Tra i coriandoli e le rose. di WingsOfButterfly (/viewuser.php?uid=253972)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
CAPITOLO 1
Il sole spuntava appena dietro le
punte dei cipressi, quando quel lunedì 14 Settembre Tina
uscì dal pesante portone dell'Abbazia disabitata. Come ogni
mattina, da ormai una settimana, percorse un piccolo vialetto ghiaiato,
fino ad uno spiazzo con una fontanella. Poggiò lo zaino su
un muricciolo che tracciava il limite del chiostro della vecchia chiesa
e riempì una bottiglia.
"Buongiorno" squillò una voce alle sue spalle.
" 'giorno" rispose a mezza voce.
"Ci siamo alzate col piede sbagliato?" ironizzò sempre la
stessa voce, facendosi più vicina.
"Piantala Alessandro, non è giornata" la ragazza rimise lo
zaino in spalla e si avviò lungo il viale di cipressi.
Alessandro, un ragazzone alto più di un metro e ottanta con
i capelli neri a spazzola, gli occhi altrettanto scuri e profondi ed il
mento costantemente sbarbato, ridacchiò e la rincorse,
alzando un po’ di polvere con la punta rinforzata in metallo
delle sue scarpe antinfortunistiche.
"Sei carina quando ti immusonisci" la sgomitò per attirare
la sua attenzione, ma invano.
Tina continuò a camminare con passo svelto e lo sguardo
scuro fisso davanti a sé.
"Avanti, dimmi perché sei così
pensierosa” insistette l’amico, tornando serio.
"Non far finta di nulla, sai benissimo cosa c'è" rispose
quella a mezza voce.
Alessandro si fermò assieme a lei accanto ad una jeep bianca
un po’ malandata. Aspettò che Tina facesse
scattare la chiusura automatica, poi montò velocemente sul
sedile del passeggero.
"E' per l'incontro con l'avvocato, vero?" disse appena dentro, voltando
il viso verso di lei. La fissò in silenzio per qualche
momento, scrutando il piccolo cruccio che le arricciava le labbra e
qualche piega sulla fronte.
"E' solo il secondo lunedì di scavo e già abbiamo
problemi" borbottò Tina mettendo in moto e partendo
“Ci ho messo l’anima a pianificare questa
campagna”
"Lo so"
"In più ho intenzione di usare la documentazione per la mia
tesi di dottorato. Quindi non posso proprio permettere che un
contadinotto qualunque blocchi gli scavi, perché non ha dove
altro portare a pascolare le sue pecore!"
La gomma anteriore sinistra perse aderenza per qualche attimo sfiorando
la strada sterrata di fianco la carreggiata.
"Tieni gli occhi sulla strada, per cortesia!" la riprese Alessandro
balzando sul sedile "So benissimo cosa significa questo scavo per te,
visto che, se ti sforzi di ricordare, troverai che c'ero anch'io a
passare le notti in bianco insieme a te per programmare tutto e trovare
i fondi"
"Hai ragione, scusa" le spalle della ragazza si rilassarono leggermente
e la tensione nelle braccia diminuì, favorendo una guida
più fluida e soprattutto più sicura.
“Vedrai che andrà tutto bene”
tentò di rassicurarla il ragazzo, poggiandole una mano sulla
spalla.
“Sai quando dovremmo incontrare
l’avvocato?” chiese Tina con gli occhi fissi sulla
strada tutta curve, per non uscire fuori carreggiata.
“Carlo ha detto che sarebbe passato oggi pomeriggio in
Abbazia e l’avrebbe portato con sé”
La ragazza accolse quella spiegazione con un semplice cenno affermativo
del capo.
Trascorsero il resto del viaggio in silenzio, fin quando arrivarono a
destinazione sul promontorio del sito archeologico. Bisognava lasciare
la strada principale ad un certo punto e percorrere una serie di
terreni accidentati attraverso una fitta boscaglia, addirittura un
piccolo ruscello che per fortuna, vista la siccità del
periodo, non era in piena ma era ridotto solo ad un rivolo
d’acqua facilmente sorpassabile con un passo lungo. Tina
avrebbe potuto tentare di arrivare fin su con la jeep, Carlo Giometti,
il loro direttore scientifico, riusciva ad inerpicare facilmente la sua
4X4 nuova di zecca fino alla collinetta su cui stavano lavorando. Ma la
jeep di Tina non era altrettanto nuova, tantomeno lei era
così pratica di guida su terreni sconnessi, quindi preferiva
lasciarla a metà strada in una radura, assieme alla macchine
degli altri ragazzi. Quel lunedì però non poteva,
poiché il primo giorno della settimana era quello in cui si
portavano su le provviste per i successivi giorni di lavoro. Boccioni
d’acqua, pacchi di pasta, cassette di frutta, piatti e
bicchieri di plastica ed altre vettovaglie simili. La jeep
spuntò con un fastidioso ronzio, che sottolineava lo sforzo
del motore, e si fermò in una piccola spianata di terreno
proprio accanto ad una delle aree di scavo limitate da alcuni picchetti
in metallo.
"Salve ragazzi" Alessandro scese per primo, salutando il resto della
squadra che sonnecchiava ancora, disordinatamente seduta sul terreno o
su qualche masso.
"Siamo già dieci minuti in ritardo, a lavoro!" un attimo
dopo comparve anche Tina, che batté le mani come per
richiamare la loro attenzione “Datemi una mano a svuotare la
jeep, e poi tutti nelle proprie aree”
Un’ ordinata fila indiana di ragazzi trasportò il
contenuto dalla’auto ad una baracca poco distante. Era una di
quelle costruzioni prefabbricate, che si possono acquistare in un
qualsiasi centro commerciale che abbia un reparto dedicato alla
falegnameria, di quelle che si usano come deposito per gli attrezzi.
Loro l’avevano affettuosamente soprannominata baracca e la
usavano come ufficio e magazzino. Accanto ad essa avevano creato una
tettoia con alcune lamiere di ferro rette da pali di legno conficcati
nel terreno. Al di sotto c’erano due lunghe tavole
rettangolari molto rudimentali, con altrettante improvvisate panche,
che al momento erano occupate dagli zaini e le felpe dei ragazzi,
assieme ad altro materiale poggiato lì in attesa di essere
usato durante quella giornata di lavoro.
Terminata quella operazione, Tina richiamò a sé i
ragazzi della sua area e si inerpicò su un altro piccolo
sentiero fino ad arrivare su un terrazzo naturale dal quale spuntava
solo un muretto di mattoni in un mare di terreno grigio e polveroso.
"Anna, stamattina vorrei che finissi di pulire quel crollo, e per
favore metti in evidenza le pietre"
Una ragazza abbastanza minuta, con grandi occhi castani nascosti dietro
ad un paio di anonimi occhiali, annuì silenziosa e raggiunse
il posto che le era stato indicato.
"Federica tu ti dedicherai a quella fossa, vorrei capire se
è semplicemente una buca di palo oppure una specie di fossa
granaria per le provviste"
Un' altra ragazza, stavolta bionda e alta, raccolse secchio e paletta e
si mise a sua volta a lavoro.
"Stefano, te invece ti vorrei qui con me, devi aiutarmi a togliere
questo strato di humus che credo sia abbastanza spesso"
gettò uno sguardo al ragazzo alla sua sinistra, uno di quei
tipi alternativi con capelli lunghi, barbetta e piercing "Credo che
dovremmo usare il piccone, faremo prima"
Detto questo, tirò su le maniche di una vecchia maglia con
una stampa sbiadita, che aveva riciclato come indumento da lavoro,
legò i suoi lunghi e mossi capelli castani in una coda ed
infilò dei guanti da lavoro. Dal pantalone largo, pieno di
tasche e con qualche macchia di terreno umido sulle ginocchia,
cacciò la sua trowel ,che poggiò sul muretto, e
col piccone cominciò a smuovere il terreno.
La prima parte della giornata passò così tra il
rumore di pale, picconi, carriole e secchi. Durante la pausa di
metà mattina l'aria fu piuttosto tesa, visto che nessuno
capiva il motivo per cui una delle responsabili d'aria fosse di
così pessimo umore. La risposta arrivò poco prima
di pranzo.
Tina aveva affidato la sua area di scavo a Stefano, il più
grande ed esperto dei suoi tre collaboratori ed era discesa in baracca
per aiutare i ragazzi che avevano il turno cucina a preparare tutto
l'occorrente. Con il capo chino, nascosto dietro una pila di piatti e
bicchieri di plastica si scontrò con qualcosa.
"Ma che accidenti ..."
"Mi scusi"
Una donna dall'aspetto molto compito tentava di mantenersi in piedi su
dei vertiginosi tacchi a spillo che sprofondavano nel terreno
dissestato, reggendo nella mano sinistra una ventiquattrore marrone.
"Ah, questa è bella! Hanno organizzato una sfilata di Gucci
nel suggestivo panorama della campagna toscana oppure lei ha
evidentemente perso la via della città?"
Tina sfiorò un’ultima volta, con i suoi caldi
occhi castani leggermente socchiusi, il tailleur blu scuro con un
generoso spacco sulla coscia sinistra, poi si voltò per
tornare alle sua faccende.
"Veramente io dovrei..."
"Guardi, io non so lei chi sia e come ci sia arrivata qui, ma non ho
proprio tempo da perdere” la liquidò Tina,
continuando a camminare.
"Se mi avesse dato il tempo di parlare, le avrei spiegato chi sono e
cosa voglio. Immagino che questa collaborazione sarà
più difficile del previsto, date le premesse”
La voce della sconosciuta si fece improvvisamente sicura e perentoria,
tanto che Tina fu costretta a fermarsi e voltarsi nuovamente verso di
lei.
"Chi è lei?" chiese, cominciando ad immaginare di chi si
potesse trattare e sentendosi una cretina alla sola idea di averle
risposto in maniera tanto sgarbata.
"Avvocato Giulia Dardi, sono stata contattata dal professor Giometti,
il responsabile di questa campagna di scavo" dopo aver trovato
equilibrio sulle scarpe, l'avvocato appariva molto più
tranquilla e sicura di sé.
Tina l'ascoltò in silenzio, sgranò un
po’ gli occhi quando capì che la sua supposizione
era stata giusta e spostò nervosamente il peso da un piede
all’altro. Si prese qualche istante per osservare la donna
davanti a sé. Era alta, con quei tacchi la superava di
diversi centimetri, tanto che doveva tenere il mento leggermente alzato
per poterla guardare negli occhi. Il suo sguardo era pacifico, gli
occhi verdi leggermente socchiusi, ma non duri, probabilmente
concentrati. I capelli lisci scuri, che le sfioravano il collo per poi
accarezzarle le spalle fino a metà schiena, mossi da un
leggero venticello, Tina notò che con i riflessi del sole
sembravano rossi, quasi mogano.
"Dovrei incontrare il signor Corelli" proseguì Giulia,
tossicchiando per richiamare l’attenzione
dell’archeologa.
"Certo, mi segua" Tina scosse la testa sbattendo le palpebre e si
voltò celermente riprendendo a camminare a passo svelto,
scansando pietre e rami.
"E' piuttosto impervio qui"
"E' uno scavo archeologico, cosa si aspettava di trovare? Noi viviamo
fra la terra e le rocce quando lavoriamo"
Tina si voltò per assicurarsi che l'avvocato la seguisse e
notò che, sebbene a fatica e traballando, era riuscita a
starle dietro. Arrivata alla baracca aprì la porta e si fece
da parte per cederle il passo.
"Aspetti qui, Alessandro arriverà a minuti" le
assicurò gentile ma distaccata, ancora in imbarazzo per la
figuraccia di poco prima. Poggiò ciò che reggeva
su uno scaffale in un angolo e si avviò all'uscita.
"Non mi ha ancora detto con chi ho avuto il piacere di parlare" la voce
pacata di Giulia la bloccò sulla soglia, una mano che teneva
la porta aperta e un piede già all'esterno.
“Tina Basile" si presentò e le spalle si
rilassarono leggermente.
L'avvocato la guardò annuendo semplicemente, soddisfatta di
quella risposta e lei uscì.
All'esterno si scontrò subito con Christian, uno dei ragazzi
di Alessandro.
"Ehi, puoi dire ad Ale che c'è qui l'avvocato che chiede di
lui?"
"Quale avvocato?"
"Tu digli così e basta, per favore"
Christian rimase perplesso, tuttavia annuì e si
allontanò.
Pochi minuti più tardi da dietro una collinetta spuntarono
due figure. Mentre si avvicinavano Tina riconobbe Alessandro e il
professor Giometti. Aveva tutta l’aspetto di un professore
universitario, aveva pensato la ragazza più di una volta,
eppure non aveva quell’aria tronfia da pallone gonfiato che
spesso avevano i baroni. Era alto quasi quanto Alessandro, ma
decisamente più corpulento. Aveva i capelli castani con due
striature bianche sulle tempie e portava spesso un velo di barba sul
mento, mentre nascondeva gli occhi piccoli e stretti dietro un paio di
occhiali dalla montatura semplice e leggera.
"Salve Tina"
"Carlo, mi fa piacere vederti"
"Ti ringrazio, fa piacere anche a me" il professore le
arrivò di fronte insieme ad Alessandro e le sorrise
accondiscendente.
“Ti aspettavamo per il pomeriggio”
insinuò Tina, rivolgendogli uno sguardo interrogativo.
“Ah sì, giusto. Beh, l’avvocato mi ha
chiesto di poter spostare l’appuntamento in mattinata e,
siccome io avevo anche alcune cose da sbrigare nel pomeriggio, ho
accettato volentieri” spiegò l’uomo
accarezzandosi il mento velato da un sottile strato di barba brizzolata.
“L’avvocato dov’è?”
domandò a quel punto Alessandro, guardandosi distrattamente
attorno.
“L’ho fatta accomodare in baracca” Tina
indicò con il pollice la struttura alle proprie spalle.
“Fatta? E’ una donna? Ci sarà da
divertirsi, allora” ironizzò Alessandro ammiccando
comicamente.
Carlo gli posò una mano sulla spalla, come a voler sedare il
suo entusiasmo.
“Ecco, appunto di questo volevo parlarvi”
spostò lo sguardo serio tra i due ragazzi “Cerca
di tenere le mani a posto, almeno con il nostro avvocato,
Alessandro” lo riprese subito, con un accento divertito nella
voce, che stemperò il rimprovero “Vorrei che vi
interfacciaste insieme con l’avvocato, mi piacerebbe
conoscere anche il parere di Tina in tutta questa faccenda”
“Non ti fidi di me, eh? Guarda che non sono solo un
Dongiovanni, so fare anche la persona seria”
obiettò il ragazzo, senza alcun risentimento, anzi con aria
giocosa.
“Non è che non mi fidi di te …
semplicemente mi fido più di Tina” il professore
gli strizzò l’occhio facendogli capire che stava
semplicemente stando al suo gioco.
“Bene, io non ho alcun problema” approvò
la ragazza con un’alzata di spalle, alla fine di quello
scambio di battute.
“Nessun problema nemmeno per me”
assicurò Alessandro mettendo le mani in tasca con
tranquillità.
“Perfetto, allora vi lascio alle vostre questioni.
Provvederete voi a riportare l'avvocato alla sua auto, vero? Le ho
fatto lasciare la sua utilitaria nella radura, la mia jeep è
molto più adatta per arrivare fin qui"
Carlo non aspettò la risposta di nessuno dei suoi due
sottoposti, si aggiustò gli occhiali sul naso e si
avviò verso la sua auto.
"Perché vuole che assista anch'io a questa riunione? Sei tu
il capocantiere" bisbigliò Tina con la fronte corrugata in
un’espressione titubante.
"L'hai detto tu che questo è il tuo progetto, Tina. Io sono
il capocantiere solo ufficialmente, perché tu non avevi
l'esperienza necessaria per questo ruolo, è normale che
Carlo ti voglia partecipe, in più l’ha detto anche
lui, che si fida più di te che di me" concluse Alessandro
ridacchiando.
Lei alzò le spalle con aria non del tutto convinta ed
aprì nuovamente la porta della baracca per entrare.
"Avvocato Giulia Dardi, questo è il responsabile dello scavo
Alessandro Corelli. Il professor Giometti ha chiesto che assistessi
anche io a questa riunione, spero non le dispiaccia" proferì
Tina in aria estremamente formale, mentre spostava un secchio colmo di
sacchetti di ceramica numerata da una sedia polverosa e sedeva di
fronte all'avvocato.
Alessandro tolse alcuni resti di ossa da una tavola di legno poggiata
su due mattoni e sedette lì.
"Non c'è alcun problema, ma se non vi spiace vorrei
cominciare, ho degli altri appuntamenti nel pomeriggio. Signor Corelli,
lieta di conoscerla" Giulia parlò osservando i movimenti dei
due archeologi e l'interno della baracca che le pareva estremamente
strano, infine il suo sguardo si posò sul capocantiere.
"Alessandro va bene, dimmi cosa posso fare per liberarti il prima
possibile" lui passò disinvoltamente a darle del tu,
sorridendo in maniera amichevole.
Tina gli lanciò un’occhiata obliqua con un
sopracciglio alzato, ma non commentò.
"Dunque, avrei bisogno di tutti i permessi della sovrintendenza,
dell'università e la liberatoria firmata dal signor Prisco
per effettuare ricerche sul suo terreno, in più dovrei fare
un giro in tutta l'area di scavo per capire meglio la questione dei
confini" elencò l’avvocato in tono estremamente
professionale, leggendo degli appunti da un'agenda.
"Per quanto riguarda i permessi qui abbiamo solo delle fotocopie, gli
originali sono in dipartimento nel mio studio, potrei farteli avere in
settimana" Alessandro si grattò il mento come faceva sempre
quando era intento a riflettere per risolvere un problema "Diciamo per
venerdì prossimo?"
"Se non riesci prima, venerdì va bene" Giulia
continuò a tenere gli occhi incollati alla sua agenda e
scrisse qualcosa.
"Per quanto riguarda il giro dell'area di scavo potete farlo anche
subito, Tina sarà felice di accompagnarti" Alessandro si
alzò sorridendo e tendendo una mano all'avvocato "Io
purtroppo ho delle questioni da sbrigare, ma spero di rivederti presto"
Tina lo osservò con le sopracciglia aggrottate ed
un'espressione perplessa, faticava a capire il comportamento del suo
amico. Prima sembrava volerci provare con l’avvocato,
ignorando completamente le raccomandazioni che Carlo gli aveva fatto
pochi minuti prima, poi si lasciava sfuggire un’occasione per
restare da solo con lei.
Giulia non parve accorgersi di nulla di tutto ciò. Si
alzò a sua volta e strinse la mano di Alessandro con aria
compita. Dopo che il ragazzo fu uscito, si voltò verso Tina
osservandola con la sua aria pacifica.
"Spero di non farle perdere troppo tempo" pronunciò sempre
in maniera estremamente formale e distaccata.
"L'area di scavo non è poi così grande. Venga, le
faccio strada" Tina si alzò ed uscì nuovamente
alla luce calda del sole.
"Da quanto scavate qui esattamente?" Giulia tentava di evitare i sassi
troppo sporgenti e stare al passo con lei affannando leggermente.
"Questo è il secondo lunedì. Attenta a quella
radice, lì"
Tina non ebbe il tempo di finire di avvertirla che il tacco si era
impigliato e Giulia aveva perso l'equilibrio. L’archeologa
riuscì ad afferrarla per un gomito e contemporaneamente
tentò di tirarla su per l'altra mano.
"Non sono le scarpe più adatte per camminare su un'area di
scavo" commentò ironica.
"Grazie" si limitò a rispondere l’avvocato,
stringendo un po' di più la sua mano per rimettersi in piedi.
Sentendo quella stretta, Tina abbassò lo sguardo sulle loro
mani. Quella di Giulia, perfettamente curata con la pelle liscia e le
unghie curate e laccate di rosso, la sua abbastanza ruvida, con qualche
callo da lavoro e le unghie corte. In quel momento se ne
vergognò e la ritirò bruscamente dalla stretta
dell'avvocato.
"Non devo esserle molto simpatica, vero?" interdetta, Giulia la
osservò tentando di capire qualcosa in più di
quella ragazza che le pareva così sfuggente.
Tina mise le mani in tasca e riprese a camminare, stavolta
più lentamente e scegliendo percorsi meno accidentati.
"Si sbaglia, non è lei il problema"
"E qual è allora, se posso permettermi?"
"Credo che tutto questo sia ridicolo, insomma è chiaro che
non abbiamo infranto alcun punto dell'accordo. Il signor Prisco sapeva
benissimo che alle operazioni di sopralluogo sarebbe seguito uno scavo
vero e proprio" Tina teneva gli occhi fissi al terreno, le spalle curve
ed il viso corrucciato.
"Se non ho capito male questo lo avevate ben chiarito a voce, ma nel
contratto il punto in questione è trattato un po’
superficialmente. Accennate soltanto alla possibilità di
condurre una vera e propria campagna di scavo, nel caso in cui i
sopralluoghi avessero dato risultati estremamente interessanti. Non
è così?" Giulia la osservava di profilo, tenendo
il suo passo e standole a fianco, con aria estremamente professionale.
“Chill sta facenn o’ sciem pe nun ghì a
uerr” borbottò a mezza voce l’archeologa.
“Prego?” Giulia la osservò confusa,
chiedendole con lo sguardo di chiarire quell’affermazione.
Tina si accorse di aver parlato in dialetto e sorrise arrossendo
leggermente e scuotendo la testa.
“Mi scusi, è un detto napoletano, significa:
quello lì fa la parte dello scemo per non andare in guerra.
Quando sono nervosa mi viene spontaneo parlare in dialetto”
“Capisco, beh era carino comunque … non avevo mai
sentito il napoletano fino ad ora” Giulia sorrise a sua
volta, sciogliendo un po’ della fredda formalità
in cui si erano entrambe rinchiuse.
“Quindi lei crede che Prisco abbia firmato di proposito quel
contratto sapendo che un punto non era specificato bene per poi potersi
appellare a quello e chiedervi dei risarcimenti”
continuò l’avvocato, tornata seria.
Tina si fermò accanto ad un picchetto metallico che
delimitava una parte dell’area di scavo, incrociò
le braccia al petto e percorse con lo sguardo le colline del
circondario fino a posare gli occhi sul viso concentrato di Giulia.
“Purtroppo non ne ho le prove, ma ne sono convinta”
“Se crede che possa essere così, delle prove non
deve preoccuparsene, è compito mio trovarle e convincere il
giudice a ritenerle valide”
Tina la osservò attentamente e non le parve più
tanto austera, infatti le sorrise.
"Grazie"
"Prego. E visto che abbiamo appurato che il problema non sono io, che
ne dici se ci dessimo del tu?" propose Giulia in tono più
leggiadro e amichevole.
"Certo, perché no. Guarda, siamo arrivate. Questo
è il punto dello scavo più indagato finora,
è solo una settimana ma si vede qualcosa" Tina le
mostrò alcuni ragazzi, che lavoravano in un canale alto
più o meno trenta centimetri.
"Di cosa si tratta?"
"Crediamo sia la strada che porta al castello"
"Avete un castello?"
Giulia si voltò di scatto a guardarla, con una strana aria
stupefatta e a tratti anche entusiasta.
"A dire il vero non lo abbiamo ancora, ma supponiamo ci sia. Per il
momento abbiamo messo in luce solo un ambiente quadrato" Tina appariva
più rilassata e serena, parlare del suo lavoro le faceva
spesso questo effetto.
"Mi piacerebbe vederlo, se non ti scoccia"
"Certo che no! E' nella mia area, vieni, da questa parte"
Tina ricominciò a camminare spedita sul terreno sconnesso,
tuttavia gettava sempre uno sguardo alle proprie spalle per assicurarsi
che Giulia ci fosse.
"Attenta qui, c'è un dislivello" si fermò dopo
aver saltato un gradino di almeno mezzo metro e guardò in su
verso l’avvocato.
"Non credo di riuscire a scendere"
"Ma dai, non è difficile"
"Non lo sarebbe se avessi le scarpe da ginnastica, e nemmeno sarei
sicura di farcela" Giulia si corrucciò in una piccola
smorfia di disappunto e fece spallucce con aria impotente.
Tina sorrise scuotendo la testa con aria bonaria.
"Facciamo così, tu salta e io ti prendo" propose con molta
praticità.
"Potresti farmi cadere"
"Dovrai fidarti"
Giulia la guardò negli occhi e capì che non
scherzava, si fissarono per qualche secondo poi Tina tese entrambe le
mani verso l'alto e lei le afferrò. Quando Giulia
saltò non atterrò bruscamente come aveva pensato,
perché un braccio dell’archeologa era corso
attorno alla sua vita e ne aveva rallentato la caduta. La gonna e la
giacca si erano leggermente scomposte, così si
scostò piano da lei e cercò di darsi una
sistemata.
Tina si schiarì la voce.
"Ecco, questa è la mia area e quello lì
è l'unico ambiente che abbiamo scavato finora" si
grattò la nuca, mentre parlava e teneva lo sguardo fisso
davanti a sé sulle poche rovine già in luce.
"Cos'è quel buco lì su quel lato?" Giulia le si
affiancò per osservare meglio, le loro spalle quasi si
sfioravano.
"Potrebbe essere un focolare, se così fosse, quella potrebbe
essere l'aula di rappresentanza del castello" si voltò un
istante verso di lei ed osservò di sfuggita il suo viso
concentrato "In altre parole, la sala del trono"
"E' affascinante"
"Sì, lo è davvero"
Passarono ancora qualche attimo ad osservare quell'ambiente, poi Tina
l'accompagnò a terminare il giro dello scavo che comprendeva
altre tre aree, mostrandole i limiti di scavo e i confini
dell’area che avevano deciso di indagare per quella campagna.
Infine, si ritrovarono davanti alla sua jeep.
"Sali, ti do un passaggio fino alla tua auto"
"Non ce n'è bisogno, posso arrivarci a piedi"
"Mi sa che a piedi per oggi hai fatto già abbastanza.
Avanti, sali" Tina ridacchiò, mentre sedeva sul sedile del
guidatore.
Giulia si arrese e a sua volta salì in jeep prendendo posto
sul sedile del passeggero.
Tina mise in moto e partì, poi gettò un'occhiata
di sbieco accanto a sé.
"Spero che i tuoi appuntamenti del pomeriggio siano meno movimentati di
questo"
"In fin dei conti non è stato affatto sgradevole, anzi"
Giulia sorrise ricambiando la sua occhiata.
"Sono contenta che ti sia piaciuto" tagliò corto Tina,
tornando a concentrarsi sulla strada.
Arrivarono alla fine del sentiero che discendeva dalla collina e al di
là di una radura era visibile un’utilitaria blu
scuro un po’ isolata dal resto delle macchine.
“Quella lì è la tua auto?”
chiese Tina, deviando il suo tragitto proprio verso quel punto.
Giulia annuì.
Poco dopo la jeep si fermava sul ciglio della strada, la ragazza spense
il motore e si voltò appena verso il sedile del passeggero.
“Beh, la gita è terminata” si strinse
nelle spalle e restò in attesa che l’altra dicesse
o facesse qualcosa.
Giulia la osservò per qualche istante, poi aprì
la porta e si sporse per uscire dall’alto abitacolo della
jeep, non potendo evitare che la gonna le si alzasse appena quando
spiccò un piccolo salto.
Tina seguì con attenzione il suo movimento, poi distolse lo
sguardo puntandolo sul contachilometri.
Giulia richiuse la portiera e si affacciò al finestrino
mezzo abbassato.
“A presto, Tina”
“Ciao”
L’archeologa si voltò solo quando fu sicura che
lei fosse ormai di spalle, diretta verso la sua auto e la
osservò salire a bordo, mettere in moto e partire. Quindi,
fece un lungo respiro e partì a sua volta per ritornare
sullo scavo, al suo lavoro.
Più tardi, nella sala multimediale dell’Abbazia,
che per quei tre mesi di scavo sarebbe stata la loro casa, Tina stava
lavorando al computer. Concentrata com’era a scrivere il
diario di scavo non si accorse di una presenza alle sue spalle.
“Ciao bellissima”
“Dio! Emanuele!” Tina sobbalzò sulla
sedia perdendo il controllo anche delle dita, che scrissero una serie
infinita di “e” ed “m” sullo
schermo. Si girò di sfuggita per osservare il ragazzo, che
ridacchiando si mise con il viso appoggiato sulla sua spalla destra e
la bocca vicino al suo orecchio, dove aveva urlato poco prima il suo
saluto. Aveva i capelli biondicci e disordinati, lunghi abbastanza da
sfiorargli le spalle e coprirgli in parte gli occhi, che erano di un
azzurro un po’ torbido e con una costante sfumatura giocosa
ad animarli.
“Sono venuto a portarti i rilevamenti di oggi, ho pensato che
potevano servirti” spiegò lui tranquillamente
appollaiato su di lei.
“Hai fatto bene, grazie. Lasciali pure qui, appena ho finito
con il diario li inserisco in archivio” Tina voltò
nuovamente il viso in avanti e parlò senza staccare gli
occhi dallo schermo, cancellando tutte quelle lettere inutili e
riprendendo il filo del suo scritto.
“E poi, volevo chiederti anche un’altra
cosa” continuò Emanuele, allungando le braccia
oltre lo schienale della sedia e poggiando le mani sulla scrivania ai
lati dei fianchi di Tina.
“Mm” assentì quella con il capo, ancora
concentrata a picchiettare i tasti del computer.
“Sigaretta insieme dopo cena?”
“Uhm, ok. Ora però lasciami finire qui e spostati
che mi togli l’aria” staccò un attimo
gli occhi dallo schermo per incontrare quelli di lui ad un centimetro
dal proprio viso e con sguardo scettico lo invitò a
distanziarsi.
L’altro rise e si rimise dritto, le scompigliò i
capelli e, prima che lei potesse tirargli dietro qualcosa,
uscì di corsa dalla sala.
Immersa com’era in quel mare di misure, rilevamenti e dati
statistici, Tina sentì appena il suono della campana che
annunciava la cena. Si stiracchiò, facendo scricchiolare la
schiena e le dita poi si alzò e raggiunse gli altri in
cucina.
Le due tavolate erano già apparecchiate, una era
già piena, all’altra sedevano solo Alessandro ed
Emanuele, per il momento. Tina prese posto accanto ad Alessandro a capo
tavola e quindi di fronte ad Emanuele, poi un po’ alla volta
anche quel tavolo si riempì di altri responsabili di aria e
studenti e il chiacchiericcio coinvolse pian piano tutti.
“Vino?” chiese ad un certo punto Emanuele,
avvicinando la bottiglia al bicchiere di Tina.
“No no, lo sai che non bevo” lei sporse una mano a
fermare il collo della bottiglia che già si stava piegando.
“Sì, lo so, ma pensavo che per una sera potessi
fare un’eccezione” insistette il ragazzo,
ammiccando.
“Sei così insicuro del tuo fascino da doverti
affidare al vino?” intervenne Alessandro.
“Coglione!” lo apostrofò Emanuele,
tirandogli un calcio.
L’altro si limitò a ridere tornando ad occuparsi
della sua costoletta di agnello.
“Non mi piace proprio il vino rosso” concluse Tina,
con un sorriso di scuse verso Emanuele.
Quello alzò le spalle e infine abbassò il braccio
posando nuovamente la bottiglia sul tavolo.
“Hai parlato con Giometti?” chiese la ragazza al
capocantiere.
“Ah sì, ha chiamato poco prima di cena. Voleva
sapere com’è andato l’incontro con
l’avvocato” spiegò Alessandro.
“Perché sono sempre l’ultimo a sapere le
cose su questo scavo? Oggi è venuto
l’avvocato?” si lamentò Emanuele,
improvvisamente disinteressato alla mela che stava mangiando e
spostando lo sguardo tra i due colleghi.
“Sì, l’avvocato Giulia Dardi”
spiegò Tina, pulendosi le mani “Sembra in gamba,
credo che farà un buon lavoro”
“Un’avvocatessa” commentò
Emanuele, sorridendo sornione “Sì, ci si potrebbe
fare davvero un buon lavoro”.
Tina alzò gli occhi al cielo, Alessandro diede uno
scappellotto all’amico.
“Toglietelo dalla testa”
l’apostrofò.
“Sì, toglitelo dalla testa” gli fece eco
la ragazza.
“Gelosa?” indagò Emanuele, strizzando
l’occhio.
“No, semplicemente è già stata puntata
da Alessandro, quindi è tutto fiato sprecato. Tempo due
settimane al massimo e la bella avvocatessa cadrà ai piedi
del bell’archeologo”
Il capocantiere gonfiò il petto e gettò uno
sguardo di superiorità al collega.
L’altro alzò le spalle e tornò ad
occuparsi della sua mela dandole un grosso morso.
“Poco male, l’avvocatessa sarebbe stata solo un
passatempo. E’ altro che mi interessa sul serio”
non a caso il suo sguardo si fermò su Tina, la quale fece
finta di non cogliere l’allusione e si rivolse ad un collega
per chiedergli di alcune fosse che aveva trovato quella mattina.
Finita la cena i ragazzi si alzarono rapidamente, alcuni corsero in
sala multimediale per concedersi qualche ora di svago collegandosi ad
internet, altri avevano il turno pulizie ed erano costretti a fare
avanti e indietro fra la cucina ed il lavatoio con pile di piatti e
bicchieri tra le mani, altri semplicemente si chiusero in stanza a
chiacchierare.
Tina raggiunse la sua celletta singola, un privilegio
dell’essere responsabili di area, indossò una
felpa, prese il pacchetto di Camel, poggiato sulla scrivania che
fungeva da comodino, armadio, sedia e tavolo, ed uscì.
Accanto alle scale trovò Emanuele ad aspettarla.
“Pronta?”
“Mm-mm”
Scesero insieme ed uscirono dal grosso portone di legno.
Camminarono in silenzio per qualche minuto, seguiti solo dal rumore dei
loro passi sulla ghiaia.
“Questo posto è incantevole di sera”
commentò Tina, facendo lampeggiare l’accendino e
aspirando una prima boccata di fumo.
“Non ti piace granché il casino, vero?”
Emanuele la imitò, sbuffando poco dopo una densa nuvola di
fumo attorno a loro.
La ragazza si poggiò con il bacino ad un muretto e con il
viso rivolto verso l’enorme scheletro scoperchiato
dell’Abbazia. Alcuni faretti posti in punti strategici
rendevano la costruzione simile ad un’apparizione notturna
nel buio più completo della campagna toscana.
“Sono un tipo piuttosto solitario, in effetti”
ammise, facendo ardere nuovamente la cenere della sigaretta.
“Io invece da solo non ci riesco a stare” con la
sigaretta stretta tra le labbra, Emanuele usò le mani per
darsi uno slancio e salire a cavalcioni sul muretto, con le gambe
penzoloni ad ognuno dei due lati. Tina guardava l’Abbazia e
lui guardava lei, di profilo avvolta tra le spire del fumo che lei
stessa espirava.
“E’ per questo che al compleanno di Alessandro ti
trovai nascosto in un angolo del pub circondato da tre ragazze
… cercavi di combattere la solitudine?” Tina
incurvò le labbra in un sorrisetto irriverente continuando a
guardare di fronte a sé.
Emanuele scoppiò a ridere dandole uno spintone scherzoso.
“Metti sempre tutto sul piano sessuale”
l’accusò.
“Solo quando si parla di te” lo rimbeccò
lei, ridacchiando.
Lui fece ancora un tiro alla sigaretta, continuando a sorridere.
“Non è di quella solitudine che ho paura. Una
ragazza per appagare i miei appetiti sessuali la posso sempre trovare.
Qualcuno con cui condividere il mio mondo, beh …
è più difficile”
Si fece serio e riflessivo, mentre gettava la sigaretta diventata ormai
un mozzicone.
Tina lo ascoltò, mantenendo sempre la stessa posizione. Solo
gli occhi si mossero, verso l’alto a fissare il cielo
stellato.
“Tina”
Emanuele si mosse appena, avvicinandosi con il viso al suo. Lei rimase
immobile, gli occhi al cielo, le labbra strette e la sigaretta che si
consumava da sola tra le dita.
Il ragazzo azzardò ancora una mossa, strofinando il naso
contro la sua guancia e lasciandole un rapido bacio sulla mandibola.
Fu allora che, con movimenti calmi ma decisi, Tina scostò i
fianchi dal muretto e si rimise dritta, gettò la sigaretta
spegnendola con la suola delle scarpe, infine si voltò verso
Emanuele.
“E’ meglio rientrare, si è fatto
tardi” gli poggiò una mano sulla spalla e si
sporse verso di lui per dargli un amichevole bacio sulla guancia.
Quindi, mise le mani in tasca e s’incamminò verso
il caseggiato adiacente all’Abbazia.
*********************************************************************
Solo poche parole, dopo questo primo capitolo piuttosto
corposo. Questa storia la stavo pubblicando un paio di anni fa, poi per
questioni personali la sospesi e decisi di cancellarla dal sito. Oggi
la ripubblico perché nonostante tutto mi piace molto,
sebbene sia molto distante dal mio modo attuale di scrivere, per questo
ho deciso di non rimaneggiarla, altrimenti finirei per
snaturarla...invece credo che sia perfetta così
com'è, con lo spirito che avevo quando la scrissi.
Spero vi abbia lasciato qualcosa....bella o brutta poco importa,
l'importante è che abbia suscitato qualcosa. Se vi va,
fatemi sapere cosa :)
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
CAPITOLO 2
Due giorni dopo la visita dell’avvocato, Tina ed Alessandro
arrivarono sul cantiere prima di tutti gli altri. Quel
mercoledì infatti, aspettavano la ruspa che avrebbe dovuto
aiutarli ad aprire una nuova area di scavo.
I due ragazzi arrivarono a piedi sulla collinetta, Tina si teneva la
mano sinistra sotto le costole, dove una lieve fitta intermittente le
spezzava il fiato. Alessandro, molto più disinvolto
dell’amica, raggiunse rapidamente la baracca per poggiare
marsupio e I-Pad al suo interno.
“Questa … dannata … salita mi
… ucciderà, prima o poi”
annaspò Tina, lasciandosi cadere pesantemente su una delle
panche sotto la tettoia, accanto alla baracca.
Alessandro uscì all’esterno ridacchiando, avendo
sentito la lamentela della ragazza. Le si avvicinò e si
inginocchiò davanti a lei.
“Le sigarette ti uccideranno, prima o poi”
puntualizzò ironico, scompigliandole i capelli.
Tina grugnì qualcosa d’indistinto, mentre si
liberava dello zaino e si alzava per seguire l’altro, che si
avviò verso un piccolo terrapieno coperto ancora da erbacce
e sottobosco.
“Ieri sera hai avvertito Marco che stamattina avremmo aperto
l’area che affideremo a lui?” gli
domandò la ragazza, arrivando alle sue spalle e fermandosi
come lui ad osservare quel punto che sarebbe appartenuto al bosco
circostante ancora per poco.
“Sì, certo. Ha detto che avrebbe fatto il
possibile per arrivare in tempo, prima della ruspa”
assicurò Alessandro, mentre spostava qualche ramo secco e si
sedeva su un tronco divelto.
“Il possibile per arrivare in tempo?!”
ripeté Tina, piuttosto seccata “Tu sei ancora
sicuro che sia una buona idea fare di Marco un responsabile
d’area?”
Alessandro la guardò un attimo negli occhi con aria seria,
poi fece spallucce e cominciò a giocare distrattamente con
dei sassolini.
“Carlo ha detto che avrebbe fatto un buon lavoro. Lui
è il capo, lo sai” fu la sua risposta neutrale.
Tina scosse la testa con disappunto, ma non ebbe il tempo di replicare,
poiché dal ripido sentiero che conduceva sul promontorio si
sentì il rombo di un motore.
La ruspa arrivò alle otto in punto, come erano rimasti
d’accordo con il tecnico che l’avrebbe guidata. Di
Marco, invece, nemmeno l’ombra. Gli altri ragazzi arrivarono
alle nove, come sempre, e cominciarono subito a lavorare, sotto la
supervisione di Emanuele. Tina ed Alessandro diressero i lavori della
ruspa. La ragazza si ritrovò più di una volta a
lanciare occhiate truci al sentiero che saliva da valle, sperando di
veder spuntare la figura di Marco, ma niente. Dopo un po’
chiese ad uno dei ragazzi se per caso quella mattina
l’avessero visto in Abbazia, se avesse fatto colazione con
loro, ma quello rispose che, quando loro erano usciti, la porta della
sua stanza era ancora chiusa. Erano ormai le undici passate, quando
finalmente Tina lo vide arrivare. La ragazza toccò un gomito
ad Alessandro e gli indicò con un’occhiata Marco
che avanzava verso di loro.
“Vacci piano” le raccomandò
l’amico, avendo colto nel suo sguardo una scintilla non
proprio pacifica.
“Buongiorno” salutò Marco, avvicinandosi
ai due con aria tranquilla. I soliti ricci castani, portati abbastanza
lunghi da ricadergli davanti agli occhi azzurri, che quella mattina
erano chiaramente velati di sonno.
“Sono le undici” lo accolse la voce fredda di Tina.
“Sì, lo so. Ieri sono andato a Siena a bere una
birra con degli amici e sono tornato in Abbazia che erano quasi le
quattro. Non sono proprio riuscito ad alzarmi prima” si
giustificò lui, facendo spallucce e trattenendo a stento uno
sbadiglio.
“Beh, la prossima volta a Siena vacci nel fine settimana,
quando sai che il giorno dopo non hai da lavorare” lo riprese
imperterrita l’altra.
Marco si concesse qualche secondo per osservarla. Erano quasi della
stessa altezza, quindi nessuno dei due poteva sfruttare qualche
centimetro in più per imporsi fisicamente
sull’altro. Il ragazzo alzò un sopracciglio con
aria infastidita, ma ingoiò la risposta poco carina che gli
stava salendo alla gola, solo perché dietro le spalle di
Tina vide Alessandro girarsi verso di loro ed osservarli.
“Adesso sono qui, comunque. Volete spiegarmi la situazione o
preferite continuare a guardarmi come se fossimo alle elementari e io
avessi appena rubato la merenda al mio compagno di banco?” li
sfidò entrambi, senza alcuna remora, incrociando le braccia
al petto con aria impenitente.
Tina aprì immediatamente la bocca, mandando lampi dagli
occhi, ma Alessandro le mise una mano sulla spalla e strinse la presa
tanto da costringerla a tacere.
“Cerchiamo di essere tutti più collaborativi e
puntuali, da oggi in poi” propose il capocantiere, con voce
pacata e atteggiamento diplomatico. Fissò Marco negli occhi,
attendendo chiaramente una risposta.
Quello ricambiò con aria seria l’occhiata, infine
prese un profondo respiro ed annuì.
“D’accordo” concesse, nascondendo una
certa riluttanza dietro una finta accondiscendenza.
“Bene” approvò Alessandro, senza troppa
enfasi “Adesso seguimi, ti mostro l’area che
abbiamo aperto”
Tina rimase a guardarli da lontano, mentre parlottavano tra di loro.
Marco non le era mai piaciuto, fin da quando l’aveva
incrociato per la prima volta nei corridoi
dell’Università. Aveva quell’aria
tronfia e saccente che la irritava a morte, tuttavia decise di
concedergli una possibilità. Magari Carlo aveva ragione,
pensò la ragazza, forse Marco era davvero bravo per quanto
era irritante ed, in quel caso, ingoiare qualche boccone amaro sarebbe
stato un valido prezzo da pagare per il bene della campagna.
Durante il pranzo Alessandro e Marco continuarono a discorrere delle
strategie di scavo che avrebbero dovuto adottare per quella nuova area.
Tina, invece, seduta accanto ad Emanuele mangiava in silenzio con lo
sguardo un po’ vacuo e la mente persa chissà dove.
“A che pensi, principessa?” la voce di Emanuele la
riscosse improvvisamente dai suoi pensieri.
“A nulla in particolare” gli rispose con voce
neutra, lanciandogli un sorriso fuggevole.
Emanuele alzò un sopracciglio con aria non del tutto
convinta e strisciò un po’ sulla panca di legno
verso di lei, in modo da poterle parlare quasi all’orecchio.
“Ti conosco, Tina. Quella è
l’espressione di quando sei persa in un mondo tutto
tuo” insinuò con aria saccente.
“Presuntuoso” lo riprese lei, facendo una smorfia
buffa “Pensavo alla causa” ammise poi con un
pesante sospiro.
Emanuele allargò appena gli occhi con aria ora consapevole.
Si fece pensieroso per qualche istante, poi le sorrise con disinvoltura.
“Andrà bene” le assicurò,
prima di assumere un’espressione vagamente maliziosa
“Se vuoi posso distrarti io da questi cupi pensieri”
“Scemo!” lo rimbeccò Tina, dandogli un
piccolo pugno su una spalla, mentre tratteneva a stento un sorriso
divertito.
“Raccontandoti dei progressi che fa mio nipote, cammina
già da solo, sai. Che avevi capito!” si difese,
fingendosi ferito dalla sua insinuazione.
Tina lo osservò con un cipiglio a metà tra il
divertito e lo scettico, le labbra strette nello sforzo di non
scoppiare e ridere.
“Sì, certo, raccontala a chi ci crede”
“Dico sul serio!”
“Tu non hai un nipote, Emanuele”
“E tu che ne sai?”
“Sei figlio unico”
Emanuele fissò Tina per un lungo istante, con aria
lievemente corrucciata. Tina gli restituì uno sguardo
vittorioso, mentre inevitabilmente le sue labbra si incurvavano verso
l’alto in un sorriso soddisfatto. Dopo un attimo,
cominciarono entrambi a ridere scuotendo vigorosamente le spalle.
“Grazie” proruppe d’improvviso Tina,
tornando seria e guardando l’amico negli occhi.
Emanuele corrugò la fronte in un’espressione
interrogativa.
“Riesci sempre a trovare un modo per farmi tornare il
sorriso” gli spiegò lei, mentre piegava la testa
sulla sua spalle e si stringeva al suo braccio.
Emanuele prese un profondo respiro ed abbassò il mento sui
suoi capelli, mentre con la mano libera le accarezzava gentilmente una
guancia.
“Quando vuoi, principessa. Lo sai che io sono sempre
qui” le assicurò con voce bassa e tranquilla.
Il resto della settimana trascorse abbastanza tranquillo e senza grossi
imprevisti. Sullo scavo i lavori procedettero bene, i ragazzi si
impegnarono ed i responsabili erano fiduciosi che presto si sarebbero
cominciati a vedere i primi risultati importanti. L’atmosfera
fu distesa e cameratesca anche al di fuori dell’orario di
lavoro, il gruppo cominciò ad affiatarsi ed era piacevole
restare a chiacchierare fino a notte fonda davanti ad un buon bicchiere
di vino, salvo poi tornare ad essere archeologi attenti, capaci e
puntuali il mattino successivo. Sull’attenzione e la
puntualità Alessandro non transigeva, non faceva sconti
neanche ai suoi colleghi e amici, compresa Tina.
Il venerdì mattina, infatti, si era assicurato che la sua
collega fosse ben sveglia e concentrata prima di affidarle
completamente le redini dello scavo. Dopo mille raccomandazioni, lui
prese la sua auto ed imboccò la strada opposta a quella del
suo gruppo per dirigersi a Siena. Quella stessa mattina alle undici
aveva appuntamento con l’avvocato Giulia Dardi per
consegnarle tutti i documenti che lei gli aveva chiesto. Dopo una
settimana intensa di scavo, indossare una polo pulita senza macchie o
strappi, dei jeans senza tasconi ed un paio di scarpe senza la punta
rinforzata in metallo era davvero strano. Sorrise tra sé a
quel pensiero. Erano talmente immersi nel loro lavoro che a volte si
dimenticavano che prima di essere archeologi erano persone, uomini e
donne. Anche Tina era così, appassionata e concentrata, era
questo uno dei fili che la univano ad Alessandro, il loro amore per
l’archeologia.
Alessandro ebbe giusto il tempo di passare in facoltà a
recuperare tutte quelle scartoffie prima di raggiungere
l’ufficio di Giulia, appena fuori dal centro della cittadina.
La segretaria lo annunciò immediatamente ed egli
poté così entrare senza alcuna infinita attesa.
“Buongiorno, prego accomodati” l’avvocato
lasciò la sua poltrona e fece il giro della scrivania per
stringere la mano ad Alessandro ed invitarlo a sedersi su una delle due
sedie accanto a loro.
“Grazie. Spero di non essere troppo in ritardo, ho voluto
assicurarmi che tutto fosse in ordine mentre non
c’ero” si giustificò lui, sedendosi ed
accavallando le gambe con fare tranquillo.
Giulia tornò a sedersi a sua volta, lisciandosi le pieghe
della gonna tubino nera abbinata ad una giacca dello stesso colore ed
una camicia bianca.
“Non preoccuparti, qualche minuto di ritardo non è
la fine del mondo” gli sorrise cordiale “Hai paura
che i tuoi ragazzi possano fare danni senza la tua guida?”
“Li ho affidati a Tina, che è ufficialmente il
comandante in seconda, quindi sono certo che tutto andrà per
il meglio, ma sai com’è, un avvertimento in
più non fa mai male”
Si sorrisero, creando un’aria amichevole e distesa, rara da
trovare in uno studio legale.
“Tina mi sembra molto preparata e votata alla causa, sono
certa che andrà tutto bene” constatò
Giulia, con un’espressione mite che rese il suo viso disteso
e la sua postura disinvolta.
Alessandro annuì convinto, grattandosi una guancia velata da
un sottilissimo strato di barba nera.
“E’ tutto merito suo se questa campagna
è potuta partire, si è interessata lei di tutti
gli aspetti, da quelli logistici a quelli economici. Lo scavo non
potrebbe essere in mani migliori”
La donna assottigliò lo sguardo per qualche istante, poi le
piccole rughe che aveva sulla fronte si distesero e si
poggiò tranquillamente allo schienale della sua poltrona.
“Bene, tornando a noi. Hai i documenti di cui avevo
bisogno?” la sua voce si fece leggermente più
profonda, nel suo consueto tono professionale.
“Oh sì, certo. Ho qui tutto quello che mi avevi
chiesto” Alessandro si sporse sulla scrivania per passarle un
plico.
“Ottimo” approvò Giulia, cominciando a
sfogliare le carte.
“Intanto ho già una buona notizia, ho ottenuto dal
giudice che possiate continuare a scavare nel frattempo che il processo
è in corso e finché non verrà provata
una vostra eventuale colpevolezza” annunciò lei,
con gli occhi sempre immersi tra i documenti.
“Perfetto!” gioì Alessandro
“Questo Tina deve proprio saperlo, era così tesa
stamattina sapendo che sarei dovuto venire da te. Ti spiace se la
chiamo un attimo?”
Giulia alzò gli occhi fissando il volto sorridente di
Alessandro e scosse il capo con aria bonaria.
“Certo che no, fai pure” così dicendo si
immerse nuovamente nella lettura di quegli atti.
Alessandro compose velocemente il numero della sua collega e dovette
attendere diversi squilli perché rispondesse.
“Pronto”
Prima di rispondere, il ragazzo premette un tasto e mise in
modalità altoparlante, così quando Tina
parlò nuovamente anche Giulia poté sentirla e
sobbalzò per la sorpresa. Alzò uno sguardo
confuso su Alessandro, che le fece un occhiolino complice.
“Ale, se hai chiamato per controllare che ancora nessuno
abbia un piccone ficcato in testa o una trowel in una costola, beh
… no, non è ancora successo” proruppe
proprio la voce dell’archeologa.
L’amico sorrise, scuotendo la testa con aria divertita.
“Ciao Tina, in effetti avevo chiamato per darti una buona
notizia” si bloccò per accrescere volutamente
l’attesa. Tuttavia le parole che Tina pronunciò
subito dopo non erano quelle che lui si era aspettato.
“Emanuè, si te pigl, vir che te cumbin!”
si sentì qualche rumore e delle risate.
Allo stesso tempo, sentendo Tina parlare nuovamente in dialetto anche
Giulia non riuscì a trattenere una risata. Lasciò
perdere i documenti che stava leggendo, abbandonando la cartellina
sulla scrivania, e poggiò i gomiti sul piano reggendosi il
mento sui pugni chiusi, rimanendo a fissare il cellulare con aria
divertita.
“Tina, tutto bene?” chiese Alessandro unendo le
sopracciglia con aria scettica.
“Quel cretino di Emanuele, mi aveva legato i piedi con il
filo a piombo e io gli ho tirato dietro un secchio. Ma ti giuro che
stiamo lavorando, li sto tenendo in riga, sul serio, è solo
che lui, lo sai com’è fatto…”
parlò così velocemente che alcune parole non si
capirono, e quel piccolo difetto di pronuncia che aveva con le esse
rese tutto il suo discorso decisamente sibilante e comico.
Giulia e Alessandro risero, guardandosi negli occhi ilari.
“Ale … ma dove sei? Sento delle
voci…”
“Sono nello studio di Giulia e tu sei in viva voce”
“Porca put … ehm, ciao Giulia, come stai? Scusa
per lo spettacolino a cui hai dovuto assistere”
cercò di rimediare Tina leggermente in imbarazzo, per poi
aggiungere a denti stretti “Ale, potevi pure dirmelo che
stavo in viva voce!”
Ma lui non rispose, fu l’avvocato a prendere la parola al
posto suo. Si avvicinò al telefono, poggiato al centro della
sua scrivania, e lo guardò come se vedesse davanti a
sé la sua interlocutrice, con un piccolo sorriso sornione ad
incurvarle le labbra.
“Ciao Tina, è un piacere sentirti e non
preoccuparti, è sempre divertente sentirti parlare in
dialetto”
“Bel tentativo, Giulia, ma tanto lo so che ho fatto una
pessima figura. Ad ogni modo, avete parlato di una buona notizia,
magari riesco a dimenticarmi di questo spiacevole intermezzo”
Giulia guardò un’ultima volta il cellulare, poi
tornò a poggiarsi allo schienale della poltrona rigirandosi
una penna tra le dita, mentre con un chiaro gesto della mano cedeva ad
Alessandro il compito di dare a Tina la buona notizia.
Il ragazzo alzò un angolo della bocca verso
l’avvocato con aria complice, poi prese un lungo respiro
prima di parlare.
“Dunque, Giulia ha parlato con il giudice e ha ottenuto che
lo scavo continui finché il tribunale non ci
giudicherà colpevoli, fino a quel momento possiamo andare
avanti con la campagna”
Dal telefono si sentì silenzio, intervallato ogni tanto da
un rumore metallico, picconate immaginò Alessandro.
“Giulia ci sei?” chiese Tina con voce un
po’ fievole.
L’avvocato restò per un istante perplessa, poi
nuovamente si avvicinò all’apparecchio sulla
scrivania e lo fissò con la fronte leggermente corrucciata
ed espressione incerta.
“Sono qui”
“Grazie, di cuore”
Un sorriso spontaneo incurvò le labbra di Giulia,
fissò il cellulare con un cipiglio davvero intenso, poi si
riscosse scuotendo la testa e rimettendosi dritta.
“Di niente” alzò lo sguardo,
ricordandosi in quel momento che davanti a lei c’era
Alessandro ed incontrò i suoi occhi altrettanto sorridenti.
“Bene, e adesso che hai recitato la parte della diplomatica
vai pure a sfogare la tua gioia spicconando tutto quello che ti capita
sottomano” intervenne lui sogghignando.
“Ale!” lo riprese la voce indignata di Tina.
“So che vuoi farlo” insistette lui.
Silenzio.
“Si, è vero!” dal cellulare si diffuse
una sonora risata, allegra e piena.
“Allora io vado, ciao ragazzi e grazie ancora”
I due ricambiarono il suo saluto, ma capirono che lei non li avrebbe
sentiti, perché prima che la chiamata terminasse si
sentì: “Stefano, molla quel piccone. Adesso tocca
a me!”
Giulia guardò Alessandro con gli occhi sgranati e
un’aria a metà tra il divertito ed il confuso.
“E’ matta” confermò lui, prima
che lei potesse dire anche una sola parola.
L’avvocato aprì bocca per dire qualcosa, ma poi un
lampo passò nel suo sguardo e decise di non dar voce ai
propri pensieri.
“Tutto bene?” indagò Alessandro.
“Certo”
“Uhm, vista l’ora che ne diresti di pranzare
assieme?” propose lui con aria vaga, alzando le spalle con
tranquillità.
“Ehm, io …”
“Solo per ringraziarti di questa piccola vittoria, sono certo
che se Tina fosse qui, la penserebbe come me e non sopporterebbe un tuo
rifiuto” puntualizzò, sfoggiando un sorriso
complice.
“Ma Tina non c’è” gli fece
notare lei, con un sorriso altrettanto sfacciato.
Alessandro voltò il capo a destra e a sinistra con aria
sorpresa.
“Ops, è vero. Beh, vorrà dire che in
questo caso dovrai accontentarti di me e nemmeno io sopporterei un tuo
rifiuto” incrociò le braccia al petto ed
inarcò un sopracciglio in attesa.
“D’accordo, se la metti così”
cedette Giulia con un sospiro.
Alessandro sorrise trionfante e si alzò per avviarsi alla
porta ed aprirla per poi aspettare che lei passasse e seguirla.
Camminarono affiancati nel tiepido sole settembrino, discorrendo di
futilità, fino ad una tavola calda poco distante dallo
studio di Giulia.
Dopo aver trovato un tavolo libero ed aver ordinato, si ritrovarono in
silenzio ad osservarsi.
Giulia, curiosa di sapere cosa avesse in mente l’altro,
aspettava che fosse Alessandro ad introdurre un argomento. Lui, invece,
completamente a proprio agio, osservava il viso della donna con un
sorriso enigmatico sul volto.
“Allora, piace molto anche a te il lavoro che fai,
vero?” le chiese all’improvviso.
Giulia fece un piccolo respiro, riprendendo il controllo della
situazione e tornando calma come sempre.
“Sì, è vero. E’ sempre stato
così, fin da piccola non ricordo di aver mai voluto fare
altro”
“Segui una tradizione di famiglia?” Alessandro
poggiò i gomiti sul tavolo e sporse il busto verso il
centro, come per creare un’atmosfera più intima.
“Oh no, no. Mio padre è un viticoltore, possiede
un bel po’ di vigne vicino Montepulciano. Mia madre
è sempre stata una donna di casa e mio fratello è
un programmatore informatico”
“Famiglia interessante” commentò
Alessandro, interrompendosi un attimo per bere un sorso
d’acqua.
“Devo ammettere che sono sempre stato portato a vedere gli
avvocati come una categoria che si tramandi il cinismo di generazione
in generazione” riprese lui, fissandola intensamente negli
occhi “Mai avrei creduto che tra le sue fila nascondesse
anche donne raffinate ed affascinanti”
“Beh, il mio ideale di archeologo è sempre stato
Indiana Jones, ma … non vedo la tua frusta”
Giulia resse il suo sguardo senza battere ciglio, solo le labbra si
incurvarono in un sorriso di sfida.
“Touché” ammise Alessandro, abbandonando
quella posizione racchiusa e poggiando finalmente la schiena alla sedia
“Hai ragione, i luoghi comuni non sono mai
attendibili”
Quello scambio di opinioni e frecciatine venne interrotto dal
cameriere, che portò loro le ordinazioni. Trascorsero il
resto del pranzo a chiacchierare tranquillamente di argomenti
più che neutrali ed Alessandro non tentò
più alcun tipo di approccio. Tuttavia, si offrì
di pagare il pranzo e s’impose di fronte alle rimostranze di
Giulia.
“Beh, allora ti ringrazio per il pranzo, è stato
divertente” commentò l’avvocato, uscendo
nuovamente in strada.
“Figurati, è stato un piacere” lui la
raggiunse e l’affiancò.
“Sì, anche per me, solo che ora devo proprio
scappare” ammise lei, guardando l’orologio con una
certa ansia “La mia pausa pranzo finiva dieci minuti
fa”
“Sì, certo. Anch’io ho delle commissioni
da fare” concordò Alessandro, che poi si
affrettò ad aggiungere “Pensavo che potresti darmi
il tuo numero di telefono … sai, se dovessero esserci
problemi o novità sulla causa” il sorriso
malandrino che gli illuminò il viso diceva che la causa era
veramente l’ultimo dei motivi a cui stava pensando, ma Giulia
si trovò a sorridere della scioltezza con cui lui non si
facesse sfuggire occasione per provarci.
“Tieni” estrasse dalla borsa un bigliettino e
glielo porse “Il mio biglietto da visita, ci sono tutti i
miei numeri”
“Grazie” lui le si avvicinò, passandole
un braccio dietro la schiena con il palmo aperto per tirarla
leggermente verso di sé e si abbassò per
salutarla con un bacio sulla guancia.
“A presto, Alessandro” l’avvocato scosse
il capo divertita dalla sua intraprendenza e lo salutò con
la mano prima di voltarsi e ritornare al suo ufficio.
*******************************************************
Una piccola, ma doverosa, nota: di diritto penale, giurisprudenza e
quant'altro ne so davvero poco, quindi tutto quello che c'è
in questa storia è una mia invenzione funzionale solo ai
fini della trama. Ne so molto di più di archeologia, ma
credo che questo si sia capito ormai xD
Sono riuscita a mischiare un po' le carte in tavola con questo
capitolo? :D
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
CAPITOLO 3
Il secondo fine settimana di scavo l’atmosfera fu
molto più distesa rispetto al precedente. Ormai tutti erano
a conoscenza dei problemi legali che stava attraversando la campagna e
tutti furono più che lieti di apprendere la buona notizia
che Alessandro portò con sé al ritorno da Siena,
dopo l’appuntamento con l’avvocato. Quello stesso
venerdì sera i ragazzi organizzarono una specie di festa a
cui inaspettatamente partecipò anche Tina, incapace di
trattenere il buon umore. L’alcool cominciò ben
presto a scorrere a fiumi, tra vino, birra e liquori. Dalle casse di un
computer in sala multimediale rimbombava per tutta l’Abbazia
una playlist a metà tra il rock e il pop, che contribuiva ad
animare la banda di archeologi.
