Grande Inverno: L'Inizio

di violaserena
(/viewuser.php?uid=256192)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bran ***
Capitolo 2: *** Arya ***
Capitolo 3: *** Sansa ***
Capitolo 4: *** Robb ***
Capitolo 5: *** Jon ***
Capitolo 6: *** Rickon ***
Capitolo 7: *** Catelyn ***
Capitolo 8: *** Eddard ***
Capitolo 9: *** Stark ***



Capitolo 1
*** Bran ***


BRAN

 
Brandon Stark si trovava sulla cima della torre del castello di Grande Inverno. Aveva sempre amato arrampicarsi e, benché sua madre avesse cercato di dissuaderlo, non era proprio riuscito a farne a meno. Dall’alto della torre poteva ammirare l’orizzonte. Quando era lì, si sentiva libero. Libero di poter fare qualsiasi cosa, persino volare.
Da lassù vedeva ogni cosa: gli allenamenti di Robb e Jon Snow sotto lo sguardo attento di Rodrik Cassel, le lezioni di cucito di Sansa e Arya, l’andirivieni di Hodor…
Una leggera brezza gli scompigliò i capelli, ricordandogli che era ora di scendere: suo padre gli aveva promesso di portarlo a caccia.
«Bran!» disse una voce femminile che il giovane riconobbe essere quella di sua madre, Lady Catelyn.
«Che cosa ci fai lassù? Scendi subito!».
Non appena si ritrovò con i piedi a terra, sua madre gli corse incontro.
Sicuramente l’avrebbe rimproverato, se non fosse arrivato Eddard Stark.
«Allora padre, andiamo? Non vedo l’ora di cacciare un bel cervo!» esclamò euforico il bambino.
«Temo che dovrai aspettare, Bran. Purtroppo c’è stato un imprevisto».
«Ma padre! Avevi promesso che saremmo andati a caccia!».
«Lo so, figliolo. Ti prometto che, presto, ci andremo. Magari per il tuo ottavo compleanno».
«Ma è ancora molto lontano!».
«Brandon, non insistere» sospirò sua madre.
«Sai… i tuo fratelli vanno a pesca con maestro Luwin. Perché non vai anche tu con loro?» suggerì Ned.
E così aveva fatto. In groppa al suo pony, Bran seguiva Robb, Jon Snow, Theon Greyjoy e maestro Luwin pronto per un’entusiasmante caccia al pesce. Perché, alla fine, la pesca era pur sempre caccia.
Arrivati ad un piccolo fiume, Theon propose di fare una gara: chi avesse perso avrebbe dovuto obbedire a tutti gli ordini degli altri per un’intera giornata.
«Ci state?».
Tutti annuirono. All’improvviso, fuori dalle frasche, sbucò Arya Stark che disse di voler partecipare anche lei.
«Che ci fai qui? Non dovresti essere a lezione di cucito?» le domandò Robb.
«Sai che non fa per me. Quello è un genere di cose che piace a Sansa».
«Già. E poi tu non sei molto brava. Septa Mordane non sa più cosa fare per farti imparare» sogghignò Theon Greyjoy.
Tutti i presenti scoppiarono a ridere. Persino maestro Luwin non poté non sorridere.
Arya li fulminò con lo sguardo ed affermò: «Ridete pure. Vedremo se lo farete ancora, quando sarò io a vincere la gara!».
«Non esserne troppo sicura» le rispose Jon.
Dopo altri battibecchi, la competizione ebbe inizio.
Il sole era alto nel cielo, gli uccellini cinguettavano felici e non una voce umana si udiva tutt’intorno. Maestro Luwin, seduto su una roccia, leggeva un libro e, di tanto in tanto, alzava lo sguardo per osservare i ragazzi. Aveva fatto nascere tutti i figli di Ned e Catelyn Stark: il tempo era passato molto velocemente. Li aveva visti crescere tutti sotto i suoi occhi.
Il suo sguardo si posò su Bran, il più piccolo tra i presenti. Notò che era imbronciato. La sua cesta era vuota: non era riuscito a prendere neanche un pesce a differenza dei suoi fratelli e di Theon Greyjoy. Avrebbe perso la gara.
Jon Snow, si avvicinò silenziosamente a Brandon.
Il bambino lo guardò sconsolato e sussurrò: «Ho perso».
«Tieni».
Bran guardò il fratellastro e, poi, ciò che racchiudeva la sua mano: un pesce.
«Non puoi darlo a me. L’hai preso tu, per cui è tuo».
«Si, è mio. Ma io ho deciso di darlo a te. Per cui ora è tuo».
Il piccolo Stark sorrise, ringraziandolo silenziosamente.
Bran aveva perso comunque, ma non era triste. Non aveva pescato nulla, ma sapeva che la prossima volta sarebbe andata diversamente. E poi, almeno, era stato Robb a vincere e non Theon.
Da quella giornata aveva ricavato qualcosa di più importante che qualche pesce: l’affetto di Jon Snow, di suo fratello. Perché si, anche se Jon era il figlio bastardo di suo padre, lui lo considerava come un fratello, come un membro a tutti gli effetti della famiglia.


Angolo Autrice.
Ciao a tutti!
Leggendo il libro, mi sono sempre chiesta come fosse la vita della famiglia Stark prima dell'arrivo di re Robert; così ho deciso di provare ad immaginarla.
Se avete voglia, fatemi sapere che cosa ne pensate e se avete qualche suggerimento! Sappiate che sono ben accetti!! :)
Alla prossima!
Violaserena.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Arya ***


ARYA

 

Era una limpida giornata estiva. Dall’esterno provenivano i più diversi suoni: il cinguettio degli uccellini, il nitrire dei cavalli, passi, voci. Sembrava che fossero tutti fuori, all’aria aperta.
Tutti tranne lei, Arya Stark. Era stata costretta ad andare a lezione di cucito insieme a sua sorella Sansa e alla sua inseparabile amica Jeyne Poole.
Come sempre, il suo lavoro era un disastro: non era proprio portata per il cucito. Lei non voleva nemmeno essere lì, desiderava solo essere fuori ad allenarsi con le spade insieme ai suoi fratelli.
Diventare una guerriera, questo era il suo sogno.
«No, Arya, non ci siamo proprio. Dovresti prendere esempio da tua sorella, guarda che eccellente lavoro ha fatto» sospirò septa Mordane.
«Mi spiace non essere brava quanto lei» le rispose acidamente.
«Non riusciresti mai a essere come me. Non hai un minimo di talento e non ti impegni neanche» affermò, sorridendo, Sansa.
«Tu sai fare solo questo e recitare sciocche formule di protocollo. Non sai fare nient’altro!».
«Arya, non è questo il modo di parlare» la rimproverò la septa.
«Tu, invece, passi la giornata a rotolarti nel fango come i maiali» continuò sua sorella.
«Sansa, non…» cercò di dire septa Mordane.
«Credimi, è sempre meglio di quello che fai tu».
Detto questo, Arya si alzò e corse fuori dalla stanza cercando di reprimere le lacrime.
Era mai possibile che sua sorella avesse sempre da ridere su tutto ciò che faceva? Che la considerasse, quasi, come uno stupido ragazzino?
Mentre pensava ciò, andò a sbattere contro qualcuno: era suo padre.
«Che succede? Perché piangi?» le domandò preoccupato.
«Io non sto piangendo!» mentì.
Eddard, senza dire niente, la abbracciò. Arya avrebbe voluto rimanere stretta per sempre tra le sue forti braccia. Si sentiva al sicuro come con nessun altro.
Ned le accarezzò una guancia e disse: «Sansa, vero?».
La bambina fece una smorfia all’udire quel nome.
«Io non la sopporto, padre».
«Quando tu e tua sorella non litigherete più e andrete d’accordo sarà il più bel giorno della mia vita».
«Non succederà mai!».
«Non si sa mai quello che potrebbe accadere. Magari potresti, addirittura, diventare come Sansa!» la prese in giro il lord suo padre.
Entrambi scoppiarono a ridere.
Eddard, felice che sua figlia non versasse più lacrime, le diede un bacio sulla fronte ed affermò: «Ecco come fare in modo che una lady guerriero ritrovi il sorriso!».
 

