Fate

di Wellesandra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Parte 3 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***



DISCLAIMER: i Muse non mi appartengono, non scrivo a scopo di lucro e i fatti narrati non sono realmente accaduti- se non nella mia testa.
La storia è ispirata a Bliss, che tutti noi conosciamo, ed è stata scritta in un determinato stato d'animo.
Ringrazio chi mi ha appoggiata consapevolmente in questi mesi di scrittura e anche a chi mi ha spronato a pubblicare. Prima o poi ripagherò.
Prima di lasciarvi, dedico l'intera storia a Giulia, per l’ascolto, la pazienza, le correzioni, i consigli, la sapienza, la comprensione…
E, soprattutto, l’Amicizia.


Fare ritratti le era sempre piaciuto: prendeva una matita, un foglio bianco e iniziava.
Non era brava. Da piccola, mentre guardava il cugino  Nick, si autoconvinceva che era il proprio modo di mantenere la matita ad essere sbagliato perché l’impegno, in fondo, ce lo metteva. Cassass, sua amica di vecchia data e confidente, le disse che doveva immaginare, ad esempio, una bicicletta e abbozzare ciò che l'immaginazione le suggeriva. Solo anni dopo capì che fare due cose contemporaneamente era pressoché impossibile: inevitabilmente, una delle due non veniva fatta bene.
Comunque, le era sempre piaciuto fare dei ritratti e col tempo, nel bene o nel male, riuscì a ricavarne qualcosa. In quel momento stava ricalcando un abbozzo dei due ragazzi che si scambiavano effusioni in modo così delicato da non essere quasi percepibile. Si studiavano reciprocamente da lontano, e quando lui si accorgeva che lei lo guardava, sorrideva.
Quante promesse poteva nascondere un sorriso? Così tante, fantasticò, che rise a fior di labbra.
La matita scivolò sul foglio, riproducendo le labbra con gli angoli all'insù, dalla forma piena e a cuore di lui, e quelle più sottili e piccole di lei, increspate e protruse quasi a voler nascondere la felicità. Perché la volesse nascondere, non ne aveva idea.
Altea si domandò in che modo quei due avrebbero potuto conoscersi.
Mordendosi le labbra continuò a guardarli. Nel cortile della scuola c'era molta gente, come era ovvio durante la pausa.  Prese la sua decisione, convinta che avrebbe fatto il bene di entrambi. Afferrò uno dei suoi fogli e scrisse un messaggio. Poi arrotolò la carta in un'elegante pergamena e si alzò, muovendosi lentamente tra le persone, passando inosservata. Lasciò il biglietto sul tavolo del ragazzo, gli sorrise e ritornò al proprio posto. Non aspettò molto e quando lo vide alzarsi si trattenne dall'urlare.
"Cosa aspetti?", recitava la nota. Non pensava che occorresse così poco e fu felice di vedere lo scambio di battute tra i due.
Sorridendo, rivolse l’attenzione al lavoro che aveva lasciato a metà e continuò, disegnando i nasi, la forma dei volti, i capelli. Poi arrivarono gli occhi, la sua parte preferita. Quelli di Chris- era così che il ragazzo si era presentato a Kelly- erano prevalentemente castani con venature verdi. Dolci, ma difficili da riprodurre, a causa della felicità e dell’eccitazione che li abitavano, testimonianza di un desiderio che si era finalmente avverato. Quelli di Kelly erano più allungati, chiari e contornati da lunghe ciglia. Riflettevano imbarazzo e curiosità e rispondevano con equivalente intensità a quelli del ragazzo. 
Quando terminò anche quella parte del lavoro, lo osservò, per la prima volta orgogliosa di ciò che aveva fatto.

Rinchiusa nella sua sfera personale, dove nessuno avrebbe dovuto disturbarla, Altea si impegnò per terminare i suoi dipinti. Quello dei suoi prescelti era ancora incompleto, perché non si fidava della sua memoria: avrebbe riprodotto ogni ruga espressiva di Chris e il luccichio distintivo negli occhi di Kelly. Il ricordo non bastava per dettagli del genere. Gli altri, invece, erano talmente semplici che ci rimase male: non tutti erano capaci di trasmettere le stesse emozioni, la stessa serenità e trepidazione che distinguevano i due innamorati.
«Dovresti stare alla larga dalla sfera terrestre, Altea. Porta solo guai.»
«Guai del tipo?»
«Morte. Dolore. Ansia. Situazioni che non si addicono a dèi come noi.»
Altea chiuse il suo quaderno, per guardare  il fratello dritto negli occhi. Odiava quando qualcuno la disturbava e quando, quel qualcuno, non rispettava le sue scelte.
«Abbiamo punti di vista diversi e non condivido affatto ciò che dici. Ora, se non ti dispiace, ho un lavoro da finire.»
«Altea, ascolta...»
Il tono esasperato del fratello la stizzì.
«No Indra, ascolta tu. Sono affari miei. Se voglio cacciarmi in situazioni spiacevoli sono cose che non ti riguardano. Dovresti essere il dio dell'Intolleranza, e non quello del Tempo.»
«Stai dimostrando che ho ragione.»
Quando Indra uscì dall'area della sorella, lei si sentì subito meglio. Quanta negatività, in un mondo divino in cui non dovrebbe che esserci felicità!
Scosse il capo, sospirando con pazienza e riprendendo ciò che aveva lasciato.

Chris e Kelly avevano deciso di uscire insieme, nonostante il maltempo. Indra intendeva ostacolarli, causando temporali fuori dalla norma. Altea però non si lasciava scoraggiare tanto facilmente. Riusciva a trovare delle scappatoie, a volte anche brillanti, e questa sua capacità la faceva sentire invincibile.
Che bello era sentirsi realizzati! Si prova quella gioia che si espande dallo stomaco al cuore, che ci fa sorridere sempre e ripensare in continuazione a ciò che si è fatto per ottenerla.
Con questo pensiero in mente, si accoccolò sul ramo dell'albero della scuola, dondolando le gambe nel vuoto e sorridendo a tutti. 
Chris e Kelly ridevano, sfiorandosi le mani e intrecciando le dita. C’era curiosità nei loro sguardi e fin quando l’interesse sarebbe stato sempre presente, la coppia non avrebbe mai avuto alcun blackout nel loro rapporto.
La sua attenzione fu reclamata da due ragazzi che stavano dirigendosi proprio verso la sua coppia. Li guardò attentamente, come se non avesse mai visto due giovani di sesso maschile prima di quel momento. C'era qualcosa che le sfuggiva.
Si protese in avanti, assottigliando lo sguardo: l'energia che avvertiva non era la stessa che aveva percepito con Chris e Kelly né uguale a quella degli altri esseri umani da cui erano circondati. Quella forza era a senso unico.
Capì che uno dei due provava dei sentimenti a cui l’altro non era altrettanto predisposto. Lo notò subito:  due passi più dietro rispetto all'altro, il biondino stava sorridendo per una battuta, ma il suo sorriso tendeva a spegnersi più velocemente rispetto a quello degli altri. 
Accigliandosi, si chiese cosa potesse fare per far aprire gli occhi all'altro. 
«Tuo fratello non scherzava.»
Non sobbalzò quando il cugino le rivolse la parola. Riusciva a percepire in anticipo quando un suo simile era nelle vicinanze. 
«A proposito di cosa?»
«Che ti stai immischiando alla sfera umana.»
Altea fece schioccare la lingua, senza perdere di vista i due ragazzi.
«Indra si sbaglia. Pensa che tutto ciò che fa sia giusto. E questa sua convinzione è dovuta alle colpe degli altri.»
«Colpe o non colpe, non sono qui per questo.»
«E allora cosa?»
«Non sono destinati a stare insieme.»
Altea girò di scatto la testa.
«Se permetti, al destino ci penso io.»
«E se tu lo permetti a me, scelgo io chi deve amare chi.»
«Ma loro provano qualcosa. Lo sento. Non posso intercedere come dea dell'Amore, ma capto l'energia che c'è tra loro.»
«Così come io capto la loro separazione. Lo hai sentito, no, che la loro affinità è diversa da quella di Chris e Kelly.»
Altea annuì a quell'affermazione.
«Lascia stare, cugina. All'amore ci penso io. Sono più bravo.»
«D'accordo.»
Il mormorio lascivo della dea non convinse l’altro.
«Farai loro del male.»
«Sono il Destino. E quei due sono destinati a qualcosa.»
«Qualcosa che non è l'amore. Amicizia, pura e semplice. Il biondino riuscirà a dimenticarlo presto.»
«Va bene.»
«Altea.» Il tono fermo di Nick la obbligò a guardarlo negli occhi. Quelle iridi gialle non le lasciavano scampo. 
«Intercederò per quanto necessario, Nick. Non scoccherò loro nessuna freccia d'amore.»
Un lampo illuminò la notte apparentemente calma.
«Bel tempo un corno», borbottò Dom, nascondendo la testa nel cappotto. Lasciati liberi solo gli occhi, accelerò il passo per non ritrovarsi sommerso dall'acqua. Rabbrividendo per il freddo, provò a riscaldarsi immaginando spiagge assolate, località estive e un bel mare calmo.
«Ora sì che va meglio», bisbigliò tra sé e sé.
Una goccia cadde proprio al centro della sua testa e, imprecando, corse verso casa Bellamy, sperando che almeno l'amico avesse le forze per aprirgli la porta.
Bussò e aspettò impaziente, iniziando a pulire le scarpe sullo zerbino. Un verso strano e ovattato gli giunse alle orecchie e, presupponendo che quello di Matt volesse essere un "chi è?", lui rispose.
I capelli lunghi attaccati alla fronte sudata del moro erano solo uno dei tanti indizi dell'agonia di Matt: gli occhi azzurri erano arrossati e lucidi,  il pigiama di flanella sottolineava la sua figura mingherlina e quel broncio... Dio, se avere la febbre lo rendeva così, Dom avrebbe anche potuto iniziare ad apprezzare l'inverno.
«Come stai?»
Con un verso che riprodusse l'abbattimento di un mammut, Matt si buttò sul divano.
«Domanda stupida.»
Ridacchiando, Dominic si tolse il cappotto e andò in cucina a preparare il tè.
«Perché sei solo?»
«Mio fratello è via per qualche giorno. Mamma ha deciso di sperimentare una nuova pratica per l'occulto, quelle cose lì, insomma.»
Mentre uno annuiva preparando la tazza e tutto il necessario, l'altro si mise a sedere stringendosi la testa tra le mani. Per tutta la preparazione del tè, un mantra strano rimbombava nell’aria.
«Perché... perché... »
«Perché cosa?»
Dom  pose la tazza a Matt, aiutandolo quando necessario.
«Perché a me?»
«Perché sei debole. Bevi.»
«Non è vero.»
Al primo sorso Matt si rilassò, gemendo piacevolmente quando il tè iniziò a riscaldarlo.
«È buonissimo.»
«Grazie.»
«Comunque io non sono debole.»
«Mangi solo roba precotta. E, per carità, alcune cose le trovo anche io buone e tua madre è come se fosse una seconda mamma per me, ma devi nutrirti bene.»
Il moro l'osservò attentamente.
«Dovrei mangiare legumi, frutta, verdura...»
«Carne, pesce… Sì, anche. Nella giusta quantità e preparati adeguatamente.»
«Ora non ne ho voglia.»
«Lo immaginavo. Bevi.»
Matt obbedì. «È davvero buono.»
«Sono diventato un maestro ormai.» Replicò il biondo, sorridendo orgoglioso.
Non era la prima volta che gli preparava quella bevanda. In realtà si era impegnato a farla perfettamente solo per lui.
Osservando l’espressione rapita di Dom, il moro si accigliò. Un unico pensiero gli girava per la testa: l’idea di aver perso il privilegio di essere il solo a cui l’amico preparava del tè era inconcepibile.
«Perché? A chi altro lo hai fatto?»
Dom lo osservò con un sopracciglio alzato. Non si aspettava una domanda del genere e soprattutto non in quel modo. Non riuscì ad interpretare quel tono di voce ma immaginò che potesse definirlo come accusatorio e freddo. Come se volesse incolparlo di un sbaglio non fatto. Dio, quanto lo sperava...
«Solo a te.» Mormorò, notando gli occhi dell'amico rilassarsi subito.
Bevendo ancora un po', Matt buttò giù quello che serviva per riscaldarsi e porse la tazza vuota a Dom.
«Sul serio, proprio buono.»
Sorridendogli, il biondo appoggiò tutto nel lavello e lo accompagnò nella sua stanza da letto.

