Fragili resti

di Daisy Ross
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fratello - Sirius, Remus ***
Capitolo 2: *** Vuota - Marlene ***



Capitolo 1
*** Fratello - Sirius, Remus ***


I.
Fratello
{Sirius, Remus}
 
 



(Agosto, 1978)
 
 L’estate era venuta e passata pigramente, snocciolandosi tra lunghi pomeriggi nostalgici e qualche scorcio di ciel sereno, che di tanto in tanto si era sostituito al tipico paesaggio uggioso londinese.
Il ragazzo con i capelli scuri se ne stava malamente sdraiato su una panchina del parco, con un braccio dietro la testa, l’altro a tenere in mano la sigaretta e un’espressione frustrata che gli deformava il volto.

«Non devi andare per forza.»

Sirius alzò lo sguardo. Remus era in piedi, la schiena poggiata contro un albero e lo sguardo dritto verso di lui. Aveva quel suo particolare modo di fare, Remus, nel dire le cose così direttamente, così sinceramente, che spesso finiva per spiazzarti. Sirius lo conosceva da tanti anni – insieme ne avevano passate di tutti i colori -, eppure, contro quelle occhiate che al contempo riuscivano ad essere giudicatrici e comprensive, ancora non riusciva a combattere. Ed ogni singola volta che lo faceva, Sirius si sentiva di nuovo come un ragazzino del primo anno, minuto e impaurito che, dopo l'ennesima bravata, moriva di terrore sotto lo sguardo glaciale di un professore. Hogwarts sembrava così lontana, ora…

«Invece sì. Sai che è così.»

Remus sbuffò. «Quasi mi manca il tuo lato irresponsabile.»

«Questa devi metterla per iscritto» rise lui. Poi si scambiarono un altro sguardo: ed era deciso. Sapevano entrambi qual era la cosa giusta da fare.

«E’ tutto okay, amico» ribadì Sirius per la centesima volta, al che Remus annuì soltanto, conscio che non era lui quello da convincere. «Sarà una passeggiata.»

«Sai che se qualcosa dovesse andare storto, io e James saremo al tuo fianco in qualunque momento, giusto?»

Sul volto di Sirius spuntò un mezzo sorriso. «Smettila di fare la mammina premurosa.» Sospirò, prendendo un altro tiro dalla sigaretta. Poi aggiunse: «Lo so.»

«Bene» decretò Remus, che non aveva più tanta voglia di scherzare.

Non appena l’amico tornò a fissare il cielo, una distesa infinita d’azzurro sopra di loro, Remus si concesse di pronunciare le parole che si era conservato fino ad allora, proprio per quell’esatto momento. «Regulus ti darà ascolto, Pad. Lo farà. Tu sei suo fratello…»

«No» ribatté precipitosamente lui, scuotendo la testa, «non proprio. Non ci parliamo dalla scorsa estate.»
Gettò ciò che rimaneva della sigaretta nell’erba sottostante, guardando torvo un bambino che, poco più in là, stava spingendo una ragazzina per prendergli l’altalena.

«Perché non avete ancora avuto il coraggio di discuterne» commentò pacatamente Remus.

«Perché lui è un’idiota, ecco perché.»

Remus lo fissò. Conosceva Sirius fin troppo bene, e sapeva che, non appena si metteva in testa qualcosa, era pressoché impossibile farlo tornare sui propri passi. Inoltre quando si parlava della sua famiglia diventava immediatamente intrattabile, arrivava a dare in escandescenze ad un livello di irascibilità paragonabile a quello di una Lily quindicenne che inveiva contro James.
Era anche abbastanza discreto da riconoscere quale fosse il momento adatto per dargli consigli, e quale invece quello per rimanere in silenzio, attendendo che l’amico prendesse l’iniziativa. E difatti questi, dopo soli pochi minuti, così fece.

«E’ che fa tutto schifo, capisci?» sbraitò, curvando le labbra in una risata spenta, tetra, simile a un latrato. «Fa tutto dannatamente schifo. Non basta un’accidenti di guerra, giusto? No, deve mettercisi anche lui, ad andarsene in giro con quegli psicopatici assassini, con quelle sue dannate idee razziste e la mania del sangue puro.» Sputò a terra, serrando per un secondo gli occhi. Faceva sempre così quando voleva schiarirsi le idee. In qualche modo, l’oscurità del non vedere nulla, gli faceva vedere tutto in modo più chiaro. Eppure, anche così, rimanevano tante faccende in sospeso, questioni che forse non avrebbe mai compreso del tutto. C’erano molte cose che Sirius non sapeva, o di cui non era certo. Una di queste, per esempio, era il dannato motivo per cui avesse avuto la sfortuna di nascere proprio nella sua famiglia. «Dannazione. Avremmo dovuto parlare secoli fa. E’ proprio un imbecille, io…» s’interruppe, riaprendo nuovamente gli occhi, per poi strusciarsi le mani sul viso. «…avrei potuto fare qualcosa. Avrei potuto impedirlo. Se avessi fatto qualcosa, magari…diamine, magari a quest’ora lui non sarebbe con loro.»

«Non dire così» Remus scosse velocemente la testa, sbalordito, «non è vero. Tu non hai colpe per ciò che ha fatto, e lo sai.»