*

Arya stava ascoltando, insieme a Bran, una storia dalla vecchia Nan quando, tutto trafelato ed impaurito, giunse Rickon, suo fratello di tre anni.
«Ci sono i fantasmi! Ci sono i fantasmi!» urlò il bimbo.
«I fantasmi non esistono» disse Sansa che era arrivata proprio in quel momento.
«Ci sono! Ci sono! Sono nella cripta!» piagnucolò il bambino.
«Te li sei immaginati!».
«No, non è vero!».
«I fantasmi esistono. Tutte le storie lo dicono. Vi ho mai parlato di lady Catherine?».
«Si, molte volte» le rispose Bran.
I racconti popolari dicevano che lady Catherine aveva fatto costruire il suo castello, aiutata da spiriti malvagi, in una sola notte. Tutti gli ospiti indesiderati venivano gettati nei pozzi del suo palazzo, al fondo dei quali vi erano delle lame affilate. Accusata di fare uso di arti malefiche, fu murata viva nella sua stanza. Da quel giorno in poi, ogni anno, compariva il suo fantasma con un lume in mano.
«Andiamo a vedere se Rickon ha detto la verità!» propose Arya.
«Ci sto!» esclamò Bran.
«Non crederete davvero a quello che ha detto?» li rimproverò Sansa.
«Cosa c’è? Hai forse paura di scendere nella cripta?» domandò, gongolando, Arya.
«Certo che no! Avanti, che cosa state aspettando? Andiamo!».
I quattro giovani scesero nei sotterranei del castello dove si trovavano le tombe della dinastia della loro famiglia, gli Stark.
«Rickon, dove hai visto i fantasmi?» chiese Brandon.
Il bambino, che era in braccio a Sansa, rispose: «Io non li ho proprio visti… Li ho sentiti!».
Prima che qualcuno potesse dire niente, si sentì un ticchettio.
Vento gelido fece rabbrividire i quattro giovani.
Silenzio. Tutto era immerso nell’oscurità. Silenzio. Le statue dei defunti, immobili, sembravano scrutare ogni minimo particolare. Ci fu un altro rumore.
«Che cos’era?» domandò impaurita Sansa.
«Non lo so. Però proveniva da lì, dove c’è la tomba di Lyanna» sussurrò Arya, anche lei intimorita.
«Andiamo a vedere» propose, sempre bisbigliando, Bran.
«A me non sembra una buona idea» obiettò Sansa.
Alla fine, quest’ultima, fu costretta a seguire i fratelli.
Man mano che avanzavano, i rumori diventavano sempre più forti.
Quando giunsero dinnanzi alla statua della sorella del lord loro padre non videro e non sentirono più nulla: era, nuovamente, calato il silenzio.
Poi, improvvisamente, si sentì raschiare.
«Andiamo via, vi prego».
Arya guardò la sorella spaventata. Anche lei aveva paura, ma una vero guerriero non arretrava mai di fronte a qualsivoglia difficoltà o minaccia. Doveva proseguire.
Il raschiare si fece più forte e, all’improvviso, sbucò una mano dalla tomba.
Sansa e Rickon scapparono urlando.
Arya e Bran, invece, erano rimasti immobili, quasi paralizzati.
Delle risate rimbombarono nella cripta.
I due bambini si guardarono stupiti.
Due figure comparvero da una bara vuota: erano Robb e Jon Snow.
«Dovreste vedere le vostre facce!» sghignazzò Robb.
«Siete pallidi come cadaveri!» continuò il secondo.
«Siete due idioti!» li rimproverò Arya.
«Degli idioti che sono riusciti a spaventarvi! Avete visto come sono corsi via Sansa e Rickon?» affermò, sempre ridendo, Jon.
Prima Bran e poi Arya si unirono alle risate.
Altro che fantasmi! Gli artefici di tutto erano Robb e Jon Snow.
La bambina avrebbe ricordato quel giorno per sempre, ma soprattutto l’avrebbe ricordato a Sansa.
Quale migliore soddisfazione che veder scappare via urlando sua sorella solo per uno scherzo?
Era stata, decisamente, una bella giornata.


Angolo Autrice.
Ciao!
Innanzitutto grazie a tutti quelli che hanno letto e recensito il primo capitolo! 
Spero vi possa piacere anche questo secondo capitolo!
Se avete suggerimenti, sono sempre ben accetti! Sono del parere che una storia possa sempre essere migliorata.
Alla prossima!
Violaserena.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sansa ***


SANSA



La sala del castello di Grande Inverno era gremita di gente.
Era stata organizzata una grande festa per celebrare gli antichi dei: erano presenti svariati lord, con i rispettivi figli e mogli. C’erano, tra gli altri, Jon Umber, Rickard Karstark, Galbart Glover. Mancavano all’appello solo i Reed, il popolo delle palafitte o, come qualcuno malignamente li chiamava, i mangiaranocchie.
Eddard Stark e Catelyn Tully condividevano il palco con Roose Bolton.
Ned, difatti, era solito far sedere accanto a sé un lord diverso in ogni banchetto.
Sansa si trovava seduta vicino ai suoi fratelli, a Theon Greyjoy e a Jeyne Poole. Anche Jon Snow, suo fratello bastardo, era al tavolo con loro.
I servitori, accompagnati dal suono dei musicanti, cominciarono a portare il cibo.
C’erano grandi tranci di uri arrostiti con porri, costolette di montone in salsa di miele e chiodi di garofano, cinghiale al pepe, pane nero e tortelli e biscotti d’avena, mele cotte e paste di bacche e pere al liquore. Caraffe di vino speziato caldo e di birra venivano fatte circolare a volontà.
Durante i banchetti, lord Stark permetteva ai suoi figli di bere un bicchiere di vino. Tuttavia, molto spesso, Robb e Jon ne bevevano di più senza che loro padre se ne accorgesse.
«Dovevate vedere la sua faccia! Era bianca per il terrore!» stava raccontando, Arya, a Theon e Jeyne.
«Smettila di dire stupidaggini!» esclamò, indispettita, Sansa.
«Non sono stupidaggini. Tu e Rickon siete corsi via appena avete visto la mano sbucare dalla bara. E meno male che era solo uno scherzo di Robb e Jon, altrimenti non oso immaginare che cosa avreste fatto!».
Tutti scoppiarono a ridere, anche Jeyne Poole. Quest’ultima, vedendo lo sguardo torvo di Sansa, cercò di contenersi e di tornare seria.
Era dal giorno in cui erano scesi nella cripta pensando che ci fossero i fantasmi che Arya non la smetteva di prenderla in giro: ormai tutta Grande Inverno sapeva quello che era successo.
«Secondo me, Sansa, è scappata pensando che, fuori dalla cripta, ci sarebbe stato un prode cavaliere pronto a salvarla!» esclamò, divertito, Robb.
Di nuovo, tutti risero. Arya più di tutti. Nuovamente rise Jeyne, per poi tornare subito seria.
«Se ci fosse stato, te l’avrebbe fatta vedere. A te e a Jon».
«Certo. E poi sarebbe tornato trionfante da te, si sarebbe inginocchiato e, sussurrandoti parole dolci, ti avrebbe chiesto di sposarlo!».
«Perché no? In fondo, succede così in tutte le canzoni».
«Sono solo canzoni» obiettò Bran.
«E quindi? Le canzoni sono tratte dalla realtà. Quindi, perché mai, a me, non potrebbe succedere la stessa cosa?».
«Sansa finirà vecchia e decrepita aspettando ancora che un valoroso guerriero, come nelle storie, chieda la sua mano» affermò, con un sorriso di scherno, Theon Greyjoy.
Risate. Di nuovo altre risate. Sembrava che, quella sera, tutti non facessero altro che ridere. Ridere di lei. E lo facevano apertamente.
«Smettetela di prenderla in giro. Non vedete che sta per mettersi a piangere?» disse, ad un certo punto, Jon.
«Ecco il prode Snow, pronto ad aiutare la sua, indifesa, sorellastra» lo canzonò Theon.
«Almeno io so aiutare qualcuno. Tu invece, a parte portarti a letto qualche servetta o prostituta, che altro sai fare?».
«Tu! Non permetterti di parlarmi in questo modo!».
«Altrimenti?».
«Ti prendo a calci e ti rispedisco da tua madre. Oh già, che sciocco. Tu non sai chi sia».
Robb e Arya cercarono di trattenere Jon. Se lo avessero lasciato andare avrebbe, sicuramente, cercato di pestare Greyjoy.
«Il bastardo scalcia. Facevi così anche quando…».
«Adesso smettila» lo fulminò il più grande dei fratelli Stark.
«Come vuoi, ma non ho detto niente che non sia vero».
L’atmosfera, prima allegra, ora si fece tesa.
«È colpa tua» sussurrò Arya all’orecchio di sua sorella.
«Tua» ripeté Rickon.
Sansa stava per ribattere, quando suo padre annunciò che il banchetto era terminato e che tutti i presenti sarebbero dovuti uscire per assistere al tradizionale duello per la festa degli antichi dei.
Tutti si alzarono e nessuno la degnò di uno sguardo.
Ser Wendel Manderly e ser Helman Tallhart si affrontarono in singolar tenzone, accompagnati dalla canzone “Lord Daremond e il Pascolo Insanguinato” intonata dal cantastorie di Delta delle Acque – luogo d’origine di lady Catelyn – Rymund della Rima:

E colà rimase, con la spada in pugno,
l’ultimo dei dieci di Darry…

E rossa fu l’erba sotto i suoi piedi,
e rossi brillarono i suoi vessilli,
e rosso fu il sole al tramonto
che nella sua luce lo avvolse.