D’improvviso, lungo il corridoio si sentirono delle urla e
delle risate, alcuni ragazzi si affacciarono dalla cucina, altri dalla
sala computer e videro Emanuele correre con una bottiglia di plastica
vuota in mano e alle sue spalle ad inseguirlo Tina con i capelli e la
maglia bagnati.
“Fermati!” urlò brandendo una ciabatta
presa chissà dove.
“Prendimi, se ci riesci” ridendo lui
entrò a razzo in cucina e mise tra sé e la
ragazza il lungo tavolo dove di solito cenavano.
“Guarda che hai fatto, cretino. Mi hai bagnato il
pigiama” protestò lei, indicando la maglia
completamente zuppa.
L’altro rise a crepapelle, abbastanza sbronzo da non capire
che l’ira della ragazza era seria e non scherzosa.
“Dormi nuda, allora. A me non dispiacerebbe” colta
però la scintilla tutt’altro che ilare negli occhi
dell’altra, si affrettò a riprendere la sua fuga,
correndo fuori da una porta secondaria, sul corridoio opposto.
Tina lo seguì di slancio e una volta fuori lo vide correre
nella direzione in cui c’era Alessandro, con una bottiglia di
sambuca in mano.
“Fermalo! Ale, fermalo!”
Alessandro reagì appena in tempo ed afferrò il
fuggitivo per una spalla.
Tina li raggiunse e puntò un dito contro Emanuele.
“Ti giuro che me la paghi, escogiterò una vendetta
che te la ricorderai per tutta la vita”
L’amico sghignazzò con gli occhi esageratamente
rossi e liquidi ed approfittò della confusione di Alessandro
per sgattaiolare via.
“Che ha fatto?” chiese il capocantiere.
“Un gavettone, all’una di notte!”
Alessandro rise, senza curarsi dello sguardo tagliente di Tina.
“Non ci pensare e vieni con me a farti un goccetto”
propose, tendendole la bottiglia.
“Sai che non bevo” protestò Tina.
L’altro parve non udirla per niente ed incurante delle sue
proteste le passò un braccio attorno alle spalle e la
trascinò letteralmente in cucina, dove recuperò
una bottiglia di birra e gliela porse.
“Non bevi vino ed alcool, ma la birra sì. Quindi
niente scuse, bevi” fece cozzare le due bottiglie e
buttò giù un lungo sorso di liquore.
Tina sospirò e bevve a sua volta, quindi osservando la
baraonda che li circondava sorrise.
“Ma sì, il letto può aspettare.
Torniamo alla festa”
Alessandro rise di cuore e si buttò nella mischia assieme a
lei e agli altri ragazzi, che avevano trasformato la cucina in una
improvvisata discoteca.
Tre birre dopo, o forse quattro, e quasi alla fine della bottiglia di
sambuca, Tina ed Alessandro si ritrovarono seduti sui gradini dello
scalone d’ingresso a ridere per delle foto buffe che lei gli
stava mostrando dal suo cellulare.
“Ho avuto un’idea!” annunciò
il ragazzo, sgranando gli occhi e assumendo un’espressione
fiera.
“Ah sì?” Tina sentì la testa
pesante, così la poggiò sulla sua spalla,
chiudendo per qualche istante gli occhi che le bruciavano.
“Se stiamo festeggiando è merito di Giulia, no?!
Quindi dovremmo chiamarla e dirglielo!” in un batter
d’occhi le sfilò il telefono di mano e
cominciò a comporre il numero.
In un attimo di lucidità Tina si tirò su e
cercò di fermarlo.
“No, Ale. Fermati, idiota, sai che ore sono? No!”
“Shhh, squilla”
Alessandro ridacchiò, mentre con la mano libera teneva
lontana la ragazza che cercava in tutti i modi di tirargli il cellulare
di mano.
“Giulia!!”
Tina lo sentì urlare all’improvviso, e le sue
tempie pulsarono dolorosamente. Era sbronza, ma ciò non le
impedì di rendersi conto che stavano facendo una figura a
dir poco pessima con il loro avvocato.
“Sì sì, stiamo festeggiando. I ragazzi
erano così contenti di poter continuare a scavare, volevamo
che lo sapessi” Alessandro conversava tranquillamente come se
fosse mezzogiorno e non notte fonda.
Tina si passò una mano sul viso e sospirò
pesantemente con aria afflitta.
“Sai chi c’è qua vicino a me?
C’è Tina, sì sì, e vorrebbe
tanto salutarti. Aspetta che te la passo”
Alessandro le porse il cellulare continuando a ridere con gli occhi
vacui, ignorando le sue proteste e i suoi “no”
mimati molto animatamente. Il ragazzo le piazzò il telefono
in mano un attimo prima che Emanuele passasse di lì e lo
costringesse a seguirlo per fargli da complice in uno scherzo
architettato alle spalle di qualche altra anima innocente.
Rimasta sola per le scale con il telefono in mano, Tina
guardò l’apparecchio con aria indecisa, poi
udì la voce di Giulia all’altro capo e decise di
non peggiorare la situazione facendole semplicemente cadere la linea.
“Pronto”
“Tina?”
“Sì, e prima che tu dica qualsiasi cosa:
Alessandro è ubriaco e anch’io lo sono”
“Sì, l’avevo immaginato”
Tina la sentì sorridere piano, probabilmente con le labbra
vicine al microfono, che crearono uno strano fruscio, che la fece
rabbrividire qualche istante.
“Quindi non applicherai il famoso << qualunque
cosa dirà potrà essere usata contro di lei
>> ?” domandò con aria scherzosa.
Il sorriso di Giulia si trasformò in una discreta risata.
Stese le gambe sul divano, spostò di lato le carte che stava
leggendo ed alzò gli occhiali da vista sulla testa,
mettendosi comoda.
“No, tranquilla” le assicurò intanto.
Tina rilasciò un piccolo sospiro e chiuse gli occhi,
sentendo la testa girarle appena, poi diede voce ad un suo pensiero.
“Dormivi?”
“No, non ancora”
“Ma che ore sono?”
“Le tre meno dieci”
“Le tre meno dieci?! E che cavolo ci fai ancora sveglia alle
tre meno dieci?”
Tina si pentì subito di ciò che disse, tanto
è vero che sbarrò gli occhi e si portò
una mano davanti alle labbra.
“Oddio scusami, Giulia, non sono proprio affari miei.
E’ l’alcool che parla, io … scusa, mi
gira la testa”
All’altro capo del telefono l’avvocato trattenne a
stento una risata carica di tenerezza.
“Tranquilla, non importa. Lavoravo comunque”
“Ancora?”
“Mm-mm”
“Non dovresti lavorare tanto, e soprattutto non il
venerdì sera”
“E cosa dovrei fare il venerdì sera?”
“Non lo so, sesso con il tuo ragazzo per esempio”
Ancora una volta Tina si rese conto troppo tardi di cosa aveva appena
detto, ma stavolta disperando ormai di poter dare di sé
un’immagine migliore all’avvocato,
cominciò a ridere.
“Scusami, scusami” disse annaspando tra le risate.
“Non devi scusarti, in effetti è un buon
consiglio” constatò Giulia, divertita da quella
situazione.
“Ah sì?! Quindi l’hai fatto?”
“No, non stasera” Giulia si prese un attimo di
pausa, poi azzardò “E del tuo, di
venerdì sera, che mi dici? Il rock ‘n roll lo
sento in sottofondo, l’alcool di sicuro
c’è stato, al posto della droga … ti
manca il sesso, no?” una leggera sfumatura ironica nella sua
voce, per camuffare una curiosità più profonda.
“Nah, sono troppo ubriaca per il sesso, e poi mi gira la
testa” sospirò passandosi una mano tra i capelli.
“Non dovresti bere tanto, se non lo reggi” le fece
notare Giulia, con un tono quasi da maestrina.
“Lo so, ma Alessandro sa essere molto convincente quando
vuole”
“Sì, ne so qualcosa”
l’avvocato ridacchiò sommessamente.
“Gli piaci un sacco” confessò Tina,
sorridendo a sua volta.
“Credi che ricorderai qualcosa di questa conversazione
domani?” domandò inaspettatamente
l’altra.
“Uhm, no, non credo proprio”
“Allora sappi che Alessandro non ha proprio speranze con
me”
Tina scoppiò a ridere, come se Giulia le avesse appena
raccontato la barzelletta più divertente del mondo.
“Quando si impunta, Alessandro ha speranza con
chiunque” ribatté sicura, mentre si massaggiava
una tempia che aveva cominciato a pulsare dopo quello scoppio di risate.
“Beh, non con me”
La voce di Giulia era bassa e tranquilla, con una sicurezza
apparentemente inattaccabile nel tono. Tina smise quindi di ridere e
tra i fumi dell’alcool cercò di concentrarsi per
capire cosa intendesse l’altra con quel discorso.
“Perché?”
“Perché …”
“Tina!!!!”
Alessandro ed Emanuele passarono in quel momento dietro di lei come due
fulmini e la urtarono facendola sbilanciare in avanti. Per un pelo
riuscì a tenersi in equilibrio con la mano libera, mentre
gli altri due tornavano indietro con altre due bottiglie di birra e le
si sedevano affianco.
“Abbiamo fatto un gavettone a Gabriele, con l’acqua
gelata” spiegò Alessandro, biascicando.
“Voleva prenderci a calci, ma ha deciso di andarsi prima ad
asciugare” continuò Emanuele strascicando le
parole.
Tina si passò una mano sul viso, con aria sconfitta, poi
guardò il cellulare che ancora reggeva nell’altra
mano e lo riportò all’orecchio.
“Giulia, ci sei ancora?”
“Sì, sono qui. Ma credo che sia ora di
attaccare”
“Uhm, sì, mi scoppia la testa” Tina
soffocò a stento un lamento.
“Prendi un’aspirina e fila a letto”
La ragazza sghignazzò, non del tutto cosciente di
sé.
“Sì mamma” rispose ironica.
“Promettilo” replicò Giulia con un
accenno di sorriso nella voce, ma comunque perentoria.
“Ok, promesso”
“Bene, buona notte allora”
“ ’Notte”
Tina chiuse la chiamata e posò il cellulare, ignorando le
richieste di Alessandro di mettere in atto un altro scherzo assieme ad
Emanuele e si ritirò nella sua celletta. Prese
un’aspirina e crollò sul letto ancora vestita.
Il seguente sabato mattina, l’Abbazia rimase deserta fino a
mezzogiorno, quando alcune figure, molto più simili a
fantasmi che a persone cominciarono a vagare per i corridoi.
Tina fu una delle prime ad alzarsi e, molto altruisticamente,
preparò tre macchinette di caffè, pensando a
sé ed agli altri.
Pranzarono in ritardo ed in un silenzio stanco. Dopo pranzo ognuno si
dedicò alle proprie faccende, alcuni fecero il bucato, altri
ripresero a dormire, altri ancora decisero di guardare un film al
computer.
Tina, dopo aver lavato tutti i panni sporcati in settimana, decise di
godersi un po’ di sole, sdraiata sul prato antistante
l’Abbazia.
Mentre era piacevolmente immersa nel calore settembrino, cullata solo
dal cinguettio di qualche uccellino, il cellulare nella sua tasca
suonò.
Un nuovo messaggio, che recitava: “Passata la sbronza? Ieri
sembrava che stessi proprio male, spero tu stia meglio.
Giulia”
Tina aggrottò le sopracciglia, i ricordi della sera
precedente erano molto sfocati. Ricordava chiaramente solo che Emanuele
l’aveva bagnata e che lei lo aveva rincorso, poi solo
spezzoni e pochi fotogrammi.
Rispose: “Mi sto godendo un pomeriggio al sole,
l’aria aperta mi sta aiutando. Grazie per il pensiero, ma tu
come sapevi?”
Pochi minuti ed arrivò la risposta: “Non scherzavi
quando dicevi che non avresti ricordato nulla di ieri sera! Alessandro
mi ha chiamata e poi mi ha passato te, abbiamo chiacchierato per almeno
dieci minuti”
Letto il messaggio, Tina sgranò gli occhi e
cominciò a ricordare. Le birre, la sambuca, Alessandro che
le prendeva il telefono e componeva il numero, lei che cercava di
fermarlo, Emanuele che lo trascinava via con sé e la voce di
Giulia nel microfono del cellulare.
“Cazzo!”
Si affrettò a scrivere: “Ora ricordo! Mi dispiace
davvero, avrai pensato che siamo pazzi … ed in effetti
è stata proprio una pazzia chiamarti. Ti chiedo ancora scusa
anche a nome di Alessandro, spero che questo episodio non incida sul
nostro rapporto di lavoro”
Schiacciò il tasto d’invio e subito dopo si
ributtò con la schiena sull’erba e le braccia
incrociate sul volto, sbuffando.
Due minuti dopo arrivò la risposta: “Tranquilla,
il rapporto di lavoro è salvo. Non credere che io vi
giudichi, ognuno è libero di divertirsi come vuole e, devo
ammettere, che un pizzico di pazzia ogni tanto rende la vita
interessante. Goditi il sole e buona giornata”
Tina sorrise, mentre scorreva le righe di quel messaggio e poi mentre
componeva la risposta: “Sono contenta di sapere che non te la
sei presa. Grazie di tutto e buon pomeriggio”
Con un peso in meno, tornò a sdraiarsi e godersi il tiepido
sole settembrino.
Il fine settimana trascorse senza ulteriori pazzie, sia i ragazzi che i
responsabili ne approfittarono per riprendere le energie ed organizzare
il lavoro per la settimana successiva.
Il lunedì, il martedì e il mercoledì
trascorsero seguendo la solita routine di scavo, catalogazione ed
informatizzazione dei materiali. Il giovedì (24 sett) si
dimostrò essere fin dal mattino una giornata ostica. A
partire dal caldo torrido che continuava ad imperversare sullo scavo,
per finire con due picconi rotti, un i-pad fuori uso ed i setacci per
la setacciatura dispersi chissà dove in Abbazia. Alessandro
tornò in Abbazia per cercare di porre rimedio ad almeno uno
di questi grattacapi, mentre Tina girava per le aree con un diavolo per
capello.
“Federica, come va con quello strato?” si
fermò in piedi accanto alla ragazza accovacciata, intenta ad
usare la trowel su un terreno particolarmente secco.
“Guarda, Tina, qui ho già scavato e qui stavo
scavando ora, in realtà sono scesa molto, almeno quindici
centimetri ma il colore e la consistenza mi sembra sempre lo stesso.
Con questo sole accecante e il caldo torrido non si riesce a capire
molto bene”
“Aspetta, fammi vedere. Passami la trowel”
Tina si accovacciò accanto alla ragazza e
cominciò a sondare il terreno con l’attrezzo,
imprimendo poco a poco sempre più forza per smuovere le
zolle.
“Guarda, Fede, qui lo strato cambia” prese un
mucchietto di terra sulla punta dell’attrezzo e lo
mostrò alla ragazza “Si vede pochissimo
perché il terreno è molto secco, ma questa terra
qui è marrone, diversa da quella rossiccia che stavi
scavando” posò la trowel sul terreno e si rimise
in piedi.
“Io credo che qui ci sia un taglio, prova a seguire i
contorni dello strato rosso e fermati se trovassi quel marrone
lì oppure qualsiasi cosa di diverso. Se hai problemi
chiamami” con le braccia conserte, osservò ancora
un momento il terreno con aria dubbiosa, poi alzò lo sguardo
per incontrare quello della ragazza.
“D’accordo” Federica annuì e
si rimise in ginocchio a completare il lavoro.
Tina riprese a camminare, facendosi aria con una mano, verso
un’altra area per controllare che tutto procedesse nel
migliore dei modi.
“Tina!”
Si bloccò sul ciglio di un terrazzamento naturale, sotto al
quale una squadra stava scavando quella che si presumeva essere una
miniera. Si voltò e dietro di sé vide spuntare
Emanuele.
“Ohi Manu. Che succede?”
“Stavo disegnando uno strato nell’area di
Alessandro e mi sono accorto che alcune piante non quadrano con
altre”
Il ragazzo la raggiunse, mostrandole alcuni fogli di carta traslucida
che reggeva tra le mani.
“Fammi vedere” Tina pose i fogli in contro luce e
ne osservò i disegni fatti a matita
“Sì, effettivamente sembra che qualche punto sia
stato preso male”
“Tina, delle foto aeree potrebbero aiutarci” gli
fece notare lui, con il tono di chi aveva già previsto
quella serie di disagi e ne aveva già proposto una
soluzione, purtroppo bocciata.
“Ne abbiamo già parlato, Manu, per il momento le
foto da elicottero non ce le possiamo permettere. L’unica
cosa è aspettare che Stefano termini il prototipo del
quadricottero”
Gli riconsegnò i fogli e si apprestò a continuare
la propria ispezione discendendo il terrazzamento.
“Il quadricottero! Andiamo, quell’aggeggio
è un giocattolo, non può fornirci le foto di cui
abbiamo bisogno ed io non posso fare bene il mio lavoro senza avere una
visuale d’insieme dell’area”
La voce risoluta e spazientita di Emanuele, la bloccò sul
posto. Si voltò verso di lui con un sospiro e si
riparò gli occhi dal sole accecante con una mano sulla
fronte per guardarlo bene in viso.
“Stefano ce la sta mettendo tutta, e visto che è
la nostra unica opportunità per il momento, dovremmo solo
ringraziarlo ed incoraggiarlo. Molto presto avrai le tue foto
d’area”
La sua voce assunse una nota sicura e perentoria, non ammetteva
repliche e questo doveva essere chiaro. Sentiva molto la
responsabilità del lavoro di tutti sulle proprie spalle, per
questo aveva deciso che non avrebbe avuto tentennamenti quando si
sarebbe trattato di risolvere questioni pratiche.
“La prendi sul serio la parte del capo”
commentò lui sarcastico.
“Non essere ridicolo, Manu. Sai benissimo che a fare il capo,
come dici tu, ci si mette la faccia sia per prendersi i meriti che i
demeriti. Non è semplice gestire una squadra di trenta
persone, e mi aspettavo che amici, oltre che colleghi, come te,
facessero di tutto per rendermi il compito meno difficile,
anziché creare questioni inutili per accrescere il proprio
ego ed affossare quello degli studenti”
Ciò detto, non gli lascio il tempo di ribattere, discese
rapidamente il terrazzo naturale e si avvicinò ad un gruppo
di ragazzi per controllare il loro lavoro.
Emanuele, invece, scalciò rabbiosamente una pietra dopo di
che decise di tornare in baracca per aggiustare quei disegni fatti male.
Il venerdì l’aria fu piuttosto tesa sullo scavo,
Tina ed Emanuele facevano fatica a parlarsi anche per le più
banali questioni di lavoro e solo la presenza di Alessandro a fare da
ago della bilancia gli impedì di mettersi a discutere
davanti a tutta la squadra.
A creare tensione e difficoltà c’era anche il
caldo che continuava ad imperversare. Era ormai il 25 Settembre, ed era
da inizio mese che non si vedeva una goccia d’acqua cadere
dal cielo. La terra era polverosa ed estremamente arida, il che
comportava un grande difficoltà a leggere la stratigrafia e
quindi portare avanti lo scavo.
Dopo una giornata tanto difficile, arrivare all’ora di cena
fu un sollievo per tutti e fu proprio in quel momento che
l’aria si distese e tra ragazzi e responsabili
ricominciò ad esserci la solita aria cameratesca e scherzosa.
Più tardi, dopo cena, Tina era seduta sulle scale a fumare
una sigaretta.
“Posso?”
Riconobbe subito la voce di Emanuele, ancora prima che lui si sedesse
sul gradino accanto a lei con una sigaretta tra le labbra.
“Se sei qui per litigare, no. Il momento-sigaretta dopo cena
è essenziale e non me lo voglio rovinare”
cacciò una densa nuvola di fumo, mantenendo lo sguardo fisso
di fronte a sé sul massiccio portone di legno
dell’entrata.
Il ragazzo sospirò, fece un tiro alla propria sigaretta, poi
buttando fuori il fumo parlò tutto d’un fiato.
“Scusa”
Tina si girò a guardarlo, colta alla sprovvista. Lui
guardava invece il portone, proprio come aveva fatto lei pochi attimi
prima.
“Scusa anche tu” disse la ragazza, prima di
voltarsi a sua volta e tornare a fissare davanti a sé.
“Non lo pensavo sul serio, Tina”
“Lo so, nemmeno io pensavo quello che ho detto”
“Quindi … amici?”
La ragazza spense la sigaretta sullo scalino ed espirò
l’ultima boccata di fumo prima di voltarsi di slancio e
gettarsi al collo di Emanuele, scompigliandogli tutti i capelli e
ridendo divertita.
“Lo prendo per un sì”
bofonchiò lui, soffocato dal corpo di Tina, che lo
sovrastava in una specie di lotta per scompigliarsi i capelli a vicenda.
“Sì, ma non dimenticare che ti devo ancora un
gavettone. Quindi, non dormire sugli allori, mio caro”
“Disturbo?” s’intromise una terza voce.
“Ale! Ma che disturbo, anzi aiutami: toglimi questa di dosso
prima che mi soffochi” implorò Emanuele, fra le
risate degli altri due.
Tina si spostò di sua spontanea volontà e
tornò a sedersi sullo scalino, aggiustandosi la felpa che le
era salita fin sullo stomaco durante la lotta.
“Avete fatto pace?” chiese Alessandro sedendo
accanto a loro con un sorriso compiaciuto.
“Diciamo che abbiamo fatto una tregua, saremo pace quando io
l’avrò ripagato del gavettone”
puntualizzò la ragazza.
“Nessuno scherzo che architetterai funzionerà con
me, sono io il re degli scherzi” ribatté Emanuele,
gonfiando il petto con aria tronfia.
“E questo che significa?” obiettò Tina.
“Significa che sono troppo scaltro per cadere nella rete
tessuta da qualcun altro” ridacchiò
l’altro, prendendosi uno scappellotto dalla ragazza.
“Mi mancava quest’allegria” commento
serafico Alessandro.
“Oh ma che dolce! Vieni qui, dammi un bacino” lo
prese in giro Emanuele, avvicinandosi al suo viso e schioccando una
serie di ridicoli baci per aria.
“Dio, che schifo! Allontanati per piacere”
protestò il capocantiere, prendendolo per le spalle ed
allontanandolo con forza da sé, fra le risate di Tina che
osservava la scena.
“Piuttosto, Ale, dovevi dirci qualcosa?” intervenne
la ragazza.
“Ah sì, ero venuto a dirvi che lunedì
Carlo verrà sul cantiere. Mi ha chiamato prima e ha detto
che ha una giornata libera dagli impegni accademici, così
verrà a controllare come procediamo”.
“Bene, volevo giusto mostrargli una situazione in area 1 per
cui mi piacerebbe avere il suo consiglio” rifletté
Tina.
“Sì sì, va bene, ma parlando di cose
serie … hai più chiamato
l’avvocatessa?” s’intromise Emanuele,
ammiccando profondamente verso Alessandro.
“Te a parlare di lavoro per più di un minuto ti
viene proprio l’orticaria, eh?” obiettò
la ragazza con tono sarcastico.
“Come dice il detto, prima il piacere poi il
dovere” citò lui, sghignazzando.
Tina alzò gli occhi al cielo, mentre Alessandro sorrideva
divertito.
“Giulia l’ho chiamata ieri, abbiamo scambiato
giusto quattro chiacchiere perché lei era di
fretta”
“Le hai chiesto scusa per quella telefonata nel cuore della
notte?” s’informò subito Tina, con aria
fin troppo seria.
“Sì certo, anche se ho dovuto ammettere che non
ricordavo assolutamente nulla di quello che avevo detto o fatto, anzi a
dirla tutta non avrei ricordato nemmeno di averla chiamata se non me
l’avessi detto tu. Ad ogni modo lei mi ha assicurato che non
l’abbiamo disturbata e che si è
divertita”
“Tutto qui?” intervenne Emanuele, con un cipiglio
scettico sul volto “Noiosa come telefonata”
Alessandro guardò l’amico e si lasciò
scappare un sorriso malandrino.
“Ah no! Allora c’è
dell’altro” esultò Emanuele
“Avanti, parla!”
Tina poggiò i gomiti sulle ginocchia ed il mento sui pugni
chiusi, voltando il capo verso Alessandro chiaramente in attesa di
sentire ciò che avrebbe raccontato.
“Beh, abbiamo una specie di appuntamento”
“Che significa specie?
Un appuntamento o è un appuntamento oppure non lo
è!” protestò l’amico.
“Significa che io le ho chiesto cosa avrebbe fatto sabato
sera e lei mi ha detto che sarebbe andata al Red Dragon per il
compleanno di una sua amica, così io le ho detto che anche
noi pensavamo di andarci e che quindi magari ci saremmo incontrati
lì”
Alessandro terminò il discorso con un grosso sorriso
compiaciuto sulle labbra.
“Aspetta un attimo” intervenne Tina, con aria
perplessa “Noi pensavamo di andare al Red Dragon? Quando? No,
perché devo essermi persa qualche passaggio”
“Beh, lo stiamo pensando adesso. Domani sera si va a Siena al
Red Dragon, lo diremo anche ai ragazzi, ne saranno contenti”
spiegò Alessandro con tono pratico e conciso.
“Ben detto, amico! Non vedo l’ora di conoscere
quest’avvocatessa” approvò Emanuele,
battendo con aria complice il pugno contro quello dell’altro.
“Siete ridicoli!” protestò Tina, tirando
fuori dal pacchetto un’altra sigaretta ed accendendola.
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata confusa.
“Perché sei così rigida? Una serata in
città al pub non può che farci bene, in fondo
stiamo a sgobbare tutta la settimana, almeno il sabato possiamo
permetterci di staccare la spina” azzardò
Alessandro, alzando le spalle come per sottolineare la bontà
delle sue parole.
“Non è per questo” precisò la
ragazza, facendo un tiro dietro l’altro.
“E cos’è allora? Paura di non poter
reggere il confronto con la bell’avvocatessa?” la
stuzzicò Emanuele.
Tina si girò di scatto, fulminandolo con uno sguardo
sconfitto e irritato.
“Inutile parlarne con voi, proprio non ci arrivate”
si alzò di scatto e s’incamminò verso
la cucina.
Dopo essersi scambiati un rapido sguardo, i ragazzi si alzarono e la
seguirono.
“Tina, dai non fare così” le
gridò dietro Alessandro.
“Scusami, fuori luogo come al solito. Spiegaci
cos’è che non capiamo”
continuò Emanuele.
La ragazza si fermò accanto ad un frigo con la sigaretta
ardente tra le labbra e prese una birra che stappò e di cui
si affrettò a prendere un lungo sorso. Si poggiò
con i fianchi al piano dei fornelli e guardò i due ragazzi
che attendevano davanti a lei.
“Non è affatto un appuntamento”
spiegò, guardando Alessandro “Ci hai pensato che
lei sta lì con le sue amiche a festeggiare il compleanno di
una di loro, a cui nessuno di noi è stato invitato, e che
potrebbe sentirsi a disagio a vederti arrivare lì con una
banda di giovani archeologi al seguito?” alternò
lo sguardo tra i due, osservando le loro espressioni farsi pensierose.
“Immagino già la scena, e l’imbarazzo
che proveremmo tutti” scosse la testa e bevve un altro sorso
di birra.
“Beh sì, è un’ipotesi,
ammetto che non ci avevo pensato e che effettivamente la situazione
potrebbe essere un po’ strana come dici tu, ma la stai
facendo troppo lunga” obiettò Alessandro
poggiandosi a sua volta con le spalle al muro ed incrociando le braccia
al petto con tranquillità.
“E’ il nostro avvocato, Ale, non una nostra amica e
di figure poco carine ne abbiamo già fatte abbastanza e
tutte per colpa tua se ci pensi. Non mi va di farne delle
altre”
“E dove sta scritto che visto che è il nostro
avvocato non possa essere anche un’amica?”
intervenne Emanuele, aprendo il frigo e prendendosi una birra.
“Oppure anche qualcosa di più?”
precisò Alessandro.
“E’ una questione di etica professionale. Fino ad
ora ci è andata bene, perché lei si è
dimostrata fin troppo gentile e amichevole, ma cosa succederebbe se voi
due iniziaste una storia o, ammettiamo pure una semplice amicizia, e
poi per un qualsiasi motivo questa non andasse bene? Sarebbe umano che
lei rifiutasse di farci ancora da avvocato o peggio continuasse a
difenderci ma senza impegnarsi più di tanto” prese
un profondo respiro, accorgendosi solo alla fine di aver parlato tutto
d’un fiato.
La sigaretta le bruciò le dita e si accorse solo allora che
le si era consumata in mano, la gettò in un bicchiere e ne
approfittò per voltarsi verso i fornelli, dando le spalle ai
due ragazzi. Un piccolo fremito le attraversò le spalle
quando posò le mani sul legno consumato del piano cottura e
gli strinse le dita attorno.
“Lo sai che questo scavo è importante per me, Ale,
e non ti permetterò di mandare tutto a puttane”
L’amico rimase qualche istante immobile, ora rigido e teso,
infine si volse verso Emanuele e gli bastò uno sguardo
perché questo annuisse ed uscisse in silenzio dalla stanza,
lasciandolo solo con Tina.
Con passi lenti si avvicinò alla ragazza e le
posò entrambe le mani sulle spalle.
“Tina”
Lei non si mosse, solo un guizzo dei muscoli delle spalle, laddove si
erano poggiate le mani di Alessandro.
“Tina, girati per favore”
Solo in quel momento la tensione del suo corpo si sciolse e lei
acconsentì a seguire le mani dell’amico che
gentilmente la voltavano per poterla guardare in viso.
“Sei sicura che il problema sia solo questo?”
insinuò Alessandro, tentando di essere il più
delicato possibile.
“Che vuoi dire?” ribatté Tina, confusa
da quella domanda.
L’amico prese un profondo respiro e si passò una
mano tra i capelli, roteando gli occhi per prendere tempo e trovare le
parole giuste.
“Sei un po’ tesa ultimamente. Sicura che il
problema sia solo il buon andamento della campagna e non ci sia
dell’altro?”
“Certo che sì, ne sono sicura!”
protestò lei con sicurezza “Che altro dovrebbe
esserci?!”
“Mah, non so … magari ti sta antipatica
Giulia” ipotizzò Alessandro con un accento
piuttosto interrogativo ed incerto.
Tina alzò un sopracciglio con aria scettica e rimase a
fissare il ragazzo per diversi istanti.
“Non è questione di antipatia o simpatia.
Semplicemente non mi va di fare casini e di mischiare la vita privata
al lavoro. Questo scavo adesso è la cosa più
importante per me” spiegò decisa, gesticolando
appena e tradendo comunque un certo nervosismo.
“D’accordo, ho capito”
acconsentì Alessandro, tornando a sorriderle tranquillo
“Ti assicuro che non manderò tutto a puttane, ma
devi fidarti di me”
Tina sospirò, poi alzò le spalle con aria
sconfitta ed annuì.
“E comunque a me lei pare una tipa molto professionale,
dovresti darle fiducia e credere che non si lascerebbe mai influenzare
da questioni personali sul lavoro” aggiunse Alessandro.
“Lo credi davvero?”
“Come se non l’avessi conosciuta anche
tu!”
“Si ma …”
“Niente ma, sei stata tu a dirmi che ti sembrava preparata ed
efficiente, e ora che fai, ti rimangi le parole?”
“Hai ragione”
Alessandro rise e in un batter d’occhi la racchiuse tra le
sue braccia stritolandola in un abbraccio da togliere il fiato.
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Lo so lo so, non c'è molto Giulia-e-Tina in questo capitolo,
ma mi sembra che l'architettura sia altrettanto importante del
contenuto. Spero comunque non vi siate annoiati troppo.
Se vi va, ditemi cosa ne avete pensato.
Il prossimo capitolo vi ripagherà dell'attesa, promesso :D
Alla prossima :)
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
CAPITOLO 4
Sabato sera, come previsto, gli archeologi avevano organizzato quattro
macchine, per un totale di tredici persone, e si erano avviati a Siena.
Era ormai fine settembre e l’aria era frizzante, tuttavia le
strade della cittadina toscana erano più che mai vive.
Gruppi di giovani e meno giovani affollavano le viuzze del centro
storico creando un chiacchiericcio che sapeva di spensieratezza.
Il gruppo di archeologi camminava tranquillo verso il Red Dragon.
All’esterno del pub c’era già un nutrito
gruppetto che aspettava il proprio turno per entrare, così
anche loro furono costretti a fare qualche minuto di attesa.
All’interno l’aria era decisamente più
calda che all’esterno, le luci erano basse e la musica
contribuiva a rendere l’ambiente più allegro. Al
centro c’era un lungo bancone in legno con alti sgabelli,
quasi tutti occupati, e sparsi per il locale una serie di tavoli e
divanetti con una alcuni schermi piatti su cui scorrevano le immagini
di video musicali. Più defilato verso destra c’era
uno spazio vuoto abbastanza ampio, con una consolle da dj al momento
ancora vuota.
“Andiamo a sederci” propose Alessandro, guidando il
gruppo di amici verso un tavolo libero.
Si sistemarono tra sedie e divanetti, liberandosi di borse e giacche e
cominciando ad ambientarsi alla temperatura forse eccessivamente alta
del locale.
“Vado a prendere da bere, cosa vuoi?” Emanuele si
chinò verso Tina, parlandole all’orecchio per
sovrastare la musica ed il vociare degli altri.
“Una Forster’s, vengo con te così ti do
una mano con i bicchieri”
Il ragazzo annuì e si alzò facendosi spazio tra i
gruppetti che affollavano il locale. Arrivati al bancone Emanuele
ordinò da bere, poi si voltò verso Tina.
“Sei proprio carina stasera, fa strano vederti
truccata” alzò una mano verso il suo viso,
sfiorandole gentilmente una guancia.
La ragazza sorrise e si poggiò con un gomito al bancone
avvicinandosi appena all’amico, perché da dietro
qualcuno la spingeva per farsi spazio ed attirare
l’attenzione del barista.
“Ogni tanto mi fa bene ricordare di essere una donna prima
che un’archeologa”
“Ti assicuro che sembri molto donna anche mentre fai
l’archeologa”
Per tutta risposta Tina gli tirò un pugno scherzoso sulla
spalla.
“Ragazzi, avete visto chi
c’è?” alle loro spalle arrivò
Alessandro, che gettava occhiate ammiccanti verso la loro destra.
“Angelia Jolie?” chiese ironico Emanuele.
“Quasi” rispose l’amico stando al gioco.
“I soliti esagerati” protestò Tina.
“Guarda come appare la nostra avvocatessa in abiti casual e
poi mi saprai dire” la sfidò Alessandro, gettando
ancora uno sguardo verso la stessa direzione ed invitando gli altri due
ed in particolare Tina a voltarsi.
I due si girarono, Emanuele con espressione curiosa e sguardo carico di
aspettativa, l’amica invece con aria scettica e scocciata.
“Quella lì è la famosa
Giulia?” annaspò Emanuele voltandosi di scatto
verso Alessandro, che intanto sorrideva compiaciuto della sua reazione
ed annuiva sornione.
“Ma è … è
…”
“Sexy!” concluse Alessandro per l’amico.
Tina intanto la stava ancora osservando. Giulia sfilò un
giubbino di pelle nero e mostrò una semplice maglietta
bianca a maniche corte con sopra un gilet nero lucido lasciato aperto.
Le gambe fasciate da un paio di jeans scuri, particolarmente attillati,
ed un paio di anfibi neri.
Nel complesso semplice ma, allo stesso tempo, Tina dovette ammettere
che sprigionava un fascino particolare. Probabilmente erano i suoi
gesti sicuri ma fluidi a rendere la sua figura magnetica.
“Viene verso di noi” annunciò Alessandro.
Emanuele si voltò interessato, osservandola avanzare verso
il bancone. Tina invece si riscosse improvvisamente e si rivolse al
barista per sollecitare le loro ordinazioni. Proprio mentre la ragazza
afferrava due bicchieri colmi di birra e si apprestava ad allontanarsi
per tornare al loro tavolo, sentì la voce di Alessandro.
“Giulia!”
“Alessandro”
Tina di spalle sentì il loro scambio di battute e si
bloccò sul posto, indecisa se voltarsi o meno.
“Posso presentarti Emanuele, un collega e caro
amico” continuò il ragazzo.
“Ciao Giulia, ti hanno mai detto che saresti una perfetta
Lara Croft, in barba ad Angelia Jolie?” proruppe Emanuele con
notevole disinvoltura e una buona dose di faccia tosta.
L’avvocato rimase un attimo sorpresa, poi scoppiò
in una poderosa risata.
“Me ne hanno dette davvero tante, ma mai così
originali. Piacere mio, Emanuele”
Fu a quel punto che Tina decise di voltarsi, giacché sarebbe
stato maleducato sgattaiolare via. Riuscì a vedere la
stretta di mano che si scambiavano Giulia ed Emanuele, con il
successivo scambio di sguardi d’intesa tra i due ragazzi.
Alzò gli occhi al cielo, ma restò comunque
nascosta per metà dietro le spalle di Alessandro.
“Ciao Tina” Giulia si accorse della sua presenza e
si sporse oltre le spalle del ragazzo per guardarla.
“Ciao, io … ehm … ho le mani
impegnate” aveva mosso la mano destra verso di lei, ma si era
poi resa conto che reggeva ancora le due birre, quindi era rimasta
ferma un po’ indecisa sul da farsi.
Giulia sorrise e fece un passo verso di lei sorpassando appena il corpo
di Alessandro.
“Rimediamo così” le poggiò
una mano sulla spalla e si sporse per darle due baci sulle guance.
“Allora sei qui con le tue amiche, vero? Fai tanti auguri di
buon compleanno alla festeggiata da parte mia” intervenne
Alessandro poggiandosi con le spalle al bancone e sorridendo rilassato.
Giulia si spostò lentamente da Tina, soffermandosi a
guardarla per qualche istante negli occhi, poi distolse lo sguardo e si
concentrò sull’amico.
“Sì, lo farò senz’altro,
grazie. Voi, invece, siete qui per festeggiare qualcosa o solo per
divertirvi?”
“Siamo qui per fare baldoria e movimentare un po’
questo posto, ovvio” rispose Emanuele con la sua solita
energia.
Giulia sorrise annuendo, poi qualcosa alle spalle del ragazzo
attirò la sua attenzione.
“Scusate, le mie amiche mi chiamano, devo prendere da
bere” disse, facendo un segno di ok verso un tavolo a cui
sedevano altre quattro ragazze “Ho perso una scommessa,
quindi il primo giro devo offrirlo io” spiegò per
nulla contrariata, anzi divertita.
“Ah, a proposito di scommesse, Ale, anche io e te ne abbiamo
una ancora valida” ricordò Emanuele
all’amico, dandogli una gomitata e ammiccando.
“Sì, mi ricordo e non ho intenzione di
perderla” rispose quello, battendogli una pacca sulla spalla.
“Bene, allora vi lascio alle vostre birre e alle vostre
scommesse” annunciò Giulia, poi si
voltò un attimo verso Tina, che era rimasta in silenzio ad
osservali fino a quel momento “Ci si becca in giro”
la guardò negli occhi, infine tornò a guardare i
due amici “Buona serata, ragazzi”
Alessandro ed Emanuele annuirono, salutandola con un gesto del capo.
Tina si limitò a seguirla con lo sguardo mentre si spostava
lungo il bancone e parlava al barista.
“… mangiare, Tina?”
“Tina?”
“Eh?” la ragazza si riscosse e alternò
lo sguardo tra i due amici con aria interrogativa.
“Emanuele ti aveva chiesto se volevi anche qualcosa da
mangiare” spiegò Alessandro.
“Ah, no no, ho solo bisogno di bere la mia birra prima che
diventi del tutto calda. Andiamo?” così dicendo
cominciò a camminare decisa verso il loro tavolo.
I due si guardarono confusi, poi alzarono le spalle e la seguirono al
tavolo.
“Quella Giulia è davvero una bomba, voglio dire,
da fuori sembra così controllata ma secondo me quando si
riscalda è … wow!” stava commentando
Emanuele, mentre sedeva accanto a Tina e automaticamente passava un
braccio dietro alle sue spalle per posarlo sul divanetto.
“Tieni a freno la fantasia” lo ammonì
Alessandro sedendosi a sua volta affianco ai due.
“Oh oh, sei già geloso?” lo
stuzzicò l’amico.
“Dico solo che non ho intenzione di ripetere la storia di
Santorini 2009. Ricordi?” Alessandro bevve un sorso dal suo
bicchiere e gli strizzò l’occhio.
Emanuele scoppiò a ridere e il braccio gli cadde sulle
spalle di Tina, tuttavia la sua attenzione era tutta per
l’amico e quel ricordo in comune.
“Ricordo soprattutto il tuo destro e il labbro spaccato, e
tutto per quella biondina che non ricordo neanche come si
chiama”
“Nadia, si chiama Nadia, e a me piaceva sul serio”
specificò Alessandro, guardando l’amico divertito.
“Ah si, Nadia. Beh, comunque sappi che non ti sei perso
nulla, a letto non era granché”
Alessandro inarcò un sopracciglio, poi prese una manciata di
noccioline e le tirò all’altro, che sghignazzando
si strinse a Tina e la tirò davanti a sé per
difendersi.
“Manu, che piaga che sei!” protestò la
ragazza “Ti scosti per piacere, mi togli
l’aria” al contrario di quanto aveva detto, fu
proprio lei a scivolare via dalla sua presa e spostarsi più
a destra per sfuggirgli.
“Ma dai, dove vai!” Emanuele cercò di
riacchiapparla, tirandola per un braccio.
“Piantala!” fu la sua secca risposta, dopo di che
gli voltò le spalle e cominciò a parlare con
Stefano ed Anna.
Per tutta risposta, Emanuele prese il suo bicchiere e lo
alzò sporgendolo verso Alessandro invitandolo chiaramente a
brindare.
“Alle donne … e a chi le capisce!”
Più tardi, dopo qualche birra, erano tutti decisamente
più brilli e allegri. Il dj aveva cominciato a mettere
canzoni ballabili ed i primi gruppetti cominciavano ad affollare lo
spazio davanti alla consolle.
Tina era stata occupata in una discussione molto animata sul cinema
assieme a Stefano ed Anna, scordandosi completamente quanto era
successo prima con i suoi due amici.
“D’accordo, credo di aver bisogno di una sigaretta
adesso” annunciò Stefano, bloccando
l’ennesimo panegirico di Anna su Johnny Deep e le sue
fantastiche doti di attore.
“Sì certo, non vuoi sentirmi solo
perché sai che ho ragione: i film di Tim Burton non
varrebbero un decimo di quello che incassano se non fosse per
Johnny” rincarò la ragazza con un sorriso di sfida.
Stefano scosse la testa con aria sconfitta, mise una sigaretta tra le
labbra e si alzò.
“Che fai, vieni o no? Se la smetti con questa storia, potrei
anche offrirtela io una sigaretta”
“Wow, miracolo! Stefano che offre una sigaretta è
uno spettacolo più unico che raro” la ragazza si
alzò di slancio e lo prese sottobraccio pronta ad uscire.
“Tina, vieni?” Stefano rimase un attimo fermo,
rivolto verso di lei, attendendo la sua risposta.
“No ragazzi, andate pure. Magari vi raggiungo tra cinque
minuti”
“Ok”
I due si fecero largo un po’ a fatica tra la folla, lasciando
Tina da sola con l’ultimo goccio di birra nel bicchiere.
La ragazza si guardò attorno, il loro tavolo era quasi
vuoto, molti dei ragazzi stavano ballando, Emanuele, poco distante da
lei, stava chiacchierando con Federica, di Alessandro invece non
c’era traccia.
Tina si poggiò con le spalle allo schienale del divanetto,
stiracchio le gambe e fece scrocchiare il collo, non si era accorta di
quanto fosse stata tesa fino a quel momento. Pensò che
l’ultimo sorso di birra potesse aiutarla a rilassarsi, quindi
lo buttò giù tutto d’un fiato. Mentre
riabbassava il bicchiere, tra la folla scorse il viso del suo amico
Alessandro. Sorrideva e parlava con Giulia. Erano quasi nascosti in un
angolo del locale, accanto al separé che conduceva alla
porta della toilette. Giulia poggiava le spalle al muro e Alessandro le
stava di fronte con un braccio teso accanto alla sua testa, poggiato
sulla parete dietro di lei. Parlavano con i visi molto vicini,
probabilmente per potersi sentire al di sopra della musica.
Tina li stette ad osservare per qualche minuto, era chiaro che
Alessandro ci stesse provando, quello che non riusciva a decifrare era
l’atteggiamento di Giulia. Non dava segni di voler cedere, ma
non dava neanche l’impressione di essere imbarazzata o
infastidita da quelle attenzioni. Appariva semplicemente calma e forse
divertita dalla situazione.
D’improvviso, Giulia voltò il viso proprio nella
direzione di Tina e non le fu difficile incontrare il suo sguardo,
visto che quella li stava chiaramente fissando. La ragazza
sentì una scarica nelle vene, era sobbalzata
perché la infastidiva essere sorpresa a fissare le persone,
avrebbe voluto distogliere subito lo sguardo ma non ci
riuscì. Vide Giulia continuare a guardarla anche mentre
muoveva le labbra probabilmente per rispondere a qualche domanda di
Alessandro.
D’un tratto la visuale di Tina si oscurò, una
ragazza le era passata davanti interrompendo quello scambio di sguardi.
Approfittando di quel momento si alzò e decise che era
l’ora di una sigaretta. Affondò le mani nel cumulo
di giacche e borse accatastate in un angolo e cominciò a
cercare la propria tracolla. Non sapeva se Giulia la stessa ancora
guardando, ma non ebbe il coraggio di voltarsi per controllare. Al
contrario, una volta trovata la borsa, si affrettò a
prendere sigarette ed accendino, indossò la giacca e si fece
largo tra la folla verso l’uscita.
Proprio quando era a pochi passi dalla porta, si sentì
sfiorare un gomito.
“Ehi”
Una voce le sussurrò all’orecchio per farsi
sentire al di sopra del frastuono che dominava il locale.
Tina si voltò di scatto, spostando d’istinto il
gomito da quella presa che tuttavia era stata gentile.
“Ah, sei tu” sospirò, osservando Giulia
davanti a sé che le sorrideva con la sua solita calma
serafica.
“Fumi?” le chiese l’avvocato, adocchiando
il pacchetto di sigarette che stringeva tra le mani.
“Uhm, si, un brutto vizio ma non riesco a farne a
meno”
“Ti faccio compagnia”
“Non c’è bisogno”
“Mi fa piacere”
Giulia le prese nuovamente il gomito, guidandola negli ultimi passi
verso la porta e facendole largo tra le persone con il proprio corpo.
Aprì la porta, la fece passare, infine la seguì
fuori.
L’impatto con l’esterno le fece rabbrividire
entrambe, l’aria era frizzante, ma dopo un attimo di
adattamento Tina ne fu grata. La leggera brezza che spirava tra le vie
di Siena dissipò pian piano il calore che sentiva sulle
guance.
“Ti stai divertendo?” Giulia infilò le
mani nelle tasche del pantalone e si poggiò con la spalla
sinistra al muro.
Tina la seguì, poggiò i fianchi al muro restando
con le spalle dritte per fissare davanti a sé ed evitare lo
sguardo di Giulia, che sentiva insistere sul proprio profilo.
“Sì, certo. E’ sempre meglio che
starsene chiusi in Abbazia” portò la sigaretta
alle labbra e l’accese, dopo di che posò il
pacchetto e l’accendino in tasca “E tu?”
“Sì, mi sto divertendo”
Tina girò il volto verso di lei, trovò subito i
suoi occhi verdi che la osservavano.
“Sei sempre così …
enigmatica?” chiese, incespicando sull’ultima
parola.
Giulia sorrise e si strinse nelle spalle con aria indecisa.
“Ti sembro enigmatica?”
La ragazza tornò a fissare davanti a sé, facendo
un tiro alla sigaretta, forse più per prendere tempo che per
vera necessità.
“A volte non riesco a capire cosa pensi” ammise
arricciando leggermente il naso come infastidita da quella
considerazione.
“E perché t’interessa ciò che
penso?”
Tina fu costretta a voltarsi di nuovo verso di lei, stavolta di scatto,
con un’espressione confusa e perplessa. Vide Giulia che le
sorrideva divertita e la invitava con lo sguardo a rispondere.
“Beh, parli con il contagocce, è un po’
difficile conoscersi così”
“Quindi vuoi conoscermi?”
Il sorriso di Giulia divenne quasi una risatina, con una sfumatura
dolce però, senza alcun intento canzonatorio.
Tina restò qualche istante interdetta, poi gettò
la sigaretta giacché non aveva più voglia di
fumare e si scostò dal muro muovendo qualche passo in tondo
con le braccia incrociate al petto.
“No, cioè, tu sei il nostro avvocato, quindi non
pretendo che diventiamo amiche, ma mi piacerebbe riuscire a capire che
tipo di persona sei. Non mi piace avere a che fare con degli emeriti
sconosciuti” ragionò con calma, fermandosi proprio
di fronte a lei.
Giulia la ascoltò in silenzio, poi ruotò le
spalle poggiandosi ora completamente al muro dietro di sé
per trovarsi faccia a faccia con lei.
“Il fatto che io sia il vostro avvocato non significa che non
possiamo essere amiche, se tu vuoi” le fece notare.
Tina la guardò negli occhi, le sembrò sincera e
convinta di ciò che aveva appena detto.
“Io ….” tentennò non sapendo
bene come risponderle.
“Mi offri una sigaretta?” la interruppe Giulia.
La ragazza aggrottò la fronte un po’ interdetta da
quel repentino cambio di discorso. Ma l’altra
continuò ad apparire serena e a proprio agio, sempre
poggiata al muro in una posa molto rilassata.
“Tu fumi?” chiese Tina, mentre estraeva il
pacchetto dalla tasca e lo apriva porgendoglielo.
“Raramente e solo quando sono in compagnia” rispose
Giulia, allungando un braccio e prendendo una sigaretta “E
questa è già una prima cosa che sanno solo le mie
amiche” continuò strizzandole l’occhio e
mettendo la sigaretta tra le labbra.
Tina sorrise, non solo con le labbra ma anche con gli occhi,
sinceramente colpita dal modo di fare di quella donna. Poi
allungò l’altra mano verso di lei, in cui reggeva
l’accendino con la piccola fiamma che danzava in cima.
Giulia strinse le mani attorno alla sua ed avvicinò le
labbra con la sigaretta alla fiamma.
“Grazie” disse, buttando fuori una prima boccata di
fumo.
“E cos’altro c’è da sapere
sulla torbida vita dell’avvocato Giulia Dardi?”
cantilenò Tina, assumendo volutamente un tono altisonante
che mitigò con un sorrisino ironico.
“Perché credi che la mia sia una vita
torbida?” Giulia alzò un sopracciglio.
“Ehm … scusa, io non volevo offenderti
…”
“Non sono offesa” le assicurò
l’avvocato, sciogliendo quella smorfia scettica ed assumendo
un’aria divertita “Sono solo curiosa di sapere come
appaio all’esterno agli altri. Come appaio a te”
Giulia fece un altro tiro alla sigaretta con aria disinvolta,
lasciandosi avvolgere tra le spire di fumo e socchiuse leggermente gli
occhi restando a fissare Tina in attesa.
“Uhm, beh in realtà ho detto torbida solo
perché mi sembrava una bella parola per fare
scena” ammise Tina facendo spallucce con un piccolo sorriso
mite.
“Sì, in effetti ha fatto scena”
concordò Giulia lasciando andare una risata sottile
“Comunque, non so se la mia vita sia torbida o meno, ma
sicuramente è costellata da una serie infinita di piccole
manie” svelò tranquillamente.
“Tipo?” indagò Tina, unendo le
sopracciglia con aria interessata.
“Ma quanto sei curiosa!”
l’accusò giocosa l’avvocato.
Tina alzò gli occhi al cielo con aria vaga ed
incrociò le braccia al petto in attesa. Giulia
espirò ancora una nuvola di fumo piegando le labbra
all’insù, prima di parlare.
“Beh, la prima cosa che mi viene in mente è la mia
fissa per gli orologi” le confidò, alzando il
braccio destro tra di loro e mostrandole il polso.
“Gli orologi?!” ripeté Tina stupita.
Intanto osservò il polso che Giulia le stava mostrando, dove
faceva bella mostra un orologio che sembrava davvero costoso.
“Sì, l’ho ereditata da mio
padre” continuò a spiegare Giulia, riabbassando il
braccio ed infilando la mano in tasca “Quando ero piccola lui
mi teneva vicina mentre armeggiava con ingranaggi, rotelle, cinturini,
lancette e roba simile. L’ho osservato montare e smontare
orologi, sia da polso che da tasca, tante di quelle volte che alla fine
mi ci sono appassionata”
“Li collezioni?” Tina si sporse leggermente verso
di lei, con lo sguardo scintillante di sincera curiosità.
“Anche, quelli più antichi soprattutto. Per la
bellezza e l’ingegnosità degli ingranaggi, che
sono così diversi da quelli degli orologi moderni”
“Però non ti fai mancare niente nemmeno in termini
di modernità” constatò Tina sorniona,
gettando un’occhiata al polso, che lei stessa le aveva
mostrato prima.
Giulia sorrise divertita, facendo un ultimo tiro alla sigaretta e poi
gettandola a terra per spegnerla con la suola delle scarpe.
“Sì, hai ragione. Confesso che ogni tanto mi
coccolo con qualche acquisto pazzo” ammise facendo spallucce.
“Perché proprio gli orologi?”
domandò Tina corrugando appena la fronte riflessiva
“Voglio dire, a parte la passione per la parte meccanica,
ereditata da tuo padre, c’è
dell’altro?”
“Diciamo che sono un po’ ossessionata dal tempo. Il
suo scorrere inesorabile è una cosa che mi affascina e mi
terrorizza al tempo stesso”
Giulia la guardò tranquilla negli occhi, mentre le spiegava.
Tina rimase ad ascoltarla in silenzio, colpita dalla sua
sincerità e dal suo pensiero.
“Adesso tocca a te, però” riprese
proprio l’avvocato un attimo dopo “Una passione per
una passione. Cosa infiamma l’animo della nostra giovane
archeologa?” le scoccò un’occhiata
divertita, cantilenando con aria pomposa proprio come aveva fatto lei
poco prima.
Tina si concesse una lieve risata, piegando di poco la testa di lato ed
assumendo poi un’aria riflessiva con lo sguardo rivolto al
cielo.
“Le armi” confessò qualche secondo dopo
con aria sicura.
“Le armi” ripeté Giulia un po’
sorpresa “Sei una serial killer?”
scherzò, sgranando gli occhi e fingendosi terrorizzata.
“Ma no, non pistole o roba simile. Intendevo armi da taglio,
soprattutto spade e pugnali, di quelle antiche”
puntualizzò Tina.
“Beh, spade e pugnali battono di certo orologi ed ingranaggi
quanto a passioni inusuali” commentò
l’altra con un gesto vago della mano.
“Pensa che una volta, un paio di anni fa, sono andata fino a
Parigi per vedere una mostra sull’evoluzione della spada nel
tempo. Dalle armi dell’Antica Grecia a quelle usate durante
la Rivoluzione Francese” Tina condivise con lei quel ricordo,
con gli occhi che le scintillavano e con talmente tanto entusiasmo che
incespicò più volte nelle esse, che si
trasformavano per lei sempre in un difetto di pronuncia, quando era
agitata o nervosa.
Giulia la osservò affascinata e non trovò nulla
da dire, troppo intenta a scrutare ogni minimo dettaglio del suo viso
ridente e gioioso. S’incantò, neanche troppo
velatamente, ma Tina non sembrò notarlo, poiché
riprese a parlare un attimo dopo.
“Ho la stessa insana passione anche per la
numismatica”
“Cosa?” Giulia sbatté un paio di volte
le palpebre, sforzandosi perché il suo sguardo ritornasse
lucido e cosciente, anziché perso e sognante.
“La numismatica, lo studio delle monete antiche”
precisò Tina gesticolando leggermente con le mani
“Lo sapevi che si possono trarre un sacco di informazioni
dalle monete? Alcune portano incisi dei ritratti delle
personalità più importanti dell’epoca
in cui furono coniate. Altre, invece, rappresentano su una faccia
l’architettura di monumenti che sono andati perduti e sono
l’unico modo che abbiamo oggi per poterne avere
un’idea” si fermò a riprendere fiato ed
osservò il viso di Giulia, che sembrava talmente concentrata
che le si erano formate delle piccole rughe sulla fronte.
“Scusa, parlo sempre troppo, quando si tratta di certe
cose” mormorò Tina, abbozzando un sorriso
imbarazzato “Non volevo annoiarti”
“Ma che dici” Giulia parve riprendersi finalmente e
si scostò dal muro dandosi una piccola spinta con le spalle
per poter muovere un passo verso di lei “Non mi hai affatto
annoiata, ero ammirata dall’entusiasmo con cui ne
parli” le sorrise rassicurante e la vide rasserenarsi.
Tina ricambiò il suo sorriso, ora più tranquilla.
Senza volerlo la ragazza si ritrovò a scorrere con lo
sguardo lungo il suo collo, giù per la spalla fino al
braccio nudo.
“Ma tu hai freddo” d’stinto allungo una
mano verso di lei e le sfiorò il gomito con la punta delle
dita.
La pelle di Giulia s’increspò sotto il suo tocco,
tuttavia lei non accennò nessun movimento, se non un sospiro
tremulo cacciato lentamente dal naso.
“Hai la pelle d’oca” si
giustificò Tina, abbassando il braccio e mettendo subito
entrambe le mani in tasca.
“Non ho avuto il tempo di prendere la giacca”
Giulia si strinse nelle spalle e continuò a fissarla con
sguardo insistente, senza aggiungere altro.
“Mi spiace”
“Tranquilla, non sto poi così male qui
fuori”
A quel punto l’avvocato cercò ancora una volta gli
occhi di Tina e la spiazzò con un altro dei suoi sorrisi
misteriosi.
“Giulia” chiamò d’improvviso
una voce femminile poco lontano, costringendola a distogliere lo
sguardo.
La donna si voltò d’istinto e mosse un passo verso
l’amica, che la stava raggiungendo.
“Alessia, che succede?”
“Non ti vedevamo più, ci chiedevamo che fine
avessi fatto”
Tina osservò la nuova arrivata, tenendosi però in
disparte. Alessia era l’esatto opposto di Giulia, bassina con
un fisico abbastanza pieno ed i capelli biondi e lisci, gli occhi
azzurri e vivaci. Aveva un aspetto simpatico, anche con
quell’aria a tratti preoccupata e a tratti curiosa, che aveva
in quel momento.
“Facevo due chiacchiere con Tina” Giulia mosse un
passo di lato, in modo da far trovare faccia a faccia le due ragazze.
“Oh, non volevo interrompervi” Alessia
guardò l’amica con uno sguardo di scuse che Tina
reputò eccessivo, quindi intervenne.
“Tranquilla, stavamo solo fumando una sigaretta”
“Sì, Alessia, stavamo solo fumando”
sottolineò anche Giulia, riservando all’amica un
sorrisetto divertito.
Alessia inarcò un sopracciglio, poi ricambiò lo
sguardo di Giulia con aria altrettanto complice e nel frattempo tese
una mano a Tina con fare amichevole.
“Bene. Io sono Alessia, comunque, piacere”
“Piacere mio”
Tina le strinse la mano, alternando lo sguardo tra le due, avendo colto
una specie di discorso silenzioso fatto di sguardi e sorrisi ma
ignorandone del tutto il contenuto.
“Tina è un’archeologa, in questo periodo
sto lavorando per la sua università”
spiegò Giulia.
“Avete dei problemi?” chiese Alessia.
“Sì, il terreno su cui stiamo scavando
è una proprietà privata, abbiamo qualche problema
con le concessioni” chiarì Tina.
“Stiamo facendo il possibile perché il progetto
non naufraghi” assicurò Giulia, con aria
professionale.
Alessia trattenne a stento una risata, Giulia le lanciò
un’occhiata di sbieco.
“Scusate” Alessia tentò di tornare seria
“Sono certa che Giulia stia … dando il meglio di
sé”
“E’ un ottimo avvocato” intervenne Tina,
che non capiva l’ilarità della sua amica.
“Certo che lo è” Alessia
riuscì a smettere di sghignazzare e si rivolse a Tina con
sguardo rassicurante “La persuasione è sempre
stata una delle sue doti migliori” e poi non
riuscì a trattenere un sorriso insinuante.
Tina si voltò a guardare Giulia, cercando in lei una
spiegazione per quel comportamento tanto insolito, ma la donna era
tutta concentrata sull’amica.
“Grazie, Alessia. Perché non torni dentro? Io ti
raggiungo tra un attimo” la trapassò con uno
sguardo serio che non ammetteva repliche.
L’amica sostenne tranquillamente il suo sguardo per qualche
istante, infine si rivolse a Tina con un sorriso, stavolta neutro.