«Hai mai pensato che un giorno ci trasformeremo in quello che odiamo?»
Dom osservò curioso Matt, che si era appena disteso sul letto, supino e con gli occhi vitrei.
«Pensaci,» continuò il moro. «Ci sono miliardi di milioni di milioni di miliardi di scarafaggi, non solo perché a nessuno piacciono ma perché fanno effettivamente schifo.»
Il biondo seguì con attenzione il ragionamento, cercando di nascondere il sorriso che stava nascendo sulle sue labbra.
«Mi sto ricredendo sugli esseri superiori, Dom. Lo sai, no? Divinità che più ci guardano e più ci vogliono morti perché gli facciamo schifo. Siamo gli scarafaggi di qualcun altro.» Accigliato per le sue stesse parole, Matt si alzò sui gomiti e puntò gli occhi su Dom, bisognoso del suo consenso. Il suo sguardo cambiò, diventando man mano atterrito  e pronunciò le parole bisbigliando.
«Credo che queste divinità siano degli alieni.»
L’amico sbuffò sonoramente, prima di abbassarsi su di lui stirandogli le rughe degli occhi e il cipiglio che gli si era formato.
«Hai la febbre.»
«Che c’entra? Sto solo pensando.»
«Tu stai delirando, il che non è così grave per te. Ma ora scotti ancora di più.»
«Però tu ci credi Dom?» Gli chiese, rimanendo fermo nella sua posizione.
Dominic si perse nello sguardo speranzoso di Matt, che lo supplicava di dargli ragione, di credergli seppur tutto era basato su una sua idea senza fondamenti logici e suggerita- sicuramente- dalla febbre. Dom annuì, accondiscendente.
«Sì.»
Matt sprofondò la testa nel cuscino.
«Se diventeremo ciò che odiamo, io sarò un ragno…» Inorridì e aggiunse: «Tu Dom? Ci sto pensando ma non ne ho idea.»
Il biondo ridacchiò, nascondendo la sua piccola delusione.
«Forse non mi conosci bene.»
Togliendosi bruscamente le mani di Dom dal volto, Matt gli lanciò un’occhiata storta.
«Invece sì. Dammi cinque minuti. Ho la febbre.»
«Sì, ce l’hai. E no, non ti do proprio un bel niente.»


Dom fu svegliato da dei colpi molto forti alla porta d'ingresso. Quando aprì gli occhi la sveglia segnava le 6:50.
Imprecò come uno scaricatore di porto mentre si alzava e si strofinava le mani sugli occhi. Rimboccò le coperte a Matt che le aveva scacciate via e scese al piano inferiore.
Aperta la porta, una ragazza dai capelli corvini gli sorrise porgendogli un pacco.
«Da' questo a Matt, gli farà bene. Troverai anche due inviti per una festa.»
Dom prese il pacco ancora intontito. Era piccolo e quadrato, confezionata in una carta rossa glitterata. Era perfettamente impacchettato, così come perfettamente acconciati erano i capelli corti e sbarazzini della ragazza.
«Se per caso tu te lo stessi chiedendo, io sono Altea, una cugina di Matt. Marilyn mi ha chiamato, chiedendomi questo piacere.»
Si voltò, senza aggiungere altro o aspettare una risposta e, con una sorriso sulle labbra, disse: «Ci vediamo domani.»
«Aspetta! Non ti va di entrare?»
Senza ottenere risposta, Dom osservò la ragazza che andava via, canticchiando tra sé e sé.


Non riusciva più a prendere sonno e decise di preparare la colazione. Il flaconcino che aveva trovato nel pacchetto era piccolissimo. Dom annusò il suo contenuto: profumava di tè verde e limone. Non c’era nessun marchio, nessuna etichetta che ne attestasse la provenienza e per precauzione l’assaggiò. Non avrebbe mai permesso a Matt di bere qualcosa di strano.
Passata mezz’ora non ci fu nessun effetto collaterale e si rilassò. Il flaconcino era accompagnato da due inviti per una festa in maschera. A parte il suo scetticismo riguardante una festa  di cui non aveva mai sentito parlare lì, a Teignmouth in quel periodo invernale, era in dubbio della loro partecipazione a prescindere, considerate le condizioni di Matt.
Preparò tutto su un vassoio e lo portò sopra. Il moro aveva scalciato di nuovo via le coperte, i capelli gli si erano curvati sulla fronte e Dom giunse alla conclusione che aveva sudato parecchio.
«Meglio così,» si disse, appoggiando il vassoio sulla scrivania e tirando via le tende. Il tempo non era migliorato: i nuvoloni neri e pieni di acqua si preparavano per un nuovo diluvio.
«Matt» mormorò, accostandosi al letto e tirando indietro i capelli sudati con morbide carezze.
«Matt, svegliati. C’è la colazione e indovina un po’? Tè e pasticcini alle banane.»
Le palpebre dell’amico si alzarono rivelando uno sguardo ancora assonnato ma indagatore. Dom sorrise a fior di labbra, pensando a quanto fosse prevedibile il suo migliore amico.
«Davvero?»
«No.»
«Vaffanculo.»
Matt si ributtò tra le coperte, girandosi di schiena e lasciando un Dom divertito a scuotere il capo.
«Alzati e ti prometto che oggi vedo cosa posso fare.»
Voltandosi sulla spalla, Matt lo osservò.
«Dovevi nascere femmina.» Tra un grugnito e l’altro, il moro si mise a sedere mentre Dom immaginava il proprio corpo cambiato, con molte curve in più e alcune parti mancanti, e raccapricciò per l’orrore.
«Sto bene come sto.»
«Ma donna saresti stata una madre perfetta.»
Madre e non amante, osservò il biondo.
«E moglie no?» Gli chiese con tono ironico.
«Da quelle ci si aspetta qualcosa di diverso.»
In che cavolo di discussione mi sto cacciando?, pensò ancora Dom, porgendo all’amico la tazza di tè e semplici biscotti confezionati.
«Otturati quella bocca sparacazzate e mangia.»
Matt ridacchiò, obbedendo.
«Bocca sparacazzate è grandiosa.»
Dom si ricordò della medicina quando ormai Matt aveva finito di prendere l’ultimo sorso di tè. Nel momento in cui gliela porse, gli venne in mente che non gli aveva mai parlato di nessuna cugina di nome Altea. Tra un pensiero e un’osservazione, porse il flaconcino a Matt che, senza  pensarci due volte, lo buttò giù d’un sorso. Dom sbuffò, guardandolo male.
«Che c’è?»
«Non mi hai chiesto neanche che cos’era! Possibile che tu sia tanto sbadato?»
Il moro inarcò un sopracciglio. «Secondo te io sono sbadato? Posso essere problematico, infantile, permaloso, pignolo… ma non sbadato. L’ho bevuta così perché me l’hai data tu. Altrimenti nessuno sarebbe scampato al terzo grado.»
Matthew era serio, tanto che riuscì a zittire l’altro che, in cuor suo, annegava nell’amore puro. Non si rendeva conto che determinate parole avevano l’effetto di una droga, su di lui? Non capiva che quello sguardo, tenebroso e sicuro, gli suscitavano vibrazioni proibite in corpo?
Rimase imbambolato per quelli che gli sembravano essere minuti interi, con le braccia lungo i fianchi e un’espressione da ebete.
No, asserì tra sé e sé. Proprio non si rendeva conto dell’eccitazione che gli procurava.
«Perché non mi hai mai parlato di Altea?»
Matt inarcò l’altro sopracciglio. «Di chi?»
«Di tua cugina.»
«E come si chiama?»
«Altea.»
«Non l’ho mai sentita nominare.»
«Come no? Mi ha portato la medicina e due inviti per una festa.»
Per confermare ciò che diceva, gli porse i due biglietti. Matt li osservò curioso.
«“Hai mai incontrato il destino?”, mmmh…»
«“Mmmh” che? E se quello che hai bevuto fosse veleno? »
Il moro sbuffò. «Sei più tragico di un incidente stradale con tanto di esplosione.»
Alzando lo sguardo, gli occhi azzurri dell’amico trovarono quelli di Dom e sbattendo gli inviti sul palmo della mano disse: «Domani scopriremo chi è questa Altea.»