«Vieni da me, vieni da me» il grande lord chiamò,
«ancora fame ha la mia spada».
E con un urlo di selvaggio furore,
tra gli steli si avventarono…

…e ser Manderly fu il vincitore del duello.
Sansa non poté non pensare a quanto avesse combattuto bene. Era un vero cavaliere.
«Un giorno sarò anch’io forte come lui» sentì dire a Bran.
Chissà se lei ed i suoi fratelli sarebbero diventati, esattamente, come avevano sempre sognato. Sarebbe stato bello se, ciascuno di loro, fosse riuscito a realizzare i propri desideri.
Eddard Stark premiò il vincitore, non con il denaro, ma con la grazia di essere il primo ad immolare un cinghiale in onore degli dei.
Tutti si riunirono intorno al fuoco e pregarono.
Silenzio e solennità caratterizzavano quel magico momento. Sotto il cielo stellato, tutta Grande Inverno omaggiava le antiche divinità.
Poi tornò ad esserci il solito brusio: bambini che si rincorrevano, uomini che ridevano, cani che abbaiavano…
Sansa si avvicinò a Jon.
«Grazie per prima» sussurrò.
Il suo fratellastro le sorrise.
«Non ce l’hai con me, vero?».
«Perché dovrei?».
«Per quello che ha detto Theon».
«L’ha detto lui, non tu».
«Si, ma ha iniziato a prendersela con te quando tu hai detto di smetterla di… di prendermi in giro».
«Sansa, Jon venite! La vecchia Nan ha incominciato a raccontare una delle sue storie!» li chiamò Arya.
«Storie!» esclamò Rickon.
«Hodor, Hodor!» disse, felice, Hodor che passava di lì.
I due giovani annuirono e si avviarono verso i loro fratelli.
Robb, Arya, Bran e Rickon erano contenti. Sembravano non avercela più con Sansa. Forse, non erano mai stati veramente arrabbiati con lei.
«Non ce l’ho con te» le sussurrò Jon.
In ogni caso, ora erano tornati tutti ad essere di buon umore.
Ripensandoci, era divertente il modo in cui lei e Rickon erano scappati il giorno dello scherzo dei sue due fratelli maggiori. Davvero, come aveva potuto credere che ci fossero veramente i fantasmi?
Sansa rise. Per la prima volta, rise di sé. In fondo, non era poi così brutto prendersi in giro da soli.



Angolo Autrice.
Ehilà!
Innanzitutti grazie a tutti coloro che hanno letto e recensito questa storia! :)
La canzone di Rymund della Rima l'ho tratta dal quarto libro de "Il trono di spade", "La regina dei draghi".
Al prossimo capitolo!
Violaserena.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Robb ***


ROBB

 

Clangore di spade e asce, rombo di carri, grida, sangue, feriti, morti, sconfitti, vincitori.
Tutto ciò si presentava, ai suoi occhi, sul campo di battaglia.
Lui era in piedi, vicino a suo padre.
Non era ferito. Gli doleva, soltanto, un po’ la mano per la quantità di colpi sferrati.
Aveva vinto. Aveva vinto la sua prima battaglia.
«Robb, Robb!» sentì una voce chiamarlo.
Era Rodrik Cassel.
«Robb, accidenti. Non startene lì impalato».
Solo in quel momento si rese conto di non essere su un campo di battaglia, ma nel cortile del palazzo di Grande Inverno.
Aveva sognato ad occhi aperti.
«Se ti comporterai così anche in guerra, il tuo nemico non ci metterà molto ad ucciderti» lo rimproverò ser Rodrik.
«Si, hai ragione. Non mi distrarrò più».
«Bene, allora riprendete a combattere» fece cenno a lui e a Jon.
Mentre si metteva in posizione, Robb vide qualcosa muoversi dietro un carretto.
«Che altro c’è adesso?» sbottò il maestro d’armi vedendo che non si muoveva.
«Laggiù… Mi è sembrato di vedere qualcosa».
«Che cosa?» domandò, curioso, suo fratello.
«Non lo so. Non l’ho visto bene».
«Sarà stato Mikken» affermò, scocciato, ser Rodrik.
«No, non era lui. Era…».
«Che gli Estranei se lo portino alla dannazione quello che hai visto. Sempre che ci sia qualcosa o qualcuno, chiaro. Ora, se non ci sono altre interruzioni…».
«Vado a vedere».
«Bene. Direi che la mia lezione non interessa a nessuno».
Nonostante le lamentele di Rodrik Cassel, Robb si avvicinò al carretto, spada di legno in pugno.
Jon Snow lo raggiunse subito.
«Io vado di qua e tu di là, ok?» bisbigliò.
Lentamente e silenziosamente i due fratelli aggirarono il piccolo carro e… trovarono solo un gatto.
Robb arrossì per l’imbarazzo: si era aspettato di trovare… Esattamente, che cosa si era aspettato? Un bruto, un lupo, un fuorilegge? E, se anche ci fosse stato uno qualsiasi di loro, che cosa avrebbe potuto fare con una spada di legno?
«Ser Rodrik sarà felice di sapere che abbiamo interrotto gli allenamenti solo per un gatto!» sghignazzò Jon.
«Non c’è niente di divertente».
«Oh, invece si!».
«Hai ragione. Dopotutto, mi sei corso dietro. Tutto per un gatto!».
Suo fratello bastardo lo guardò torvo. Poi scoppiarono a ridere tutti e due.

*

Era notte fonda a Grande Inverno.
Si udiva solamente lo stormire delle foglie e l’ululare dei lupi. Tutto pareva, apparentemente, tranquillo.
Robb dormiva, sereno, nel suo letto. Si poteva, quasi, percepire il suo respiro.
«Robb, Robb!» urlò qualcuno nelle tenebre.
Il futuro lord di Grande Inverno aprì gli occhi. Si trovò Rickon a pochi centimetri dal volto.
«Che cosa vuoi? Perché non sei a letto?».
«Io sono andato nelle cucine per cercare qualcosa da mangiare, quando ho visto qualcuno muoversi!».
«Sarà stato qualcuno dei cuochi».
«No, no».
«Va bene, allora andiamo a vedere».
Robb accese una torcia. Mentre percorreva i corridoi insieme al suo fratellino, sentì un fruscio e vide un’ombra. Gli sembrava familiare, ma non ebbe il tempo di capire di chi fosse perché così come era apparsa, l’ombra era svanita.
D’un tratto ebbe paura. Paura di proseguire. Paura di trovare… Che cosa?
Jon Snow comparve dietro di loro.
«Che state facendo?» domandò.
Il più grande dei fratelli Stark gli spiegò tutto.
«Bene. Andiamo a vedere. Speriamo che non sia, di nuovo, un gatto».
Scesero, lentamente, le scale che li portarono nelle cucine.
Tutto era buio e silenzioso.
Ispezionarono ogni angolo, ma non trovarono nessuno.
«Direi che ti sei immaginato tutto, Rickon» affermò Robb.
«No, no. Non è vero!».
Qualcuno urlò. Era la voce di Sansa.
Jon e Robb si guardarono allarmati. Il primo prese in braccio Rickon e seguì il secondo, diretto nella stanza della sorella.
Udirono un sibilo e, poi, dei passi. Si girarono, ma dietro di loro non c’era nessuno.
«Ma che sta succedendo?» chiese, preoccupato, Jon.
«Non ne ho idea. L’unica cosa che so è che dobbiamo muoverci!».
Il cuore di Robb batteva all’impazzata: un po’ per la corsa, un po’ per la paura.
Sansa, forse, era in pericolo.
Si rese conto, solo in quel momento, di avere come unica arma una torcia. Se il “nemico” avesse avuto una spada, non avrebbe potuto fare niente.
Questo era ingiusto. Ingiusto che non avesse una vera spada, ingiusto che qualcuno fosse entrato nel palazzo, ingiusto che qualcuno potesse fare del male ai suoi cari, ingiusto che lui non avesse la forza per combattere, lui che era il futuro lord di Grande Inverno. Se aveva paura ed era incapace di difendere sua sorella, come avrebbe potuto diventare un lord giusto e forte come suo padre?
Fu a quel punto che ricordò le parole di Eddard Stark: «Il coraggio è essere determinati e non arrendersi davanti a qualcosa che credi ingiusto, anche se non hai la forza di combattere».
Lui la forza, in quel momento, non l’aveva. Però, non avrebbe mai potuto perdonarsi il non aver fatto niente, mentre qualcuno dei suoi familiari poteva essere in pericolo.
Non aveva una spada, ma aveva ritrovato la determinazione.
Spalancò con un calcio la porta della camera di Sansa.
Sua sorella era rannicchiata sul letto.
«Cos’è successo?» chiese Jon avvicinandosi a lei.
Sansa alzò il braccio e, con un dito, indicò la porta aperta.
I tre fratelli si girarono: non c’era nulla.
Poi, sentirono dei passi. Piano piano si fecero sempre più vicini. Qualcuno era arrivato all’entrata della stanza.
Robb strinse forte la torcia.
Due figure entrarono e… fecero loro una linguaccia.
Erano Arya e Bran.
Questi ultimi, insieme a Sansa e Rickon, scoppiarono a ridere.
«Ma perché?» riuscì solo a dire il più grande dei fratelli.
«Perché? Perché volevamo farvela pagare per lo scherzo che ci avete fatto nella cripta» rispose Brandon.
«Paura eh?» ridacchiò Arya.
Jon si lanciò verso la sorella, cercando di afferrarla. Sfortunatamente lei era più veloce.
Alla fine, però, riuscì a prenderla.
«Sei una persona crudele» le disse, sorridendo.
«Grazie! E tu e Robb siete due fifoni e creduloni!».
«Chi avrebbe mai immaginato che Rickon e Sansa fossero in combutta con voi» esclamò Robb.
I due interessati risero divertiti.
«Ora siamo pari» affermò Bran.
«In fondo, ce lo siamo meritati. Siamo pari» concordò Jon.
Robb sorrise. Senza saperlo i suoi fratelli lo avevano aiutato, aiutato a non lasciarsi abbattere nelle situazioni che sembrano essere le più difficili. L’avevano aiutato ad essere più determinato.
D’istinto, si gettò sul letto trascinando con sé tutti i suoi fratelli.
Cominciò una battaglia senza fine di solletico, cuscini in faccia, risate.
Era bello avere una famiglia come la sua.
«Grazie» sussurrò felice.


