda felice e, una volta concluso il tutto, passo il cadavere, ancora caldo, a un altro schiavo, più anziano di me, che ha il compito di cuocerlo.
Torno sul piano di lavoro e inizio a pulirlo.
Delle lacrime iniziano a rigarmi il volto, esse sono silenziose, non dovranno essere viste né udite da nessun altro. Ma una mano gentile mi sfiora il volto, asciugando le mie gote ricoperte da una peluria ispida. Rabbrividisco a quel tocco per poi alzare lo sguardo e incrociare il suo.
È lei, Aelia, e mi sorride amorevolmente.
Un coraggio improvviso mi assale e, certo di non esser visto da nessuno, la stringo tra le mie braccia, abbandonandomi al pianto.



La vita è così dura.



Note:
 

  1. Servi sunt, immo humiles amicis: traduzione “Sono schiavi, quindi umili amici”.

 

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Capitolo 4
*** Servi sunt, immo conservi ***


La luna illumina la notte, la cena è ormai finita, gli invitati tornano alle proprie dimore.
Mi appresto a raccogliere gli avanzi da conservare nella dispensa, mi chino al suolo e afferro un pezzo di carne finito sotto il tavolo in qualche misterioso modo.
Adocchio qualcosa di luccicante sotto la sedia del padrone e la raccolgo.

Un anello d'oro, nel quale sono incastonate due pietre: una verde e una blu.
Mi chiedo se hanno un valore, se il padrone ha buttato quel gioiello perché stanco o se l'ha semplicemente perso.
Non faccio in tempo ad alzarmi che qualcuno mi afferra violentemente il polso della mano che teneva l'anello.
Senza lamentarmi, mi giro lentamente, fino a incontrare lo sguardo del mio signore. Non ho mai visto tanta malizia in un'iride umana.
Deglutisco silenziosamente, schiudo le labbra e cerco di giustificare il mio gesto.
Ho paura che possa pensare che io abbia preso l'anello per tenerlo per me.
Ma non è per questo che mi ha bloccato.
Mi dice che il momento di scontare il prezzo della mia bellezza è arrivato per poi chiedermi se voglio seguirlo in camera da letto; so bene cosa significhi: devo accettare.
Se non lo faccio, mi ucciderà.

Mi dà delle stoffe e m'indica una stanza, dicendo di andarmi a cambiare.
Annuisco e corro nel luogo indicatomi per seguire gli ordini.
Ho paura.

Spiego quei tessuti e, con orrore, trovo degli abiti da donna: un vestito lungo e rosso, pieno di merletti e bordature raffinate, un corsetto sul quale sono stati ricamati degli ornamenti eleganti, lana per imbottirlo e altri addobbi.
Mi vesto con riluttanza ed esco fuori dalla stanza guardando il pavimento.
Non voglio incontrare lo sguardo dei miei compari schiavi, mi vergogno.
Il padrone ride di gusto, mi afferra per un braccio e mi porta nella sua camera da letto.
Resto immobile, mentre lui gira attorno alla mia figura con fare sospetto, non riesco ancora a trovare il coraggio di guardare in alto, sento gli occhi bruciare; voglio gridare, ma non posso.

Ed eccolo, si avvicina a me, mi solleva il volto con una mano, stringendo forte la mia mandibola. Lo guardo negli occhi per poi distogliere subito lo sguardo.
Lui non sembra farci caso.
Con foga, s'impossessa delle mie labbra e insinua la sua sudicia lingua nella mia bocca.
Niente ha mai avuto un sapore più orrido di questa saliva.
Mi spinge con forza verso il letto, inciampo e cado sul soffice materasso, ma non ho tempo di godere della morbidezza del tessuto che lui si stende sopra di me e ricomincia a giocare con le mie labbra.
Non posso far nulla, sono inerme.

Mi sfila il vestito, non oppongo resistenza, dopotutto ha avuto il mio consenso. Ride.
Non mi toglie il corsetto, troppo eccitato da quell'imbottitura che, altrimenti, non esisterebbe.

E la mia purezza svanisce in un soffio.

Non posso evitarlo, devo obbedire.
Le lacrime bagnano il mio volto, mentre eseguo il lavoro più disgustoso del mondo.