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Capitolo 2
*** Parte 2 ***


Alla festa erano presenti scambisti, effemminati, gay, lesbiche, etero, adulti, ragazzi, uomini e donne di mezza età…
«Ho una cugina che organizza feste del genere e non ne sapevo nulla? Porca puttana, guarda quello lì!»
Matt indicò un uomo vestito di pelle nera talmente aderente da non lasciare spazio all’immaginazione. Quando questo si voltò, scoprirono che dietro era completamente nudo. Un’altra era vestita da Eva, accompagnata dalla sua metà femminile travestita da Adamo. Al loro seguito ce n’era una terza, vestita da mela.
Dom scosse il capo, allibito e stranito da quella folle situazione. Eppure non si sentiva fuori posto: il mescolarsi alla gente lo faceva sentire bene; interloquire con gli altri senza passare per “strano” era rilassante e per tutta la sera sia lui che Matt parlarono con molte persone. Tutti avevano nomi particolari: Nadim, Tani, Wekesa, Fritjof, Amaya, Nevarte, Bilal…
Il nome che l’aveva colpito di più era stato Axel, “ricompensa divina”; lo sapeva perché mentre assisteva Matt, aveva bazzicato tra vari canali televisivi fino ad arrivare ad un programma che spiegava l’origine dei nomi. Ad ogni modo, Dominic ebbe l’impressione di trovarsi in un covo di stranieri e che gli unici due inglesi fossero lui e Matt, fino a quando, da lontano, non aveva notato un insieme di piume rosa e bianche, che si alternavano seguendo il ritmo della musica. Più guardava, più riusciva a riconoscere il volto che si nascondeva sotto una semplice maschera bianca e striminzita. Chiamato Matt, indicò Chris con la testa. La reazione del moro non poteva non essere un’esplosione di risa, che lo contagiò molto presto. Chris camminava e sculettava, come se vorticasse intorno ad un palo aspettando ansioso le mance delle persone che lo osservavano. Ridacchiò, prima di chiamarlo a gran voce e inutilmente, poi sbracciandosi. L’amico gli rivolse un sorriso enorme e si avvicinò, abbracciato da Kelly.
«Che cazzo ci fate voi due qui?»
«Noi?! E tu? Sembri una gallina rosa!»
Chris rise, prima di circondare le spalle della ragazza. «È successo tutto per caso: eravamo seduti alla nostra panchina, fin quando una tizia non si è presentata con un biglietto in mano, dicendoci che ci aspettava.»
«Si chiama Altea?»
«Esatto! Ha fermato anche voi?»
«No, » s’intromise Matt. «È venuta direttamente a casa mia all’improvviso per consegnare questo invito a Dom. Ha detto di essere mia cugina, ma non è vero. Quindi…» Il moro alzò il bicchiere di drink che aveva in mano, in un atteggiamento che non era assolutamente consono alle sue abitudini. «Siamo qui per trovarla.»
Kelly sorrise. La sua maschera lasciava aperti gli occhi e nascondeva il resto del suo viso.
«Buona fortuna allora. Sarà un’impresa!»
«Dopo aver visto Chris vestito in questo modo, non ho paura di affrontare più nulla!»

Le ore passarono velocemente. O almeno così sembrava a Dom, che dopo qualche bicchiere giurava a tutti di poter volare. Nessuno gli diceva niente, ma gli sorridevano, annuivano e andavano avanti, ignorandolo come sempre. Quella sensazione di appartenenza iniziale era stata un’illusione pura, dettata dalla felicità che poteva causargli un posto nuovo, dove nessuno lo conosceva. Quelli non erano cittadini della sua città, ma gente di passaggio, che non avrebbe più rivisto, con cui non avrebbe più parlato, bevuto, riso. Di cui, tra l’altro, non ricordava neanche i bei nomi con cui si erano presentati, tanto aveva il punto fisso per una sola, costante persona. L’unico individuo in grado di farlo sentire a casa sua anche in mezzo ai ghiacciai dell’Alaska e che in quel momento parlava con l’uomo-rana e la donna-pipistrello, annuendo attentamente per poi interrompere il loro flusso di parole con una battuta. Dom sorrise amaramente tra sé e sé, arrivando alla conclusione che non ci sarebbe mai e poi mai stato nulla tra di loro. Amicizia, ecco. Pura e semplice amicizia, coltivata con esperienze comuni, divertimento e… vuoto. Tanto vuoto.
Non sapeva neanche da quanto tempo provasse un sentimento del genere per Matt e se fosse un fatto esclusivo per lui o rivolto a tutti i ragazzi, indipendentemente dal sesso. Non l’avrebbe mai saputo, mai, mai e poi mai, perché rifiutava ostinatamente quel pensiero. E se anche avessero condiviso un po’ di quel sentimento, non sarebbero andati da nessuna parte: proprio non si vedeva a stare insieme a lui. E non si sarebbe mai abituato ad un Matt sentimentale, tutto coccole e carinerie.
Non gli avrebbe dimostrato un minimo del suo amore, se non nelle piccole cose come aveva sempre fatto. Tipo, preparargli il tè per il resto dei suoi giorni.

Mordicchiandosi le labbra, Altea era indignata. Aveva fatto tante promesse ai suoi amici dèi e semi-dèi per ottenere una festa del genere, e dei quattro invitati umani il più importante, quello che era diventato in poco tempo il suo diletto, stava cadendo nella  depressione più totale. Maledetta incertezza! Era sempre stata lei a rovinare le persone e i possibili legami tra gli essere umani. Se solo Dom fosse stato più menefreghista…
Nick aveva ragione. Suo cugino era il Dio dell’Amore e nessuno più di lui poteva conoscere le giuste coppie, così come il loro esito. Altea si era sentita in dovere di difendere le proprie opinioni, e come dea del Destino non poteva che ribattere e affermare fermamente che quei due erano destinati a qualcosa. Un qualcosa di impreciso e non chiaro, nella sua visione. Stando a ciò che le aveva detto Nick era meglio lasciare stare e fare in modo che il corso della loro vita scorresse così come era stato stabilito. Che prepotente! Il destino era, appunto, il destino: imprevedibile e pieno di sorprese, e dolori, ma anche felicità e giuste ricompense. Così come Altea poteva avere solo una visione generale del loro futuro d’amore insieme, allo stesso modo lo era anche per suo cugino, quando si trattava della loro sorte.
Se erano destinati a stare insieme, Altea avrebbe fatto di tutto per unirli.
Anche violare le regole.

Dominic sospirava distrutto, i pensieri confusi nel suo cervello. Non aveva mai avuto problemi a prendere una decisione. Semmai, tra i due, era Matt ad essere quello più insicuro.
Scosse la testa, sfinito. Il fatto che pensasse a se stesso sempre in stretta relazione a Matt doveva dirla lunga sulla situazione.
Più lo guardava e più era consapevole che lasciarlo stare e nascondergli i propri sentimenti era l’opzione giusta, quella migliore per entrambi. Matt non si sarebbe mai sentito in colpa negandogli una cosa di cui Dom, del resto, non poteva fare a meno. Ma poteva continuare come sempre, spiarlo durante i momenti di felicità e stargli vicino quando qualcosa non andava; offrirgli una spalla su cui piangere e farsi da parte quando un momento felice e importante per il compagno si manifestava.
, si disse tra sé e sé. Èquesta la cosa giusta. Gli sarebbe stato sempre vicino, nel bene e nel male, con i soliti alti e bassi, con le loro speranze e disperazioni.
Rimase qualche secondo con gli occhi chiusi, per cercare di riprendersi da quell’attacco di isteria intima e silenziosa. Non fu difficile estraniarsi da tutto, dal suono assordante e dagli odori forti, dalla folla che andava e veniva e da quel luogo stretto, angusto, dove non aveva nessuna possibilità di uscita…
Il baratro in cui era caduto era così profondo da non aver sentito lo schianto del suo corpo. In realtà, non aveva percepito neanche il dolore immane dato da… cos’era? Un capitombolo da un grattacielo di venti piani? Un insieme di tori che lo incornavano? Una morte lenta e fredda, sommerso in uno dei tanti ghiacciai del Polo Nord?
No, niente poteva paragonare quei dolori tanto effimeri e umani alla rottura del proprio animo. Di questo ne era sicuro perché, se si concentrava, poteva sentire le sue dita muoversi, il suo petto sollevarsi, i suoi bulbi girare, nascosti tra le palpebre abbassate. Il suo corpo era intatto, esteticamente perfetto, calmo e tranquillo, sedato e posto in un luogo dalla temperatura mite.
Tentò lentamente di aprire gli occhi, un’impresa assai difficile ma non impossibile.
Prima che potesse farlo, il volto di Altea si materializzò nei suoi pensieri, raffigurazione del dolore. Vide il suo corpo afflitto dalla sofferenza: con il respiro affannato e inginocchiata di fronte a quello che a lui sembrava un altare, la ragazza tremava. Tuttavia il suo sguardo non si abbassò, orgoglioso e profondo, e con le labbra mimò più volte: “Credici”.
Intorno a sé, scene di una vita mai vissuta passavano velocissime, come le strisce sull’asfalto di una autostrada attraversata a tutta velocità: non poteva coglierne ogni parte, ma i protagonisti sì.
Fu completamente afferrato da una scena in particolare che lo catapultò in un’altra dimensione.
Matt gli sorrideva, in piedi di fronte a lui, la figura completamente illuminata dal sole in una splendida giornata estiva. Dominic riusciva a percepire l’amore che proveniva dai suoi occhi azzurri infastiditi da qualcosa che non era la luce solare. Poi però il sorriso coinvolse anche loro e in un sonoro sbuffo Matt scosse il capo, lasciando che alcune gocce di acqua si spargessero ovunque, compreso il viso di Dom. Interdetto da ciò, il biondo seguiva ogni movimento del compagno e quando Matt accennò con il capo di seguirlo, lo fece senza indugiare.
Quando il paesaggio cambiò di nuovo, l’immensa luce bianca non era fastidiosa; al contrario, rendeva tutto particolarmente rilassante. Il terreno sembrava ricoperto di neve, morbida ma non fredda. Il fiato si condensava nell’aria, creando tante piccole nuvolette. Dominic sorrise per quella situazione bislacca. Si inginocchiò a terra, affondando le mani nella neve che, però, gli ricordava l’ovatta.
Gesù Cristo… in che posto si trovava?
Si voltò alla ricerca di Matt, senza trovare nessuna traccia che potesse condurlo a lui.
Alzando gli occhi, notò Altea osservarlo con un sorrisino sbilenco. Dom si corrucciò. La pelle di lei sprigionava luce, come se circondati da tutto quel bianco ce ne fosse stato bisogno.
Sollevandosi, si avvicinò a lei con passi lenti ma lunghi; d’altro canto, sembrava aspettarlo. Quando la raggiunse, la ragazza lo prese per mano. Dom provò a contestare, ma inutilmente, perché le parole non gli uscivano da bocca.
Camminarono per una vita. Il paesaggio non era mutato e loro due non avevano scambiato una parola. Notava che mano a mano l’umore di Altea diveniva turbato, ma il sorriso forzato non lasciò mai le sue labbra. Passeggiarono fino ai confini di quel mondo fantastico e quando si accomodarono sull’orizzonte di quell’universo senza vita, Dom rimase esterrefatto.
Alla sua destra, Altea dondolava le gambe dal precipizio senza fine. Il ragazzo si sporse, guardando quella profondità e desiderando di precipitarsi dentro, senza un motivo preciso. Poi rammentò di quella strana visione avuta in precedenza e si voltò verso di lei.
«Perché lo hai fatto?»
«Fatto cosa?»
La sua voce risuonava diversa dalla prima volta che l’aveva vista.
«La festa. Perché ci hai condotti lì?»
Altea sorrise, coinvolgendo anche gli occhi.
«Tutti fanno delle scelte. Io ho fatto la mia.»
Dominic corrugò la fronte. «In base a cosa?»
«Tu e Matt dovete stare insieme.»
Il biondo alzò gli occhi al cielo, confermando a se stesso che sì, stava assolutamente sognando e un incontro con la sua coscienza poteva significare tante cose. Tipo, che si era immaginato tutto; che Matt non aveva avuto la febbre; che quella giovane tanto stravagante non esisteva affatto.
«Questo lo penso anche io, sai. Ma se dici che ognuno fa le proprie scelte… beh, io ho fatto la mia. Mi stai togliendo un diritto.»
Aveva cercato di parlare con un tono scherzoso, ironico, per dimostrarle che non credeva a ciò che gli aveva detto. Invece dalle sue labbra uscirono parole serie e gravi, che mortificarono Altea più di quanto immaginasse.
Si schiarì la voce, alzando il capo.
«Stavo scherzando.» Aggiunse, senza rivolgerle lo sguardo.
«No… hai ragione, ma andava fatto.»
Dominic continuava a guardare in alto, immaginando un cielo azzurro e senza nuvole. Fantasticando una vita in costante contatto con Matt, sghignazzò.
«Giusto per sapere, come staresti agendo?»
«Ti ho spinto verso la strada giusta. I bivi sono terribili, non pensi? Le scelte, per quanto importanti, sono difficili e a volte è meglio mettersi nelle mani di qualcun altro.»
Lentamente, Dom voltò il capo. Altea non lo guardava: lo sguardo era fisso nel vuoto. L’espressione era ferma , quasi statuaria. Quando lei si volse a guardarlo rimasero in silenzio per un po’, uno immerso negli occhi dell’altra.
«Si può sapere chi sei?» Sbottò poi, corrugando la fronte.
Altea gli accarezzò la guancia, con un’espressione materna e dolce.
«Da’ tempo al tempo.»
Il ragazzo scosse il capo. Il caos iniziò a prendere il sopravvento. Si massaggiò le tempie, mugugnando per l’inizio di un mal di testa. Non poteva avere ripensamenti su ciò che aveva deciso poco prima: doveva lasciar perdere tutto, magari allontanarsi anche dal suo migliore amico e stare da solo per un po’. O per sempre. In quel modo faceva un favore ad entrambi.
Strinse il capo tra le mani, tentando di bloccare il dolore che si inoltrava sempre più in profondità.
«Non pensare, Dominic. Non farlo. Ricorda, però, che l’amore è come l’amicizia: non si sceglie. E tu saresti incompleto senza Matt in entrambi i casi.» 
Quando Dom aprì gli occhi, si trovò in piedi di fronte ad Altea.
«È il momento di andare.»
«Cos-»
Non ebbe il tempo di fare nessuna domanda poiché la dea lo spinse indietro, oltre il burrone senza fine. Sgranando gli occhi e spalancando la bocca, il biondo cercò un appiglio qualsiasi, prima di arrendersi alla realtà e lasciarsi cadere nel vuoto.
Più si allontanava, più Altea perdeva la sua lucentezza.
Pallida e senza forza, stramazzò a terra, proprio come lui.