Angolo Autrice.
Ehilà!
Come sempre grazie a tutti coloro che hanno letto e recensito questa storia! 
Spero che possa piacervi questo capitolo su Robb: devo dire che, all’inizio, avevo in mente di scrivere tutt’altro. Ma si sa, quando si scrive, molto spesso l’idea originale si trasforma e si crea qualcosa di diverso.
Al prossimo capitolo!
Violaserena.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Jon ***


JON

 

Grande Inverno era diventata tutta bianca.
Soffici fiocchi di neve avevano ricoperto tutti i tetti e le strade.
Neve. Snow. Come il suo cognome.
Quel giorno erano giunti, dalla Barriera, alcuni guardiani della notte. Tra loro c’era anche Benjen Stark, Primo Ranger e fratello minore di lord Eddard.
Jon era felice di rivedere suo zio dopo tanto tempo.
«Allora, ti ricordi le parole del giuramento?» gli domandò Benjen.
«Cala la notte, e la mia guardia ha inizio. Non si concluderà fino alla mia morte. Io non avrò moglie, non possiederò terra, non sarò padre di figli. Non porterò corona e non vorrò gloria. Io vivrò al mio posto, e al mio posto morirò. Io sono la spada nelle tenebre. Io sono la sentinella che veglia sulla Barriera. Io sono il fuoco che arde contro il freddo, la luce che porta l'alba, il corno che risveglia i dormienti, lo scudo che veglia sui domini degli uomini. Io consacro la mia vita e il mio onore ai Guardiani della Notte. Per questa notte e per tutte le notti a venire».
«Molto bravo. È tutto giusto».
Ogni volta che suo zio veniva a Grande Inverno, faceva sempre questo gioco con lui: se ripeteva correttamente le parole del giuramento, riceveva una moneta d’argento, altrimenti gli veniva lanciata una palla di terra in faccia.
«Te la sei meritata» gli fece l’occhiolino e poi si avviò all’interno del palazzo.
«Jon, Jon» lo raggiunse Robb.
Gli sussurrò qualcosa all’orecchio e lui non poté fare a meno di sorridere e annuire.
Loro due insieme erano una minaccia costante.
Theon Greyjoy, mentre passava di lì, vedendoli confabulare, sorrise e disse: «Niente scherzi!».
Oh, lo “scherzo” ci sarebbe stato. Questo era sicuro. Non a lui però. Greyjoy era troppo veloce.
Jon Snow e Robb si dileguarono, fischiettando allegramente.
Giunti sopra il portale, ammassarono un gran mucchio di neve. Appena qualcuno fosse passato sotto, gliela avrebbero fatta cadere addosso.
Si resero, però, conto che una sentinella dei guardiani della notte si trovava sulle mura attorno al cortile. Se avesse detto qualcosa, il loro piano sarebbe fallito.
«Ti prego, non dire nulla» la implorò Robb.
«Per favore» continuò Jon.
Il confratello in nero li osservò attentamente. Poi si portò un dito davanti alla bocca e mimò il gesto del silenzio. No, non avrebbe parlato.
I due fratelli gli sorrisero grati, quindi si concentrarono sul loro scherzo, aspettando che passasse qualcuno.
In effetti passarono alcune persone: Rodrik e suo figlio Jory, Eddard e Benjen…
Ma, con loro, era meglio non rischiare.
Finalmente arrivò qualcuno di interessante: Tommard, o meglio, Tom il grasso.
Jon e Robb si guardarono, annuendo. Appena Tom fu sotto il portale gli scaricarono la neve addosso.
Il povero soldato fu completamente sommerso da quella soffice massa bianca.
I due fratelli si diedero il cinque e poi scoppiarono a ridere.
Tom il grasso si riprese dallo “shock”, si alzò e incominciò ad inseguire, attorno al cortile, gli autori del misfatto.
Tuttavia, tra tutti gli armati di Ned Stark, lui era il più lento.
Nonostante tutto non demorse e continuò a correre finché le sue gambe glielo permisero.
Poi, esausto, rosso in faccia come una mela d’autunno, si lasciò cadere.
Robb e Jon, anch’essi rossi e stanchi, si sedettero accanto a lui.
«Piaciuta la neve?» scherzò il figlio bastardo del lord di Grande Inverno.
«Non trovi che abbia un ottimo sapore? Magari potresti mangiarla al posto di un cervo!» lo prese in giro il primogenito dei fratelli Stark.
Tommard li guardò truce, poi scoppiò a ridere.
«Molto divertente. Davvero».
Continuò a ridere.
«È partito» sussurrò Robb a Jon.
Altre risate, risate e risate.
Poi Tom tornò serio e cominciò a cantare “L’ultimo dei Giganti”:

Ooooh, sono l’ultimo dei giganti,
il mio popolo non è più su questo mondo.
L’ultimo dei grandi giganti delle montagne,
che alla mia nascita dominavano tutto il mondo.

Ooooh, il piccolo popolo ha rubato le mie foreste,
mi ha rubato le colline e i fiumi d’argento.
E hanno costruito una grande muraglia attraverso le mie valli,
e pescato tutti i pesci dai torrenti.

In sale di pietra bruciano i loro grandi fuochi,
in sale di pietra forgiano le loro acuminate lance.
Mentre solo io cammino nelle montagne,
con la sola compagnia delle mie lacrime.

Con i cani mi danno la caccia nella luce del giorno,
con le torce mi danno la caccia nel buio della notte.
Perché questi uomini sono piccoli e mai potranno ergersi,
mentre i giganti ancora camminano nella luce.

Ooooh, io sono l’ultimo dei giganti.
Perciò imparate bene le parole del mio canto.
Perché quando io sarò andato, anche il canto svanirà,
e a lungo, molto a lungo, il silenzio durerà.

