Infinity

di SaraWood
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 – Spettri del passato ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 – La rabbia della verità. ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 – Non dovrei dirtelo ma… ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 – Il grande errore. ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 5– Nella gabbia della bestia. ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 6- Ipocrisia ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 7 - Primo sangue ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 8 - Uno per tutti! ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 9 - IL VOLTO DELLA MORTE ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 10 - SALVI PER MIRACOLO ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 11 - Ho altro a cui pensare ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 12 - La bestia che domina la bestia ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO 13 - VIAGGI e coincidenze! ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 – Spettri del passato ***


CAPITOLO 1 – Spettri del passato.
Macerie di New York – 20 anni dopo il disastro …
 
<< Aspettatemi! >> disse la ragazza cercando di inseguire i suoi fratelli, che gli avevano fatto l’ennesimo dispetto. Anche se piccola si muoveva agile in quel posto lugubre; cimitero di una città che ormai non esisteva più. Si guardava intorno ben sapendo che suo fratello maggiore Jim (12 anni ) era solito nascondersi all’interno delle carcasse delle vecchie auto arrugginite disseminate in quei luoghi.
<< Vi ho trovato! >> << Stavolta vi ammazzo! >> esclamò Mary (9 anni ) scorgendo le sagome dei fratelli in lontananza.  “Un momento …. Qualcosa non va…” pensò mentre la distanza che li separava diminuiva sempre più. Non stavano più scappando. Erano fermi l’uno accanto all’altro. Sembrava che stessero guardando qualcosa davanti a loro. << Che succede? Se è un altro scherzo giuro che stavolta io … >> la ragazzina si interruppe quando mise a fuoco quello che i fratelli stavano fissando.
Era un cratere. Un gigantesco cratere, grande almeno un chilometro quadrato nel bel mezzo delle macerie. I confini erano ben delineati; i palazzi e le auto , anche se corrosi dal tempo, erano intatti intorno ad esso.  Al centro c’era qualcosa. Ma da dove si trovavano non si capiva bene cosa …
Sam (11 anni ) fece un passo in avanti , ma Jim lo afferrò << Dove credi di andare? >>  
<> disse Sam liberandosi dalla stretta.
<< Ti sei accorto di dove ci troviamo? Non ci siamo mai addentrati cosi tanto nella città. Potrebbe essere pericoloso! >>
<< Pericoloso? La mamma arrabbiata è pericolosa! Questo è solo interessante! >>
“Che risposta idiota” bofonchiò Jim sapendo di non poter far nulla contro la famosa e spiccata curiosità di Sam.
<< Io ho paura … voglio tornare a casa! >> Disse Mary prendendo Jim per la maglia.
Jim la guardò, e sospirando disse << Se va lui dobbiamo andare anche noi. Non lo possiamo lasciare andare da solo … sai quanto è fesso! Si ficcherebbe in qualche pasticcio. Te la senti di venire con noi? Siamo una famiglia, dovremmo essere uniti…e poi magari troviamo qualcosa che possiamo usare al campo! >>
Mary annui scocciata e segui il fratello nel cratere.
La terra era secca, le spaccature si ramificavano come i rami di un albero. Più si avvicinavano all’interno più Mary si rendeva conto che la voragine oltre a essere grande era anche profonda; più di 2 metri dal punto in cui erano partiti.
Sam che li aveva preceduti si trovava vicino alla sagoma scorta in precedenza. Quello che sembrava vendendola da più vicino era un ammasso informe d’acciaio. La vernice verde in tinta mimetica  era sbiadita ormai da tempo. Frammenti di vetro erano sparsi intorno alla lamiera contorta.
<< Che cosa credi che sia? >> domando Sam al fratello.
<< Anche se sembra difficile da capire per come è ridotto … credo sia una specie di veicolo … quelli mi sembrano cingoli! >> Rispose Jim prontamente.
<<  Se hai ragione … potrebbe essere un mezzo militare … >> Disse Sam cercando di arrampicarvisi sopra.
<< Che diavolo fai?  Scendi di li! >> Sbottò Mary.
<< Zitta sgorbio! Se è un veicolo vuol dire che ci si può entrare! Devo solo capire come... >> La zittii Sam. Tastando un po’ ovunque , riuscì a trovare una specie di leva sul bordo. Tirandola il coperchio di un apertura si apri. Un odore nauseabondo fuoriuscì dall’interno del mezzo. << Che puzza tremenda! Sembra il pranzo che ci cucina sempre Mary… >>
<< Chi ti dice di mangialo se non lo vuoi!? Ingrato! >> Mary palesemente colpita nell’orgoglio incrociò le braccia in segno di screzio.
Sam sgattaiolò all’interno di quello che sembrava un abitacolo. Dopo qualche secondo un urlo agghiacciante allerto i due fratelli all’esterno.
Jim saltò atleticamente tra le lamiere << Stai bene?! >>  non fece in tempo ad entrarvi che Sam si gettò a capo fitto all’esterno.  Con un faccia sconvolta balbettò << C- C- C’è un uomo dentro! Andiamocene!>>
Mary cominciò a mangiarsi le unghie << Concordo! >> disse.
<< Un uomo? Ma è impossibile! Fa vedere. >> Jim continuò la scalata , entrando nell’abitacolo stretto e puzzolente vide la sagoma di un uomo stesa a terra. Era chiaramente in decomposizione ma Sam era troppo pauroso e precipitoso per arrivarci. Jim si avvicinò al cadavere. Indossava un uniforme militare e teneva qualcosa stretto in mano … prendendo un gran respiro e facendosi coraggio aprì la fredda morsa.
<> grido Sam
<< Si! Sto uscendo! >> rispose Jim. E cosi fece.
<< Che cos’hai li? >> chiese Mary.
<< Uh questo? E’ un diario! L’ho preso dentro. >>
<< Cosa c’è scritto? >> Domando Sam ancora tremolante.
<< Se fossi stato abbastanza coraggioso c’è lo avresti detto tu stesso! >>
Mary rise.
<< Portiamolo alla mamma , lei c’è lo leggerà! >>


In prossimità della baraccopoli in cui vivevano, i tre fratelli cominciarono a ipotizzare una scusa convincente per giustificare il ritrovamento di quel diario.
<< Possiamo dirgli che lo ha trasportato il fiume , e che noi lo abbiamo trovato sulla riva! >> esclamò Sam.
<< Se fosse cosi  sarebbe bagnato, o per lo meno sarebbe illeggibile … non va bene. >> disse Jim grattandosi la testa.
<< Non possiamo dire a mamma la verità? >> si lamentò Mary. Mentire non era mai stato il suo forte; era un arte molto più adatta ai suoi fratelli. Sam gli diede un scappellotto. << Si certo! Diciamogli che ci siamo inoltrati da soli nella zona proibita e magari diciamogli anche che abbiamo trovato un cadavere e che gli abbiamo rubato il suo diario! Sono certo che non ci sgriderà! Ma si può essere più tonti di cosi dico io? >>
Improvvisamente una losca figura con le braccia incrociate gli apparve davanti senza che loro neppure se ne accorgessero.  Il sopracciglio sinistro alzato e la piccola vena pulsante sulla sua tempia erano un chiaro segno che i guai stavano per travolgerli. << DOVE DIAVOLO SIETE STATI MARMOCCHI? >> esclamò la donna che indubbiamente usava un tono materno.
<< Ehm … a pescare! >> si giustificò Sam.
Ci fu un attimo di silenzio poi la donna chiese << ..E dove sono le canne da pesca? >>
<< beh … le abbiamo buttate! >> fu l’unica cosa che riuscì a inventarsi Mary.
Un altro interminabile secondo di silenzio in cui la donna, come un cyborg venuto dal futuro, scrutava i volti dei ragazzi decifrando ogni espressione facciale che avrebbe potuto tradirli. << E perché le avete buttate? >> esclamò convita di incalzarli.
I tre si guardarono intorno , Sam fischiettando , Mary disegnando ghirigori nel terriccio arido , e Jim tirando calci ai sassolini. I gatti avevano finito di arrampicarsi sugli specchi in fine.
<< Jim che cos’hai in mano? >> Chiese la donna notando la copertina rossa tra le mani del figlio maggiore.
Il ragazzo gli porse il diario << Non so bene di cosa si tratti, ma credo che sia una cosa importante . Dovresti leggerlo mamma. >>
I due fratelli minori si dileguarono ognuno in una direzione diversa. Non sarebbero stati così sciocchi da farsi trovare li quando la mamma si sarebbe arrabbiata sul serio. Sarebbe stato come aspettare che un tornado gli passasse sopra.
Jim invece rimase li difronte a lei, in attesa; affamato di un resoconto dettagliato di ciò che il diario voleva raccontare.
La madre rimase immobile per qualche secondo, giusto il tempo di capire che tipo di oggetto avesse d’avanti. “ Un libro? ” pensò “ sembra parecchio vecchio …” lo spolverò per benino, poi aprendo la prima pagina lesse in una calligrafia decisa “ Diario del Sergente Maggiore Alvin Nordwing ” .
Gli occhi nocciola della donna sembravano incuriositi mentre scorrevano lungo le righe di quella vita cosi distante da lei da sembrare inventata . Il pensiero di dove i suoi figli avessero potuto trovare quel diario non aleggiava ancora nella sua mente, offuscata da quella lettura cosi affascinante.
Ma … improvvisamente la sua curiosità si trasformò in paura , in terrore ; quando pagina dopo pagina , i giorni cominciarono a susseguirsi in ordine temporale, sempre più vicini al suo presente. Margaret cominciò ad unire i tasselli di memoria riportati fra quelle pagine insieme ai suoi, in un unico puzzle . Un gigantesco e terrificante puzzle di ricordi e strane coincidenze. Un rivolo di sudore colò freddo sulla sua candida tempia leggendo l’ultima pagina.

25/10/ 2014 NEW YORK
 16:30 - In questo momento i miei uomini sono scesi dal blindato per andare a supportare la squadra beta e gamma al centro della città. E’ incredibile pensare quanti mezzi e uomini stiano cercando di eliminare quella creatura. Nessuna delle nostre armi sembra efficace su di lui … non sembra di questo mondo …
17:15 - Dalle informazioni radio non si campisce la sua posizione. Attacca in un lato della città e subito dopo in quello opposto … sembra sia un fottuto fulmine! Per il momento mantengo la mia postazione.
17:45 – Non ho più contatti radio con nessuno da più di mezzora. Dove sono tutti?
18:00 – Le esplosioni sono sempre più vicine. Le urla dei soldati mi stanno torturando … sono i miei uomini … li ho mandati al macello … cosa sarà di me? Sembra vicino …
18:12 – Margaret! Non so chi tu sia, ma quel mostro sta gridando il tuo nome per tutta la città. Sé è te che cerca … se ha distrutto tutto quanto solo per trovare te... se io e i miei uomini siamo morti solo perché non hai avuto il coraggio di morire con dignità …beh … allora dovunque tu sei, io ti maledico MARGARET.