Aprì di scatto gli occhi, saltando dalla sedia e guadandosi intorno alla ricerca di quella strana ragazza. Il mal di testa non l’aveva abbandonato e non sapeva se era colpa del troppo alcool, dell’atmosfera o se semplicemente fosse impazzito.
Brontolando qualche parola senza senso si sistemò, appoggiando i gomiti al bancone e passandosi una mano tra i capelli.
Aveva bisogno di uscire per schiarirsi le idee e per prendere una boccata d’aria, ma i muscoli del suo corpo non avevano intenzione di ubbidire alla richiesta e si accontentò di bere un altro po’. Doveva essere messo davvero molto male per addormentarsi e sognare durante una festa in maschera.
Ah, Matt. Se solo ripensava a quel sorriso imbronciato gli veniva voglia di caricarselo sulle spalle e portarselo via, lontano da tutto e tutti.
Non è male come idea, pensò tra sé. Ma no, non posso.
Il mal di testa iniziò a scemare e lui si voltò alla ricerca del suo migliore amico, trovandolo in compagnia di un paio di ragazzi.
Ce l’avrebbe fatta, si chiese, ad andare avanti senza far trapelare nulla? Senza che l’altro si accorgesse che qualcosa non andava?
«Ah!» esclamò, battendo le mani rumorosamente su bancone. Si alzò stizzito, tirando lo sgabello indietro e facendolo quasi cadere a terra.
Si creava troppi problemi, troppe congetture mentali inutili. Supposizioni dettate dalla semplice insicurezza e paura. Ma in quel preciso momento si rese conto che c’era qualcosa, nella sua mente, che lo muoveva in una direzione diversa dalla sua scelta iniziale. Una decisione che lo spronò ad alzarsi e ad uscire fuori, andare a casa e dormire.
«Che vadano tutti a farsi fottere.»
Borbottò, ignaro del fatto che Matt lo stava seguendo con lo sguardo, attento e preoccupato.
Quando Dom gli passò affianco lo ignorò, perché era stufo, stufo marcio di dare spiegazioni perfino a se stesso su una cosa mai iniziata e di cui, ovviamente, non poteva saperne l’esito.
Anzi, no.
Era meglio non lasciare nulla al caso, di dire chiaro e tondo a Matt che per un po’ era meglio se non si vedevano se non a scuola. E se gli chiedeva il perché?
Bè, perché sì e basta. Nulla da aggiungere.
Quindi si voltò, fermandosi a pochi passi dal moro, ormai era tardi per i ripensamenti; il dato era tratto, il gioco stava per terminare e la sua decisione non era mai stata così tanto definitiva.
Dominic lo guardò torvo e dal canto suo, Matt non voleva abbassare lo sguardo, come se in quel momento lo stesse sfidando a fare qualcosa di stupido, qualcosa di cui si sarebbe pentito.
Prima che potesse muoversi, Dom focalizzò alle spalle dell’amico un palco in fondo alla sala, rimasto all’ombra fino a quel momento. Inclinò il capo, assottigliando lo sguardo per inquadrarlo meglio.
Forse lasciar perdere non era l’opzione giusta.
Quante volte aveva sentito dire di provarci sempre perché, mal che vada, non avrebbe avuto nessun rimpianto? Quante volte aveva detto agli altri che un rimpianto sarebbe sempre stato migliore di un rimorso? In tante, molte, troppe circostanze.
Senza neanche accorgersene si incamminò verso il palcoscenico che sembrava fosse stato allestito solo per lui: vergognosamente piccolo e pericolosamente grande. Non aveva luci puntate addosso, nulla per richiamare la sua attenzione.
“Credici”, gli aveva mimato Altea. Oh, lui ci stava per credere ed era questo il vero problema. Un problema che fino a qualche secondo prima stava scaricando via, lasciando che fosse poi il tempo a guarire il tutto.
Quando localizzò gli occhi di Matt puntati nei suoi, interrogativi e curiosi, parlò e la voce non sembrava nemmeno la sua.