«È decisamente partito» bisbigliò Jon.
«Tom, perché hai cantato questa canzone? Tu non sei un gigante, sei grosso… cioè grande… insomma… hai capito, no?» farfugliò, imbarazzato, Robb.
«I guardiani della notte» disse solo e poi se ne andò.
«E che cosa vorrebbe dire?».
«La “grande muraglia” è la Barriera e i confratelli in nero sono coloro che danno la caccia al gigante» tentò di spiegare Jon.
«Si, ma che cosa centra col fatto che noi abbiamo tirato addosso della neve a Tommard?».
«Oh!» esclamarono all’unisono, capendo. O credendo di aver capito.
Si guardarono e scoppiarono a ridere.
«Quel Tom…» stava dicendo Robb, quando una palla di neve gli finì dritta in faccia.
Una seconda colpì Jon in testa.
Arya, Bran e Rickon erano poco distanti da loro. Le loro mani erano piene di palle di neve.
Questa era una dichiarazione di guerra. E se volevano la guerra, allora l’avrebbero avuta.
«Vieni avanti, sorellina. Dai, vieni» disse ad Arya.
«Non sono così stupida, Jon».
Il ragazzo balzò in avanti, prese della neve, la lanciò e mancò la sorella per un soffio.
«Gran mira, davvero».
«Non ti conviene prendermi in giro. Questo era solo l’inizio».
«E se l’inizio è questo, allora siamo a posto».
Bran e Rickon scoppiarono a ridere e lo stesso fece Robb.
«Ehi, ma tu da che parte stai?».
Altra palla di neve in testa.
Tutti risero più forte.
«La tua testa attira le palle di neve, Snow» affermò Theon Greyjoy, l’autore del lancio.
«Hodor, hodor!» disse Hodor che passava di lì.
«Ora vedrete!» annunciò Jon, partendo alla carica.
La giornata passò. Tutti erano bagnati e coperti di neve.
Non aveva importanza chi aveva vinto perché era stata una bella, allegra giornata sotto la neve nel cortile di Grande Inverno.
Jon Snow ed i suoi fratelli. Fratelli, non fratellastri.
Non aveva importanza se lui non era figlio di lady Catelyn, loro erano e sarebbero stati per sempre i suoi adorati fratelli.

 



Angolo Autrice.
Ciao a tutti!
In questo capitolo fanno una piccola apparizione i guardiani della notte. Mi è sembrato il momento più appropriato per farli comparire.
La canzone “L’ultimo dei Giganti” l’ho tratta, così come le parole del giuramento dei confratelli in nero, da uno dei libri – ahimè non so bene quale perché io ho un volume che contiene più libri insieme – de “Il Trono di Spade”.
Spero che questo capitolo possa piacervi!! :)
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Rickon ***


RICKON

 

I guardiani della notte erano arrivati da alcuni giorni e con loro sembrava fosse arrivato anche il freddo.
“L’inverno sta arrivando” era il motto degli Stark e, benché fosse estate, pareva davvero che l’inverno fosse alle porte.
Il piccolo Rickon ascoltava insieme a Bran una lezione di storia da maestro Luwin.
O, per lo meno, aveva ascoltato all’inizio. Poi si era distratto e aveva cominciato a guardarsi intorno. Era rimasto affascinato dalla compostezza e dalla solennità dei confratelli in nero o, forse, da quello che le storie raccontavano su di loro.
Decise che ne aveva avuto abbastanza di starsene lì, immobile, ad “ascoltare” maestro Luwin. Perciò si alzò dalla sedia, desideroso di andare in esplorazione o, quanto meno, di fare qualcosa di divertente.
«Rickon, dove vai? La lezione non è finita» lo rimproverò il maestro.
Per tutta risposta lui gli fece una linguaccia e, poi, scomparve dalla sua vista e da quella di Bran.
Robb e Jon si stavano allenando con Rodrik Cassel, Arya e Sansa erano, probabilmente, da qualche parte insieme a septa Mordane, il lord suo padre e la lady sua madre erano impegnati a parlare con il Primo Ranger dei confratelli in nero. No, non poteva andare da loro.
Mentre decideva che cosa fare, vide Hodor. Gli andò incontro e gli chiese di accompagnarlo al villaggio: avrebbe visto i guitti, i cantastorie e avrebbe potuto mangiare le mele caramellate.
Non che a casa sua mancasse tutto ciò, ma gli piaceva l’atmosfera che si creava al villaggio.
Il gigante e il bambino si avviarono verso l’uscita del castello.
Lì trovarono Sansa, urlante e coperta di neve. Davanti a lei c’era Arya con in mano una dozzina di palle di neve, mentre Bran era appostato sul tetto del ponte coperto. A quanto pareva, anche lui si era stancato di seguire la lezione di maestro Luwin.
Sansa inseguì sua sorella.
Rickon si fermò ad osservarle: era sempre bello vederle quando litigavano.
Corsero dentro le stalle e intorno alle cucine. Sansa aveva quasi raggiunto Arya, ma improvvisamente, cadde: era scivolata su una lastra di ghiaccio.
Arya le si avvicinò e le chiese se si era fatta male. Alla sua risposta negativa, le lanciò in faccia un’altra palla di neve. Rickon scoppiò a ridere.
Visibilmente arrabbiata, Sansa afferrò sua sorella per una gamba, la trascinò a terra e le riempì i capelli di neve.
Era decisamente bello vedere le sue sorelle litigare: uno spettacolo migliore di uno qualsiasi messo in scena dai guitti.
Jory Cassel, ridendo, separò le due bambine. In quel momento giunse septa Mordane che, vedendo il modo in cui erano conciate, le rimproverò e le rispedì dentro il castello a lavarsi.
A Rickon era, ormai, passata la voglia di andare al villaggio. Si accomiatò da Hodor e si diresse verso il luogo in cui Arya e Bran avevano teso l’agguato a Sansa.
Decise che avrebbe fatto tre pupazzi di neve per commemorare quell’evento.
Mentre lavorava la soffice massa bianca, in fondo alla strada, tra i cespugli, scorse due profondi occhi azzurri. Sentì il freddo percorrergli tutto il corpo. Sembrava che la temperatura si fosse abbassata ulteriormente.
Fissò quegli occhi e si spaventò. Non sapeva nemmeno lui il perché, ma aveva paura.
Voleva scappare, andare via da lì, ma non riusciva a muoversi.
Il vento scompigliò i suoi capelli e portò via il freddo.
Guardò di nuovo verso i cespugli, ma i due occhi azzurri non c’erano più.
Forse se li era immaginati.
Finì il suo lavoro e rientrò al castello. Una volta dentro si sentì sollevato e al sicuro.
Decise di andare al parco degli dei: quel luogo trasmetteva calma e serenità.
L’albero del cuore, con i suoi rami pallidi, le foglie rosse, il volto solenne scolpito nel tronco, si ergeva dinnanzi a lui. Suo padre diceva sempre che l’albero-diga era il cuore di Grande Inverno.
E lui era certo che avesse ragione.
«Ehi, Rickon! Vieni qui con noi!» lo chiamò una voce.
Era Robb. Insieme a lui c’erano tutti i suoi fratelli e Theon. Stavano facendo un bagno di fango nelle pozze fumanti e ribollenti del parco degli dei.
Pensò che fosse proprio quello che gli ci voleva, così li raggiunse.
Sansa era imbronciata. Probabilmente era ancora arrabbiata per quello che le avevano fatto Bran e Arya.
Ripensando a quello che era successo, si mise a ridere e a scalciare, schizzando tutti di fango in faccia.
«Rickon!» gli urlò contro sua sorella maggiore.
«Ti dona il fango sai? Secondo me, così, faresti colpo su un cavaliere. Un cavaliere delle paludi!» la prese in giro Arya. Tutti scoppiarono a ridere.
E fu così che iniziò un’ennesima battaglia.
Battaglia di cuscini, di palle di neve e ora di fango.
Come scoppiavano in fretta le battaglie. E, spesso, non si ricordava nemmeno il motivo per cui erano cominciate.
Era così anche per i grandi?
Rickon non aveva una risposta. Lui era solo un bambino di tre anni.
Un bambino che aveva già visto molte battaglie.

 

Angolo Autrice.
Ehilà!
In questo capitolo ho provato a descrivere il piccolo Rickon, mettendo in risalto ciò che lo diverte e ciò che lo annoia.
Come avrete capito, gli occhi azzurri che ha visto tra i cespugli appartengono... ad un Estraneo!
O forse no? xD
Nei prossimi capitoli – non so ancora bene quando! :P – ci sarà più azione: e questo spiega il raiting arancione.
Alla prossima!
Violaserena.

P.S. Per quanto riguarda la "battaglia" tra le due sorelle Stark ho preso spunto da un ricordo tratto da un capitolo di Sansa nel libro "Il Portale delle Tenebre".