“E’ stato un piacere, Tina”
“Anche per me”
Alessia gettò un ultimo sguardo all’amica, infine
tornò dentro, lasciandole sole.
Giulia si passò una mano tra i lunghi capelli, di uno strano
tono tra il rosso ed il castano, poi si accarezzò la fronte
come a voler spianare delle invisibili rughe tra gli occhi.
“Tutto bene?” Tina mosse un passo verso di lei,
incuriosita, vedendola per la prima volta perdere quella sua
proverbiale calma.
“Sto bene, non ti preoccupare. Solo un po’ di
stanchezza” Giulia alzò lo sguardo, incontrando
gli occhi di Tina, che la studiavano. Si accorse di essere sotto esame,
ma non vi si sottrasse, anzi ricambiò quello sguardo
ostentando una sicurezza ed una tranquillità che forse per
la prima volta quella sera non aveva in realtà. Tuttavia si
sforzò di sorridere, un sorriso un po’ traballante.
“Forse è anche il freddo, siamo fuori da un
po’ ormai. Dovremmo rientrare” propose Tina, con un
accento premuroso nella voce.
“Sì, forse è meglio rientrare”
In silenzio Giulia si avviò alla porta,
l’aprì e lasciò che Tina passasse per
prima. Una volta all’interno, il calore le avvolse
nuovamente, l’atmosfera si era decisamente surriscaldata
anche grazie alle decine di corpi che si dimenavano al centro della
sala a ritmo di musica.
Giulia afferrò gentilmente Tina per un polso e la
tirò vicino a sé, poi si abbassò
appena per parlarle all’orecchio.
“Raggiungo le mie amiche”
Tina si scostò leggermente per guardarla negli occhi,
rabbrividendo ancora per il solletico che il suo fiato sul collo le
aveva fatto. Annuì semplicemente.
Giulia ripeté il movimento di poco prima e si
trovò di nuovo con il viso tra i suoi capelli a pochi
centimetri dal suo collo.
“Buon proseguimento”
Le lasciò il polso, scivolando per un attimo con le dita sul
palmo della sua mano. Le sorrise un’ultima volta poi si
voltò, diretta al tavolo delle sue amiche.
Tina la osservò muoversi tra la folla, sgusciare tra i corpi
accaldati dei ragazzi che ballavano, fino a giungere al tavolo. Vide
Alessia tirarla per un braccio e farla sedere accanto a sé
ridacchiando, vide lei che le tirava una gomitata ed un’altra
delle sue amiche che si sporgeva per scompigliarle giocosamente i
capelli. Poi qualcuno la urtò e lei fu costretta a
distogliere lo sguardo. Sballottata a destra e a sinistra
riuscì a raggiungere i suoi amici che sedevano sudati e
provati al loro tavolo.
“Dove sei stata?”
Emanuele comparve al suo fianco quasi dal nulla, facendola sobbalzare.
Incurante della sua posa rigida le passò un braccio dietro
le spalle e l’attirò a sé.
“A fumare”
“Tutto questo tempo?”
“Adesso mi controlli?”
Il ragazzo la osservò dubbioso, poi sciolse lentamente il
loro abbraccio.
“Che palle quando fai così” si
lamentò contrariato.
“Scusa”
Tina si accorse di aver esagerato con il tono acido e scostante e
tentò di recuperare. Lo afferrò per un braccio
per impedirgli di alzarsi e andare via, ma lui oppose resistenza.
“Dai, Manu, per favore. Ti chiedo scusa”
Il ragazzo cedette e tornò a sedersi accanto a lei, fissando
però un punto indefinito davanti a sé.
“E’ solo che … ho mal di testa, anzi, a
dire il vero mi scoppia la testa” si giustificò
lei con voce lamentosa, poggiando il capo sulla sua spalla.
Lui mosse il braccio per circondarla di nuovo e la strinse
affettuosamente.
“Vuoi che raduno la ciurma e ce ne ritorniamo in
Abbazia?”
“Mm-mm” Tina mugugnò annuendo.
Emanuele sorrise tra sé, poi si chinò a lasciarle
un rapido bacio sulla fronte, infine si alzò per chiamare
gli altri ed organizzare il ritorno.
*************************************************************************
Il rientro dalle vacanze è sempre piuttosto traumatico,
quindi ammetto che non avevo voglia di rileggere tutto il capitolo, ma
nemmeno volevo farvi aspettare ancora...quindi, mi scuso per eventuali
errori grammaticali o di altro genere.
Spero che la lentezza del capitolo scorso sia stata, almeno in parte,
ripagata da questo XD
Come sempre fatemi sapere che ne pensate, se vi va.
Buona befana, gente!
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
CAPITOLO 5
Il lunedì successivo, il 28 Settembre,
l’aspettativa sul cantiere era palpabile, tutti attendevano
da un momento all’altro l’arrivo del professor
Giometti. Alessandro si era chiuso in baracca appena arrivato e stava
risistemando tutta la documentazione archiviata fino a quel momento.
Tina, invece, girava affaccendata per le aree controllando che tutto
fosse a posto e che ognuno stesse eseguendo il proprio lavoro al meglio.
Erano ormai le tre del pomeriggio quando in lontananza si
sentì un rumore di pneumatici. Poco dopo dal folto degli
alberi sbucò la jeep grigia del professore.
“Salve Carlo” Tina si avvicinò
all’auto proprio mentre l’imponente figura
dell’uomo ne discendeva.
“Buon pomeriggio Tina” rispose quello, alzandosi il
bavero della giacca a vento.
“Alessandro ci ha avvertiti che saresti passato, ti stavamo
aspettando"
"Ah, e per questo allora che vedo tutti così affaccendati.
Volete fare buona impressione sul capo"
Carlo sorrise alzando solo un angolo della bocca e strizzando l'occhio
a Tina.
"In realtà non abbiamo bisogno di fingere, lo sappiamo che
ci adori" rispose lei, stando al gioco.
Il responsabile rise di gusto e non ribatté, segno che
probabilmente l'archeologa aveva colto nel segno. Tina lo
accompagnò, quindi, in un giro delle aree, mostrandogli i
progressi che avevano fatto. Al termine del giro lo condusse nella
propria area.
"Ecco, Carlo, qui c'è qualcosa che vorrei farti vedere"
saltò agilmente su un terrapieno e si mosse fino al punto in
cui Stefano e Federica erano impegnati a scavare.
"Salve ragazzi" Carlo li raggiunse con il fiato un po' grosso e si
fermò accanto a loro con le mani sui fianchi facendo qualche
lungo respiro.
I ragazzi ricambiarono il saluto e continuarono diligenti il loro
lavoro.
"Cos'è che volevi mostrarmi, Tina?"
"Vedi quell'ambiente rettangolare che stiamo mettendo in luce? Come ti
avevo scritto per mail, credo che sia riferibile al castello"
"Sì, certo, ricordo che me ne avevi parlato. Beh, dalla
forma e dalla posizione direi che potrebbe essere un magazzino o
qualcosa del genere. Dov'è il problema?"
Tina s'incamminò verso un punto preciso di quel nuovo strato
messo in luce e fece segno a Carlo di seguirla.
"Il problema è questo taglio qui. Mi sta facendo impazzire,
non riesco a capire cosa può essere, tantomeno
perché si trova qui. Non ha proprio senso per me" si
accovacciò e smosse un po' di terreno con le dita,
continuando ad osservare quell'evidenza e a scuotere il capo.
"Uhm, questo sì che è strano" Carlo s'inginocchio
accanto a lei per osservare quella situazione più da vicino
"Ma è anche molto interessante"
Tina alzò gli occhi sul viso dell'uomo con un'espressione
interrogativa sul volto, invitandolo a spiegarsi.
"Allo stato attuale non posso dirti molto, non c'è
granché su cui lavorare. Per questo vorrei che lasciassi
perdere tutto il resto dell'area per il momento e ti concentrassi su
questo. Io tornerò venerdì a dare un'occhiata,
magari dopo una settimana di scavo riusciremo a cavarne qualcosa in
più"
"Sì Carlo, ma il problema è che io non so proprio
dove mettere le mani. In questo punto la stratigrafia è
davvero un casino. E se mandassi tutto all'aria?"
Il professore si alzò e Tina lo imitò, trovandosi
così faccia a faccia, sebbene l'uomo fosse decisamente
più alto di lei.
"Sei un'ottima archeologa, Tina. E la paura di sbagliare
sarà proprio quella che ti farà fare le cose per
bene e non ti farà combinare guai irreparabili. Sta solo
attenta che la paura non ti immobilizzi. L'archeologia è
distruzione, è inevitabile. Rischia pure, io mi fido di te"
le sorrise rassicurante, mentre le batteva affettuosamente una mano
sulla spalla.
Tina non sapeva cosa dire, quindi si limitò ad annuire, con
aria ancora incerta ma rassegnata all'idea che avrebbe dovuto cavarsela
da sola.
"Bene, adesso devo andare. Ci vediamo venerdì?"
“Certo, dove vuoi che vada. Spero almeno di avere qualche
buona notizia da darti”
Carlo annuì, poi si avviò giù verso il
sentiero sul quale aveva lasciato la sua jeep.
Rimasta sola, Tina si voltò nuovamente a guardare quel pezzo
di terra che la stava facendo impazzire.
“D’accordo, vediamo che riusciamo a tirarne
fuori” si inginocchiò sul terreno e
tirò fuori da una tasca la sua trowel cominciando a
raschiare la terra con deciso vigore.
Il giovedì successivo Tina si sentiva già
stremata, mentalmente e fisicamente. I giorni precedenti erano stati un
vero tormento, a causa dell’insistente aridità del
terreno e della mole enorme di materiale che c’era ancora da
catalogare, disegnare ed archiviare.
Quel pomeriggio la ragazza sedeva al computer con gli occhi ridotti a
due fessure e rossi per la stanchezza. Batteva sui tasti quasi in
automatico, sbagliando spesso lettera e dovendo tornare indietro per
correggere.
La sala computer era attraversata da un leggero brusìo,
molti ragazzi erano seduti a chiacchierare tra loro, fumare o
semplicemente passare il tempo al computer. Di quel leggero
chiacchiericcio Tina non sentiva nulla, era completamente immersa nella
stesura del diario di scavo. Un colpo sulla spalla, però, la
distrasse dallo schermo e la costrinse ad alzare lo sguardo.
“Che c’è?”
“Le piante di area 3 disegnate e corrette”
Emanuele le passò alcuni fogli, mentre prendeva una sedia e
le sedeva accanto.
“Area 3? Perché non le hai portate a Marco?
E’ lui il responsabile di area 3” Tina si
accigliò e gettò poco gentilmente le piante sulla
scrivania proprio di fronte ad Emanuele.
“Gliele ho portate, ma mi ha detto che te ne saresti occupata
tu” il ragazzo fece spallucce con aria incolpevole.
Tina sbuffò, tentò di contare fino a dieci, ma il
conto mentale si interruppe solo a tre prima che si alzasse di scatto.
“Ma che hanno tutti su questo scavo? Credono forse che sia un
gioco? Fin quando c’è da scavare sono tutti
sull’attenti, quando poi si tratta della parte noiosa vengono
tutti da me” non aveva urlato, anzi aveva usato un tono molto
basso, simile ad un sibilo intriso di veleno. Quindi, con passo svelto
uscì dalla sala computer, con i pugni stretti e il viso
corrucciato.
“Tina!”
Emanuele si affrettò a seguirla, mentre attraversava il
corridoio e si dirigeva verso le celle.
“Marco” chiamò lei con voce decisa ma
apparentemente calma.
Dall’ultima cella a sinistra sbucò il viso del
responsabile di area 3 con i capelli ancora umidi ed un’
asciugamani legato in vita.
“Ehi Tina, che succede?”
La ragazza arrestò il suo passo e lo fronteggiò,
non la separavano molti centimetri d’altezza da lui quindi
poteva tranquillamente guardarlo negli occhi.
“Succede che se non hai voglia di fare il tuo lavoro, allora
quella è la porta e puoi anche andartene” con un
braccio indicò il grande portone di legno
dell’Abbazia, ma a parte quel movimento tutto di lei rimase
immobile attraversato da una tensione quasi invisibile.
“Tina, possiamo parlarne a cena davanti ad un bicchiere di
vino” intervenne Emanuele fermandosi dietro di lei. Al di
sopra delle sue spalle osservò il viso di Marco prima
corrucciarsi e poi tornare sereno.
“Manu ha ragione, possiamo parlarne dopo. Ora come vedi sono
anche un po’ svestito” approvò il
collega. Infatti si tirò leggermente indietro e fece segno
di voler chiudere la porta, ma Tina allungò un braccio e
glielo impedì.
“Parlarne dopo un corno! Ne parliamo ora invece”
scansò bruscamente la mano che Emanuele le aveva poggiato
sulla spalla e continuò “Non me ne frega niente se
la sera hai di meglio da fare che dormire e la mattina sei uno straccio
e a stento ti reggi in piedi. Hai delle responsabilità qui e
se non sei in grado di assumertele, allora dovresti sul serio lasciare
il posto a qualcuno che ha più interesse di te per questo
scavo, e che forse è anche più capace”
Marco inarcò un sopracciglio e si grattò la nuca,
poi mise su un’espressione chiaramente infastidita.
“Ok, ora stai esagerando. Non credo che tu sia nessuno per
venirmi a dire cosa devo o non devo fare la sera, tantomeno se devo o
non devo lasciare questo lavoro. Quello che io decido di fare della mia
vita non è affar tuo”
“Diventa affare mio se lasci che le tue
responsabilità ricadano su di me e se te ne lavi le mani di
qualsiasi cosa, lasciando allo sbando anche i ragazzi che ti sono stati
affidati”
Emanuele l’afferrò per la vita, prima che un suo
dito accusatore potesse arrivare a sfiorare il naso di Marco e la
tirò indietro.
“Basta adesso, hai bisogno di prendere un po’
d’aria” le diceva all’orecchio, mentre
lei tentava di scansare le sue mani.
“Non è la prima volta che fai lo stronzo, Marco.
Credi che qui non lo sappiamo tutti che sei tra i responsabili di scavo
solo perché sei il figlio di un amico di Giometti?”
La mascella di Marco scattò ed il suo viso si contrasse.
“Portala via, Emanuele” sputò tra i
denti.
“E’ quello che sto cercando di fare”
Emanuele, spazientito, si caricò Tina sulle spalle e si
avviò all’uscita.
Nell’attraversare il corridoio la ragazza si rese conto che
tutti, ragazzi e responsabili, avevano assistito alla scena, dunque per
non dare ancora più spettacolo decise di smetterla di
dimenarsi e di lasciarsi portare fuori.
Quando furono all’aria aperta e abbastanza lontani
dall’edificio, Emanuele la rimise a terra.
“Grazie a Dio! Mi stava arrivando fin troppo sangue al
cervello” si lamentò lei, riaggiustandosi i
vestiti sgualciti.
Emanuele la guardò in tralice.
“Probabilmente se ti fosse arrivato prima più
sangue al cervello, non avresti fatto quella scenata” la
rimproverò.
“Oh andiamo, Manu, quello che ho detto non è
niente di nuovo. Lo so io, lo sai tu, lo sanno i ragazzi e lo sa pure
lui”
“Si, ma non per questo c’era bisogno di urlarglielo
in faccia”
“Magari ora la smette di fare il cazzone e decide di mettersi
a lavorare sul serio una volta per tutte” noncurante si
avvicinò ad un muretto e con un saltello ci si sedette sopra
“Hai una sigaretta?”
Emanuele la guardò sorpreso e anche un po’
perplesso.
“Si può sapere che ti prende? Ultimamente non
sembri più tu, sei irritabile, scontrosa …
insomma, una vera stronza”
“Se essere stronza significa pretendere di essere rispettata
dai propri colleghi, allora sì, sono stronza e fiera di
esserlo”
“Sai bene di cosa sto parlando”
Solo in quel momento Tina smise di tenere lo sguardo fisso sulla luna
nascente nel cielo rosa del tramonto e lo abbassò per
guardare il suo amico.
“No, non lo so di cosa stai parlando”
Emanuele le si avvicinò, poggiò entrambe le mani
sulle sue ginocchia e ricambiò il suo sguardo con
serietà.
“Te ne stai sempre per conto tuo e quando ci sei rispondi
male a tutti. Basta un niente per farti scattare, te la prendi anche se
uno dei ragazzi usa una pala anziché un badile
…”
Tina gli poggiò due dita sulla bocca e lo zittì.
“Questo non significa niente” ribatté
con calma.
“Sì, invece”
La ragazza si divincolò e saltò giù
dal muretto cominciando a camminare con passo spedito verso
l’Abbazia.
Emanuele la rincorse e l’afferrò per un braccio
costringendola a girarsi.
“Che cos’hai, Tina? Lo sai che con me puoi
parlare”
“Non ho niente, Manu. Cosa vuoi che abbia”
sfilò il braccio dalla sua presa e riprese a camminare
stavolta normalmente.
“Non ho niente. Sono solo stanca” ripeté
quasi più a sé stessa che a lui.
Quella sera Tina non cenò con loro, si preparò un
panino prima che gli altri inondassero la cucina. E mentre loro
mangiavano, lei sgattaiolò fuori a fumare una sigaretta,
come sempre seduta su un muretto e con il naso
all’insù a fissare le stelle. Quando davanti agli
occhi non vide più il cielo stellato, ma il viso di Giulia e
la sua mente la portò a chiedersi cosa stesse facendo in
quel momento l’avvocato, saltò giù dal
muretto con un balzo nervoso e con un gesto stizzito gettò
la sigaretta, schiacciandoci sopra il tallone con fin troppa forza.
Ritornò in Abbazia a passo di carica e andò a
letto decisamente presto rispetto ai suoi standard.
Il mattino dopo fu, come sempre, la prima ad arrivare sullo scavo.
Diede disposizione ai suoi ragazzi, poi a sua volta cominciò
a scavare.
Tutto sembrava nella norma, nessuno sembrava ricordare cosa era
successo il pomeriggio precedente. Nessuno, tranne Alessandro.
Il capocantiere fece capolino nell'area di Tina a metà
mattinata. La ragazza non si accorse di lui, finché la sua
ombra non si allungò al di sopra del quadrato di terra sul
quale lei stava lavorando. Solo allora alzò lo sguardo per
incrociare quello sottile e concentrato del suo amico.
"Se sei qui per farmi la morale anche tu, puoi risparmiartela, ci ha
già pensato Manu" riabbassò il capo e riprese a
pulire lo strato con scopino e paletta.
Prima di rispondere, Alessandro si inginocchiò davanti a lei
per essere alla sua altezza, e con un movimento deciso ma non brusco le
tolse di mano gli attrezzi e li lanciò poco lontano.
"Sono qui per sapere se va tutto bene"
Tina sbuffò e alzò lo sguardo su di lui con
un'espressione scocciata.
"Perché tutti pensate che abbia qualcosa che non va?"
"Perché conosciamo una Tina riflessiva, accomodante,
concentrata e disponibile al confronto. Mentre in questi giorni abbiamo
a che fare con una Tina irascibile, chiusa, dispotica e irrazionale"
"Sono un po' stressata, ok? Sono stanca, ma finalmente è
venerdì quindi avrò tutto il fine settimana per
ricaricarmi. Ti basta come risposta?" quasi con aria di sfida si
allungò per riprendere i suoi attrezzi, lasciando intuire
all'amico che il discorso era chiuso lì.
Alessandro lasciò andare un sospiro sconfitto, quindi si
rialzò e cominciò ad avviarsi giù per
il piccolo sentiero verso la baracca.
"Oggi pomeriggio viene Carlo in Abbazia, volevo ricordartelo" le
urlò, prima di sparire oltre il lieve pendio.
Il resto della mattina ed il pomeriggio trascorsero nella solita
routine di scavo. Tina e Marco sedettero distanti a pranzo, e tuttavia
la pausa trascorse tranquilla e serena.
Alla fine della giornata di scavo Tina ed Alessandro caricarono la jeep
di sacchetti di ceramica, ossa e tutto il resto del materiale trovato
in settimana, per portarlo in Abbazia e lavarlo prima di catalogarlo ed
archiviarlo.
Quando arrivarono si accorsero che il cielo dietro le colline era
grigio e nuvoloso. Tina portò la jeep all’interno
del complesso, fermandola nel cortile sul retro.
“Ehi, abbiamo trovato un sacco di materiale questa
settimana” constatò Alessandro, mentre usciva
dall’auto ed apriva il bagagliaio.
“E’ quasi tutta ceramica”
contestò l’amica incolore, raggiungendolo.
“Se non ti conoscessi direi che ne sei quasi
delusa” Alessandro si fermò con due sacchetti
colmi di cocci di ceramica in mano e la osservò con fare
perplesso ed interrogativo.
“Beh, speravo in qualcosa di meglio, se non altro per poter
dare qualche risposta in più a Carlo”
Alessandro scosse il capo ed alzò le spalle.
“Meglio la ceramica che niente. E poi lo sai che ci serve per
le datazioni, una volta non credevi fosse inutile”
così detto cominciò ad avviarsi verso il grande
portone di legno, schivando gruppi di turisti, che nel fine settimana
erano sempre numerosi.
Tina alzò gli occhi al cielo e sbuffò, poi si
sporse nel portabagagli per raccattare il resto dei sacchetti.
“Serve aiuto?”
Una voce alle sua spalle la fece sobbalzare, il sacchetto le cadde di
mano con un tonfo.
“Accidenti!” si portò una mano dietro la
nuca, mentre cercava di tenere a freno il respiro.
“Tutto ok?” Giulia le si affiancò,
poggiandosi con i fianchi al portabagagli aperto della jeep e
guardandola con uno strano sorriso sul volto.
“Mi hai fatto paura. Sbuchi sempre così
all’improvviso?” Tina mantenne lo sguardo basso,
mentre raccoglieva con gesti secchi e frenetici i cocci fuoriusciti dal
sacchetto rotto.
“Scusa, non era mia intenzione” il suo tono pareva
dire che non era affatto dispiaciuta, invece, dell’effetto
che le faceva, e lo stesso sembrava suggerire la sua espressione
divertita.
Tina sbuffò pesantemente, sperando così di
scacciare via un po’ di tensione, e finalmente decise di
alzare lo sguardo. Incontrò subito gli occhi verdi di Giulia
che sembravano placidi e rassicuranti, a dispetto della piega
enigmatica che avevano assunto le sue labbra.
“Non è colpa tua, è che ultimamente
sono parecchio tesa e scatto per un niente”
“Allora forse ti servirebbe un massaggio”
“No!”
Giulia non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase e provare ad alzare
una mano verso la spalla dell’altra che quella si era
già scostata di scatto urlando.
“No, ti ringrazio ma non è il caso. Io
… devo solo finire di portare su questi sacchetti e poi
andare dritta a farmi una doccia” continuò Tina,
ritrovando un tono di voce normale.
Quindi, raccolse la ceramica e si avviò ciondolante verso il
portone dell’Abbazia.
Giulia la rincorse e le si parò davanti per costringerla a
fermarsi.
“Lascia almeno che ti aiuti a portare questi
sacchetti” propose tendendo le braccia verso di lei
“Oggi sono vestita casual, jeans e maglia, posso passare per
archeologa no?!” scherzò tentando di alleviare la
tensione.
Tina la osservò per qualche istante. Notò come i
pantaloni le fasciassero le gambe e come la maglia attillata le
disegnasse la vita sottile e la pancia piatta. Una tracolla di stoffa
grigia affondava con la cinghia tra i suoi seni mettendone in evidenza
il profilo ed il colletto rigido del suo giubbino di pelle le sfiorava
il collo. Fu costretta a sbattere un paio di volte le palpebre per
togliersi dalla mente quelle immagini e ritornare alla
realtà.
“Prendi questi!”
Poco gentilmente le mise in braccio tre sacchetti stracolmi di ceramica
e senza più rivolgerle uno sguardo riprese a camminare.
Giulia rimase lì impietrita a guardarla sparire oltre le
mura dell’Abbazia e, quando fu sicura che lei non potesse
sentirla, scoppiò a ridere. Poi sempre scuotendo la testa e
ridacchiando decise di rientrare a sua volta.
A metà dello scalone sentì la voce di Tina e
quella di Alessandro. Decise, un po’ subdolamente, di
fermarsi ed ascoltarli senza farsi vedere.
“Che ci fa qui?” chiedeva Tina, agitata.
“Aveva bisogno di alcuni documenti che teniamo qui e Carlo le
ha proposto di venire con lui. Ma scusa perché ti sconvolge
tanto?” rispondeva Alessandro, palesemente perplesso.
“Sconvolgermi?! Ma che dici, perché dovrebbe
sconvolgermi! Stavo solo chiedendo”
“Hm-hm” Giulia riprese a salire, annunciando il suo
arrivo con qualche finto colpo di tosse.
Tina sgranò gli occhi e la guardò
dall’alto verso il basso, quindi strinse al petto i sacchetti
che ancora reggeva e vagò qualche istante con lo sguardo tra
lei ed Alessandro.
“Vado a farmi una doccia” decretò
infine, muovendosi verso i bagni.
“Ma prima mi sa che è meglio se poso
questi” indicò i sacchetti che reggeva tra le
braccia e rapidamente invertì il suo passo verso il
magazzino, facendo attenzione a non posare lo sguardo su nessuno dei
due ragazzi, che la stavano guardando, trattenendosi a stento dal
ridere della sua goffaggine.
Quando Tina sparì nel corridoio, Giulia si girò
verso Alessandro.
“Ma che ha, sta bene?”
“In realtà è qualche giorno che
è piuttosto strana. Ah, questi dalli a me”
Alessandro si sporse verso di lei e le prese i sacchetti che ancora
reggeva “Li poggiamo qui, poi ce ne occuperemo”
Dopo essersi disfatto rapidamente di quell’ingombro,
tornò a guardare Giulia sorridendo rilassato.
“Che ne dici di fare quattro passi fuori?”
L’avvocato tentennò qualche istante, gettando
delle occhiate furtive al corridoio.
“Dai che c’è il tramonto a
quest’ora, ti assicuro che è uno
spettacolo” la esortò Alessandro, che poi non
vedendola ancora convinta la prese sottobraccio e la spronò
anche con lo sguardo a seguirlo.
Giulia guardò un’ultima volta il corridoio,
desolatamente vuoto, quindi con un lungo sospiro si decise a seguirlo.
“D’accordo, andiamo. Ma se il tramonto non
è uno spettacolo pagherai pegno!”
Alessandro rise e annuì col capo.
“Tutto quello che vuoi” concesse divertito
discendendo lo scalone verso il portone.
Intanto Tina posava la ceramica in magazzino e tornava nella sua
celletta per prepararsi ad andare in doccia. Con indosso solo
l’accappatoio camminava velocemente per il corridoio.
Passando accanto ad un finestrone, che dava sul prato antistante
l’Abbazia, si fermò ad osservare i due ragazzi che
erano usciti.
Alessandro era poggiato di spalle ad un muretto e teneva tra le braccia
Giulia che si poggiava al suo petto con la schiena. Erano rivolti verso
il sole calante ed il cielo tinto di una strana tonalità di
viola. Tina poteva vedere il volto sorridente del suo amico, ma non
riusciva a vedere l’espressione di Giulia, che immobile quasi
come una statua teneva il viso chino e girato dalla parte opposta.
Stringendosi nell’accappatoio, Tina riprese velocemente il
passo e quasi si catapultò nella prima doccia libera che
trovò, aprendo il getto d’acqua in un sol colpo e
trattenendosi dall’urlare per quanto era gelida.
Più tardi la ragazza si stava asciugando i capelli, quando
un improvviso calo di tensione elettrica fece inceppare il phon che
cominciò ad andare a singhiozzo. Un attimo dopo un tuono
squarciò la quiete dell’Abbazia facendo tremare
perfino i vetri delle finestre. La luce resistette fortunatamente,
riassestandosi dopo quel fragore, ma dall’esterno si sentiva
ormai lo scrosciare insistente dell’acqua ed il temporale che
imperversava.
Tina lasciò perdere i capelli che erano quasi del tutto
asciutti e, indossata una felpa, andò in cucina. Emanuele e
Stefano stavano cucinando, mentre in un angolo della sala, seduto a
capo chino, Carlo stava esaminando alcuni documenti.
“E’ un inferno là fuori!”
La voce affannata di Alessandro fece voltare tutti i presenti verso
l’ingresso della stanza. Il capocantiere avanzò
gocciolante verso Carlo.
“Sta venendo giù anche il cielo, non potete
andarvene con questo tempo” disse rivolto proprio al
professore.
“Sì, lo avevo immaginato. D’altronde le
previsioni lo avevano detto, ma visto il sole di stamattina credevo
sbagliassero come al solito” Carlo gettò
un’occhiata verso una finestra, illuminata proprio in
quell’istante da un lampo, ed alzò le spalle con
aria sconfitta.
“Che problema c’è, rimanete
qui” propose Emanuele.
“Non hanno ricambi, e noi non abbiamo altre stanze. Come si
fa?” protestò Tina, badando subito al lato pratico.
“Emanuele ha un letto in più nella sua cella per
Carlo e io posso prestargli qualcosa, abbiamo quasi la stessa
taglia” fece notare Alessandro “e per Giulia
… nella tua cella non c’è un letto in
più?” domandò a Tina.
La ragazza fu colta quasi di sorpresa, non aveva considerato quella
eventualità, aveva anche dimenticato di avere un altro letto
oltre il suo nella cella.
“Sì” pigolò incerta.
“Bene, allora il problema è risolto”
Carlo chiuse il plico di documenti che stava leggendo e si
alzò stiracchiandosi “Passiamo a cose
più importanti ora: che c’è per
cena?”
Tutti quanti scoppiarono a ridere, mentre il professore si avvicinava
ai fornelli e cominciava a discutere con Emanuele e Stefano di cibi e
ricette.
“Vado a cambiarmi” Alessandro si girò,
pronto ad uscire dalla cucina, ma Tina lo fermò per un
braccio.
“Giulia dov’è? Non eravate
insieme?”
Lo sguardo dell’amico si assottigliò, gli comparve
qualche ruga sulla fronte e attorno alle labbra strette tra loro con
fin troppa forza.
“Non lo so, forse in bagno”
“Non siete tornati insieme?”
“Sono fradicio, Tina, lasciami andare a cambiarmi”
così dicendo si liberò velocemente dalla sua
stretta e sparì dalla cucina, lasciandola completamente di
sasso.
********************************************************************
Un pizzico di suspance, spero che non vi dispiaccia :D
Aspetto di sapere che ne pensate, al prossimo capitolo!
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
CAPITOLO 6
Tina era rimasta confusa ed anche un po’ offesa dal modo
burbero in cui l’aveva liquidata Alessandro. Era scappato
via, prima che lei potesse tentare di fermarlo. Le era sembrato quasi
arrabbiato, quando le aveva chiesto che fine avesse fatto Giulia. Quel
comportamento l’aveva insospettita, così decise di
andare a cercare l’avvocato sperando di capirci qualcosa in
più di quella storia.
La trovò effettivamente in bagno, come aveva suggerito
l’amico. La giacca bagnata e la tracolla erano abbandonate su
uno sgabello in un angolo, lei era intenta a guardarsi allo specchio,
mentre legava i capelli umidi in una coda di cavallo.
“Ehi”
La voce di Tina la fece sobbalzare, l’elastico le
sfuggì di mano e si ruppe.
“Porca miseria!” imprecò Giulia,
poggiando una mano sul bordo del lavandino e l’altra sul
petto. Il cuore le era salito in gola ed aveva il respiro leggermente
affannato.
“Stavolta sei tu ad essere tesa o sbaglio?” Tina le
si avvicinò canzonandola ma senza cattiveria, semplicemente
volendo alleggerire l’aria che pareva decisamente troppo
pesante “Tieni, usa questo” si scoprì il
polso destro dal quale sfilò un elastico e glielo porse.
“Grazie”
Giulia lo prese e finì in silenzio di aggiustarsi i capelli,
le labbra dischiuse ed il respiro leggermente sibilante che le sfiorava
rendendole secche.
“Abbiamo pensato che con questo tempo sarebbe meglio che tu e
Carlo passiate qui la notte”
“Non credo sia necessario, abbiamo le auto possiamo
tranquillamente tornare a Siena”
Tina restò un attimo sorpresa dal tono perentorio con cui
l’altra aveva appena parlato, poi si spostò verso
una piccola finestra che dava sul cortile nel retro
dell’Abbazia e, con un cenno del capo invitò
Giulia ad avvicinarsi e guardare fuori.
L’avvocato la osservò in silenzio, infine decise
di assecondarla. Ciò che vide all’esterno le fece
rilasciare un sonoro sospiro sconfitto. Veniva giù talmente
tanta acqua che il profilo delle colline era ormai scomparso, a stento
si riuscivano a vedere le sagome delle auto parcheggiate nel cortile.
Il terreno, che era stato segnato dal passaggio degli pneumatici, era
ormai ridotto ad una indistinta fanghiglia e non si riusciva
più ad individuare il confine del sentiero. Le ruote delle
auto erano già sommerse per metà da quel
fiumiciattolo marrone che scorreva furioso verso una piccola scarpata.
“Ha rinunciato Carlo che ha un fuoristrada, vuoi davvero
tentare tu con un’utilitaria?” commentò
Tina retorica.
Giulia sbuffò, si portò una mano al collo ed
infilò l’indice tra la pelle e la maglia,
scostandone il colletto per qualche attimo, come se quella la
costringesse troppo. Infine, alzò le spalle arrendendosi
all’evidenza.
“D’accordo, ma in tal caso dove
dormiremo?”
A quel punto Tina abbassò lo sguardo cominciando a
giochicchiare con la zip della felpa.
“Emanuele ospiterà Carlo e tu dormirai con
me”
“Insieme?”
“Sì … cioè no! Voglio dire
dormiremo in un letto nella stessa stanza, ma non uno solo, sono
due” Tina si fermò a riprendere fiato, disperando
di riuscire a dare una forma coerente al proprio discorso.
Alzò lo sguardo su Giulia che appariva tranquilla, aveva un
leggero sorriso obliquo ad incresparle le labbra, solo il petto che si
alzava ed abbassava troppo freneticamente, come se avesse appena finito
di correre, era una nota stonata nel suo consueto aspetto disinvolto.
“Vuoi dire che dormiremo in due letti singoli?”
suggerì l’avvocato.
“Sì, esatto” approvò Tina,
grata che l’altra avesse comunque inteso il suo discorso.
Giulia annuì accondiscendente, fece qualche colpo di tosse e
si portò le mani al petto per cercare di fermare i sussulti
del proprio corpo.
“Bene, in tal caso ti ringrazio e spero di non crearti troppo
disturbo” gracchiò a fatica.
“Nessun disturbo, figurati” Tina fece spallucce ed
accennò un mezzo sorriso.
Le due ragazze si trovarono inaspettatamente a guardarsi l’un
l’altra, senza avere più niente da dire. A
disturbare i loro pensieri solo il ticchettio della pioggia sui vetri
della finestra ed i loro visi di profilo illuminati a tratti dal
bagliore dei lampi. Tina si dondolava sui talloni con le mani infilate
nelle tasche posteriori dei jeans e rovistava freneticamente nel suo
cervello per trovare qualcosa da dire e porre fine a quel silenzio
imbarazzante. All’improvviso si rese conto che Giulia stava
sbiancando, era pallida come un cencio. Mosse un passo indeciso verso
di lei e la vide respirare a fatica, le labbra dischiuse in cerca di
aria che non riusciva a trovare, una mano stretta attorno al collo e
l’altra sul petto all’altezza del cuore.
“Giulia, che hai?” le poggiò una mano
sul gomito, cercando di attirare la sua attenzione.
L’avvocato, invece, aveva lo sguardo fisso su un punto del
muro dietro di le spalle di Tina.
“Che ti succede, Giulia?” incalzò ancora
l’archeologa, stavolta con una chiara nota di panico nella
voce.
Giulia fece qualche passo all’indietro, trovò con
la schiena la parete e ci si poggiò vicino. Aveva il respiro
sempre più corto ed affannato, il cuore pompava talmente
forte che sembrava volerle uscire dal petto. Cominciò a
scivolare sulle ginocchia, sentendole tremare.
Tina l’afferrò per le braccia ed
accompagnò la sua caduta, la fece sedere a terra con la
schiena poggiata al muro e s’inginocchio al suo fianco. Le
tremavano le mani, mentre la prendeva per il mento e le faceva voltare
la testa nella sua direzione. La scosse violentemente, non sapendo come
altro fare per farle tornare un briciolo di lucidità.
“Dimmi che posso fare, Giulia” la
implorò, guardandosi freneticamente attorno per cercare di
farsi venire un’idea.
Giulia strinse le dita attorno al suo polso e finalmente la
guardò negli occhi, sembrava più lucida, ma
rantolava ancora senza riuscire a fare dei respiri pieni. Tina
coprì la sua mano con la propria e Giulia gliela strinse
forte.
“I … na … la to …
re” annaspò con la gola che le si stringeva ad
ogni sillaba.
“Cosa? Non ho capito” Tina le si fece
più vicina, chinò il viso accanto al suo ed
avvicinò l’orecchio alla sua bocca.
“La … mia … bor sa”
farfugliò Giulia, spostando a fatica gli occhi sulla sua
tracolla, abbandonata su uno sgabello nell’angolo opposto.
Tina si rimise dritta e seguì il suo sguardo. Le
lanciò un’occhiata d’intesa, avendo
capito quella volta cosa volesse intendere, e si alzò lesta.
Recuperò la borsa in un secondo e tornò ad
inginocchiarsi accanto a lei. L’aprì rovistando
freneticamente al suo interno, finché trovò un
piccolo cilindro di plastica blu con una scritta arancione. Lo
tirò fuori e lo mostrò a Giulia.
“Questo?”
L’altra annuì appena, non riusciva a formulare
alcun suono che non fosse un sibilo sinistro, dovuto alle vie aeree
completamente chiuse. Alzò una mano e prese
l’inalatore, lo avvicinò alla bocca e fece un
primo spruzzo, tentando contemporaneamente di tirare un profondo
respiro. Rantolò e tossì un paio di volte.
Tina abbandonò la borsa sul pavimento ed alzò una
mano sulla sua fronte per spostarle i capelli ed accarezzarla.
Giulia si girò verso di lei, mentre premeva di nuovo
l’inalatore e faceva un altro respiro profondo, stavolta meno
frenetico. Allungò una mano per intercettare quella libera
di Tina, che l’archeologa le aveva posato sul ginocchio, e la
strinse.
Tina gettò un veloce sguardo alle loro mani, poi
tornò a guardarla in viso ed accennò un sorriso
mite, con una ruga di preoccupazione che ancora le solcava la fronte.
Continuò ad accarezzarle i capelli, mentre la sentiva
tornare a respirare piano, seppur a fatica.
“Va meglio?” azzardò, spiando il suo
viso e le sue espressioni per accertarsi che stesse bene.
Giulia annuì e tossicchiò per schiarirsi la voce.
“Grazie” sibilò in tono appena udibile.
L’aria le graffiava la gola ancora infiammata e le dava
fastidio.
“Soffri d’asma?”
“Sì. Non è una forma molto acuta,
attacchi del genere mi capitano una, o due volte
all’anno” affannava ancora, si fermò per
tirare il fiato, tossì ancora una volta “Il freddo
e l’umidità possono influire”
Tina allontanò le mani dal suo corpo e si sfilò
velocemente la felpa. Le fece scostare la schiena dal muro e gliela
poggiò sulle spalle, soffermandosi con le mani sulle sue
braccia, frizionando un paio di volte per scaldarla.
“Sei tutta bagnata” commentò con
disappunto “Ci credo che ti è venuta una crisi del
genere”
“Sto bene, non devi preoccuparti”
mormorò Giulia, che stava riacquistando un colorito normale
ed una voce più ferma.
Tina scosse la testa con aria irremovibile.
“Adesso vieni con me, che ti presto qualcosa di asciutto,
così ti cambi” si scostò un
po’ da lei rimettendosi in piedi, ma restando piegata in
avanti sulle ginocchia, e le tese le mani “Ce la fai ad
alzarti?”
Giulia gettò un’occhiata indecisa alle sue mani,
poi guardò il suo viso e la sua espressione che la esortava
a darle retta. Alla fine le afferrò e si lasciò
tirare in piedi.
Tina sorrise soddisfatta, si accertò che lei si reggesse da
sola sulle proprie gambe, poi andò a recuperare la sua
giacca e la borsa avviandosi all’uscita. Si fermò
un attimo sulla soglia del bagno, voltandosi di tre quarti per
assicurarsi che Giulia la seguisse, poi riprese a camminare per il
corridoio verso la sua stanza.
Una volta dentro poggiò giacca e borsa sulla scrivania e
cominciò a rovistare in un borsone blu ai piedi del suo
letto. Giulia l’aveva seguita poco distante e
l’aveva raggiunta restando ferma sulla soglia con una spalla
poggiata allo stipite e le mani infilate nelle tasche, la osservava in
silenzio.
“Sei più alta di me e più magra, ma
questi dovrebbero andarti bene” diceva intanto Tina ancora
accovacciata accanto al borsone dal quale aveva tirato fuori un
pantalone di tuta grigio e una maglia di cotone blu a maniche lunghe
con una stampa di snoopy sul petto.
“Sei gentile, grazie”
L’avvocato non si mosse di un centimetro, continuando
semplicemente ad osservarla con un sorriso neutro sulle labbra e le
guance ormai nuovamente colorite.
“Ehm … ok, te li lascio qui. Tieni pure la mia
felpa se hai freddo”
Tina si alzò in piedi accanto al letto, dove aveva posato i
vestiti che aveva recuperato per Giulia, e piegò un braccio
dietro il collo per grattarsi la nuca, mentre con gli occhi vagava per
la piccola stanza. Era piuttosto disordinata, ma d’altronde
fino a quel momento nessun altro ci era mai entrato eccetto lei, quindi
non si era mai posta il problema di mettere ordine, anche
perché lei nel suo disordine trovava sempre tutto.
“Hm-hm” Giulia tossicchiò per riportare
Tina alla realtà, intanto il suo sorriso si era aperto ed
era diventato anche piuttosto divertito “Tutto a
posto?”
L’archeologa sbatté un paio di volte le palpebre
poi rimise a fuoco il viso di Giulia.
“Eh?! Ah sì, sì certo. Va bene, allora
ti lascio così puoi cambiarti” così
dicendo mise le mani nelle tasche posteriori del pantalone e a capo
chino si avviò verso la porta.
Dal momento che Giulia non si era mossa dalla sua posa plastica accanto
allo stipite, lei dovette sfilarle di fianco sfiorandola con tutto il
corpo. Una volta fuori, continuò a camminare fissando le
mattonelle di cotto dell’Abbazia davanti a sé fino
alla cucina.
Giulia la raggiunse poco dopo, Tina le chiese come si sentisse e lei le
assicurò di stare bene. Le spiegò che in genere
riusciva a tenere l’asma sotto controllo con una cura
antibiotica mirata e che attacchi così violenti le erano
capitati solo in periodi di particolare stress o in primavera, a causa
dei pollini.
Più tardi le tavolate erano piene di studenti e responsabili
che cenavano e chiacchieravano tranquillamente, sovrastando con il loro
allegro brusio perfino i rumori del temporale che ancora imperversava.
Tina era seduta tra Carlo ed Alessandro ed aveva di fronte a
sé Giulia ed Emanuele.
Quando avevano preso posto le era parso strano che Alessandro non
facesse di tutto per sedere al fianco dell’avvocato, ma
quando aveva provato a chiedergli il motivo lui aveva semplicemente
alzato le spalle commentando seraficamente: “Mi sono seduto
nel primo posto libero che ho trovato”
La spiegazione non l’aveva soddisfatta, ma poi Carlo le aveva
chiesto notizie della sua area e si era ampiamente distratta dal
comportamento strano del suo amico.
Emanuele d’altronde stava facendo di tutto perché
Giulia non rimpiangesse l’assenza di Alessandro al suo
fianco. Tina li osservava di tanto in tanto ed ogni volta trovava il
viso di Giulia sempre sorridente e divertito, a volte anche fin troppo
vicino a quello di Emanuele, che di tanto in tanto si avvicinava per
parlarle all’orecchio e farsi sentire al di sopra del vociare
della sala.
Alessandro pareva non badare ai due ed era tutto preso da una
conversazione con Marco. Dopo un primo di ravioli con ricotta e spinaci
particolarmente salati, Tina stava allungando la mano verso una
bottiglia d’acqua ma la bloccò a
mezz’aria quando si accorse che Giulia stava facendo
esattamente la stessa cosa. Alzò gli occhi sul suo viso
accorgendosi che l’altra la stava già guardando da
un pezzo e che, tuttavia, non aveva fermato la corsa della propria
mano. Giulia afferrò la bottiglia e riempì prima
il bicchiere di Tina e subito dopo il suo.
“Grazie”
L’avvocato rispose con un semplice sorriso, non staccandole
gli occhi di dosso fin quando fu costretta da Emanuele, che reclamava
la sua attenzione.
“Nemmeno tu bevi vino?” stava chiedendole il
ragazzo.
“Certo che lo bevo, ma stasera credo sia meglio che io beva
solo acqua. Perché, chi è che non beve
vino?”
“La signorina lì, saranno almeno tre anni che
cerco di farle assaggiare un goccio di vino ma non sono mai riuscito
nemmeno a farle bagnare le labbra” Emanuele col suo solito
fare allegro indicò Tina, che inutilmente tentava di
nascondersi dietro il bicchiere da cui stava bevendo.
“Non ti piace il vino?” domandò Giulia.
“Solo quello bianco frizzante, servito freddo. Ma lo bevo
raramente, non lo preferisco”
“Allora vedi che non è vero. A quanto pare non la
conosci poi così bene” Giulia si voltò
verso Emanuele gettandogli un’occhiata di scherno.
“Ma non è colpa mia, non me l’aveva mai
detto” si difese lui.
“Perché non me l’hai mai
chiesto” protestò Tina.
Giulia alternò lo sguardo tra i due godendosi divertita quel
piccolo battibecco.
“Per caso voi due siete stati insieme?”
“No” e “Magari” furono le
risposte che diedero in contemporanea Tina ed Emanuele.
Giulia scoppiò a ridere, ma non fece altri commenti e
tornò semplicemente a mangiare.
Dopo cena i responsabili restarono seduti a bere e fumare in cucina
più a lungo del solito, un po’ perché
era venerdì, un po’ perché invogliati
dalla presenza di Carlo.
Alessandro fu il più silenzioso del gruppo, con la sua birra
in mano si limitava ad annuire o a sorridere alle battute ma senza
realmente partecipare alla conversazione. Tina lo osservava in parte
incuriosita, in parte preoccupata. Approfittò del momento in
cui si alzò per andare a recuperare un’altra birra
in frigo per seguirlo e potergli parlare lontano da orecchi indiscreti.
“Ale, tutto a posto?”
“Sì, certo”
“Beh, non mi pare”
“Problemi tuoi, allora”
Il capocantiere cercò di passare oltre il bancone della
cucina per tornare al tavolo, ma Tina gli tagliò la strada.
“Smettila di dirmi bugie” lo affrontò
l’amica, osservandolo con aria seria e preoccupata.
“Se vuoi che smetta di mentire, allora tu smetti di
chiedere”
Si fronteggiarono qualche istante, occhi negli occhi, Tina
evidentemente delusa da quella risposta arrogante e perentoria,
Alessandro semplicemente irritato ed amareggiato. Dopo qualche istante,
la ragazza si mosse di lato per dargli spazio e lui sfrecciò
fuori dalla porta secondaria della cucina con la birra in mano.
Tina tornò verso la tavola, dove gli altri continuavano a
ridere e scherzare senza aver minimamente notato ciò che era
accaduto fra lei e l’amico. Con l’umore decisamente
sotto la suola delle scarpe decise che era ora di andare a dormire.
“Ragazzi, io vado. Buona notte” annunciò
tentando di mantenere un tono normale e sforzandosi di sorridere.
Aveva già voltato le spalle alla tavolata, quando fu
costretta a fermarsi dalla voce di Giulia.
“Aspetta, vengo con te, sono stanca morta”
Tina aspettò che l’avvocato
l’affiancasse per poi riprendere a camminare. Arrivarono alla
celletta in silenzio.
Una volta dentro Tina aprì un cassetto della scrivania che
fungeva anche da comò.
“Qui ci sono delle lenzuola pulite ed una coperta, la notte
fa piuttosto freddo”
“Grazie”
Nuovamente in silenzio cominciarono a prepararsi per la notte. Tina
tolse le scarpe e la felpa, poi un po’ a disagio sedette sul
bordo del letto indecisa sul da farsi: indossava un jeans ed una
maglia, non poteva dormire così. Giulia, sebbene di spalle
intenta ad aggiustare il letto, intuì la sua indecisione.
“Se ti crea problemi, posso uscire mentre ti cambi”
le disse ruotando il busto di tre quarti verso di lei.
“Cosa?! Ah no, ma figurati … stavo solo
… pensavo ad una cosa” Tina tentò di
giustificarsi, vergognandosi per la poca maturità che stava
dimostrando. In fondo quando faceva la doccia era capitato che affianco
a lei ci fossero sia maschi che femmine ed i plexiglas che fungevano da
divisori erano tutt’altro che oscurati, quindi
perché tutte quelle storie per infilare un pigiama!
“Sicura?” insistette Giulia, indugiando ancora con
lo sguardo su di lei e con un sorrisino irriverente sulle labbra.
“Sì, certo”
Prendendola quasi come una sfida, Tina si alzò in piedi ed
afferrò i lembi della maglia cominciando ad alzarla. Quando
se ne fu liberata e tornò a guardare davanti a
sé, Giulia era nuovamente di spalle, concentrata a rifare il
letto.
Tina finì di prepararsi in un batter d’occhi e si
mise sotto la coperta nel momento in cui Giulia sfilò la
felpa e sciolse i capelli scuotendo il capo vigorosamente per liberarli
dal segno dell’elastico.
“Luce accesa o spenta?” domandò
voltandosi verso Tina in cerca dei suoi occhi e di una risposta.
“Spenta ma accendi quello, per favore” le
indicò una piccola luce da notte infilata nella presa
accanto alla scrivania.
L’avvocato annuì e
l’accontentò, infine, tolte le scarpe, anche lei
si mise a letto.
“Buona notte, allora”
“Giulia, aspetta”
La voce di Tina era arrivata come un sussurro quasi impalpabile, Giulia
rimase un attimo immobile, coperta fino al collo dalle lenzuola, poi
con un fruscio si rotolò nel letto fino a voltarsi dalla
parte di Tina. I letti erano affiancati, a dividerli non più
di una cinquantina di centimetri.
“Che c’è?”
Tina si tirò su, scalciando via le coperte e poggiandosi con
la schiena al muro, il viso rivolto verso il letto
dell’altra, con gli occhi appena socchiusi per mettere bene a
fuoco la sua figura nella penombra della stanza.
“Lo so che non sono fatti miei, ma devo
chiedertelo” disse dopo un attimo di pausa, poi un sospiro.
“Dimmi, Tina” articolò Giulia quasi con
circospezione.
“Per caso è successo qualcosa con
Alessandro?”
Stavolta fu il turno di Giulia di sospirare, sgusciò fuori
dalle coperte sedendosi al centro del letto con le gambe incrociate e
lo sguardo fisso su di lei.
“Oggi abbiamo parlato un po’, e diciamo che
c’è stata un’incomprensione”
spiegò in maniera poco chiara ma diplomatica.
“Vi ho visti in giardino oggi, guardavate il tramonto.
Abbracciati” incalzò Tina, non contenta di quella
spiegazione sommaria.
“Ci hai spiati?” proruppe Giulia sgranando gli
occhi divertita.
“No!” si difese l’altra immediatamente
“No … io, no, non vi stavo spiando. Passavo alla
finestra e vi ho visti. E’ stato un caso, solo un
caso” si allungò a prendere le coperte
stringendole tra le mani e tirandosele fin sopra il petto, in una
posizione apparentemente difensiva.
“Certo, solo un caso” ripeté Giulia
sorridendo provocatoria “Ad ogni modo hai visto solo il primo
tempo del film, ti sei persa la parte migliore”
“Sarebbe a dire?” indagò Tina con la
fronte corrugata e lo sguardo attento.
“Sarebbe a dire che dopo Alessandro mi ha baciata e si
è beccato uno spintone ed un due di picche epico”
“Ma perché, scusa? Sembrava che ti
piacesse” protestò Tina.
Giulia scosse la testa con aria decisa.
“Nah, non è il mio tipo”
“Ma che risposta è?! E’ bello,
simpatico, intelligente, divertente e premuroso”
“Sembra che non abbia difetti” replicò
Giulia scetticamente ironica.
“Beh, sicuramente ne ha” rifletté Tina,
alzando lo sguardo come per pensare “Ma nessuno è
perfetto e Alessandro è un bravo ragazzo”
Giulia rise discretamente, intanto si mosse piano piegando le ginocchia
al petto e circondandole con le braccia.
“Di sicuro di difetto, per me, ne ha uno
insormontabile” obiettò sempre con tono lieve e
allegro.
“Cioè?”
“E’ un uomo”
Tina rimase immobile, continuava a guardare il profilo
dell’altra nella penombra della stanza. Il suo cervello
elaborò quella risposta per più di una volta,
finché giunse ad una conclusione inevitabile.
“Vuoi dire che tu … che a te piacciono
… che tu sei …”
“Lesbica. E’ questa la parola che stavi
cercando” Giulia le sorrise tranquillamente
“Sì, sono lesbica” ribadì,
osservando con attenzione le reazioni di Tina.
Quest’ultima si agitò qualche istante nel letto,
piegò le gambe, poi le distese nuovamente, infine le
incrociò, il tutto continuando a giocare nervosamente con
l’orlo del lenzuolo che stringeva tra le mani.
“Strano … cioè, non l’avrei
mai detto … voglio dire, non sembri
così”
Giulia arricciò un attimo il naso con un espressione
infastidita sul volto.
“Perché non ho i capelli corti, sono a mio agio in
una gonna e cammino disinvoltamente su tacchi di dieci
centimetri?!” sbuffò ironica dal naso, cercando di
tornare ad essere tranquilla.
“Scusa … io … non volevo
offenderti” Tina abbassò lo sguardo, voltando
leggermente il volto dal lato opposto.
“Tranquilla” Giulia sospirò, pentendosi
di quella risposta fin troppo sarcastica “Non è
colpa tua. Il fatto è che l’immaginario comune
sugli omosessuali, in particolare sulle lesbiche, avrebbe bisogno di
una svecchiata. E’ da settant’anni ormai che non
camminiamo più con un triangolo nero cucito sui
vestiti”
Tina si rilassò lentamente, tornando a guardare
l’altra con una maggiore tranquillità.
“Ad Alessandro lo hai detto?”
s’informò.
“No”
“Perché?”
“Perché sembrava già abbastanza deluso
dall’essere stato rifiutato, non mi andava di girare il dito
nella piaga”
“Ma glielo dirai?”
“Gli darò il tempo di smaltire la cosa, poi glielo
dirò tranquillamente. Non vado in giro a sbandierare la mia
omosessualità ai quattro venti, ma di certo, se
l’occasione lo richiede, non ne faccio mistero”
“Ok”
Tina spostò lo sguardo sulla parete di fronte a
sé e rimase così ferma per alcuni momenti,
sembrava riflettere su qualcosa, ed il suo viso seguiva esattamente il
filo dei suoi pensieri lasciandoli trasparire attraverso diverse
espressioni.
Giulia la osservò e, seppur evidentemente stordita da quella
notizia, sembrava tranquilla. Lo vedeva dal ritmo regolare con cui
respirava e dal fatto che le mani ormai erano semplicemente abbandonate
sul lenzuolo, senza più stringerlo convulsamente.
“Tutto bene?” domandò comunque.
Tina si ridestò dai propri pensieri e si voltò
con uno scatto verso di lei, come se avesse urlato anziché
parlarle piano nell’intimo buio di quella stanza.
“Sì, certo” rispose frettolosamente.
“Se preferisci che …” Giulia non sapeva
nemmeno cosa stava per proporle esattamente, ma non ebbe bisogno di
scoprirlo, perché Tina la bloccò prima che
potesse finire la frase.
“No, Giulia. Va tutto bene, sul serio … tutto
bene. E’ tardi, però, sarà meglio
dormire. Buona notte” pronunciò tutto
d’un fiato, incespicando nelle esse come le accadeva quando
parlava troppo velocemente. Scivolò nuovamente distesa a
letto e le diede le spalle coprendosi quasi fin sopra la testa.
Giulia rimase disorientata dalla velocità con cui aveva
agito e parlato, si prese qualche istante per riflettere, poi
tornò anche lei a distendersi.
“Buona notte, allora” disse con tono leggermente
incerto.
Tina le rispose con un semplice grugnito attutito dalle coperte sotto
le quali era sprofondata.
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Eccola qui, la grande rivelazione, finalmente è arrivata!
Spero che le modalità non siano risultate troppo noiose.
Come al solito, fatemi sapere che ve ne pare, se vi va.
Al prossimo capitolo.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
CAPITOLO 7
La mattina successiva Tina aprì gli occhi
infastidita da un timido raggio di sole, che proveniva dalla
finestrella della stanza. La prima cosa che vide,
dall’angolazione distorta dal suo essere ancora distesa su un
fianco, fu la schiena di Giulia che si stava rivestendo. Il suo sguardo
indugiò sulle fossette di Venere, finché la
stoffa della maglia le coprì.
“Ciao” biascicò ancora intontita dal
sonno.
“Buongiorno!” Giulia si voltò,
completamente vestita con i suoi abiti ormai asciutti e le
riservò un grande sorriso “Mi dispiace, non volevo
svegliarti”
“Non sei stata tu, ma lui”
Con gli occhi semichiusi Tina indicò il raggio, che
attraversava la stanza, per morire proprio sul cuscino
all’altezza del suo viso.
Giulia ridacchiò e si accostò alla finestra per
socchiudere le imposte creando una piacevole penombra.
“Meglio così?”
“Sì, grazie. Vai già via?”
Tina si mise a sedere al centro del letto con la schiena poggiata alla
parete e le gambe incrociate, sbadigliando e grattandosi i capelli
scompigliati dal sonno.
“Ho pensato di approfittare del sole per tornare in
città, ho del lavoro da sbrigare” rispose Giulia
mentre, seduta sul bordo del letto, si allacciava le scarpe.
“Ma è sabato” protestò Tina.
“Lo so, ma ieri ho lasciato del lavoro arretrato per venire
qui il pomeriggio. Speravo di poter recuperare la sera ed invece
…” lasciò la frase in sospeso facendo
spallucce.
“Almeno fai colazione prima”
Giulia si arrestò nel gesto di infilare la giacca e
guardò Tina con aria divertita.
“Potrei pensare che tu non voglia lasciarmi andare”
Tina sgranò gli occhi e le guance le si colorarono di un
leggero rosso, si alzò in fretta dal letto ed
indossò una felpa da sopra la maglia del pigiama.
“Io … no … che c’entra,
cioè, volevo solo essere gentile. Allora che fai,
vieni?” si fermò fremente sulla soglia della
celletta, più fuori che dentro, e la guardò.
Giulia sorrise a mezza bocca, posò la giacca ed
indossò nuovamente la sua felpa per combattere
l’aria frizzante della mattina e la raggiunse.
“Sì, eccomi”
Arrivarono in cucina avvolte dal silenzio che governava
l’Abbazia. Il tavolo era già stato preparato per
la colazione la sera precedente dai ragazzi che avevano il turno cucina
quel giorno. C’era ogni tipo di marmellata, biscotti, fette
biscottate e anche della nutella.
“Caffè?” chiese Tina avviandosi verso i
fornelli.
“Assolutamente sì!” Giulia sedette
tranquilla scrutando la tavola imbandita.
Tina combatté contro uno sbadiglio e cominciò ad
armeggiare con la macchinetta.
“Cosa mangi tu di solito?” le domandò
l’avvocato.
“Fette biscottate e nutella” rispose lei, senza
voltarsi, mentre metteva la moca sul fuoco.
Mentre aspettava, recuperò del latte dalla dispensa.
Tornando accanto al piano della cucina, si fermò a guardare
distrattamente fuori da una piccola finestra, lo sguardo perso tra le
colline appena baciate dal sole nascente. Dopo poco sentì il
fischio della moca, spense il fornello e la portò a tavola.
Quando sedette si accorse che davanti a lei c’era un piatto
con due fette biscottate già spalmate di nutella,
guardò il piatto di Giulia e vide altrettante due fette,
stavolta però con della marmellata. Alzò gli
occhi sul viso dell’avvocato e la trovò sorridente
e rilassata.
“Grazie” le disse con un filo di voce.
“Figurati”
Giulia versò il caffè in una tazzina, poi lo
passò a Tina. Quest’ultima riempì un
quarto di bicchiere ed aggiunse due cucchiaini di zucchero. Stava per
passare il contenitore a Giulia, ma questa la fermò con una
mano.
“Lo prendo amaro” si giustificò.
Tina annuì semplicemente e finì di riempire il
proprio bicchiere con il latte.
“Latte?” chiese subito dopo a Giulia.
Lei scosse la testa mentre addentava una fetta biscottata.
Mangiarono in silenzio per un po’, poi Giulia si
pulì la bocca, bevve un sorso di caffè e mise i
gomiti sul bordo del tavolo poggiando il mento sui pugni chiusi,
rivolta verso l’altra.
“A proposito di quello che ci siamo dette ieri
sera” si fermò un attimo, per fare in modo che
Tina afferrasse bene l’argomento che stava per introdurre, ed
assicurarsi che fosse disposta a parlarne.