Quelle furono le ultime parole scritte dal Sergente Maggiore Alvin. La scrittura nelle ultime righe era talmente tremolante da renderle quasi illeggibili. Ma lei, nonostante tutto, è riuscì a leggerle.
Le lacrime della donna bagnarono quelle ultime frasi , bagnate a sua volta dalle ultime lacrime di Alvin quando questo le scrisse ; unendosi cosi in macchie indelebili fra le vecchie pagine sbiadite di quel diario dimenticato da Dio.
<< Mamma? Perché stai piangendo? >> esclamò Jim ancora in attesa.
Margaret si asciugò il viso col palmo della mano. << Perché … la mamma ha fatto un grande errore quando era giovane …e ogni tanto se ne ricorda… >> rispose singhiozzando lievemente.
 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 – La rabbia della verità. ***


CAPITOLO 2 – La rabbia della verità.
(2 giorno prima del disastro di New York) – 23/10/2014 Deserto del Nevada

<< Che cosa c’è che non va stavolta? >> Domandò il dottor Emlrik con spasmodica impazienza.
<< I test non sono positivi. I valori psicologici sono sballati. Bisognerà rimandare la disconnessione di almeno un anno per assicuraci che tutto vada come dovrebbe. >> La giovane donna , anche se esperta del settore non azzardava mai i calcoli. Tutto doveva essere perfetto. Tutto doveva combaciare e i dati dovevano essere elaborati da lei stessa prima di procedere anche solo di un passo. Il problema però, era che i dati combaciavano, i test erano positivi , e i calcoli esatti ; ma allora perché la giovane dottoressa Margaret era tanto riluttante ad avviare quel progetto cosi importante da rivoluzionare il campo della genetica da cima a fondo? Cosi importante da cambiare l’esistenza stessa del genere umano …
L’uomo la prese con forza e la scollò per qualche istante << Perché ti ostini a non andare fino in fondo? Perché ti ostini a combattere la natura stessa del tuo lavoro! Dovresti essere fiera del tuo operato! Sei tu che hai creato tutto questo! >>
Margaret diede uno spintone al dottor Emlrik per liberarsi, poi con tutta la rabbia e lo stress accumulato fino a quel momento gli gridò cosi forte che tutti gli scienziati nel laboratorio sussultarono << E COSA AVREI CREATO IO? UN MOSTRO! ECCO COSA HO FATTO IO PER L’UMANITA! HO CREATO L’ENNESIMA BOMBA ATOMICA! L’ENNESIMA MACCHINA DI SANGUE E MORTE! >>
<< Non dire cosi Margaret! Tu hai contribuito a l’evoluzione del genere umano. Non stiamo palando di armi, stiamo parlando di un essere vivente. E tu lo hai creato da zero; partendo solo da un filamento di DNA umano. Non è un arma! >> disse in tono pacato il dott. Emlrik mentre con un gesto di nervosismo si sistemava gli occhiali lucidi come uno specchio.
La donna in preda alla rabbia prese un povero porta pene poggiato su un scrivania sotto mano e lo scaraventò contro il suo collega.  << PERCHE’ DIAVOLO PENSI CHE IL GOVERNO CI STIA FINANZIANDO COSI PROFUMATAMENTE? PERCHE’ VUOLE CREARE LA NUOVA CURA PER IL CANCRO? IMBECILLE CHE NON SEI ALTRO! VUOLE UN ALTRO GIOCATTOLO DA METTERE NELLA COLLEZIONE ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA! COME USERESTI TU QUALCOSA DI INDISTRUTTIBILE CHE PUO’ UCCIDERE QUALCUNQUE ESSERE VIVENTE GLI SI PONGA DAVATI? COME DIMMELO? >> la donna riprese fiato solo per un istante prima di partire di nuovo alla carica << Gli hai visti i test al simulatore neurale? DICO, LI HAI VISTI HO SEI CIECO ? ANZI FAI FINTA DI ESSERLO? >> rivolgendosi anche a gli altri la donna cominciò un comizio di riflessione collettivo. <>  
Il silenzio calò nel bianco laboratorio. Nessuno aveva il coraggio di contestare la stessa ideatrice e creatrice del progetto a cui tutti in quel laboratorio stavano lavorando da più di 5 anni.
Il dottor Emlirik fece un occhiolino a l’uomo della sicurezza, che subito andò a chiamare i suoi compagni.
<< Adesso calamati Margaret. Capisco il tuo nervosismo. Ormai siamo al culmine dei nostri sforzi e questo ti mette in agitaz.. >> la donna non fece finire neppure di parlare lo scienziato che subito lo agguanto per il camice e lo guardò dritto negli occhi , e con voce sussurrante scandendo bene le parole  disse << voglio-sapere-dei-test!>>
Il dottore si divincolo e si sistemò il colletto del camice. << E’ normale che nelle simulazioni reagisca cosi … non ha mai vissuto un solo giorno nella vita reale. Non ha mai conosciuto davvero nessuno di noi, quindi non ha mai avuto nessun tipo di rapporto sociale …per lui la vita umana non ha valore. E’ solo una bestia che ha sempre vissuto in una gabbia virtuale. Sta a noi educarla e insegnarli l’etichetta della società.>>
La donna rimase esterrefatta dalla risposta ingenua del collega, << Non stai parlando di un cane Rik! Un cane lo puoi addomesticare è vero! Gli puoi mettere un guinzaglio! Lo puoi sgridare! Come fai ad addomesticare un essere in grado di distruggere una citta anche solo per noia! Per questo lo paragono ad una bomba! Perché è imprevedibile cazzo! Non te ne rendi conto? Ti rendi conto che se lui decidesse di estinguere il genere umano potrebbe riuscirci? Lo sai questo? LO SAI QUESTO? BASTARDO CHE NON SEI ALTRO! >> concluse tirando un pugno sul petto dello scienziato.
 La sicurezza la prese con forza e la scortò fuori , ma lei divincolandosi continuò a gridare << NON VOGLIO PIU’ SAPERNE DI QUESTO! QUESTO NON E’ PIU’ IL MIO LAVORO! DICHIARO IL PROGETTO INFINITY CHIUSO ALL’ISTANTE! SPENGETE TUTTO E ANDATE VIA! ANDATE VIA VI HO DETTO! >> la voce di Margaret sfumò lentamente tra i corridoi dell’edificio. Anche se i suoi assistenti sentirono le sue parole, il progetto INFINITY continuò comunque sotto la guida del dottor Emlrik.
Quella fu l’ultima volta che Margaret collaborò in un progetto del governo.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 – Non dovrei dirtelo ma… ***


CAPITOLO 3 – Non dovrei dirtelo ma…
    (1 giorno dopo il disastro di New York) - 26/10/2014 Oregon