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Catelyn ***



CATELYN

 

Neve. Neve sulle case, sul castello, sul suo volto.
Grande Inverno era così diversa da Delta delle Acque, ma lei, col tempo, aveva imparato ad amarla. Così come aveva imparato ad amare suo marito.
Lo amava davvero, come non avrebbe mai pensato.
Aveva avuto da lui cinque figli meravigliosi: per loro avrebbe dato la vita.
Tuttavia, c’era anche Jon Snow, il bastardo di Eddard Stark.
Aveva provato ad amarlo, ad accettarlo, a trattarlo come un suo figlio, ma non c’era riuscita. O, forse, non voleva.
«Lady Catelyn» la chiamò maestro Luwin.
L’anziano uomo la accompagnò in cortile, dove già si trovava Ned.
Si sedette accanto a lui e aspettò che iniziasse lo spettacolo.
Sansa si fece avanti e cominciò a cantare una storia di eroici cavalieri.
Robb, Bran e Jon impersonavano i valorosi guerrieri che dovevano liberare il reame dalla perfidia di spietati combattenti: Arya, Rickon e Theon.
«Non vincerete mai contro di noi!» esclamò il più piccolo degli Stark.
«E sapete perché? Perché abbiamo catturato la vostra principessa!» proseguì Theon.
Non comparve nessuno.
«Ho detto… abbiamo la vostra principessa!» si schiarì la voce il figlio di Balon Greyjoy.
Sulla scena fece la sua comparsa Hodor, con un vestito blu e bianco e il viso truccato.
Catelyn non poté fare a meno di sorridere.
«Non preoccuparti, principessa! Noi ti salveremo!» affermò Bran.
«Hodor, hodor» disse Hodor.
Tutti i presenti scoppiarono a ridere. Anche Ned rideva.
«Hodor, non dovevi parlare» lo rimproverò Sansa.
«Hodor, hodor?».
«La vostra principessa…pff…lui, cioè lei…pff» tentò di dire Arya, prima di scoppiare a ridere di nuovo.
Tutti erano piegati in due dalle risate.
Mikken, Jory Cassel, Tom il Grasso, Gage e molti altri, passando di lì, non poterono fare a meno di osservare quella comica scena.
«Oh, che gli Estranei si portino alla dannazione la principessa. Alleiamoci e governiamo il reame insieme» propose Robb.
«Ehi, non era questa la battuta» gli sussurrò Sansa.
«Sono d’accordo» concordò Jon.
«E sia allora. Uniti saremo i signori del reame!» esclamò Arya.
«In alto le nostre spade, guerrieri. Noi giuriamo di difendere il regno con tutte le nostre forze e di non separarci mai, qualunque cosa accada» proseguì Robb.
«Giuriamo, giuriamo» urlarono tutti i giovani.
Sansa chiuse la scena con un’ultima canzone.
«Il vostro spettacolo è stato il migliore di tutti quelli che ho visto! Bravi ragazzi!» li elogiò Eddard.
«Sarai un degno successore di tuo padre» disse Catelyn al suo primogenito.
Robb arrossì e, poi, le sorrise.
 

*


Nel pomeriggio, come stabilito, gli Stark andarono a fare un giro a cavallo.
Bran e Rickon erano in groppa a due bei pony.
Sansa continuava a lamentarsi, ma era una cosa normale: lei odiava cavalcare.
«Quanto sei noiosa» disse Arya rivolta alla sorella.
«I cavalli non fanno per me. Forse è per questo che chiamano te, e non me, “faccia da cavallo”».
«Sansa! Chiedi scusa a tua sorella!» la rimproverò Catelyn.
«Scusa, non volevo».
«Sansa è nei guai» sussurrò Jon a Robb notando lo sguardo adirato di Arya.
Quest’ultima non disse niente, però, dopo un po’, diede un colpetto al quadrupede di sua sorella.
L’animale partì al galoppo con Sansa urlante.
Lord Eddard, abilmente, riuscì a fermare la sua corsa.
Robb, Bran, Jon e Rickon ridevano sonoramente.
«Tu, sei stata tu!» urlò la secondogenita degli Stark rivolgendosi alla terzogenita.
«Io? Ma quando mai. Sei tu che non sai gestire il tuo cavallo».
«Giuro che…».
«Adesso smettetela. Siamo venuti qui per divertirci e rilassarci, non per sentirvi litigare tutto il tempo» affermò lady Catelyn.
Più tardi, giunsero in un piccolo spiazzo vicino ad un torrente e al limitare del bosco.
Lasciarono liberi i cavalli a pascolare, mentre loro si godevano la giornata.
Catelyn si sedette sotto un albero, accanto a suo marito.
«Le nostre giornate sarebbero vuote senza di loro, non credi?» mormorò Ned.
«Assolutamente. Non so come farei senza di loro».
«Anche di Jon?».
Catelyn si irrigidì. Che cosa avrebbe dovuto rispondergli? Forse quello che si aspettava di sentirsi dire?
«Jon… In tutti questi anni…So che non ami questo argomento, però… sua madre, chi era?».
Non riusciva a credere di aver, dopo tanto tempo, rifatto questa domanda.
Il volto di Eddard si fece serio. Sospirò.
«Cat, ti prego…».
Un urlo interruppe quella, delicata, conversazione.
Un uomo, dai grandi e profondi occhi azzurri, teneva un coltello puntato alla gola di Jon.
Rickon puntò il dito verso di lui, spaventato.
Eddard estrasse la spada e disse: «Lascia andare mio figlio!».
“Mio figlio”. Già suo figlio, ma non anche suo pensò Catelyn.
Quel pugnale era affilato, bastava un minimo movimento, un passo falso e il ragazzo si sarebbe ritrovato con la gola tagliata.
Sarebbe morto e non ci sarebbe più stato uno Snow nella sua famiglia, nessun figlio bastardo.
Morto. Aveva un bel suono quella parola.
Catelyn si riscosse dai suoi pensieri.
Osservò il volto preoccupato di suo marito e dei suoi figli.
Perché i suoi figli erano preoccupati per Jon? Lui non era loro fratello, era solo un fratellastro.
Anche se fosse deceduto, non sarebbe cambiato nulla: lui non era l’erede di Grande Inverno.
«Ma cosa sto dicendo? Sono orribile!» si disse mentalmente.
Non poteva davvero desiderare che morisse, anche se, in passato, l’aveva fatto.
«Metti giù la spada e non muoverti, altrimenti lo uccido» stava dicendo l’uomo dagli occhi azzurri.
“Lo uccido”.
Ned, lentamente, si chinò. Stava per posare la sua arma quando Robb colpì con un bastone, da dietro le spalle, l’uomo. Quest’ultimo lasciò andare Jon.
Però si girò rapidamente e diede un pugno a Robb.
Aveva commesso un errore: si era voltato.
In un attimo Jon, Arya, Bran e persino il piccolo Rickon gli saltarono addosso.
Cercarono di tirargli pugni e calci.
L’uomo, però, era molto più forte e riuscì a liberarsi.
Ned gli fu subito addosso.
Con un rapido fendente lo disarmò e gli puntò contro la spada.
«Chi sei? Che cosa vuoi?» gli chiese.
L’uomo non rispose.
«Ti conviene parlare se vuoi salva la vita».
Ancora silenzio.
«Come vuoi».
L’uomo, improvvisamente, estrasse un secondo pugnale e colpì Eddard alla spalla.
Il lord di Grande Inverno riuscì a schivare un secondo colpo, poi un terzo e ancora un quarto.
Gli piantò nello stomaco Ghiaccio.
L’uomo cadde esanime, in una pozza di sangue, con il ventre squarciato e le budella tutte intorno.
«State tutti bene?» domandò Ned.
«Noi stiamo bene. E tu, padre? Sei ferito?» chiese preoccupato Bran.
«Tranquilli, sto bene. È stato solo un graffio il suo colpo».
«Chi era quell’uomo?» disse Sansa, tremando.
«Credo fosse un fuorilegge. Non poteva essere nient’altro che quello».
«E che cosa voleva da noi?».
«Basta domande. È meglio se torniamo a casa. Non vorrei che ci fossero altri uomini come quello in giro» affermò Catelyn.
Una volta fatto ritorno a Grande Inverno, Ned partì con Jory Cassel, Tom il Grasso e altri ad ispezionare la zona.
«Jon» chiamò lady Stark, una volta che i suoi figli erano entrati nel castello.
Il ragazzo le si avvicinò con aria interrogativa.
Lei lo abbracciò.
In quattordici anni non l’aveva mai fatto.
Lui la guardò stupito.
«Avrei voluto che morissi» gli disse.
«Mi dispiace» sussurrò Jon.
«Ti dispiace?».
«Mi dispiace non essere figlio tuo. Mi dispiace non essere morto oggi…».
«Anche a me».
Jon la strinse e poggiò il suo volto sul suo petto.
Stava piangendo? O forse no. Non aveva importanza: sapeva come si sentiva, sapeva di averlo ferito.
Ma, alla fine, lui lo sapeva. L’aveva sempre saputo.
Catelyn gli mise una mano sulla testa e cominciò ad accarezzargli i capelli.
Per una volta, solo per una volta avrebbe dovuto comportarsi con lui come una madre.
Lo doveva a Ned. Lo doveva ai suoi figli.
Lo guardò negli occhi, lo baciò sulla fronte e gli sorrise. Gli sorrise come non aveva mai fatto.
Jon ricambiò il suo sorriso.
E, per un momento, lei lo considerò come un suo figlio.