Voglio vomitare, mi sento male.


Tutto questo non ha alcuna logica.


 

Note: 
  1. Servi sunt, immo conservi: “Sono schiavi, quindi compagni di schiavitù”. La “schiavitù” della quale si parla è quella della lussuria. L'uomo è schiavo del piacere carnale. In questo il padrone è “compagno di schiavitù” di Geta.

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Capitolo 5
*** Libertas ***


Il mio momento è arrivato.
Diciassette anni di tormento sono stati abbastanza, è il momento di fuggire.
Mentre tutti in casa dormono, silenziosamente vado nella dispensa e avvolgo quanto più cibo riesco a racimolare in un pezzo di stoffa che poi infilo nei miei vestiti.

Prendo un lungo sorso d'acqua, ne troverò sicuramente altra per strada.
Raccolgo i miei indumenti, una maglietta sudicia e un paio di pantaloni che non mi appartengono, e corro fuori dal podere, senza far alcun rumore.
Sto cercando la mia bella.

Sorride nel sonno, è così graziosa.
Gentilmente la sveglio, mi guarda incuriosita, senza distogliere il riso dal suo volto, e mi chiede cosa sta succedendo.
Le spiego il tutto e lei, seria, annuisce.
Prepara l'occorrente per il viaggio e mi prende per mano, pronta a partire.

Usciamo all'aria aperta. Ormai è quasi l'alba, il sole sta sorgendo.
Il cielo è tinto dalle più svariate sfumature d'arancio. È tutto così romantico.

Convinti di non essere visti, corriamo verso i confini di quel terreno, in cerca della nostra libertà.
Usciamo fuori da quella nostra prigione e iniziamo a ridere, entusiasti di ciò che abbiamo raggiunto.

La libertà ha un così dolce sapore.

Non ci accorgiamo che qualcuno ci ha inseguiti, non ci rendiamo conto di ciò che sta per accadere.
Ci baciamo dolcemente sulle labbra, fino a farci trasportare dal dolce impeto del nostro amore.
Chiudiamo gli occhi per assaporare il momento al meglio e questo gesto ci è fatale.

Uno dei miei compagni di schiavitù mi afferra per le spalle e mi allontana dalla mia amata. Mi sussurra che gli dispiace, che deve ubbidire.

Non capisco cosa stia succedendo, urlo il suo nome, cerco di divincolarmi, ma lui è troppo forte.

Sento un riso familiare. Mi giro e lo vedo: il nostro padrone. Corre da lei, la fa alzare e, con fare malizioso, le lecca una guancia. I miei occhi, inorriditi, sono costretti a guardare quella scena disgustosa.

Lei gli sputa in un occhio, lui si pulisce, con fare disgustato.
Fruga nei suoi pantaloni e tira fuori un pugnale.
Lo alza il aria, esso riflette la luce del sole per poi affondare nel petto della mia bella.

Non riesco a liberarmi. Vorrei tanto farlo.

Il sangue ricopre l'erba sulla quale si è compiuto il delitto, lei giace a terra, mentre realizza ciò che è appena accaduto prima di spirare.

Urlo, piango, mi dimeno.

Mi lasciano andare e riesco ad avvicinarmi a lei, afferro la sua mano e me la porto al volto, iniziando a singhiozzare.

Lui si avvicina a me, silenzioso, e mi accoltella alle spalle. Provo un dolore lancinante. Mi accascio sul corpo morbido e puro della ragazza che ho amato nel corso della mia breve vita.

Un'ultima lacrima amara mi accarezza la guancia, un sorriso mi si dipinge sul volto.

Prima di abbandonarmi al caloroso quanto orrido abbraccio della morte, realizzo che ce l'ho fatta: ho finalmente conquistato la libertà.

Non dovrò più sottostare ai suoi ordini.

Colui che era il mio padrone abbandona i nostri corpi l'uno affianco all'altro, chiudo gli occhi e stringo più forte la presa sulla mano di Aelia, pronto a passare l'eternità al suo fianco.

Non sono più uno schiavo, ora posso morire da uomo libero.




Note: 

  1. Libertas: Libertà

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