Anche se la torbida acqua del fiume si faceva strada, avida, nei suoi polmoni, non si sentiva affogare. Il suo corpo nudo, in balia della fredda corrente impetuosa e dei mulinelli, veniva sempre più spinto a fondo; e con esso i suoi pensieri, sommersi, sempre più giù, nel buio più assoluto.
Le dita gelate , e il freddo pungente, gli ricordavano di tanto in tanto di essere ancora vivo. Ma la cosa, sembrava non interessargli …
Chissà quanti chilometri aveva percorso … lui non se lo chiedeva. Come un tronco morto che si lascia trasportare dalle onde, perdendo la cognizione del tempo e dello spazio; cosi era lui, ignaro di cosa gli stesse accadendo.
Un urto improvviso, forse una roccia sul suo cammino, lo fece riaffiorare dalle acque per qualche istante ancora incosciente.
Un braccio forte lo afferrò dalla morsa del fiume, ma la pioggia scrosciante continuava a tenerlo fradicio, come se le grinfie del fiume tentassero di riportarlo a mollo.
<< Ehi stai bene? >> ripeté la voce agitata << Riesci a sentirmi? Sei sveglio ?>>  
Si lo era, ma non aveva intenzione di rispondergli per il momento. Si limitò a chiudere gli occhi, ed aspettare che il destino facesse il suo corso.
Quando li riaprì una sensazione opposta alle prima lo avvolse. Il gelo era sparito, e il calore di un fuoco scintillante lo pervase.
<< Mark vieni! Si sta svegliando!>> disse sussurrando una voce femminile in fondo alla stanza
<< Sta lontana, potrebbe essere pericoloso! Ci parlo io. >> disse un'altra voce, stavolta maschile, e a quanto pare prudente.  << Sai come ti chiami? Sai dove ci troviamo? Che ti è successo? Rispondi! >>
Si tirò su col busto, una morbida coperta rossa avvolgeva il suo corpo ancora nudo. Ai suoi piedi lo strepitio di un camino acceso, gli riscaldava il sangue.
<<  Dove mi trovo? >> Disse stropicciandosi gli occhi irritati dalle acque del fiume.
<< Sei a casa mia adesso! Io sono Mark, e lei è  mia sorella Scarlet. Ti abbiamo tirato fuori dal fiume, stavi per affogare, non ricordi cosa ti è successo? Ricordi il tuo nome? >>
Cercò di rispondere alle domande, ma nessuna risposta gli veniva in mente. Tentò di alzarsi per concentrarsi meglio.
La coperta rossa cadde a terra, lasciando il suo corpo ancora umido al vento.
La ragazza arrossì.
<< Intendi rimanere li a fissarlo  ancora per molto Scarlet? >> Disse Mark dopo qualche secondo di imbarazzo. << Va a prendergli dei vestiti! >>
<< Certo!>> Rispose la ragazza sgattaiolando fuori dalla stanza.
Dopo averlo vestito con alcuni dei suoi vecchi indumenti, Mark tornò da lui per chiedere spiegazioni.
<< Allora cosa ti è successo amico?>> si sedettero al tavolo della piccola cucina bianca. Fuori la pioggia continuava a cadere incessante nel buio della notte, rigando la finestra umida, come i polpastrelli di una mano che scivolano su un vetro. << Devo ammettere che non sono abituato a trovarmi in certe situazioni...>> disse Mark porgendogli una tazza di thè caldo << … Stamattina sono andato a pescare al fiume, sembrava una giornata ideale per prendere un po’ di quelle trote che si trovano in questa stagione, poi ha cominciato a piovere, e proprio mentre stavo per tornarmene a casa ti ho visto li tutto nudo a galleggiare nel fiume. Inizialmente credevo fossi morto, ma quando ho visto che eri ancora cosciente ho tirato un sospiro di sollievo. Avrei dovuto portarti in ospedale, ma il più vicino è a più di 3 ore di macchina da qui. Lo so perché ci lavora mia sorella, è un infermiera. Ho pensato di portarti a casa da lei per farti dare un occhiata. Ma a quanto pare non hai neanche un graffio. E’ stata una fortuna che ci fossi io in quel momento, altrimenti credo che saresti morto … >>
<< … Grazie … >> rispose brevemente ascoltando la serie di coincidenze che lo avevano portato in quella casa.
Mark strabuzzò gli occhi << Tutto qui? Non hai voglia di raccontarmi come diavolo sei finito mezzo morto nel fiume? Me lo devi no? >>
<< … Sinceramente non lo ricordo … Non ricordo neanche come sono finito su questa montagna …>> Rispose sforzandosi di far luce sulla fitta nebbia che avvolgeva i suoi ricordi.
<< Sai almeno come ti chiami? >> Chiese Mark preoccupato.
<< … Non lo so … mi dispiace … >> Rispose frustrato tenendosi la testa fra le mani.
<< Ok, facciamo cosi, adesso è notte fonda per stasera dormirai qui. Domani mattina ti accompagno all’ospedale per assicurarci che tu stia bene e per risolvere questo tuo problema di memoria. Poi passo dallo sceriffo e vedo se qualcuno ha denunciato la tua scomparsa o roba del genere. Ok? >>
<< Non so davvero come ringraziarti … >>  
<< Lascia stare, mi offrirai qualcosa da bere quando ti sentirai meglio! >>
Scarlet accompagnò il ragazzo sul divano di fronte al camino.
<< Stanotte dormirai qui. Lo so è un po’ scomodo ma è sempre meglio del fiume … >> disse un po’ imbarazzata porgendogli un cuscino e una coperta.
<< Grazie … sei molto gentile …>> Rispose
<< Se ti serve qualcosa chiedi pure a me, la mia stanza e quella in fondo al corridoio. Mi chiamo Scarlet comunque …>>  si presentò la ragazza abbassando lo sguardo << ti ho visitato io quando sei arrivato … >>  continuò imbarazzata ripensando al fatto di averlo visto nudo.
<< So che non faccio altro che ringraziarvi, ma lo dirò ancora. Grazie di tutto! >>
Il ragazzo prese il cuscino dalle mani di Scarlet. Il suo volto era cupo e pensieroso. La ragazza se ne accorse.
<<  Mio fratello mi ha detto della tua amnesia. Sta tranquillo, può succedere quando si subisce un forte shock oppure se si batte troppo forte la testa. Passerà da sola. Vedrai! >> Lo rassicurò Scarlet
<< Lo spero … >> rispose lui << … ho come l’impressione di essermi dimenticato qualcosa di molto importante … >> si interruppe << … qualcosa di brutto. >>
<< Oh… qualcosa di brutto dici? Beh allora forse è meglio non ricordarla non credi? >>
<< Già, forse hai ragione. >>
Durante la notte nella piccola casa circondata dalle verdi montagne, il silenzio regnava sovrano; minacciato solo dal tamburellare della pioggia insistente sul tetto.
Coricato sul divano il suo sonno era ben poco ristoratore. Pensieri oscuri vagavano nel suo animo, aleggiando come  nubi nere nei suoi sogni. I rantoli divennero sempre più forti fino a quando …
<< Ehi! Stai bene? Svegliati! Stai sognando! >> lo scosse Mark.
Sobbalzò lui << O mio dio! >> Sbottò ansimando, il sudore freddo inumidiva il suo corpo << Credo di aver fatto un incubo! >>
<< Tu dici? Di certo non era un sogno erotico … cosa hai sognato? >> Chiese Mark.
<< Ho visto … ho visto …. Un fulmine! Un fulmine rosso! Un gigantesco fulmine rosso! E poi … un volto, credo … il volto di un uomo. >> rispose tenendosi le dita sulle tempie, sforzandosi di ricordare. Il respiro ancora affaticato.
<< Forse la tua memoria  sta tornando! Potrebbe essere una persona importante per te. >>
<< Spero di no! >>  sbottò
<< Perché? >> Domandò Mark incuriosito.
<< Perché aveva voglia>> esitò << … di uccidermi. >> rispose cupo.
La notte trascorse. Il mattino seguente la pioggia era cessata.  Mark si diresse verso l’ospedale insieme al ragazzo. L’asfalto sfrecciava sotto i pneumatici del vecchio fuoristrada grigio di Mark. L’aria che entrava dal finestrino si infrangeva sul volto del ragazzo facendo ondeggiare la sua chioma bionda come  il grano . La strada percorreva il dorso della montagna, risalendola , fino ad arrivare all’unico ospedale nel raggio di miglia.
Improvvisamente qualcosa interruppe la loro corsa .Una lunga coda di macchine dai motori fumanti bloccava il passaggio. Il traffico sulla carreggiata si era arrestato come l’acqua gelata in un fiume d’inverno.
Le luci blu delle auto della polizia, simili a spettri,  lampeggiavano illuminando il grigio asfalto. L’area era disseminata di agenti che intimavano i guidatori a tornare indietro . Le transenne a righe rosse che si intravedevano d’avanti alla lunga coda erano piene di folla inferocita che chiedeva spiegazioni inveendo contro gli agenti .  Molti furgoni dei telegiornali locali erano parcheggiati qua e la, e gli inviati cercavano di avvicinarsi il più possibile.
<< Cristo santo! >> imprecò Mark .
Scesero dall’auto e si avvicinarono alla folla.
<< Cosa sta succedendo? >> Chiese a uno dei reporter
<< Cosa? Ancora non lo sai? Ma dove vivi? Tutti i paesi nelle vicinanze sono in subbuglio per questa storia e tu non ne sai niente!? >> Gli rispose il giornalista impegnato quanto loro ad avvicinarsi alle transenne. Improvvisamente Mark si rese conto che non accendeva la tv ormai da una settimana. Inoltre non possedeva radio in casa, odiava il rumore che fanno quando si passa da una stazione all’altra. Era rimasto isolato nella sua casa senza interessarsi del mondo esterno per troppo tempo… Sua sorella, l’unica in casa ad avere potuto saper qualcosa, era stata poco bene di recente e non era andata a lavoro per 3 giorni. Senza farlo apposta lui e sua sorella avevano ereditato lo stesso difetto di loro padre, l’indifferenza totale per ciò che non riguarda la propria esistenza. Era proprio per questo che sua madre lo aveva lasciato …
Quando i loro occhi furono abbastanza vicini per scorgere i volti degli agenti alle transenne, Mark sembrò riconoscere qualcuno.
<< Non possiamo prendere un'altra strada?  >> chiese il ragazzo .
Mark pallido in volto rispose << Questa è l’unica strada per uscire dal paese. Siamo bloccati qui. Non ci posso credere! >>
L’uomo si fece strada tra la folla cercando un volto a lui conosciuto, che di certo avrebbe incontrato in un momento del genere  << Cosa diavolo è successo Tom ? >>  gli disse poggiandogli una mano sulla spalla.
L’uomo in divisa gli rispose << Oh Mark per fortuna stai bene! >> poi si interruppe, come se un brutto pensiero gli avesse  trafitto la mente << Aspetta … Scarlet è uscita dal paese per andare a lavoro oggi? Ti prego dimmi di no ! ti supplico, dimmi che è ancora qui. Al sicuro con noi. >> Chiese portandosi le mani alle tempie.
<<  Tranquillo!Scarlet sta bene. E’ a casa ora! >> Lo rassicurò Mark non capendo però a quale pericolo la sorella sarebbe potuta imbattersi.
<< Meno male! Se gli fosse successo qualcosa io … >> scosse la testa in segno di sdegno.
Il ragazzo smemorato li raggiunse tra la folla.
<< Oh! Quasi dimenticavo, lui è Tomas. Un mio amico d’infanzia. E’ il capo della polizia locale. >> Lo presentò Mark  << invece lui è … >> esitò qualche istante quando fu  il momento di spiegare chi fosse quel ragazzo di non più di vent’anni che si portava dietro.
Qualche secondo di silenzio imbarazzante << David! David Occonnor. >> Rispose il ragazzo istintivamente. Senza curarsi di guardare in faccia il suo interlocutore. Il suo sguardo era troppo occupato a scrutare il bosco all’orizzonte.  Mark si rese conto da quella risposta, che gli ingranaggi della mente del ragazzo stavano di nuovo tornando a funzionare.
<< Ehm lascia stare poi ti spiego … Allora, vuoi dirmi qualcosa o devo aspettare il telegiornale delle 14.15! >> Lo spronò Mark a raccontargli quanto accaduto.
<< Non serve che aspetti il tg delle 14, è già su un edizione straordinaria più o meno su tutti i canali nazionali in questo istante. New york  ieri è stata attaccata. Completamente rasa al suolo … e’ una disgrazia … tutta quella gente morta …>> il capo della polizia si trattenne dal piangere dalla disperazione, poi continuò << si è pensato fosse un attacco terroristico ma … l’ipotesi è stata smentita … >> disse l’uomo chiaramente provato dalla stanchezza. Probabilmente aveva trascorso la notte a lavorare su quella strada.
<< Come mai? >> Chiese David ancora con la bocca aperta dallo shock. Una città spazzata via in un solo giorno. “Come è possibile?” continuava a pensare.
<< Perché siamo stati noi! >> esclamò Tom << I superiori parlano di un arma sperimentale nei laboratori del governo, nel deserto del Nevada. Qualcosa che gli è sfuggito di mano ha causato tutto questo. Prima ha distrutto il laboratorio e poi si è diretto alla città. Non è rimasto niente. NIENTE! MALEDETTI BASTARDI INCOSCENTI! >> imprecò l’agente Tom.
<< Che significa  che poi si è diretto alla citta!? >> sbottò Mark incredulo. << Stiamo parlando di una bomba? Di un aereo? Un missile? Cosa di preciso! Spiegati! >>
Tomas esitò, sapendo bene che quelle informazioni erano classificate top secret. Ma sapendo anche che quei luridi governativi avrebbero tentato di insabbiare ogni loro collegamento con la strage…. “Non possono passarla liscia… il mondo prima o poi lo verrà a sapere …” fu quello che pensò Tomas poco prima di rivelare quelle informazione che avrebbero potuto costargli il posto, se non la vita. Prese un respiro, poi con voce cupa disse << Progetto INFINITY. Mai sentito parlare? >>
Mark rimase perplesso per un istante << Di cosa stai parlando ? >> domandò
<< Mio fratello Emlrik lavora per il governo. E’ uno scienziato. E’ lui che mi ha dato una spinta dai piani alti per farmi dare la promozione da capo della polizia. Un giorno mi raccontò anche se non avrebbe potuto, del suo lavoro e di quello che il governo avrebbe voluto farne. >> sospirò. << in pratica avevano intenzione di riuscire a modificare il codice genetico umano, rafforzandone le caratteristiche. Cosi facendo avrebbero potuto creare un essere umano più forte, più veloce; in grado di superare qualsiasi limite fisico che la natura gli ha imposto. Niente fame, niente sete , stanchezza; ma questo è niente paragonato a quello che avrebbe potuto sopportare. Intendevano creare un Dio in terra in poche parole. E studiando il suo sangue avrebbero potuto curare molte delle malattie che affliggono la nostra razza.  Ma … qualcosa è andato storto a quanto pare… >>
<< Cosa? >> Domando David dopo aver ascoltato quella assurda verità.
<< L’essere deve essere scappato … e ha distrutto la citta … >> continuò Tomas.
<< Come fai a sapere che è proprio questa la creatura di cui ha parlato tuo fratello? >> Domandò Mark incredulo.
<< Perché il laboratorio distrutto in Nevada prima che succedesse anche a  New York, è proprio quello in cui mi ha detto lavorava Emlirk. Non ci sono dubbi … e poi … non ho sue notizie da quando ho saputo del fatto. Non risponde a nessuna chiamata . Il suo telefono risulta irraggiungibile. >>
Mark capì che nella disperazione di Tom in quanto cittadino americano, c’era anche qualcosa di più profondo a turbalo. Il legame affettivo con un fratello è decisamente più profondo di quello patriotico. Lui stesso sapeva bene che nella parte più oscura e nascosta del suo cuore, avrebbe preferito che morissero mille persone più tosto che sua sorella. Questo lo fece sentire in colpa.
<< Mi dispiace.. >> fu l’unica cosa che riuscì ad aggiungere.
<< Cosa dicono i tuoi superiori? >>  Domandò David mostrando palesemente più interesse per le informazioni che per il possibile lutto di Tomas. Questo infastidì l’agente, ma sorvolò.
<< Non ci hanno dato informazioni dettagliate di quello che successo. Per ora ci hanno solo chiesto di non far entrare e uscire nessuno per questioni di sicurezza nazionale. >>
Una voce gridò in fondo alla folla non si capì bene cosa , Tomas  rispose << Arrivo subito! >> evidentemente il dovere lo chiamava, cosi si congedò dai due, che rimasero in balia della folla per qualche istante per metabolizzare le assurde informazioni che avevano acquisito indirettamente dal fratello di Tomas.
Mark poggiò una mano sulla spalla di David << Credo che il tuo ricovero in ospedale sia rinviato! >>.
 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 – Il grande errore. ***


CAPITOLO 4 – Il grande errore.
(1 giorno prima del disastro di New York) – 24/10/2014 Deserto del Nevada.

Il suono nevrotico della tastiera del computer riecheggiava nel buio del laboratorio. Era notte fonda quando il  dottor Emlirik imprecò contro il cervello elettronico. << Dannazione! >>
La dottoressa Margaret ormai sene era andata, e tutte le responsabilità del progetto ricadevano su di lui ora. Proprio per questo era due volte più cauto nel controllare lo svolgimento del progetto. Tutto combaciava alla perfezione ma .. era come se la tensione e la paura di Margaret  aleggiassero su di lui, come un spettro che lo tormentava. Che le parole di Margaret avessero fatto breccia nel suo animo? No. Decisamente no. Era solo preoccupato di riuscire a intascare i finanziamenti per continuare il suo lavoro, la morale non centrava.
Domani avrebbe dovuto mostrare i risultati della ricerca ai suoi superiori e se non li avessero graditi e apprezzati il progetto sarebbe finito all’istante. Questo lui non poteva permetterselo. Doveva “diventare qualcuno lui”  pensava spesso . Non come suo fratello.. che senza di lui sarebbe ancora un agente del traffico…
Il laboratorio ormai era deserto. Tutti se ne erano tornati a casa.  
L’uomo improvvisamente si alzo dalla sedia girevole della sua scrivania << Devo controllare il simulatore virtuale. Forse c’è un guasto … >>
Percorse il laboratorio silenziosamente sinistro. Scese la rampa di scale che portavano ai piani interrati e percorrendo un lunghissimo corridoio arrivò difronte a una gigantesca porta blindata. Al lato sinistro vi era un piccolo display verde, il dottore mise il pollice su di esso in attesa della scansione delle impronte digitali necessarie per accedere. Un “bip” confermò l’accesso e la porta con un grande sibilo si aprì.
La stanza era enorme. Le pareti erano tappezzate di monitor che indicavano segnali vitali ed elettrocardiogrammi. Sparsi un po’ ovunque cerano gigantesche vasche con immersi in un liquido verdastro  quelli che sembravano embrioni parzialmente sviluppati. Uno di questi emise una bolla che fece rabbrividire il dottore.
 In fondo alla stanza c’era una vasca particolarmente grande. Una targa in metallo sopra di essa diceva         “I limiti esistono per essere superati ”. Il dottore si soffermò su di essa, e poggiando una mano sul vetro contemplò la creatura che lui stesso aveva creato.
<< La chiave della salvezza umana è racchiusa in te prototipo zero … >> sussurrò lo scienziato, quasi per auto convincersi che quello che stava facendo in realtà non era cosi malvagio.

Emlrik si voltò e cominciò a ticchettare la tastiera del simulatore virtuale che egli stesso aveva progettato.
Lo scopo della macchina era semplice, tramite impulsi elettrici creava dei falsi ricordi al cervello umano. Dei sogni più realistici della realtà stessa. Il soggetto non avrebbe mai distinto la realtà dalla finzione. In questo modo poteva capire come avrebbe reagito una persona in una determinata situazione senza che essa avvenisse davvero. Un inganno diabolico della mente, che intrappolava il prototipo zero sin dalla sua creazione. Neanche un solo giorno aveva trascorso disconnesso da quella macchina, che lo bombardava di simulazioni assurde sin da quando ebbe coscienza di se.
Era questa la paura del dottore , come avrebbe reagito il prototipo zero una volta compreso che la sua esistenza non è stata altro che un inganno? Come avrebbe reagito nel mondo reale? Ed era questo che terrorizzava anche Margeret. Lei sapeva di non poter gestire l’ingestibile. Potevano rendere schiava la mente di quella creatura, ma una volta liberata il suo corpo non sarebbe stato tanto facile da ingannare.
Un sorriso inquietante apparve sul volto di Emlrik << Basterà solo spiegargli la situazione. Dopo tutto il suo cervello è sviluppato come quello di un adulto. Sicuramente sarà abbastanza razionale da ascoltarmi! Ahahah !>> rise istericamente << Non potrebbe essere altrimenti! Non potrebbe mai fare del male ai suoi stessi creatori! Siamo come i suoi genitori! >>  disse a voce alta. Sapeva bene che non sarebbe servito parlare.
Nell’ultima simulazione, quella che aveva spaventato tanto Margaret , il computer giudicò la condotta della creatura instabile  e priva di morale. Ma non poteva permettere che il progetto a cui aveva dedicato gran parte della sua vita andasse in frantumi cosi. Doveva assicurarsi che la sua bestiolina fosse pronta per il grande debutto in società.
Cosi fece la cosa più stupida e avventata che avrebbe potuto fare. Spense il simulatore virtuale.
 