 


Angolo Autrice.
Ciao a tutti!
Ecco che qui ricompare l’uomo dagli occhi azzurri che Rickon aveva intravisto tra i cespugli nello scorso capitolo.
Non era, quindi, un Estraneo, ma un fuorilegge! O, almeno, così crede Eddard! xD
Ho provato a descrivere i sentimenti astiosi di Catelyn nei confronti di Jon e, per una volta – almeno alla fine – farla diventare più “affettuosa” con lui.
Voi cosa ne pensate?
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! :)
Alla prossima!
Violaserena.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Eddard ***


EDDARD

 

Un corvo lo guardava con intensità.
Lui era solo su un campo di battaglia disseminato di cadaveri.
Poteva sentire un odore misto di terra e sangue. Poteva vedere il liquido rosso bagnare ogni cosa.
Cadaveri mutilati, sventrati, stuprati. Com’era potuta accadere una simile atrocità? Perché non era riuscito ad impedirla?
Un’ombra si fece avanti dall’oscurità: era un leone.
L’animale lo guardò e digrignò i denti.
Non aveva paura, non poteva averne dopo tutto quello che era successo.
Anche se era solo un uomo lo avrebbe sconfitto.
Solo allora si rese conto di non essere un uomo, ma un lupo.
Ebbene, avrebbe vinto lo stesso.
I lupi erano forti tanto quanto i leoni.
Non si sarebbe tirato indietro, doveva solo aspettare il momento giusto.
All’improvviso, un altro leone, più piccolo, sbucò da dietro le sue spalle e gli afferrò con i denti il collo.
Se non avesse fatto qualcosa gli avrebbe staccato la testa e lui sarebbe morto.
Cercò di liberarsi, ma non ci riuscì.
Sentì scorrere il suo sangue, sentì la vita abbandonarlo.
Vide, in lontananza, un branco di piccoli lupi.
Erano i suoi figli.
Avrebbe voluto gridare loro di andarsene, ma non ne ebbe la forza.
Il corvo si alzò in volo e si diresse verso i suoi figli.
«Salvali tu, ti prego» pensò prima che tutto si oscurasse.
Eddard si svegliò di soprassalto.
Si guardò attorno preoccupato, calmandosi solo quando si rese conto di essere in camera sua.
Accanto a lui, addormentata, c’era sua moglie.
Era felice di non averla svegliata.
L’avrebbe fatta preoccupare per niente, solo per uno stupido sogno.
«Odio i leoni» sussurrò prima di rimettersi a dormire.
Il mattino successivo, volendo sfogarsi, raccontò il suo incubo a maestro Luwin.
«Leoni e lupi. Entrambi animali fieri e forti».
«Dimentichi il corvo».
«Il corvo, certo».
«Cosa credi che significhi?».
«Molto spesso i sogni non hanno alcun significato, proprio per questo si chiamano sogni, mio lord».
«Si, ma io sento che questo ce l’ha un significato».
Lady Catelyn entrò proprio in quel momento.
«Non volevo interrompervi. Continuate pure a parlare. Sono venuta solo per prendere un po’ di latte di papavero per Robb. Il punto in cui quel fuorilegge l’ha colpito, gli fa ancora male».
Il maestro prese una boccetta e gliela diede.
La donna lo ringraziò e si diresse verso la porta.
Prima di uscire disse: «I leoni e i lupi sono i simboli, rispettivamente, dei Lannister e degli Stark».
Eddard sussultò. Come aveva fatto a non pensarci prima?
Certo, il simbolo della sua casata era un meta-lupo.
Il suo amico e ora re, Robert Baratheon, aveva sposato una Lannister, Cersei.
Il fratello della regina, Jaime, aveva ucciso il precedente sovrano, Aerys Targaryen.
Robert era forse in pericolo?
No, aveva sognato un lupo, non un cervo.
Allora, era forse la sua famiglia ad essere in pericolo?
I Lannister erano più di mille leghe lontani dal Nord, da Grande Inverno.
Perché avrebbero dovuto attaccarli?
E il corvo? Cosa centrava il corvo?
«Lord Eddard» lo chiamò maestro Luwin.
«Credo che tu abbia ragione. Il mio sogno non ha alcun significato» disse, facendogli un cenno di commiato.
Si, era stato solo un brutto sogno, niente di più.


 

*



Stava facendo colazione insieme ai suoi figli e a sua moglie, quando giunse, tutto trafelato, Jory Cassel.
«Mio lord! Due uomini sono stati uccisi, spogliati dei loro averi e gettati in un canale!».
«Chi ha osato compiere una simile atrocità?».
«I testimoni concordano nell’affermare che c’erano sei o sette uomini sospetti che si aggiravano furtivamente e…».
«Chi sono questi uomini?».
«Temo fuorilegge, mio lord».
I suoi figli si guardarono preoccupati.
«Potrebbero essere i compagni dell’uomo che ci ha attaccati. Jory raduna gli altri e aspettami in cortile».
«Agli ordini, mio lord».
Il figlio di ser Rodrik uscì correndo.
«Padre, posso venire anch’io?» lo supplicò Robb.
«No, è meglio se resti qui».
«Ma posso aiutarti e…».
«Non so chi siano, che cosa vogliano. Potrebbero non essere fuorilegge. Non voglio metterti in pericolo».
Robb annuì.
Eddard uscì e, insieme ai suoi uomini, si diresse nel punto in cui erano stati trovati i due corpi esanimi.
Non c’erano tracce intorno, ma i cani di Farlen riuscirono a fiutare una pista.
Arrivarono al limitare del bosco. Ned fece cenno di avanzare lentamente e di fare il meno rumore possibile.
Dalla cima di un albero si avventarono su di loro tre uomini.
Eddard estrasse Ghiaccio e parò i colpi dei nemici.
Fu abbastanza semplice batterli: lui era a cavallo mentre i suoi avversari erano a piedi e poi non erano molto abili nell’uso della spada.
Fu in quel momento che notò un particolare che prima non aveva notato: erano bruti!
Ma che ci facevano dei bruti al di là della Barriera?
Com’era possibile che fossero riusciti a superarla?
Ormai non poteva più rivolgere loro quelle domande: erano morti.
Mentre pensava ciò altri uomini si avventarono su di loro.
Questa volta, però, non erano bruti, ma normali fuorilegge.
Un uomo grande e grosso con in mano una mazza colpì Tommard alla schiena.
Alyn e Cayn cercarono di metterlo fuori combattimento, ma non ci riuscirono.
Desmond ed Heward erano impegnati a contrastare gli attacchi di altri due nemici.
Eddard si fece avanti.
L’uomo grande e grosso lo guardò con rabbia e si lanciò contro di lui.
Roteò la mazza e menò un colpo secco.
Ned riuscì a spostarsi in tempo, altrimenti avrebbe avuto il cranio spappolato.
L’uomo urlò di rabbia e cominciò a mulinare mazzate a caso.
Eddard gli diede un pugno in faccia che lo fece traballare.
Ne approfittò per colpirlo alla mano e fargli perdere la sua arma.
«Chi siete? Perché c’erano dei bruti con voi?» domandò il lord di Grande Inverno.
L’altro non rispose.
«Perché siete qui? Vi manda qualcuno?».
Ancora nessuna risposta.
All’improvviso l’uomo tirò fuori un coltello e scattò contro Ned.
Quest’ultimo, abilmente, gli afferrò il braccio e glielo torse.
Poi gli piantò la spada nello stomaco, squarciandoglielo.
L’uomo sputò sangue ed esalò il suo ultimo respiro.
Quella stessa sera Ned si era riunito con i suoi soldati per discutere riguardo all’accaduto.
C’era anche Tom il Grasso che, nonostante il colpo ricevuto durante lo scontro, non aveva riportato grandi ferite.
«Ho deciso di mandare un messaggio ai guardiani della notte. Devono essere informati che dei bruti hanno superato la Barriera».
«Mi sembra giusto, mio lord» affermò Desmond.
«Vorrei proprio sapere che ci facevano qui insieme a dei fuorilegge» borbottò Cayn.
«La feccia sta con la feccia» rispose Jory.
Heward si schiarì la voce e, rivolgendosi a Ned, disse: «Ho trovato questo nelle tasche di uno dei fuorilegge, mio lord».
Eddard lo guardò come se stesse tenendo in mano una testa mozzata.
Era solo un sogno.
Solo un sogno si ripeté, guardando l’oggetto nella mano di Heward.
Era un ciondolo a forma di leone.




Angolo Autrice.
Ehilà!
In questo capitolo Eddard fa un sogno strano che lui pensa abbia un qualche significato.
Sarà così o, come ritiene maestro Luwin, si tratta solo di un semplice sogno?
E poi, che ci fanno i bruti oltre la Barriera?
Perché uno dei fuorilegge ha un ciondolo a forma di leone?
Mistero! xD
Alla prossima!
Violaserena.