Si rotolò su un fianco, in testa sembrava avesse un martello pneumatico. Con un gemito, alzò una palpebra solo per constatare che il buio lo circondava. Con un altro grugnito si voltò dall’altro lato e vide Matt, seduto addormentato sulla poltrona rossa che aveva in camera. Poteva sembrare sdolcinato, ma sorrise perché in quell’oscurità peggio della mezzanotte, lui brillava. I raggi del sole, scappati da una piccola fessura, si riflettevano sui suoi capelli, su parte del suo volto e del corpo, ponendo la metà completamente esposta al suo sguardo famelico. In più, vederlo russare con la bocca aperta era la cosa più rassicurante al mondo: non aveva dimenticato che solo quarantotto ore prima era inerme e sudaticcio.
Si sporse sul bordo dal letto, per raggiungere l’orlo della maglietta di Matt e strattonarlo. Con un piccolo balzo lui aprì gli occhi e chiuse la bocca, subito imbronciata. Si guardò intorno prima di scrutarlo con intensità.
«Ti sei svegliato.»
«Direi di sì. Ho la netta sensazione che mi hai attaccato qualche microbo.»
Matt aggrottò le sopracciglia.
«Veramente eri ubriaco. Ubriaco fradicio.»
«Io?» Chiese, portando una mano contro al petto.
«Proprio tu. Non ti ricordi della festa di ieri?»
Quando Dom scosse il capo, Matt aggiunse: «Proprio nulla? La mia influenza, Altea, l’invito…»
«La febbre, appunto. Me l’hai attaccata. Mi sento un vero schifo.»
Il moro scosse il capo. «Ti senti così perché ieri hai fatto spettacolo, Dom.» Matt si sporse verso di lui e l’intensità del suo sguardo non cambiò.
Dominic ebbe la sensazione che c’era qualcosa che non quadrava, un tassello mancante del proprio puzzle personale. Liberò la testa da quelle strane e stupide elucubrazioni e si concentrò.
«Non mi ricordo di nessuna Altea. Molto probabilmente è stata una conseguenza della tua influenza.»
«Schifoso impertinente! Come ti permetti di insinuare che non so di cosa parlo? Ieri ti sei ubriacato, sei salito su un palco e hai fatto scena. Scena, Dom. Peggio di Chris vestito di piume rosa e bianche!»
Dom scosse il capo, di nuovo. «Non ricordo proprio nulla.»
Con un sospiro esasperato Matt si alzò, aprì la tenda e dopo la finestra. L’aria fresca si insinuò nella stanza, facendo rabbrividire Dom che si accucciò sotto le coperte, nonostante si sentisse molto accaldato.
«E di Altea?» Continuò il moro, ripetendo quel nome strano.
«Mai sentita nominare.»
«“Hai mai incontrato il tuo destino?”»
«Matthew, che cazzo ti sei fumato?»
Il moro si voltò di scatto, dando le spalle alla finestra e appoggiando le mani sul davanzale di marmo.
«L’invito. L’invito diceva “Hai mai incontrato il tuo destino?” Ci siamo andati per scoprire chi era Altea, che si era presentata alla porta come mia cugina… Ti ha portato una medicina per me e questi due inviti. Ricordi, Dommie?»
Dominic ci stava davvero pensando. Tutto quello che trovava nel suo cervello, oltre all’amore stratosferico che voleva condividere con lui, era solo il vuoto.
«Matt, te lo giuro. Non ricordo nulla.»
L’amico lo raggiunse, sedendosi sul letto accanto a lui.
«Hai urlato davanti a tutti, e credimi eravamo in molti, che ami il tuo migliore amico. Che solo il suo nome, per te, è come musica che ti riscalda, ti eccita, che ti rende felice. Che tutto quello che stavi dicendo non era dettato da un bicchiere di troppo, ma che è da tempo che coltivi questi sentimenti. Avevi deciso di tenere tutto per te ma poi la molla è scattata e, se era destino, tanto di guadagnato, altrimenti amici come prima. Non obbligheresti nessuno a fare cose controvoglia ma che, se lui ha voglia di sperimentare, tu eri lì, a sua disposizione. A farti torturare, ad essere usato. Senza troppe costrizioni. Tu ci sei.»
Dom deglutì. Le immagini della notte appena passata gli scorrevano davanti agli occhi come un film mandato avanti troppo velocemente, parallele alle parole di Matt: la confusione, i pensieri, la convinzione, l’euforia per ciò che stava facendo…
 La vergogna iniziò a prendere il sopravvento. La sua timidezza dove si era nascosta, ieri?
«Sì. Sì l’ho detto.» Sussurrò, con occhi spalancati. Aveva dato di matto, qualche ora prima, e le conseguenze erano tutte da vedere. Aveva deciso di non preoccuparsi, però. Calma piatta e perfetta. Nessun ripensamento; aveva fatto bene a fare quello che aveva fatto, tanto che gli sorrise.
Matt ricambiò il sorriso, scostandogli qualche ciocca di capelli dalla fronte.
«Il mio destino l’ho incontrato, Dommie. Ti sembrerà strano, forse azzardato per la nostra età. Può darsi anche che quello che ti sto per dire ti risuonerà come una frase fatta, ma ieri, vedendoti in quello stato, sotto gli occhi di tutti quegli sconosciuti, di Chris e di Kelly, mi si è stretto il cuore. Non è semplice affetto fraterno. Io… io sinceramente non lo so.»
«Non so neanche io cosa mi è passato per la testa.»
Il moro scosse il capo, costernato poiché non riusciva a farsi capire.
«No, io non so cosa provo per te. Il fatto che questo scoppio di… amore, quello del vero senso della parola, sia esploso così all’improvviso mi fa pensare che forse non è il momento giusto. Ma poi penso anche che non me ne frega niente.»
Dom sbatteva le palpebre, come se un moscerino si fosse conficcato nel suo occhio e non avesse alcuna intenzione di togliersi.
«Vediamo come va. Mal che vada, amici come prima.» Ribadì Matt, riprendendo le parole dette precedentemente dall’amico.
Dom sorrise. Sorrise e annuì.
Impacciati e inesperti, si avvicinarono l’uno all’altro. Matthew deglutì per il nervosismo che gli procurava quella situazione, così bizzarra nel suo già universo tanto singolare. Ma più lo osservava, più vedeva Dom con una luce diversa, una consapevolezza che non credeva neanche di avere. Era come se qualcuno avesse scoperto il suo vaso di Pandora personale, solo che al posto dei “mali” erano uscite certezze che non immaginava di nascondere. Che stupido era stato a non aver aperto prima gli occhi! Il suo sorriso si allargò, mentre prendeva l volto di Dominic tra le mani.
Il biondo pensava di sognare e non aveva alcuna intenzione di svegliarsi. Per esperienza personale, sapeva per certo che sul più bello i suoi occhi si sarebbero spalancati, rigettandolo nella cruda realtà della propria esistenza. Tuttavia, sommerso dalla gioia che sprigionavano gli occhi di Matt, mise da parte tutte le preoccupazioni e si lasciò trasportare dai battiti del suo cuore.
Siglarono quel patto con un bacio a stampo, delicato e tremolante, come un petalo di margherita che stava per staccarsi dalla propria base.
Un bacio puro, come l’oceano d’amore in cui Dom stava annegando felicemente.

Altea pensò di essere all’inferno, cosa che non si addiceva ai suoi canoni divini. Era abituata a scendere in un regno diverso dal suo, ma non credeva di poter sentire davvero tutto. Se come divinità era immune da dolori corporei e, se solo avesse voluto, anche dalle emozioni, in quel momento si trovò immersa in una tempesta emotiva e pregò, pregò davvero tanto per far sì che tutto quello finisse. Capì qual era stata la sua punizione: non morire, non perdere la vita per aver abusato di un potere non suo, né tantomeno vivere isolata, in un luogo eremitico. Le era stato consentito di diventare esattamente ciò che lei ammirava di più. Era un’umana, ma non una qualunque. Alcuni dei poteri che aveva le erano rimasti e, per di più le avevano lasciato i ricordi, così che avrebbe potuto crogiolarsi nel dolore delle reminiscenze, come se il termine “crogiolarsi” usato da Axel potesse essere riferito a qualcosa di negativo.
Alzò gli occhi al cielo, gettando una sfida ai suoi fratelli: se volevano vederla soccombere, avevano sbagliato bersaglio. Gli avvertimenti che le avevano mandato non ottennero la giusta attenzione perché Altea odiava quelle divinità stereotipate. Immaginò che, se a chiederglielo fosse stata Cassass, forse avrebbe potuto fare più attenzione, a non gettarsi in una scommessa con il, guarda caso, destino e ragionare in modo più maturo. Pensando al bene dei suoi pupilli e non a una sua stupida convinzione.
Sorrise. No, non era solo una convinzione. 
Camminando lentamente per non perdere l’equilibrio, constatò che non era poi così difficile distribuire il peso del suo corpo. La prima volta che aveva tentato di rimanere in piedi si era sbilanciata in avanti; la seconda volta era caduta indietro. Avere le sembianze umane di una quindicenne che non sapeva neanche deambulare era frustrante. Così, Altea sperimentò anche quei nuovi sentimenti: frustrazione, ansia, paura, nervosismo…
Aveva già provato emozioni del genere contro suo fratello, ma esse erano cresciute all’ennesima potenza e credeva che la sua anima e il suo corpo non sarebbero riusciti a sopportare quel fardello.
Stringendo i denti si incamminò verso la sua nuova vita. In tutti i sensi.




***

Mi sento in dovere di ringraziare tutte le lettrici silenziose, che siete tante, davvero tante!
Un Wolstenabbraccio generale <3

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Capitolo 3
*** Parte 3 ***


Questa è la terza ed ultima parte. Grazie infinite a chi ha letto e... beh, spero vi piaccia!




Nel corso degli anni il rapporto tra i due ragazzi divenne sempre più forte. Sentimentalmente parlando, si ritenevano quasi una persona sola. A volte, o forse anche fin troppo spesso, avevano rapporti occasionali con donne diverse, ma era d’obbligo dopo un’iniziale serata passata distanti, finire la notte insieme. Anche solo dormire uno accanto all’altro, era un rito a cui non potevano rinunciare.
Dom e Matt non avevano parlato più di quella notte, dell’invito, di Altea  e mai si erano scambiati promesse di amore eterno. Potevano definirsi una coppia aperta, ma entrambi gelosi. Una coppia che non lasciava indietro le proprie e differenti opportunità, perché quello che avevano imparato quando erano ragazzini era che “ciò che è lasciato, è perso”. Ogni opportunità sprecata era confrontabile con una goccia di acqua, caduta nel mare era persa per sempre. 
A Dom quella situazione andava bene perché era molto più di quello che aveva sperato.
Si dondolava sulla sua amaca, rilassandosi ai caldi raggi del sole per dimenticare le fredde giornate di Londra, sorseggiando un drink dal sapore dolciastro e guardando, protetto dai suoi occhiali scuri, Matt che solo due minuti prima aveva deciso di fare una nuotata.
«Già di ritorno?»
Prese il suo telo da bagno e se  lo gettò addosso, come se fosse una coperta di lana.
«Non so il motivo preciso, ma io e il mare non andiamo d’accordo. E neanche il sole sembra essere dalla mia parte.»
Dominic ridacchiò. «Sei tu che non sai prendere le cose nel verso giusto.»
«Dici? Secondo me, invece, mi odiano a prescindere.»
«Ma per piacere!»
«Allora spiegami com’è possibile che appena metto un piede in acqua e, giuro, lo giuro che a stento immergo i fianchi, mi ritrovo la sabbia nel costume! O perché il sole decide di abbrustolirmi, come se fossi una cazzo di aragosta!»
Il biondo scoppiò a ridere, prima di scendere dall’amaca. Posò il bicchiere sul tavolino per stringere il viso del suo ragazzo tra le mani e stampargli un bacio casto.
«Per il sole basta una buona protezione, per te che sei bianco come la neve. Non ci vuole un genio per capirlo.»
Per sottolineare la semplicità di quel gesto, si avvicinò alla sua sacca, prendendo il tubetto di crema.
«Guarda. C’è scritto “protezione alta”. Così continuerai ad avere le sembianze di un merluzzo, piuttosto che di una aragosta.-»
Il grugnito di risposta di Matt continuò a renderlo felice. Effettivamente, pensò che erano state poche le cose a renderlo veramente triste.
Tolto il telo, gli passò la crema sulla schiena, indugiando in basso. Poi gliela passò sulle spalle, delicatamente perché a Matt i gesti bruschi non piacevano, se era lui a riceverli. Lo fece voltare, guardando dall’alto il suo sguardo assorto, quelle labbra leggermente aperte e il corpo non più minuto come una volta. Gli passò la crema sui fianchi, girando l’indice nell’ombelico, cosa che al moro piaceva davvero tanto. Poi toccò al viso. Iniziò dalla fronte, fino ad arrivare al naso. Passò poi agli zigomi, strusciando le dita come se fossero dei cuscinetti morbidi e infine circondò le labbra con quella crema bianca. Gli piaceva senza barba: gli consentiva di osservare meglio i suoi lineamenti, come se fosse la prima volta che li vedeva.
Quando posò la crema, Matt era ancora lì che attendeva, immobile ed in piedi, intento a non muoversi affatto. Dom si chinò, leccandogli le labbra.
Avere una spiaggia privata possedeva i suoi vantaggi, considerò nel momento stesso in cui Matt schiuse le sue labbra e rispondeva ai leggeri baci che gli dava.
«Contro al mare che rimedi mi puoi dare?» Mormorò Matt.
«Fai il bagno nudo e la sabbia sarà l’ultimo dei tuoi pensieri.»