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 5– Nella gabbia della bestia. ***


CAPITOLO 5– Nella gabbia della bestia.
(1 giorno prima del disastro di New York) – 24/10/2014 Deserto del Nevada.


Nella gabbia virtuale in cui aveva vissuto, la cognizione dello spazio e del tempo era totalmente distorta. Un insieme di situazioni disconnesse fra loro. Pensare di trovarsi in un luogo , e trovarsi nel lato opposto della terra in un batter d’occhio, senza sapere come esserci arrivato.
Sapeva parlare ,leggere e scrivere, ma non ricordava dove lo avesse imparato. Alla stessa maniera era a conoscenza di molte delle nozioni di geografia, storia e matematica che si apprendono a scuola. Ma non ricordava di esserci mai stato.
Nell’universo fittizio in cui viveva aveva imparato a conoscere il suo corpo, e si era reso conto che poteva attingere ad una forza presso che illimitata; e aveva dovuto imparare a gestirla e regolarla in ogni suo minimo gesto per riuscire a non distruggere tutto quello che toccava. Ma sapeva benissimo che se avesse voluto avrebbe potuto cessare l’esistenza di ogni forma di vita del pianeta  con un solo gesto … ma questo sarebbe stato troppo facile e non abbastanza divertente. E poi tutto sarebbe tornato esattamente come prima nel giro di qualche secondo, e avrebbe vissuto un'altra situazione ai limiti dell’assurdo. Aveva imparato che i suoi gesti e le sue azioni , per quanto violente e aggressive non includevano nessuna conseguenza sostanziale in quel luogo privo di un nesso temporale.
Cosi il prototipo zero passò il tempo, digitalmente relegato in un mondo che in realtà non esisteva neppure. Fino a quel momento …


 
CAPITOLO 5.1 – A BRIGLIE SCIOLTE.
(1 giorno prima del disastro di New York) – 24/10/2014 Deserto del Nevada.



Il dottor Emlrik  tremava come un bambino  mentre la vasca riversava il liquido verdastro nei canali di scolo, e il livello di esso diminuivano sempre di più al suo interno, lasciando il corpo del prototipo zero per la prima volta a contato con l’aria.

In silenzio come una mummia appena riesumata la creatura ora era libera per la prima volta dai vincoli oscuri della tecnologia che lo monitorava costantemente fin dalla sua nascita.  

Nonostante avesse meno di 5 anni di vita, il suo corpo somigliava a quello di un ragazzo di razza caucasica di 25 anni circa. Non troppo atletico. Capelli scuri. Gli occhi ancora chiusi non lasciavano rivelare il loro colore al loro stesso creatore, che mai li aveva visti aperti.
Dopo qualche secondo d’attesa snervante, enfatizzato da suono del dottore che deglutiva, qualcosa si smosse. Un piede nudo uscì dalla vasca.  Il dottore cadde a terra dallo stupore.

Il prototipo zero si trovava davanti al suo genitore genetico. Lo guardava fisso, senza batter ciglio.
Io scienziato non riuscì a trattenere qualche getto di urina.

<< Sai chi sono io? Mi chiamo Emlrik! Sono colui che ti ha dato la vita. >> disse balbettando .

Il prototipo zero distolse lo sguardo, come se quello che l’uomo dicesse non fosse abbastanza importante da meritare la sua attenzione. Scrutò il laboratorio  con occhiate veloci e fugaci, simili a quelle di un passero appena uscito dalla gabbia.

<< Mi hai sentito? >> cercò la sua attenzione Emlrik. << Riesci a capirmi! >>

Improvvisamente il ragazzo si arrestò alle parole dell’uomo. Il suo sguardo tornò sul dottore << Io non sono stato creato. Io sono sempre esistito! >> Fu la prima frase della creatura nel suo nuovo mondo.

Emlrik esitò cercando di comprenderne il significato. Poi capì. Quell’essere non aveva alcuna memoria della sua infanzia per quanto essa sia stata breve. E non aveva mai avuto informazioni relative alla sua creazione.
Quindi era convinto che egli esistesse punto e basta. Come una stella la cui nascita è talmente lontana nel tempo da perderne il ricordo, e si crede parte integrante del cielo. Cosi era lui. Parte integrante del creato che gli si era posto davanti.

<< Non è vero… >> disse timido il dottore. << Anche se non ci crederai … >> Allungò lo sguardo sulla scrivania alle sue spalle, poi frugando in un cassetto tirò fuori un fascicolo. << Ecco tieni! Leggi questo. E’ una copia del progetto del simulatore virtuale. Cosi capirai … >> disse lo scienziato facendo scivolare l’opuscolo ai piedi del ragazzo.

<< E’ la prima volta che mi viene chiesto di leggere qualcosa anzi che uccidere. Ti asseconderò omuncolo.>>  il corpo nudo del giovane si piegò per prendere il fascicolo.
Nonostante un uomo per quanto abituato alla lettura avrebbe impiegato diverse ore per leggere tutto. La creatura in meno di un minuto riuscì ad assimilarne le informazioni. Come un computer che fa la scansione di un documento.

Poi il giovane gettò il fascicolo a terra. << Dunque è vero! La mia vita è un gioco. Un inganno!>> disse con voce adirata << o questa è un'altra prova da affrontare? >> si domandò portandosi le mani in viso per lo scorforto.

<< No-no-no! Ti stai sbagliando! Io e la dottoressa Margaret ti abbiamo creato per debellare i difetti genetici dell’uom->> Il dottore non fece in tempo a finire la frase che si trovò la mano sinistra del ragazzo in torno al suo collo, che lo teneva sospeso a un metro da terra.

<< Chi e’ Margaret? >> domandò con tono cupo.
<< E’ la mia collega … mi ha aiutato lei … >> disse con un filo di voce Emlrik << ..tu sei la nostra creazione più grande … insieme potremmo salvare l’umanità … potremmo diventare degli dei … i salvatori del genere umano … >> Il dottore cercava di corrompere il ragazzo con le sue lusinghe piene di promesse di potere. Ma ogni parola che riusciva a pronunciare non faceva che altro che aumentare l’ira del suo carnefice e che di conseguenza aumentava la stretta sul suo collo. Sempre più vicina al punto critico di rottura.

<< Dove posso trovare Margaret? >> Domandò.

Emlrik sapeva benissimo che anche se avesse risposo sarebbe comunque morto quella notte. Io scricchiolio della sua vertebra cervicale gli e ne dava conferma. Ma almeno non sarebbe stato l’unico a morire per gli errori di entrambi. Cosi la sua parte spregevole messa alle strette dalla disperazione prese il sopravvento.

<< New York! Vive a New York! >> Disse utilizzando l’ultima riserva d’aria che gli rimaneva in corpo.  

<< Morirete tutti per questo! Inizierò da questo posto, e poi andrò a trovare la nostra amica Margaret. >>  Disse sogghignando la creatura.

Nell’istante prima che la glottide di Emlrik esplodesse in una nebulosa di sangue, si accorse per la prima volta che gli occhi di quell’essere erano del suo stesso colore … Verdi. Gli stessi occhi che aveva creato ora lo avevano ucciso.

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 6- Ipocrisia ***


CAPITOLO 6 – IPOCRISIA.
Il giorno del disastro di New Yor. 25/10/2014
 
I suoi movimenti erano fulminei e imprevedibili. Sfrecciava per le vie della citta come un treno in corsa, sciogliendo letteralmente l’asfalto dietro di se e portando una scia di distruzione e sangue.
Riusciva a raggiugere senza problemi la velocità del suono, e se avesse voluto l’avrebbe superata.
I cannoni dei carri armati non erano stati progettati per colpire qualcosa di tanto veloce. La maggior parte dei colpi andava a vuoto.
La velocità a cui si muoveva gli permetteva di infrangere la forza di gravità, percorrendo anche in verticale gli enormi grattacieli di New York, e facendo scoppiare  ogni singola vetrata nel raggio di chilometri dal suo passaggio.
L’energia spigionata dai suoi salti, non era coerente alla sua massa corporea. 100 , 200 , 300 metri d’altezza; ogni volta si spingeva sempre oltre, forse a dimostrare ai suoi spettatori cosa fosse in grado di fare. Si arrampicava come una cavalletta frenetica fra gli altissimi palazzi grigi e spenti di quella città che ormai teneva in pugno.
Gli elicotteri non riuscivano a stagli dietro e i cannoni mitragliatori gli facevano il solletico. Il suo corpo anche se simile al nostro, era 1000 volte più flessibile e resistente. Non esisteva una forza sul pianete terra in grado di danneggiarlo, nessuna bomba o proiettile anticarro inventato fino a quel momento sarebbe stata efficace contro il suo corpo.
 
La città era diventata l’immenso parco giochi del prototipo zero. Tutto questo per trovare e uccidere l’ultima sua creatrice, Margaret.
La vita di un intera città valeva veramente quella di una singola e insignificante persona? Questo il prototipo zero non se lo era neppure chiesto, nel suo mondo fittizio e surreale il fine giustificava i mezzi; sempre!
Le conseguenze non lo avevano mai tormentato perché nel simulatore dove aveva vissuto non esisteva un vero e proprio nesso temporale. E’ la semplice legge causa ed effetto era limitata alle semplici azioni relative ad una determinata situazione postagli davanti. Una volta completato il suo obbiettivo tutto spariva e si cominciava da capo come se nulla fosse. Ma ora il prototipo zero era nel mondo reale  e forse non sapeva davvero che quella carneficina non si sarebbe cancellata cosi facilmente.
 
 
 
 
Tra i detriti e le esplosioni continue, un blindato dell’esercito si dirigeva a tutta velocità verso il centro di quell’inferno. Uno degli uomini seduti nel retro del mezzo si alzò in piedi, sfilò dal taschino destro dell’uniforme un grosso sigaro, poi portando con l’altra mano l’accendino all’estremità di esso lo accese. Illuminati dal fioco bagliore dello zippo, nell’ombra tetra di quell’abitacolo claustrofobico gli occhi dell’uomo vennero irradiati da una luce dorata. Il suo sguardo era serio, come se avesse subito un sopruso per lui difficile da vendicare. I capelli brizzolati a taglio corto denotavano una certa autorità. Ispirando una nuvola di fumo denso, con voce roca prese a parlare.
<< Non mi interessa che cosa sia questo essere, ne da dove sia sbucato. Il nostro compito sarà semplice. Eliminarlo prima che lui elimini noi. Questa non è più una missione di supporto per le squadre Beta e Gamma. >> esitò per qualche istante << probabilmente quei ragazzi sono già morti. Sta a noi vendicarli e porre fine a tutto questo sangue. >>
 
<< E se non ci riuscissimo signore? >> domandò un soldato in preda allo sconforto.
<< Useremo un fucile più grosso! >> rispose sarcastico l’uomo col sigaro.
 
<< Tze! >> sbottò sottovoce uno degli spettatori di quel discorso. << Come se non ci avessero già provato… >> continuò.
L’uomo col sigaro lo fulminò con lo sguardo. << Qualcosa da dire Occonnor? >> una vena d’ira pulsò sotto la sua palpebra.
Il giovane soldato dai capelli biondi si alzò dalla panca di acciaio su cui era seduto e con tono sprezzante rispose << Non è da ieri che faccio questo lavoro. Ho ucciso molte cose nella mia carriera e le assicuro che so benissimo cosa sono in grado di abbattere e cosa no. E sono decisamente convinto che ne io ne lei , ne le squadre Beta e Gamma saremmo in grado di eliminare quel mostro. Non è questione di usare un fucile più grosso…>>  poi ricordandosi che quello era un suo superiore concluse in modo seccato << signore!>>.
 