P.S. Il prossimo sarà l’ultimo capitolo.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Stark ***


STARK
 

Fruscio prodotto dai movimenti di Bran che si arrampicava sulla torre del castello di Grande Inverno.
Lamentele di Arya riguardo alle lezioni di cucito.
Illusioni di cavalieri ed eroi nella mente di Sansa.
Battaglie e vittorie nei sogni di Robb.
Clangore di spada prodotto da Jon durante l’allenamento con ser Rodrik.
Risate del piccolo Rickon.
Amore per i figli negli occhi di Catelyn.
Onore e famiglia nei pensieri di Eddard.
Grande Inverno, la grande casa degli Stark.
All’interno delle sue mura scorreva una vita sicura e felice, fatta di allegria e di amore, di lealtà e di coraggio che tanti avrebbero potuto invidiare.
Brandon scese dalla torre e si diresse nella stanza in cui si trovavano le sue sorelle.
Come al solito Arya stava brontolando mentre septa Mordane cercava di spiegarle, per l’ennesima volta, come si faceva il punto croce.
Sansa e la sua amica Jeyne Poole ridacchiavano divertite.
«Maestro Luwin richiede la presenza di Arya e Sansa» disse Bran, entrando.
«Perché mai?» domandò, sospettosa, la septa.
«Non lo so, non ha voluto dirmelo».
La donna lo guardò attentamente negli occhi, cercando di scorgere il minimo accenno di bugia.
Ma non lo trovò, così lasciò uscire le due giovani Stark.
«L’abbiamo fregata» sussurrò, allegra, Arya.
«Non si fanno queste cose. Non sta bene. Se la septa viene a sapere che le abbiamo mentito…» cominciò a dire Sansa.
«Non lo verrà a sapere. E poi maestro Luwin ci coprirà. Ora sbrighiamoci a raggiungere Robb, Jon e Rickon».
Li trovarono ad aspettarli nel cortile.
«Siete riusciti a convincere ser Rodrik!» esclamò Bran.
«Si, ma che fatica» disse Jon.
«Se Rickon non l’avesse distratto, probabilmente saremmo ancora lì a discutere» continuò Robb.
«Bravo Rickon» lo elogiò Arya.
Il più piccolo degli Stark sorrise compiaciuto.
Poco dopo li raggiunsero anche Theon e Hodor.
«Bene, ora che siamo tutti qui, diamoci da fare!» affermò Robb.
I giovani Stark avevano deciso di organizzare una piccola festa per i loro genitori.
Si erano, infatti, accorti che, da alcuni giorni, loro padre era teso e turbato.
Anche la loro madre sembrava preoccupata da qualcosa.
Il loro intento, perciò, era fare in modo che tornassero ad essere sereni e felici.
Avevano informato del loro piano, oltre Theon e Hodor, il cuoco Gage in modo tale che potesse preparare delle pietanze succulente e maestro Luwin. Quest’ultimo doveva tenere impegnati Eddard e Catelyn fino a quando non fosse stato tutto pronto.
Era stato molto difficile organizzare tutto e, più volte, avevano rischiato di farsi scoprire.
Ma alla fine, dopo un’intensa giornata di preparativi e di prove, al calar della sera, tutto era pronto.
Cominciò a cadere dal cielo un leggero nevischio che ricoprì lievemente di bianco Grande Inverno.
Ned e Catelyn furono fatti accomodare nella sala grande da maestro Luwin.
I due coniugi si guardarono sorridenti.
Uno ad uno i loro figli fecero la loro entrata. C’era anche Theon con loro.
Si disposero uno accanto all’altro, fecero un inchino e incominciarono ad intonare una canzone.
Dopo lunghe discussioni, avevano optato per “L’Orso e la Fanciulla Bionda” perché era una canzone allegra e i loro genitori avevano bisogno di ritrovare il sorriso.

Un orso c’era, un orso, un orso!
Tutto marrone e nero, tutto coperto di pelo…
…L’orso! Oh vieni! Gli dissero in coro,
Oh, vieni dalla fanciulla dai capelli d’oro!
Com’è bella… Ma sono un orso, rispose la belva.
Tutto marrone e nero, tutto coperto di pelo…
E lungo la strada di villaggio in villaggio, di villaggio in villaggio,
tre ragazzi, un caprone, e un orso vestito da paggio.

Fece la sua entrata Hodor vestito da orso.

Danzò e volteggiò per tutta la strada,
saltò e ballò con un abito strano.
E arrivò dalla bella dai capelli di grano,
i capelli di grano.

Entrò Jeyne Poole con uno scialle giallo in testa.

Oh dolce era lei, pura e con gli occhi belli,
la fanciulla con il miele nei capelli.
I capelli, i capelli. La fanciulla con il miele nei capelli.

Arya, ammiccando, rovesciò una boccettina di miele sulla testa di Jeyne.
Ned e Catelyn sorrisero, divertiti.

Annusò essenze profumate, nell’aria dell’estate.
Annusò e ruggì e lo sentì il dolce profumo del miele, nell’aria della sera.
Oh io sono una fanciulla, sono pura e bella!
Mai danzerò con un orso peloso!

L’orso Hodor, si avvicinò danzando a Jeyne, la quale lo respinse disgustata.

Un orso, un orso!
Mai danzerò con un orso mostruoso!
La sollevò alta nell’aria della sera,
l’orso, l’orso, la fiera!
Un cavaliere armato avevo chiamato.
Ma tu sei un orso, un orso,
tutto marrone e nero, tutto coperto di pelo…
Scalciò e urlò la fanciulla dagli occhi belli,
ma lui le leccò il miele dai capelli!
Dai capelli! L’orso le leccò il miele dai capelli!

Hodor tolse lo scialle giallo dalla testa della fanciulla.

Poi lei sospirò e berciò e scalciò
Su nell’aria della sera!
Mio orso, così splendido e forte.

Hodor prese in braccio Jeyne.

E andarono via, di villaggio in villaggio,
la fanciulla dal profumo di miele e l’orso vestito da paggio!

Ned e Catelyn applaudirono, sorridenti, i giovani.
«Siete stati bravissimi!» li elogiò la figlia di Hoster Tully.
«È stato molto divertente!» ammise il lord di Grande Inverno. «È per questo che avete chiesto a maestro Luwin di distrarci?».
I ragazzi arrossirono.
«Negli ultimi giorni vi abbiamo visti tesi e turbati, perciò abbiamo pensato di realizzare questa piccola festa per farvi tornare il sorriso e tenervi lontano, almeno per un momento, dalle vostre preoccupazioni» rispose Robb guardando per terra.
Catelyn sorrise e li abbracciò uno per uno: anche Jon e Theon.
Eddard rise, rise come non aveva più fatto da quando aveva fatto quello strano sogno.
«Le sorprese non sono ancora finite!» esclamò il piccolo Rickon.
«Certo, dobbiamo ancora mangiare» scherzò Ned.
«Vi abbiamo fatto dei regali» affermò Bran.
Robb tirò fuori una scatola e la porse ai suoi genitori.
Questi ultimi la aprirono e rimasero piacevolmente sorpresi.
Dentro c’erano delle bambole che rappresentavano ogni membro della loro famiglia.
«Le abbiamo fatte noi» disse con orgoglio Sansa. «Quella venuta meno bene è quella di Arya! Persino i maschi sanno cucire meglio di lei!».
I presenti soffocarono delle risate.
«Non vedevi l’ora di dirlo, vero?» la rimbeccò Arya.
Sansa la guardò con un sorriso sornione, cosicché la bambina le fece una linguaccia per ripicca.
«Sono tutte quante bellissime» disse, con affetto, Catelyn.
«Già. E sapete perché? Perché le avete fatte voi. Questo è il più bel regalo che potessimo ricevere» li ringraziò Ned, sorridendo.
I giovani si guardarono felici. Felici per essere riusciti a riportare la serenità, felici per essere degli Stark – perché anche Jon e Theon in fondo lo erano – ma soprattutto, felici per essere una famiglia.
Una vera famiglia.
Questi erano loro, questi erano gli Stark.

 



Angolo Autrice.
Ehilà!
Siamo, ahimè, giunti alla fine di questa storia.
Ma tutte le storie hanno una fine e così anche questa.
Ringrazio tutti coloro che l’hanno letta o che l’hanno messa tra le seguite/preferite/ricordate…
Un grazie speciale a Farkas che ha recensito ogni capitolo e mi ha sempre supportato! :)
Un saluto a tutti!
Violaserena.

P.S. Sto scrivendo una nuova storia – che pubblicherò a breve - su come io immagino possa finire “Il Trono di Spade”. Saranno presenti tutti i personaggi, ma – neanche a dirlo – saranno gli Stark i veri protagonisti.
Bene, detto questo, vi saluto davvero! :)
Buona serata a tutti!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2866697