Quest’ultima masticò in fretta l’ultimo
morso e bevve un sorso di caffè-latte per mandarlo
giù, poi si poggiò con la schiena alla sedia.
“Sì”
“Per te non è un problema, vero?”
“Intendi il fatto che tu … si, beh, insomma
… che sei …”
Giulia cominciò a ridere sommessamente, interrompendola.
“Guarda che puoi dirlo eh, non è mica
un’offesa, anzi”
Tina prese un lungo respiro e poggiò le mani sul tavolo
prendendo un tovagliolo e cominciando a giocarci.
“Scusa, è solo che è la prima volta che
mi capita una cosa del genere. Immagino di dovermi solo abituare
all’idea … ma non è affatto un
problema”
“Bene” Giulia si rilassò a sua volta,
poggiandosi con la schiena alla sedia e lo sguardo puntato sul viso di
Tina.
L’archeologa abbassò gli occhi sul piano della
tavola e sulle sue mani che continuavano a tormentare il tovagliolo.
“Quello non lo finisci?” chiese Giulia gettando uno
sguardo al bicchiere ancora mezzo pieno.
“Uhm, no, mi è passata la voglia”
“A che pensi?”
Tina alzò lo sguardo ed incontrò subito quello di
Giulia. I suoi occhi verdi sembravano ancora più limpidi
quella mattina e le sorridevano, forse anche più delle
labbra che pure erano incurvate all’insù.
“A tutto e a niente”
“Non pensare troppo, a volte la risposta è
più semplice di quanto si possa credere”
Tina sbuffò ironica.
“Non basterebbe un’unica risposta per tutte le
domande che ho in testa”
“Comincia da una, magari le altre verranno di
conseguenza”
Tina aprì la bocca per rispondere, ma proprio in quel
momento entrarono in sala Stefano ed Anna ciondolanti e sbadigliando.
“ ‘giorno” salutarono a mezza voce.
“Salve ragazzi” rispose Giulia.
“Il caffè è pronto” aggiunse
Tina.
“Sarà meglio che vada” Giulia si
alzò salutando i ragazzi con una mano ed avviandosi verso il
corridoio.
“Ti accompagno” Tina la rincorse e le si
affiancò.
“I vestiti se vuoi me li porto, li lavo e poi te li faccio
riavere” propose Giulia, mentre indossava la giacca.
“Ma figurati, non c’è bisogno”
“D’accordo, allora grazie. Di tutto”
Tina annuì e rimasero entrambe così a guardarsi,
nuovamente sole in quella piccola stanzetta, l’una di fronte
all’altra. Stavolta anche Giulia pareva indecisa sul da
farsi, il busto sporgeva in avanti quasi come se stesse per fare un
passo verso Tina, eppure rimaneva ferma. Tina, invece, aveva infilato
le mani nelle tasche della felpa e non accennava a muoversi.
Il rumore di una porta chiusa con particolare forza le fece riscuotere
entrambe. Giulia scosse la testa e fece un paio di passi indietro verso
la porta.
“Allora io … vado … ci vediamo.
Ciao” alzò una mano in segno di saluto.
“Ciao” Tina imitò il suo gesto e la
osservò uscire di fretta dalla stanza.
Quando pochi attimi dopo si affacciò nel corridoio, Giulia
era già sparita.
Tina trascorse il resto del fine settimana in uno strano stato di
apatia. Sbrigò le solite faccende come il bucato e la
programmazione del lavoro per la settimana successiva senza molta
voglia. Non le andava di stare in mezzo agli altri e quando poteva li
evitava. La chiacchierata più lunga di quei giorni fu quella
rappacificatrice con Alessandro costituita da un semplice:
“Mi sa che ti devo delle scuse”, di lui; e da un
laconico: “Accettate!”, di lei, che suggellarono
con un sorriso ed un abbraccio sincero.
Il lunedì mattina, era ormai Ottobre, il 3 per la
precisione, i due amici si ritrovarono come al solito insieme nella
jeep di Tina diretti verso lo scavo.
“Tina, ti volevo chiedere una cosa”
“Hm” lei non gli prestò molta
attenzione, concentrata com’era sulla strada e nella ricerca
di una stazione radio decente.
“Giulia ti ha detto niente di me?”
“Eh?!” la ragazza si voltò di scatto
verso di lui, lasciando perdere la strada e la radio.
“Guarda avanti!” la riprese lui e, solo dopo che si
fu accertato che lei lo accontentasse, proseguì
“Visto che avete dormito insieme, pensavo che magari avevate
avuto modo di parlare un po’ ”
Tina lasciò andare un sospiro tremulo ed annuì.
“Sì, in effetti mi ha raccontato quello che
è successo. Gliel’ho chiesto io perché
non capivo che cavolo ti avesse preso quella sera”
Nel frattempo imboccava il piccolo sentiero nel bosco, che li avrebbe
condotti allo scavo. Quella mattina era più faticoso del
solito, data l’abbondante pioggia dei giorni precedenti il
terreno era fangoso e pesante.
“E ti ha detto qualcosa? Ti ha detto perché mi ha
rifiutato” insistette il ragazzo.
“Eh?! No, scusa perché avrebbe dovuto dirmelo,
proprio a me poi. No no, non mi ha detto niente, si è
mantenuta molto sul vago … non ha detto niente” un
leggero affanno la costrinse a riprendere fiato, mentre con la coda
dell’occhio controllava se Alessandro si fosse bevuto quella
sua piccola bugia. Ma lui appariva tranquillo, anzi sembrava quasi
sereno.
“Ci ho pensato in questi giorni, sai, e sono giunto ad una
conclusione” rivelò d’un tratto.
“Ah si? E quale?”
“Non mi arrenderò con Giulia”
“Eh?! Che intendi dire?” Tina si era girata di
scatto verso di lui. Le ruote motrici persero per un attimo aderenza
con il terreno umido e la jeep sbandò.
“Vuoi far guidare me?” propose Alessandro
occhieggiando verso di lei con fare preoccupato “Non sembri
molto in forma stamattina”
“Sono perfettamente in grado di guidare la mia
macchina” replicò lei acidamente, stringendo le
mani sul volante tanto da far diventare le nocche bianche
“Piuttosto, spiegami che hai intenzione di fare con
Giulia”
Alessandro alzò un sopracciglio, interdetto dal quel tono
così duro. Si mosse un paio di volte agitato sul sedile,
spostandosi la cintura di sicurezza dal petto come se quella lo
opprimesse, mentre la jeep continuava ad essere sballottata.
“Secondo me lei ha solo paura di lasciarsi andare, ma in
fondo gli piaccio. Devo solo darle un altro po’ di
tempo”
“Ale, forse dovresti semplicemente lasciar perdere.
Lì fuori è pieno di donne che pagherebbero per
stare con uno come te” provò a farlo ragionare
l’amica, ritrovando un minimo di calma.
Intanto erano finalmente arrivati. Tina fermava la jeep e scendeva,
imitata da Alessandro.
“Tina, quella è una donna con le palle. La donna
che ho sempre voluto al mio fianco, potrebbe essere quella giusta. Non
voglio farmela scappare” l’amico girò
attorno all’auto e le andò incontro, arrivandole
di fronte proprio a qualche centimetro dal naso, le circondò
il viso con le mani e la guardò dritto negli occhi.
“Dimmi che sei dalla mia parte. Ho bisogno di avere la mia
migliore amica al mio fianco che mi consigli”
Tina rimase qualche istante a bocca aperta, colta di sorpresa, poi
abbozzò un piccolo sorriso non troppo convinto.
“Ma certo, certo che sono dalla tua parte”
“Grazie”
Alessandro l’abbracciò stringendola a
sé con tutta la forza che aveva, poi entrambi in silenzio
raggiunsero i ragazzi per cominciare a lavorare.
La giornata si rivelò in sé più
fruttuosa di tutta la settimana precedente. La pioggia aveva reso la
terra molto più umida e quindi la stratigrafia decisamente
più leggibile ed i limiti degli strati più
facilmente individuabili. Tutte le squadre lavorarono velocemente e
bene in ogni area.
E così fu anche il martedì ed il
mercoledì.
A metà pomeriggio di mercoledì, Tina era
accovacciata accanto a quella che le pareva una buca di palo, quando il
suo cellulare cominciò a squillare. Si alzò e lo
tirò fuori dalla tasca per controllare il nome.
“Anna, continua così” si
raccomandò prima di allontanarsi per rispondere.
“Pronto”
“Ciao, ti disturbo?”
“Ciao Giulia. No, non mi disturbi affatto. Dimmi
pure”
“Volevo avvisarvi che venerdì ho
l’udienza preliminare con il giudice”
“Oh, devo avvisare Alessandro di raggiungerti?”
“In verità in questa fase del processo non
è richiesta la presenza dei clienti, sono solo gli avvocati
ad incontrarsi con il giudice. Ma visto come avete a cuore questa causa
ho pensato di avvisarvi, perché magari volevate esserci
comunque, anche tu se vuoi”
“Capisco, beh grazie. A che ora è?”
“Alle 18, al Tribunale Centrale di Siena”
“Bene, avviserò Alessandro, credo che
farà piacere anche a lui esserci”
Seguì qualche istante di silenzio interrotto poco dopo
nuovamente dalla voce di Giulia.
“Come sta andando la tua giornata?”
“Al solito, tra buche di palo, tagli e strati che non riesco
a capire che diamine ci fanno lì dove sono. E la
tua?”
“Al solito, tra pratiche, leggi, articoli e comma che non
riesco a capire che diamine ci fanno lì dove sono”
Ci fu qualche momento di pausa, poi in contemporanea entrambe
cominciarono a ridere complici.
“Quasi dimenticavo di dirti che, nella fretta,
l’altra mattina, ho portato via la tua felpa”
riprese Giulia dopo aver rifiatato.
“Ah, ecco perché non la trovato
più”
“Sì, mi spiace. Venerdì te la riporto,
lavata e stirata”
“Ma no, non importa. Si vede che ti piaceva e
perciò inconsciamente te la sei portata dietro. Tienila
pure” Tina rise, scuotendo leggermente le spalle.
Giulia sorrise lieve, soffiando appena dentro al microfono del
cellulare.
“Sì, in effetti è carina ed ha anche un
buon profumo di vaniglia”
“E’ il mio bagnoschiuma” ammise Tina.
“Allora profuma di te, perciò era buono”
Tina rimase con la bocca aperta, pronta a ribattere qualcosa, ma senza
che in realtà ne uscisse alcun suono.
“Sei ancora lì?” insistette Giulia.
“Si, ci sono, però devo proprio andare, prima che
i ragazzi mi combinino qualche guaio”
“Certo, tranquilla. A venerdì allora”
“A venerdì. Ciao”
Tina chiuse la telefonata, posò il cellulare in tasca e si
guardò attorno. Poco lontano individuò il suo
obiettivo e ci si avviò quasi a passo di carica.
“Stefano, molla il piccone!”
Il giovedì sera Tina era seduta al computer a redigere, come
al solito, il diario di scavo. Anche quella giornata il tempo era stato
clemente, non aveva piovuto ma l’aria si era mantenuta umida,
quindi avevano potuto scavare agevolmente e mettere in luce molti
contesti nuovi. Tina aveva quindi il suo bel da fare, quando la sedia
accanto alla sua si mosse ed Emanuele si sedette.
“Ciao bellissima”
“Hm”
Tina non staccò gli occhi dallo schermo e
continuò a picchiettare con le dita sui tasti, molto
più concentrata sul lavoro che su Emanuele, che reclamava la
sua attenzione.
“Oh, dico a te!” il ragazzo le diede una leggera
spinta sulla spalla.
“Eh, che c’è?!”
Solo a quel punto lei smise di scrivere e si voltò verso di
lui. Portò le braccia dietro la testa e si
stiracchiò facendo scricchiolare tutte le ossa.
“Porca miseria, sono distrutta” si
lamentò.
“A proposito di questo, che ne dici se domani sera ci andiamo
a fare una birra io e te al pub qui vicino?” Emanuele si
mosse agitato sulla sedia, sedendosi praticamente sul bordo e
sporgendosi verso di lei mentre aspettava la sua risposta.
“Domani sera non ci sono Manu”
“Non ci sei? E dove stai?”
“Domani pomeriggio io e Ale andiamo a Siena per
l’udienza preliminare, e io ho deciso di fermarmi a casa per
il fine settimana, così recupero anche qualche vestito
più pesante visto che comincia a fare freddo”
Il ragazzo tornò a sedersi compostamente con la schiena
poggiata alla sedia e le braccia conserte.
“Che palle però!”
“E dai Manu, pensa che abbiamo ancora un altro mese e tre
settimane di scavo, ben sette fine settimana per andarci a bere una
birra io e te. Non ti viene da piangere al solo pensiero di quasi altri
due mesi chiusi qui dentro?” lo prese in giro ridacchiando.
Quindi si alzò, gli scompigliò i capelli
affettuosamente e lasciò la sala.
Venerdì pomeriggio, dopo pranzo, Alessandro
radunò ragazzi e responsabili d’aria per
avvertirli che quel pomeriggio sarebbero mancati. Affidò la
direzione dello scavo a Marco, con evidente disappunto di Tina, la
quale sapeva però che dopo lei ed Alessandro lui era il
più alto in grado. Dopo le ultime raccomandazioni del caso i
due si avviarono al sentiero che li avrebbe condotti alla jeep, ma dopo
qualche passo Alessandro si fermò.
“Aspettiamo Manu” disse voltandosi indietro per
aspettare l’amico.
“Che c’entra Manu?”
“Ah, non te l’ho detto?”
Tina guardò l’amico con espressione interrogativa.
“Dirmi cosa?”
“Che vengo con voi a Siena” Emanuele
sbucò proprio in quel momento sul sentiero e si mise fra i
due abbracciandoli e spronandoli a camminare con aria allegra.
“Allora, contenta?” chiese a Tina.
“Perché sono sempre l’ultima a sapere le
cose?” lei si sporse oltre il viso di Emanuele per
intercettare quello di Alessandro ed interrogarlo con lo sguardo.
“Ne parlavamo ieri sera, mi ha detto che tu glielo avevi
accennato e ho pensato di invitarlo a venire con noi”
spiegò il capocantiere
“Cosa che non hai fatto tu. Dovrei pensare che non mi vuoi
fra i piedi?” aggiunse Emanuele.
“Ma figurati, mi fa piacere se vieni. Avrei solo voluto
saperlo prima”
Tina abbassò lo sguardo al terreno, concentrandosi sui suoi
passi e lasciando perdere gli altri due, che intanto avevano cominciato
a discutere di qualcosa di cui lei nemmeno si interessò.
Rimase immersa nei suoi pensieri durante tutto il viaggio di ritorno,
aveva lasciato guidare Emanuele perché lei non ne aveva
voglia.
Giunti in Abbazia, i tre si diedero da fare per partire in tempo ed
arrivare puntuali. Fecero una doccia veloce e prepararono dei borsoni
con i ricambi per il fine settimana. Tina sarebbe tornata nella casa
che divideva con un altro studente, Emanuele a casa dei suoi dove
ancora viveva ed Alessandro nel monolocale che aveva preso in affitto
quando era arrivato a Siena da Firenze, dove aveva lasciato la famiglia.
Caricarono i borsoni e partirono. Stavolta alla guida c’era
Alessandro, nel sedile del passeggero Emanuele e dietro, persa con lo
sguardo fuori del finestrino, Tina. Non parlò
granché durante il viaggio, ma gli altri due non sembrarono
accorgersi del suo ostinato isolamento.
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Eccolo! Bene, ci ho messo un po' a pubblicare perché sono
sommersa dallo studio. Spero apprezzerete il capitolo, fatemi sapere :)
Alla prossima, ciao!
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Capitolo 8
Alessandro, Tina ed Emanuele trovarono un po’ di traffico
sulla strada per Siena, quindi arrivarono in tribunale che mancavano
solo cinque minuti alle 18. Vagarono un po’ per i corridoi,
si persero quando Emanuele pretese di far loro da guida, girarono in
tondo quando Alessandro disse di aver capito dov’era
l’aula. Infine Tina si decise a chiamare Giulia.
“Terzo piano, corridoio a sinistra, aula 3”
comunicò loro l’avvocato con tono sbrigativo.
Quando i tre arrivarono finalmente a destinazione, videro Giulia sulla
soglia di una pesante porta di legno marrone socchiusa,
l’avvocato sporgeva fuori solo col busto.
“Ce l’avete fatta finalmente!”
“Ci siamo persi per colpa di Alessandro, continuavamo a
trovarci in segreteria” spiegò Emanuele.
“Certo, perché invece quando abbiamo seguito te
abbiamo subito trovato l’aula giusta” si difese
l’altro.
“Ragazzi, ragazzi” la voce dura e perentoria di
Giulia li richiamò all’ordine, costringendoli a
stare zitti e a prestarle attenzione “Me lo dite dopo di chi
è la colpa, hanno già iniziato. Devo scappare,
voi aspettate seduti qui fuori”
I due ragazzi smisero di bisticciare ed annuirono dirigendosi verso
alcune poltroncine accanto ad una finestra.
Giulia si voltò un attimo verso Tina e le sorrise prima di
salutarla affettuosamente.
“Ciao”
“Ciao”
Indugiò ancora qualche istante con lo sguardo su di lei, poi
si ritrasse e chiuse la porta. Tina rimase a fissare il legno scuro,
oltre il quale lei era sparita, per qualche istante, poi
andò a sedersi accanto agli amici, senza prestare alcuna
attenzione ai loro discorsi.
Trascorse più di un’ora senza che nessuno uscisse
da quella porta. Più di una volta Emanuele si era alzato e
si era avvicinato, accostando l’orecchio al legno per tentare
di sentire qualcosa, ed a poco erano valsi i richiami di Tina e le
ammonizioni di Alessandro che avrebbero fatto una becera figura se
avessero aperto trovandolo così.
“Secondo voi quando ci mettono così tanto tempo
significa che va bene o va male?” Tina si alzò,
stiracchiandosi e sentendo le gambe intorpidite per la prolungata
immobilità.
“Significa che stanno prendendo in considerazione tutte le
prove, no?! Secondo me è positivo”
azzardò Emanuele grattandosi la testa e sbadigliando subito
dopo.
“Lo sapremo a breve” anche Alessandro si
alzò, indicando con lo sguardo alle spalle di Tina.
La ragazza si voltò e vide finalmente la porta aprirsi, ne
uscirono prima tre uomini, tutti in giacca e cravatta con diversi
plichi di documenti sottobraccio, che parlottavano fra loro. Subito
dopo uscì Giulia affiancata da un altro uomo, anche lui
molto distinto con una ventiquattrore nera nella mano sinistra ed un
soprabito beige poggiato sul braccio destro piegato. Giulia pareva
serena, parlava con quell’uomo e a tratti sorrideva anche. Si
fermarono a metà corridoio, poco distanti dai tre amici, si
scambiarono qualche altra parola poi si diedero la mano ed infine
l’uomo si allontanò nella direzione opposta alla
loro.
Giulia li raggiunse, con un’espressione piuttosto stanca ma
sorridente, mentre infilava molto acrobaticamente il soprabito al di
sopra del tailleur, bordeaux quella volta con una camicia beige,
passandosi una valigetta marrone da una mano all’altra.
“Allora, com’è andata?”
domandò subito Alessandro.
“Lo mettono in galera quel Prisco?”
rincarò Emanuele, evidentemente con poco senso della
realtà.
“Fatela respirare” li rimbeccò Tina
scoccandogli due occhiatacce.
Giulia le sorrise, ringraziandola con lo sguardo, poi si
avviò verso l’uscita, seguita a vista dal
gruppetto.
“E’ andata bene. Il giudice sembra propenso a
credere che si tratti di un malinteso, anzi, quando gli ho prospettato
l’eventualità che Prisco avesse addirittura
intenzionalmente omesso delle clausole nel vostro accordo per potervi
poi chiedere un risarcimento, non ha storto il naso ma mi ha chiesto di
portargli delle prove”
“E’ fatta quindi?” chiese Alessandro.
“No, non ancora. Devo trovare le prove, e questa è
la parte più difficile”
“Come pensi di fare?” intervenne Tina.
“Per prima cosa pensavo di andare a scavare
nell’archivio della vostra università, per vedere
se trovavo qualche caso simile che potesse creare un
precedente”
Intanto erano arrivati all’esterno del Tribunale. Gli ultimi
raggi di sole avevano già abbandonato la città e
la notte era ormai scesa.
“Beh, comunque il bilancio mi sembra positivo. O
no?” domandò Emanuele.
“Ma sì sì, il bilancio è
molto positivo. Il giudice sembra molto equilibrato, dobbiamo solo
trovare il modo di dimostrare la mala fede di Prisco”
ribadì Giulia sorridendo a tutti e tre gli archeologi.
“Bene! Allora direi che è proprio il caso di
festeggiare. Che ne dite di andare a cena?” Alessandro si
pose al centro di quella specie di semicerchio che avevano creato sul
marciapiede e li guardò uno alla volta con espressione
entusiasta aspettando le loro risposte.
“Ora?” chiese Giulia frastornata.
“Tutti e quattro?” le fece eco Tina.
“Si va da Renzo!” approvò Emanuele.
Alessandro ignorò le domande delle due ragazze e diede
invece una pacca sulla spalla di Emanuele in chiaro segno di
approvazione, rivolgendosi solo dopo nuovamente alle altre due.
“Andiamo ragazze, da Renzo ci si può arrivare
anche a piedi, è qui vicino”
Quando Alessandro si avvicinò a Giulia e la prese
allegramente sottobraccio avviandosi davanti con lei e lasciando
indietro Emanuele e Tina, a quest’ultima fu finalmente chiaro
il perché della presenza di Emanuele. Alessandro aveva
organizzato un appuntamento a quattro, per poterci provare ancora una
volta con Giulia.
Renzo era il proprietario di una piccola trattoria non molto lontana da
Piazza del Campo. I tre archeologi vi si ritrovavano spesso durante
l’anno perché era vicino casa ed economica, tanto
che il proprietario ormai li conosceva e li trattava con un certo
riguardo.
Quando arrivarono il locale non era molto pieno ed Alessandro ebbe
l’agio di poter scegliere un tavolo piuttosto appartato,
nell’ultima sala in fondo, quella più tranquilla.
“Ci sei mai stata qui?” chiedeva intanto a Giulia
mentre le spostava la sedia per farla sedere.
“No, mai”
“Si mangia benissimo qui, vedrai” le assicurava
Alessandro sedendosi a sua volta tra lei ed Emanuele e di fronte a Tina.
“Noi ci veniamo spesso, ma in realtà manchiamo da
un bel po’, vero?” rifletté Emanuele,
guardando l’amico per cercare conferma.
“Sì, è vero. Dal compleanno di
Ludovica, a luglio. Venimmo qui a mangiare e poi andammo al Red
Dragon” ricordò Alessandro.
“Oddio Ludovica, me l’ero proprio
scordata!” Emanuele scoppiò a ridere, seguito
subito da Alessandro. Tina si limitava a guardarli, senza emettere un
solo fiato.
“Dovresti scriverli da qualche parte i nomi delle tue ex,
almeno se le incontri per caso non rischi di fare delle brutte
figure” gli consigliò Alessandro.
“Vado un attimo in bagno” disse Tina
all’improvviso con tono piuttosto seccato, bloccando in gola
le risate ai due ragazzi.
“Vengo con te” disse immediatamente Giulia.
Le due ragazze si alzarono contemporaneamente e si allontanarono,
lasciando gli altri due a guardarsi un attimo perplessi per poi
ritornare a chiacchierare tranquillamente di cose da uomini.
Il bagno era unisex, oltre la prima porta c’era un lavandino
con uno specchio e a destra un’altra porta con il water.
Tina e Giulia entrarono insieme e si fermarono davanti al lavandino.
“Vai pure” Giulia si spostò per far
passare Tina indicandole l’altra porta, ma lei scosse la
testa e non si mosse.
“Non devo andare in bagno”
“Nemmeno io”
“Allora che sei venuta a fare?” chiese Tina.
“E tu, che ci sei venuta a fare?” fece Giulia di
rimando.
Rimasero entrambe in silenzio a guardarsi per qualche attimo, poi
cominciarono a ridere insieme. Dopo un po’ Tina ridivenne
seria ed alzò lo sguardo per incontrare gli occhi di Giulia.
L’avvocato soffocò un’ultima risata in
gola e le restituì uno sguardo interdetto, non capendo il
perché di quel repentino cambio d’umore.
“Mi dispiace per quello che sta succedendo di
là” mormorò Tina passandosi una mano
tra i capelli.
“Intendi il tentativo di Alessandro di coinvolgerci in
un’uscita a quattro?”
Giulia si poggiò con il bacino al bordo del lavabo ed
incrociò le braccia al petto con aria divertita.
“Ti giuro che non ne sapevo niente, ha colto di sorpresa
anche me. Fin quando non ha fatto quella proposta non riuscivo nemmeno
a capire perché avesse insistito tanto per portare anche
Emanuele”
Tina appariva molto meno divertita di Giulia. Si sentiva presa in giro
ed anche un po’ usata. Non aveva esitato in passato a fare
favori del genere ad Alessandro, ma l’amico
gliel’aveva sempre chiesto prima, non come stavolta che
l’aveva trascinata dentro quella ridicola serata senza
nemmeno avvertirla delle sue intenzioni.
Giulia dovette intuire il disagio di Tina, perché sciolse
quella posa un po’ strafottente e fece un passo in avanti
verso di lei. Tina abbassò lo sguardo, Giulia
alzò un braccio accarezzandole delicatamente una spalla.
“Stai tranquilla, non ce l’ho con te. E nemmeno con
Alessandro. Credevo avesse capito, ma a quanto pare dovrò
essere un po’ più convincente”
“Alessandro è convinto che tu sia solo spaventata
dalla prospettiva di iniziare una storia seria, non immagina di non
avere speranze perché tu sei … insomma, hai
capito”
Tina portò nuovamente lo sguardo su Giulia e la
trovò tranquilla, che le sorrideva incoraggiante.
“Non importa quello che lui crede, deve farsi andar bene
quello che io gli dico”
“Sa essere molto testardo quando vuole”
“Io di più, fidati”
Giulia lasciò finalmente cadere il braccio lungo il proprio
fianco, interrompendo il contatto con la spalla di Tina e si
voltò verso lo specchio dandosi un’occhiata.
“Dai che almeno ci stiamo insieme in questa situazione e
forse riusciamo a far si che questa serata non sia proprio un
disastro” disse a Tina, parlandole dallo specchio.
Tina guardò il suo riflesso e le sorrise.
Quando tornarono, Emanuele stava sgranocchiando dei grissini ed
Alessandro stava parlando al cellulare. Quando vide Giulia, lo mise
subito giù e si concentrò immediatamente su di
lei. Le restò appiccicato per tutto il tempo della cena,
rivolgendole continue domande e parlando a sua volta a macchinetta. Di
tanto in tanto, Tina gettava un’occhiata sconsolata al volto
dell’avvocato, che la ricambiava con uno sguardo divertito ed
un’alzata di spalle. Tina lasciò che fosse
Emanuele a tenere viva la conversazione tra loro due, del resto era
sempre stato così, visto che lei non si era mai distinta per
loquacità, preferiva ascoltare piuttosto che stordire gli
altri di chiacchiere.
“Ragazzi, che mangiata! Dovremmo proporre a Renzo di venire a
fare il cuoco da noi in Abbazia” Emanuele si
lasciò andare soddisfatto sulla sedia, accarezzandosi lo
stomaco.
“Povero Renzo, non resisterebbe un solo giorno in quella
banda di matti” obiettò Tina.
“Sono assolutamente d’accordo con lei!”
intervenne il diretto interessato, comparendo alle spalle di Alessandro
e posando sul tavolo un piattino argentato con il conto.
Strizzò l’occhio ai tre archeologi e scomparve
velocemente tra i tavoli.
Alessandro afferrò il conto al volo, prima di tutti gli
altri.
“Quant’è?” chiese Giulia.
“Non ci pensare nemmeno, stasera offro io”
affermò lui con sicurezza.
“Macché, dividiamo” intervenne Emanuele.
“Si dai Ale, non c’è motivo per cui tu
debba offrire la cena a tutti” approvò Tina.
Il capocantiere scosse vigorosamente la testa, prese il portafogli e
poggiò alcune banconote sul piattino sotto al foglio del
conto.
“Pensiamo a goderci il resto della serata” si
alzò, indossò la giacca e con lo sguardo
spronò gli altri ad imitarlo.
Emanuele lo accontentò con un’alzata di spalle,
Tina sbuffando e Giulia con espressione neutra.
Lasciarono la trattoria dopo aver salutato il proprietario ed avergli
promesso che non avrebbero lasciato passare di nuovo tutto quel tempo
prima di tornare.
All’esterno la sera aveva portato un’aria
più fresca di quella mite della mattina. Tina
alzò il cappuccio della felpa che usciva fuori dal giubbino,
Emanuele alzò il bavero della giacca e Giulia si strinse nel
soprabito. L’unico che sembrava non accusare minimamente la
brezza notturna era Alessandro che camminava sorridente e disinvolto.
“Allora, che si fa adesso?” chiese voltandosi verso
il gruppo e camminando per qualche istante all’indietro.
Emanuele stava per aprire bocca, ma Giulia lo precedette.
“Ragazzi, io vi ringrazio per la bella serata e per la cena,
ma sono davvero distrutta. E’ stata una giornata pesante,
quindi credo che tornerò a casa”
“Ma dai, di già?! Vieni a bere una birra con
noi” si lamentò proprio Emanuele.
Tina gli diede una gomitata nel fianco e gli sibilò un poco
gentile: “Fatti gli affari tuoi”. Emanuele la
guardò in tralice, ma la risposta gli si bloccò
sulla punta della lingua, quando sentì la voce di Alessandro
intervenire al suo posto.
“Ma sì, dai Giulia. Vedrai che una birra ti
rimetterà a nuovo”
Emanuele si voltò ancora verso Tina con l’aria di
chi stava pensando: “Visto, non sono l’unico che la
pensa così”
“Ragazzi, veramente anche io sono stanca”
intervenne a quel punto proprio Tina, costringendo il gruppo a fermarsi
al centro del marciapiede.
“Voi donne, a volte siete davvero delle palle al
piede!” protestò Emanuele, dimostrando ben poco
tatto.
Tina lo guardò con gli occhi che erano diventati due fessure
e stava per dire qualcosa quando la risata ironica e tagliente di
Giulia la convinse a tacere.
“Non che voi uomini siate meglio, spesso le vostre donne
devono farvi da baby-sitter più che da compagne”
“Questo non è affatto vero!” si difese
Emanuele.
“Niente affatto” gli fece eco Alessandro.
Giulia inarcò scetticamente un sopracciglio, poi con aria
divertita spostò lo sguardo prima sulla camicia di
Alessandro, poi sui pantaloni di Emanuele. Entrambi avevano delle
piccole macchie, una testimone delle ottime tagliatelle ai funghi
porcini che avevano mangiato, l’altra del condimento
dell’insalata con cui avevano accompagnato la carne arrostita.
Tina cominciò a ridere sotto i baffi, Giulia la
guardò lanciandole un’occhiata complice.
I due ragazzi si guardarono ed incassarono la testa nelle spalle.
“Questo è un colpo basso”
protestò Emanuele, mettendo le mani in tasca e stringendo le
spalle.
“E’ stato solo un caso, non siamo mica sempre dei
disastri quando mangiamo” obiettò Alessandro
cercando di mantenere comunque un’aria dignitosa.
A quel punto Tina scoppiò a ridere, attirando su di
sé gli sguardi perplessi degli altri due.
“Invece sì, fidatevi di me che vi ho davanti a
pranzo e a cena da più di un mese!”
Giulia cercò di nascondere un ascesso di risate dietro a dei
colpi di tosse, probabilmente fallendo.
Alessandro ed Emanuele si guardarono ancora una volta, messi
all’angolo.
“Beh, avremo della altre qualità”
buttò lì Alessandro, indossando una maschera di
superiorità.
“Sì, infatti. Le donne non ci mancano di certo,
qualcosa dovrà pur significare” aggiunse Emanuele,
assumendo la stessa posa tronfia dell’amico.
“Certo. Significa che nutrono un’insana passione
per gli uomini delle caverne. Oh cavolo! Ho appena trovato il regalo
perfetto per il tuo compleanno, Ale” pronunciò
Tina con aria entusiasta.
Alessandro la guardò con aria diffidente.
“E sarebbe?” chiese infine.
“Una clava … placcata d’oro o
d’argento se preferisci”
L’amico rimase qualche istante con la bocca semiaperta ed uno
sguardo da stoccafisso, poi all’improvviso si riprese e si
gettò su di lei al grido di: “Piccola serpe, se ti
prendo!”
Tina cominciò a scappare, ma la sua fuga fu breve. Si
sentì afferrare i fianchi da dietro ed in un attimo fu
caricata in spalla da Alessandro in stile sacco-di-patate.
Giulia ed Emanuele, che si erano scansati per permettere la fuga di
Tina e l’inseguimento di Alessandro, rimasero poco lontani a
godersi la scena ridacchiando.
Alessandro intanto tornava verso di loro, tenendo Tina sulle spalle,
che continuava ad agitarsi e ridere, mentre lui continuava a darle
delle piccole pacche sul sedere.
“Ale, se non mi fai scendere ti vomito addosso tutto quello
che ho mangiato”
“Non ancora, devi pagare per quella battuta davvero
squallida”
“In realtà non era poi così squallida.
Guardati ora, a risolvere tutto con la forza bruta, non sembri un uomo
delle caverne?” Giulia sfidò Alessandro con un
sorrisino irriverente.
Il ragazzo la guardò, ricambiando per un istante la sua
sfacciataggine con uno sguardo altrettanto furbo, poi si rivolse
all’amico.
“Manu, ti piacerebbe dare una lezione al nostro
avvocato?”
Emanuele cominciò a ridere, Giulia ad indietreggiare con il
sorriso che le vacillava sul volto.
“Ma guardala, ha i tacchi e la gonna, sarebbe uno scontro
impari” notò lui divertito.
“Ecco, questo sì che significa essere
gentiluomini” approvò Giulia, tornando tranquilla
per averla scampata.
“Non mi hai fatto finire però, avvocato”
continuò Emanuele, avanzando con uno strano luccichio
divertito negli occhi.
Giulia deglutì e riprese ad indietreggiare.
“Volevo intendere che quindi potresti risparmi la fatica
della corsa e restare semplicemente ferma lì”
Emanuele terminò la frase nello stesso istante in cui
metteva fine alla distanza che c’era tra lui e Giulia e
l’afferrava con un braccio sotto le ginocchia e
l’altro dietro la schiena.
L’avvocato lanciò un piccolo grido quando
sentì i suoi piedi staccarsi da terra e per istinto
andò ad aggrapparsi con entrambe le braccia dietro al collo
di Emanuele.
Alessandro intanto se la rideva di gusto e Tina cercava di voltarsi in
quella sua scomoda posizione per capire cosa stesse succedendo.
“E adesso gli uomini delle caverne vi portano a bere una
birra” esultò Emanuele.
“Obiezioni?” chiese retorico Alessandro,
cominciando a camminare con Tina sulle spalle.
Giulia aprì la bocca per dire qualcosa, ma Emanuele
sadicamente la zittì facendo finta di ritirare entrambe le
braccia che la sorreggevano, tranne poi riportarle al loro posto un
attimo prima che il sedere della donna toccasse rovinosamente terra.
“Ah ah, avvocato, era una domanda retorica. Risparmia le tue
arringhe per il tribunale” la riprese mellifluo.
Alessandro osservò la scenetta continuando a ridere a
crepapelle e lanciando all’amico delle occhiate complici.
Dopo un po’ di rimostranze ed un inizio di formicolio, alle
braccia per Emanuele e alla spalla per Alessandro, le ragazze
riuscirono a tornare in posizione eretta ed arrivare al pub con le loro
gambe.
Entrarono al Red Dragon con un certa sicurezza, conoscendo tutti e
quattro bene il locale. Scelsero un tavolo in un angolo lontano dalle
casse del dj e vi sedettero. I ragazzi raccolsero le ordinazioni delle
ragazze e sparirono tra la folla diretti al bancone.
“Mi sa davvero di uscita delle superiori”
commentò con amara ironia Tina, liberandosi della giacca.
“Erano anni che non facevo un’uscita a
quattro” rivelò Giulia, togliendo a sua volta il
soprabito e la giacca, e rimanendo in maniche di camicia.
“Sono due pazzi” Tina scosse la testa sbuffando
leggermente.
“Sì, però devi ammettere che sono
divertenti”
Tina le riservò uno sguardo scettico, ma infine ammise con
un sospiro sconfitto ed un mezzo sorriso che aveva ragione.
Giulia rimase qualche istante in silenzio a fissare il volto
dell’altra. Nonostante le luci soffuse vedeva benissimo i
suoi occhi e le espressioni che man mano assumevano. Tina le
restituì uno sguardo interrogativo, allora
l’avvocato si decise a dar voce ai propri pensieri.
“Allora, qual è la tua scusa?”
“Che intendi dire?” Tina rimase perplessa a
fissarla chiedendole di spiegarsi.
“Beh, io ho respinto Alessandro perché sono
lesbica. Tu perché continui a tenere Emanuele sulla
corda?”
Giulia era andata dritta al punto. Tina aprì la bocca per
ribattere subito qualcosa, ma poi la richiuse e si morse un labbro
alzando lo sguardo verso il soffitto con aria pensierosa.
“In realtà non lo so. Non è mai
scattata la scintilla, suppongo. Non riesco a vederlo come qualcosa di
più di un semplice amico”
La sua spiegazione non soddisfece più di tanto Giulia, che
non poté però indagare oltre perché i
due ragazzi stavano tornando con due boccali a testa stracolmi di birra.
“Avete messo a punto qualche altra strategia diabolica delle
vostre in nostra assenza?” Emanuele passò uno dei
bicchieri a Tina, poi sedette sul divanetto affianco a lei passandole
un braccio dietro le spalle con una mossa disinvolta.
“No, per stavolta ve la siete scampata. Parlavamo di cose da
donne” Giulia tentava nel frattempo di mantenere un distanza
di sicurezza da Alessandro, che sembrava voler in tutti i modi
abbattere la barriera fisica di borsa e giacca, che
l’avvocato aveva frapposto tra loro.
“Sarebbe a dire?” chiese proprio Alessandro
spostando senza alcuna remora quegli oggetti dietro le proprie spalle
ed accavallando le gambe ora con aria soddisfatta, allungando un
braccio sul divanetto.
Giulia osservò i suoi movimenti con un certo disagio, poi
spostò lo sguardo su Tina e a quest’ultima parve
quasi che le stesse chiedendo aiuto.
“Sarebbe a dire … di quanto voi maschi possiate
essere appiccicosi quando fa un caldo infernale. Proprio come
ora!”
Mentre parlava, Tina si era abilmente sottratta dalla presa di
Emanuele, prendendogli il braccio e togliendolo dalle proprie spalle,
facendosi poi aria con una mano per dare maggior credito alle proprie
parole.
“Vero!” approvò Giulia, cogliendo la
palla al balzo per rimettere un po’ di distanza tra lei ed
Alessandro.
I due ragazzi si guardarono confusi ancora una volta, ma poi decisero
di lasciar perdere ed ingoiare quell’ennesimo rospo con un
sorso di birra.
Ripresero poi a chiacchierare tranquillamente bevendo e sgranocchiando
noccioline. Dopo un po’ Giulia e Tina inscenarono
un’altra fuga in bagno, stavolta non solo per riprendere
fiato ma anche per utilizzarlo realmente. Quando ritornarono al tavolo
tutti e quattro concordarono che fosse il caso di andare.
Ritornarono a piedi fino al Tribunale.
“Hai la macchina?” chiese Alessandro, come sempre
fedelmente al fianco di Giulia.
“Sì, a pochi passi da qui, dietro
quell’angolo”
“Ti faccio compagnia fino a casa, se vuoi”
“Ma figurati, non c’è bisogno. Poi tu
come torneresti?”
“A piedi”
“E’ assurdo. Non ti preoccupare, davvero”
Giulia declinò l’offerta gentilmente ma con
fermezza.
“Ti scortiamo con la macchina fino al tuo palazzo”
propose Emanuele, che aveva colto sprazzi di quella conversazione.
“E’ tardi, non mi fido a lasciarti andare da
sola” rincarò Alessandro.
Giulia si fermò al centro del marciapiede e si
voltò a fronteggiare i due con aria divertita ma allo stesso
tempo fiera.
“Ragazzi, non sono più una ragazzina, so badare a
me stessa”
“Allora ti chiamo dopo, così mi dici se sei
arrivata” insistette Alessandro.
Stavolta il sorriso di Giulia vacillò, la sua espressione
divenne quasi scocciata.
“Come vuoi” fu la sua secca risposta.
Si avvicinò prima a lui per salutarlo con due baci sulle
guance, poi fece lo stesso con Emanuele, infine fu il turno di Tina.
I tre archeologi rimasero a guardarla finché non ebbe
svoltato l’angolo, poi si avviarono alla loro auto.
“E’ cotta di me!” commentò
Alessandro prima di salire in auto e mettere in moto.
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
CAPITOLO 9
Tina trascorse il sabato successivo divisa tra gli scatoloni del cambio
di stagione e la lavanderia a gettoni a pochi passi da casa. Era solo
quasi metà ottobre, appena il 10, ma l’aria si era
notevolmente rinfrescata, soprattutto la sera in Abbazia il freddo e
l’umido si facevano sentire.
Quella sera Alessandro ed Emanuele le proposero di uscire per fare un
giro in centro e bere qualcosa, ma lei rifiutò fermamente
adducendo come scusa la stanchezza per le faccende sbrigate quel giorno.
La domenica ripartirono con calma dopo pranzo. Trovarono un incidente
lungo la via, che gli fece perdere quasi due ore. Arrivarono in Abbazia
che era ormai sera. Tina ebbe giusto il tempo di organizzare il piano
per la successiva giornata di scavo e mettere a posto le cose che aveva
portato da casa, poi la stanchezza la sopraffece nuovamente e
crollò a letto.
La prima metà di settimana scorse via abbastanza liscia. Il
tempo era notevolmente cambiato, le nuvole spesso oscuravano il cielo
ed il vento scuoteva rabbiosamente le chiome degli alberi. La pioggia
non li aveva ancora costretti a casa, per fortuna, ma ogni giorno che
passava sembrava sempre più vicino quel momento.
Di ritorno dalla loro piccola avventura cittadina, i tre archeologi
ripresero la loro routine quotidiana. Emanuele e Tina battibeccavano in
continuazione e Alessandro faceva da paciere. Quando non era impegnato
al telefono.
Tina lo vedeva spesso parlare al cellulare, anche sul cantiere, e
quando lo faceva si allontanava dal gruppo. Immaginò si
trattasse di Giulia e più di una volta ebbe
l’istinto di andare dall’amico, strappargli il
telefono dalle mani ed urlargli: “Vuoi lasciarla in pace?
Tanto è lesbica, tu
non hai speranze!”. Non lo fece, semplicemente
perché non riusciva a spiegarsi il motivo del tono rabbioso
che assumeva la sua voce nella sua mente quando pensava a quella frase
urlata in faccia ad Alessandro.
Giulia non l’aveva più sentita dal sabato
precedente. L’avvocato le aveva mandato un messaggio di prima
mattina. Praticamente all’alba, pensò Tina, che
infatti fu svegliata proprio da quel suono molesto. A Giulia non lo
disse, ma rispose al suo semplice: “E’ stata una
serata divertente. Sono felice di averla condivisa con te”,
con un altrettanto semplice: “Anche io. Buona
giornata”. Aveva pensato più di dieci minuti a
cosa scrivere in quel messaggio di risposta. Alla fine non era riuscita
a fare di meglio.
Giovedì arrivò la pioggia, tanto attesa e temuta,
che li costrinse a restare in Abbazia. Su consiglio dei responsabili i
ragazzi ne approfittarono per portarsi avanti con la pulizia della
ceramica e degli altri reperti. I responsabili si diedero, invece, da
fare con la repertazione e la stesura delle varie schede dei materiali,
nonché dei diari di scavo per le varie aree.
La stessa scena si ripeté anche il venerdì
mattina. Quando si alzarono, gli archeologi trovarono a dar loro il
buongiorno ancora la pioggia. Soltanto a metà mattinata un
timido sole spuntò sulle colline circostanti. Alessandro
decise che, avendo già perso l’intera giornata
precedente, quel pomeriggio sarebbero andati sul cantiere. Dopo aver
pranzato in Abbazia, si diressero quindi allo scavo. Il terreno era
fangoso e pesante, il ruscello che tagliava in due il loro sentiero si
era trasformato in fiume e furono costretti ad aggirarlo seguendo una
strada più lunga.
Per recuperare il tempo perso, Alessandro li costrinse a restare quasi
fino a sera. Quando la luce fu quasi del tutto sparita, lasciarono lo
scavo accompagnati da qualche ululato in lontananza.
Tina era distrutta dalla fatica di quella mezza giornata che le pesava
sulle spalle come una settimana intera. Tornare a scavare dopo due
giorni di pioggia torrenziale non era mai gradevole. Liberare gli
strati già messi in luce da fango, foglie ed altri detriti
portati dall’acqua era quasi un’impresa e andare
avanti e indietro con gli scarponi appesantiti da diversi centimetri di
fanghiglia sotto la suola non giovava di certo
all’equilibrio. Il risultato fu che quella sera in Abbazia
sembravano tutti appena tornati dai lavori forzati, molti con i nervi a
fior di pelle.
Dopo cena, passando davanti allo scalone d’ingresso, Tina
intercettò ancora una volta Alessandro al telefono. Rimase a
guardarlo, in cima alle scale, andare avanti e indietro accanto al
portone chiuso. Da lassù non poteva sentire cosa diceva, ma
spesso lo vedeva sorridere.
Quando ebbe chiuso, Alessandro alzò la testa e la vide
lì in cima ad osservarlo.
“Mi spii?” chiese divertito.
“Chi era?” fece lei di rimando, ignorando la sua
domanda.
“Giulia”
Il sorriso sul volto di Alessandro si allargò nel
pronunciare quel nome, mentre saliva e si avvicinava
all’amica.
Quest’ultima restò impassibile, a parte un
sopracciglio che svettò verso l’alto in
un’espressione sarcastica.
“Sei ridicolo”
Alessandro si bloccò a metà della scala con la
più completa confusione sul volto.
“Come scusa?”
“Ti ostini a stare dietro a una che non ti vuole”
“E questo chi l’ha detto, scusa?”
“L’ha detto lei, Ale. Lo hanno capito tutti,
l’unico che non vuole vedere sei tu!”
Le parole di Tina rimbalzarono tra quelle mura creando una strana eco,
nonostante lei avesse mantenuto comunque un tono basso e apparentemente
calmo.
“Insistere per ottenere ciò che si vuole secondo
te è ridicolo?”
Alessandro, in parte ferito in parte arrabbiato, riprese a salire fino
a trovarsi faccia a faccia con lei.
“Insistere per qualcosa che non si può avere
è ridicolo. Devi togliertela dalla testa”
tagliò corto Tina.
“Tu. Non sei nessuno per dirmi cosa devo fare”
“Visto che non lo capisci da solo, qualcuno deve pur fartelo
notare. Ti stai comportando come un bambino viziato, che è
abituato ad ottenere tutto quello che vuole e, quando finalmente arriva
qualcuno e gli nega qualcosa, s’intestardisce fino a sfiorare
la stupidità!”
“Invece di preoccuparti della mia, di vita, perché
non pensi alla tua?! Almeno io provo ad avere una vita sentimentale,
mica come te che ti sei votata al lavoro, solo perché il tuo
ultimo ragazzo ti faceva le corna”
Si fronteggiarono ancora qualche istante, entrambi ormai palesemente
amareggiati, poi fu Tina a distogliere per prima lo sguardo e a
voltarsi per andare via.
Una volta al sicuro, nella solitudine della sua stanza chiusa, pianse.
Più tardi, quando i singhiozzi si furono ormai calmati, e
lei aveva deciso di mettersi a letto e dormire sopra a tutta quella
faccenda, il suono del cellulare la costrinse a sporgersi verso la
scrivania per afferrarlo. Era un messaggio, lo aprì ma
quando lesse il nome di Giulia decise che non aveva affatto voglia di
leggerlo. Ripose il cellulare e si rimise a letto.
La mattina successiva si svegliò con gli occhi pesti e un
gran mal di testa. Si accorse che il sole non era ancora molto alto,
doveva essere davvero presto. Ne approfittò per fare una
doccia in tutta calma e tranquillità. I corridoi
dell’Abbazia erano ancora deserti quando, ormai asciugata e
vestita, andò in cucina per fare colazione. Aveva indossato
una tuta, correre l’avrebbe aiutata a scaricare un
po’ di tensione. D’altronde non c’erano
poi molte distrazioni nei dintorni, e lei aveva necessariamente bisogno
di non pensare.
Percorse i primi chilometri con un’andatura discreta, ma dopo
un po’ il fiato cominciò a farsi corto. Non
correva spesso e, nonostante tutto il movimento e l’esercizio
fisico che faceva sul cantiere, il suo corpo non era abituato a certi
sforzi. Tuttavia, concentrarsi sulla respirazione e sulla corsa, le
consentì di liberare la mente da qualsiasi altro pensiero.
Tornò in Abbazia poco prima dell’ora di pranzo.
Erano ormai tutti svegli, quindi fece fatica a sgattaiolare in camera
sua senza farsi vedere da nessuno. Si concesse un’altra
doccia visto che, dopotutto anche se l’aria era fresca, aveva
sudato per lo sforzo. Rientrò in abiti casual e decise che
non le andava affatto di mangiare assieme agli altri, non dopo quello
che era successo con Alessandro la sera prima. Quindi prese portafogli
e cellulare ed uscì.
Si fermò a mangiare all’agriturismo che stava
proprio alla fine del viale. La proprietaria la conosceva, come
conosceva tutti gli altri membri del gruppo, dal momento che spesso
durante i fine settimana che passavano lì, non avendo voglia
di cucinare, andavano a cenare proprio da lei.
Il suo pranzo fu solitario e silenzioso. Una volta terminato, si
ritrovò fuori dell’agriturismo a fissare da poche
centinaia di metri l’Abbazia con espressione indecisa. Non
era pronta per affrontare il casino che aveva combinato, quindi decise
che si sarebbe concessa una piccola passeggiata fin sopra
all’eremo.
Erano solo un paio di chilometri, ma erano in salita e venivano dopo
svariati chilometri di corsa affrontati già in mattinata,
quindi ci mise più del tempo dovuto. Una volta in cima
però, fu ripagata dalla bellezza del panorama. Ai suoi piedi
si stendevano una serie infinita di colline per metà ancora
verdeggianti, mentre a tratti si vedevano delle macchie giallastre,
segno dell’imminente arrivo dell’autunno.
Tina sedette su una panchina al belvedere, ignorando la piccola
chiesetta alle sue spalle che aveva visitato già molte
volte. Un suono improvviso la distrasse dai suoi pensieri, che
prepotenti stavano tornando ad affollarle la mente. Il suo cellulare
squillava, era Giulia. Tina lo fissò per qualche istante,
indecisa, infine accettò la chiamata.
“Pronto”
“Tina, stai bene?”
“Sì, certo. Perché?”
“Ti ho mandato due messaggi e non hai risposto”
L’archeologa staccò per un attimo
l’apparecchio dall’orecchio e vide che
effettivamente l’icona dei messaggi in arrivo ora ne segnava
due e non più uno solo. Rimise il telefono
all’orecchio.
“Sono uscita a correre stamattina e non ho portato il
cellulare”
“E ieri sera?”
“Dormivo già”
Seguì qualche attimo di silenzio da entrambe le parti, poi
Giulia insistette, non bastandole affatto quelle giustificazioni.
“Sicura che vada tutto bene?”
“Giulia, ti prego … lasciami stare”
Tina non seppe spiegarsi il perché, ma la sua voce
tremò. Sentiva che stava per piangere ancora, ma
più tentava di trattenere le lacrime, più le sue
labbra tremolavano nello sforzo e la voce risultava malferma.
Giulia, dall’altro lato, esitò. Aveva colto quasi
una preghiera in quelle parole e, se da un lato avrebbe voluto
accontentarla nel suo bisogno di solitudine, dall’altro
moriva dalla voglia di sapere cosa fosse successo e soprattutto di
confortarla se avesse potuto.
“Guarda che se vuoi sfogarti io sono qui”
Tina si alzò e cominciò a camminare avanti e
indietro facendo qualche lungo respiro. Quando le parve di aver
riacquistato abbastanza autocontrollo per non scoppiare a piangere,
rispose.
“Ho avuto una discussione con Ale, ieri sera”
“Oh, capisco”
“No, non capisci. Gli ho detto delle cose davvero
brutte”
“Sono sicura che vi chiarirete”
“Uhm … io non ci giurerei”
“Posso sapere qual era l’oggetto della
discussione?”
A quel punto Tina fermò di scatto il suo incedere e
ritornò a sedersi sulla panchina. Esitò qualche
attimo, quel tanto che bastò per far capire a Giulia che
aveva toccato una nota dolente.
“Scusa, forse non avrei dovuto chiedere. Sono affari
vostri”
“Ma no, figurati, è che … beh,
è un po’ imbarazzante da ammettere. Insomma,
stavamo parlando di te”
“Ah. Beh se volevi farmi sentire in colpa ci sei
riuscita” Giulia accennò una lieve risata dal
sapore decisamente amaro “Non voglio che litighiate a causa
mia”
Tina, cogliendo il suo tono contrariato, si affrettò a
spiegarle.
“Ma no, no. Non abbiamo discusso per colpa tua. E’
solo che io ho cercato di farlo ragionare, di fargli capire che se una
donna gli dice di no magari è perché veramente
non lo vuole. Ma lui da quell’orecchio non ci sente, le ha
sempre avute tutte ai suoi piedi e non gli pare vero che una possa
averlo respinto”
“Tutto qui? Non c’è altro?”
“Gli ho detto che avrebbe fatto meglio a toglierti dalla
testa e lui ha detto che non sono nessuno per dirgli cosa deve fare. Ha
ragione, dovevo farmi gli affari miei”
“Guarda, se siete arrivati a questa discussione, magari
è anche un po’ colpa mia che non sono stata
abbastanza decisa nel respingerlo. Prometto che appena ne
avrò l’occasione metterò le cose in
chiaro una volta per tutte”
“Ok”
Tina prese un profondo respiro e rilassò le spalle. Giulia
dall’altro lato la sentì distendersi e sorrise.
“Sei più tranquilla?”
“Sì, un po’. Grazie”
“Figurati. Ora devo andare, però magari ti chiamo
in questi giorni per sapere come stai. Ok?”
“Va bene. Buona serata”
“Ciao, Tina”
Misero giù contemporaneamente, entrambe un po’
restie a farlo.
Tina rabbrividì improvvisamente, accorgendosi che il sole si
avviava al tramonto ed un leggero vento si stava alzando. Decise quindi
che era arrivato il momento di fare ritorno in Abbazia.
Trascorse la serata attaccata al computer, evitando quanto
più le fu possibile gli altri. Ne approfittò per
parlare con qualche parente che non sentiva da tempo e con la sua
migliore amica che non sentiva da qualche settimana. Laura era rimasta
a Napoli dopo la laurea in medicina ed aveva trovato lavoro nella
farmacia di un lontano cugino, non era quello a cui aspirava ma le
faceva pagare l’affitto e tanto bastava. Si tenevano in
contatto tramite cellulare e sporadicamente tramite facebook. Era raro
che si trovassero connesse contemporaneamente, ma quel sabato sera
Laura aveva la febbre ed era costretta a casa, quindi trascorsero
diverse ore a raccontarsi ciò che non avevano potuto durante
le loro brevi telefonate. Tina non seppe spiegarsi perché,
ma omise la sua nascente amicizia con l’avvocato. Si
limitò a parlarle di Giulia superficialmente, come del
legale che stava seguendo la loro causa contro Prisco e che sembrava
molto preparato. Fu un piacevole intermezzo dalla solita routine e da
cupi pensieri per Tina.
La domenica trascorse lenta e noiosa come il sabato. Tina ebbe il suo
bel da fare per sfuggire ai tentativi di interrogatorio di Emanuele, il
quale aveva ovviamente intuito che c’era qualcosa che non
andava tra lei ed Alessandro. I due infatti si ignoravano quando erano
costretti nella stessa stanza e si evitavano senza remore quando
potevano.
Il tempo tornò ad essere clemente, permettendo allo scavo di
andare avanti. Del precedente temporale restò solo la
temperatura più bassa e delle improvvise e violente raffiche
di vento. I lavori sul cantiere ripresero con il ritmo di sempre. Tina
e Alessandro si rivolgevano la parola il meno possibile, solo per
impellenti questioni di lavoro e lo facevano con una freddezza ed una
impersonalità che quasi spaventò gli altri.
Nessuno capiva però cosa fosse successo tra i due
responsabili nonché ottimi amici. Se il gruppo
risentì di quel clima teso tra i due, non lo diede a vedere,
procedeva affiatato e coordinato come sempre. Merito anche dei diretti
interessati, che a lavoro si mostravano comunque impeccabili.
Tina non osservò molto Alessandro in quei giorni, temeva
sempre di incontrare il suo sguardo e non le andava ancora di
affrontarlo, ma le sembrò che le telefonate con Giulia si
fossero diradate. Al contrario, l’avvocato chiamò
lei un paio di volte, sempre di sera, dopo cena. Le chiedeva come
stava, s’informava sullo stato delle cose tra lei ed
Alessandro e poi sulle insistenze di Tina le raccontava brevemente la
sua giornata. Si salutavano sempre un po’ a malincuore,
augurandosi la buona notte.
Trascorse così quasi tutta la settimana.
Giovedì sera, Tina stava fumando, seduta a cavalcioni sulla
balaustra dello scalone d’ingresso, quando le si
avvicinò Alessandro. La ragazza gli riservò uno
sguardo stupito, ma restò silenziosamente in attesa.
“Posso parlarti?” articolò lui con tono
neutro.
“Dimmi”
Alessandro alzò lo sguardo su di lei, avendo però
cura di evitare i suoi occhi e mantenendo un contegno molto distaccato.
“Mi ha chiamato Giulia, ha bisogno della firma di uno di noi
per accedere agli archivi dell’università ed
effettuare delle ricerche”
Tina non disse niente, mosse semplicemente la testa facendogli capire
che lo stava ascoltando ed invitandolo a proseguire.
“Carlo non c’è, è fuori per
un convegno tutto il fine settimana. Io ho promesso ai miei che sarei
tornato a Firenze questo fine settimana, sabato è il
compleanno di mio padre. Resti solo tu”
“Per quando ne ha bisogno?”
“Il prima possibile”
“D’accordo, ora la chiamo”
“Bene”
Così com’era arrivato, Alessandro girò
i tacchi e tornò in cucina. Tina osservò la sua
schiena finché poté, poi con un gesto stizzito
gettò via la sigaretta ormai consumata e saltò
giù dal muretto.
Chiusa nella sua stanza, prese il cellulare e compose il numero di
Giulia. Rispose al terzo squillo.
“Tina, ciao. Che piacere sentirti”
“Ciao Giulia, ti disturbo?”
“No, ho appena finito di cenare e mi stavo rimettendo a
lavoro. Ho delle pratiche da sbrigare entro domani, ma posso concedermi
una piccola pausa”
“Alessandro mi ha detto che hai bisogno di una firma per gli
archivi dell’università”
“Sì, infatti gli ho chiesto di passare e da me
domani. Ho provato a chiamare Carlo, ma …”
“E’ ad un convegno, lo so”
“Sì, esatto”
“Alessandro non può venire, quindi ha chiesto a me
di passare”
“Ah. E’ un vero peccato”
Tina restò un attimo stupita, poi rise.
“Sono un’alternativa tanto pessima?”
“Ma no, che hai capito! E’ un peccato
perché pensavo di potergli parlare domani”
spiegò Giulia, ridendo a sua volta della piccola gaffe che
aveva appena fatto.
“Dovrai accontentarti”
“Vorrei dovermi accontentare più spesso”
Tina rimase in silenzio, non sapendo cosa ribattere, né
tantomeno cosa leggere in quelle parole, che le sembrarono tanto
un’allusione ben calibrata.
“Ehm … ad ogni modo, dimmi dove e quando possiamo
incontrarci” decise di cambiare discorso e spezzare quel
silenzio che sarebbe potuto diventare pesante.
“Se per te va bene, vorrei risolvere entro domani. La
segretaria dell’università mi ha detto che la sede
centrale è aperta anche il sabato, mezza mattinata,
così per lunedì dovrei avere la documentazione
pronta da portare al giudice”
“Certo, domani va bene”
“Io ho una riunione nel pomeriggio, ma dovrei sbrigarmi per
le 18. Ci incontriamo al mio studio?”
“Perfetto”
“Bene, allora dopo ti mando un messaggio con
l’indirizzo”
“Ok. Ti lascio al tuo lavoro. A domani”
“A domani. Buona notte”
“Anche a te”
Tina chiuse la comunicazione e rimase a guardare il cellulare. Sentiva
le labbra incurvate all’insù, succedeva spesso
ormai quando attaccava il telefono con Giulia. Il suono di un messaggio
in arrivo la distolse bruscamente dai suoi pensieri.
******************************************************
Qualcosa si smuoveee! Spero abbiate apprezzato il capitolo, fatemi
sapere.