<< E cosa ci consigli di fare David? >> Disse in tono informale l’uomo col sigaro, per far notare che quella risposta  non era pertinente al suo grado e che sarebbe stato meglio se fosse rimasto al suo posto. Il ragazzo notando questo rispose comunque << Consiglio di concentrarci sull’aiutare i civili rimasti ad evacuare l’area. E poi anche se non sono sicuro servirebbe, bombardare la città con un atomica. >>
A quelle parole l’altro interlocutore gettò il sigaro a terra e afferrò il giovane soldato per il collo << Chi ti credi di essere sbruffoncello? Sai quanti ne ho visti di idioti come te? Pronti a risolvere ogni problema gli si pone davanti con una cazzo di bomba! La differenza tra noi soldati e quei grassoni  burocrati è che noi siamo pronti a sacrificarci per il nostro paese! Siamo pronti a morire per evitare ulteriori spargimenti di sangue! Preferisco combattere e morire più tosto che intossicare la nostra casa per l’eternità con uno di quei gingili radiottivi! >>
 
David Occonner si liberò da quella presa e con voce rabbiosa ma sottomessa rispose << Allora moriremo! Signore! >> concluse riprendendo posto tra le file dei suoi compagni.
 
Il blindato si fermò qualche secondo dopo, nell’area prestabilita. Il plotone scese come previsto. Mentre David imbracciava il fucile e si preparava a scendere, i suoi occhi incrociarono quelli del Sergente Maggiore Alvin Nordwin che si stava fumando l’ennesimo sigaro per combattere lo stress. Notò che aveva una specie di quaderno rosso in mano … ma non gli importò più di tanto.
Era troppo occupato a pensare all’ipocrisia delle parole che aveva appena sentito, perché sapeva benissimo che lui sarebbe rimasto al sicuro su quel blindato  e che non avrebbe combattuto insieme a loro.  Il sacrificio di cui tanto parlava , non era altro che un bluff per convincerli che non sarebbero morti in vano.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mentre si muovevano a passo di marcia per le vie disastrate di New Yok, le canne dei loro fucili non smettevano mai di guizzare da una parte all’altra della strada, ad ogni angolo e ad ogni finestra sotto cui passavano. Il nemico poteva saltare fuori da un momento all’altro, in qualunque direzione. Sapevano bene che se fossero stati presi alla sprovvista sarebbero diventati carne da macello in men che non si dica. Ma forse non era questo che li metteva in allerta, dopo tutto in cuor loro erano più che sicuri che prima del tramonto avrebbero fatto comunque compagnia ai vermi sotto terra. Era troppo improbabile che nessuno ci lasciasse le penne in quella missione suicida. La cosa che più premeva sulle loro coscienze ora , era di eliminare quell’essere a qualunque costo. E il sacrificio delle loro vite implicava quel costo probabilmente.
 
Il respiro di David era veloce. L’adrenalina faceva pompare il suo cuore al massimo dei giri, donandogli cosi più lucidità e maggior auto controllo. La sua mente era sgombra da qualunque distrazione. Ma il suo cuore gli diceva che quello non era il modo di affrontare un avversario di quel calibro. E questo lui aveva cercato di dirlo anche ai suoi compagni.
 
Il piano era semplice. Dalle informazioni radio si era capito che quel mostro era troppo veloce per essere inseguito o per essere puntato e agganciato da un arma corazzata. Bisognava trovare il modo di tenerlo fermo abbastanza per dare la possibilità ai cecchini di colpirlo simultaneamente alla testa e fargli saltare le cervella una volta per tutte.
I dieci componenti della quadra si sarebbero divisi in 2 unità. Le esche e i cecchini. E anche se a David non lo aveva mai ammesso a voce alta , sapeva di essere il miglior tiratore della sua squadra. Ma quel titolo in quell’occasione non gli faceva affatto piacere.
 
L’uomo in testa al drappello di soldati si voltò e con voce decisa impartì gli ordini.
<< Coper! Francis! Dag! Kevin! Voi venite con me! Ci dirigeremo nella piazza centrale e cominceremo ad attirare il nemico. La visibilità dall’alto in quell’area è molto buona. Voi altri vi piazzerete nei palazzi adiacenti e aspetterete il mio segnale per far fuoco! Mi raccomando, mirate alla testa. Colpirlo da un'altra parte sarebbe inutile. Abbiamo una sola possibilità. Non deludetemi. Tutto chiaro ragazzi? >>
 
Ascoltando quelle parole David cercò con tutto se stesso di essere d’accordo con quegli ordini. Non aveva alcun rispetto per il Maggiore Alvin, non lo considerava diverso dai burocrati che lui stesso disprezzava tanto. Ma il suo capitano era un altro discorso… c’era stima per lui. Gli aveva insegnato tutto quello che sapeva e lo aveva reso la perfetta macchina da guerra che ora era. Contestare i suoi ordini lo avrebbe fatto sentire più ingrato che indisciplinato.
<< No signore. Non sono d’accordo. >> Disse David senza interrompere la marcia.
 
<< Occonnor! Non è il momento di discutere gli ordini. Fai come ti dico e torneremo a casa in tempo per cena! >> Disse il capitano Brandon Mix, sapendo benissimo di mentire. Non era sicuro che tutti c’è l’avrebbero fatta questa volta.
 
<< Capitano, non ritengo che la mia vita valga più della sua o degli altri. Non posso mandare i miei compagni a fare da esca mentre io me ne sto appollaiato ad aspettare e a prendermi la gloria. Mandi Kevin al posto mio. Anche lui è un ottimo tiratore! >>
 
<< Sai benissimo che Kevin è una femminuccia come cecchino! Non affiderei la mia vita a lui neppure se fossi costretto. Figuriamoci la sopravvivenza del nostro paese … >> Rispose sarcastico il Capitano. Magari quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe potuto prendere in giro Kevin e non poteva lasciarsela scappare.
 
<< Grazie signore! >> Disse Kevin stufo dell’ennesima beffa.
 
<< Prego ragazzo! >> Rispose il capitano sogghignando.
 
David non era soddisfatto da quella risposta. Interruppe improvvisamente la sua marcia. Gli altri accorgendosi di ciò per non lasciarlo indietro fecero lo stesso.
 
<< Capitano! Non posso accettare quest’ordine. Mi dispiace ma non lascerò che qualcuno muoia al posto mio. >>
 
<< Soldato! >> esclamò il capitano con voce autoritaria. << Comportati da uomo! Esegui gli ordini e non rallentarci più di quanto non abbia già fatto. >> esitò. poi distolse lo sguardo e lo portò all’orizzonte << moriremo tutti comunque… lo sappiamo …. Non farcela più complicata di quanto non sia… >>
 
Gli altri lo guardarono. I loro volti nonostante quelle parole erano sereni. Morire per il proprio paese è la morte migliore per un soldato; al campo d’addestramento lo dicevano spesso. Ora era il momento di riflettere su quel dogma che mai aveva attirato la loro attenzione come in quel momento.
<< Il nostro destino è lo stesso. Indipendentemente da quello che scegliamo. >> Disse Dag.
<< Fratelli in guerra, fratelli per sempre! >> aggiunse Francis.
<< Dobbiamo stare uniti ciccio! Siamo una squadra! E le squadre non si separano. Si coprono le spalle a vicenda! >> Commentò Couper.
<< Anche se mi secca ammetterlo, chi meglio di te può coprirci le spalle Occonor? >> Concluse Kevin sorridendo.
 
Le parole dei suoi compagni fecero breccia nel suo animo. David si sentì in colpa per aver messo in discussione gli ordini del capitano. Sapeva bene che le loro vite valevano allo stesso modo, il motivo per il quale non avrebbe potuto fare da esca era chiaro, i suoi compagni sapevano che era il migliore, e contavano su di lui più di chiunque altro nella squadra. Anche se non era una situazione piacevole per David, non avrebbe potuto deluderli. Avrebbe dovuto proteggerli. Proprio come avevano fatto loro con lui molte altre volte.
 
<< Va bene ragazzi! Facciamo un bel buco in testa a quello stronzo! >>

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 7 - Primo sangue ***


CAPITOLO 7 – PRIMO SANGUE.
Il giorno del disastro di New York. 25/10/2014
 
Si può vedere il mondo attraverso diverse cose. C’è chi lo vede attraverso una finestra, c’è chi lo vede dallo schermo di un televisore , chi da l’obbiettivo di una macchina fotografica. David ora vedeva il mondo dal mirino del suo fucile di precisione, e l’immagine non gli era sembrata mai tanto nitida come in quel momento.
Appostato al settimo piano di quel grattacielo si sentiva come uno di quei gargoil sulle cattedrali delle antiche chiese gotiche; immobile. Osservatore statuario degli eventi.
 
Il capitano Brandon si trovava nella piazza davanti a lui, e insieme alle altre esche sparavano a qualunque cosa si trovassero a tiro, cercando di far più rumore possibile. Sapevano che prima o poi qualcuno sarebbe venuto a far loro visita.
 
Gli altri 4 cecchini si trovavano a tiro in altre rispettive strutture.
 
<< MOOSTROOO!!! ESCI FUORI SE HAI IL CORAGGIOOOO!!! >> Gridò il capitato scaricando un caricatore al cielo. Quelle urla avevano un non so che di blasfemo. Come se Brandon c’è l’avesse direttamente con Dio in persona, e incolpasse lui di quella carneficina .
 
Nessuno rispose a quella chiamata. Sembrava una città fantasma; solo l’ululare del vento fra di detriti riecheggiò alle loro orecchie, e la polvere delle macerie formò strane nuvole minacciose, come se la citta stessa cercasse di avvertirli del pericolo a cui stavano andando incontro.
Il silenzio era assordante. La tensione sempre più insostenibile.
Poi qualcosa cambiò… un frastuono infernale interruppe quel silenzio, seguito da una specie di sibilo. Proveniva dal centro della città. Proprio da dove erano arrivati poco prima.
 
Una sagoma verdastra attraversò il cielo, come una stella cometa, ma che partiva dalla città per eseguire una perfetta parabola in aria . Poi andò a schiantarsi a un paio di isolati da loro.  Il rumore dell’impatto ricordava quello di un tuono in una tempesta estiva.
 
Quello che avevano appena visto volare e spiaccicarsi al suolo era il loro blindato. Lo stesso blindato da cui erano scesi un ora prima. Lo stesso blindato che avrebbe dovuto portarli alla base dopo la missione, dalle loro famiglie. Lo stesso blindato dove il sergente maggiore Alvin li stava aspettando. Ora era un cumulo di lamiere impolverate.
 
Gli occhi di David avevano visto le atrocità della guerra, ed erano stati sul punto di chiudersi per sempre più di una volta; ma non erano mai stati spaventati come in quell’occasione. Per la prima volta David ebbe paura di morire; perché in quell’istante si rese davvero conto di che cosa stessero combattendo.
 
 
Una voce agghiacciante lanciò un urlo dal più profondo e oscuro antro della città in fiamme. Sembrava umana, ma qualcosa lasciava intendere che non lo fosse. Non tutti i presenti ne colsero il significato, il suono era distorto ed echeggiante, ma David riuscì ad udire distintamente il significato di quel grido; era una parola, un nome, “Margaret”.
 
 
 
Quello era il momento giusto, pensò il capitano. Ordinò alle esche di sparare a più non posso.
 
Udendo quegli spari un ghigno comparve sul volto del prototipo zero.
La creatura non esitò ad accettare l’invito e con un solo balzo giunse a loro. Un salto di non meno di 7 chilometri . Il suo modo di spostarsi per la citta era davvero semplice nei gesti, ma allo stesso tempo devastante e mostruoso per forza e intensità. Nessun altra creatura terrestre avrebbe potuto eseguire un movimento simile. Ma il prototipo zero non aveva limiti ne di forza, ne di resistenza. La linea netta che separa il pensiero dall’agire per lui non esisteva; aveva appena attraversato la città con un solo salto e questo non lo aveva neppure stancato. Se Dio fosse stato li in quel momento, avrebbe ceduto il posto a quell’essere che non conosceva davvero confini metabolici ed organici.
 
 
L’impatto del suo atterraggio nella piazza fu esplosivo. L’onda d’urto fece scoppiare ogni vetrata circostante e detriti schizzarono in ogni direzione. L’effetto fu simile ad un bombardamento.
 
 
Il palazzo su cui David era appostato oscillò vertiginosamente, ma per fortuna non cedette. Dopo qualche secondo di stasi per metabolizzare la situazione, il giovane riprese posizione e scrutò la piazza col monocolo del sul mirino. La visibilità era scarsa a causa del polverone dell’impatto, ma appena riuscì a mettere a fuoco David rimase sbigottito dallo stupore.
 
Avvolto in quella che sembrava una specie di coperta impolverata c’era un essere nel centro della piazza. Se ne stava immobile come se niente fosse. In attesa.
Dalla posizione in cui si trovava David non riusciva a scorgerne il volto.
Quello che più lo stupiva era che sembrava un uomo. Non era un essere gigantesco o una bestia riluttante come se lo era immaginato. Era un semplice uomo.
 
<< Come è riuscito a fare tutto questo? >> si domandò mentre guizzava la traiettoria del mirino sul corpo del suo nemico per poterne studiare la struttura fisica.
 