«Forse» gli concesse lui, «ma questo non mi fa sentire meglio. Dio, è una cosa proprio patetica, vero?»
Si alzò, consapevole che fosse ora di andare. Ritardare il momento non l’avrebbe reso meno doloroso. Buttò fuori una grande quantità d’aria, eppure continuò a sentirsi come se stesse per soffocare.

Remus, di nuovo, lo fissò dritto negli occhi, una mano di conforto già stretta attorno alla sua spalla. Si abbracciarono.

«Vada come vada» disse Remus, «noi saremo sempre qui.»

«Fai di nuovo la mammina premurosa, Remus» borbottò Sirius, saccente. Ma con il volto accuratamente celato nella presa dell’abbraccio, si lasciò sfuggire una lacrima. Ecco perché, degli abbracci, non si fidava: erano solo un modo per nascondere la propria faccia.

Non disse nulla, non ce n’era bisogno. Sirius lo sapeva; gli avrebbe avuti sempre al proprio fianco, i suoi tre migliori amici. No, i suoi tre fratelli. E questo era qualcosa di cui poteva essere assolutamente certo.







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Non so, quest'idea mi frullava per la testa da un po' e alla fine, insomma, eccomi qua. So già che queste flash-fic diventeranno molto facilmente delle one-shot, ma per ora non voglio sbilanciarmi. E...niente, tutto qua. Grazie per essere arrivati fin qui; se poi vi andasse di lasciare anche un commento, mi fareste molto piacere :3 
A presto! 

Martina

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Capitolo 2
*** Vuota - Marlene ***


II.
Vuota
{Marlene}


 
(Ottobre, 1979)

Un metro e cinquantasette, capelli scuri e aggrovigliati, occhi blu.
Marlene si squadrò da capo a piedi davanti lo specchio. Si accorse di avere delle pesanti occhiaie violacee, i vestiti tutti sporchi e stropicciati. Sul lato sinistro della fronte, proprio sotto l’attaccatura dei capelli, una piccola linea ricurva, appena più chiara della sua pelle, delimitava i tratti di una vecchia cicatrice. Ma ciò che più di tutto emergeva era più in basso – sotto l’occhio gonfio per il pianto, in corrispondenza dello zigomo scavato: un grosso taglio obliquo, ancora sanguinante, che si allungava fino al labbro superiore.  
Attirava l’attenzione allo stesso modo di una luminescente insegna al neon nel bel mezzo del deserto.
Marlene non poté guardarlo per un secondo di più. Con il pugno ben chiuso, colpì lo specchio con tutta la forza e la rabbia che aveva in corpo, gridando forte; e fu solo un barlume di secondo, che mille cocci di vetro erano già sparsi sul pavimento.
Li fissò, furiosa, confusa, disorientata. Poi, come rendendosi conto solo in quell’istante di ciò che aveva appena fatto, si chinò e iniziò a raccoglierli, uno per uno, mentre altre lacrime le rigavano il viso. Adesso anche la mano con cui aveva colpito il vetro sanguinava; avrebbe dovuto medicarla in fretta, come Moody le aveva insegnato, così da rimettersi in forze. Aveva dovuto fare la stessa cosa con quel brutto taglio sul viso: il Mangiamorte che glielo aveva procurato – Avery? Non ne era certa, il cappuccio gli era caduto solo per un momento prima che l’uomo si ricoprisse il volto – era morto, anche se non di sua mano. Lei, però, non poteva restare vulnerabile. Essere deboli, in guerra, non era consentito.
Ma il silenzio di quella casa, rotto solo dai suoi singhiozzi, stava diventando soffocante. Marlene non ne poteva più. Una volta, tanto tempo prima, avrebbe rimediato chiamando Lily, o Mary, o Alice, o una delle sue amiche Babbane. Aveva tanti amici, Marlene, e una famiglia, calda e calorosa…ora, però, si sentiva più sola che mai.
Lily, James, Remus e tutti gli altri…ai suoi occhi, loro erano dei combattenti. Erano quelli forti; riuscivano a trovare positività e pace anche laddove sembrava non vi fosse più speranza. Mentre lei, Marlene, era quella che non sapeva far altro che piangere.
Guardava il proprio futuro e non vedeva…niente.
Era come se nulla avesse davvero importanza. I suoi giorni erano vuoti, i suoi giorni sarebbero sempre stati vuoti. Era un buco nero che trascinava via tutto ciò in cui avesse mai creduto. 
Si sentiva trascinare via anche lei, qualche volta.
Era vuota.










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Toh, oggi ero in vena di cose strappalacrime, ed è uscita fuori questa...cosa. Oltre che un momento James\Lily e  - ah, dovrei smetterla di scrivere storie tristi. Davvero, dovrei proprio smetterla. Ne ho fin troppe archiviate nel pc, temo che prima o poi word mi si ritorcerà contro ;_;
Anyway, sono super fiera di me stessa per aver aggiornato presto (probabilmente è il motivo per cui fuori sta facendo una bufera di quelle che non si vedevano dall'Era Glaciale), e grazie mille per le recensioni dello scorso capitolo. Come sempre, se voleste lasciare un commento anche qui sarei più che felice :P
A presto

Martina  

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