Al prossimo capitolo.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
CAPITOLO 10
Il successivo venerdì mattina Alessandro non andò
al cantiere, partì presto per tornare a casa dai suoi a
Firenze, come aveva già detto. La direzione fu affidata a
Tina fino a metà pomeriggio, dopo di ché, lo
scavo finì nuovamente nelle mani di Marco. Tina
però, prima di andare, si raccomandò con Emanuele
perché lo seguisse passo passo e non gli facesse combinare
guai.
Arrivata in Abbazia si concesse appena il tempo di una doccia, poi si
mise in viaggio verso Siena.
Arrivò allo studio di Giulia con dieci minuti di anticipo.
Chiese dell’avvocato Dardi e la segretaria le disse che non
era ancora rientrata, la invitò ad accomodarsi in sala per
attenderla. Tina si intrattenne ascoltando un po’ di musica
dall’mp3 che aveva portato con sé, e quasi non si
accorse che erano passati già quarantacinque minuti da
quando era arrivata, quando la segretaria le si avvicinò.
Alle diciannove in punto si era ritrovata in strada, davanti
all’edificio che ospitava lo studio di Giulia, con il viso
sferzato da un sottile vento gelido. Prese il cellulare e si decise a
chiamarla.
“Giulia, ma che fine hai fatto? La tua segretaria mi ha
appena cacciata dallo studio perché l’orario di
chiusura era passato da un pezzo. Mi ha letteralmente sbattuta
fuori!”
“Sono mortificata, Tina. La riunione si è
protratta più del dovuto, sono ancora dall’altro
lato della città. Sono appena uscita dallo studio del
notaio, altrimenti ti avrei chiamata per avvertirti”
Tina sbuffò sonoramente stringendosi nella giacca ed
addossandosi ad un muro per cercare riparo dal vento.
“Va bene, dai, non importa. Vorrà dire che
tornerò domani”
“No no, aspetta. Sei arrivata fin qui, ti ho fatto perdere un
intero pomeriggio, non posso farti perdere tempo anche domani. Facciamo
una cosa, vieni a casa mia, tanto ho la cartellina con i documenti con
me e li firmi lì”
Tina ci pensò qualche attimo, infine accettò con
un laconico: “Va bene”
“Bene. Ti mando un messaggio con l’indirizzo. A
dopo”
“Ciao”
Tina mise giù e si diresse velocemente verso la sua auto.
All’interno trovò finalmente riparo dal freddo.
Aspettò il messaggio di Giulia prima di mettere in moto e
partire. Scoprì che Giulia non abitava in centro, ma in un
quartiere quasi al limite della periferia. La zona comunque non era
affatto degradata, anzi i palazzi sembravano nuovi, quasi tutti freschi
di ritinteggiatura. Tina parcheggiò e scese,
individuò subito il palazzo che le interessava. Era nuovo
come gli altri, con tre, al massimo quattro piani. Mentre si avvicinava
al moderno portone in ferro, si sentì chiamare. Era Giulia
che un po’ trafelata le andava incontro.
“Ciao” la salutò Tina.
“Scusami, davvero. Sono così mortificata, non
è da me dare buca in maniera così
teatrale” rispose invece l’altra, mentre si
affaccendava a trovare le chiavi nella borsa e ad aprire il portone.
“Questo significa che, in genere, dai buca, ma non in maniera
così teatrale?”
Giulia alzò la testa di scatto verso Tina, la vide
trattenere a stento un sorriso divertito e scosse la testa con aria
sconfitta.
“Non c’è niente da fare, stasera combino
un disastro dietro l’altro” commentò tra
sé sorridendo a sua volta.
Quando riuscì ad aprire il portone, si fece da parte per far
passare prima Tina poi le fece strada per le scale. Salirono solo un
piano, Giulia si fermò accanto alla porta di destra e
l’aprì. Ancora una volta, cedette il passo a Tina.
“Accomodati. Ecco, dammi la giacca”
Giulia le comparve alle spalle, mente lei tentava di ambientarsi
guardandosi attorno, e le fece sfilare la giacca. La posò
assieme alla sua su una poltrona, ai piedi della quale
lasciò cadere la ventiquattrore.
Tina intanto osservava l’ambiente. Era estremamente spazioso,
diviso per aree senza pareti. In fondo c’era la cucina,
moderna e funzionale, separata dal salotto da un tavolo a penisola. Al
di qua della penisola, a pochi passi dalla porta d’ingresso,
un divano e due poltrone erano rivolti a destra verso una parete
attrezzata con tv al plasma, stereo ed una discreta collezione di dvd e
cd. Alle spalle del divano c’era una piccola scala di non
più di quindici gradini che creava un soppalco. Da dove si
trovava Tina, si riusciva a vedere solo la testata inferiore di un
letto. Sotto la scala, sfruttando la rientranza che il soppalco aveva
creato, c’erano alcuni scaffali stracolmi di libri, una
scrivania con un computer, una stampante e fogli sparsi un
po’ ovunque. L’unico punto luce era uno spazioso
balcone che si apriva accanto al frigorifero.
“Posso offrirti del vino? Così, per farmi
perdonare”
La voce di Giulia la fece riscuotere. Portò lo sguardo su di
lei e la vide indaffarata dietro la penisola della cucina con una
bottiglia di vino e due calici, che la osservava e attendeva una sua
risposta. Mosse qualche passo in avanti, tanto per non sembrare troppo
rigida ed impacciata.
“Veramente io …”
Ma Giulia la zittì con sguardo furbo, sventolandole la
bottiglia sotto il naso.
“E’ un Valdichiana. E’ bianco,
è frizzante ed è freddo. Non puoi dirmi di
no”
Tina rimase sinceramente colpita. Giulia era riuscita a sciogliere i
suoi ultimi residui di imbarazzo, tanto che si avvicinò
lentamente al bancone e sedette con disinvoltura su uno sgabello.
“Touché” disse semplicemente, sorridendo
alla donna dall’altro lato del tavolo.
Giulia rise compiaciuta e, prima di stappare la bottiglia, si tolse la
giacca del tailleur poggiandola allo schienale di uno dei quattro
sgabelli. Versò il vino nei calici e ne porse uno a Tina.
“A che brindiamo?” chiese quest’ultima.
Giulia ci pensò un attimo su.
“Al mio ritardo” affermò sicura
“Almeno ora siamo qui, al caldo, a bere vino e non in quello
studio grigio e triste”
Tina annuì approvando il brindisi e fece scontrare il suo
calice contro quello dell’avvocato.
Alla fine di quel bicchiere e dopo qualche altra chiacchiera informale,
proprio Tina si ricordò del motivo per cui erano
lì.
“E i documenti?”
“Ah sì, giusto. Li prendo subito”
Giulia lasciò il suo bicchiere sul piano e andò a
recuperare una cartellina dalla ventiquattrore.
“Ecco, mi serve una firma qui e una qui”
Diede a Tina due fogli, indicandole il punto esatto dove firmare e
porgendole una penna.
Tina firmò, restituì la penna a Giulia, poi
alzò lo sguardo su di lei fissandola ora nuovamente con
imbarazzo, non sapendo cosa aspettarsi o cosa fare, visto che
apparentemente non aveva più un motivo per stare
lì. Ancora una volta fu Giulia a risolvere la questione.
“E’ ora di cena ormai, che ne dici se improvviso
qualcosa?”
“Ehm … non lo so, dovrei tornare in
Abbazia”
“Puoi passare la notte qui a Siena e partire domani, tanto
è venerdì”
Tina tentennò. Giulia indovinò il suo essere
combattuta e tornò all’attacco.
“Ho giusto una nuova ricetta da provare e mi serve una cavia.
Avanti, dì di sì” le riservò
un sorriso invitante.
Un sorriso a cui Tina non seppe dire di no.
“Va bene, ma solo se mi lasci aiutarti”
“Ah no! Tu sei l’ospite. Io cucino, tu gironzoli
per casa ficcanasando un po’ ovunque a casaccio, è
questo che fanno gli ospiti”
Tina rise, arrendendosi a ricoprire quel ruolo. Giulia, soddisfatta, si
scorciò le maniche e si voltò verso i fornelli
cominciando ad armeggiare.
Ficcanasando, proprio come le aveva detto di fare la padrona di casa,
Tina si ritrovò a scorrere i titoli dei dvd, molti dei quali
erano horror o thriller. Qualche minuto dopo stava osservando i cd,
molta musica italiana, soprattutto di cantautori, ma anche musica
straniera, in prevalenza pop con qualche intromissione di rock e
persino di jazz. Su una mensola accanto allo stereo c’era un
orologio a pendolo dall’aspetto molto antico, aveva
un’architettura molto particolare, piuttosto baroccheggiante.
Dopo cinque minuti Tina si era spostata dall’altro lato della
camera, vicino al computer. Sfogliò qualche libro, lesse la
trama di alcuni di loro che le erano sconosciuti, poi la sua attenzione
fu catturata da alcune foto. Le osservò più o
meno tutte, ma una in particolare attirò la sua attenzione.
Ritraeva Giulia, di qualche anno più giovane, con un
ragazzo, alto, castano con gli occhi chiari, che
l’abbracciava da dietro e le posava un bacio sul collo. Erano
entrambi in costume e sorridenti.
“Dove eravate qui con il tuo ex?”
Giulia increspò la fronte e si voltò con il busto
verso Tina.
“Di che ex parli, scusa?”
“Di questo”
Tina le mostrò la foto e Giulia scoppiò a ridere.
“Credevo di essere stata chiara sui miei gusti
sessuali”
“Scusa, io avevo dato per scontato … visto come ti
abbraccia …”
Tina appariva piuttosto confusa ed intimamente anche un po’
imbarazzata. Giulia placò le risate e trattenne solo un
sorriso divertito sul proprio volto.
“E’ mio fratello. L’abbiamo scattata sei
anni fa a Nizza. Eravamo con le nostre ragazze”
“Le vostre ragazze. Due. Già”
mormorò Tina tra sé.
Giulia la guardò intenerita dal suo disagio più
che evidente.
“Scusa, mi sento davvero una cretina in questo
momento” borbottò Tina, rimettendo al suo posto la
cornice con la foto.
“Tranquilla, non è successo nulla. Piuttosto vieni
che è pronto”
Mangiarono e bevvero, chiacchierando tranquillamente. Dopo
quell’attimo di defaillance Tina tornò nuovamente
a sentirsi a proprio agio. A fine cena, quest’ultima si
offrì almeno di fare i piatti, ma Giulia rifiutò
fermamente rispondendo che aveva una lavastoviglie a cui amava lasciar
fare il lavoro sporco.
A loro due, quindi, non restò che spostarsi sul divano
portando con sé la bottiglia di vino, ormai più
che dimezzata, e i due calici.
Giulia sfilò le scarpe e piegò le ginocchia di
lato, sotto il sedere. Pareva la quint’essenza del relax, con
il bicchiere nella mano destra ed il braccio sinistro languidamente
disteso sullo schienale. Tina le sedette accanto, piegando la gamba
destra sotto il ginocchio sinistro per stare rivolta nella sua
direzione e poterla guardare in viso.
“Allora, come va con Alessandro? Vi siete parlati?”
chiese Giulia.
“In verità non va molto bene. Ci parliamo solo per
lavoro, se strettamente necessario”
“Mi dispiace”
“Non è colpa tua, è lui che si
è intestardito. Anche se, a sua discolpa, devo dire che
secondo me gli piaci davvero tanto”
Giulia sospirò e si allungò verso il tavolino
accanto al divano per posare il bicchiere.
“Ma a me non piace lui. Non è la sua attenzione
che voglio catturare, Tina”
“Ah no?”
“No”
Tina rimase immobile. Lo sguardo di Giulia, che si era fatto
improvvisamente più serio e profondo, la intimorì.
“Non voglio fare giochetti con te, quindi sarò
sincera” continuò intanto l’avvocato,
che nel frattempo si era avvicinata a lei per prendere anche il suo
bicchiere e posarlo sul tavolino.
Tina l’aveva lasciata fare, lieta di avere entrambe le mani
libere per poterle torcere freneticamente tra di loro, mentre ascoltava
Giulia, che continuava a parlare con una calma ed una pacatezza quasi
surreali.
“Tu mi piaci, Tina. E sto per baciarti”
Giulia si avvicinò a lei con movimenti molto lenti, forse
per non innervosirla ulteriormente.
“Hai tre secondi per scostarti, se non vuoi. Uno …
due …”
Non arrivò al tre, la baciò.
Tina non si sottrasse. Per qualche attimo rimase ferma e rigida,
prendendo aria dal naso con brevi e convulsi respiri. Quando
sentì le mani di Giulia accarezzarle le spalle,
tornò a respirare normalmente e ricambiò il bacio.
Giulia si sentì libera di approfondire il contatto solo
quando la sentì finalmente calmarsi e rilassarsi.
Intuì la sua indecisione e con movimenti gentili
guidò le sue mani dietro la propria nuca, dopo di
ché andò a stringerle i fianchi.
Continuarono a baciarsi, staccandosi brevemente solo per prendere aria,
fino a quando Tina decise di lasciarsi guidare dall’istinto e
spingere Giulia all’indietro sul divano.
Quest’ultima, colta di sorpresa dal movimento, si
lasciò andare facilmente ma tirò sul proprio
corpo anche Tina. Si guardarono un istante negli occhi, poi tornarono a
baciarsi.
Le mani di Tina si fecero inaspettatamente più audaci,
scendendo ad accarezzare il collo di Giulia fino alla scollatura. Una
volta lì, cominciarono a sbottonare la camicia.
Spronata dai gesti dell’altra, anche Giulia decise di osare
di più. Le accarezzò la schiena,
arrivò fin quasi al sedere. Nel risalire portò
con sé la maglia alzandola fin sopra il petto e scoprendole
il seno e lo stomaco.
Tina intanto aveva finito di sganciare anche l’ultimo bottone
e con la punta delle dita le stava accarezzando la pancia, quando
all’improvviso Giulia l’allontanò.
“No. No no no, aspetta!”
Tina si mise a sedere e la guardò confusa e stordita.
“Che c’è?”
“Dobbiamo fermarci”
“Perché?”
A quel punto anche Giulia si rimise a sedere e cominciò ad
abbottonarsi la camicia, più per prendere tempo che per
reale pudicizia.
“Non possiamo continuare, non stasera”
Tina continuò a cercare i suoi occhi che però le
sfuggivano ostinatamente. A quel punto cominciò a sentirsi
tremendamente a disagio. Si aggiustò la maglia con un gesto
stizzito prima di parlare ancora.
“Ho fatto qualcosa di sbagliato? E’ stata colpa
mia?”
Giulia sgranò gli occhi, stupita. Non aveva pensato
all’eventualità che lei potesse fraintendere in
quel modo. Si avvicinò per prenderle una mano tra le sue.
“No, tu eri perfetta. Non è colpa tua. Il fatto
è che … beh, giusto stamattina mi è
venuto il ciclo”
Tina si prese qualche minuto per metabolizzare quella spiegazione, poi
lentamente sfilò la mano dalla sua presa e si
alzò.
“Capisco” disse incolore.
“Dove vai?”
Giulia la vide guardarsi attorno con aria turbata e poi raggiungere la
poltrona con la sua giacca.
“Si è fatto tardi”
“Tina, aspetta” Giulia si alzò di scatto
bloccandola proprio mentre stava per indossare la giacca “Se
non possiamo fare sesso non significa che tu debba andartene. Resta,
parliamo ancora un po’”
L’altra scosse la testa con decisione. Si liberò
dalla sua presa e testardamente indossò il giubbino.
“Lasciami andare, Giulia. Ti prego”
L’avvocato cercò il suo sguardo, ma lei teneva
ostinatamente gli occhi puntati sul pavimento. Capì che
forse aveva bisogno di stare da sola per metabolizzare quanto accaduto
e si scostò, lasciandole libero il passo fino alla porta.
“Ti chiamo, ok?” le disse, mentre la vedeva andar
via di spalle.
Tina arrivò alla porta, l’aprì e prima
di uscire e chiudersela alle spalle disse solo: “Buona
notte”.
************************************************************
So di avervi fatto aspettare più del solito, spero che
l'attesa sia in qualche modo ripagata. Prometto di non far passare
più così tanto tempo tra un capitolo e l'altro :D
Buona domenica!
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
CAPITOLO 11
Quella notte Tina si fermò a dormire nel suo appartamento a
Siena, non se l’era sentita di guidare fino
all’Abbazia. Non dormì molto in realtà,
passò quasi mezza nottata a fissare il soffitto con gli
occhi spalancati.
Tornò soltanto a sabato sera inoltrato, decisa a rinviare il
più possibile il confronto con il mondo esterno e con i suoi
amici, dopo quello che era successo.
Per tutta la giornata aveva ignorato i messaggi di Emanuele che,
preoccupato, le chiedeva che fine avesse fatto. Se lo aspettava,
quindi, l’assalto che egli le riservò non appena
mise piede in Abbazia. Lo liquidò con un laconico:
“Ho avuto da fare”, e fuggì a
rinchiudersi in camera sua.
L’indomani si svegliò tardissimo, la stanchezza
aveva avuto il sopravvento e l’aveva costretta a recuperare
tutto il sonno perso in quei giorni. Saltò la colazione per
passare direttamente al pranzo. Pochi sguardi sfuggenti ai suoi amici,
poche parole masticate tra i denti e qualche sorriso di circostanza.
Fuggì non appena ne ebbe l’occasione.
Passò il pomeriggio seduta su un muretto nel giardino del
chiostro, con lo sguardo perso tra le colline e le ginocchia strette al
petto.
Fu così che la trovò Alessandro, quando la
raggiunse al tramonto.
Tina aveva sentito dei passi ma non si era voltata a vedere di chi
fossero, per questo rimase stupita quando sentì la voce del
suo amico.
“Posso sedermi con te?”
Lei si limitò a fare un cenno affermativo col capo.
Alessandro sedette accanto a lei e per qualche minuto rimase
semplicemente in silenzio ad osservare il sole morire dietro le colline.
“Avevi ragione tu, riguardo a Giulia” le disse
all’improvviso.
Tina trasalì nel sentire quel nome, ma cercò di
camuffare il tremolio in un brivido di freddo.
“Cioè?”
“Oggi, tornando da Firenze, mi sono fermato a Siena. Giulia
mi ha chiamato sabato pomeriggio dicendo che doveva assolutamente
parlarmi”
Tina si voltò di scatto verso di lui, gli occhi sgranati, il
battito accelerato.
“Che ti ha detto?”
“Che è lesbica e che è per questo che
con lei non ho speranze” Alessandro sorrise amaramente, poi
sospirò tornando a guardare verso il cielo.
“Nient’altro?” indagò Tina.
“Che altro avrebbe dovuto aggiungere?! Già
così è una cocente delusione, credimi”
ribatté lui ironico.
“Già, è vero. Scusami”
Tina riuscì allora a rilassarsi, salvo tornare a sentirsi
sul filo del rasoio un attimo dopo alla successiva domanda di
Alessandro.
“Tu lo sapevi, vero?”
Non aveva un tono accusatorio, sembrava una semplice domanda.
“Ehm … io, mah, più o meno …
me lo aveva accennato”
Alessandro si girò a guardarla, con una espressione scettica
in volto.
“Non mi pigliare per il culo. Lo sapevi?”
“Sì”
“Perché non me lo hai detto? Mi avresti
risparmiato un sacco di figure di merda”
“Non spettava a me dirtelo, Ale. E’ la sua vita, ha
il diritto di scegliere a chi dirlo e a chi no”
Alessandro non rispose, sapeva che aveva ragione.
“Mi dispiace, avrei dovuto darti ascolto” disse,
invece, dopo un po’.
“A me dispiace averti trattato male, non te lo meritavi.
E’ solo che … non lo so, in questo periodo non mi
sento più me stessa … non sono più io,
faccio cose che … non ho mai fatto prima”
La voce di Tina s’incrinò parola dopo parola,
finché cominciò a piangere silenziosamente scossa
solo dai singhiozzi. Alessandro l’attirò a
sé, costringendola a sciogliere quella posa rannicchiata per
aggrapparsi invece al suo corpo. La tenne stretta, accarezzandole i
capelli, finché si fu calmata.
“Passato?” le domandò.
Tina annuì, tirando su con il naso.
“Tu lo sai che in qualunque momento ne abbia bisogno, puoi
parlare con me”
Ancora una volta lei annuì, con gli occhi nuovamente lucidi.
“Basta piangere, ora. Conservane un po’ per gli
strati, visto che sono di nuovo aridi”
Alessandro riuscì a strapparle un mezzo sorriso e
così a convincerla a tornare dentro per darsi una ripulita.
Il lunedì Tina fu grata di svegliarsi con il sole. Una
giornata di intenso lavoro le avrebbe permesso di scaricare un
po’ di tensione.
Quando i ragazzi videro lei ed Alessandro arrivare di nuovo insieme sul
cantiere non poterono trattenere un sorriso. Tutti, tranne Emanuele che
non ci stava capendo più niente. Alla prima occasione buona,
infatti, trascinò con sé Alessandro e lo
costrinse a raccontargli cosa diavolo stava succedendo.
Tina non gli dette molto peso, né a lui né agli
altri. Restò concentrata tutto il giorno sul lavoro,
scegliendo volutamente per sé i lavori più
pesanti.
A metà pomeriggio però cominciò ad
accusare una certa stanchezza e decise di concedersi dieci minuti al
riparo dal sole in baracca.
Non fece nemmeno in tempo ad entrare e richiudere dietro di
sé la porta che il suo cellulare cominciò a
squillare. D’istinto lo prese e rispose senza nemmeno
controllare chi fosse.
“Pronto”
“Tina”
La voce di Giulia all’altro capo del telefono la fece
sobbalzare, il cuore le arrivò in gola e la lingua le si
annodò.
“Sei ancora lì? Tina?”
“Sì, ci sono. Dovevi dirglielo proprio ora ad
Alessandro che sei lesbica?”
Dopo il blocco iniziale le parole le sgorgarono prepotenti dalla gola e
non riuscì a fermarle.
“Scusa eh, non credevo di fare un torto a te, dicendo ad
Alessandro che io sono
lesbica” fu la risposta tagliente di Giulia.
Tina rimase in silenzio, messa al tappeto da quella considerazione
ovvia che sottolineava, tra l’altro, anche la sua
immaturità.
“Scusa, non volevo aggredirti. E’ solo che
…”
“Tranquilla, non gli ho detto niente di quello che
è successo con te l’altra sera”
Ancora una volta Tina sentì di essere stata colta in fallo,
e provò vergogna per averlo anche solo pensato.
“Non l’ho mai pensato” tentò
di giustificarsi.
“Sì invece, bugiarda”
Giulia aveva però addolcito il tono, non era più
sulla difensiva come prima. Aveva intuito che Tina era ancora
scombussolata e confusa, poteva capirlo.
“Ma non fa niente” aggiunse appunto un attimo dopo
“Infatti ti offro la possibilità di farti
perdonare accettando di venire a cena da me, stasera”
“Non credo sia possibile”
“Allora vieni a Siena e andiamo semplicemente a fare una
passeggiata in centro”
Tina esitò qualche istante, poi raccolse il coraggio a
quattro mani e diede voce ai propri pensieri.
“Credo che dovremmo riportare il nostro rapporto su un piano
puramente lavorativo”
Giulia rimase ammutolita, quella risposta proprio non se
l’aspettava. Il suo smarrimento durò poco, il
tempo di capire che Tina stava scappando perché era
terrorizzata. Quindi, si prese ancora qualche secondo per ingoiare quel
boccone amaro, giacché quelle parole avevano comunque fatto
male, e cercò di ammorbidire la voce quanto possibile per
parlarle con tutta la calma che possedeva.
“Tina, lo so che hai paura. L’altra sera
… non sarebbe dovuta andare così, ti sei
ritrovata catapultata in qualcosa che non eri ancora pronta ad
affrontare e quando te ne sei resa conto ti sei spaventata. Lo
capisco”
Si fermò qualche istante a riprendere fiato, poi non
sentendo nessuna rimostranza dall’altro lato
proseguì.
“Ma io prima non ti ho chiesto di venire da me per portarti a
letto, ti ho invitata a cena. E poi ho provato con una passeggiata, in
un luogo aperto ed affollato. Non voglio sedurti, voglio conoscerti.
Solo questo”
“Giulia, io …”
Ma l’avvocato la bloccò, impedendole di continuare.
“Non rispondere adesso. Pensaci un po’ su. Io ti
richiamo”
La chiamata terminò così. Tina sentì
la linea cadere e dopo un attimo mise giù a sua volta.
Quella telefonata la mise di cattivo umore per il resto della giornata.
Anzi, i suoi strascichi si trascinarono anche nei giorni seguenti,
ingigantiti di tanto in tanto da nuove telefonate e messaggi di Giulia,
che Tina puntualmente ignorava.
L’avvocato le aveva lasciato un po’ di tempo, come
aveva promesso. Aveva richiamato mercoledì, a
metà mattina (mercoledì 28 ott). Tina aveva
deciso di ignorare la chiamata, immaginando che
così l’altra si sarebbe messa
l’anima in pace, invece Giulia aveva richiamato
più tardi. E poi anche il giovedì mattina. Per
quel motivo, nel pomeriggio, la ragazza appariva immusonita e
corrucciata. Camminava con lo sguardo basso, le mani infossate nelle
tasche e le spalle curvate in avanti.
Quando Alessandro la vide spuntare nella sua area, capì
subito che c’era qualcosa che non andava, così
come era accaduto nei giorni precedenti, in cui l’amica era
stata particolarmente elettrica.
“Come va?” le domandò avvicinandosi,
mentre si ripuliva le mani dal terreno passandole sui pantaloni.
“Una bellezza” fu la risposta sarcastica
dell’amica.
“Tina, mi vuoi dire che …”
“Ho mal di testa, Ale. Facciamo volare ‘sto coso,
così me ne posso ritornare nella mia area a finire il mio
lavoro” lo liquidò Tina seccata.
Il capocantiere capì che sarebbe stato inutile insistere,
conosceva la ragazza quel tanto che bastava per sapere che se non
voleva parlare, nulla l’avrebbe convinta a farlo.
“Stefano, sei pronto?” Alessandro raggiunse il
ragazzo al di sopra di una collinetta.
Stefano stava per far fare il primo giro di prova al quadricottero, che
aveva finito di assemblare proprio la sera precedente. Era un aggeggio
abbastanza grosso, quadrato e dalle dimensioni di una scacchiera. Aveva
quattro piccoli motori con eliche, uno in ogni angolo, ed al centro
c’era il vano elettrico per l’alloggio della
batteria, che gli avrebbe dato la carica. Sotto il corpo centrale con
un metodo molto rudimentale, ma speravano efficiente, era stata
attaccata una macchina fotografica digitale in modalità di
ripresa video. Gli archeologi credevano così di riuscire ad
ottenere delle riprese dall’alto, potendo godere di una
visuale d’insieme delle varie aree, senza dover ricorrere
alle riprese da elicottero vere e proprie, che per il momento non erano
possibili.
Emanuele si affiancò a Tina, mentre Alessandro e Stefano
parlottavano sulla collinetta, mettendo a punto gli ultimi dettagli
prima del volo.
“E’ arrivato il gran giorno, eh”
commentò ironico Emanuele.
“Il tuo scetticismo è l’ultima cosa di
cui abbiamo bisogno in questo momento” lo rimbeccò
Tina acidamente, fissando dritto davanti a sé.
“Hai le tue cose?” scherzò
l’altro in tutta risposta, non lasciandosi buttare
giù dal tono distaccato della ragazza.
“Guarda che una donna può essere nervosa per
cavoli suoi, anche se non ha il ciclo” gli fece notare
stizzita.
Emanuele alzò le mani in segno di difesa e la
guardò ammiccando divertito.
“Ok, allora sei nervosa” concesse tranquillo
“E perché sei nervosa?”
indagò curioso un attimo dopo.
Tina incrociò le braccia al petto e cominciò a
battere nervosamente con una punta del piede sul terreno.
“Fatti gli affari tuoi” borbottò con un
sospiro inquieto.
Il ronzio del quadricottero, che cominciava a volare sopra le loro
teste, li distrasse. Stefano fece qualche volo basso di prova, per
prendere manualità con il telecomando, poi lo
mandò più su. Trascorsero una ventina di minuti a
fare quell’esperimento e poi, quando finalmente il
quadricottero ritoccò terra, anche Tina ed Emanuele si
avvicinarono ad Alessandro e Stefano per vedere com’erano
venute le riprese.
“Sono nitide e non troppo mosse”
constatò Alessandro, tenendo la macchina fotografica al
centro del semicerchio che gli altri gli avevano formato attorno.
“Direi che sono buone” approvò Tina con
voce incolore “Ottimo lavoro, Stefano” aggiunse
poi, tentando di improvvisare un sorriso, a beneficio del ragazzo.
“Se avessimo delle riprese aree vere e proprie sarebbe
meglio” obiettò invece Emanuele.
“Falla finita, Manu” sbottò Tina
dandogli uno spintone sulla spalla.
“Dico solo quello che penso” si difese lui facendo
spallucce.
“Allora non dovresti dire niente, visto che te non pensi
mai” ironizzò Alessandro.
“Oh, ma tu da che parte stai?!” lo
rimproverò il ragazzo tirandogli un pugno su una spalla.
Tina stava per intromettersi ancora, ma una vibrazione nella sua tasca
la fece sussultare. Estrasse il cellulare e controllò il
nome di chi la stava chiamando, come aveva immaginato era Giulia.
“Torno a lavoro” dichiarò irritata,
riponendo il cellulare in tasca senza aver risposto “Stefano,
appena metti a posto torna anche tu, ho bisogno di te in area”
Detto ciò si allontanò velocemente, di nuovo con
la testa infossata nelle spalle, lo sguardo truce e le mani sprofondate
nelle tasche. Per Tina, non rispondere a Giulia, era diventata quasi
una sfida a chi si sarebbe stancata per prima. Lei si sentiva molto
lontana dal cedere, tanto era il timore di parlare nuovamente con
l’avvocato.
Il successivo venerdì pomeriggio, in un momento di calma,
Tina era accovacciata accanto ad uno strato giallastro e stava tentando
di capire di cosa si potesse trattare, quando un’ombra si
allungò sul suo campo visivo.
“Chiunque tu sia, scostati, mi fai ombra”
borbottò con poca gentilezza.
“Ciao anche a te”
Tina alzò di scatto la testa e vide sopra di sé
il volto di Giulia in controluce. Per la sorpresa perse
l’equilibrio e cadde all’indietro con il sedere sul
terreno. Si rialzò in fretta e la fronteggiò.
“Che ci fai qui?”
“Ho pensato di passare a sincerarmi che tu fossi ancora viva,
visto che non rispondi né alle mie chiamate né ai
miei messaggi”
Giulia la fissava con palese sfida nella sguardo. La sua irruzione sul
cantiere era stata ampiamente premeditata, visto che era vestita per
l’occasione con jeans e scarpette.
“Beh, sono viva” rispose Tina con tono sbrigativo
guardandosi nervosamente attorno per accertarsi che nessuno facesse
caso a loro.
“Mi fa piacere ma, visto che ormai sono qui, pensavo di
approfittarne anche per chiederti il motivo per cui hai deciso di
ignorarmi quando solo qualche giorno fa hai rischiato di finire a letto
con me”
Tina scattò come una molla, i suoi occhi saettarono veloci a
destra e sinistra, poi le afferrò un polso e
cominciò a trascinarla con sé. Giulia la
seguì, lieta di averle almeno suscitato una reazione. Tina
mollò la presa solo quando furono chiuse dentro la baracca.
“Sei impazzita! E se ti avessero sentito?!” le
sibilò contro.
Giulia assorbì il rimprovero con molta diplomazia.
“Dovevo fare qualcosa per attirare la tua attenzione. Scusa,
è stata la prima cosa che mi è venuta in
mente”
Tina si passò una mano tra i capelli, girava per quei nove
metri quadrati come un leone in gabbia, sospirando di tanto in tanto
nervosamente.
“Non saresti dovuta venire qui”
farfugliò agitata.
“Perché non ti calmi e ti siedi un
attimo?”
“Non posso stare calma quando sono chiusa in una stanza da
sola con te!”
Tina si bloccò al centro della baracca, lei per prima
sorpresa di ciò che aveva appena detto. Giulia la
guardò con l’aria di chi sapeva che prima o poi
sarebbe successa una cosa del genere, ma non se l’aspettava
proprio in quel momento.
“Tina”
“Non dire niente, ti prego”
La ragazza andò a sedersi su una sedia sgangherata,
poggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa fra le
mani.
Giulia la osservò per qualche istante. Poteva intuire quanto
dovesse costarle affrontare quella realtà ed era decisa a
renderglielo quanto più indolore possibile, se solo avesse
deciso di aprirsi con lei.
“Lo sai che sono io la prima a voler fare le cose con calma.
Non ti sto chiedendo di giurarmi amore eterno. Usciamo insieme,
conosciamoci e vediamo come va”
Tina cominciò a scuotere amaramente il capo, mentre
l’altra ancora parlava.
“Possibile che tu non capisca?! Per me sarebbe come lanciarsi
nel vuoto senza rete di protezione” spiegò
combattuta.
Giulia azzardò un passo in avanti, poi si fermò
con le braccia ciondolanti ai lati dei fianchi, indecisa se allungare
una mano per toccarle una spalla. Decise di non farlo e rimase
lì immobile.
“E buttati allora, non sei da sola. Ci sarò io a
prenderti” le rispose con foga “ E farò
di tutto per non farti far male … ti farò
atterrare tra i coriandoli e rose” proseguì
addolcendo il tono.
Tina alzò la testa, cercò con lo sguardo gli
occhi di Giulia e, nella comprensione che vi lesse, trovò il
coraggio di dar voce alle proprie paure.
“Non so come si fa, Giulia. Non so come fare a stare con una
donna, io non mi ci vedo”
Giulia colse in quella confessione un piccolo spiraglio e decise che
poteva provare ad avvicinarsi. Si inginocchiò davanti a lei
e le posò le mani sulle ginocchia.
“Per prima cosa, non devi immaginarti con una donna
qualsiasi, ma con me. Sono io che ti piaccio, o no?”
Riuscì a strapparle un piccolo sorriso ed un impacciato
cenno affermativo.
“E poi stare con una donna non è differente dallo
stare con un uomo. Tutti e due i rapporti si basano sugli stessi
principi: rispetto, fiducia e amore”
Giulia alzò un braccio avvicinando la mano al suo viso. Le
scostò una ciocca di capelli dagli occhi e poi
indugiò con le dita sulla sua guancia accarezzandola. Tina
continuò a guardarla negli occhi, tanti pensieri vorticavano
nella sua testa e non riusciva a mettere ordine per poterle dire
qualcosa di sensato.
“C’è un film al cinema che vorrei andare
a vedere domani sera. Mi accompagni?” domandò
Giulia.
Tina sorrise, ancora una volta l’aveva tirata fuori da una
situazione imbarazzante con una semplicità disarmante.
“Solo se prometti che non è un horror”
“E’ una commedia romantica. Mi sento in vena di
smancerie” fu il commento caustico dell’avvocato.
Tina rise e l’atmosfera si sciolse definitivamente.
Giulia si rimise in piedi e tirò per le mani anche Tina, che
seguì lo slancio del proprio corpo e avvolse le braccia
attorno alla sua vita posandole la testa sulla spalla. Giulia
l’accolse più che volentieri ricambiando il suo
abbraccio ed accarezzandole i capelli.
“Resti a cena?” chiese Tina.
“Mi piacerebbe, ma ho del lavoro da finire” Giulia
le posò un bacio tra i capelli, poi sciolse
l’abbraccio per poterla guardare in viso.
“Ma è venerdì e domani non si
lavora”
“Io lavoro, invece, e questa fuga per venirti ad acchiappare
mi costringerà alle ore piccole stasera”
“Mi dispiace”
Tina abbassò lo sguardo, ma Giulia le prese il mento e la
costrinse ad alzare la testa.
“A me no, invece. Ne è valsa la pena” le
sorrise rassicurante mentre le accarezzava una guancia.
Tina non disse nulla, era ancora frastornata per tutta la situazione,
così fu Giulia a riprendere la parola.
“Adesso devo proprio andare. Ti chiamo domani, ok?”
“Va bene”
Giulia si sporse verso di lei per darle un bacio sulla fronte, poi
uscì.
Tina la guardò andare via e, quando fu da sola,
tornò a sedersi. Si guardava attorno, il suo sguardo si
posava sugli attrezzi da lavoro, sulle cassette colme di ceramica ed
altri reperti, sulle piante degli strati, ma tutto ciò che
vedeva a ripetizione davanti ai suoi occhi erano i momenti che aveva
appena vissuto con Giulia. Un grosso sorriso le spuntò sulle
labbra.
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Via, oggi mi sento buona, così vi "regalo" questo nuovo
capitolo a pochi giorni di distanza dal precedente. Come avete visto,
non mi piace tirarla troppo per le lunghe in fin dei conti...anche
se....non crederete mica che i problemi siano finiti qui!? XD
A presto!
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
CAPITOLO 12
Quella sera Tina fu di buon umore come non lo era da tempo. Dopo che
Giulia era andata via, lei era ritornata al suo lavoro, ma
l’aveva svolto con un entusiasmo che stupì i
ragazzi, abituata a vederle un’aria truce da giorni
ormai. Alessandro ed Emanuele notarono il suo
cambiò d’umore, ma decisero di non chiederle nulla
per non turbare quel fragile equilibrio che sembrava aver riacquistato.
Dopo cena, Emanuele la raggiunse fuori. L’aveva vista dalla
finestra starsene seduta sul muretto con la sigaretta tra le labbra ed
il naso all’insù con gli occhi puntati al cielo.
“Conti le stelle?”
La sua voce non la spaventò, aveva sentito i passi sulla
ghiaia e si era voltata vedendo arrivare l’amico, che le
sedette accanto con le mani nelle tasche.
“Anche volendo, sarebbe impossibile per quante sono. Mi
limitavo ad osservarle” fece un ultimo tiro alla sigaretta
poi la gettò.
“Ti ricordi che abbiamo una birra in sospeso io e te? Che ne
dici di andare ora?”
Tina lo guardò. Sorrideva di quel sorriso da bambino
tipicamente suo, con la faccia pulita e gli occhi sinceri.
Aprì la bocca per dirgli qualcosa, poi la richiuse.
“Che c’è?” indagò
lui, avendo colto la sua esitazione.
“Sono un po’ stanca in realtà.
Perché non chiedi a Federica? Mi pareva di aver capito che
cercasse compagnia per andare a fare due passi”
Emanuele aggrottò la fronte. Cercò il suo sguardo
ma lei aveva rivolto nuovamente gli occhi al cielo.
“Che c’entra Federica, scusa?”
“Credo che tu le piaccia”
“No, aspetta … scusa, fammi capire …
stai cercando di accasarmi?”
Tina si voltò verso di lui ed incontrò la sua
espressione perplessa ed infastidita. Sospirò sperando di
non combinare casini.
“Ma no, figurati. Dico solo che potresti stare bene con lei
che ricambierebbe il tuo interesse”
“Praticamente mi stai dicendo di provarci con lei
così la smetto di rompere le palle a te”
“No, Manu …”
“Lascia perdere, ho capito”
Tina non poté finire perché Emanuele si era
alzato di scatto, le spalle rigide ed il viso contratto. Se ne
andò scalciando via la ghiaia.
Tina rimase lì, dandosi mentalmente dell’idiota, a
guardarlo andar via evidentemente ferito e arrabbiato. Si
sentì in colpa, Emanuele era un bravo ragazzo ed era sempre
stato un buon amico. D’improvvisò
recuperò il cellulare da una tasca e compose il numero di
Giulia. Lei rispose dopo qualche squillo.
“Ehi”
“Ciao. Ti disturbo? Stavi lavorando?” chiese
agitata tutto d’un fiato.
“Si, ma non preoccuparti. Mi fa piacere che hai chiamato.
Come stai?”
Tina esitò qualche istante. Sentendo silenzio
dall’altro lato Giulia intuì che qualcosa non
andava.
“Tina, tutto bene?”
“Io … credo che non dovremmo uscire
domani”
“Cosa … ma che …”
“Non è giusto, Giulia”
L’avvocato s’impose di mantenere la calma, sebbene
l’unica cosa che avrebbe voluto fare in quel momento fosse
urlare. Prese qualche respiro profondo, così quando
parlò la sua voce risultò pacata.
“Tina, qualcuno ti ha detto qualcosa?”
“No … io … no, nessuno mi ha detto
nulla. E’ una cosa che ho pensato io”
“Allora, mi spieghi per favore cosa hai pensato?
Perché hai cambiato idea così
all’improvviso?”
Tina scese dal muretto con un piccolo salto e cominciò a
camminare nel piccolo chiostro dell’Abbazia.
“Ho parlato con Emanuele poco fa”
“E …?”
“E niente, lui mi ha chiesto di andare a bere una birra. Io
gli ho detto che ero stanca e che avrebbe potuto chiedere a Federica
perché so che ha un debole per lui”
“E lui l’ha presa male”
“Sì”
“Che ti ha detto?”
“Che io gli stavo dicendo di uscire con Federica solo per
togliermelo dalle palle. Ma ovviamente non è
così”
“E com’è allora?”
Tina sospirò pesantemente, si passò una mano tra
i capelli. Sentiva che stava per venirle mal di testa.
“Mi sembra ovvio, Giulia. Non posso uscire con due persone
contemporaneamente. Io non sono fatta per tenere due piedi in una
scarpa”
Giulia increspò la fronte, tolse gli occhiali che le erano
scivolati sul naso e si aggiustò sulla sedia mettendosi con
la schiena dritta in maniera piuttosto rigida.
“Scusami, non ti seguo. Se hai detto a lui di non voler
uscire, perché allora lo stai dicendo anche a me?”
“Perché … perché mi sento in
colpa”
Giulia accennò una piccola risata sarcastica. Il suo tono
divenne velatamente tagliente.
“Ti senti in colpa perché gli hai dato buca. O
perché gli hai dato buca per uscire con una donna?”
Tina bloccò di colpo il suo incedere. Spostò
nervosamente lo sguardo attorno a sé prendendo tempo.
“Io … io …”
Giulia sospirò. Quando parlò, la sua voce era
nuovamente calma.
“Tina, ascoltami. Lascia perdere per un attimo la questione
uomo o donna e pensa a questo: tu hai rifiutato di uscire con Emanuele
perché non ti interessa, ma hai accettato di uscire con me
perché evidentemente almeno un po’ ti interesso.
Ora, se mi dai buca, ci perdo io ma pure te. Mentre Emanuele non ci
guadagna comunque niente”
Tina la ascoltò attentamente, la mano libera nella tasca dei
jeans, dondolando sui talloni con aria un po’ inquieta.
“Hai ragione” ammise, infine.
Giulia accennò un piccolo sorriso il cui effetto
risuonò anche nella voce appena più squillante.
“Tu mi manderai al manicomio”
“Se fossi in te mi sarei già mandata a quel paese.
Non so dove trovi la pazienza”
“E’ perché mi piaci, stupida. Mi piaci
un sacco. E lo so che hai paura del giudizio della gente, infatti non
voglio portarti alcuna fretta, non devi dire di noi a nessuno se non
vuoi, per ora. Però, per favore, dacci una
possibilità. Ok?”
Tina si passò una mano sul viso distendendo le rughe di
tensione che l’avevano corrucciato fino a quel momento.
Tornò a camminare, ora più tranquilla.
“Ok”
Giulia allargò il sorriso, si distese sulla sedia
accavallando le gambe e prese una penna fra le dita giocherellandoci
distrattamente.
“Quindi, domani mi lascerai andare a fare il pieno di
pop-corn da sola?”
Tina piegò le labbra all’insù in un
sorriso più disteso e sereno.
“No, se non altro perché non voglio essere
responsabile della tua indigestione”
“Ah. Quindi un po’ t’importa di
me”
“Scema!”
Giulia rise, ma non replicò.
“Ehm … è tardi, forse dovresti tornare
a lavoro. Non mi va che fai tardi per colpa mia” disse Tina,
grattandosi dietro la nuca.
“A malincuore ma devo darti ragione. Purtroppo ho delle
pratiche sbrigare necessariamente per domani”
“Allora, buona notte”
“Non è che durante la notte cambi di nuovo
idea?”
“Oh ti prego, non ricordarmi che mi sono comportata peggio di
una bambina di due anni”
Risero entrambe.
“Buona notte” disse Giulia dopo un po’.
“Ciao”
Il sabato mattina Tina si alzò di buon’ora. Nel
corridoio incontrò Emanuele, tentò di parlargli
ma lui le voltò ostinatamente la faccia.
In cucina trovò Alessandro a fare colazione, gli sedette
vicino un po’ immusonita.
“Il gatto ti ha mangiato la lingua?” la
provocò l’amico.
Tina rispose facendogli una linguaccia. Alessandro rise e
addentò una fetta biscottata appena imburrata.
“Ieri sera eri tutta una festa, oggi stai di nuovo con la
testa chissà dove” si lamentò lui dopo
aver ingoiato “La notte a te non porta consiglio, ti porta
cattivo umore”
“Ma no, sono solo un po’ pensierosa”
Alessandro si sporse verso di lei scompigliandole i capelli
affettuosamente.
“E me lo vuoi dire che ti passa in questa
testolina?”
Tina gli sorrise mite e prese una fetta biscottata cominciando a
spalmarla di nutella per prendere tempo. Diede un primo morso, dopo di
ché parlò.
“Le solite cose, ieri ho avuto una piccola discussione con
Emanuele”
“Voi due siete come Sandra e Raimondo. Prima o poi finirete
insieme” commentò ironico Alessandro.
A Tina andò di traverso un boccone e cominciò a
tossire. Alessandro la guardò confuso, poi si riprese e
cominciò a batterle dietro la schiena.
“Oh, stai bene?” le chiese dopo poco.
“Sì, sì. Mi è andato di
traverso … mi passi il latte?”
Alessandro versò del latte in un bicchiere e glielo
passò. Lei bevve tutto d’un fiato.
“Ora mi dici su che altro avete discusso tu e quel
cretino?”
“Mi ha chiesto di andare a bere una birra, io gli ho detto di
chiedere a Federica, perché ero stanca. Solite cose, solo
che stavolta lui ha deciso di non rivolgermi più la
parola”
Alessandro scosse la testa sorridendo sconsolato.
“Facciamo una cosa … stasera ce ne andiamo a bere
una birra tutti e tre, così vi costringo io a
parlarvi”
Tina si agitò sulla sedia, raddrizzò la schiena
poi tentò di assumere una posa rilassata. Tentò
talmente tanto che risultò fin troppo evidente che invece
non era tranquilla affatto.
“Stasera non posso”
“Che hai da fare?”
“Sarò a Siena”
Alessandro la osservò attentamente, gli occhi leggermente
socchiusi, lo sguardo indagatore.
“Che vai a fare a Siena di sabato sera, da sola?”
“Non sono sola”
Tina distolse lo sguardo e si alzò, cominciò a
raccattare alla rinfusa biscotti, latte e marmellate per riporli.
Andava avanti e indietro dal tavolo alla dispensa, mentre Alessandro la
osservava con un sopracciglio alzato.
“Hai un appuntamento?” le chiese con sguardo
scettico e divertito.
“Ma che appuntamento! Devo incontrare degli amici
dell’università, non ci vediamo da quando sono
partita”
Alessandro si alzò, le passò accanto fissandola
con un sorrisino tutt’altro che innocuo sul viso.
“Bene, divertiti allora”
“Grazie”
Tina rimase ferma al centro della sala a guardarlo uscire. Quando fu da
sola sbuffò sonoramente, borbottando uno stizzito:
“Accidenti a me!”
Tina trascorse il resto della mattinata di sabato e parte del
pomeriggio in uno strano stato d’ansia. Girava per i corridoi
dell’Abbazia con le mani nelle tasche della felpa, fermandosi
di tanto in tanto e sbuffando sonoramente con il naso
all’insù verso il soffitto incrostato. A volte le
compariva un pallido sorriso traballante sulle labbra, poi scuoteva la
testa e tornava a marciare con il capo chino. Gli altri ragazzi le
passavano di fianco con sguardi scettici, ma nessuno osò
dire nulla.
L’archeologa partì per Siena a pomeriggio
inoltrato. Mise in uno zaino qualche ricambio e in un’altra
borsa dei vestiti sporchi che avrebbe approfittato per lavare.
Arrivò a casa piuttosto tardi, aveva giusto il tempo di
farsi una doccia. Durante il pomeriggio aveva scambiato qualche
messaggio con Giulia, avevano deciso di vedersi direttamente al cinema
per lo spettacolo serale.
Tina si preparò in fretta, ma nonostante ciò,
quando arrivò al cinema, Giulia era già
lì. La vide di spalle e la riconobbe subito. Si
fermò al centro del marciapiede, le persone le passavano
accanto urtandola, ma lei non ci faceva caso. Con la mano destra stava
giocando nervosamente con la zip del giubbino. Mosse un passo indietro,
poi un altro. Ancora qualche metro e avrebbe nuovamente voltato
l’angolo da cui era arrivata.
Giulia si era poggiata al muro accanto all’ingresso, aveva le
mani nelle tasche dei jeans, un ginocchio piegato
all’indietro, sembrava tranquilla. Lo sguardo sfiorava
distrattamente le persone che le passavano davanti. Si voltò
a destra, rimase qualche secondo girata, poi si voltò a
sinistra e con una spinta si staccò dal muro per rimettersi
dritta. Riconobbe Tina, era ferma a poche decine di metri, la guardava
a sua volta e sembrava pensierosa. Le sorrise e alzò il
mento verso di lei in segno di saluto. La vide ricambiare il sorriso e
riprendere a camminare avvicinandosi.
“Ehi, tutto bene?” Giulia le andò
incontro. Le poggiò una mano sulla spalla e si sporse verso
di lei per salutarla con un bacio sulla guancia.
“Ciao. Sì, tutto bene. Aspetti da molto?”
“No, solo qualche minuto”
Tina annuì, mise le mani nelle tasche posteriori dei jeans e
si dondolò un paio di volte sui talloni.
Giulia la osservò con espressione divertita.
“Sicura di stare bene?”
“Ho letto la recensione di questo film. Sei proprio sicura di
volerlo vedere?”
Tina sciolse quella posa un po’ rigida e cambiò
abilmente argomento, mentre si incamminava per entrare nel cinema.
Giulia rimase un attimo interdetta, poi la seguì
affiancandola.
“Preferisci un horror?”
“No, assolutamente!”
L’avvocato sorrise.
“Allora mi sa che non abbiamo molta scelta. E poi te
l’ho detto, una commedia romantica è proprio
quello che mi ci vuole”
“Non sembri tipo da commedie romantiche”
“Mi stai dicendo che sembro una di quegli avvocati, tutto
lavoro, niente distrazioni e solo sesso senza amore?”
Tina si fermò al centro dell’ingresso e mise su
un’espressione riflessiva. Giulia si fermò a sua
volta, osservandola in attesa della risposta.
“Beh … sì” ammise Tina.
Giulia rimase un attimo spiazzata da quella risposta, poi
cominciò a ridere scuotendo le spalle vigorosamente.
“E allora come mai sei uscita con me, se ti sembro una
persona tanto orribile?”
Tina aprì la bocca per ribattere subito qualcosa, poi
rinunciò. Abbassò un attimo lo sguardo mentre
sentiva un calore diffuso salirle sulle guance.
“Ma infatti io ho detto che sembri così
… cioè, al primo impatto … ma poi
… in realtà non sei così,
cioè … dopo averti conosciuta un po’ si
capisce che non sei così”
Giulia inclinò il capo di lato con aria interessata,
sorrideva e continuava a guardarla.
“E come sarei allora?”
Tina alzò lo sguardo, incrociò i suoi occhi e
stette a fissarli per qualche momento.
“Uno di quegli avvocati che tiene molto al proprio lavoro ma
che sa prendersi delle distrazioni quando ce n’è
bisogno e a cui piace il sesso con la persona che ama”
Giulia rimase colpita da quella risposta, fu un paio di volte sul punto
di ribattere qualcosa ma non riusciva a fare altro che continuare a
guardarla negli occhi sorridendo. Infine, qualcuno le urtò
la spalla e lei fu costretta ad interrompere quel contatto.
“Vado a fare i biglietti” disse un attimo dopo.
“Ok, io vado a prendere i pop-corn”
Si divisero solo per ritrovarsi qualche minuto dopo davanti
all’ingresso della sala.
Giulia consegnò i biglietti alla maschera, che le
lasciò passare.
“Hai invitato qualcun altro senza avvisarmi?”
chiese poi con aria ironica.
“Cosa?” Tina la guardò confusa.
Giulia gettò un’occhiata divertita al secchiello
di pop-corn che lei reggeva tra le mani.
“Ci può mangiare tutta la sala con
quello”
“Ah sì, lo so. E’ che dovevo raggiungere
il costo dei biglietti, ho preso anche la coca cola, così
siamo pari. Tanto non mi avresti mai fatto pagare il mio
biglietto”
“E tu che ne sai?”
“Me l’avresti fatto pagare?”
“No”
“Vedi!”
Scoppiarono a ridere, mentre prendevano posto nelle loro poltroncine e
sistemavano pop-corn e coca cola negli appositi sostegni.
“Sono tutte coppie” commentò Tina
guardandosi attorno.
“Anche noi lo siamo” precisò Giulia.
Tina si voltò a guardarla con aria interrogativa.
Giulia tentò di restare seria, anche se le veniva da ridere
per l’espressione che lei aveva assunto.
“Che c’è?! Siamo in due, no. Mica posso
dire che siamo un trio?! Siamo una coppia anche noi” si
difese l’avvocato.
“Che sfoggio di retorica!” commentò Tina
sarcastica “Non intendevo in questo senso, dicevo che sono
tutte … coppie-coppie”
Giulia rise.
“Lo so, avevo capito. La cosa ti turba?”
“No”
Giulia la guardò con aria non del tutto convinta.
“No, sul serio. Va bene” ribadì Tina.
Per far desistere Giulia dall’insistere ancora prese la coca
cola e cominciò a bere.
Lo sguardo dell’avvocato cadde sulla sua mano destra che
reggeva la bevanda.
“Che hai fatto lì?”
Tina posò la lattina e si guardò il dorso della
mano destra, era pieno di graffi non ancora del tutto cicatrizzati.
Giulia gliel’afferrò d’improvviso
seguendo i contorni dei graffi con la punta delle dita.
“Non è niente, capita spesso sullo scavo. A me che
sono distratta, poi …”
Tina tentò di ritirare la mano, ma Giulia non la
lasciò andare.
“Che c’è, non posso tenerti la mano? A
nessuno importa di quello che facciamo io e te, Tina. Guardati intorno,
ognuno pensa agli affari suoi”
Tina si guardò intorno istintivamente, poi tornò
con lo sguardo sul volto di Giulia e scosse la testa.
“Ma no, non è questo”
“Cosa allora?”
Giulia continuava a tenere la sua mano racchiusa fra le proprie,
accarezzandone il dorso con il pollice.
“E’ che non mi piacciono le mie mani”
ammise Tina, spostando volutamente lo sguardo sull’enorme
schermo davanti a sé.
“Perché?”
“Beh, guardale tu stessa e te ne renderai conto. Anzi no, non
guardarle. Sono piene di graffi, calli e cicatrici e per di
più ho le unghie cortissime”
Giulia sorrise e si abbassò per darle un bacio sul dorso
della mano.
“E allora? Ognuno di questi calli o di queste cicatrici
racconta qualcosa di te, racconta chi sei”
Tina si voltò a guardarla piuttosto confusa.
“Che vuoi dire?” chiese.
Giulia le fece voltare la mano con il palmo
all’insù, seguì una sottile linea
biancastra che dal pollice scendeva quasi fino al polso.
“Questa cicatrice, ad esempio, come te la sei
fatta?”
“Ah, questa è stata colpa di Emanuele!”
ricordò Tina con una piccola smorfia sul viso
“Come la maggior parte, del resto” aggiunse
sarcastica.
Giulia rise e la invitò a proseguire.
“E’ stato in uno scavo, un paio di anni fa. Stavamo
disponendo i chiodi e il filo per fare la quadrettatura di
un’area. Gli avevo detto di non tirare il filo
finché non gli avessi dato io l’ok,
perché stavo finendo di piantare il chiodo, ma lui
ovviamente ha tirato. Mi si è conficcato il chiodo nella
mano ed è stata per pura fortuna che non mi ha reciso il
tendine”
Giulia l’ascoltò in silenzio, interessata. Quando
finì di raccontare le sorrise ed intrecciò le
dita alle sue.
“Visto?!” le disse dopo un attimo.
Tina sorrise a sua volta ed annuì.
“Sì, adesso ho capito cosa intendevi”
A quel punto lo sguardo di Giulia si accese per un secondo, le
spuntò un sorrisino furbo sulle labbra.
“E per quanto riguarda le unghie corte, a volte sono molto
più comode di quelle lunghe … specialmente in
certe situazioni”
Tina corrugò la fronte per qualche istante, poi di colpo
sgranò gli occhi. Aprì la bocca per ribattere, ma
in quel momento si spensero le luci ed il film cominciò.
Quando uscirono dal cinema, Tina rideva e Giulia si teneva lo stomaco.
“Me l’hai chiamata,
l’indigestione!” si lamentò
l’avvocato.
Tina le passò una mano dietro la schiena e si sporse verso
di lei con aria preoccupata, tentando di tornare seria.
“Ti fa molto male?”
“Colpa tua che hai comprato la confezione famiglia di
pop-corn”
“Io l’ho comprata, ma tu li hai mangiati”
Si guardarono un attimo negli occhi, poi risero.
“Sei a piedi?” chiese Tina.
“Sì”
“Ti do un passaggio allora. Ho la macchina qui
vicino”
Tina guidò tranquilla fino a casa di Giulia, ricordava
perfettamente la strada. Poco prima che svoltasse nella traversa
l’avvocato si girò sul sedile verso di lei.
“Perché non parcheggi e sali per un
po’?”
“Ok”
Dopo qualche minuto erano fuori casa di Giulia. L’avvocato
aprì la porta e lasciò entrare Tina seguendola un
attimo dopo.
“Mi piace un sacco la tua casa, è molto
accogliente” commentò Tina, entrando e muovendosi
a proprio agio per l’ambiente. Si tolse la giacca e la
poggiò su una poltrona.
“Grazie” rispose Giulia, liberandosi a sua volta
del cappotto. Una piccola smorfia le comparve sul volto e la mano
destra andò nuovamente a tenere lo stomaco.
Tina scosse la testa impensierita.
“Siediti lì” le disse.
“Cosa?” Giulia la guardò confusa.
Tina le si avvicinò e le posò entrambe le mani
sulle spalle, fece pressione e la costrinse a cadere seduta sul divano
dietro di lei.
“Stai buona lì”
“Ma dove vai?”
“A farti una camomilla” le rispose Tina
già dall’altro lato della stanza, intenta ad
aprire ante e cassetti della cucina per trovare l’occorrente.
Giulia rise, contorcendosi un po’ per il dolore dei crampi
allo stomaco.
“Ma se non sai nemmeno dove mettere le mani”
“Tu preoccupati di dove mettere le tue, di mani”
Tina si voltò un istante per farle una linguaccia
indisponente, poi si girò concentrandosi nuovamente a
cercare ciò che le serviva.
Dopo cinque minuti tornò da lei con due tazze fumanti.
“Visto che sapevo esattamente dove mettere le
mani?” commentò, intanto che si sedeva accanto a
lei e le passava una tazza.
“Già, a questo punto mi chiedo cos’altro
sei capace di fare con quelle” Giulia prese la tazza, fece un
sorso mentre la guardava apparentemente tranquilla.
Tina ricambiò il suo sguardo, nascondendo un sorriso dietro
la tazza da cui cominciò a bere.
Più tardi le tazze erano ormai vuote nel lavello, mentre
loro due erano nuovamente sedute l’una di fronte
all’altra sul divano.
“Come va?” chiese Tina.
“Umpf” Giulia sbuffò arricciando il naso
“Meglio, anche se non è ancora passato”
“Prova a sdraiarti un po’”
suggerì Tina.
Giulia esitò un attimo, poi si voltò dandole le
spalle e si sdraiò all’indietro poggiandole il
capo sulle gambe. Tina si sistemò meglio sul divano poi la
guardò da sopra in giù e le sorrise.
“Comoda?”
“Sì. Tu?”
Tina annuì, poi alzò lentamente una mano e
l’appoggiò sulla sua testa. Giulia socchiuse un
attimo gli occhi, poi li riaprì, quando la sentì
muoversi tra i suoi capelli per accarezzarla.
“C’è una cosa che vorrei chiederti
già da un po’ di tempo” disse Tina.
“Dimmi”
“Mi chiedevo se tu fossi mai stata con un ragazzo”
“Ho avuto un ragazzo quando ero al liceo. Siamo stati insieme
qualche mese, ma non siamo mani andati oltre i baci. Io non
volevo”
Tina inclinò la testa in avanti, curiosa. Intanto continuava
ad accarezzarle i capelli.
“E poi?” chiese interessata.
“Poi ho incontrato una ragazza più grande di me
che mi ha fatto perdere la testa. Siamo state insieme quasi un
anno”
“E dopo?”
Giulia guardò Tina da sotto in su e sorrise corrugando la
fronte.
“Cosa sono tutte queste domande?”
“Solo curiosità. Ti scoccia?”
Giulia scosse il capo in segno di diniego. Prese un respiro profondo,
poi continuò a raccontare.