Improvvisamente da  dietro un cumulo di macerie sbucò fuori il capitano Brandon che impugnando il fucile partì in una carica contro il mostro. Le altre esche fecero lo stesso e sbucando dai loro nascondigli cominciarono ad aprire il fuoco.
Le scintille sull’estremità delle loro armi , sembravano i lampi di una tempesta, e loro ne erano totalmente in balia.
I fuochi si incrociarono sullo stesso bersaglio. La coperta che avvolgeva dalla testa ai piedi la creatura, sotto i colpi a ripetizione di quelle armi da fuoco, ondeggiava come indemoniata in quegli interminabili istanti di furia cieca. Zampilli di sangue volarono ovunque simili ai fili di una ragnatela,  impregnando l’aria di una densa nebbiolina rosa.
 
Senza mai arrestare il flusso di pallottole i cinque si avvicinarono a piccoli passi verso il nemico per rendere più efficaci e letali i loro spari; fino a quando tutti non esaurirono i colpi a disposizione.
 
Ci fù un attimo di silenzio, in cui il rimbombare dei mitra echeggiava ancora lievemente nelle loro orecchie.
L’odore dello zolfo ricordava quello che lasciano i fuochi d’artificio dopo una festa di paese, soltanto che in quell’occasione festeggiare sarebbe stato davvero fuori luogo.
 
I cinque uomini rimasero immobili per qualche secondo. Il fumo delle loro bocche da fuoco era ancora vivido e sinuoso. Nonostante non avessero più colpi da sparare continuarono a tenere sotto tiro la creatura, che era rimasta impassibile per tutto il tempo.
Anche se era evidentemente ferita ella non aveva emesso un gemito di dolore ne un segno di mancamento. Colpire una statua sarebbe stato più soddisfacente per loro.
 
I soldati si guardarono per capire quale dovesse essere ora la loro prossima mossa. Il capitano gli fece segno con la mano di stare indietro e si avvinò al nemico con passi cauti.
 
<< Forse è morto! >> commentò uno di loro.
<< Qualunque cosa lo sarebbe a questo punto!>> Gli rispose un altro.
 
Il capitano ormai si trovava solo ad un metro da quella che sperava fosse solo una carcassa fumante. Era talmente statica che sembrava non respirasse neppure, e forse cosi era…
 
Brandon tese una mano verso il volto della creatura, poi con un gesto deciso abbasso il rustico cappuccio che lo nascondeva.
 
La sorpresa nei suoi occhi non fu data dal constatare che quell’essere fosse ancora vivo, quanto dal fatto che il suo viso gli fosse tanto familiare… troppo familiare.

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 8 - Uno per tutti! ***


CAPITOLO 8 – UNO PER TUTTI.
Il giorno del disastro di New York. 25/10/2014
 
 o sguardo del capitano Brandon era serrato dallo shock.  Era impossibile che quella creatura potesse avere quel volto. In quell’istante la linea di pensiero dell’uomo si frammento in mille direzioni , ognuna concentrata a ipotizzare una plausibile spiegazione. Nessuna linea logica riuscì a soddisfare quella terrificante sorpresa.
 
Nella pozza di sangue da cui si trovava, il prototipo zero sorrise angelicamente. I suoi occhi verdi riflettevano l’immagine del capitano, quasi a catturarne l’essenza.
 
<< E’ tutto qui quello che sapete fare? >> domandò la creatura.
Quella voce risuonò nella mente di Brandon come uno stridio di gomme nella notte, facendolo uscire da quello stato catatonico in cui era piombato.
Il prototipo zero si rese conto di ciò, e come un serpente che attacca prima che la sua preda scappi via, afferrò il capitano per la gola e lo tirò su ad un metro da terra. Aveva già ucciso in quel modo, e niente gli impediva di ripetersi.
I cecchini avevano visto tutta la scena e aspettavano un solo gesto del capitano per poter aprire il fuoco. David teneva il fucile saldamente ma il suo dito indice fremeva per scendere sul grilletto e sparare prima che il suo mentore ci rimettesse le penne.  “Cosa aspetta!?” si domandò più volte.
 
<< Chi sei veramente!? >> domandò il capitano terrorizzato. Alzando leggermente il palmo sinistro e facendo aspettare ancora qualche secondo i cecchini. Anche se sarebbe potuto morire da un momento all’altro , non riusciva a trattenere la curiosità per quell’inspiegabile somiglianza che gli si poneva difronte.
 
Il prototipo zero inclinò la testa leggermente, come un cane che attende un biscotto.
 
<< Lo sai chi sono! >> esclamò con tono pacato, poi portandosi all’orecchio destro del capitano sussurrò dolcemente << Sono colui che ti ucciderà! >>. In quell’istante Brandon avverti che la pressione della presa sul collo stava cominciando ad aumentare così, bruscamente abbassò la mano che teneva a mezza’aria e sorridendo a sua volta rispose << Non credo proprio bello! >>.
 
 
5 colpi di fucile partirono in quell’istante. Ognuno da una direzione diversa ma tutti congruenti nello stesso punto, il cranio del prototipo zero.
 
 
E’ risaputo, che l’occhio si muove più veloce della mano.
Quei cinque proiettili viaggiavano decisamente troppo rapidamente per essere colti anche dall’occhio più rapido del pianeta. Ma la mano della creatura in quell’occasione dimostrò che questo detto è da riconsiderare.
Senza mollare la presa, il braccio che teneva sospeso il Capitano compì una rotazione rapida, portandolo in traiettoria dei colpi che gli si incastonarono uno dopo l’altro nel teschio procurandogli una morte istantanea oltre che atroce.
 
 
 
I 4 cecchini rimasero impietriti. Avevano appena ucciso con le loro stesse mani il Capitano.
 
Dalla nuca di David, gelati brividi di terrore si espansero attanagliandogli il viso come se le fredde dita di un fantasma lo stringessero per il volto.
La disperazione esplose nel suo cuore lasciando la sua mente vuota ed inerme.
 
“Non è possibile!” era l’unica cosa che riusciva a pensare in quel momento.
“Cosa ho fatto?” fu il secondo pensiero che riuscì ad elaborare.
 
Dopo qualche secondo di silenzio il grido di uno dei cecchini si levò al cielo simile al pianto di un lupo nelle notti di luna piena. Poi un altro sparo si udì. Ma stavolta il cranio ad esplodere era di colui che lo aveva sparato.
 
 
 
La creatura lasciò la presa e il corpo di Brandon stramazzò a terra.
 << Vedo che qualcuno mi ha risparmiato il lavoro! >> esclamò l’assassino dopo aver udito lo sparo non diretto a lui.
 
 
Le 4 esche rimaste si accorsero guardando in volto il prototipo zero, della stessa somiglianza che aveva sconcertato il loro Capitano qualche istante prima di morire. La loro reazione interiore fu la medesima; incredulità.
 
<< Questo bastardo è identico a … >>  Coper fù il primo a parlare di quella somiglianza diabolica.
Forse gli altri esitarono fino a quel momento pensando che si trattasse di un allucinazione dovuta allo shock. O forse non volevano ammettere che ad uccidere il capitano fosse stato qualcuno con quel viso…
 
 
Estraendo una granata dal cinturone Dag esclamò << Non mi frega un cazzo a chi assomiglia questo qui! Ha ucciso il Capitano e non possiamo lasciarlo scappare… >>
 
<< Hai ragione! >> Disse Francis impugnando una granata a sua volta.
 
Intuendo cosa i compagni avevano in mente di fare  Kevin fece lo stesso. << D’accordo, facciamolo allora!>>
 
Coper annui e gridando a voce alta per attirare l’attenzione dei 4 cecchini rimasti impartì il nuovo piano.
 << STATE PRONTI VOI ALTRI LASSU’! NON ABBIAMO ALTRA SCELTA! >>
 
I cecchini capirono quello che i loro compagni avevano intenzione di fare. Anche se era difficile ammetterlo, Brandon era morto invano. Avevano bisogno di un'altra possibilità, e i loro compagni erano pronti a morire per procurargliela. Ma soprattutto, erano pronti a morire per vendicare il loro Capitano.
 
David strinse i denti e facendosi coraggio si preparò a sparare ancora.
<< Questa volta non ti mancherò bastardo! >>  Dalla sua posizione non riusciva a vedere il volto del nemico, ma avrebbe venduto l’anima al diavolo per vedere bene la faccia di colui che aveva causato tutto questo.
 
 
In un gesto teatrale il mostro cominciò a battere le mani e con tono pacifico esclamò << Ma bravi! Forse questa volta non morirete cercando di uccidermi! >> poi aggiunse facendo segno col dito indice << Fatevi avanti! Su! >>
 
 
 
Couper rispose ridendo a sua volta << Non è morire che ci spaventa! E te lo dimostreremo subito! >> detto ciò tirò la linguetta della granata.
Ma anzi che lanciarla la tenne saldamente in mano. Gli altri fecero lo stesso, e tutti insieme partirono in un avanzata suicida contro il nemico.
Il prototipo zero rimase impassibile dinanzi a tutto ciò. Il suo sguardo era incuriosito e allo stesso tempo divertito nel vedere tutti quegli uomini disposti a farsi saltare in aria per eliminarlo.
Uno dopo l’altro i soldati si avvinghiarono al corpo della creatura.
Non avevano più munizione e quella era l’unica cosa che potessero fare per assicurarsi la vittoria.
 
Ogni soldato ben addestrato sa che una granata impiega cinque secondi per esplodere.
Allo scoccare del 4 secondo i cecchini aprirono per l’ennesima volta il fuoco sulla testa del nemico.
 
<< Questo è per il Capitano Brandon amico! >> Fu quello che esclamò Kevin un secondo prima che il suo corpo saltasse in aria insieme a quello dei suoi compagni.
 
 
 
Per l’ennesima volta nello stesso giorno David aveva perso delle persone care.  Cosa sarebbe stato di lui ora che i suoi fratelli d’armi lo avevano abbandonato? Avrebbe dovuto seguire l’esempio dell’altro cecchino e togliersi la vita per il disonore di aver ucciso il proprio stesso mentore?
 
Troppa gente era morta per dare la possibilità a lui di continuare quella missione; e se anche quel drastico tentativo fosse stato vano di certo non avrebbe saputo vivere più in tranquillità come un tempo con tutte quelle anime sulla sua coscienza.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** CAPITOLO 9 - IL VOLTO DELLA MORTE ***


CAPITOLO 9 – IL VOLTO DELLA MORTE
Il giorno del disastro di New York. 25/10/2014
 
 
Qualche istante prima dell’esplosione, i 4 proiettili solcarono l’aria. Il fischio dei colpi fu coperto dall’assordante e accecante boato della detonazione.
 
Una nuvola di fumo scuro si levò dal centro della piazza. Ceneri e minuscoli sassolini continuarono a cadere ancora per qualche istante.
 
I cecchini erano ormai sicuri di aver eliminato il nemico, ma nonostante ciò non avevano intenzione di festeggiare prima che i loro occhi avessero scorto la carcassa maciullata della creatura .
Un rivolo di sudore colò sulla fronte di David e andò a posarsi sul suo mento.
“Ti prego, dimmi che è finita.” Sussurrò tra se il giovane soldato.
 
Qualcuno deglutì. Qualcuno fece il segno della croce. Un altro cinse le mani alle tempie. L’attesa era snervante, insostenibile.
Un improvvisa folata di vento gelido ululò fra le macerie della piazza. Il fumo, come una coperta invernale, scivolò fra le rocce inseguendo il vento e lasciando la piazza nuda difronte alla realtà.  
 
Nell’immenso cratere fumante brandelli verdi, provenienti dalle mimetiche dei compagni di David, volavano ondeggiando qua e la come foglie secche.
 
Un piede si sollevò tra le ceneri incandescenti , poggiandosi sul corpo carbonizzato di Kevin. Poi con uno scatto improvviso lo schiacciò riducendolo in un cumulo di ceneri ancora calde.
 
<< Bel tentativo! >> Esclamò il prototipo zero. Il suo viso era ricoperto di sangue, solo gli occhi verdi risaltavano in quella macchia rossastra che ricopriva il suo volto.
 
 
<< Non è possibile! Non ci credo! >> esclamò David scorgendo la sagoma della creatura ancora in piedi. Ogni cellula del suo corpo gli diceva che quella situazione era totalmente surreale, eppure quella era la realtà.
“Non esiste un essere vivente in grado di resistere a tutto questo! Quello non è un uomo! E’ un demonio!”
Il fucile scivolò dalle mani sconvolte del ragazzo insieme all’ultimo granello di speranza che possedeva.
 