In casa Matt si strofinava i capelli con l’asciugamano mentre Dom si preparava a scegliere cosa indossare quella sera.
«Dom?»
«Mmmh?»
«Sei impegnato?»
«Mmmh.»
La scelta scrupolosa e meticolosa che operava ogni sera per i suoi vestiti era irrinunciabile. Alla fine gli abbinamenti erano sempre quelli, ma lui aveva bisogno di pensare e ragionarci su lo stesso.
«Questa sera esco con una.»
«Ah sì?»
«Sì. Mi andava di dirtelo.»
Decidendo per un pantalone nero e camicia leopardata, si voltò a guardarlo.
«Non è che devi dirmi per forza dove vai e con chi. Pensavo che dopo tutti questi anni fosse chiaro.»
«Mi andava solo di dirtelo e di informarti. Così sai che non devi chiamarmi.»
«Non l’avrei fatto a prescindere.»
«No?»
«No.»
Si guardavano in cagnesco, pronti a sfidarsi e vedere chi la spuntava.  Bastava un nulla per farli scatenare. Quel fattore era una caratteristica fondamentale nella loro unione perché nessuno dei due amava un rapporto tutto rose e fiori. Fatto sta che Dom paragonava Matt ad un fuoco scoppiettante, che mai e poi mai avrebbe potuto spegnersi, e lui doveva essere il carburante che lo alimentava.
«Non ti chiamerò perché anche io avrò da fare.»
«Allora non ci chiameremo a vicenda.»
«Esatto.»
«Amen.»
Vestendosi, il fastidio iniziale cominciò a dissolversi, lasciando spazio alla consapevolezza che lo attanagliava da più di quindici anni.
«Come si chiama?»
«Kate. La tua?»
«Non ricordo.»
Matt rise e scosse il capo.
«Ti dimenticherai anche di me?» Gli chiese alle spalle, abbracciandolo all’altezza della vita e subito dopo appoggiò la testa sulla spalla nuda del biondo.
«Piuttosto andrei a vivere in Groenlandia.»
Matt tirò il viso del compagno verso di sé per baciarlo delicatamente.
«Se torni per primo, non aspettarmi in piedi.»

Dom aveva sopportato tanto: Gaia era un esempio di come la sua pazienza potesse resistere molto, ma davvero molto a lungo. L’italiana era stata un punto fisso nella vita di Matt, nel bene o nel male. Gli anni passati con lei lo avevano migliorato: erano riusciti a far combaciare la vita privata con il lavoro di lui e lo studio di lei, e non rimanevano mai distanti per più di due settimane. Chi ci andava a perdere, del resto, era soltanto Dom, che si era ritrovato spesso solo o in compagnia di donne con le quali non aveva nulla in comune. Ciò che più lo spaventava e lo faceva rimanere sulla difensiva era proprio il non sentirsi male per quello.   Sapeva che Matt lo amava, ma al contempo era anche consapevole che l’amico non riusciva a non avere relazioni con l’altro sesso.
D’altronde, Dominic non considerava né se stesso, né tantomeno Matt gay. Le sue storie, per lo più di breve durata, gli dimostrarono come non fosse immune al fascino femminile. Di sicuro poteva ritenersi più risoluto del compagno: se non voleva avere rapporti, semplicemente si asteneva.
Alla fine, il pantalone nero e la camicia leopardata rimasero dov’erano, mentre lui si recò in boxer verso la sua dolce amaca, compagna di molti pensieri. Una piccola radio, birra e un cuscino era tutto ciò che gli serviva per sentirsi in pace. Quando si sdraiò, si sentì subito meglio.
Matt poteva fare quel che voleva. Chi era lui per impedirlo?
Da quella sera della festa erano passati all’incirca quindici anni e non aveva mai avuto motivo di preoccuparsi tanto, quindi cosa gli stava succedendo?
Dondolandosi con la faccia rivolta verso le stelle, Dominic voleva soltanto piangere. Piangere per la situazione involontaria che si era creata, quel miscuglio di amore e consapevolezza di non possederlo del tutto che lo uccideva ma che, allo stesso tempo, lo rendeva più forte.
Prese un sorso di birra e, con i capelli che ballavano al ritmo della dolce brezza, si lasciò trasportare dai ricordi, assaporandoli uno ad uno. Per ogni immagine che attraversava la sua memoria ridacchiava, si inteneriva, si arrabbiava e sbuffava.
Riaprì le palpebre con un sorriso amaro sulle labbra e una certezza intramontabile: il passato sarebbe stato sempre più sensazionale del presente. Ma fin quando gli restavano i ricordi la sua vita avrebbe continuato ad essere sempre fantastica.

«È incinta.»
Dom rimase impassibile.
«Di chi?»
«Di me.»
Il biondo chiuse gli occhi, sospirando. Quando li riaprì, uno sguardo ammonitivo gli decorava il volto. Matt non l’aveva mai visto in quel modo.
«Lo sai che non può essere vero. Ci sei uscito solo questa sera, no?»
Vedendo che l’altro non rispondeva, il biondo incalzò la domanda. «Giusto, Matt?»
Il compagno scosse il capo, pizzicandosi la punta del naso come era solito fare nei momenti di nervosismo.
«In realtà sono circa due mesi.»
«Che cazzo…»
Dominic non ce la faceva più. Si sentiva come l’ultima ruota del carro. L’ultimo a sapere sempre le cose. L’ultimo ad essere considerato. Come se avesse potuto impedirgli di non farlo. Si accomodò sulla sedia di legno, dando le spalle a Matt, che lo raggiunse subito.
«Oggi mi è venuto in mente di quella volta, quando parlavo di scarafaggi, divinità e ragni. Ti ricordi? La mia paura era di diventare ciò che odiavo di più al mondo. Di te, invece, non avevo la più pallida idea di cosa pensare. Mi dicesti che non ti conoscevo bene.»
Dom ebbe un moto di malinconia e provò a fermarlo prima che potesse rivangare i ricordi, ma inutilmente. Non era la giusta reazione: avrebbe dovuto spaccare tutto, mandarlo a quel paese, rompere definitivamente il loro rapporto amoroso. Ma come farlo?
«Stavi scherzando, lo so. O almeno spero. Però avevi ragione.» Matt aveva uno sguardo serio, come non lo aveva visto mai. Il biondo tremava al solo pensiero di ciò che poteva dirgli.
«L’ho capito tempo fa. La tua anima non può odiare niente. Forse, da oggi, solo me.»
Il biondo sgranò gli occhi, come se qualcuno gli avesse dato un pugno in pieno stomaco.
Bliss.
Ripercorse mentalmente le parole senza cantarle, ma recitandole con intonazione diversa rispetto al normale. Ogni singola frase si congiungeva con un avvenimento accaduto tra di loro o strettamente suo, personale. Nel corso della sua vita fu la seconda volta che le immagini della sua esistenza gli volarono davanti agli occhi, veloci e inafferrabili.
 Matt senza volerlo aveva trovato una risposta al loro amore: checché ne pensasse, il destino era stato generoso e cospicuo con loro, eppure mancava l’ingrediente principale. Semplicemente non erano fatti per stare insieme. I dubbi e i problemi che li affliggevano, le risposte mai trovate, le situazioni vissute per dovere trovarono causa in una sola ed unica persona.
Si erano ritrovati in un universo non loro, basato sull’amore non corrisposto che avrebbe tanto voluto non fosse tale. All’improvviso, la vera consapevolezza di aver sbagliato dall’inizio, di non essersi tirato indietro quando Matt aveva detto di volerci provare, gli si piazzò davanti agli occhi. Aveva logorato per anni l’animo del suo compagno, così come il proprio, ed era arrivato il momento di rimediare e di mettere fine all’intera situazione sacrificando se stesso.
«Non ti conosco affatto Dom.» Continuava il moro, senza guardarlo negli occhi e con un tono che rasentava la malinconia. «Come posso averti fatto questo? Senza neanche accorgermene…» Scosse il capo. «Ora è tardi, per tutto. Kate è incinta e io sono impotente.»
«Matt… non c’è bisogno che continui.» Soffiò Dom, senza pensare. Le parole gli uscirono come un fiume in piena. «A parte Kate e il bambino, era inevitabile che io e te… passassimo momenti di quel genere insieme.»
«Tu credi?»
Dominic annuì. «L’ho sempre saputo e in un certo senso ho sempre sperato che ciò avvenisse.» Gli si avvicinò di più, costringendolo a guardarlo negli occhi. Prese un bel respiro, perché le parole che stava per dire erano ben pensate. Lo scrutò più a fondo, assumendo un’aria convinta e veritiera.
«Io non ti amo, Matt. Quindi non dispiacerti.»
Il cambiamento in Matt fu percepibile: quando lo trafisse con il suo sguardo zaffiro, Dom si sentì morire.
«Credo di non averlo mai fatto, mai. Ho avuto un’infatuazione per te, ma il sentimento non si è mai sviluppato.»
Più rincarava la dose, più aveva voglia di buttarsi in acqua e affondare; legarsi una palla di ferro ad un piede così da non poter tornare più in superficie.
«Perché mi dici questo?» Mormorò il moro, afono e tremante.
«Perché è la verità. Non lo farò mai. Non potrò mai amarti, se non come amico. È… impensabile.»
Matt annuì, scandendo ogni singola parola nel suo cervello. «Okay.»
Quasi spinto dal rimorso, Dom gli portò le mani sulle spalle, per fermarlo prima che se ne andasse.
«Dovevo specificarlo, capisci? Altrimenti ogni giorno mi avresti guardato sempre in quel modo che potrei morirne. Sai quante anime gemelle abbiamo al mondo? Non crederai di certo che per ogni singolo essere umano ce ne sia solo una.»
«Io… veramente sì.» Vacillando, Matthew lo guardò malinconico. Dominic continuò il suo discorso più per se stesso che per il suo compagno.
«Se tu andassi in Africa, troveresti la tua bella Venere Nera. In Asia, invece, la tua bella bambola con gli occhi a mandorla. In Europa hai già sperimentato per lunghi anni cosa significhi avere al proprio fianco una donna sorprendente.»
«Se Gaia fosse stata la donna della mia vita, non pensi che ora … non so, che magari, in questo momento invece di essere qui a discutere con te, starei riscaldando un letto?»
Il gelo che si alzò sorprese entrambi. La loro separazione era un punto di arrivo che non poteva essere ignorato, soprattutto per Matt e per la felicità della sua futura famiglia. Ma lui non capiva. Proprio non percepiva le sue menzogne, il tremolio della voce e gli occhi che vagavano per la stanza, per non soffermarsi troppo su di lui?
A quanto pare il moro era deciso ad offenderlo, e se questo lo portava ad una rottura più veloce e meno dolorosa, allora Dominic lo accettava.
«Credi davvero che io sia fatto per qualcuno? Che sia tu o Kate per me non ha importanza. Non sono come te.»
«Per fortuna!» Esplose Dom, che si era mosso per afferrarlo per i capelli e sbatterlo per l’aria. Ma non lo fece. In realtà avrebbe così tanto voluto disperarsi…
«Già, per fortuna. Essere come te, così dipendente da una persona, sarebbe stato il mio fallimento personale.»
I toni erano tanto calmi da sembrare un discorso normale. Un discorso, ad esempio, su cosa aveva mangiato la sera prima. Invece il cuore di Dom andò in mille pezzi, in modo tanto sonoro da assordarlo. Non riusciva a rispondergli; sentiva la lingua addormentata e la gola ardere per le parole che mai avrebbe detto e le urla che nessuno avrebbe mai sentito.
Prese un bel respiro, prima di guardare Matt negli occhi: non c’era traccia di odio in quei due zaffiri che aveva imparato a conoscere in tutte le loro sfumature. Dominic era certo che il suo ormai ex amante si era pentito di ciò che aveva detto e ciò era testimoniato dal rossore delle sue guance. Non voleva che Matthew si sentisse in colpa, né tantomeno, in imbarazzo.
Finse di controllare l’ora dall’orologio che portava al polso sinistro.
«Beh!» Esclamò, con un sorriso aperto sulle labbra. «Saresti stato fortunato! Il mio fallimento personale arriva tra un po’, se non mi muovo a comprare le scarpe che abbiamo visto l’altro giorno, ricordi?»
Matthew annuì.
«La commessa ha detto che ne arrivano solo due del mio numero e non vorrei rischiare di non trovarle.»
Gli sorrise ancora, facendogli addirittura l’occhiolino.
Dio, si odiava come non mai. Simulare di stare alla grande a colui che lo conosceva meglio di chiunque altro e che, volendo, avrebbe potuto mandarlo a quel paese e dirgli di iscriversi ad una scuola di recitazione.
«Sì, ho capito. Allora… ci vediamo domani per le prove?» domandò l’amico, con un’espressione molto più rilassata. Era così facile per Matt togliersi dai guai, a non pensare a ciò che gli gravitava intorno.
Dom ricambiò con un sorriso sbilenco.
«Certo. Salutami Kate.»
Con un ultimo cenno, Matt lasciò la casa che li aveva ospitati per mesi. Era il momento di tornare alla realtà, di fare le valigie e tornare a casa. Chissà se a Londra avrebbe avuto le giuste distrazioni…
Prima, però, si sarebbe goduto l’ultimo giorno delle sue vacanze estive.