“Per qualche tempo ho avuto solo avventure, storie poco
importanti che non duravano più di qualche mese. Poi ho
conosciuto Emanuela. L’ho amata dal primo momento che
l’ho vista, siamo state insieme cinque anni”
“Perché è finita?”
“Lei studiava medicina. E’ figlia di dottori da
generazioni, il padre conosce praticamente tutti nel mondo accademico.
Le ha procurato l’opportunità di fare la
specializzazione in America, a Seattle. Lei ha accettato ed
è partita”
Tina spostò la mano sulla sua fronte, le accarezzo delle
lievi rughe che le si erano formate mentre parlava. Giulia
alzò gli occhi verso di lei, sorrise e il viso si distese
nuovamente.
“E dopo di lei?” domandò ancora Tina.
“Dopo di lei mi ci è voluto un po’ per
rimettermi in sesto, sono passati quasi due anni prima che uscissi di
nuovo con una donna seriamente”
“Ma alla fine ce l’hai fatta”
“Sì, ce l’ho fatta. La storia con
Sabrina è stata un toccasana, lei era un bel po’
più giovane di me e la sua allegria e la sua esuberanza
erano proprio ciò di cui avevo bisogno”
“Ma? Perché c’è un ma,
vero?”
“Non ti sfugge niente, eh?” Giulia le sorrise.
Tina ricambiò il sorriso e scosse la testa con aria saccente.
“Il ma è che, proprio quella leggerezza che prima
mi aveva rapita, dopo un po’ ha cominciato a starmi stretta.
Vivevamo due momenti troppo diversi della vita”
“Ma, scusa, quanti anni di differenza avevi con
lei?”
Giulia roteò gli occhi e sbuffò.
“Avanti, dimmelo” la esortò Tina.
“Prometti di non commentare”
“Ok, prometto”
“Dieci. Quando l’ho conosciuta, io avevo ventinove
anni e lei diciannove. Era al primo anno di università.
Siamo durate quasi due anni”
Tina osservò il profilo di Giulia, la guardò
negli occhi ma non disse nulla. Riprese a giocare con i suoi capelli,
arrotolando distrattamente delle ciocche alle proprie dita.
“Immagino che sia inutile che io ti rigiri la
domanda” disse Giulia dopo un po’.
“Se sono mai stata con un ragazzo?”
domandò Tina con aria confusa.
“Ma no, scema” Giulia rise “Se sei mai
stata con una ragazza”
“Ah. Beh, no”
“Mai nemmeno un bacio?”
“No, mai. Fino a qualche settimana fa”
Giulia si mosse per voltarsi su un fianco, ma non interruppe il
contatto con il viso di Tina. Quest’ultima smise di giocare
con i suoi capelli e spostò le mani per permetterle di
muoversi e sistemarsi come meglio credeva.
“Non ti fermare” disse Giulia.
“Ti piace?”
“Mi rilassa”
Tina le sorrise e tornò ad accarezzarla.
“Non comincerai a farmi le fusa, vero?” la
provocò divertita.
“Potrei” ammise Giulia stando al gioco.
Si guardarono negli occhi, entrambe rilassate. L’atmosfera
era molto tranquilla ed intima. Nonostante la posizione, Tina non si
sentiva affatto in imbarazzo, le piaceva parlare con Giulia in quel
modo.
“Allora?! Il fatto che tu non abbia mai avuto una ragazza non
ti salverà dal raccontarmi le tue avventure
sentimentali” riprese Giulia.
“Nah, non c’è molto da
raccontare”
“Raccontami quel poco che c’è,
allora”
Tina sospirò pesantemente, poi, allo sguardo insistente di
Giulia, dovette cedere.
“Ho avuto il mio primo ragazzo a sedici anni. Si chiamava
Enrico, ero innamorata persa di lui”
“Quanto siete stati insieme?”
“Sette anni”
“Cosa?” Giulia sgranò gli occhi.
“Sì, lo so, è tanto”
“E’ tanto soprattutto a quella età. Hai
passato con lui praticamente tutta l’adolescenza”
“Già”
Giulia la osservò vagare con lo sguardo per la stanza,
sembrava persa nei propri pensieri. Ma lei era curiosa.
“Perché vi siete lasciati?”
incalzò.
“Quando mi sono trasferita qui a Siena, per continuare
l’università, abbiamo cominciato ad avere dei
problemi. Avevamo vissuto praticamente in simbiosi, la lontananza ci ha
distrutto”
“E? Perché questo non è tutto,
vero?”
Tina abbassò lo sguardo verso di lei con un sopracciglio
alzato.
“Non ti sfugge niente, eh?” la
scimmiottò.
Giulia rise piano e scosse la testa strofinando il naso sul suo stomaco.
“E nel frattempo io avevo conosciuto un altro ragazzo. Era
uno di quei tipi che sanno di essere fighi e sono convinti che nessuna
ragazza oserebbe rifiutarli”
“Mi ricorda tanto Alessandro” commentò
Giulia ridacchiando.
Tina bloccò la mano sui suoi capelli e lo sguardo
fuggì immediatamente lontano, ostinatamente puntato sulla
parete di fronte.
Giulia allargò gli occhi con espressione sbalordita.
“Oh mio dio! Era Alessandro?”
“Sì”
L’avvocato non riuscì a trattenere le risate.
Tina si corrucciò e le tirò un pugno scherzoso
sulla spalla.
“Smettila di ridere!” le intimò.
“Non ci riesco” si giustificò Giulia.
“Vuoi sentire il resto o no?” provò
ancora Tina.
Giulia decise di darsi una calmata, quindi gradualmente le sue risate
si fermarono. Tornata a respirare normalmente annuì con aria
compunta.
“Mi ero presa una cotta per Alessandro, quindi lasciai
Enrico”
“Aspetta, quindi tu e Ale siete stati insieme?”
Giulia sembrava estremamente seria ora, e anche interessata al resto
della storia.
“Sì” rispose Tina.
“Hmm”
“Hmm cosa?”
“Ti è passata ora, vero?”
“Sì, scema!”
“Chiedevo” si giustificò Giulia
stringendosi nelle spalle con aria indifferente “E quindi,
quanto siete stati insieme?”
“Non siamo durati molto in realtà, abbiamo capito
che riuscivamo meglio come amici che come coppia”
“Si, lo credo anch’io”
“E che ne sai tu come eravamo come coppia?”
“Non lo so. Ma so che come amici siete fantastici e non credo
che dovreste cambiare”
Tina alzò un sopracciglio con aria divertita.
“Ma non vale, tu sei di parte”
“Ovvio che lo sono!”
Tina alzò gli occhi al cielo ma non poté fare a
meno di ridere sotto i baffi.
“Sei impossibile” commentò sarcastica.
“Questo lo so già, dimmi qualcosa che non
so” la provocò Giulia sorridendo furbamente.
Tina restò un attimo spiazzata da quella replica. La
guardò qualche istante, valutando tutte le risposte che le
stavano salendo alla gola e che stava trattenendo. Poi scelse la prima
che aveva pensato.
“Ti ho sognata ieri notte”
Giulia distorse il viso in una smorfia sorpresa
“Ed è un sogno che si può raccontare,
oppure è vietato ai minori di diciotto anni?”
“Che scema!” si lamentò Tina dandole un
pizzicotto su un fianco “Certo che si può
raccontare. Eravamo a Napoli, io ti portavo a visitare i luoghi
più belli della città”
“Deve essere stato un bel sogno”
commentò Giulia con aria sognante “Potrebbe anche
diventare realtà, se lo volessimo. Non sono mai stata a
Napoli” poi allungò una mano per afferrare quella
libera di Tina, la portò davanti al proprio viso e ne
aprì il palmo posandovi un bacio proprio al centro.
Tina si liberò gentilmente dalla sua presa e le
accarezzò il viso con la punta delle dita, poi
posò la mano sul suo stomaco. Giulia la coprì con
la propria ed intrecciò le loro dita.
“E poi?” incalzò l’avvocato.
“Poi cosa?” Tina batté qualche volta le
palpebre, confusa.
“Cosa è successo dopo Alessandro?”
specificò l’altra.
“Ah!” Tina si schiarì la voce
“Poi sono stata qualche mese per conto mio finché
ho conosciuto Lorenzo. Siamo stati insieme un anno e qualche mese,
è finita prima dell’estate”
“Perché?”
“Perché a lui non bastava una sola ragazza e a me
non andava di essere presa in giro”
Giulia annuì accarezzandole il dorso della mano con il
pollice.
Rimasero in silenzio per qualche minuto lasciando parlare solo le loro
mani che si sfioravano.
“Come va lo stomaco?” chiese Tina.
“E’ di nuovo sottosopra”
“Mi dispiace, non avrei dovuto comprare tutti quei
pop-corn”
“No, i pop-corn non c’entrano niente
stavolta”
Giulia si alzò tornando a sedere compostamente sul divano,
con le ginocchia piegate sotto il sedere, rivolta verso Tina.
Quest’ultima la osservò rimanendo ferma
dov’era con le mani ormai libere e vuote che non sapeva dove
mettere. Le intrecciò in grembo e rimase in silenzio.
Giulia alzò un braccio avvicinandolo al suo viso, le
spostò una ciocca di capelli e nel farlo si fermò
ad accarezzarle l’orecchio e poi il collo. Rimase a vagare
con occhi brucianti di passione sul quel viso che popolava anche i
suoi, di sogni. Aveva un’espressione strana, combattuta.
“Che c’è?” domandò
Tina in un sussurro timoroso.
Giulia si riscosse, il suo sguardo divenne nuovamente consapevole e
sospirò pesantemente scuotendo la testa con disappunto.
“Stavo cercando un motivo per non chiederti di fare
l’amore. Qui. Adesso”
Tina tremò impercettibilmente. L’altra la guardava
negli occhi con uno sguardo talmente profondo e prepotente che, anche
se avesse voluto, Tina sapeva che non sarebbe riuscita a spostare lo
sguardo altrove. Allora prese la sua mano e la racchiuse tra le proprie
un po’ incerte.
“Non sono ancora pronta per questo, Giulia”
L’avvocato abbassò la testa, con la mano libera si
massaggiò gli occhi, mentre annuiva.
“Lo so”
“Non sei arrabbiata?”
Giulia alzò nuovamente lo sguardo e sorrise con tenerezza.
Racchiuse il viso di Tina tra le mani e lo avvicinò
leggermente al proprio.
“No, certo che no” fece strofinare i loro nasi
“Volevo solo che tu sapessi come mi sento. Lo sai che non amo
fingere, ma ancor meno amo forzare le persone” la
guardò negli occhi da pochi centimetri di distanza
“Tutto ok?”
Tina annuì, ora più distesa.
Giulia poggiò la fronte contro la sua, respirava con le
labbra appena dischiuse proprio sulla bocca di Tina.
Quest’ultima fece di nuovo sfiorare i loro nasi. Giulia
sorrise. Alzò il mento e le posò un bacio sulla
fronte, poi uno sul naso, infine sulle labbra. Fu una semplice
pressione, non andò oltre. Forse per non forzare Tina. O
forse perché non era sicura di riuscire a fermare
sé stessa.
Quando si divisero, Tina appariva tranquilla. Giulia la
guardò negli occhi, mentre le accarezzava le guance con i
pollici.
“E’ tardi, sarà meglio che
vada” mormorò Tina.
“Sì” Giulia annuì, ma non
accennò a lasciarla.
“Dovresti lasciarmi il viso, perché possa
andarmene” commentò Tina divertita.
“Odio la logica” fu la serafica risposta di Giulia.
Tina le circondò la vita con le braccia e con le mani
cominciò ad accarezzarle la schiena.
“Non scappo più”
“Io non …” Giulia tentò di
replicare.
“Sì, invece” la interruppe Tina
“Ed hai tutte le ragioni del mondo per temerlo. Ma non scappo
più, non dopo stasera”
Giulia si arrese all’evidenza e non tentò
più di smentire. Fece un lungo respiro, dopo di che
staccò le mani dal suo viso.
Tina le sorrise. Si alzò in piedi, recuperò ed
indossò la giacca e poi si voltò verso di lei.
Era rimasta seduta sul divano esattamente come prima, Tina le tese una
mano.
“Mi accompagni alla porta?”
Giulia batté un paio di volte le palpebre, poi finalmente
ricambiò il suo sorriso. Afferrò la sua mano e si
alzò. L’accompagnò alla porta,
gliel’aprì e la lasciò uscire sul
pianerottolo, mentre lei rimase sulla soglia.
“Ti chiamo domani” le disse.
Tina annuì poi le diede un bacio sulle dita, prima di
lasciare andare la sua mano.
“Buona notte”
“Notte” Giulia la guardò scendere le
scale, poi rientrò in casa chiudendo la porta dietro di
sé.
*********************************************************************
Questo capitolo è moooolto lungo perché in
realtà sono due, il primo finiva prima dell'appuntamento ma
oggi mi sento buona e quindi non mi andava di lasciarvi aspettare
ancora.
Fatemi sapere che ne pensate, anche voi lettori silenziosi! Critiche e
apprezzamenti sono sempre ugualmente ben accetti.
Alla prossima, buon week end! :)
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
CAPITOLO 13
La domenica mattina Tina si svegliò presto. Fece una
colazione veloce, poi andò in lavanderia a fare il bucato.
Aveva appena iniziato l’asciugatura, quando le
squillò il cellulare. Lo prese velocemente dalla tasca e
corse fuori per rispondere.
“Pronto”
“Buongiorno!”
La voce di Giulia all’altro capo del telefono la fece
sorridere.
“Ciao. Come stai?”
“Bene, davvero bene. E tu?”
“Uhm … un po’ annoiata” Tina
si poggiò con la schiena al muro dell’edificio.
“Perché, che stai facendo?”
“Sono in lavanderia a fare il bucato, ho dimenticato di
portare l’mp3 e non ho nulla da fare”
“E io che ci sto a fare allora?” replicò
Giulia con una risata “Ti faccio compagnia io”
“Ma tu che stai facendo, ti sento un po’
male”
“Lo so, hai ragione. E’ che sto guidando”
Tina alzò un sopracciglio con aria scettica.
“Spero che tu abbia l’auricolare”
“Era implicito”
“Con te non c’è davvero niente di
implicito. E’ tutto fin troppo esplicito”
commentò caustica Tina.
“E’ una frecciatina per caso?”
ribatté Giulia ridacchiando.
“Tu che dici?”
Seguì qualche istante di silenzio. Entrambe stavano
sorridendo divertite da quel punzecchiarsi.
“Comunque, dove stai andando?” riprese Tina un
attimo dopo.
“Uhm, a casa dei miei, al pranzo domenicale mensile a cui mia
madre mi obbliga a partecipare”
“Noto un certo disappunto o sbaglio?”
Giulia sospirò pesantemente attraverso il microfono del
telefono.
“Non fraintendermi, io adoro i miei. Solo che mia madre
è fin troppo logorroica e oggi avrei voluto semplicemente
starmene seduta sul divano a fare zapping”
Tina rise discretamente.
“Dove abitano i tuoi?” chiese curiosa.
“A Montepulciano. Mio padre ha una tenuta con una vigna che
è appartenuta a suo padre e prima ancora era del padre di
mio padre … insomma, hai capito”
“Sì, ho capito” confermò Tina
divertita “Quindi, dopo toccherà a tuo fratello,
giusto?”
“Giacomo?!” rispose Giulia con una vena di sarcasmo
“No, figurati. Lui è un tecnico informatico e non
ne vuole proprio sapere dell’azienda di famiglia.
E’ il più grande cruccio di mio padre”
Tina si staccò dal muro e cominciò a camminare
avanti e indietro davanti alla porta della lavanderia, con la mano
libera nella tasca del giubbotto, scalciando distrattamente dei
sassolini.
“Mi chiedevo, i tuoi sanno che … sì,
insomma, che tu …”
“Che mi piacciono le donne?”
“Sì, esatto”
Giulia strinse appena più forte le mani attorno al volante
accennando una smorfia che le fece arricciare il naso.
“Non capisco perché ti risulti ancora tanto
difficile chiamare le cose con il proprio nome. Lesbica non
è una parolaccia, Tina” commentò
l’avvocato, che poi continuò senza darle nemmeno
il tempo di rispondere “Ad ogni modo, sì, lo
sanno. La mia storia più lunga è stata di cinque
anni, credi davvero che avrei potuto fingere per tutto quel
tempo?”
Tina si grattò nervosamente la nuca, roteava gli occhi un
po’ in tutte le direzioni incontrando a volte gli sguardi dei
passanti dai quali puntualmente sfuggiva. Si sentiva stranamente
esposta, quindi decise di rientrare nel piccolo locale della
lavanderia, approfittando che gli altri clienti erano ormai usciti e
poteva stare tranquilla.
“Io … no, immagino che non si possa fingere tanto
a lungo”
“L’ho detto ai miei il giorno dopo che ho baciato
la mia prima ragazza, ai tempi del liceo”
specificò Giulia.
“Oh” fu tutto ciò che Tina
riuscì a ribattere.
“Non l’hanno presa bene, almeno non
all’inizio” continuò
l’avvocato con voce calma e atteggiamento tranquillo.
“Giulia, non devi …”
“Tu vuoi sapere, Tina” la interruppe Giulia
“Vero?”
Dopo quella domanda, Giulia sentì solo silenzio
dall’altro lato, interrotto dal respiro appena più
pesante del normale di Tina. Prese quindi quel silenzio come un assenso.
“Mia madre fu quella che reagì peggio”
riprese a raccontare allora “Prima incolpò
sé stessa per non essere stata in grado di rappresentare un
valido esempio per me. Poi passò ad incolpare mio padre,
accusandolo di essere stato una figura maschile troppo assente. Dopo un
po’ cominciò a prendersela con me dicendomi che
ero solo una ragazzina viziata che cercava di attirare
l’attenzione degli adulti con atteggiamenti fuori dalle righe
e ribelli”
Giulia si fermò un istante per riprendere fiato, intanto
reggeva lo sterzo solo con la mano sinistra mentre passava la destra
tra i capelli in un gesto un po’ inquieto.
“Poi, cosa è successo?” chiese Tina con
voce piuttosto bassa ed un sottile senso di attesa nel tono.
“Poi ha dovuto fare i conti con la
realtà” rispose Giulia, tornando a reggere lo
sterzo con entrambe le mani e concentrandosi sulla strada.
“E qual è la realtà?”
incalzò Tina.
“La realtà è che non è stata
colpa di nessuno. Mi piacciono le donne, punto. Come a lei piacciono le
carote anziché i pomodori. Non gliene si può mica
fare una colpa, no?!” ragionò Giulia.
Tina sedette su uno sgabello di fronte all’asciugatrice.
Guardava fissò il cestello di quell’aggeggio che
vorticava freneticamente davanti ai suoi occhi.
“Sembra semplice, dettò così”
commentò con voce incolore.
“Lo è” ribatté Giulia
“E alla fine lo ha capito anche mia madre. Pensa che non mi
ha mai perdonato di essermi fatta sfuggire tra le mani
Emanuela”
Tina corrugò la fronte.
“Davvero?”
“Sì, davvero. Una volta accettata l’idea
che al mio fianco non avrebbe mai potuto vedere un uomo, ha deciso che
se proprio doveva essere una donna, allora doveva essere il meglio del
meglio”
“Ed Emanuela era il meglio del meglio?”
“Secondo lei, sì. Figlia di dottori, dottoressa a
sua volta. Bella, colta, intelligente, ricca, divertente. Avrebbe
voluto che la seguissi in America o che mi prostrassi ai suoi piedi
implorandola di restare”
“E perché non l’hai fatto?”
“L’ho fatto” Giulia rise un po’
amaramente.
“Sei partita?” chiese Tina, confusa.
“No, ma l’ho pregata di restare. Ho ingoiato
davvero tutto il mio orgoglio e la mia dignità quella
volta”
“Ma non è bastato” intuì Tina.
“No, era un’occasione troppo importante per lei e
non se l’è sentita di rinunciarci. L’ho
odiata per un po’, ma alla fine ho capito. Lei aveva
semplicemente fatto una scelta, e questo non significava che non mi
amasse. Forse non mi amava abbastanza ed in quel caso ha fatto bene ad
andare ”
Tina era rimasta ad ascoltarla in silenzio, presa dalle sue parole.
Sobbalzò, quindi, quando sentì il segnale
acustico che l’avvertiva che il ciclo d’asciugatura
era finito.
“Cacchio!” si lasciò scappare alzandosi
ed avvicinandosi all’oblò.
“Che c’è?” chiese Giulia.
“Ah niente, è finita l’asciugatura. Mi
sa che devo andare”
“Ok. Stai bene?”
“Sì, certo”
“Tina” Giulia alzò un sopracciglio e la
richiamò con voce scettica.
La ragazza sospirò e si passò una mano tra i
capelli.
“Dammi ancora un po’ di tempo, Giulia. Devo solo
abituarmi all’idea”
Giulia scosse il capo con aria sconfitta, tuttavia
approfittò del fatto che Tina non potesse vederla per
fingere un tono convinto e calmo.
“D’accordo. Ci sentiamo stasera?”
“Ok, ti mando un messaggio appena arrivo in Abbazia. Goditi
il pranzo con i tuoi”
“Buona domenica”
Chiusero la comunicazione in contemporanea.
Tina approfittò del resto della mattinata e di parte del
pomeriggio per sbrigare alcune faccende in casa. Mancava poco al
tramonto quando si mise al volante per tornare in Abbazia. Il viaggio
fu tranquillo e veloce, lasciò che la radio le facesse
compagnia.
Quando arrivò, l’Abbazia era già
illuminata dai faretti in modo da sembrare una visione notturna nel bel
mezzo della campagna senese. Ne scorse la sagoma da lontano e le
spuntò un sorriso sulle labbra. Quel posto le metteva
serenità, il silenzio di quelle mura la rilassava.
Parcheggiò nel cortile sul retro e scese portando con
sé uno zaino ed un piccolo borsone.
Mentre saliva la scalinata sentì la voce di Emanuele nel
corridoio, sembrava allegro come al suo solito.
Quando la testa di Tina spuntò da dietro al piccolo muretto,
Emanuele fu il primo a vederla. Stava parlando con Federica, sorrideva.
Ma quando il suo sguardo incontrò quello di Tina il sorriso
gli si gelò sulle labbra e le parole gli si bloccarono in
gola.
Tina aprì la bocca per salutarlo, ma lui fu più
lesto, passò un braccio dietro la schiena di Federica e
s’incamminò con lei verso la sala multimediale
voltando le spalle a Tina.
“Ehi, sei tornata” Alessandro si
affiancò a Tina accogliendola con un caloroso sorriso.
Notando lo sguardo corrucciato della ragazza, ne seguì il
raggio intercettando la figura di Emanuele che spariva oltre la porta
dello stanzone in fondo al corridoio.
“Ancora niente?” chiese cauto.
“Non è giusto che mi volti la faccia
così, Ale. Cazzo, manco gli avessi ucciso il
gatto!” si lamentò Tina stizzita.
Alessandro scosse la testa comprensivo e le accarezzò una
spalla.
“Dagli tempo. Lo sai che è un coglione, gli
passerà. Dai qua intanto” si sporse verso di lei
prendendole dalle mani il borsone ed avviandosi con lei verso la sua
stanza.
Più tardi Tina era uscita per fumare una sigaretta.
L’aria fredda e umida della campagna l’aveva
costretta ad alzare il cappuccio della felpa, ma non aveva rinunciato a
godersi la vista dell’interno dell’Abbazia di
notte. Era poggiata accanto ad una nicchia, nascosta dietro una colonna
e reggeva il cellulare tra le mani, stava scrivendo
l’ennesimo messaggio a Giulia per salutarla ed augurarle la
buona notte. Fece appena in tempo ad inviarlo che un rumore di passi
sulla ghiaia la fece trasalire e sporgere oltre la colonna per vedere
chi fosse.
Riconobbe subito la figura di Emanuele con la sigaretta tra le labbra.
Anche il ragazzo la vide, infatti si fermò di botto.
“Non sapevo fossi qui anche tu. Me ne vado” disse
incolore, voltandosi per tornare indietro.
Tina scattò in avanti, gli afferrò un braccio e
lo trattenne per fermarlo.
“Resta Manu, parliamo un po’”
“Non ho niente da dirti” replicò
Emanuele fermandosi e voltandosi verso di lei, sebbene rigido nella
postura e con lo sguardo puntato a terra.
Tina lo fronteggiò, sentendo una certa stizza agitarle le
membra.
“Non puoi punirmi perché non ti ricambio, Manu.
Questo è molto infantile”
Emanuele alzò di scatto il capo per puntare gli occhi nei
suoi.
“Ma ci hai mai veramente provato, Tina? Hai mai provato a
ricambiarmi? Io non credo che tu mi abbia mai dato davvero una
possibilità”
Tina allargò gli occhi, disorientata, ed accennò
una risata sarcastica.
“Non si tratta di possibilità. Io ti voglio bene
come amico, ma non sento altro per te e non posso forzarmi a
farlo”
Emanuele sorrise, amaro. Gettò la sigaretta e
allargò le braccia con un gesto sconfitto.
“D’accordo allora, come vuoi. Ma non chiedermi di
esserti amico, Tina. Non posso farlo, proprio non posso”
Tina provò a replicare, ma lui aveva infilato entrambe le
mani in tasca e le aveva voltato le spalle uscendo a grandi passi e
lasciandola lì da sola.
Il lunedì mattina Tina fu lieta di poter ritornare
a scavare, immersa tra strati, buche e tagli poteva tenere la mente
occupata. Emanuele passava e ripassava nella sua area fermandosi ogni
volta a parlare con Federica ed ignorandola reiteratamente. Tina faceva
finta di non vedere e lasciava correre, non aveva alcuna voglia di fare
una scenata sul cantiere davanti a tutti.
Durante la giornata non ebbe un solo momento libero per chiamare
Giulia. Si accontentò di mandarle qualche messaggio di tanto
in tanto. In uno di questi, l’avvocato la avvisava che aveva
delle novità riguardo la causa che le avrebbe comunicato
quella sera stessa non appena si fosse liberata dagli impegni di quella
giornata per poterla chiamare.
Tornati in Abbazia dopo la giornata di lavoro, Tina si
catapultò subito in sala multimediale, aveva del lavoro
arretrato visti i giorni che aveva passato a Siena, quindi decise di
rimettersi subito in pari. Passò diverse ore concentrata al
computer scrivendo diari, schede ed altra documentazione.
A cena l’atmosfera era distesa come sempre. Una
novità inaspettata fece sollevare un mormorio sorpreso tra
le tavolate che però si spense pochi secondi dopo: Emanuele
aveva lasciato il tavolo dei responsabili per sedere assieme ai
ragazzi, alla sinistra di Federica.
Tina gli riservò un’occhiata tagliente, mentre si
sedeva accanto ad Alessandro. Il capocantiere dal canto suo
alzò le spalle impotente e fece come se niente fosse.
“E’ un bambino!” mormorò Tina
all’orecchio di Alessandro.
L’amico bevve un sorso di vino prima di risponderle.
“Sta facendo l’offeso, lo sai
com’è”
“Sì, ma ci sta andando di mezzo anche
Federica” replicò Tina, avvicinandosi di
più al ragazzo perché nessun altro sentisse
“Lo sai, no, che sta facendo il cretino con lei solo per fare
arrabbiare me. Federica non se lo merita”
Alessandro poggiò entrambi i gomiti sul tavolo con i pugni
uniti su cui posò il mento. Lo sguardo fisso su Emanuele,
che parlava all’orecchio di Federica ridacchiando.
“Sono entrambi abbastanza grandi per sapere quello che fanno.
Non ti immischiare tu, o rischiamo una scenata epica”
Tina continuò a spezzare nervosamente molliche di pane
scuotendo la testa.
“E’ un idiota”
“Ma insomma, la smetti di tormentarti?! Non hai fatto niente
di male, anzi sei stata sincera”
“Si, ma mi sento in colpa lo stesso”
Alessandro si voltò verso di lei, inclinò il capo
di lato con aria curiosa e la guardò in viso cercando il suo
sguardo.
“Non devi. Capita a tutti di essere rifiutati prima o poi, ci
si deve solo fare l’abitudine”
“Parli per esperienza personale, eh?” lo prese in
giro Tina.
Alessandro ridacchiò e le tirò una mollica di
pane.
“Per quanto possa contare, non credo affatto che Giulia si
sia sentita in colpa quando mi ha scaricato. Anzi, sembrava piuttosto
sollevata. Dio, devo essere stato davvero assillante”
rifletté alzando gli occhi al cielo.
Tina rise ed allungò una mano sul suo braccio per
accarezzarlo.
“Sono certa che se non fosse stata … lesbica
… non ti avrebbe rifiutato”
“Tu dici?”
“Sì, ne sono sicura”
“Un corpo del genere è sprecato per
un’altra donna” commentò Alessandro con
una comica espressione disperata “Beh, fortunata quella che
potrà godere delle sue grazie” concluse ridendo.
Tina ritirò di scatto la mano accennando un messo sorriso
storto, poi afferrò il bicchiere e bevve nascondendosi
dietro di quello.
Dopo cena, Tina uscì in cortile per la solita sigaretta.
Fece appena in tempo ad accenderla che il cellulare cominciò
a squillare.
“Secondo te è normale che un mio ex faccia
commenti su una sua
quasi ex che ora è la mia quasi ragazza?”
disse tutto d’un fiato, non appena ebbe accettato la chiamata.
“Ciao anche a te” commentò ironica la
voce di Giulia dall’altro lato.
“Ciao”
“Spiegami meglio la questione della quasi ragazza”
chiese Giulia con tono maliziosamente giocoso.
“E’ l’unica cosa che hai colto in tutto
quello che ti ho detto?”
“No, ma è di certo la più
interessante”
Tina alzò gli occhi al cielo, ma poi sorrise.
“Alessandro crede che il tuo corpo sia sprecato per le mani
di un’altra donna” spiegò divertita.
“Alessandro dovrebbe provare a guardare due donne che fanno
l’amore. Poi potrà venire a dirmi se due corpi
femminili insieme sono davvero sprecati o no” fu la caustica
risposta di Giulia.
Tina si sedette su un muretto con un piccolo saltello e
cominciò a dondolare le gambe.
“Credo che se glielo proponessi, non se lo farebbe ripetere
due volte” replicò pensierosa.
Giulia accennò una risata.
“Non riceverà mai una proposta del genere da me.
Quando faccio l’amore con la mia donna, dobbiamo essere solo
io e lei”
“Tu lo sai, vero, che quando dici cose del genere mi lasci
letteralmente senza parole?!” commentò Tina
ironica, tentando in quel modo di nascondere un certo imbarazzo.
“Beh, non mi sembra che stavolta tu sia rimasta senza
parole” le fece notare furbamente Giulia.
“Cercavo qualcosa di geniale da dire appunto per non rimanere
senza parole, e questo è quello che è venuto
fuori”
“Eh si, qualcosa da dire l’hai trovato. Ma di certo
non geniale” la prese in giro Giulia.
“Spiritosa!” rispose Tina in maniera chiaramente
sarcastica.
Giulia sorrise prima di ribattere.
“Adorabile”
“Provocatrice”
“Lesbica”
“Stronza!”
Giulia scoppiò a ridere, seguita qualche attimo dopo anche
da Tina. Si presero qualche momento per riprendere fiato dopo le
risate, poi tornarono a respirare normalmente.
“Parlando di cose serie” cominciò Tina
“Cos’è che devi dirmi riguardo la
causa?”
“Ah sì, giusto. Negli archivi
dell’università non ho trovato niente di utile per
il nostro caso”
“Quindi?”
“Quindi ho deciso di fare delle ricerche su Prisco.
E’ venuto fuori che ha già affrontato una causa
per un tentativo di truffa. Non è la prima volta che compra
un terreno e cerca di specularci sopra coinvolgendo imprese
private”
Tina balzò giù dal muretto e cominciò
a camminare.
“Sul serio?” chiese impaziente.
“Sì, sul serio. Adesso devo solo fare in modo che
il giudice decida che anche questa volta Prisco ha giocato sporco,
omettendo di proposito delle clausole nel vostro contratto con
l’intenzione di usare la loro mancanza a suo favore”
“Credi di farcela?”
“Ehi, con chi credi di avere a che fare?! Non sono mica una
dilettante, io” si difese scherzosamente Giulia.
“Quand’è la prossima udienza?”
chiese Tina fermandosi accanto ad una colonna e poggiandovi la schiena.
“Questo venerdì. Vuoi venire?”
“Non so se riesco, ho un sacco di lavoro arretrato. Sono le
ultime settimane di scavo, diventa tutto molto più
frenetico”
“Come vuoi. Però un paio d’ore per me
nel week end devi necessariamente trovarle”
Tina sorrise, quando parlò la voce le uscì bassa
e affettuosa.
“Ma certo, anche più di due”
“No no, credo che un paio vadano più che bene.
Devo assumerti a piccole dosi”
“Che scema!”
“Ma quanti complimenti stasera!”
commentò ironica Giulia.
Tina stava per ribattere, ma un rumore di passi la distrasse.
“Aspetta un attimo” le disse, spostando il
cellulare dall’orecchio e sporgendosi oltre la colonna.
Intravide le figure di due dei ragazzi che passeggiavano nel viale
fumando e chiacchierando.
Riportò il telefono all’orecchio.
“Che succede?” chiese Giulia curiosa.
“Niente, avevo sentito un rumore”
“E quindi? Se c’è qualcuno nelle
vicinanze non possiamo parlare?”
“No, non è questo. Volevo solo assicurarmi che non
fosse Emanuele, non mi andava proprio di discutere anche
stasera”
Giulia sospirò rammaricata.
“Vorrei essere lì con te per abbracciarti e dirti
che andrà tutto bene”
“Sì, piacerebbe anche a me”
Tina si staccò dalla colonna e cominciò a
camminare verso il portone del caseggiato.
“E’ tardi, domani devo alzarmi presto”
disse intanto.
“Sì, anche io. Ci sentiamo domani
allora” rispose Giulia.
“Buona notte”
“Sogni d’oro”
Tina ripose il cellulare in tasca e rientrò. Nel corridoio
che portava alle cellette dei responsabili, intravide Emanuele che
entrava nella propria stanza tenendo per mano Federica. Scosse la testa
alzando gli occhi al cielo e andò a chiudersi nella propria
stanza.
*******************************************************************
Con questo capitolo vi auguro una serena pasqua, non credo che
riuscirò a postarne un altro prima delle vacanze....anche
se...non si sa mai! ;)
Non succede niente di che in questo capitolo, ma mi piaceva l'idea di
cominciare a creare un'accenno di quotidianità tranquilla
tra Tina e Giulia. Fatemi sapere che ne pensate se vi va.
Alla prossima :)
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
CAPITOLO 14
Il giorno dopo sul cantiere fu quasi identico al precedente. Lavorarono
tutti duramente, a ritmi sostenuti. Tina ebbe a malapena il tempo di
pranzare, tante erano le cose da fare. Carlo voleva arrivare a chiarire
tutte le situazioni incerte nelle varie aree prima della fine della
campagna.
Alessandro sembrava particolarmente elettrico sul lavoro in quei
giorni, e stranamente perfezionista. Emanuele, al contrario, era
più lavativo che mai e non perdeva occasione per andare
nell’area di Tina a chiacchierare con Federica e gli altri
ragazzi.
Tina riuscì a parlare con Giulia solo dopo cena anche quella
sera. Tuttavia, era talmente stremata che resistette giusto il tempo di
un saluto, poi le augurò buona notte e mise giù.
Anche il mercoledì, quando era ormai il 4 Novembre,
cominciò esattamente come i due giorni precedenti, e
procedette su quella falsa riga più o meno fino a
metà pomeriggio.
Tina stava osservando un nuovo strato che Stefano aveva appena messo in
luce, quando vide di sottecchi la figura di Emanuele che, ancora una
volta, le passava a pochi metri senza degnarla di uno sguardo e si
avvicinava a Federica ed Anna.
Tina fece finta di nulla, come d’abitudine, e si
concentrò sul lavoro. Ragionò qualche minuto con
Stefano su quale potesse essere la relazione di quel nuovo strato con
gli altri, prese qualche misura e fece un rapido schizzo su un block
notes. Nel frattempo notò Anna seduta a gambe incrociate al
centro di uno strato con la trowel tranquillamente abbandonata sul
terreno, Federica inginocchiata accanto a lei ed Emanuele accovacciato
tra di loro. Era chiaro che tutto stavano facendo, tranne che lavorare.
L’unica cosa che Tina avrebbe voluto fare sarebbe stata di
prendere Emanuele a calci nel sedere, ma si trattenne aspettando
qualche minuto e sperando che le ragazze tornassero ai loro compiti.
Quando però vide che Emanuele si alzava, faceva segno a
Federica di voler andare a fumare e la invitava a seguirlo, allora
scattò. Lasciò cadere penna e blocco e si
avvicinò al terzetto con aria abbastanza contrariata.
“Ok, ora basta. Questo è davvero troppo,
Emanuele” disse irritata pur mantenendo un tono di voce basso
e calmo.
Il ragazzo fu costretto a fermarsi quando se la trovò
davanti, e a fronteggiarla. Federica, dietro di lui, rimase immobile ed
in silenzio.
“Qual è il tuo problema? Ti rode che non sono
più il tuo segugio?” ribatté lui
sarcastico.
Tina sorrise amaramente scuotendo la testa.
“Questo è davvero l’ultimo dei miei
problemi”
“E allora che vuoi?”
“Stai rallentando i miei ragazzi. Vieni qui solo per rompere
le scatole. Non stai facendo praticamente più niente, sono
giorni che ci arrangiamo con le piante di strato perché
quando servi tu per disegnarle non ci sei mai”
Emanuele fece un passo in avanti verso di lei con aria da impunito.
“Quello che faccio o non faccio a te non interessa”
Tina assottigliò lo sguardo, alzò un braccio e
gli puntò un dito sul petto.
“Fuori di qui, fai quello che ti pare con chi ti pare. Qui
sul cantiere ci sono delle regole e dei ruoli, se tu non vuoi
più rispettarli, accomodati pure, ma non rallentare il
lavoro nella mia area”
Detto ciò, Tina non attese una sua replica, ma si
voltò e tornò al suo lavoro. Pochi istanti dopo
Emanuele le sfrecciò accanto come una furia, scalciando via
un secchio pieno di terra che si riversò nuovamente sullo
strato appena pulito.
“Idiota!” commentò Tina tra i denti.
A quel punto, il termine di quella giornata di scavo sembrava non
arrivare mai.
Tina tornò in Abbazia con una guida nervosa e spericolata
che fece agitare non poco Alessandro. Entrò nel cortile
sgommando e frenò un attimo prima che il paraurti urtasse
contro il muretto di recinzione.
Salì lo scalone quasi a passo di carica, lasciandosi dietro
Alessandro che le chiedeva di aspettarlo. Si infilò
velocemente sotto la doccia, uscendone pochi minuti dopo e filando in
stanza a vestirsi. Tempo venti minuti e stava percorrendo il corridoio
al contrario diretta verso l’uscita.
Alessandro la vide dal corridoio opposto camminare a testa basta con le
mani nelle tasche del giubbino. Il capocantiere stava parlando con
Marco, ma lo liquidò con un “Ne riparliamo
dopo”, e corse verso di lei.
“Tina. Tina, aspetta”
l’afferrò per una spalla, costringendola a
fermarsi e voltarsi.
“Che c’è?” chiese lei
spazientita.
“Dove vai?”
“Ho bisogno di stare un po’ lontana da questo
posto”
Alessandro curvò leggermente le spalle verso di lei e con lo
sguardo cercò i suoi occhi.
“Ti aspettiamo per cena” le disse posandole
entrambe le mani sulle spalle.
“No, non torno”
“Come non torni?”
Tina si sottrasse alla sua presa e cominciò a scendere le
scale.
“Arriverò in tempo per il lavoro domani. Stai
tranquillo” gli disse quando era già di spalle.
“Ma non è questo … Tina!”
Alessandro provò a chiamarla, ma lei era già
sparita oltre il pesante portone di legno.
Era ormai già notte quando Tina fermò
l’auto davanti al palazzo di Giulia.
Cercò il suo cognome sul citofono e bussò.
“Sì”
“Ciao, sono Tina. Posso salire?”
Ci fu un attimo di silenzio sorpreso, poi la serratura
scattò.
Tina salì le scale velocemente, tanto che arrivò
davanti alla porta con un po’ di affanno. Bussò il
campanello con decisione.
Giulia aprì dopo qualche attimo. Indossava un pantalone di
tuta, un top ed una felpa sbottonata sopra. Aveva i capelli tirati su e
retti da un mollettone e non era truccata. Sorrise allo sguardo
stordito che le stava riservando Tina.
“Che c’è?! Non ti aspetterai che io sia
sempre la controfigura di Meryl Streep ne ‘Il Diavolo veste
Prada’ anche quando sono a casa”
Tina si riscosse sbattendo un paio di volte le palpebre e mosse qualche
passo all’indietro.
“Avrei dovuto avvertirti prima di venire, anzi non sarei
proprio dovuta venire. Scusa”
Giulia rimase un attimo spiazzata da quella reazione ma, quando la vide
voltarsi per tornare da dove era venuta, scattò in avanti e
l’afferrò per un polso.
“Ferma lì!” la tirò con
sé dentro l’appartamento e chiuse la porta alle
loro spalle “Non crederai che ti lasci andare così
facilmente”
Tina la guardò, l’altra le sorrideva con
naturalezza e sembrava davvero contenta di quell’improvvisata.
“Come fai a conservare una dignità anche nei panni
di una casalinga disperata?!” le chiese improvvisando una
comica espressione abbattuta.
Giulia rise, mentre le girava attorno aiutandola a liberarsi del
giubbino e lo poggiava come sempre su una poltrona.
“Se voleva essere un complimento, sappi che non
t’è riuscito tanto bene. Dovrai esercitarti
ancora”
“Scommetto che tu puoi darmi qualche lezione”
commentò Tina seguendola verso la cucina
“Chissà quante te ne sono cadute ai piedi dopo
qualche parolina dolce e qualche complimento ben piazzato”
Giulia la osservò di sottecchi, sorridendo sotto i baffi.
“Uhm, sì, qualcuna”
Tina si lasciò cadere su uno sgabello, incrociò
le braccia sul piano della penisola e vi poggiò sopra il
mento.
“Non abbondare con i particolari, eh”
mormorò sarcastica.
Giulia richiuse il frigo che aveva appena aperto e si voltò
verso di lei con uno sguardo scaltro.
“Vuoi davvero conoscere i dettagli?”
Tina aggrottò la fronte, ci pensò su qualche
istante poi scosse vigorosamente la testa.
“No, lascia perdere. Meglio non sapere, per ora”
Giulia rise di nuovo e andò a sedersi sullo sgabello di
fronte al suo. Poggiò un gomito sul tavolo e si tenne il
mento con la mano.
“Stavo giusto per preparare la cena, ma mi sono resa conto
che è un bel po’ che non faccio la
spesa” ammise con una piccola smorfia “Che ne dici
se ordiniamo due pizze?”
Il volto di Tina si aprì in un timido sorriso.
“Non ti scoccia se resto?”
“No, non mi scoccia”
Giulia si sporse oltre il tavolo che le separava e le diede un veloce
bacio sul naso, poi saltò giù dallo sgabello e si
avvicinò al telefono appeso al muro accanto al forno.
“Che pizza vuoi?” chiese, mentre componeva il
numero.
“Capricciosa”
“Ci avrei giurato” la provocò.
“Che vorresti dire?” si lamentò Tina
arricciando il naso.
Ma Giulia non le rispose, anzi le fece segno di stare in silenzio e si
concentrò a parlare con qualcun altro all’altro
capo del telefono.
Più tardi, i cartoni delle pizze ormai vuoti giacevano sul
tavolo. Loro due, invece, erano sedute sul tappeto ai piedi del divano,
attorniate da diversi cuscini, con un paio di bottiglie di birra quasi
vuote accanto a loro e la televisione accesa in sottofondo, senza che
nessuno la guardasse realmente.
“Dimmi la verità” disse ad un certo
punto Giulia, facendosi seria “Quella che ti ha portato qui,
stasera, non è stata solo la voglia di vedermi,
vero?”
Tina si sistemò meglio con la schiena poggiata al divano e
le gambe incrociate, girata verso Giulia. Alzò lo sguardo
verso di lei, poi lo abbassò sulle proprie mani intrecciate
in grembo.
“Vero”
“Che è successo?” chiese Giulia, posando
una mano sulle sue.
“Non mi va di parlarne ora. Non roviniamoci la
serata” Tina alzò di nuovo gli occhi su di lei,
sorridendo stavolta, e strinse la sua mano tra le proprie.
Giulia sondò per qualche attimo il suo sguardo, infine si
convinse a lasciar perdere l’argomento. Le sorrise a sua
volta, ma con un’espressione curiosa in volto.
“D’accordo. Allora perché non mi
racconti della tua famiglia?”
“Oh no, ti prego!” si lamentò Tina con
una piccola smorfia.
“Avanti, sono curiosa” la incoraggiò
Giulia sistemandosi meglio accanto a lei, pronta ad ascoltarla.
Tina sospirò acconsentendo e cominciò a parlare.
“Mia madre è una casalinga, mio padre un ex
carabiniere in pensione e sono figlia unica. Il tutto condito da uno
stuolo di zii, cugini, parenti e amici che non perdono occasione di
proporre delle terrificanti rimpatriate”
“Sembra interessante” commentò Giulia
con un filo d’ironia.
“Viverlo lo rende orribile, altro che interessante”
specificò Tina “Non hai idea di quanti gradi di
parentela possano esistere. Conosco i miei cugini fino al quarto grado,
in pratica non abbiamo neanche una goccia di sangue in
comune!”
Giulia rise, nel frattempo aveva piegato le ginocchia al petto
circondandole con le braccia e vi aveva poggiato sopra il mento.
“Come credi che reagirebbero i tuoi se sapessero che hai una
ragazza?”
“Ma io non ho una ragazza”
“Ah no?!” Giulia alzò un sopracciglio
con aria scettica e divertita “Mi era sembrato che qualche
giorno fa fossi stata proprio tu a dirmi che io ero la tua quasi
ragazza. Ma forse mi sto sbagliando” cominciò a
fingere un’aria pensierosa stringendo le labbra tra loro e
alzando gli occhi al soffitto “Ah ecco, forse è
stata Claudia. O forse Silvia. Ah no, era Monica!”
“Smettila!” si lamentò Tina ridendo e
tirandole una cuscinata.
Giulia si riparò appena in tempo, poi le strappò
di mano il cuscino gettandolo via e la guardò sorridendo
maliziosamente.
“Gelosa?”
“No” assicurò Tina “Ma tu
smettila di prendermi in giro” le intimò sfuggendo
al suo sguardo ed afferrando un altro cuscino per stringerselo al petto.
“Ok, come vuoi” concesse Giulia, in
realtà non del tutto convinta “Ma comunque non hai
ancora risposto alla mia domanda”
“Come la prenderebbero i miei?”
“No, a quella troveremo risposta dopo. Adesso mi interessa
sapere se mi consideri la tua ragazza”
Tina alzò gli occhi su di lei, Giulia le restituì
uno sguardo pacato ma deciso. Non avrebbe lasciato correre, quella
volta, Tina lo capì infatti incassò la testa tra
le spalle e prese un lungo respiro.
“Mi sembra troppo presto per dirlo” rispose fin
troppo diplomaticamente.
Giulia sorrise amaramente, ma senza eccessiva sorpresa. Si
allungò per recuperare una bottiglia di birra e ne bevve un
lungo sorso vuotandola del tutto, poi tornò a posare lo
sguardo su Tina.
“Beh, non direi che è troppo presto, non per me
almeno”confessò tranquillamente.
Tina la ascoltò con attenzione, poi con un cenno del capo la
invitò a spiegarsi meglio. Giulia si prese qualche istante
per riflettere e probabilmente organizzare il discorso, poi le
spiegò con sincerità e naturalezza quello che
voleva intendere.
“Io mi sento impegnata con te. Se non altro perché
mi sono accorta che la fauna femminile non suscita più il
benché minimo interesse in me … eccezion fatta
per fugaci pensieri sull’oggettiva avvenenza di certi
soggetti, che lasciano comunque il tempo che trovano”
“Stai dicendo che fischi dietro alle donne guardandogli il
culo?” chiese Tina trattenendo a stento una risata.
Giulia la guardò divertita a sua volta, e decise di stare al
gioco.
“Più o meno. Diciamo che sono più
discreta, mi limito a guardargli il culo senza fischiare”
ammise candidamente “Ma non è questo il
punto”
“E qual è il punto?” incalzò
Tina tornando seria.
“Il punto è che ti penso in ogni minuto libero
della mia giornata. Solo l’obbligo di stare concentrata a
lavoro riesce a distrarmi da te”
“Allora hai bisogno di trovarti dei passatempi per impiegare
meglio il tuo tempo libero” Tina sfuggì al suo
sguardo, accennando un sorriso storto e fingendo con quella battuta un
contegno che in realtà non aveva.
Giulia rimase impassibile, continuava a tenere ostinatamente lo sguardo
fisso su di lei. Sapeva che Tina poteva sentirlo, e sapeva che
probabilmente la stava mettendo a disagio e tuttavia non lo distolse.
“Scherzaci pure se vuoi, tanto lo so che in fondo succede lo
stesso anche a te” la provocò.
“E come fai a saperlo?” replicò Tina,
senza però alzare lo sguardo.
“Negalo. Ma fallo guardandomi negli occhi”
A quel punto, Tina si decise finalmente a rialzare lo sguardo ed
incontrò subito quello di Giulia in attesa. Provò
a dire qualcosa, ma il sincero affetto che leggeva in quegli occhi
verdi che la stavano fissando le bloccò le parole in gola.
Lentamente si avvicinò a Giulia, le passò una
mano dietro la nuca per liberarla dal mollettone e scioglierle i
capelli. Le sfiorò una guancia con la punta delle dita
leggere e quasi impalpabili, la fissò un attimo negli occhi,
poi la baciò.
Trascorsero il resto della serata così, coccolandosi
teneramente. Giulia non tentò nessun approccio
più approfondito, e Tina riuscì a tenere a bada
l’istinto.
Quando le loro labbra si separarono per l’ennesima volta in
cerca d’aria, Tina aprì un occhio per guardare
l’orologio e sbuffò infastidita.
“Che c’è?” domandò
Giulia abbandonando le sue labbra per baciarle il mento.
“E’ tardi e dovrei proprio andare, anche se non ho
per niente voglia di muovermi da qui” rispose Tina
accarezzandole la schiena.
“Allora non farlo” replicò semplicemente
Giulia tornando a baciarla sulle labbra.
“Devo. Ho promesso ad Ale che sarei arrivata in orario
domani” farfugliò Tina tra un bacio e
l’altro “Devo andare a dormire ora, oppure non mi
sveglierò mai in tempo” decretò infine.
A quel punto Giulia si allontanò appena dal suo viso,
mantenendo però intrecciate le loro mani.
“Dormi qui”
“Cosa?”
“Ho un letto talmente grande che ci possiamo dormire in due
senza far sfiorare nemmeno i nostri pigiami se non vogliamo. Resta,
dormiamo e basta”
Tina le sorrise intenerita, allungò una mano per
accarezzarle una guancia e si sporse per stamparle un bacio sulle
labbra.
“Preferisco tornare a casa” le disse fermandosi a
strofinare il naso contro il suo a pochi centimetri dal suo viso.
Giulia fece un lungo respiro e poggiò la fronte contro la
sua annuendo.
“Ok, come vuoi”
Tina si alzò tirando per una mano anche lei,
recuperò la giacca e si avviò verso la porta. Si
fermò accanto ad essa e si voltò verso
l’altra, che l’aveva seguita.
“Mi ha fatto piacere che sei venuta stasera. Qualunque sia
stato il vero motivo che ti ha portata qui” le disse
l’avvocato.
“Forse il vero motivo in realtà era una scusa.
Forse, avevo semplicemente voglia di vederti” rispose Tina
alzando le spalle come a volersi arrendere all’evidenza di
quanto appena detto.
Giulia esitò un attimo, poi mosse con decisione un passo in
avanti e la prese per la vita spingendola all’indietro con le
spalle contro la porta chiusa. Tina ebbe appena il tempo di emettere un
‘oh’ di sorpresa, prima che le labbra di Giulia
premessero nuovamente sulle sue.
Fu proprio l’avvocato a staccarsi per prima, qualche minuto
dopo, con un movimento fin troppo brusco. Fece subito un passo
all’indietro e si passò un dito sulle labbra.
“Ok, ora devi proprio andare” farfugliò
impacciata osservando di sfuggita la reazione di Tina.
Quest’ultima la guardava ancora un po’ stordita ma
tutto sommato tranquilla e soprattutto divertita. Non aveva mai visto
Giulia perdere il controllo in quel modo, e il fatto che fosse stato
per causa sua la gratificava non poco.
Si voltò con calma e aprì la porta, quando fu
già oltre la soglia si girò verso di lei.
“Non guardarmi il culo mentre scendo le scale”
disse prima di darle nuovamente le spalle e cominciare a scendere.
Giulia rimase un attimo frastornata, poi si riscosse e corse fuori sul
pianerottolo.
“Impossibile. E’ il più bello che abbia
mai visto” le urlò dietro costringendola a
fermarsi sull’ultimo scalino.
Tina si voltò verso di lei, le riservò un grosso
sorriso divertito, poi scese l’ultimo gradino e
sparì oltre l’altra rampa di scale continuando a
scendere.
**********************************************
Con tanto ritardo, chiedo scusa. Spero il capitolo vi abbia ripagato
per l'attesa! Vi prometto che gli aggiornamenti torneranno ad essere
regolari :)
Alla prossima!
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
capitolo 15 bis
CAPITOLO 15
Il resto della settimana passò in fretta. Sul cantiere furono
tutti molto impegnati, mancavano solo due settimane alla fine di
Novembre e quindi della campagna di scavo, e le cose da fare sembravano
infinite. Tuttavia, il venerdì Alessandro e Tina passarono
più tempo al telefono che a scavare. Quel giorno era fissata
l’udienza per la loro causa, Giulia gli aveva chiesto se
volessero raggiungerla, ma entrambi avevano dovuto rifiutare a causa
dei pressanti impegni che avevano in quei giorni. Quindi, si erano
accontentati di conoscerne l’esito per telefono. Tina aveva messo
il cellulare in viva voce. Giulia aveva detto loro che il giudice aveva
accettato il ricorso, considerando quel precedente di Prisco come una
valida scusa per indagare più a fondo sulle sue
responsabilità riguardo il mancato inserimento di alcune
clausole nel contratto. A quel punto i legali di Prisco avevano chiesto
di fare una pausa e, quando erano rientrati in aula, avevano chiesto di
trovare un accordo. Giulia era riuscita ad ottenere che gli scavi
continuassero, in cambio di una mancata denuncia nei confronti del
magheggio messo in atto da Prisco. Tina ed Alessandro avevano ascoltato
l’intero racconto con il fiato sospeso, alla fine si erano
abbracciati cominciando a saltellare in baracca. Più tardi,
sempre quel pomeriggio, Giulia aveva chiesto a Tina se l’avrebbe
raggiunta quella sera ed aveva dovuto ingoiare un boccone amaro quando
l’archeologa le aveva detto che probabilmente non sarebbe
riuscita a muoversi per tutto il fine settimana.
Il sabato pomeriggio Tina si stava concedendo una pausa in giardino,
dopo l’intera mattinata passata a lavorare al computer. Gli occhi
le bruciavano ed aveva un accenno di emicrania. Era seduta sul prato a
gambe incrociate strappando distrattamente fili d’erba, sdraiato
al suo fianco c’era Alessandro che sonnecchiava con un braccio
piegato sugli occhi per proteggersi dalla luce.
“Non sei per niente di compagnia, lo sai?” si lamentò la ragazza dandogli uno spintone.
Alessandro non si scompose.
“Nemmeno tu, se è per questo. Negli ultimi giorni hai
vissuto in un altro mondo, sempre con la testa tra le nuvole”
replicò incolore.
“Non è vero!” protestò lei dandogli un altro spintone.
“Al terzo, mi vendico. Donna avvisata … donna avvisata”
Tina sorrise furbamente e gli diede un altro spintone. Si aspettava uno
scatto repentino, invece Alessandro si alzò tranquillamente sui
gomiti guardandola.
“Ti avevo avvertita”
“Sto tremando”
Fu a quel punto che lui scattò su di lei atterrandola, la
costrinse con le spalle sul terreno e cominciò a farle il
solletico. Tina si mise a ridere. Dopo un po’ era ormai a corto
di fiato per le risate, ma Alessandro non accennava a fermarsi,
così cominciò a colpirlo con dei piccoli pugni sulle
spalle e sulle braccia intimandogli di smetterla.
Continuando a ridere di quei suoi vani tentativi, Alessandro le
afferrò entrambe le mani e gliele bloccò sopra la testa.
Fu in quella posizione che si trovavano, quando sentirono una voce sopra le loro teste.
“Interrompo qualcosa?”
I due ragazzi alzarono contemporaneamente lo sguardo. Alessandro sorrise divertito, Tina sbiancò.
Giulia li sovrastava con le braccia incrociate e uno sguardo interdetto.
“Vuoi unirti a noi?” propose il ragazzo furbamente.
Tina guardò il viso di Giulia a testa in giù e,
nonostante la posizione, riuscì a cogliere una certa
rigidità nella sua postura, anche se lei faceva di tutto per
dissimulare.
“Non vorrei fare da terzo incomodo” rispose infatti l’avvocato assumendo un’espressione neutra.
“Ma che terzo incomodo!” protestò Tina, agitandosi sotto il corpo di Alessandro.
Quest’ultimo se la rideva tranquillamente e non accennava a muoversi.
“Ti sposti, per favore” gli intimò l’amica con voce ferma.
Alessandro rise apertamente del suo disagio, ma alla fine rotolò di fianco liberandola dal suo peso.
Tina si alzò e si pulì i pantaloni e la maglia dal terreno, poi guardo Giulia con un certo imbarazzo.
“Che … che ci fai qui?”
“Ero venuta per festeggiare con voi. Ma se volete, possiamo rimandare”
A quel punto anche Alessandro si alzò e si interpose tra le due
ragazze che continuavano a guardarsi negli occhi in un silenzioso
dialogo.
“Ma figurati!” esclamò poggiando una mano sulla
spalla di Giulia ed una su quella di Tina “Ci fa piacere che sei
passata, vero Tina?”
“Sì, certo” confermò lei.
“Bene!” approvò Alessandro “Allora andiamo
dentro e stappiamo tre birre” concluse allegro cominciando a
camminare verso l’Abbazia e portando con sé anche le altre
due.
Più tardi erano seduti tutti e tre in cucina a chiacchierare
come vecchi amici. Dopo un momento iniziale di freddezza
l’atmosfera si era sciolta, Giulia sembrava più tranquilla
e Alessandro era davvero contento di rivederla e poter parlare con lei
serenamente, senza implicazioni sentimentali. Tina, sebbene cercasse di
apparire quanto più cordiale possibile, pareva seduta sui
carboni ardenti tanto si agitava sulla sedia.
“Ale, puoi venire un attimo?” Stefano si era affacciato
alla porta della cucina e richiamava l’attenzione del
capocantiere.
“Arrivo” rispose Alessandro, poi si rivolse alle due ragazze “Torno subito, scusate”
Tina osservò con un certo sollievo Alessandro che spariva dalla
cucina. Assicuratasi che non ci fosse nessun altro nei dintorni, si
sporse leggermente verso Giulia.
“Stavamo solo giocando” le disse a bassa voce.
“Lo so” Giulia la imitò, avvicinando il viso
al suo e sussurrando comicamente come se stessero cospirando
chissà cosa.
Tina aggrottò la fronte e si ritrasse appena.
“Allora perché sembravi così contrariata?” chiese confusa.
“Perché, per quanto possa apparire controllata ed
imperturbabile, sono fatta di carne anch’io. E vedere la mia
ragazza sovrastata in quel modo dal suo ex mi ha fatto un certo
effetto” le spiegò Giulia con tono ovvio.
“Quindi non sei arrabbiata?”
“C’era qualcos’altro prima, oltre al gioco, che vi spingeva a stare così vicini?”
“No!”
“Ecco. Allora non sono arrabbiata” le assicurò Giulia tornando a sorriderle serenamente.
In quel momento rientrò Alessandro. Tina tornò a sedersi
compostamente allontanando il viso da quello di Giulia.
Quest’ultima indugiò ancora un attimo con lo sguardo
sull’archeologa, poi lo distolse sorridendo ad Alessandro.
“Vi sono mancato?”
“Non immagini quanto” rispose ironica Giulia.
Il ragazzo sedette nuovamente accanto a loro accavallando le gambe e
poggiando il gomito sullo schienale della sedia in una posa
completamente rilassata.
“Allora, Giulia, resti a cena con noi, vero?” domandò osservandola.
Lei esitò un momento, sfiorò velocemente con lo sguardo Tina in cerca di una risposta.
“Ehm … non so. Rischiamo di far tardi e preferisco non guidare di notte”
“E che problema c’è!” rispose Alessandro con
fare pratico “Dormi qui, nella stanza di Tina c’è
abbastanza spazio”
Le due ragazze si scambiarono uno sguardo turbato. Giulia cercava negli
occhi di Tina un cenno qualsiasi che le facesse capire se poteva
accettare o no. Tina, dal canto suo, si sentiva tremendamente a
disagio, combattuta tra il desiderio di chiederle di restare e la paura
che questo potesse insospettire qualcuno.