 
 
 
Uno dei cecchini capì che la missione non poteva essere compiuta in quelle condizione, non erano in grado di fronteggiare qualcosa di simile, così preso dallo sconforto tentò disperatamente di scappare. Scese velocemente le scale del grattacielo su cui si trovava  e si diresse all’uscita posteriore dell’edificio.
Ma appena attraversò la porta d’uscita qualcosa lo afferrò per il braccio. Quando si voltò il viso rosso di sangue della creatura gli sorrideva istericamente << Morirete tutti! >> esclamò poco prima di compiere un enorme salto.
Il cecchino ora era a più di 100 metri da terra; la velocità con cui erano schizzati in aria improvvisamente, lo aveva ucciso sul colpo spezzandogli il collo.
Nell’istante il cui il Prototipo Zero raggiunse il punto più alto del suo salto con una forza mostruosa scaraventò come un missile il cadavere che stringeva, contro il grattacielo su cui si trovavano altri due cecchini. L’impatto fu violentissimo, il missile improvvisato perforò la struttura abbattendo una colonna portante che portò al crollo inevitabile del palazzo.
La grigia esplosione ebbe per un istante striature rossastre derivate dal sangue che impregnò l’aria nell’impatto.
 
 
 
David era rimasto solo ora.
 
Niente e nessuno lo avrebbe salvato. Aveva visto cosa quella creatura fosse in grado di fare. Lo aveva visto bene. E’ niente di quello che gli veniva in mente avrebbe fatto la differenza, sarebbe stato trucidato come i suoi compagni. Ma sarebbe stato meglio morire li, più tosto che sopravvivere dopo aver assistito a quel massacro. Si, lui ora preferiva morire. Lo sapeva.
 
 
 
Le gambe gli cedettero. La vista si annebbiò. I passi lenti del mostro risuonavano sempre più vicini; sempre più inesorabili. Come la zampa di un gatto che estrae gli artigli se viene premuta, in un gesto automatico e involontario lui estrasse il coltello.
 
<< D’accordo. Sono pronto. Vieni a prendermi. >> anche se la sua mente e il suo animo da guerriero si erano arresi, il suo corpo non voleva saperne di arrendersi. Più pensava che era tutto finito, più i suoi muscoli si tendavano pronti a scoccare come frecce micidiali.
 
 
 
Un sagoma scura entrò nella stanza; puzzava di bruciato e grondava sangue dappertutto.
 
I due volti si specchiarono per la prima volta l’uno difronte all’altro. La macabra somiglianza che tutti i compagni di David notarono poco prima di morire, ora era evidente. Era irremovibile.
 
<< Ma tu sei … >> sussurò David spalancando gli occhi. La lista delle cose incredibili a cui aveva assistito quel giorno, crebbe.
 
<< Che significa ..? >> Si domandò il Prototipo Zero, per la prima volta incredulo.
 
Gli occhi verdi del Prototipo Zero si specchiarono in quelli azzurri del suo imprevisto sosia.
Due gemelli non sarebbero stati tanto simili come quei due corpi ,che ora si fissavano spaesati e sconcertati.
 
 
<< Siamo identici! >> esclamarono all’unisono doppiandosi  l’uno con l’altro.
 
 
E’ possibile che due persone, nonostante vivano vite distinte e separate in punti diversi del pianeta, ignorando totalmente l’esistenza l’uno dell’altro, e non avendo niente in comune, possano condividere un destino?
La loro esistenza come singoli individui in quell’istante cessò di essere tale. Le loro vite si incrociarono per caso ma il fato dette la prova tangibile che quelle due vite erano destinate inesorabilmente a incrociarsi; il caso non centrava.
Cosa sarebbe cambiato ora? I loro destini si sarebbero sciolti di  nuovo? 
 
 
 
David si accasciò a terra incredulo, sperando che quello fosse solo un brutto sogno.
<< NO! NON PUO’ ESSERE! NON PUOI ESSERE ME! NON LI HO UCCISI IO! >> gridò a squarcia gola.
 
 
 
Il prototipo zero rimase immobile davanti allo sfogo del suo gemello. In nessuna simulazione aveva incontrato una sua copia, perché avrebbero dovuta inserirla? Non avrebbe avuto senso. Quella situazione era del tutto nuova per lui.
Il suo istinto di vendetta nei confronti dei suoi creatori in quell’istante sparì, per far posto a qualcosa di diverso. Qualcosa che lui non aveva mai provato e che non aveva mai avuto bisogno di provare. Speranza.
 
<< Tu sei … >>  nonostante fosse una semi divinità in quell’istante ebbe imbarazzo, ed esitò. << Tu sei … mio fratello? >>  domandò timidamente.
Era una domanda insensata. Sapeva benissimo che non era nato da un utero umano e non avrebbe potuto mai avere legami parentali con qualcuno. Eppure la speranza che quell’uomo disperato davanti a lui fosse in qualche maniera un suo parente, lo animò.
 
 
David lo fissò con rabbia impetuosa, schifato dall’idea che quel mostro che aveva distrutto la citta e ucciso tanta gente portasse il suo viso.
<< Sei impazzito? Preferirei morire più tosto che avere un fratello come te! Sei solo un mostro che mi ha rubato la vita! Che mi ha rubato l’onore! CHE MI HA RUBATO GLI AMICI! >> gridò con tutta l’ira che il suo corpo trasudava.
 
Gli occhi della creatura si spalancarono ascoltando quelle parole.
 
Era indistruttibile. Il suo corpo forse lo rendeva immortale. Avrebbe potuto sopravvivere ad un bombardamento. Eppure quelle parole lo ferirono più di qualunque arma avesse cercato di farlo fino a quell’istante.
 
La speranza che qualcuno come lui potesse esistere avrebbe significato che non era più solo; che il suo destino era legato a qualcuno.
 
Dal momento in cui era stato attivato e aveva preso coscienza di se e di quello che era davvero, il suo unico obbiettivo era quello di vendicarsi. Non aveva uno scopo senza la vendetta. Ma ora qualcosa era cambiato dentro di lui, e domande come “cosa farò dopo?” “cosa sarà di me dopo che avrò ucciso Margaret?” cominciavano a ronzargli in testa.
La sua unica speranza era quell’uomo, quel ragazzo.
 La sua unica speranza, di avere uno scopo. Qualcosa da proteggere, qualcosa da difendere , qualcosa da amare, qualcosa da chiamare “famiglia”.
 
 
 
 
Il prototipo zero si avvicinò lentamente verso David.
 
 
Il ragazzo dai capelli biondi emise un grido straziante, e partendo in una carica animalesca brandì l’unica arma a sua disposizione, conficcando la lama del suo coltello dritta nel cuore della creatura.
<< Muori bastardo! >> gli sussurrò con occhi intrisi di odio.
 
 
Il prototipo zero rimase impassibile. Con in volto un espressione rammaricata si limitò a dire << Non avresti dovuto fratello.>>
Diede un colpo secco alla nuca di David che perse immediatamente i sensi.
Mentre stramazzava a terra e gli occhi gli diventavano bianchi riuscì a sbiascicare solo una frase
 << Ti ammazzerò.. >>
 

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Capitolo 10
*** CAPITOLO 10 - SALVI PER MIRACOLO ***


CAPITOLO 10 – SALVI PER MIRACOLO
Il giorno del disastro di New York. 25/10/2014
 
 
 
 
 
Nella vecchia cucina in legno scuro, la voce del giornalista risuonava distorta dalle piccole casse della tv con soli 4 canali.
 
<< Supera il mezzo milione il numero delle morti avvenute a causa della catastrofe che oggi ha colpito la citta di New York. La casa bianca parla di un attentato terroristico ma alcuni testimoni oculari sopravvissuti al disastro, raccontano di una creatura dalla sembianze umane che sta distruggendo ogni cosa incontri. Anche se nessuno l’ha vista da vicino tutti sono d’accordo che stia cercando una persona, il nome che più testimoni hanno sentito gridare dalla creatura è “Margaret”. L’esercito smentisce questa teoria e continua a mantenere il silenzio stampa per il momento.  Vi lascio allo studio in attesa di nuovi aggiornamenti. >>
 
 
La donna si sedette lentamente sulla sedia. La mano con cui teneva la tazza di the non voleva saperne di smettere di tremare.
 
Seduta accanto a lei l’anziana signora la chiamò più volte cercando la sua attenzione, conosceva bene sua figlia; e sapeva che quella sua reazione non prometteva niente di buono.
<< Margaret! Mi stai ascoltando? Cosa ti prende!? Ti senti bene? >> Ripete’ la vecchia signora.
 
Gli occhi della scienziata erano spalancati, fissavano un punto immaginario nel pavimento. La bocca socchiusa lasciava  spazio solo per un debole sbocco di fiato tremolante. Le dita arpionavano le ginocchia.
 
 
<< E’ tutta colpa mia …. Ho ucciso io quelle persone … sono stata io … >> Sussurrò la donna in preda alla disperazione << Ho creato io quel mostro …. Sono stata io … >> ripete’ nascondendo il viso tra le mani.
 
L’anziana signora si alzò in piedi e istintivamente avvolse la donna in un abbraccio << Non so cosa tu abbia fatto Margaret. Ma sei mia figlia e non posso vederti cosi! Errare è umano. Qualunque cosa tu abbia fatto aggiustala ! Siamo responsabili dei nostri errori quanto delle conseguenze che ne conseguono ma questo non significa che non si può rimediare a uno sbaglio commesso piccola mia. >>
 
La donna scoppiò a piangere ricambiando l’abbraccio con avidità infantile << Non posso aggiustare le cose mamma! Non posso cancellare questo! Non si può! >>
 
<< Non ho detto che devi cancellare i tuoi errori. Devi affrontarli invece. Il prima possibile! Prima che loro cancellino te. >>
 
 
Quelle parole attraversarono la mente di Margaret come una lama. La disperazione avvolgeva la sua anima , ma improvvisamente una via nuova gli si aprì dinanzi. Una via giusta, una via inevitabile per continuare a vivere senza odiare se stessi. La via della redenzione.
 
 
Dopo essere uscita dal progetto Infinity Margaret aveva deciso di non tornare subito nel suo appartamento a New York, ma di passare a trovare prima sua madre non lontano dalla città, e rilassarsi per un po’ di tempo prima di tornare a casa.
Si rese conto che quella sua decisione le aveva salvato la vita. Se fosse tornata a New York a quest’ora sarebbe stata già morta.
Nonostante quello che aveva fatto, nonostante le vite di un intera città fossero sulla sua coscienza, il destino aveva deciso di graziarla. Era ancora viva. Anche se per pura fortuna era ancora viva.
Forse il fato aveva qualcos’altro in serbo per lei. Forse Dio gli stava dando ancora la possibilità di rimediare ai suoi sbagli.
Questo era quello che pensò. Questo era quello che decise di fare d’ora in poi fino al giorno del suo ultimo respiro; avrebbe dedicato la sua esistenza a quell’errore, a rimediare a gli sbagli commessi. Era l’unico modo per riuscire a guardarsi ancora allo specchio.

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Capitolo 11
*** CAPITOLO 11 - Ho altro a cui pensare ***


CAPITOLO 11 – Ho altro a cui pensare…
Il giorno del disastro di New York. 25/10/2014 Oregon
 
                                                                                                                    
 
Sentiva la testa pesante, come se qualcuno lo avesse drogato; faticò molto a tirarla su.
I suoi occhi azzurri vennero investiti da una luce intensa, per un attimo pensò di essere in paradiso, poi ricordò di essere ateo.
 
Un cinguettio cristallino si udì in lontananza insieme allo scrosciare impetuoso di un corso d’acqua.
 
<< Dove mi trovo? >> sbiascicò David.
 
Con la mano si sfiorò il petto e si rese conto di essere senza vestiti.
Cercò un arma intorno a lui, ma non vide altro che fili d’erba e terriccio umido.
 
<< E’ un incubo ? >> si chiese.
 
<< Non lo è! >> rispose una voce in lontananza << e te lo dice uno che ha vissuto la sua intera esistenza in un incubo! >>
 
 
David si sforzò di mettere a fuoco la figura che gli aveva appena parlato.
Un ciuffo di capelli neri, occhi verdi. Fisico asciutto. Il viso non era più ricoperto di sangue ma riuscì a capire chi fosse.  Era lui. Il mostro di New York.  
Se ne stava tutto nudo a 10 metri da lui.  
 
<< Non solo il nostro viso è identico, anche i nostri corpi lo sono! E’ davvero impressionante. >> esclamò.
 
 
<< Dove mi hai portato? >>  chiese  David ancora intontito.
 
<< Ci troviamo su una montagna in Oregon. E’ un posto tranquillo. Anche nel simulatore  ci venivo spesso …>>
 
<< Simulatore? Ma di che parli? Come hai fatto a portarmi qui in cosi poco tempo? >> David cercò di tirarsi su col busto.
 
<< Posso muovermi più veloce di quanto tu riesca ad immaginare…  e non solo… >>
 
Aggrappandosi ad un albero David riuscì ad alzarsi  << Cosa sei ? >>
 
Il prototipo zero sorrise << Cosa ti sembra che sia? Sono un uomo! >>
 
<< Un uomo non riuscirebbe a fare le cose che riesci a fare tu … >> Rispose il soldato.
 