La dea del Destino amava essere un'umana. Non credeva che i suoi simili potessero essere così spaventati da persone che vivevano di emozioni e sentimenti. I ricordi che le erano rimasti della sua Terra erano stati utili: tramite essi, infatti, percepì l'enorme differenza che divideva gli uomini dalle divinità. Aveva imparato, osservando a distanza, che Dom e Matt, così come gli altri umani, camminavano su un filo di sentimenti talmente sottile che avrebbe potuto rompersi da un momento all'altro, per poi farli catapultare sul filo successivo e vivere emozioni completamente differenti.
Altea era affascinata dall'ira, dalla sensibilità, dalla felicità, dall'ottimismo, dalla vivacità e da tutto ciò che poteva contraddistinguere un uomo dall'altro e rendere ognuno di loro talmente interessante che l'unica pecca, per lei, era l’essere mortale e il non avere il tempo di conoscerne tutte le sfumature necessarie. 
In un modo o nell'altro, i ricordi di ciò che era stata erano fissi nella sua mente. Per lei era un bene: le reminiscenze erano fondamentali per le sue ricerche e, in più, con la memoria le era rimasta anche la capacità di prevedere. Aveva quello che gli umani chiamavano “sesto senso”. Essere stato il Destino in persona aveva i suoi vantaggi, del resto.
Si divertiva a nascondersi agli occhi dei due innamorati per tutto il tempo senza l’ausilio dell’invisibilità, di cui possedeva ancora il dono. Ma d’altro canto, la palpitazione di essere scoperta era una sensazione troppo grande per essere rimandata ad un altro momento della sua breve vita.
Matthew e Dominic erano un duo perfetto. Si amavano e lei poteva cogliere l’amore che li univa da lontano. Le vibrazioni che sprigionavano erano energiche, difficili da spezzare. Tuttavia, ciò che non apprezzava in loro due era la poligamia: che motiva c’era di passare del tempo in compagnia di altri?
No, di questo Altea non riusciva a capacitarsene, e diede colpa al suo non essere del tutto umana. Molto probabilmente loro sentivano delle pulsazioni diverse dalle sue. Eppure…
Non riusciva a starsene con le mani in mano e decise di avvicinarsi a Dom, per fargli capire che stavano sbagliando.
Il suo diletto era rilassato sull’amaca, con una bottiglia di birra in una mano, mentre l’altra era messa sotto alla testa a mo’ di cuscino. Dondolava debolmente e i capelli svolazzavano liberi grazie al venticello piacevole in una serata d’estate.
Si avvicinò a lui senza far rumore: teneva gli occhi chiusi e un debole sorriso stampato sul volto. Quando Altea si schiarì la voce, Dominic sobbalzò, voltandosi velocemente con gli occhi sbarrati. Quando la vide, si rilassò osservandola, però, con un cipiglio.
«Bella serata, non è vero?» Chiese la ragazza, avvicinandosi di più e sedendosi sulla sabbia.
Sprofondò le mani nella rena, prendendo una manciata di sabbia: quanti granelli poteva imprigionare in un pugno? Una miriade, si rispose, spostandone uno ad uno e osservandone i diversi colori.
«Come hai fatto ad entrare qui? È una spiaggia privata.»
«Ah, non per me.» Rispose Altea, continuando ad osservare quella meraviglia.
«Io ti conosco.»
«Lo so.»
«Altea.»
Al suo nome, la ragazza si voltò a guardarlo, con un sorriso incerto.  Era da molto, molto tempo che nessuno la chiamava così e risentire di nuovo quel suo appellativo… la faceva rabbrividire.
Notando i suoi brividi, Dom si alzò, prese la coperta che aveva messo come lenzuolo e gliel’appoggiò sulle spalle.
Altea abbassò il capo, sentendosi inadatta a tale attenzioni.
«Non ti ho vista più.» Continuò Dom, sedendosi accanto a lei.
«Non mi sono più fatta vedere, in effetti, ma non vi ho mai persi d’occhio.»
Dominic la scrutò, incurante di essere mezzo nudo. Per lui, quella ragazza era la chiave di molte cose rimaste nascoste e inesplorate. Più la osservava e più era convinto che gli nascondesse qualcosa di serio, di fondamentale.
«Sei piuttosto piccola d’età per essere una nomade.»
Altea ridacchiò, stringendosi di più intorno alla coperta. «Sono più vecchia di quanto immagini.»
«Eppure sembri una ragazzina.»
«Che ci vuoi fare» gli rispose, facendo spallucce. «Chiamala fortuna.»
Rimasero in silenzio: Dom ritornò a guardare le stelle e lei ad osservare lui. Sembrava un circolo vizioso.
«Ti va di parlare?» gli domandò il ragazzo, curioso di sapere. Se mancava qualche tassello nella sua vita tanto complicata, era giunto il momento di trovarlo.
«Perché dovrei?»
«Perché sei qui?»
«Lo fai sempre.» Sbottò Altea, ignorando la sua domanda.
«Cosa?»
«Guardare il cielo. Perché?»
Dom le sorrise. «Dipende dalla situazione.»
Non gli dispiaceva stare al suo gioco: tutto purché lei non sparisse di nuovo.
Si era tramutato in una sorta di Matthew: in quell’istante, sentiva il desiderio incessante di scoprire cosa celasse il viso di quella ragazzina.
«Parla Dominic. Fammi un esempio.»
«Quando Matt mi fa incazzare alzo gli occhi al cielo per non prenderlo a bastonate. Ma in questo caso ha un valore diverso.»
«Cioè?»
«Punto sempre a qualcosa di migliore. Punto sempre a raggiungere il traguardo.»
«E in questa situazione che traguardo vuoi raggiungere?»
Altea non voleva mostrarsi robotica ma per lei ogni sua parola era un’informazione nuova. Rimaneva stregata di fronte al ragazzo, al suo tono calmo e triste, a quella voce profonda e meravigliosamente maschile, e scaricò la colpa ancora una volta alla mancanza di esperienza nel settore umano.
«Assolutamente nessuno.» Le rispose, sorridendo sbilenco.
Che strano modo di fare!
«Ti va di parlare di Matt?»
«No.»
«Perché?»
«La mia mente non resisterebbe di nuovo.»
«A cosa?»
«Alla distruzione.»
Altea allungò le gambe che iniziavano a formicolarle. Guardò di fronte a sé, pesando su una bilancia mentale le parole di Dominic. Era successo qualcosa che le era sfuggito.
«Ti va di parlare di Matt?» Ripeté.
Dom sospirò, annuendo con il capo.
«Sì, ma solo se poi parli tu.»
«Ti ascolto.»
«Io e Matt siamo… cioè, eravamo  una coppia… strana.» Iniziò il biondo, soffermandosi sull’ultima parola. «Tutto è iniziato per caso e non sono neanche veramente convinto se siamo stati un qualcosa. È tutto troppo complicato. Ora come ora ci sono troppe distanze, troppe donne, troppe domande lasciate senza una risposta.»
Lentamente si voltò verso di lei, con la curiosità riflessa nei suoi occhi. Altea immaginava di dover dare una spiegazione, di renderlo partecipe del fatto che era lei la causa della loro rovina. Il fatto che, a quanto pareva, non ricordasse bene il loro vero e primo incontro importante, non facilitava le cose. Nonostante questo, però, era sicura che c’era un modo per rimediare, un modo per permetterli di essere… semplicemente quello che erano.
«È colpa mia.» Sfiatò, mantenendo lo sguardo fisso nel suo. «Quel giorno, quando sono venuta a casa di Matt…» scosse il capo, come se potesse dimenticare l’accaduto. «A mia discolpa posso dire che ero, e sono, motivata da buone intenzioni.»
«Chi sei?» Sussurrò Dominic, incapace di comprendere le cose più semplici. Poco alla volta, si ritrovava risucchiato in un vortice di emozioni e sensazioni non estranee ma che pensava di aver superato quella notte.
«Prima ero la dea del Destino.» Notando che il suo pupillo batteva velocemente le palpebre, continuò. «Pensi davvero che voi umani siate gli unici esseri al mondo?» Altea rise, prima di tornare alla realtà. «Mi dispiace contraddirti.»
Da quel momento il muro invisibile che li separava si ruppe, lasciando che i loro discorsi si alternassero.
 Dom riuscì a sfogarsi: sembrava una cascata, implacabile e veloce. Spazzava via gli anni passati raccontandole dei suoi dolori, delle scelte fatte ma non condivise, della sottomissione a Matthew, per compiacerlo in tutto e per tutto.  Vedeva il suo amore come una redenzione, come la strada giusta per se stesso. Non esistevano paura, timore e nervosismo quando Matt era con lui.
Dominic amava litigare con il moro; amava pazzamente istigarlo… e non solo per mantenere la loro relazione viva. Se avesse cambiato il suo modo di fare, se avesse dato spazio ad altre relazioni durature, lo avrebbe messo da parte e questo proprio non gli andava. Ad un certo punto, non contavano più  le esperienze condivise e facilmente rinnegava, nella sua mente, ciò che pensava più spesso: lui amava Matt, Matt amava lui, ma c’era un oceano a dividerli, sebbene ogni sera, o almeno prima e dopo il rapporto che l’amato condivideva con Gaia, dovevano passarla insieme. Era come un giuramento non detto, una dipendenza che non volevano abbandonare.
Altea si sentiva in difetto. Percepiva lo stomaco attorcigliarsi su se stesso e non sapeva che nome dare a quel tipo di sensazione. La tristezza la invase: sentirsi in colpa era il minimo. Si rendeva conto di aver rovinato due essere viventi; pensava che forse suo fratello e suo cugino avevano ragione; che non tutto è destinato ad essere perfetto. Ma quei due ragazzi, si diceva, erano più di una coppia, più di esseri umani in grado di intendere e di volere: lei li vedeva come un unico individuo, divisi per uno scherzo, guarda caso, del destino. E che male c’era riunire due metà di una stessa mela? Capitava che, tra di esse, un sottile varco poteva trasformarsi in una voragine, in grado di inghiottirle e divorarle. Allora Altea gli rammentò del loro incontro più importante, quello in cui lui si era ritrovato nel suo limbo personale, formato da pareti bianche, cielo bianco e sfondo infinito. Gli aveva ricordato come si erano seduti ai confini del proprio universo e di quelle poche battute scambiate, prima di rigettarlo nella sua vita. E prima che la propria natura divina diventasse… finita.
Nacque uno strano feeling tra di loro. Dominic non la riteneva responsabile di nulla: avrebbe potuto rompere il rapporto con Matt quando voleva, anche dopo che la sua influenza era svanita. Altea, a quelle parole, non si sentiva di certo meglio, ma era un inizio. Gli offrì tutta la sua esistenza; Dominic scoppiò a ridere scuotendo il capo e stringendola in un abbraccio.
«Sapevo a cosa andavo incontro e non me ne pento.» Le sussurrò all’orecchio. «Non sentirti mai in colpa per questo.»
Ad Altea batteva forte il cuore e ricambiò l’abbraccio, circondandolo con la coperta e aderendo di più a lui. Sospirando, chiuse gli occhi: aveva capito il significato dell’essere perdonata.