Ad Alessandro non sfuggì quel momento di muto dialogo tra le due
e d’improvviso sgranò gli occhi ed aprì la bocca
come colto da una folgorazione.
“Oh cacchio!” esclamò passando una mano tra i
capelli e sorridendo nervosamente “Ehm … ovviamente puoi
restare se anche Tina è d’accordo … cioè se
a lei non crea problemi … insomma se non le dispiace dormire con
te”
Rendendosi conto di essersi impappinato decise di fermarsi a prendere
un lungo respiro, prima di tentare di esprimere il proprio pensiero in
maniera più coerente.
“Insomma, ragazze, non ho la più pallida idea di come
funzioni questa cosa” ammise sinceramente, spostando poi lo
sguardo dall’una all’altra “Voglio dire, tu Tina, non
hai problemi con il fatto che lei sia gay, no?”
Tina lo guardò un attimo frastornata.
“No, certo che no” confermò infine.
“Bene” approvò Alessandro, rivolgendosi poi a Giulia “E tu, sai controllarti, no?”
Giulia inarcò un sopracciglio e gli restituì uno sguardo gelido.
Alessandro si passò una mano sulla fronte, evidentemente in difficoltà.
“Intendevo dire, avrai delle amiche etero, no?! Ti sarà
capitato di dormire con loro … tranquillamente”
“Non le salterò addosso, Alessandro, puoi stare tranquillo”
“Ma no, io non intendevo …”
Giulia bloccò il suo tentativo di scuse con una mano ed uno sguardo tagliente.
“Invece era proprio quello che intendevi” spostò lo
sguardo su Tina e la sua voce si trasformò assumendo una cadenza
più docile “Ma posso capire la tua preoccupazione.
E’ difficile resisterle”
A quel punto, l’avvocato mise su un sorrisetto malandrino, anche
per cercare di nascondere quali fossero i suoi veri sentimenti, e si
rivolse nuovamente ad Alessandro.
“Tuttavia, non vado in giro a molestare fanciulle, preferisco
fare l’amore con persone consenzienti. Quindi, non le
salterò addosso … a meno che non sia lei a
chiederlo” terminò in tono provocatorio.
Tina puntò i piedi sul pavimento e trascinò rumorosamente
la sedia all’indietro, spostandosi dal tavolo e schizzando in
piedi.
“Ok. Basta con questi discorsi. Tu” puntò il dito
contro Giulia “Puoi mangiare qui, dormire qui, ti ci puoi anche
trasferire se vuoi. Nessuno di noi ha problemi. Tu” si
voltò verso Alessandro afferrandolo per un gomito e tirandolo
per farlo alzare in piedi “Vieni a darmi una mano a
cucinare”
Alessandro la seguì docilmente, voltandosi di tanto in tanto
indietro a guardare Giulia. Quest’ultima gli restituì uno
sguardo divertito e gli fece l’occhiolino.
“Che tipo” commentò Alessandro quando fu abbastanza
lontano perché lei non sentisse “Sai, credo che abbia una
cotta per te”
Tina si sforzò di mantenere un’espressione neutra, alzò gli occhi al cielo e sbuffò scetticamente.
Mentre i due amici si occupavano della cena, Giulia fu amabilmente
intrattenuta da Emanuele, che aveva fatto la sua comparsa in cucina
poco dopo la fine di quel curioso scambio di battute tra i tre.
Emanuele aveva lanciato uno sguardo alle figure di Alessandro e Tina
voltati di spalle accanto ai fornelli, poi aveva visto Giulia seduta al
tavolo poco distante concentrata a scrivere qualcosa sul proprio
palmare e l’aveva raggiunta. Dopo qualche minuto anche Tina ed
Alessandro si accorsero della presenza dell’amico, lo sentivano
chiacchierare e scherzare tranquillamente con l’avvocato. Tina
lanciò uno sguardo interrogativo a Giulia che rispose con
un’alzata di spalle. Alessandro posò una mano sul braccio
di Tina e la invitò a voltarsi nuovamente, per occuparsi della
cena senza far più caso ad Emanuele, che stava chiaramente
tentando di innervosirla, ignorandola in quel modo.
Più tardi, a cena, Emanuele continuò la sua muta protesta
contro Tina andando a sedere ancora al tavolo con i ragazzi accanto a
Federica. La ragazza ci rimase male ma cercò di non darlo a
vedere. Giulia si accorse del suo sguardo basso e, in un momento in cui
tutti gli altri erano distratti, si abbassò accanto al suo
orecchio per sussurrarle cosa avesse. Tina si limitò a voltarsi
verso di lei, guardandola negli occhi per poi mormorare un
“Niente” davvero poco convincente. Giulia non se la bevve,
ma decise di non indagare oltre per non costringerla ad affrontare un
discorso probabilmente spinoso lì a tavola davanti a tutti,
però volle farle capire che le era vicino, poggiandole
discretamente una mano sulla gamba al di sotto del tavolo. Tina sorrise
non appena percepì il suo tocco e continuò a mangiare
tranquillamente.
Dopo cena Tina e Giulia restarono a chiacchierare con Alessandro e
qualcun altro dei ragazzi. Era da poco passata la mezzanotte quando le
due ragazze si alzarono, augurando la buona notte a tutti, e
ritirandosi nella loro stanza.
“Ti ho preparato le lenzuola, una tuta ed un paio di
coperte” diceva Tina, entrando nella celletta fredda “Sono
lì sul letto. Vuoi che ti aiuti a prepararlo?”
Giulia la seguì all’interno, rabbrividendo appena, e
spostò lo sguardo nell’angolo dove c’era il letto su
cui aveva già dormito una volta.
“No, non ti preoccupare” in silenzio cominciò a preparare il letto stendendo le lenzuola e la coperta.
Intanto Tina si stava cambiando per la notte. Tolse tranquillamente i
vestiti ed infilò il pigiama, dopo di ché si
sdraiò sotto le coperte con un sospiro di beatitudine.
“Fa più freddo del solito stasera” mormorò a
mezza voce, stringendosi nelle coperte e lasciando visibile solo la
testa dal naso all’insù.
Giulia si voltò verso di lei, dopo aver finito di sistemare il letto, e non riuscì a trattenere una risatina.
“Sembri una mummia” la prese in giro cominciando a spogliarsi anche lei.
“E’ per restare in tema. Sono o non sono
un’archeologa?!” si difese Tina, assumendo
un’artificiosa aria seria.
Giulia le rispose solo con uno sguardo scettico, sorridendo divertita.
Finì di infilare la tuta dopo di ché andò a
mettere in corrente la piccola luce da notte che stava sulla scrivania
e spense la luce. Si mise a letto con un fruscio di coperte e
sbadigliò sonoramente.
“Buona notte”
“Buona notte” rispose Tina con la voce soffocata dalle coperte.
Dopo una decina di minuti, Giulia non riusciva ad addormentarsi,
nonostante avesse sonno, perché Tina continuava a rigirarsi nel
letto facendolo cigolare fastidiosamente.
L’avvocato spalancò gli occhi nella semioscurità
della stanzetta, si rigirò tra le coperte fino ad avere il viso
poggiato sul cuscino nella direzione del letto di Tina. Impiegò
qualche istante per mettere a fuoco la sua figura, era sdraiata a
pancia in su con le braccia incrociate dietro la testa. Passò
qualche altro secondo e Giulia la vide rigirarsi ancora, sdraiandosi
sul fianco destro dandole le spalle.
A quel punto l’avvocato scostò le coperte e si
alzò. Si avvicinò lentamente al letto di Tina,
alzò le coperte e scivolò dentro accanto a lei.
“Giulia” il suo corpo si fece rigido, non si voltò e rimase semplicemente in attesa.
Giulia si sistemò meglio accostandosi a lei, toccandole la
schiena con il proprio petto. Si teneva la testa con la mano destra,
abbassata poco sopra l’orecchio di Tina, tanto che
l’archeologa poteva sentire il suo fiato sfiorarle la pelle.
“Che stai facendo?” domandò Tina, alzando un po’ di più la coperta sulle proprie spalle.
“Ho paura del buio” rispose l’altra con tono provocatorio.
“Ma non è buio, c’è la lucina”
“Allora, soffro il freddo”
“Ti ho dato due coperte”
“Allora è quest’Abbazia che mi incute timore, con le
sua alte mura di pietra e le ombre che si nascondono dietro le
porte!” pronunciò Giulia con tono esasperato, ma una
sfumatura divertita nella voce.
Sul viso di Tina si aprì un sorriso, il suo corpo si
rilassò appena, le spalle divennero meno rigide e la schiena
finì per aderire ancora di più al corpo di Giulia, che la
sovrastava da dietro.
“Hai detto che non mi saresti saltata addosso” ribatté ironica.
“Infatti, non voglio saltarti addosso” assicurò
l’avvocato abbassandosi a posarle un rapido bacio dietro
l’orecchio “Voglio solo dormire. Accanto a te”
Passò qualche secondo nel più completo silenzio, poi Tina
si mosse lentamente ma con decisione, voltò di poco il viso quel
tanto che bastava perché la propria bocca si trovasse a sfiorare
quella di Giulia.
“Buona notte” disse piano, prima di allungarsi verso di lei e posarle un morbido bacio sulle labbra.
Giulia chiuse gli occhi ed allungò la mano sinistra sotto il suo
mento per trattenerla più a lungo e prolungare il contatto.
Quando si separarono, Tina tornò nella posizione di prima e
Giulia scivolò dietro di lei lungo il suo corpo arrivando a
posare la testa accanto alla sua. Portò la mano sinistra sotto
le coperte e l’allacciò al suo fianco.
Tina percepì la sua presa e le tirò il braccio ancora
più avanti, facendo in modo che la circondasse posando la mano
aperta sul proprio stomaco, poi mosse le gambe all’indietro
cercando quelle dell’altra e le intrecciò alle sue.
La mattina successiva Giulia si stiracchiò rumorosamente ancora
prima di aprire gli occhi. Distendendosi sul letto, impiegò poco
prima meravigliarsi di non trovare alcuno ostacolo. Aprì
finalmente gli occhi e le fu facile abituarsi al giorno, giacché
la stanzetta era lasciata in penombra dalle imposte semichiuse. Si
voltò alla sua destra ed ebbe la conferma di quanto aveva
già supposto. Il letto era vuoto, così come la stanza.
Si alzò sbadigliando, infilò una felpa al di sopra della
maglia ed uscì nel corridoio. La luce l’accecò un
istante, il sole era già molto alto, doveva essere mattina
inoltrata. Barcollò fino alla cucina ed entrò. Scorse
subito la figura di Tina, seduta a tavola intenta a fare colazione.
“Perché non mi hai svegliata?” articolò con
la voce leggermente arrochita dal sonno, quando le fu affianco
“Avrei voluto darti il buongiorno a modo mio”
Tina alzò lo sguardo verso di lei, aprì la bocca per dire
qualcosa, ma poi la sua attenzione si focalizzò su qualcosa alle
spalle di Giulia e si zittì, improvvisando un paio di impacciati
colpi di tosse e facendole segno di voltarsi.
“Buongiorno ragazze!” squillò proprio in
quell’istante la voce di Alessandro “Dormito bene?”
Giulia voltò solo la testa, quel tanto che bastava per vedere la
figura del ragazzo avvicinarsi a loro sorridente, mentre indossava un
maglione al di sopra di una t-shirt. Lei mugugnò infastidita in
risposta e si lasciò cadere su una sedia accanto a Tina con
sguardo apatico.
Alessandro sedette di fronte a loro cominciando a prepararsi da mangiare.
“Qualcosa non va, Giulia?” domandò distrattamente mentre imburrava una fetta di pane.
Tina la osservò di sottecchi, era abbastanza corrucciata, non le piacque quello sguardo e decise di intervenire.
“Stanotte è tornato il topo nella
controsoffittatura” spiegò, dopo aver bevuto
l’ultimo sorso del suo caffè-latte “Ha fatto casino
per mezza nottata. Non abbiamo dormito granché”
Alessandro alzò un attimo lo sguardo sull’amica, poi
annuì convinto e cominciò a mangiare tranquillamente.
“Vado a darmi una ripulita, poi torno in città”
annunciò asciutta Giulia, mentre si alzava rumorosamente.
“Non fai colazione?” domandò Tina con un accento premuroso nella voce.
“No, non ho molta fame” detto questo, Giulia sparì velocemente dalla cucina.
Alessandro la seguì curiosamente con lo sguardo finché
poté, poi si versò del caffè e spostò la
propria attenzione su Tina.
“Da domani pensavo di far terminare il lavoro sul cantiere
un’ora dopo” le disse con l’aria seria che assumeva
quando parlava di lavoro.
“Ormai fa notte molto presto, lo sai. Sicuro che si possa fare?” gli fece notare Tina.
Alessandro bevve un sorso di caffè e si poggiò con la schiena alla sedia con aria rilassata.
“C’è luce fino alle sei di sera. E comunque mi
assicurerò che si vada via prima che faccia buio. Sono le ultime
settimane di scavo, dobbiamo sfruttare le nostre risorse il più
possibile”
Tina si limitò ad annuire, convinta dalle sue motivazioni.
Continuarono a chiacchierare tranquillamente e fu così che
Giulia li trovò quando rientrò in cucina.
Era vestita, indossava la giacca e pareva pronta a lasciare
l’Abbazia. Si avvicinò ai due amici, attirando su di
sé la loro attenzione.
“Grazie per l’ospitalità, ragazzi” disse spostando lo sguardo tra i due.
“Figurati, è stato un piacere. E torna quando vuoi” le sorrise Alessandro.
“Sì, è vero” si limitò ad aggiungere Tina.
Giulia la sfiorò ancora per qualche attimo con i suoi occhi
verdi, stretti in due fessure, quasi come a voler nascondere i
sentimenti che vi si agitavano all’interno. Abbozzò un
sorriso storto, più a beneficio di Alessandro e della sua
placida ignoranza della situazione che c’era tra le due, che per
vera voglia di sorridere, poi si voltò ed uscì.
Tina tenne gli occhi incollati alle sue spalle finché
poté vederla, poi restò semplicemente a fissare lo
stipite della porta dalla quale lei era uscita. Alessandro le stava
dicendo qualcosa e, quando se ne accorse, fu costretta a voltarsi
nuovamente verso l’amico e fingere di prestargli attenzione.
Passò un minuto, al massimo due, poi Tina schizzò in
piedi trascinando la sedia sul pavimento.
“Ho dimenticato di dirle una cosa importante”
farfugliò a mo’ di scuse verso Alessandro, prima di
correre fuori dalla cucina.
Alessandro la guardò stordito andar via, ma non disse nulla.
Tina uscì dal portone dell’Abbazia scontrandosi con un
signore alto e distinto, probabilmente uno dei tanti turisti, che
visitava la vecchia chiesa durante il fine settimana. Mormorò
qualche scusa e riprese a correre verso il giardino sul retro. Appena
voltò l’angolo vide Giulia, poggiava i fianchi al muso
della propria auto ed aveva le braccia incrociate al petto. Guardava
nella sua direzione e, non appena la vide sbucare dal nulla, le
sorrise. Tina rallentò e le si avvicinò con circospezione.
“Credevo fossi già andata via. Che ci fai qui?” le chiese, ormai a pochi passi da lei.
“Ti aspettavo”
“Come sapevi che sarei venuta?”
Giulia alzò un attimo gli occhi al cielo pensierosa, poi scosse
le spalle e si spostò dalla macchina avvicinandosi a lei.
“Ok, non lo sapevo. Ma ci speravo” ammise candidamente.
Tina sorrise, poi l’afferrò per un polso e cominciò
a camminare velocemente scansando turisti e trascinando Giulia con
sé. Quest’ultima si lasciò docilmente condurre,
incuriosita.
Tina la guidò attraverso una serie di porticati, fino ad una
sala remota dell’Abbazia, lontano dai turisti chiassosi e dagli
occhi indiscreti dei suoi colleghi. Quando fu sicura che fossero sole,
afferrò Giulia per i fianchi e la spinse contro una parete,
imprigionandola con il proprio corpo.
Giulia le restituì uno sguardo sorpreso, ma non si
ribellò, anzi intrecciò tranquillamente le braccia dietro
il suo collo.
“Stamattina hai detto che volevi darmi il buongiorno a modo
tuo” ricordò Tina avvicinando il viso a quello
dell’avvocato e facendo sfiorare i loro nasi.
“Chiedilo gentilmente” la provocò l’altra.
“Non credo che lo farò” Tina vinse abilmente quel
gioco di resistenza, prendendosi ciò che voleva senza chiedere.
Più il bacio cresceva, più le mani di Giulia divenivano
impazienti tra i capelli di Tina. All’improvviso l’avvocato
ribaltò le posizioni, chiudendo l’altra tra il proprio
corpo ed il muro. Senza interrompere il bacio, fece aderire i loro
corpi e, mentre con la mano sinistra la teneva per il mento per non
farla allontanare, con la destra scendeva accarezzandola dalla spalla
fino alla vita.
Tina le passò le braccia dietro la schiena e le fece scendere,
leggermente incerte, fino al sedere dove fece pressione affinché
il corpo di Giulia si schiacciasse ancora di più contro il
proprio.
Giulia interruppe il bacio per un secondo e lasciò andare un
respiro più pesante degli altri, poi si gettò nuovamente
sulle labbra di Tina, mentre la sua mano destra riprendeva a scendere.
Le sfiorò la coscia, poi l’afferrò dietro la piega
del ginocchio e la tirò su facendola aderire al proprio fianco e
contemporaneamente insinuando una propria gamba tra quelle
dell’archeologa.
Tina scostò appena il viso da quello di Giulia per riprendere
fiato. Intanto l’altra continuò a tentarla con una serie
di baci sul collo.
Quando qualche minuto dopo Giulia riemerse dalla sua clavicola, si
guardarono negli occhi con le labbra ancora dischiuse respirando
pesantemente.
“Fai in modo che Alessandro tenga le sue mani lontano da
te” l’ammonì Giulia poggiando la fronte contro la
sua.
Tina sorrise e le stampò un altro bacio sulle labbra. Giulia
colse al volo l’occasione e sporse il viso verso di lei
inseguendola, mentre si allontanava, per acciuffare nuovamente le sue
labbra e darle qualche altro veloce bacio. Poi le lasciò andare
la gamba, permettendole di poggiare di nuovo entrambi i piedi per
terra, e si scostò leggermente dal suo corpo.
Tina le prese una mano mentre lei indietreggiava, sempre guardandola
negli occhi e sorridendo, e la tenne finché non fu troppo
distante per farlo.
Giulia uscì dalla sala senza più voltarsi indietro. Tina,
invece, rimase poggiata alla parete ancora qualche minuto ripensando a
quello che era appena successo e passandosi distrattamente le dita
sulle labbra. Dopo un po’ decise di rientrare, sorridendo con
aria assorta ad ogni turista che incontrò sulla sua strada.
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Capitolo 16
CAPITOLO 16
Quando la penultima settimana di scavo iniziò, lunedì 9
Novembre, Alessandro costrinse tutti a ritmi di lavoro serrati, tanto
che arrivati al mercoledì erano tutti già stremati.
Dopo pranzo, Tina si allontanò dal gruppo per godersi una
sigaretta in santa pace ed inviare un messaggio a Giulia. Da quella
mattina ancora non aveva avuto modo di sentirla, ma non sapeva se
poteva chiamarla senza rischiare di disturbare, tanto meno aveva idea
di cosa scrivere nel messaggio, in genere era sempre l’altra che
si faceva sentire per prima e Tina si limitava a rispondere di
conseguenza. Decise che un semplice “Ciao, che stai facendo?”
potesse andar bene per cominciare, ed inviò. Nel frattempo
accese la sigaretta e cominciò a fumarla tranquillamente. Stava
seduta su un masso proprio di fronte ad area 3 e si guardava intorno,
finché fu distratta dal suono di un messaggio in arrivo. Lo
lesse con un certo nodo allo stomaco, recitava: “Bloccata
in tribunale da una noiosissima causa. L’unico pensiero che mi
tiene sveglia sei tu. Quando ci vediamo?”
Il volto di Tina si aprì spontaneamente in un sorriso,
portò la sigaretta alla bocca stringendola con le labbra ed
usò entrambe le mani per poter scrivere più velocemente
la risposta: “Pensavo di
passare il fine settimana a Siena. Prima non riesco a muovermi, anche
se vorrei … non immagini quanto”. Inviò, poi
alzò nuovamente lo sguardo davanti a sé. Tolse la
sigaretta dalla bocca, espirando una corposa nuvola di fumo, mentre
vedeva poco lontano Marco che rientrava nella propria area dopo la fine
della pausa pranzo. Lo vide prendere un’accetta e conficcarla con
un colpo possente sopra un ceppo che stava giusto al centro
dell’area. Ripose il cellulare in tasca, si alzò gettando
la sigaretta e spegnendola con la suola, poi si diresse proprio verso
il collega.
“Marco” lo chiamò dall’alto di un piccolo gradino di terra al limite dell’area.
Il ragazzo alzò lo sguardo e parve sorpreso che lei gli stesse rivolgendo la parola.
“Dimmi” disse un po’ guardingo.
“Non avrai in mente di togliere adesso quel ceppo, vero?”
gli domandò con l’aria di chi sa già che risposta
aspettarsi.
Marco mosse qualche passo verso di lei, costretto ad abbassare il capo
all’indietro per poterla guardare nella sua posizione
soprelevata. Le riservò uno sguardo piuttosto combattivo.
“Perché no?”
“Perché se lo togli adesso rischi di mandare al diavolo
tutta la stratigrafia. Per quanto è grande il ceppo, le radici
si estenderanno per diversi centimetri di profondità nella
terra, se le tiri via assieme a lui stravolgi gli strati”
“Secondo me si può togliere anche ora, senza rischiare di
fare alcun danno. Basta qualche colpo ben assestato e verrà via
tranquillamente”
Tina lo squadrò con aria severa, poi mosse un passò in
avanti e si lascò cadere all’interno dell’area con
un piccolo salto.
“Ok. Allora facciamo così. In qualità di tuo
superiore, vorrei che terminassi di mettere in luce per bene i contesti
attorno al ceppo, arrivando ad un livello uniforme per tutti, prima di
valutare se sia il caso di toglierlo o meno”
Marco socchiuse gli occhi e contrasse le mascelle, fronteggiando il suo sguardo senza dire nemmeno una parola.
“Siamo d’accordo?” incalzò Tina con tono perentorio.
“Va bene” sputò lui tra i denti. Poi senza attendere oltre le voltò le spalle e tornò a lavoro.
Tina lasciò andare un respiro carico di amarezza e decise di tornarsene nella sua area.
I giorni successivi scorsero relativamente tranquilli. Marco lanciava
continue occhiate di sbieco a Tina, ma quest’ultima cercava di
ignorarlo. Così come cercava di ignorare i tentativi di Emanuele
di stizzirla e provocarla con il suo continuare ad essere più
scansafatiche che mai.
Venerdì pomeriggio furono sorpresi sul cantiere da un violento
acquazzone, subito dopo pranzo. Tentarono di ripararsi in baracca,
aspettando che passasse, ma dopo più di mezz’ora
l’acqua continuava a cadere copiosa, così Alessandro
ordinò che si tornasse tutti in Abbazia.
Per non perdere preziose ore di lavoro, ragazzi e responsabili
continuarono comunque il proprio lavoro. I primi a pulire ceramiche ed
altri reperti, i secondi ad informatizzare la documentazione di scavo.
Dopo quasi due ore consecutive al computer, Tina portò le
braccia dietro al collo stiracchiandosi e sospirando stancamente. Fece
vagare lo sguardo nella sala multimediale, fin quando incontrò
l’oggetto della sua silenziosa ricerca. Emanuele era chino con il
capo sul computer, isolato in un angolo della sala, concentrato a
scrivere qualcosa.
Tina si alzò e gli si avvicinò. Restò a qualche
passo di distanza e fece qualche colpo di tosse per attirare la sua
attenzione.
Emanuele si accorse della sua presenza ed alzò il capo, le
riservò uno sguardo vacuo, poi ritornò a picchiettare sui
tasti del computer.
Tina sospirò, cercando di mantenere la calma.
“Mi serve la pianta dello strato 17” disse atona.
“Non c’è”
“Mi guardi, per favore, mentre mi parli?”
Emanuele alzò lo sguardo su di lei, fissandola con occhi duri e seri.
“Ecco, contenta?! Ma questo non cambia il fatto che la pianta che
cerchi non l’ho fatta” commentò con incredibile
sfacciataggine.
“Cos’è, cerchi di attirare la mia attenzione
comportandoti da coglione?” lo rimproverò Tina,
cominciando a perdere la pazienza.
Emanuele sbatté un paio di volte le palpebre, strinse le labbra
distorcendo il viso in una smorfia di amarezza e non disse nulla.
Abbassò di nuovo lo sguardo.
“A me quella pianta serve” continuò imperterrita Tina.
“Ti ho detto che non c’è!” sbottò
Emanuele, alzandosi di scatto e scansando malamente Tina
“Disegnatela da sola, quella cazzo di pianta” così
dicendo si avviò a grandi passi fuori dalla sala.
Tina rimase turbata da quella reazione così esagerata, quindi
restò per qualche momento bloccata sul posto, sotto gli sguardi
altrettanto attoniti degli altri che avevano appena assistito alla
scena. Quando ritrovò il controllo, decise che quella non
gliel’avrebbe fatta passare liscia, così si
precipitò fuori ad inseguirlo.
Lo vide da lontano entrare nella propria stanza e lo raggiunse.
Entrò anche lei e chiuse rumorosamente la porta alle proprie
spalle.
“Adesso basta. Questa questione la risolviamo subito, una volta per tutte” gli disse decisa.
“Lasciami stare” le intimò lui voltandole le spalle.
“Sono giorni che mi tratti di merda, Manu. Si può sapere che cosa vuoi da me?!”
“Che cosa voglio” ripeté lui retorico girandosi per guardarla “Secondo te che cosa voglio?”
Non le diede il tempo di rispondere, perché
l’afferrò per la vita e la tirò verso di sé
andando a bloccarle il collo con una mano ed avvicinandosi per
baciarla. Tina voltò il viso appena in tempo per evitarlo, poi
furiosa lo spintonò in modo che la lasciasse e gli tirò
uno schiaffo in pieno viso.
“Non ti preoccupare per la pianta, me la disegno da sola”
gli disse con una voce gelida da cui trasudava tutta la rabbia a stento
contenuta.
Gli voltò le spalle e rapidamente lasciò la stanza.
Seccata e stizzita, Tina tornò nella sala multimediale
lasciandosi cadere sconsolata sulla sedia davanti al suo computer.
Poggiò i gomiti sul piano della scrivania e si prese la testa
tra le mani.
Restò in quella posizione qualche minuto, il tempo necessario
per scongiurare una crisi di pianto nervoso, poi tornò ad
occuparsi di lavoro. Scorse velocemente la documentazione archiviata
fino a quel momento e scoprì con orrore che mancavano quasi la
metà dei disegni degli strati messi in luce. Con immenso
disappunto fu costretta a scrivere a Giulia che non avrebbe potuto
passare il fine settimana in città, perché aveva un
mucchio di lavoro arretrato da recuperare. L’avvocato
protestò debolmente, infine si arrese di fronte alla risolutezza
di Tina.
Quest’ultima, quindi, trascorse l’intero venerdì
sera e buona parte della giornata di sabato a disegnare e digitalizzare
le piante di strato mancanti. Il sabato sera crollò distrutta
ancor prima che scoccassero le dieci.
La domenica Tina si alzò con un fastidioso cerchio alla testa.
Cercò a tentoni il cellulare sulla scrivania, ancora con gli
occhi socchiusi dal sonno, per leggere l’ora ma la sua attenzione
fu deviata sull’icona dei messaggi in arrivo. Era Giulia che
l’avvisava di essere appena partita da Siena diretta in Abbazia.
Lesse l’ora di arrivo del messaggio e concluse che
l’avvocato sarebbe arrivata nel giro di una decina di minuti.
Si catapultò fuori dal letto e corse in bagno sperando di
riuscire a darsi una ripulita e vestirsi prima che Giulia arrivasse,
saltando anche la colazione.
Stava giusto uscendo dalla sua stanza, lavata e vestita, quando,
passando accanto ad un finestrone, vide la macchina di Giulia
percorrere il viale di cipressi. Tornò indietro a prendere il
giubbino e scese velocemente le scale correndo all’esterno per
andarle incontro.
L’avvocato stava parcheggiando nel giardino sul retro, proprio
accanto alla sua jeep. Tina si accostò alla macchina e le
aprì la portiera. Giulia scese regalandole un luminoso sorriso e
le si avvicinò per salutarla. Tina gettò una rapida ed
esaustiva occhiata alle finestre dell’Abbazia e l’altra fu
costretta a deviare le proprie labbra sulla sua guancia con un sospiro
frustrato.
“Hai ricevuto il mio messaggio?” le chiese poi voltandosi per chiudere l’auto.
“Sì, l’ho letto appena mi sono svegliata. Dieci minuti fa”
“Mi dispiace, non credevo dormissi così tanto”
“Ma no, non fa niente. Vieni, facciamo due passi, è una
bellissima giornata” Tina le prese la mano, stava per intrecciare
le loro dita, poi il suo sguardo volò nuovamente alle finestre
del caseggiato e decise di prenderla semplicemente sottobraccio.
Passeggiarono in silenzio per un po’, quasi confondendosi ai
turisti, ed ammirando come loro la magnifica architettura
dell’Abbazia.
“Tutto bene?” chiese Giulia all’improvviso.
Tina sussultò, abbassò lo sguardo sui propri piedi intenti a scalciare via un po’ di ghiaia ad ogni passo.
“Sì, certo. Perché?” rispose, tentando di sembrare disinvolta.
“Mah, non so. In questi ultimi giorni mi sei sembrata un po’ sfuggente. Devi dirmi qualcosa?”
Giulia si era fermata e si era girata in modo da poterla guardare bene
in viso. Tina incrociò le braccia al petto e continuò a
sfuggire ai suoi occhi, tenendo il proprio sguardo basso e descrivendo
con la punta del piede destro dei semicerchi nel terreno.
“Io?! No, non devo dirti niente. Cosa dovrei dirti?”
Giulia stava per rispondere, ma dei passi che si avvicinavano a loro, la bloccarono.
“Tina” Emanuele arrivò accanto alle due ragazze “Volevo parlarti un attimo”
La ragazza allargò gli occhi, sorpresa che lui le rivolgesse la
parola con tanta tranquillità. Poi spostò lo sguardo su
Giulia e divenne palesemente nervosa.
“Ehm … Manu, magari un’altra volta”
tentò di voltarsi e riprende la passeggiata con Giulia, ma
Emanuele la fermò gentilmente per un braccio.
“Aspetta, ti rubo solo un minuto” si rivolse poi a Giulia “Non ti dispiace, vero?”
L’avvocato, che non aveva capito nulla fino a quel momento, si
limitò a scuotere la testa facendo segno ad Emanuele di
proseguire.
Il ragazzo prese un profondo respiro e tornò a guardare Tina.
“Volevo chiederti scusa” disse, apparendo realmente pentito.
“Manu, adesso non è proprio il momento” si
lamentò Tina con tono inquieto saltellando con lo sguardo tra
lui e Giulia “Ne riparliamo, promesso. Ma ora lasciami
andare”
“Lo so che sei arrabbiata con me” proseguì lui,
incurante delle sue parole “Non avrei mai dovuto prenderti in
quel modo. Sono sinceramente dispiaciuto”
“Non fa niente. Scuse accettate” tagliò corto
l’archeologa, riprendendo sottobraccio Giulia e cercando di
portarla via.
Inaspettatamente, invece, il corpo dell’avvocato non
accennò a muoversi. Tina alzò gli occhi verso il suo viso
e la vide fissare Emanuele in modo cupo.
“Aspetta un attimo” le disse Giulia sbrigativa, liberandosi
della sua presa e rivolgendosi al ragazzo “Di cosa saresti
dispiaciuto, esattamente?”
“Giulia, lascia perdere, è una questione tra noi che
risolveremo in privato più tardi” Tina tentò
nuovamente di tirarla per un braccio, ma senza alcun risultato.
“Ho fatto una cazzata” rispose Emanuele reggendo lo sguardo
torbido di Giulia “Ero arrabbiato con lei e volevo fargliela
pagare. Ma mi sono spinto oltre, l’ho capito nell’istante
stesso in cui la prendevo con la forza per cercare di baciarla”
“Ma non ci è riuscito!” chiarì immediatamente
Tina, smettendo di tirare la manica dell’avvocato e attendendo
nervosa la sua reazione.
Giulia restò in silenzio per qualche secondo, poi alzò un braccio puntando un dito contro il petto del ragazzo.
“Che razza di uomo sei, tu, che cerchi di forzare una donna a fare qualcosa che evidentemente non vuole fare?”
Emanuele fu colto impreparato da quella reazione tanto veemente.
“Mi pare che tu stia esagerando nel tono, Giulia. Sono venuto qui
appunto a chiederle scusa” tentò di difendersi.
“Eh già, chiedere scusa” sbraitò lei
retoricamente “Bel modo di pararsi il culo dopo aver fatto una
cazzata. Mai una volta che voi uomini pensiate prima di agire”
“Non credo che tu sia nessuno per venire qui a rimproverarmi,
quindi perché non ti prendi il tuo ego femminista del cazzo e te
ne ritorni da dove sei venuta?” sbottò lui, perdendo
decisamente la calma.
Tina si pose fra di loro, allontanandoli leggermente con le braccia e gettando occhiate agitate all’una e all’altro.
“Ragazzi, state dando spettacolo” li ammonì.
“Spostati, tu!” l’affrontò Giulia a muso duro
“Che se non l’avessi saputo così, nemmeno me
l’avresti detto”
“E perché avrebbe dovuto dirtelo?!” protestò
Emanuele, avvicinandosi nuovamente a Giulia, scansando Tina da parte
“Si può sapere chi cazzo sei tu, per venire qui a sputare
sentenze?”
“Io ho molto più diritto di quanto tu creda di venire qui
a rimproverarti e sputare sentenze, come dici tu” lo
rimbeccò Giulia con sguardo truce.
“Sarebbe a dire?” la sfidò Emanuele incrociando le braccia al petto con aria impertinente.
A quel punto Tina si infilò nuovamente tra i due, stavolta dando
le spalle ad Emanuele e poggiando le mani sulle braccia di Giulia. La
sentì tesa e contratta, provò ad attirare la sua
attenzione e ci riuscì solo dopo qualche attimo di attesa
infinita.
L’avvocato abbassò lo sguardo verso di lei, aveva la narici dilatate e gli occhi semichiusi, non disse nulla.
“Giulia, ti prego, ne parliamo dopo. Io e te” le disse Tina con tono quasi supplicante.
Quella non rispose, rimase ancora qualche momento a fissarla negli
occhi, poi distolse rapidamente lo sguardo, si voltò e
cominciò a camminare velocemente allontanandosi da loro.
Tina si girò verso Emanuele.
“Dacci un taglio, Manu. Sfoga la tua frustrazione in qualche
altro modo ed evita di prendertela con le persone … me, o
chiunque altro”
Detto ciò, corse dietro a Giulia.
La trovò nella sala in cui l’aveva condotta proprio lei
solo una settimana prima. Anche quella volta erano sole, lontane da
occhi ed orecchie indiscrete.
“Giulia” Tina le si stava avvicinando, lei era di spalle e
non si voltò “Non è successo niente, sul
serio”
“Non è questo il punto” ribatté l’altra, girandosi finalmente.
“Allora non capisco” ammise Tina.
“Pensaci, ma da sola. Se e quando lo capirai, me lo verrai a dire” pronunciò Giulia con voce fredda e dura.
Tina la guardò andar via, senza più voltarsi indietro.
Rimasta sola, si poggiò con le spalle al muro e lentamente
scivolò fino a sedersi a terra. Le sfuggì un singulto e
cominciò a piangere silenziosamente.
Nei giorni seguenti Tina si limitò a svolgere le funzioni minime
che le permettevano di iniziare e concludere la giornata. Sul lavoro fu
come sempre precisa e puntuale, ma senza alcuno slancio e senza il suo
solito entusiasmo. L’unico con cui scambiò qualche parola
fu Alessandro, al quale spiegò superficialmente cosa era
accaduto, lasciandogli credere che il suo malumore fosse dovuto ancora
una volta al comportamento di Emanuele e non alla fuga di Giulia.
Quest’ultima, d’altronde, aveva superato il migliore
Houdinì, sparendo letteralmente nel nulla. Non che Tina avesse
provato a cercarla, si sentiva troppo in colpa. Tuttavia, arrivò
a mercoledì pomeriggio che, dopo aver controllato per la
millesima volta il cellulare, dovette ammettere a sé stessa di
considerarsi piuttosto patetica. Decise, quindi, che era il caso di
affrontare la questione una volta per tutte. Lasciò il cantiere
quasi di nascosto, senza dare spiegazioni nemmeno ad Alessandro, e
tornò in Abbazia. Fece una doccia veloce e dopo dieci minuti era
già alla guida diretta verso Siena.
Arrivò sotto casa di Giulia che era già sera da un pezzo.
Portò il dito sul bottone del suo citofono almeno un paio di
volte prima di decidersi a bussare.
Quando finalmente lo fece, Giulia rispose dopo poco con il suo consueto “Sì”
“Sono io” rispose Tina laconicamente.
Giulia la lasciò ad aspettare decisamente più del dovuto
prima di far scattare la serratura, tanto che Tina si trovò a
rilasciare rumorosamente un respiro di sollievo fino ad allora
trattenuto.
Quando aprì la porta, Giulia era ancora vestita con un
tailleur-pantalone blu scuro di cui aveva tolto solo la giacca
rimanendo in camicia.
Tina la osservò, aveva in viso un’espressione neutra e le
sbarrava la strada verso l’interno tenendo le braccia tese tra la
porta semichiusa e lo stipite opposto.
“Posso entrare?” le chiese infatti.
Giulia sospirò, poi si spostò di lato e le fece spazio.
Tina entrò, orientandosi ormai bene in quell’ambiente,
sebbene quella volta faticasse a sentirsi a proprio agio con gli occhi
freddi dell’altra posati sulla propria schiena. Decise di
liberarsi con calma del cappotto e poggiarlo sulla solita poltrona per
prendere tempo. Quando però ebbe finito con
quell’operazione, fu costretta a voltarsi verso la padrona di
casa, che l’aveva osservata in silente attesa con una spalla
poggiata al muro accanto alla porta.
“Mi stai uccidendo” ammise Tina, colta da un improvviso
raptus di sincerità “Io non provo niente per Emanuele, e
non l’ho baciato, anzi l’ho spinto via e gli ho dato anche
uno schiaffo”
Giulia aggrottò la fronte, mentre lei parlava, ascoltandola in
silenzio. Quando lei ebbe finito, si mosse avvicinandosi leggermente.
“Ti ho già detto che non è questo il problema.
L’ho capito che non hai ricambiato il bacio e ti credo. Non
è per gelosia che ti ho allontanata” chiosò
serafica.
Tina compì alcuni veloci passi in avanti arrivandole proprio di fronte e guardandola negli occhi con aria supplichevole.
“Allora, spiegami. Dimmelo tu qual è il problema, perché io evidentemente non ci arrivo”
“Perché non me l’hai detto? Ti ho dato
l’opportunità di farlo anche un attimo prima che lui
venisse a cercarti e tu hai finto che non fosse successo niente”
Tina allargò gli occhi, improvvisamente lucida e consapevole, poi abbassò lo sguardo sentendosi colpevole.
“Ho pensato di dirtelo, ma poi ho cambiato idea. Non volevo che
ti arrabbiassi” azzardò un’occhiata nella sua
direzione, poi spostò lo sguardo sui proprio piedi e
cominciò a gesticolare agitata “Non volevo che
fraintendessi o che pensassi che io stessi facendo il doppio gioco. E
poi so come la pensi, so che non hai una gran bella opinione dei maschi
e non volevo farti preoccupare, perché so che Emanuele in fondo
è un bravo ragazzo, l’ha fatto senza pensare e senza
cattiveria. Ho sbagliato, lo so, dovevo dirtelo. Ma non volevo che ci
fossero altri problemi tra di noi, ne abbiamo già abbastanza per
conto nostro, per colpa mia perché ... sì, insomma,
perché non riesco ancora ad accettare del tutto questa cosa
… questa relazione. Non volevo creare altri casini, così
non te l’ho detto. Mi dispiace”
Tina si fermò a riprendere fiato, accorgendosi di aver parlato a
raffica, incespicando nelle parole e sibilando le esse più del
dovuto, come le accadeva quando era nervosa. Quando sentì dei
suoni indistinti provenire da Giulia, si decise finalmente ad alzare lo
sguardo.
“Perché ridi?” le chiese confusa.
“Perché ti amo”
Tina rimase immobile, il viso simile ad una maschera di cera, non esprimeva in realtà nessuna emozione.
Giulia smise gradualmente di ridere e divenne seria a sua volta. La
guardò, sperando che si riprendesse e dicesse qualcosa, ma non
accadde. Sentendosi a disagio, decise allora di cambiare argomento.
“Vado a preparare la cena. Ti fermi qui, vero?” così
dicendo le diede le spalle per andare in cucina, ma venne bloccata per
un braccio.
Tina l’aveva acchiappata al volo e la stava tirando con decisone
verso di sé, costringendola a voltarsi. Quando si trovò
faccia a faccia con lei, la guardò un attimo negli occhi,
lasciò comparire una pallida ombra di sorriso sulle proprie
labbra, poi la baciò.
Giulia cominciò a partecipare con qualche secondo di ritardo,
colta di sorpresa dalla sua reazione. Quando riacquistò il
controllo del proprio corpo e delle proprie sensazioni, portò la
mano destra sulla guancia di Tina, in modo da poter dettare i tempi del
bacio a proprio piacimento, e passò l’altro braccio dietro
la sua schiena aprendo la mano alla base dei lombi per tirarla contro
il proprio corpo.
Quando si divisero, qualche minuto dopo, Tina l’abbracciò e le poggiò la testa su una spalla.
“Pace?” mormorò con un senso di attesa nella voce.
“Pace” confermò Giulia mentre le accarezzava i
capelli “Però la prossima volta, vorrei che ti sentissi
libera di parlarmi di qualunque cosa, senza temere la mia
reazione”
“Ok” promise Tina, stringendosi un po’ di più al suo corpo.
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
capitolo 17
CAPITOLO 17
Tina restò a cenare da Giulia, guardarono un film abbracciate
sul divano, poi lei tornò nella casa che divideva con un altro
studente e passò la notte a Siena, troppo stanca per guidare
fino in Abbazia. Tuttavia, la mattina successiva arrivò come
sempre in orario sul cantiere. Evitò abilmente
l’interrogatorio di Alessandro, che le chiedeva dove avesse
passato la notte, e si rimise a lavoro.
Quel giovedì pomeriggio, Tina stava lavorando in un angolo un
po’ isolato della propria area, vicino ad uno sperone di roccia
ai limiti del bosco circostante. Non la sorprese sentire un rumore
proveniente dal folto degli alberi, giacché erano abituati a
veder passare di lì animali selvatici di ogni genere, tuttavia,
alzò comunque lo sguardo, per accertarsi che non fosse un
cinghiale. In quel caso sarebbe stato decisamente più prudente
allontanarsi. Quando alzò gli occhi si rese conto che non si
trattava di nessun animale, era semplicemente Emanuele. La ragazza lo
osservò addentrarsi tra i rami sporgenti, fino a sedere su un
tronco ed accendersi una sigaretta.
Tina lasciò cadere la trowel accanto alle ginocchia e si
alzò spazzolando i pantaloni per liberarli della terra.
Camminò lentamente verso l’amico, non curandosi di far
rumore. Quando gli fu praticamente alle spalle, infatti, Emanuele
sentì i suoi passi scricchiolare su rami e foglie secche,
tuttavia si limitò ad irrigidire leggermente la schiena senza
voltarsi.
“Quando ho sentito dei rumori … ho creduto fosse un
cinghiale … beh, non ci sono andata molto lontana” Tina
tentò un approccio tranquillo e scherzoso, sebbene il sorriso
sul suo viso fosse vacillante ed incerto.
Emanuele si voltò sbuffandole una nuvola di fumo in faccia e limitandosi ad osservarla.
Tina sospirò delusa, ma non si arrese, sedette accanto a lui, su uno strato di foglie secche, con le gambe incrociate.
“Hai una sigaretta?”
Il ragazzo la guardò, colpito dalla sua insistenza.
Recuperò sigarette ed accendino dalla tasca della felpa e gliele
porse.
“Grazie” Tina li prese e si concentrò per qualche minuto a fumare.
“Come va con Federica?” domandò dopo poco.
Emanuele si voltò verso di lei con un cipiglio scettico in volto.
“Sembra che andiate d’accordo. Lei è una brava
ragazza” continuò ancora lei con tranquillità.
Lui restò in silenzio, finendo la sua sigaretta e spegnendola su una piccola pietra.
“Se avessi voluto fare un monologo, sarei andata davvero da un
cinghiale” proruppe a quel punto la ragazza “Hai presente
quando si dice: << agli animali manca solo la parola >>?!
Ecco, in questo momento tu assomigli più ad un cinghiale che ad
un essere umano!”
Ad Emanuele scappò un sorriso a stento trattenuto.
“Ho meno peli, però” replicò finalmente.
“E credo che saresti anche piuttosto indigesto, al contrario di
lui” aggiunse Tina, gioendo solo intermante di essere riuscita a
farlo parlare, e conservando all’esterno un’aria
forzatamente seria, mentre continuava a fumare.
“Se vuoi, puoi darmi un morso e provare” la sfotté Emanuele, sventolandole un braccio davanti agli occhi.
A quel punto Tina non riuscì più a trattenersi e rise.
“Smettila, scemo!” lo ammonì, spingendogli via il braccio.
Le loro risate si spensero gradualmente. Emanuele ricominciò a
guardare dritto davanti a sé. Tina si concentrò a
spegnere la sigaretta su un sassolino, per poi giocare con alcuni
rametti disegnando linee sul terreno.
“Ho esagerato, vero?” borbottò il ragazzo dopo un po’.
Tina prese un profondo respiro e alzò lo sguardo verso di lui.
“Credo che abbiamo esagerato entrambi” puntualizzò rammaricata.
Emanuele annuì, si fermò a riflettere per qualche istante ed intanto la sua espressione divenne cupa.
“Sì, però non ho capito la sparata di Giulia
sinceramente. Dico io, che cavolo aveva da urlarmi contro in quel modo,
manco fosse tua madre!” articolò infastidito.
Tina abbassò istantaneamente gli occhi, ritornando a giochicchiare nervosamente con i rametti.
“Ma … figurati, lo sai com’è fatta …
è un avvocato, la difesa ce l’ha nel sangue”
borbottò incerta.
“Sì, ma tu avresti pure potuto dirle qualcosa …
magari di farsi gli affari suoi” incalzò lui imperterrito.
“Vuoi litigare di nuovo, Manu?”
“No”
“Ecco. Allora, scordiamoci quello che è successo e andiamo
avanti” affermò Tina, stavolta con tono secco “E ora
ritorno a lavoro, che devo finire quello strato prima di stasera”
chiosò, facendo per alzarsi.
“A me non è passata, Tina” Emanuele la bloccò
per un braccio costringendola a fermarsi in piedi accanto a lui, che si
alzò a sua volta “Federica è solo una distrazione.
Io voglio ancora te”
“Mi dispiace” Tina si limitò a scuotere la testa con
rammarico “Mi dispiace, Manu” ripeté, liberandosi
dalla sua presa e voltandogli le spalle per tornare a lavoro.
Venerdì mattina Tina ed Alessandro stavano come al solito
percorrendo il sentiero che li avrebbe condotti al cantiere. La ragazza
canticchiava a mezza voce camminando a passo spedito con entrambe le
mani nelle tasche dei pantaloni. Alessandro la affiancava senza sforzo,
osservandola di sottecchi con aria curiosa.
“Sei contenta stamattina?”
“E’ venerdì, poi finalmente il fine settimana. L’ultimo!”
“Non ti ho mai vista così contenta per il fine settimana.
Almeno non prima che cominciassi a trascorrerlo a Siena con
chissà chi” la provocò Alessandro con un insinuante
tono furbo.
“Ma che dici!” protestò lei, sperando di non
arrossire “Con chi vuoi che stia. Passo un po’ di tempo con
gli amici dell’università”
“Tina, a te non sono mai andati a genio i ragazzi del tuo
corso” le fece notare Alessandro con un cipiglio scettico in
volto.
Tina si morse nervosamente un labbro, mentre pensava a qualcosa da dire.
“Comunque … ieri sono finalmente riuscita a parlare con Emanuele, lo sai?”
Alessandro alzò gli occhi al cielo irritato, ma le lasciò passare quel cambio discorso.
“Bene. Cosa vi siete detti?” s’informò senza molta enfasi.
“Mah, niente di che in realtà, ma per come stavano andando
le cose tra noi ultimamente, già il solo fatto che mi abbia
rivolto la parola lo considero un miracolo”
“Non starai tirando troppo la corda?”
Tina si voltò di scatto verso l’amico e lo guardò completamente stupita.
“Non capisco, che vuoi dire?”
“Beh, tu e Manu vi conoscete da quasi quattro anni ormai”
cominciò a spiegare Alessandro con tono vago “Possibile
che tu davvero non provi niente per lui? A maggior ragione che sostieni
di non avere alcuna tresca in città … cosa ti frena dal
provare a stare con lui? Lo sai che stravede per te”
Tina corrugò la fronte e si fermò al centro del sentiero,
osservando l’amico con un’espressione contrariata.
“Ale, ma come diavolo ragioni?! Provare a stare con lui?!”
ripeté incredula “Io non provo a stare con le persone, se
ci sto è perché sento qualcosa di più che semplice
affetto. E no, per Emanuele non sento altro che quello, un sincero
affetto! Possibile che sia così difficile da credere?!”
sbottò esasperata.
Alessandro l’ascoltò in silenzio, allargando gli occhi,
colpito dalla sua sicurezza, ad ogni parola che le sentiva pronunciare.
Quando lei ebbe finito, lui alzò entrambe le mani in segno di
difesa.
“Va bene, va bene. Ho capito” assicurò convinto
“Possiamo continuare a camminare?” tentò poi di
scherzare.
Tina prese un profondo respiro, infine, più calma, annuì.
Quel pomeriggio era piuttosto tranquilla. La discussione con Alessandro
era rientrata e i due avevano collaborato e scherzato in
complicità come al solito durante tutta la mattinata di lavoro.
A pranzo, aveva chiesto ad Emanuele di passarle il pane e lui, non solo
lo aveva fatto, ma aveva pure accennato un sorriso. Si riteneva
assolutamente soddisfatta e in pace con sé stessa.
Una voce che la chiamava la distrasse dai suoi pensieri. Alzò lo
sguardo facendosi ombra con il palmo della mano, per riuscire ad
intravedere contro luce uno dei ragazzi di area 3.
“Gianni, che c’è?” gli chiese, alzandosi ed avvicinandosi.
“Ehm … credo che dovresti venire a dare un’occhiata
di là. Marco ha chiamato Alessandro e lui mi ha chiesto di
chiamare anche te”
Il ragazzo si incamminò velocemente verso area 3 e Tina lo seguì interdetta.
Quando salì sul terrazzo naturale, che dava proprio su
quell’area, realizzò con orrore perché Gianni fosse
così reticente e raccontarle cosa stesse succedendo.
Esattamente al centro dell’area c’erano Alessandro e Marco,
intenti a discutere, apparentemente in maniera molto animata, di lato
alcuni ragazzi seduti su dei massi con gli sguardi bassi. Accanto ai
due archeologi c’era ciò che restava del ceppo, ormai
sradicato, che era rimasto legato al terreno solo da qualche esile
radice. Tutte le altre erano completamente dissotterrate e schizzavano
fuori dalla terra rendendola smossa e confusionaria.
Tina saltò all’interno dell’area, aveva
un’espressione sconfitta e amara. Si avvicinò ai due per
sentire cosa stessero dicendo.
“Sono le basi dell’archeologia, Marco. Si chiama ricerca
stratigrafica per un motivo” stava sbraitando Alessandro “E
cioè, perché si procede per strati, in maniera ordinata e
coerente. Non si dissotterra più così a caso
dall’ottocento, santo cielo!”
“Te l’avevo pure detto” intervenne Tina, attirando l’attenzione dei due ragazzi su di sé.
“Perché non ti fai gli affari tuoi?” le ringhiò contro Marco.
“Ti aveva detto di non toccare il ceppo?” domandò invece Alessandro.
Marco guardò il capocantiere, ostentando uno sguardo duro ed ermetico ma rimanendo zitto.
“Te l’avevo detto, imbecille! Guarda che casino hai
combinato. Ad una settimana dalla fine della campagna per di
più” lo attaccò Tina, evidentemente irritata.
“Calmati” le ordinò Alessandro, ponendole un braccio
davanti al busto per impedirle di avvicinarsi ulteriormente a Marco, a
cui poi si rivolse “Non capisco perché hai fatto di testa
tua, quando un superiore ti aveva dato una precisa indicazione”
“Semplice” soffiò quello, velenoso
“Perché non considero miss-so-tutto-io un mio superiore,
tantomeno credo che sia questo genio dell’archeologia di cui
tutti parlano”
“Ma brutto idiota che non sei altro!” strepitò Tina
“Adesso miss-so-tutto-io ti fa vedere invece come è brava
a prendere a calci in culo i figli di papà come te … eh,
che ne dici?!” fece per avvicinarsi a lui minacciosamente, ma
venne intercettata ancora una volta da Alessandro.
“Basta così, Tina” le intimò con voce
profonda e autoritaria “Non tollero questo linguaggio sul
cantiere” si voltò poi verso Marco “Così come
non tollero degli errori tanto grossolani, per di più commessi
per motivi tanto futili. Farò rapporto al Direttore Scientifico
e chiederò che questi mesi di scavo non ti vengano riconosciuti
come crediti di attività extra da sommare agli esami”
A quel punto, notando che Tina e Marco continuavano a guardarsi in
cagnesco, Alessandro prese quasi di peso l’amica costringendola
ad indietreggiare.
“Visto che manca una sola settimana di scavo, chiudiamo oggi area
3. Date una ripulita e fate le foto agli ultimi strati che avete messo
in luce” disse rivolto ai ragazzi “E fate in modo di non
incasinare ancora di più la terra sotto il ceppo”
“Se chiudi oggi, io che faccio settimana prossima?” protestò Marco.
“Te ne stai a casa a riflettere sul casino che hai
combinato” lo freddò Alessandro “E cercherai di
diventare un po’ più collaborativo nei mesi che verranno,
quando dovremo occuparci tutti insieme della pubblicazione, della
promozione e dell’archivio di questa campagna”
Detto questo, presa Tina sottobraccio, si allontanò.
“E’ deficiente! Quello lì è un deficiente,
non c’è altro modo per definirlo” proruppe Tina,
quando furono al sicuro all’interno della baracca.
“Siediti” le intimò Alessandro “E calmati”
“Ma mi spieghi che ce lo teniamo a fare ancora qui? Non si può sbatterlo fuori?”
“Sai meglio di me che non si può fare. Tocca sopportarlo ed essere diplomatici”
Tina si alzò di scatto, dalla sedia su cui Alessandro
l’aveva spinta solo qualche istante prima e cominciò a
girare nervosamente per la stanza.
“Mi fai girare la testa” si lamentò Alessandro.
“Avrei voglia di andare a dargli quattro sberle”
bofonchiò Tina tra sé “Che figura ci facciamo con
Carlo, quando lo verrà a sapere” distorse la bocca in una
smorfia inorridita al solo pensiero.
“Ok, ora basta” Alessandro scattò in piedi e le
tagliò la strada facendola sbattere con il naso sul proprio
petto “Per oggi è inutile che resti qui, sei troppo
agitata. Vattene a casa”
“Ma ho del lavoro da finire” obiettò Tina.
“Manca solo un’ora alla fine della giornata. Puoi recuperare lunedì. Vattene”
“Ok”
Tina non ebbe il coraggio di contraddire Alessandro, soprattutto
perché sapeva che aveva ragione. Quando era così agitata
riusciva a concludere ben poco, senza contare che avrebbe potuto
commettere a sua volta qualche errore e, allora sì, che si
sarebbe incazzata di brutto.
Tuttavia, l’Abbazia le sembrò troppo cupa e vuota quando
ci arrivò. Senza il mormorio dei ragazzi, il ronzio delle docce
o la musica dei computer le metteva tristezza. Decise allora che
avrebbe fatto una doccia veloce e sarebbe andata da Giulia.
Quando arrivò da lei, non erano ancora le otto. Sperò di trovarla in casa.
Mentre si avvicinava al portone, ne vide uscire una signora grassoccia
con due bassotti al guinzaglio. Le tenne gentilmente il portone aperto,
dopo di ché vi si infilò a sua volta.
Arrivata davanti alla porta, bussò. Trascorse un minuto, ma non
aprì nessuno. Bussò di nuovo, ma ancora nessuna risposta.
Stava per girarsi ed andare via, quando sentì dall’interno
un soffocato “Arrivo!”
Un minuto dopo la porta si aprì e comparve Giulia in accappatoio.
“Oh. Non ti aspettavo” commentò l’avvocato stringendosi la cinta attorno ai fianchi.
Tina la squadrò da capo a piedi, alcune gocce d’acqua cadevano ancora sul pavimento dalle sue gambe.
“Cavolo, devo proprio ricordarmi di chiamare prima di piombarti in casa!” rifletté leggermente imbarazzata.
Giulia le sorrise tranquilla.
“Non preoccuparti. Entra, dai” la prese per mano e la
tirò all’interno, chiudendo la porta alle sue spalle.
La lasciò al centro della stanza, sapendo che ormai Tina poteva
benissimo orientarsi da sola, mentre lei si avvicinava alle scale del
soppalco.
“Non ti dispiace se vado a mettermi qualcosa addosso, vero?
Intanto tu dimmi come mai sei venuta” le diceva nel frattempo.
“No, certo, vai pure” acconsentì Tina, seguendola
con lo sguardo mentre saliva e spariva al piano superiore “Oggi
ho avuto una fine di giornata davvero pessima”
“Che ti è successo?” chiese la voce di Giulia, rimbombando leggermente.
“Quel cretino di Marco” Tina si tolse la giacca e si
lasciò cadere su una poltrona sprofondandoci con aria sfinita
“Non solo ha combinato un casino sullo scavo, ma mi ha anche dato
praticamente dell’incompetente”
“Davvero?” Giulia si affacciò dal soppalco,
sporgendosi oltre la ringhiera con il busto, coperto solo dal
reggiseno, per osservare Tina.
Quest’ultima alzò lo sguardo verso di lei, sgranò leggermente gli occhi e non disse nulla.
“Tina?” la richiamò l’avvocato.
“Eh … ah si, davvero”
“Che idiota” commentò semplicemente Giulia sparendo nuovamente alla vista.
“E pensare che gliel’avevo anche avvisato.
Gliel’avevo detto di non toccare quel dannato ceppo,
perché altrimenti avrebbe mandato all’aria la
stratigrafia. Ma lui, niente!” Tina si fermò per riprende
fiato e sbuffare stizzita “Sospetto che l’abbia fatto solo
per il gusto di contraddirmi”
Intanto Giulia scendeva le scale, ormai vestita con un jeans nero ed un
maglione verde bottiglia, e si avvicinava alla poltrona sulla quale
sedeva Tina.
“Mi dispiace, tesoro” mormorò partecipe, mentre si
appollaiava sul bracciolo e si abbassava per posarle un piccolo bacio
tra i capelli “Non si può fare niente per recuperare la
situazione?”
Tina le abbracciò i fianchi e le poggiò la testa sul petto accoccolandosi tra le sue braccia.
“Si può tentare, ma l’anno prossimo. Alessandro ha
chiuso l’area e mandato Marco a casa a riflettere sul casino che
ha combinato per tutta la settimana prossima”
“Senti” proruppe Giulia con tono più allegro
“Che ne diresti se per stasera lasciassimo perdere il lavoro e ce
ne andassimo a cena fuori, io e te?”
Tina alzò il viso verso di lei regalandole un sorriso luminoso,
poi si sporse verso le sue labbra per rubarle un bacio veloce.
“Direi che è proprio quello che mi ci vuole” approvò entusiasta.
Mezz’ora più tardi erano sedute in un piccolo ristorante
del centro, dall’atmosfera abbastanza intima. Dopo che ebbero
ordinato, Giulia si concentrò sul viso di Tina con uno sguardo
incuriosito.
“Che c’è?” chiese l’archeologa.
“Uhm … no, niente c’è una cosa che mi chiedo da un po’. Ma è una domanda stupida”
“Dimmi”
“Mi chiedevo, Tina è proprio il tuo nome oppure è un diminutivo?”
“Non è una domanda stupida” Tina le sorrise bonaria
“Il mio nome intero è Martina, ma solo mio padre mi chiama
così. Tutti gli altri, parenti ed amici, mi hanno sempre
chiamata Tina. Sai, i diminutivi e i soprannomi sono quasi un must
dalle mie parti” concluse ironica.
Giulia annuì soddisfatta.
“Però ancora non so nemmeno la tua data di nascita” obiettò un attimo dopo.
“A che ti serve la mia data di nascita?” scherzò Tina.
“Se un giorno volessi denunciarti per appropriazione indebita, mi
servirebbero i tuoi dati” chiarì l’avvocato.