<< Allora sono qualcos’altro. Ma non è questo il punto! La cosa che vorrei sapere è cosa sei tu invece. >>
 
<< Io? Io sono solo l’uomo che ti vuole morto! >>
 
<< Dubito che ci riuscirai. Ma dimmi, non ti sei chiesto perché siamo identici? Non sei curioso quanto lo sono io? >>
 
David fissò la creatura per qualche istante. Cosa si aspettava che rispondesse? Che gli avrebbe fatto piacere sapere come mai l’assassino del suo mentore gli somigliava tanto?
 
<< Non me ne fraga un cazzo! >> sbottò sputando per il disprezzo.
 
Il prototipo zero esitò. Incrociò le braccia. << Potremmo essere fratelli… ci hai pensato? >>
 
<< Non è un fratello che cerco. Ma un uomo da ammazzare per quello che è successo ai miei compagni. Il resto non conta. >>
 
Quelle parole esprimevano tutto quello che David pensava a riguardo di quella macabra somiglianza. Semplicemente non gli interessava; l’odio gli accecava la mente in quell’istante e tutto quello a cui riusciva a pensare era la vendetta. Qualcuno doveva pagare per tutto quel sangue versato, e non si sarebbe dato pace finche non avesse vendicato la sua gente.
 
L’astio di quelle parole si infranse come un onda sul castello di sabbia e speranza del prototipo zero. Tutto quello che avrebbe potuto avere, l’unica cosa che riuscì a capire di aver mai desiderato non era fattibile. Quell’uomo non lo avrebbe mai considerato parte della sua famiglia; mai e poi mai. Era troppo tardi.
 
 
 
Improvvisamente il corpo del prototipo zero saettò di fronte a quello di David, formando un immagine quasi speculare.
<< Peccato! >>  esclamò la creatura qualche secondo prima di colpire la fronte di David con una semplice schicchera che lo scaraventò a mollo nel fiume alle sue spalle. Lo stesso fiume che lo avrebbe portato da Mark e Scarlet…
David non ebbe neppure il tempo di reagire , tutto quello che riuscì a vedere fu solo un fulmine rosso che si infrangeva contro la sua testa.
 
 
 
Avrebbe potuto ucciderlo all’istante se solo avesse voluto, ma quel ragazzo era troppo importante per lui. Non riuscì cosi ad eliminare la sua unica speranza di una ragione per cui vivere; qualcosa al di fuori della vendetta. Questa forse fu l’unica debolezza che il prototipo zero dimostrò di avere, e forse un giorno quella debolezza sarebbe stata la sua rovina…
 
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** CAPITOLO 12 - La bestia che domina la bestia ***


CAPITOLO 12 – La bestia che domina la bestia.
Il giorno dopo del disastro di New York. 26/10/2014 Oregon.
 
 
Aveva vagato senza meta per un giorno, fra i boschi e le foreste più oscure di quei luoghi. Evitando la civiltà come un vampiro evita l’aglio.
La fame non lo perseguitava, tanto meno la stanchezza. Le ferite che aveva sarebbero guarite senza problemi, non erano importanti.
Si sentiva come un fantasma, senza patria, senza famiglia, senza amore, senza uno scopo.
Non voleva ricordare ciò che aveva fatto, ne quello che aveva scoperto di essere, ne l’ipotetica famiglia che lo aveva ripudiato. Aveva solo voglia di ritrovare se stesso, di capire meglio il significato dei suoi gesti in quel nuovo mondo chiamato realtà.
 
Dopo essersi svegliato da quel sonno artificiale ed essere uscito per la prima volta da quella gabbia digitale in cui era relegato, aveva preso coscienza di quanto la sua intera esistenza  fosse stata manovrata e strutturata fin dal principio. Nulla era stato reale.  il suo desiderio più grande in quel momento era dimostrare a se stesso di essere finalmente libero.  La libertà era l’unica cosa che contava davvero, e avrebbe rivendicato tale desiderio uccidendo tutti coloro che lo avevano tenuto incatenato. Margaret era  l’unica cosa che lo separava dalla vera espressione di se stessi,  dalla vera libertà.
 
Eppure, al tempo stesso sapeva che ucciderla non avrebbe cambiato le cose. Quello che lui desiderava lo aveva già ottenuto in fin dei conti… la sua vita gli apparteneva adesso.
Cosa doveva fare quindi? Inseguire la vendetta ? E dopo? Cosa gli sarebbe restato?
Avrebbe dovuto vivere una vita normale?
Non poteva, e lo sapeva bene. Le cose che riusciva a fare, le cose che il suo corpo riusciva a sopportare lo rendevano diverso, speciale, superiore. Come fa un lupo a vivere fra le pecore? E’ impossibile.
 
 
 
 
 
La luna pallida, osservava il suo stupido figlio vagare per la terra senza una meta e uno scopo. Alzando gli occhi ad essa il prototipo zero provò invidia.
“Almeno la luna sa perché è li. ” pensò.
 
 
Improvvisamente le sue riflessioni furono interrotte da qualcosa. I suoi sensi si misero in allerta in un secondo.
Qualcosa stava attraversando la foresta. Qualcosa di veloce. Qualcosa di selvaggio.
Decise di dirigersi verso di essa.
 
Nascondendosi fra la vegetazione i suoi occhi scorsero una figura. Era un animale. Un enorme lupo grigio teneva in bocca un coniglio morto. Il sangue colava a terra lasciando una scia rossa al suo passaggio.
Il lupo si fermò di colpo, poi si voltò verso il prototipo zero e un ringhio minaccioso vibrò dal suo petto. Evidentemente era stato fiutato.
 
Il prototipo zero uscì lentamente allo scoperto. Il lupo tenne le distanze per qualche minuto continuando a grugnire a bocca piena, mostrando le zanne conficcate nel povero coniglio.
 
Gli occhi verdi del prototipo zero si incrociarono con quelli gialli del lupo. Le due creature si scrutarono a lungo cercando di capire ogni uno le intenzioni dell’altro.
Poi improvvisamente tutto cambiò. Il lupo inclinò la testa leggermente e la coda che prima teneva tesa in segno d’allerta ora si agitava allegra e festosa.
L’animale si avvicinò al prototipo zero con fare amichevole, gettò il coniglio ai suoi piedi e si mise seduto a fissarlo.
 
<< Anche tu mi piaci bello! >> sussurrò cordialmente accarezzandolo.
 
Il prototipo zero afferrò il coniglio ai suoi piedi << Che ci faccio con questo scusa? >>
 
<< Tanto per cominciare puoi restituirlo! >> esclamò improvvisamente una voce alle sue spalle.
 
 
Sobbalzò udendo quella voce cosi inaspettata. Era la prima volta che veniva preso di sorpresa e non capiva davvero come fosse potuto accadere. I suoi sensi erano sviluppati almeno quanto quelli del lupo che aveva davanti, se non superiori.
 
<< E’ tuo il cane? >> domandò sorpreso e incuriosito.
 
La voce femminile che continuava a tenergli la canna del fucile dietro la schiena rispose sprezzante. 
<< Lui non è mio. E io non sono sua. Siamo soci! >>
 
<< Come fai ad essere socia di un lupo? >> domandò divertito il ragazzo da gli occhi verdi.
 
<< Tutte le notti vengo su questa montagna e mi incontro con questo lupo per cacciare insieme. Lui mi stana le prende e io le impallino. A fine serata facciamo a metà con il bottino e ognuno torna a casa sua. E  ci rivediamo sulla la montagna la notte dopo! >>
 
Quella risposta oltre che naturale sembrò anche impossibile. “Come fa un lupo selvatico a cacciare insieme ad un umano? Non può essere addestrato.”
 
<< E tu chi sei? >> domandò il prototipo zero.
 
<< Io? Sono una cacciatrice, proprio come lui. E tu hai appena rovinato il nostro accordo! >> la ragazza abbassò l’arma.
Il ragazzo si girò lentamente e quel che vide fù impressionante come la storia che aveva appena sentito.
In una mimentica verde militare una bellissima ragazza dai lunghi capelli scarlatti lo guardava. I suoi occhi gialli ricordavano quelli del lupo grigio ma sotto di essi, una sottile cicatrice attraversava il volto da uno zigomo all’altro percorrendo anche il naso, senza intaccarne però l’anatomia.
 
<< Io sono Annabel! E quel coniglio è anche mio. >> esclamò la cacciatrice.
Era la seconda volta in vita sua che il prototipo zero veniva preso di sorpresa, e stavolta era stato più piacevole.
 
<< Davvero cacci insieme a questo lupo? Non lo hai addestrato tu? E’ strano!>>
 
<< Sono più strana io che caccio con un lupo o tu che te ne vai nudo in giro per il bosco nel bel mezzo della notte con in mano un coniglio morto? >> Domandò Annabell ironica, ma per niente scandalizzata.
 
Evidentemente non era la prima volta che vedeva il corpo di un uomo.
 
 
Il prototipo zero si era totalmente dimenticato della sua nudità, non si era neppure posto il problema fino a quel momento. Lei era la prima persona che incontrava dopo un giorno intero, e non aveva avuto bisogno di coprirsi dato che il suo corpo non poteva sentire freddo.
 
Il ragazzo rimase in silenzio a fissare la donna i cui capelli rossi risplendevano fiammeggianti sotto la luce della luna.
 
<< Credo che tu abbia bisogno d’aiuto … >> disse la ragazza notando la ferita inferta da David sul petto del prototipo zero.
 
Abbassando lo sguardo ad essa e pur sapendo che per il suo corpo quello era solo un graffio superficiale che non avrebbe mai intaccato le sue funzioni vitali, rispose con tono genuino
 << Vorrei tanto averne bisogno… >>

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Capitolo 13
*** CAPITOLO 13 - VIAGGI e coincidenze! ***


CAPITOLO 13 – Viaggi e coicidenze.
Due giorni dopo il disastro di New York. 27/10/2014 Oregon.
 
 
 
 
 
La sua guida non era mai stata imprudente ma in quell’occasione non poteva permettersi di perdere tempo aspettando un semaforo verde.
Margaret guidava ormai da molte ore e la distanza che la separava dalla sua redenzione diminuiva sempre più.
Era decisa a fermare il prototipo zero una volta per tutte. Se non lo avesse fatto lei nessun’altro avrebbe potuto.
 
Con gli occhi scrutava periodicamente un piccolo display verde che aveva posizionato sul cruscotto sostituendolo al navigatore. Su di esso appariva un piccolo puntino azzurro lampeggiante con delle coordinate indicate in basso.
 
Non incrociava una macchina da un bel pezzo.  Al telegiornale aveva sentito che le autorità non escludevano l’ipotesi che il disastro di New York potesse essere opera di un terrorista, cosi avevano messo posti di blocco su ogni super strada e aeroporto del paese, limitando il traffico di persone allo stretto indispensabile. Margaret era riuscita ad evitarli passando per strade secondarie ma le lampeggianti luci rosse e blu che scorgeva all’orizzonte gli dicevano che non avrebbe evitato il prossimo.
 
 
Due macchine della polizia erano posteggiate orizzontalmente sulla strada, creando una barriera naturale impossibile da attraversare in auto.
Tre uomini con un distintivo scintillante sul petto gli fecero segno di rallentare.
 
Sapeva bene che se si fosse fermata quegli agenti gli avrebbero fatto perdere un mucchio di tempo. E il tempo già non era dalla sua parte. Cosi fece una scelta che andò contro la sua natura prudente e meticolosa, il primo segno che qualcosa stava cambiando in lei, l’errore che aveva commesso l’aveva resa una donna nuova, motivata più che mai a inseguire il suo obbiettivo, redimere la sua anima di peccatrice.
 
Affondò il piede sull’acceleratore e tenendo saldamente il volante attraversò la barricata sfondando le due auto posteggiate.
Frammetti metallici schizzarono ovunque accompagnati in sottofondo da un boato scintillante. 
 
 
 Gli agenti per poco non vennero investiti, ma tutti rimasero fortunatamente illesi.
 
Alzandosi da terra l’agente Tom si spolverò la divisa imprecando a sazietà. Non poteva immaginare che a sfondare il suo posto di blocco era stata la collega di suo fratello Emlrik.
 
 
Sulla strada immersa nei boschi il viaggio di Margaret continuava.  Il puntino blu sul suo display ormai era vicino. Nessuno sarebbe riuscito a fermarla. Le coordinate l’avevano portata in un paesino sperduto tra le montagne in Oregon.
Quel posto non gli era nuovo, sua madre qualche giorno prima l’aveva informata che il suo ex marito ora viveva fra quelle montagne.  “E’ il posto che si addice a un bifolco come lui” aveva pensato quando seppe la notizia. Non si sarebbe immaginata di finire proprio in quel posto.

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