«Dovevamo fermarla.» Disse Nick, osservando la scena dall’alto. «Non mi piace che una di noi sia circondata da quegli esseri inferiori.»
Con le braccia incrociate al petto, Indra guardò nella stessa direzione del cugino. Avrebbero potuto fermarla con la forza, certo, ma questo andava contro ogni loro logica e legge e non gli andava di violare i principi della loro specie.
«Ha fatto la sua scelta. Noi non potevamo fare altro che consigliarla al meglio.»
Nick fece schioccare la lingua. «Guardala. Essere diventata una materia che tanto apprezzava, ora, come la fa sentire?»
Senza scomporsi, Indra osservò l’intera scena. «Non dovrebbero interessarti i suoi sentimenti. Quelli possiamo lasciarli a loro.»
Il Dio dell’Amore annuì.
«Lasciatela vivere.» Si intromise Cassass, la Dea della Compassione. «Se è felice, perché non dovrebbe portare avanti le sue idee?»
«Primo, perché le emozioni non dovrebbero entrare nel nostro dominio. Ricordo anche a te che siamo degli esseri superiori e faresti meglio a badare a come parli. Secondo, perché le sue idee e le sue scelte hanno sempre portato a situazioni avverse. C’è solo una cosa buona in tutto questo.»
Cassass e Nick si scambiarono un’occhiata interrogativa.
«Che ha abbandonato questo mondo.»

Qualche tempo dopo
Non ricordava che la soffitta era, in realtà, una discarica in piena regola. Scatoloni enormi e polverosi erano impalati uno sopra l’altro per lasciare quanto più spazio possibile al resto delle cianfrusaglie che vivevano abbandonate lì da molto, molto tempo.
Facendosi un po’ di spazio, riuscì a spostare un bel po’ di cose. Il suo obiettivo era nascosto in fondo, ne era certo. Di tutte le scatole appartenenti a Kelly o ai suoi figli, una era riservata a lui. Il suo baule chiuso a chiave era una prova di forza per chiunque. L’aveva trovato anni e anni fa in sconto e nonostante la sua bruttezza si era dimostrato un ottimo complice. Lì aveva riposto ogni regalo fatto a sua moglie o ai suoi figli, ogni sorpresa possibile ed inimmaginabile. Chi avrebbe mai cercato in soffitta e, per di più, nell’angolo più angusto e polveroso? Senza contare che c’era bisogno delle chiavi per aprire quelle robuste serrature di ottone. Chiavi che, logicamente, aveva sempre con sé. E senza contare, oltretutto, che ai suoi figli era negato l’accesso “per paura che possa accadere loro qualcosa di male”, aveva detto sua moglie. Quello era stato il motivo principale per cui si era offerto volontario- anche se non aveva poi molta scelta- per recuperare un testo scolastico che serviva ad Ava, la sua piccola e meravigliosa figlia. Lo studio era importante e lui ci teneva che ognuno di loro possedesse capacità intellettive adatte per la società.
Bugiardo.
In realtà, il suo obiettivo era quello di fare una sorpresa a sua moglie per il loro anniversario e recuperare dal proprio baule quella misteriosa pergamena che li aveva fatti conoscere.
Chissà se Kelly la ricordava ancora…
Grazie alla complicità dei suoi figli stava organizzando una cena romantica per due, a lume di candela. Una serata soli, senza pensieri e, soprattutto, senza uno dei loro sei bambini presenti. Aveva pianificato tutto nei minimi dettagli: ad Alfie e Ava-Jo, i suoi figli più grandi, aspettava il compito di fare la spesa e portare i fratelli da Matt e Dom, che si erano dimostrati più di una volta due zii eccezionali. Soprattutto ora che Matt era padre e che Dom… aveva praticamente in casa una ragazza adolescente a cui badare. I dettagli gli erano ancora nascosti ma contava di scoprirli di lì a poco.
Tra un pensiero e l’altro riuscì ad infilare le chiavi nelle due serrature e ad aprire il baule.
Dio… quanti ricordi. Le sue prime corde usate, le sue prime bacchette, fogli e spartiti che mai aveva utilizzato… Ed eccole lì, le lettere d’amore che aveva scambiato costantemente con Kelly. Erano fogli ingialliti e a tratti macchiati, ma l’emozione che provò nel rivederle fu enorme. Cercò, trovò e afferrò velocemente quella che gli interessava, scartando qualche felpa regalata dai ragazzi e un costume di piume rosa e bianco.
Si accigliò. Cosa diavolo era quell’orrore?
Lo tirò fuori, scrutandolo attentamente. Per un istante pensò che qualcuno avesse potuto violare la sua privacy e inserire quell’obbrobrio nel suo porta-tesori personale.
Imprecando, chiuse la cassa e scese di sotto, dopo aver nascosto il biglietto nella tasta posteriore dei pantaloni.
Chiamò a gran voce sua moglie, cercando una spiegazione per quel capo pieno di polvere.
«Cosa c’è?»
«Sai dirmi perché questo coso era infilato nel mio baule personale?» Le domandò, con uno sguardo corrucciato.
Kelly batté le palpebre più volte, guardando prima quell’ammasso di piume e poi suo marito. Poi ricambiò lo sguardo irritato, puntandogli contro un dito.
«Si può sapere cosa stavi facendo di sopra? Ti avevo chiesto semplicemente di prendere un libro per Ava!»
Preso alla sprovvista, il ragazzo distolse lo sguardo. «Beh… sì, ero solo curioso.»
«Curioso di cosa? Mi sa che dovrò dare un’occhiata a quel tuo baule! Chissà che ricordi fantastici dei tuoi momenti di gioventù hai nascosto, eh? Sappi che se troverò qualcosa che non deve esserci, dormirai sul divano per il resto della tua vita!»
Con questo, sua moglie si scomparve in cucina.
Ricordi fantastici di cosa?, pensò ancora Chris, scuotendo il capo. Poi capì e imprecò contro se stesso. Kelly si riferiva ai suoi giorni passati in tour…
Maledicendo lui e il suo essere avventato, risalì in soffitta, aprì il baule e buttò dentro quello strano vestito. Poi recuperò il libro che in realtà non serviva a sua figlia e scese di sotto.
E pensare che lui era andato lì per cercare di fare qualcosa di buono. Ora, invece, gli toccava fare pace con sua moglie e non nel modo che più gli piaceva.
Bah, il destino era proprio strano.



 

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