“Appropriazione indebita di cosa?” domandò Tina confusa.
“Del mio cuore”
A quel punto entrambe si guardarono un po’ indecise negli occhi, poi contemporaneamente scoppiarono a ridere.
“Ok, questa è stata decisamente pessima, vero?” commentò Giulia tra le risate.
“Un po’” ammise Tina, tentando di non rigirare il dito nella piaga.
“Lo so” sospirò l’altra malinconica
“Dovrò aggiornare la mia lista di frasi da rimorchio”
Tina assottigliò lo sguardo.
“Non ti servono più frasi da rimorchio, adesso” puntualizzò cupa.
“Ah no?” Giulia la trapassò con un sorrisino provocante.
“Vorrei solo ricordati che sono una napoletana doc” replicò Tina, ostentando una certa tranquillità.
“E quindi?” incalzò l’avvocato, non capendo dove l’altra volesse arrivare.
“E quindi sono di natura passionale e possessiva”
“Credevo avessimo una relazione aperta”
“Non provocarmi, avvocato”
Giulia si sporse sul tavolo, avvicinando il viso a quello di Tina con un sorriso malizioso ad incurvarle le labbra.
“Il ghigno che ti si è dipinto sul volto sembra proprio un
invito a farlo, invece” le sussurrò a pochi centimetri
dalle labbra.
Tina non poté replicare, ma forse nemmeno ci sarebbe riuscita,
anche se avesse voluto, perché arrivò il cameriere a
portar loro le ordinazioni.
Quando lasciarono il ristorante, all’esterno si era alzato un
vento forte e freddo. Furono costrette a camminare radenti ai muri, ma
non rinunciarono ad una piccola passeggiata lungo le vie del centro
popolate da giovani, che sfidavano a loro volta la temperatura rigida
solo per godersi il venerdì sera.
“Allora, alla fine ancora non mi hai detto quando sei nata” ricordò Giulia d’improvviso.
“Ah sì, giusto. Il sette maggio”
“Colore preferito?”
“Blu. Quando avevo undici anni sono caduta dalla bici e mi sono
rotta il braccio sinistro, ho portato il gesso per un mese. Amo i cani
ma odio i gatti. Sono allergica alle noci e ho avuto tutte le malattie
esantematiche tranne la parotite. Soddisfatta?!” pronunciò
Tina divertita tutto d’un fiato.
“Ehi, non prendermi in giro!” si lamentò Giulia
imbronciandosi “Stiamo insieme, non è possibile che io
sappia che preferiresti abbracciare un cactus piuttosto che sbagliare
sul lavoro, ed ignori di te le cose più banali”
Tina rise, intenerita.
“Ok, hai ragione”
“Uhm … non so se voglio credere al tuo pentimento”
“Mentre tu mi psicanalizzi, sappi che io sto congelando” si lamentò l’archeologa rabbrividendo.
Giulia si fermò e si girò per guardarla. Il vento le
scompigliava i capelli, aveva il naso e le guance leggermente arrossate
e gli occhi socchiusi.
“Vieni qui, ti scaldo io” le cinse il viso con le mani e si
stava avvicinando per baciarla, ma Tina la bloccò. Le strinse
entrambi i polsi e ritrasse il viso, vagando con lo sguardo lungo la
strada circostante, dove un ordinato via vai di persone la metteva
distintamente a disagio.
“Non qui, Giulia. Per favore”
“Dove allora?”
“Potremmo andare da te”
Giulia la guardò negli occhi, non sapeva esattamente cosa
cercare, riusciva solo a cogliere una certa inquietudine ed apprensione
per la posizione in cui ancora si trovavano, per di più in un
luogo pubblico. Sospirando, lasciò andare la presa sul suo viso,
ma subito le agguantò una mano intrecciandola alla propria.
“Ok” disse semplicemente, cominciando a camminare verso casa.
Una volta arrivate nell’appartamento, entrambe sospirarono di sollievo nel percepire il tepore dell’ambiente.
Si liberarono velocemente dei cappotti, poi Tina rimase al centro della
sala, accanto al divano, e Giulia andò in cucina a rovistare
alla ricerca di chissà cosa.
“Vuoi qualcosa da bere?” domandò a Tina.
“No, grazie”
“Ok” Giulia tornò verso di lei a mani vuote “Vuoi mettere un po’ di musica?”
“Non è indispensabile”
“Vuoi guardare un film?”
“No, in realtà non mi va”
Giulia mise le mani in tasca e la guardò con espressione scettica e dubbiosa. Poi ritentò.
“Vuoi …”
“… fare l’amore!”
“Eh?!” Giulia sgranò gli occhi e fece qualche colpo di tosse perché le era andata della saliva storta.
“Credo di voler fare l’amore con te” ripeté
Tina. Ingoiava a vuoto ripetutamente, tradendo un certo nervosismo.
“Credi?” domandò Giulia con circospezione.
Tina sciolse parte della tensione che le irrigidiva le spalle, solo per poterle abbassare sotto il peso dell’imbarazzo.
“Non so se ne sono capace” ammise con lo sguardo basso.
Giulia le si avvicinò piano, le accarezzò una guancia e
fece in modo che alzasse il viso per poterla guardare. Le sorrise
rassicurante.
“Ti sei mai data all’autoerotismo?” le chiese con tranquillità.
“Cosa?!” Tina allargò gli occhi con un certo disagio.
“Ammesso che sia solo l’aspetto tecnico a preoccuparti
… beh, il mio corpo è uguale al tuo, se sei capace di
soddisfare te, puoi soddisfare anche me” le spiegò Giulia
con molta praticità “Quindi?” la incitò poi
prendendole una mano per tranquillizzarla.
Tina arrossì e sfuggì al suo sguardo.
“Lo prendo come un sì” concluse l’avvocato “Allora ne sei capace, fidati”
A Tina scappò un piccolo sorriso.
“Ah, ti ho vista sai!” l’ammonì immediatamente
Giulia con tono scherzoso. Le fece voltare il viso in modo da poterla
guardare negli occhi.
Tina rimase ferma, ipnotizzata dal suo sguardo. Quando sentì le sue mani che la stringevano in vita, rabbrividì.
Giulia fece qualche passo all’indietro, fino a sedersi sul divano
e tirò con sé anche lei. Fece in modo che sedesse a
cavalcioni sul proprio bacino.
Tina la seguì docilmente e assecondò le sue mosse. Una
volta seduta sopra di lei, si sistemò meglio per stare
più comoda, poi si chinò avvicinandosi al suo viso e la
baciò.
Giulia infilò le mani sotto la maglia, accarezzandole la schiena
nuda, mentre Tina intrecciava le mani tra i suoi capelli e spostava la
bocca sul suo collo riempiendolo di baci. L’avvocato
ribaltò velocemente le posizioni, facendola finire con la
schiena sul divano e sovrastandola dolcemente con il proprio corpo.
Continuò a baciarla mentre cominciava a muoversi lentamente tra
le sue gambe aperte. Tina fece scivolare le proprie mani fino al sedere
di Giulia e la tirò ancora più vicina a sé.
“Andiamo di sopra?” mormorò l’avvocato, staccandosi per un attimo dalla bocca dell’altra.
Quest’ultima annuì semplicemente.
Giulia si alzò e le tese una mano. Intrecciò le loto dita e la condusse nella stanza da letto.
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Piccola nota a margine. Sebbene sia passato tantissimo
tempo da quando ho scritto questa storia, e sebbene io senta che questo
modo di scrivere non mi appartenga più, mi sono resa conto che
ci tengo molto a dare un finale alla storia tra Tina e Giulia. Per cui,
aspetto i vostri commenti sui risvolti che prenderà la vita
delle due protagoniste =)
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Capitolo 18
CAPITOLO 18
La mattina successiva Tina aprì gli occhi e si guardò un
attimo intorno con aria confusa ed intontita. Quando realizzò di
trovarsi a casa di Giulia, si tranquillizzò. Si issò
leggermente con la schiena contro il letto e si voltò alla
propria destra per osservare la sua ragazza. Dormiva ancora, a pancia
in giù e con il viso girato dal lato opposto. Si erano entrambe
rivestite, prima di crollare addormentate. Tina ricordava di aver
indossato il pigiama, che Giulia le aveva prestato, in assoluto
silenzio, poi si era infilata sotto il piumone raccogliendosi su
sé stessa e rabbrividendo appena. Giulia l’aveva raggiunta
immediatamente abbracciandola da dietro, le aveva chiesto se stesse
bene e, al suo cenno affermativo, le aveva posato un bacio sul
collo e le aveva sussurrato la buona notte.
Tina incrociò le braccia dietro la testa e fissò gli
occhi al soffitto, attenta a non fare rumore per non svegliare
l’altra. Ripensò a tutto quello che era successo la notte
precedente e le comparvero delle piccole rughe sulla fronte.
Fu così, imbronciata e persa nei propri pensieri, che la
sorprese Giulia qualche attimo dopo, quando anche lei si fu svegliata.
L’avvocato aveva allungato piano un braccio verso il lato del
letto di Tina e, quando aveva avvertito il calore del suo corpo, aveva
sorriso soddisfatta e si era decisa ad aprire gli occhi e rotolare sul
fianco sinistro per poterla vedere.
“Buongiorno” gracchiò ancora evidentemente assonnata.
Tina portò su di lei il suo sguardo ancora accigliato.
“Ciao” rispose senza eccessiva enfasi.
Giulia rimase perplessa, si strofinò gli occhi con una mano e si
alzò leggermente con il busto per poter essere alla sua altezza.
“Che succede, tesoro?” le domandò apprensiva.
“E’ stato un disastro” mugugnò Tina spostando lo sguardo su un punto imprecisato della stanza.
“Di che stai parlando?” insistette Giulia, non capendo il motivo di quel suo malumore.
“Di ieri sera” ammise l’altra contrita
“E’ stato un disastro … io, sono stata un disastro.
Mi dispiace”
Giulia allargò gli occhi, d’un tratto perfettamente
consapevole di quello che stava accadendo. Alzò una mano per
accarezzarle una guancia e farle voltare il viso verso di lei,
l’accolse con un sorriso paziente.
“Tina, non sei stata affatto un disastro”
“Si invece!”
“Fammi capire, lo dici solo perché non sei riuscita a …”
“Ah! Ti prego, fermati!” urlò Tina tappandosi
comicamente le orecchie con le mani “Non ricordarmi che non sono
nemmeno stata capace di finire quello che a stento avevo iniziato”
Giulia non riuscì a trattenere un’espressione divertita.
“Ma, amore mio, il sesso orale non è mica una cosa
semplice da fare” le spiegò pacatamente come se stesse
parlando ad una bambina.
“Per te è sembrato estremamente semplice da fare,
invece” protestò Tina “Tutte e due le volte”
aggiunse con amara ironia ed una punta d’imbarazzo.
Giulia rise e la prese tra le braccia facendole poggiare il capo sul proprio petto ed accarezzandole i capelli.
“Devi solo prendere confidenza con il mio corpo. E’ una
cosa nuova per te, è normale che ti senta un po’
disorientata”
“Più che disorientata mi sono sentita incapace”
“Tina” Giulia la chiamò con voce ferma ma
affettuosa, inducendola ad alzare gli occhi per incontrare i suoi
“Anche solo il fatto di averti abbracciata, pelle a pelle, rende
la scorsa notte tutto tranne che un disastro”
Finalmente il volto di Tina si rischiarò e le comparve un timido sorriso sulle labbra.
“La prossima volta andrà meglio” la incoraggiò ancora Giulia, dandole un simpatico bacio sul naso.
“Dici?”
“Sì, dico. Hai solo bisogno di fare pratica” le
assicurò l’avvocato, che ora aveva uno sguardo furbo
“Molta, molta pratica” con un colpo di reni la
ribaltò facendola finire con la schiena sul materasso.
“Che fai!” sbraitò Tina ridendo.
“Ti faccio fare pratica” affermò Giulia con ovvietà, prima di fermare ogni sua protesta con un bacio.
E avrebbero davvero fatto pratica, se non fosse stato per il cellulare di Tina che cominciò a squillare.
“Lascialo suonare” borbottò Giulia, continuando a baciarle la pelle fremente dello stomaco.
“Aspetta, devo rispondere” Tina le prese la testa con
entrambe le mani e la tirò su, in modo che potesse trovarsi
all’altezza del suo viso “Me ne libero in un secondo”
le posò un veloce bacio sulle labbra, abbassò la maglia,
che Giulia le aveva arrotolato fin sopra il seno, e poi si alzò
alla ricerca del suo cellulare.
Lo trovò nella tasca dei jeans, che giacevano abbandonati a terra in un angolo dalla sera precedente.
“Pronto”
“Tina!” la voce di Alessandro le perforò la testa.
“Ale, che ti urli?! Che vuoi?”
“Quando siamo tornati ieri non ti abbiamo trovato in Abbazia e
stanotte non sei tornata a dormire. Sono preoccupato, ecco che voglio,
cretina!” sbraitò la voce alterata del suo amico
“Dove diavolo ti sei cacciata?”
Tina roteò gli occhi agitata.
“Ehm … sono rimasta … ho dormito Siena, sono
rimasta a casa dopo aver bevuto una birra con degli amici”
“Non dire cazzate, Tina. Ho appena chiamato a casa tua, mi ha
risposto il tuo coinquilino e ha detto che lì non ti sei proprio
vista”
Tina spalancò la bocca in una muta imprecazione. Corse con gli
occhi agitati su Giulia, in cerca di un aiuto, ma l’avvocato
alzò le spalle con aria impotente.
“Beh … Ale, grazie per esserti preoccupato, ma non ce n’era bisogno. Sto benissimo”
“Si può sapere dove sei?”
“Hai chiamato solo per sapere come stavo o dovevi dirmi qualcosa?”
Alessandro sospirò pesantemente, infine l’assecondò.
“Avrei bisogno di te, ci sono alcune cose da fare prima di
chiudere definitivamente lo scavo e da solo non ce la faccio”
“D’accordo. Un paio d’ore e sono lì”
Tina oppose una decisa resistenza alle rimostranze insistite di Giulia,
che avrebbe voluto trascorrere la mattinata con lei, e mezz’ora
dopo era pronta a lasciare la sua casa. L’avvocato la
lasciò andare solo con la promessa che si sarebbero viste il
prima possibile.
La ragazza trascorse il resto della giornata di sabato e praticamente
tutta la domenica ad impacchettare il materiale che di lì a poco
avrebbero dovuto portare nei laboratori dell’Università
per cominciare a studiarlo.
Si accorse che Alessandro passò almeno metà del tempo a
fissarla con circospezione, ma non disse nulla per non alimentare i
suoi sospetti. Al contrario, cercò di comportarsi nella maniera
più naturale possibile, il che le riusciva sempre piuttosto
bene, tranne quando riceveva una telefonata di Giulia. Quando il
cellulare cominciava a suonare, lei lo afferrava velocemente con il
cuore in gola e, letto il nome sul display, scappava via cercando un
posto isolato e tranquillo in cui poter rispondere. Una sola volta
Alessandro le aveva chiesto chi fosse e lei aveva risposto con un
annoiato “Mia madre”, a cui l’amico aveva replicato
con un dubbioso “E da quando vai a chiuderti in bagno per parlare
con tua madre?”. Tina aveva sbuffato ed aveva ripreso a lavorare,
alzando le spalle all’indirizzo dell’amico e facendo capire
che non aveva alcuna intenzione di fornirgli un’altra spiegazione.
Lunedì mattina, l’ultimo che avrebbero trascorso a
scavare, Tina stava rivedendo alcune piante di strato con Emanuele, che
finalmente sembrava aver ritrovato la voglia di lavorare.
“ … e lo strato 23, guarda, sembra che s’infili
sotto al 18. Che ne pensi?” diceva Emanuele, ruotando in maniera
un po’ confusionaria alcuni pezzi di carta traslucida disegnati.
Aspettò qualche minuto la risposta di Tina, poi non sentendola
arrivare, si voltò verso di lei. La vide con il gomito poggiato
sul tavolaccio di legno ed il mento poggiato sul pugno chiuso, lo
sguardo sottile e apparentemente vacuo, perso chissà dove.
“Oh, ma ci sei?” la spintonò poco delicatamente, richiamando la sua attenzione.
“Ma che spingi!” si lamentò quella sobbalzando.
“Sembravi in trance” si difese Emanuele tornando a prestare
attenzione ai disegni “Se non ci stai con la testa, te li faccio
vedere dopo”
“No, no. Scusa, ero solo sovrappensiero. Fammi vedere” Tina
si sporse sulla sua spalla e cominciò a studiare i disegni
assieme a lui, stavolta partecipando attivamente alla formulazione
delle ipotesi.
Più tardi, stavano preparando per il pranzo. I ragazzi erano
già tutti seduti e Stefano arrivò portando con sé
il pentolone della pasta. Tina lo affiancò e cominciò a
tenergli i piatti per farglieli riempire, e poi ridistribuirli alla
tavolata. Dopo il decimo piatto, Tina andava quasi in automatico,
posava un piatto pieno e ne prendeva uno vuoto, tuttavia aveva lo
sguardo fisso in un punto indistinto e contava praticamente solo sul
tatto e sull’istinto per non fare un macello. Un mestolo
più pieno degli altri, che Stefano riversò con
particolare forza nel piatto, la colse alla sprovvista facendole
scivolare di mano sia il piatto che il contenuto.
“Oh cacchio!” imprecò a mezza voce, ridestandosi finalmente da quel torpore che l’aveva avvolta.
Tutti gli altri ridacchiarono, mente lei si passava una mano sulla fronte e si massaggiava gli occhi.
“Ma dove ce l’hai la testa oggi?” commentò ironico Emanuele.
“Dove ce l’ha, ultimamente” lo corresse Alessandro sfoggiando un ghigno insinuatore.
Tina freddò l’amico con un’occhiataccia.
“Pulisco io, voi cominciate a mangiare” affermò sicura, abbassandosi per rimediare al danno.
A metà pomeriggio, quando si accorse di essere rimasta
nuovamente a fissare il vuoto per diversi minuti, conficcò
nervosamente la trowel nel terreno e si alzò con movimenti
frenetici.
Prese il cellulare, si allontanò dal gruppo e compose il numero di Giulia.
“Pronto”
“Giulia”
“Amore, che bello che hai chiamato!” l’accolse entusiasta l’avvocato.
“Dove sei?” domandò Tina con tono sbrigativo.
“Sono in ufficio. Perché?” rispose Giulia dubbiosa.
“Uhm … no, niente”
“Tina, che succede?”
La ragazza si grattò la nuca con fare nervoso, rigirava su
stessa scalciando sassolini e rami secchi, mentre teneva sempre
d’occhio i dintorni per assicurarsi che nessuno si avvicinasse
troppo.
“Io … volevo … volevo solo dirti. Lascia
stare” tagliò corto, rinunciando a trovare le parole
giuste per dar forma coerente ai propri pensieri “Possiamo
vederci?”
“Certo. Quando vuoi, lo sai” concesse Giulia, che ci capiva sempre di meno in quella telefonata.
“No, io intendevo ora. Puoi venire in Abbazia, adesso?” puntualizzò l’altra freneticamente.
“Tina, è successo qualcosa?” indagò a quel punto l’avvocato con tono apprensivo.
La ragazza prese un profondo respiro, fermò il suo moto perpetuo e si poggiò con la schiena ad un tronco.
“No, non è successo niente. Non volevo farti preoccupare,
scusa. E’ solo che ho voglia di vederti, tutto qui”
articolò stavolta con più calma.
“Tutto qui?” ripeté Giulia non del tutto convinta.
“Sì. Ma se non puoi venire …”
“No, non ho detto questo. Posso uscire un po’ prima, potrei essere in Abbazia al massimo tra un’ora”
“Va bene. Ci vediamo nella sala in fondo al chiostro”
“Tina …”
“Sì?”
“Niente. A dopo”
Tina impiegò decisamente più del dovuto per mettere in
piedi una scusa convincente con Alessandro, che le permettesse di
tornare prima in Abbazia, senza dovergli svelare che aveva un
appuntamento con Giulia.
Giulia, dal canto suo, aveva fatto prima che aveva potuto e alle
quattro era già arrivata. Aveva raggiunto la solita sala
isolata, dove sapevano che non sarebbero state disturbate da nessuno,
ma non aveva trovato Tina. Un po’ nervosa ed insospettita dal suo
comportamento, rimase comunque pazientemente ad aspettarla.
Erano passati al massimo dieci minuti, quando si vide comparire davanti
agli occhi un bocciolo di rosa rossa. Si voltò sorpresa e
trovò alle sue spalle Tina, che con un timido sorriso le porgeva
il fiore. Lo accettò con mano un po’ incerta e lo
portò alle narici per sentirne il profumo.
“E questa?” domandò poi confusa.
“E questa …” Tina tentennò un momento, poi
fissò Giulia negli occhi con un sorriso sicuro “Questa
è per dirti che ti amo. L’ho capito oggi, quando cercavo
disperatamente di concentrarmi sul lavoro, e tutto quello che riuscivo
a fare era pensare a te”
Giulia rimase a guardarla, sinceramente colpita da quella candida confessione.
“Vieni qui” mormorò un attimo dopo, afferrandola per
un lembo del giubbino e tirandola verso di sé con la mano libera.
“No, sono ancora tutta sporca. Sono venuta direttamente dal
cantiere” Tina tentò di mantenerla distante poggiandole
entrambe le mani sulle spalle con le braccia tese.
“Non me ne frega niente” Giulia ignorò le sue
proteste e le passò entrambe le mani dietro la schiena
spingendola contro il proprio corpo. La guardò ancora un attimo
negli occhi con lo sguardo scintillante di felicità, poi la
baciò.
Tina la ricambiò immediatamente con partecipazione. Intanto le
sbottonava la giacca in modo da poter insinuare le mani al di sotto
della maglia per stringerle i fianchi. Giulia si scostò per
spostare la propria bocca sul collo della compagna, mentre con una mano
scendeva ad accarezzarle il sedere. Tina fece scorrere le mani verso
l’alto, sulla pelle nuda, finché sentì la stoffa
del reggiseno, quindi con delicatezza le racchiuse entrambi i seni.
“Aspetta” ansimò a quel punto Giulia, riemergendo
dal suo collo per guardarla in viso “Perché non ce ne
andiamo in camera tua?”
“Mi piacerebbe, ma tra un po’ tornano i ragazzi … e
Alessandro … e Manu” elencò Tina con una piccola
smorfia di disappunto “In più la porta della mia camera
non ha la chiave” chiosò sconfitta.
Giulia sbuffò frustrata alzando gli occhi al cielo. Tina
estrasse le mani dalla sua maglia e le portò a circondarle il
volto. Cercò di consolarla riempiendola di tanti piccoli baci su
tutto il viso. Giulia cominciò a ridere divertita.
“E’ bellissima, comunque” disse dopo un po’, portando la rosa tra i loro visi “Grazie”
“Figurati” Tina alzò le spalle con aria tranquilla
“Ho rischiato d’impazzire per trovare un fioraio in paese,
anche per questo ho fatto tardi, ma avevo bisogno di un aiuto per dirti
quello che dovevo dirti”
“Era questo che cercavi di dirmi prima al telefono?” indagò Giulia, improvvisamente curiosa.
“Ehm …” Tina roteò gli occhi, concedendo all’altra una muta ed imbarazzata ammissione.
“Tu, piuttosto” riprese proprio lei un attimo dopo
“Che volevi dirmi prima di chiudere la telefonata?”
domandò assottigliando lo sguardo.
“Ehm …” stavolta fu il turno di Giulia di sorridere
a disagio “Più o meno la stessa cosa. Solo che mi sembravi
agitata e quindi ci ho ripensato, non volevo che ti agitassi di
più”
Tina si avvicinò per darle un lento e dolce bacio. Quando si
divisero, rimasero con le fronti poggiate l’una all’altra.
“Siamo state due sceme” ammise Tina ridacchiando.
“Due adolescenti in piena crisi ormonale” rincarò
Giulia, alzando gli occhi al cielo con aria comicamente disgustata.
Tina sciolse delicatamente l’abbraccio e prese la mano libera di
Giulia intrecciandola alla propria, poi la condusse all’esterno,
nella parte più isolata del giardino. Passeggiarono in silenzio
per un po’, guardandosi di tanto in tanto con occhi luminosi e
felici.
“Resti a cena qui?” domandò l’archeologa.
“Non posso, domani ho degli appuntamenti in tribunale e devo alzarmi presto”
“Ah. Ok”
Tina non riuscì a nascondere una certa delusione, tuttavia non
ebbe il coraggio di obiettare nulla. Si trattava di lavoro, quindi non
poteva farci proprio niente.
“Forse sarà meglio che vada. I tuoi colleghi staranno per arrivare” rifletté Giulia.
Tina non disse nulla, annuì semplicemente. Arrivarono insieme
nel giardino sul retro, dove era posteggiata l’auto di Giulia.
“Ti chiamo stasera” le disse quest’ultima, avvicinandosi per salutarla con un veloce bacio sulle labbra.
“Guida piano” si raccomandò Tina, osservandola salire a bordo.
L’avvocato chiuse la portiera, ma abbassò il finestrino.
“Ti sei già calata nei panni della mogliettina apprensiva?” la prese in giro, ghignando maliziosamente.
“Stronza!” reagì Tina, cercando di nascondere l’imbarazzo con la veemenza.
La risatina di Giulia divenne ancora più acuta, poi mosse
l’indice della mano sinistra facendole segno di avvicinarsi.
Tina si abbassò con il viso accanto al finestrino aperto ed attese.
“Ti amo” soffiò Giulia addolcendo l’espressione.
Stavolta fu il turno di Tina di sorridere divertita.
“Adesso non crederai di cavartela così ogni volta!”
l’ammonì, scuotendo la testa con aria superba.
“Ah no?! E io che ci contavo!”
“Vattene va’ … prima che cambi idea e mi rimangi tutto quello che ti ho detto”
Ancora divertite entrambe da quello scambio di battute, si salutarono.
Giulia mise finalmente in moto e fece manovra, Tina la guardò
allontanarsi seguendola con lo sguardo finché poté.
Stava giusto per rientrare, quando vide spuntare, oltre l’angolo
dell’Abbazia, la macchina di Emanuele, con lui ed Alessandro a
bordo. Decise quindi di aspettarli e andò ad accoglierli.
“Ehi Tina, era la macchina di Giulia quella che abbiamo visto uscire?” domandò subito Alessandro.
“Eh, quale macchina?” temporeggiò lei, fingendo di non capire.
“Abbiamo incrociato una macchina blu, ma non siamo riusciti a
vedere chi la guidava. Però sembrava Giulia” spiegò
Emanuele.
“Ma no. No, vi sarete sbagliati. Perché mai Giulia sarebbe
dovuta venire qui, di lunedì poi, quando lavora”
pronunciò con tutta la disinvoltura di cui fu capace, infilando
poi le mani in tasca e cominciando a camminare verso l’ingresso
dell’Abbazia. I due ragazzi la seguirono, affiancandola uno a
destra e l’altro a sinistra.
“Sarà … ma a me sembrava proprio lei”
incalzò Alessandro pensieroso “Ad ogni modo, come va la
tua colica?”
“Quale colica?” rispose lei immediatamente “Ah si, la
colica!” aggiunse subito dopo annuendo nervosamente “Va
bene, ero giusto uscita a prendere un po’ d’aria sperando
di sentirmi meglio”
“Scusa eh, ma quando uno ha una colica va in bagno, non a
passeggiare in giardino” intervenne Emanuele con tono molto
pratico.
“Ma di che t’impicci tu! Ci sono andata in bagno e non mi
è passata. E siccome passeggiare in giardino mi rilassa, sono
uscita. Vabbuò?!”
lo riprese lei acidamente, per poi allungare il passo e rientrare
velocemente nel caseggiato, lasciando i due amici lì impalati a
guardarsi come due stoccafissi.
Il resto della settimana trascorse relativamente veloce e senza eventi
degni di nota. Sul lavoro Tina fu impegnata a portare ad un punto
quantomeno intermedio tutte le evidenze che aveva messo in luce durante
quei tre mesi di scavo, per avere un quadro quanto più preciso
possibile dell’area. Lo stesso fecero anche Alessandro ed
Emanuele. Si diedero da fare per completare la documentazione
fotografica e i rilievi. Il venerdì fu dedicato alla messa in
sicurezza del cantiere, i responsabili racchiusero tutte le aree con il
nastro bianco e rosso, mentre i ragazzi si assicurarono che tutti gli
attrezzi da lavoro fossero disposti ordinatamente all’interno
della baracca, che alla fine venne prontamente chiusa con un
catenaccio. Il sabato, sia i responsabili che i ragazzi, si dedicarono
alla pulizia del caseggiato. Fu un lavoraccio, e alla sera erano
stremati, ma fecero un buon lavoro. La domenica mattina lasciarono
l’Abbazia per ritornare, chi dalla città da cui era
venuto, chi a Siena.
Durante quella intensa settimana, Tina non ebbe modo di vedere Giulia,
dovette accontentarsi di lunghe telefonate serali. Quando la domenica
pomeriggio, rimise finalmente piede a casa sua in maniera definitiva
tirò un sospiro di sollievo. Stare in Abbazia e lavorare le
piaceva, ma quello che aveva cominciato a pesarle dopo un po’ era
stata la convivenza con gli altri, quindi era felice di essere tornata.
Dopo aver disfatto i bagagli, la prima cosa che fece fu chiamare Giulia
per avvertirla che era arrivata.
“Finalmente!” esultò la compagna “Quindi stasera ci vediamo. Vieni da me o preferisci uscire?”
“Ehi, ehi vacci piano. Sono distrutta” si lamentò Tina lasciandosi cadere pesantemente sul letto.
“Mi stai dicendo che non ci vediamo nemmeno stasera?”
“Ho energia giusto per farmi una doccia e poi infilarmi a letto, addormentarmi e svegliarmi dopo domani mattina”
“Vieni da me, ti preparo un bagno caldo e poi dormi qui” propose Giulia.
“La proposta è allettante, sul serio, ma preferisco
restare qui. Sono davvero sfinita, non sarei nemmeno di
compagnia” si giustificò l’altra con la voce
leggermente strascicata.
“Ma chi se ne frega della compagnia! Non voglio mica un giullare.
Voglio la mia ragazza e mi accontento anche solo di accarezzarla mentre
si addormenta nel mio letto” protestò Giulia con decisa
veemenza “Passo a prenderti io, tra mezz’ora”
“Sei cocciuta” replicò Tina positivamente colpita dalla sua testardaggine.
“E’ una delle mie migliori qualità”
ironizzò Giulia gongolante per aver ottenuto ciò che
voleva.
“Non immagino i difetti, allora” la sfotté Tina.
“Preparati. Sto uscendo” fu la secca risposta dell’altra.
Più tardi, Tina era nel bagno di Giulia e la osservava prepararle un bagno caldo.
“Ti ci metto questo bagnoschiuma all’iris, è
rilassante” le spiegava Giulia mentre faceva scendere un denso
liquido viola da un flacone.
“Guarda che potevo fare anche da sola”
“Che c’entra. Ti ho trascinata qui con la promessa che ci
avrei pensato io a te, il minimo che posso fare è tenerle
fede”
“Grazie”
Giulia si rimise dritta e le sorrise.
“Non c’è di che. Attenta quando entri, l’acqua
è bollente. Gli asciugamani li ho poggiati lì” si
fermò per guardarsi un attimo attorno “Dove hai messo la
tua borsa con i ricambi?”
“Cavolo!” Tina si batté una mano sulla fronte
“L’ho lasciata giù accanto alla giacca”
“Va bene, non fa niente. Te la porto io dopo, tu entra intanto,
prima che si raffreddi” Giulia si voltò per uscire e
chiudersi la porta alle spalle.
Rimasta sola, Tina si spogliò e si immerse nella vasca fino al
collo. La schiuma l’avvolse accarezzandola e lei poggiò la
testa all’indietro sul bordo freddo della vasca. Chiuse gli occhi
e sentì subentrare quasi subito un lieve torpore.
Dopo un po’ sentì distrattamente alcuni rumori, poi
percepì uno spostamento della sua testa. Il movimento la
infastidì, così aprì gli occhi appannati da un
leggero velo di sonno.
“Ti ho messo un asciugamani sotto il collo, così dopo non
ti fa male” Giulia, inginocchiata accanto alla vasca,
all’altezza della sua testa, le sorrideva tranquilla parlandole
con tono basso per non disturbarla.
“Gr …” Tina si schiarì la voce e riprovò “Grazie”
Giulia allungò una mano per accarezzarle gentilmente i capelli e
rimase lì a guardarla per un po’, poi sfiorò
l’acqua con due dita.
“Comincia a farsi fredda, dovresti uscire” le disse, rimettendosi in piedi e facendo per voltarsi ed uscire.
“Resta. Mi aiuti?” la richiamò Tina, alzandosi ed aprendo la doccia per potersi liberare della schiuma.
“Certo” Giulia prese la doccia dalle sue mani e indirizzò il getto sul suo corpo risciacquandolo.
Quando ebbe finito, ripose la doccia ed afferrò un ampio e
morbido asciugamani di spugna blu. Si avvicinò a Tina e glielo
avvolse attorno al corpo, poi l’aiutò ad uscire. Si mise
dritta dietro di lei e cominciò ad asciugarle le spalle e le
braccia, poi si abbassò in ginocchio per massaggiare la schiena,
passò sulle natiche per arrivare alle gambe, infine si
rialzò incontrando il suo sguardo nello specchio, che cominciava
a disappannarsi. Le sorrise e le posò un bacio su una spalla
nuda.
“Ti senti meglio?” le mormorò all’orecchio.
Tina ricambiò il suo sorriso ed annuì, piegando poi il
capo all’indietro e strofinando una guancia contro la sua. Giulia
si piegò sul suo collo per baciarlo, mentre faceva scivolare le
mani sul suo ventre e le muoveva gentilmente per asciugarla,
salì dopo poco anche sul petto, infine, terminata
l’operazione, rimase semplicemente ad abbracciarla teneramente,
strofinando il naso dietro il suo orecchio.
“Hai sonno?” le chiese dopo qualche minuto.
“Un po’”
“Vestiti allora, prima di prendere freddo, e andiamo a letto”
Giulia le diede un ultimo bacio sulla guancia prima di uscire dal bagno per andare a prepararsi a sua volta per la notte.
Quando Tina poco dopo uscì dal bagno, con indosso il pigiama,
Giulia era già a letto. L’aspettava seduta con la schiena
poggiata alla spalliera e le ginocchia piegate al petto e circondate
dalle braccia. Batté con una mano sul posto vuoto accanto al suo
e Tina ci saltò sopra dopo una piccola rincorsa.
“Hai ritrovato le forze?” la prese in giro Giulia.
“Al contrario, ho speso così l’ultimo grammo che mi restava” ribatté Tina ironica.
L’avvocato tirò via le coperte in modo che potessero
scivolarvi sotto e, una volta al caldo, sentì che Tina le si
avvicinava posandole il capo su una spalla e circondandole la vita con
un braccio.
“Ti do fastidio?” s’informò quest’ultima con la voce soffocata dalle coperte.
“No, per niente. Tu stai bene così?” replicò
Giulia passandole un braccio dietro le spalle per stare più
comoda.
“Sei morbida” ridacchiò Tina in risposta.
“Ah, buono a sapersi” sbuffò l’altra ironica
“Buonanotte, amore” aggiunse dopo dandole un leggero bacio
sulla fronte.
“Notte” biascicò Tina, probabilmente già con un piede nel mondo dei sogni.
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
Capitolo 19
CAPITOLO 19
Il mattino seguente, Tina si svegliò in un letto che riconobbe
subito come non suo. Allungò alla cieca un braccio alla propria
destra e sentì solo il freddo del lenzuolo. Riportò il
braccio accanto al viso e si strofinò gli occhi con il polso.
Quando finalmente si voltò, ebbe la conferma di ciò che
aveva già supposto: Giulia non c’era. Al suo posto, sul
cuscino, un piccolo biglietto, che recitava:
“Sono dovuta scappare a lavoro, tu dormivi beata e non ho avuto
il cuore di svegliarti. Quando ti alzi, chiamami. Fai come se fossi a
casa tua. Ti amo, G”
Tina sorrise ributtandosi all’indietro con la testa sul cuscino,
incrociò le braccia dietro la nuca e stette per un po’
semplicemente a fissare il soffitto.
Quando poi decise di abbandonare il letto, erano quasi le dieci.
Caracollò fino al bagno e ne uscì poco dopo, lavata e
vestita. Andò giù in cucina per fare colazione e, quando
si avvicinò al tavolo, notò un bicchiere di vetro, la
moka poggiata su un sottopentola di ceramica ed un pacco di fette
biscottate al centro della penisola. Accanto ad essi un altro
bigliettino, che diceva: “Il
caffè è già pronto, devi solo riscaldarlo. Il
latte è in frigo. Se sei arrivata fin qui prima di chiamarmi,
sappi che l’avevo previsto. Ora dovrai farlo per forza per sapere
dov’è la nutella … ho nascosto il barattolo!”
Tina rimase con il bigliettino tra le dita ed uno sguardo incredulo sul
viso, finché non riuscì più a trattenersi e
scoppiò a ridere. Recuperò velocemente il cellulare e
compose il numero di Giulia. Quest’ultima rispose al quinto
squillo.
“Pronto”
“E’ stato un colpo basso. Privarmi della nutella … tsé!”
Giulia ridacchiò all’altro capo del telefono. Tina la
sentì trattenersi per qualche istante, poi il rumore di una
porta che si apriva e si richiudeva, infine le sue risate piene e non
più sommesse.
“Buongiorno anche a te” rispose ironica l’avvocato.
“Ma ti ho disturbata? Eri in riunione?E’ stata colpa tua,
mi hai costretta a chiamare … io non l’avevo fatto
perché temevo di disturbarti”
“Amore, amore prendi fiato” la bloccò Giulia con un
accento giocoso nella voce “Non è niente di importante,
posso assentarmi due minuti. Allora, comincio a conoscerti un po’
eh!”
“Dove hai messo la nutella?” piagnucolò Tina.
“Giochiamo a fuoco e acqua?” propose Giulia divertita.
“Non puoi essere seria”
“Se sei in cucina, stai praticamente affogando in un oceano senza salvagente”
“Ok. Sei seria”
Tina sospirò e cominciò a girovagare per il salone.
“Sono accanto alla tua scrivania”
“Attenta ai pescecani”
“La parete attrezzata”
“Vai a fondo”
Tina si fermò al centro della stanza con una mano puntata in
vita e la fronte corrugata, mentre scannerizzava l’area con
sguardo truce.
“Ma la casa è finita!” si lamentò capricciosa.
“Non è vero”
“Devo andare di sopra?!”
“Ecco, ora cominci a vedere una piccola isola deserta in quel mare d’acqua”
“Sei insopportabile!”
Giulia sghignazzò furbamente.
“Ok, sono vicino al letto” riprese Tina dopo poco.
“Bene, l’acqua comincia ad evaporare”
“L’armadio”
“Acqua”
“Il comò”
“Comincia a fare caldo non credi?!”
Tina alzò gli occhi al cielo, poggiò il cellulare sul piano del comò, dopo aver messo in vivavoce.
“Sono cavoli tuoi adesso, di quello che ci tieni qui dentro. Sto
aprendo i cassetti” avvertì con un velo di minaccia nel
tono.
“Tranquilla, tesoro … i giochini li tengo nel cassetto del
comodino affianco al letto … sono più a portata di
mano” svelò Giulia con tranquillità, sorridendo
sotto i baffi.
“Giulia!” la richiamò Tina imbarazzata.
L’altra trattenne uno sbuffo di risate.
“Dai, apri il terzo cassetto” la invitò conciliante.
“Non è quello dell’intimo, vero?” s’informò Tina cautamente.
“Ma no, scema! Quello è il primo, dai pure un’occhiata se vuoi”
Tina scosse la testa con aria sconfitta, mentre sulle sue labbra nasceva spontaneo un sorrisino divertito.
“Apro il terzo cassetto” disse, proprio mentre compiva
l’azione. Spostò qualche maglia e, finalmente, sul fondo
scorse l’agognato barattolo di nutella.
“E’ qui!” esultò afferrandolo e richiudendo il
cassetto con l’anca facendogli fare un tonfo sordo.
“Potresti evitare di sfasciarmi casa?” la riprese Giulia ironica.
“Vado a fare colazione” trillò la ragazza,
riprendendo il cellulare e portandoselo all’orecchio mentre
scendeva in cucina.
“Uhm … ok. Anche se è quasi ora di pranzo” ridacchiò l’avvocato, prendendola in giro.
“Di chi è stata la brillante idea di organizzare una caccia al tesoro?!” ribatté Tina scimmiottandola.
“La prossima volta ti nascondo le mutande … altro che nutella!” minacciò Giulia per tutta risposta.
“Non oseresti” mormorò un po’ incerta Tina,
ferma immobile accanto al frigo con una mano sospesa a mezz’aria
vicino alla maniglia dello sportello.
“Chi può dirlo” vagheggiò Giulia con tono indifferente.
“Sei una strega” soffiò Tina “E adesso lasciami andare a fare colazione, che sto morendo di fame”
“Risparmia almeno i piedi del tavolo”
“Ma la smetti di prendermi in giro!! Ma che hai stamattina?”
“D’accordo, d’accordo non ti arrabbiare. Ci sentiamo più tardi?”
“Ok”
Tina lasciò passare qualche secondo e poi, prima che la sua
ragazza mettesse giù, prese un profondo respiro e la
chiamò ancora.
“Dimmi” rispose Giulia con calma.
“Ti amo” sussurrò l’altra a mezza voce.
“Non ho capito, scusa” ridacchiò sadicamente l’avvocato.
“Stronza!”
“Ah ecco! Mi pareva strano di aver sentito bene”
Tina sbuffò trattenendo a stento una risatina sconfitta.
“Ciao”
“Ciao, amore”
Tina lasciò casa di Giulia dopo aver finalmente fatto colazione
e aver rimesso in ordine quello che aveva usato. Tornando di sopra a
recuperare la propria borsa, decise di dare una sistemata anche al
letto e al bagno, che la sera precedente aveva lasciato in uno stato
abbastanza indecoroso.
Il resto della giornata lo trascorse tra gli scatoloni del suo armadio,
facendo il cambio di stagione e dividendo tutto ciò che aveva
portato dall’Abbazia, e che necessitava di un lavaggio, da
ciò che invece era pulito e poteva essere riposto.
Il lunedì fu il solo giorno libero che poté permettersi
per riprendersi dalle fatiche dello scavo, martedì, 1 Dicembre,
gironzolava già per i corridoi dell’Università
pronta a rimettersi a lavoro.
Per sua fortuna, il dipartimento di Storia, cui facevano capo gli
studenti e i professori di Archeologia, era proprio a due passi da
Piazza del Campo, quindi abbastanza vicino a casa sua.
Quando entrò in laboratorio, trovò Alessandro già
intento a sistemare alcuni scatoli e cassette di legno colmi di
reperti. Il lavoro d’ufficio l’avrebbero svolto in pochi,
gli altri ragazzi provenivano da altre città e, alla fine dello
scavo, vi avevano fatto ritorno. La stessa Federica era ritornata a
Bari ed Emanuele non sembrava averne sofferto più di tanto.
Né Alessandro né Tina ne furono sorpresi, sapevano tutti
che la ragazza era stato solo un piacevole passatempo per
l’amico. Assieme al loro terzetto ormai collaudato, sebbene
provato dagli ultimi accadimenti che avevano inaridito i rapporti tra
Emanuele e Tina, avrebbero lavorato anche Marco, Stefano, Anna ed
alcuni ragazzi del terzo anno della triennale ai quali era stata data
l’opportunità di fare un laboratorio per aumentare i
propri crediti.
Tina si avvicinò sbadigliando ad Alessandro e si lasciò cadere stancamente su una sedia.
“Ore piccole?” insinuò l’amico, al suo contrario, sorridente e perfettamente lucido.
“Nottataccia” grugnì Tina strofinando gli occhi con
l’indice ed il pollice “Il mio coinquilino ha organizzato
un altro dei suoi party alcolici … hanno smesso alle tre passate
di belare come agnelli al macello”
Alessandro continuò a spostare scatoli da un lato
all’altro dello stanzone. Il laboratorio aveva diverse postazioni
multimediali, dotate di computer stampanti e scanner. Qualche parete
era completamente occupata da armadietti metallici con tanto di
catenaccio, mentre al centro c’erano alcuni tavoli rettangolari
completamente sgombri di qualsiasi attrezzo.
Terminata l’operazione, il ragazzo si fermò davanti a Tina
e si inginocchiò tra le sue gambe per essere alla sua altezza.
“Te l’ho detto mille volte che, quando succede così,
puoi venire a stare da me, non c’è alcun problema”
le scompigliò affettuosamente i capelli “A meno che tu
ormai non abbia un posto migliore dove passare le notti” aggiunse
subito dopo, alzandosi ed allontanandosi con uno scatto
all’indietro per evitare il calcio, che era scattato automatico
dal ginocchio di Tina.
“Idiota!” sbuffò la ragazza.
Alessandro ridacchiò e riprese tranquillamente a svolgere le sue mansioni.
Passarono una decina di minuti e il laboratorio si popolò
lentamente. Quando furono tutti presenti, organizzarono il lavoro
dividendo i compiti equamente e si diedero da fare.
Durante la pausa pranzo, rimasero solo Tina ed Alessandro in
laboratorio approfittandone per discutere di alcune faccende di lavoro.
Tutti gli altri, compreso Emanuele, erano usciti per liberare la mente
almeno un’ora e riabituarsi ai ritmi di lavoro in ufficio.
“Allora” proruppe Alessandro, dopo qualche minuto di
silenzio in cui avevano semplicemente mangiato “Stasera ci
andiamo a fare una birretta tutti insieme?” posò il
tramezzino su un tovagliolo e bevve un sorso d’acqua.
“Uhm … stasera …. non posso” balbettò Tina con la bocca piena.
Alessandro alzò un sopracciglio, non disse nulla e riprese il suo pranzo dandogli un grosso morso.
“Come preferisci” disse dopo aver ingoiato “Pensavo di chiamare anche Giulia”
Tina combatté con un improvviso colpo di tosse che rischiò di farla strozzare.
“Oh, attenta! Tieni, bevi” Alessandro le passò la
bottiglia d’acqua, battendole poi con una mano dietro la schiena.
“Grazie” gracchiò la ragazza bevendo e cercando di riprendersi.
“Tutto ok?” s’informò l’amico tornando a mangiare con tranquillità.
“Sì. Come mai vuoi chiamare anche Giulia?”
“Mah, è da quando venne in Abbazia per festeggiare che non
la vediamo. Visto che ormai siamo diventati amici, mi faceva piacere
vederla … a te no?”
“Uhm … sì, certo. Perché no. Quindi, dove avevi pensato di andare?”
Alessandro la fissò qualche istante in silenzio, con un’espressione scettica in viso.
“Non avevi detto che non potevi stasera?”
“Eh?! Ah già, e vorrà dire che mi libero”
improvvisò Tina, sfuggendo al suo sguardo e concentrandosi sul
suo panino.
“Ok” Alessandro fece spallucce, estrasse il cellulare dalla
tasca dei jeans e compose un numero “Allora la chiamo e glielo
chiedo ora”
Tina si sforzò di non scomporsi ed annuì semplicemente.
Poi ci ripensò e si alzò di scatto dalla sedia.
“Vado un attimo in bagno” affermò lasciando il laboratorio di gran carriera.
Alessandro la guardò uscire, scuotendo la testa divertito, con il telefono poggiato all’orecchio.
“Pronto”
“Ciao Giulia, sono Alessandro”
“Ale, che sorpresa. Come stai?”
“Bene, grazie. Tu? E’ parecchio che non ti si vede in giro”
“Ehm … sì, è vero. Sono stata molto occupata”
“Capisco. Senti, noi avremmo pensato di andare a bere qualcosa
stasera, una cosa tranquilla senza fare tardi. Ti unisci a noi?”
Giulia tossicchiò, prendendo tempo.
“Scusa, ma noi chi?” chiese con circospezione.
“I soliti” rispose lui ridendo “E quando ci separi noi archeologi disperati!”
“Ehm …”
“Puoi portare chi vuoi, eh … magari un’amica per sentirti più a tuo agio”
“Non so, è che stasera avevo già un appuntamento” tentennò l’avvocato.
“Porta anche lei … o lui, ma ne dubito” Alessandro ridacchiò ironico.
Giulia sorrise, ma nervosamente, si sentiva messa all’angolo.
“Avanti, non farti pregare. Anche Tina ci teneva che tu venissi,
non ci vediamo da un sacco di tempo” incalzò Alessandro.
“Sul serio Tina ha insisto perché venissi?” domandò Giulia, non riuscendo a celare un certo stupore.
“Ma sì certo, siete diventate buone amiche ormai” spiegò lui disinvolto.
“Ok, d’accordo, rimanderò
l’appuntamento” l’avvocato sospirò liberandosi
così di un po’ di tensione “Ci vediamo stasera,
chiederò ad una mia amica di accompagnarmi”
“Perfetto!” approvò Alessandro allegro “Alle nove in punto al Red Dragon”
“Bene. A dopo”
“Ciao”
Erano le cinque in punto, quando Tina lasciò
l’Università. Lungo la strada di casa provò a
chiamare Giulia, ma le rispose la segreteria telefonica.
L’avvocato non la richiamò, con suo grande stupore, fino
alla sera. Per questo motivo, Tina camminava piuttosto rigida tra
Alessandro ed Emanuele, non sapendo come doversi comportare quando
avrebbe visto la sua ragazza. Dietro di loro Stefano ed Anna li
seguivano a qualche passo di distanza, chiacchierando fitto. Tina aveva
l’impressione che fosse nato qualcosa tra quei due.
Quando svoltarono l’angolo che portava al Red Dragon, notarono un
piccolo gruppetto di persone all’esterno, alcuni chiacchieravano,
altri fumavano.
“E quella biondina tutta curve, che ci fa lì da
sola?!” vagheggiò malizioso Emanuele, puntando il proprio
sguardo proprio su una ragazza apparentemente sola che dava loro le
spalle.
“Buttati” Alessandro batté una mano sulla spalla dell’amico, incoraggiandolo con un sorriso complice.
Tina si limitò a fissare il profilo della ragazza e, quando
questa si voltò un poco, la riconobbe immediatamente, era
Alessia.
“Manu, aspetta” lo afferrò per un braccio “Non credo che dovresti …”
Ma il ragazzo si liberò gentilmente ma con decisione dalla sua presa.
“Lasciami divertire un po’” le strizzò l’occhio e si voltò per avvicinarsi alla bionda.
“Ciao bellezza, posso farti compagnia?” disse all’orecchio della sconosciuta.
Quella si girò con uno sguardo decisamente scettico ed
osservò Emanuele dalla testa ai piedi. Poi notò alle sue
spalle le figure degli altri che si erano fermati a qualche passo ad
osservare la scena e, tra quei volti divertiti, riconobbe Tina.
“Tina! Che piacere rivederti” trillò sinceramente
contenta scansando Emanuele e sporgendosi verso la ragazza per
abbracciarla “Il troglodita è amico tuo?” le chiese
un attimo dopo indicando alle proprie spalle, senza curarsi che il
soggetto in questione potesse sentirla.
Tina ricambiò un po’ intimidita l’entusiasmo di Alessia.
“Fa piacere anche a me rivederti” si fece un po’ di
lato per permettere anche agli altri di partecipare alla conversazione
“Loro sono Alessandro, Stefano ed Anna. Lei è Alessia,
un’amica di Giulia” poi volse lo sguardo sull’altro
ragazzo, rimasto in disparte “E il troglodita è
Emanuele” chiosò non riuscendo a trattenere una risatina.
“Ma sì, parlate pure di me come se non fossi qui” si
lamentò il diretto interessato con una piccola smorfia.
“Sinceramente Manu, quella frase non ha mai funzionato …
mi domando perché ti ostini ad usarla” intervenne
Alessandro divertito “Ad ogni modo, è un piacere
conoscerti Alessia” terminò riportando lo sguardo sulla
ragazza appena conosciuta.
“Piacere mio, ragazzi” replicò quest’ultima spostando lo sguardo cordiale su tutti gli archeologi.
“E Giulia?” domandò un po’ incerta Tina.
“Cercava un posto per l’auto, dovrebbe essere qui a momenti”
“Ah eccola” Alessandro allungò il collo dietro le
spalle di Emanuele, indicando proprio l’avvocato che avanzava
verso di loro.
Giulia arrivò con passo spedito accanto al gruppetto e si affiancò ad Alessia.
“Scusa se ti ho mollata qui tutto questo tempo, trovare un posto
è stata un’impresa” le mise una mano sulla spalla
mo’ di scusa, poi spostò lo sguardo sugli altri
“Ciao ragazzi, è bello rivedervi”
“Ti trovo in splendida forma” commentò Alessandro osservandola da capo a piedi.
“Grazie. Avete già fatto le presentazioni?” domandò lei rivolta ancora una volta ad Alessia.
“Sì, tranquilla. Ci ha pensato Emanuele a rompere il
ghiaccio” commentò l’amica ironica, ammiccando verso
il ragazzo.
Giulia si voltò proprio verso di lui, gli riservò uno
sguardo duro. Dal canto suo Emanuele corrugò la fronte con aria
impertinente.
“Ciao avvocato, chi non crepa soffocato dal suo ego si rivede, eh”
“Infatti, vedo che sei qui” ribatté Giulia composta come al solito, regalandogli un sorriso al vetriolo.
“Wow, ragazzi … che vi piglia? Siamo qui per divertirci” s’intromise Alessandro leggermente confuso.
Giulia fu la prima a rompere quella battaglia di sguardi taglienti con
Emanuele, riacquistò la sua solita calma e rivolse agli altri un
sorriso di scuse.
“Alessandro ha ragione. Allora, entriamo?” propose con ritrovata allegria.
Tutta la compagnia approvò e si avviò all’ingresso
del locale. Giulia, in coda al gruppetto, approfittò della
confusione vicino all’entrata per tirare una manica a Tina ed
attirare la sua attenzione. Si fermarono un attimo accanto alla porta,
lasciando che gli altri si avviassero.
“Cos’è questa storia? Quando Alessandro mi ha
chiamata non sapevo più che scusa inventarmi per non dirgli che
avevo un appuntamento con te” Giulia alzò gli occhi al
cielo divertita all’idea di quegli attimi di nervosismo.
“Ah, quindi ora mi parli” notò Tina acidamente.
Giulia strabuzzò gli occhi e si sporse un po’ di
più verso di lei per poterle parlare a bassa voce in modo che
nessun altro sentisse i loro discorsi.
“Ma che ti prende?”
“Non mi hai nemmeno salutata!”
“Ho salutato tutti con un ‘ciao’ generale, Tina. Che
pretendevi, che ti prendessi e ti baciassi davanti a tutti?!”
Giulia allargò le braccia con espressione confusa “Sai che
se fosse per me non avrei alcun problema a farlo”
Tina abbassò gli occhi al suolo, con un certo disagio.
“Hai ragione, lo so che l’hai fatto per me. Solo che mi fa
strano mantenere le distanze dopo tutto quello che c’è
stato” ammise in imbarazzo.
Giulia sospirò stancamente e si passò una mano sul viso.
“Non va giù neanche a me, tesoro. Ma la scelta è tua, se vuoi possiamo uscire allo scoperto”
Tina alzò il viso e Giulia le sorrise in attesa.
“Non ancora” pigolò la ragazza tristemente.
“Va bene” acconsentì l’avvocato, celando una punta di delusione dietro un sorriso storto.
“Quindi, dobbiamo comportarci da amiche?”
“Non vedo altra soluzione”
Tina sbuffò frustrata, forse anche combattuta. Si morse un
labbro, agitando una gamba nervosamente e mettendo le mani in tasca.
“Amore, però devi calmarti, altrimenti da questa serata
non ne usciamo vive” intervenne Giulia con tono pacato
“Nessuno si accorgerà di niente, te lo prometto. Ho anche
detto ad Alessia di non fare allusioni o battutine stupide.
Andrà tutto bene, ma tu rilassati” piegò
leggermente il collo per intercettare il suo sguardo nuovamente basso e
lanciarle un’occhiata rassicurante.
“Ok” Tina abbozzò un sorriso ed annuì.
“Possiamo raggiungerli?” azzardò Giulia.
“Sì”
Raggiunsero la comitiva, che proprio in quel momento stava prendendo posto su alcuni divanetti attorno ad un ampio tavolo.
Emanuele finì seduto tra Anna e Alessia, che dall’altro
lato aveva Giulia. Alessandro tra Stefano e Tina, che aveva di fronte
la sua ragazza.
La serata riprese tranquilla. Chiacchieravano e bevevano, spesso era
proprio Alessia a mantenere viva la conversazione con il suo carattere
esuberante.
“E come vi siete conosciute tu e Giulia?” le chiese ad un certo punto Alessandro.
“Ah questa è divertente, dovete proprio sentirla”
ridacchiò Alessia, gettando un’occhiata all’amica,
che si passava una mano sugli occhi con aria sconfitta “Io sono
un’agente immobiliare, sono io che le ho trovato la casa dove
abita ora … dopo sei mesi di ricerche!! Non le andava bene
niente: una era troppo piccola, una troppo grande; una era lontana dal
centro, una troppo in centro; una aveva troppe finestre, una troppo
poche” si fermò un attimo a riprendere fiato.
Gli altri avevano tutti gli occhi puntati su Giulia, che facendo finta di nulla beveva amabilmente la sua birra.
“Sei davvero così orrendamente scassa-palle?” le
chiese in maniera molto diretta Alessandro quasi scandalizzato.
Giulia fece spallucce, limitandosi a sorridere enigmatica.
“Le feci vedere diverse decine di appartamenti” riprese
Alessia “Alla fine, dopo sei mesi, finivamo a prenderci un
caffè dopo ogni visita per cercare di capire cos’altro
ancora di diverso avrei potuto offrirle. Così siamo entrate in
confidenza e siamo diventate amiche” terminò soddisfatta.
“E’ stato l’inizio della mia rovina”
confidò Giulia, portandosi una mano attorno alla bocca fingendo
di rivelare un segreto.
“Ehi!” si ribellò l’amica, tirandole una
gomitata in un fianco “Nemmeno tu sei facile da sopportare, mia
cara. Diciamo che abbiamo imparato a sopportare i nostri difetti”
“Bambolina, ma che difetti può avere una come te!”
s’intromise Emanuele, scoccando ad Alessia un’occhiata
ammiccante.
Quest’ultima alzò un sopracciglio.
“Ma ci sei o ci fai?”
“Dipende. Tu che preferiresti?” continuò quello con lo stesso tono provocatorio.
“No, ma adesso, dimmi seriamente. Almeno una di queste battute ha
mai funzionato veramente?” gli chiese la ragazza con tono
estremamente serio.
Gli altri intanto si godevano la scenetta divertiti. Giulia aveva
approfittato della loro distrazione per mandare un bacio volante a
Tina, che si era messa a ridere silenziosamente.
“No” ammise Emanuele, senza perdere il sorriso
“E’ per questo che continuo a provare, prima o poi una di
queste dovrà pur funzionare” terminò con una grande
dose di autoironia.
“Ok. Ci sei” stabilì Alessia, freddandolo con un sorrisino velenoso.
Era quasi mezzanotte quando decisero di lasciare il pub. Giulia
indugiò decisamente più del dovuto sulla guancia di Tina,
quando la salutò, ma nessuno parve accorgersene.
L’avvocato poi recuperò la sua amica, sottraendola alle
grinfie di Emanuele, che salutò solo con un sorriso tagliente.
Le due ragazze si avviarono alla macchina, mentre gli archeologi
presero la via di casa a piedi.
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
Capitolo 20
CAPITOLO 20
Il resto della settimana scorse via tranquillo. Giulia e Tina non
riuscirono a vedersi fino al venerdì a causa dei rispettivi
impegni di lavoro. Ma il venerdì, appunto, Giulia fu perentoria,
quella sera Tina sarebbe andata a cena da lei.
Tina aveva voluto cambiare quella sera ed abbandonare i soliti jeans.
Aveva indossato un vestitino di lana bianco panna, che le arrivava poco
sotto il sedere, e dei fuseaux marroni particolarmente attillati, con
degli stivali abbastanza sportivi abbinati. E adesso, davanti alla
porta di Giulia, non si sentiva poi così tanto a proprio agio.
Tuttavia, si decise a suonare il campanello.
Giulia le aprì la porta solo qualche istante più tardi.
Al contrario di Tina, notò quest’ultima, l’avvocato
indossava un pantalone scuro ed una camicia azzurra.
“Ciao” l’accolse Giulia entusiasta, sporgendosi per
lasciarle un veloce bacio sulle labbra “Entra”.
Tina avanzò piano fino al centro della stanza, poi si
fermò un po’ indecisa. L’altra la raggiunse e la
abbracciò da dietro.
“Che fai lì impalata?” le sussurrò
all’orecchio “Dammi la giacca” disse, proprio mentre
gliela sbottonava lei stessa.
Tina lasciò che gliela sfilasse dalle spalle e poi la poggiasse
su una poltrona, facendo il giro per arrivarle davanti. Giulia la
osservò con espressione curiosa, vagò con lo sguardo sul
suo corpo dalla testa ai piedi, ma non fece commenti, si limitò
a prenderle una mano e sorriderle contenta di averla lì con lei.
“Vieni, la cena è pronta” la tirò con
sé in cucina, mentre, passando accanto alla parete, regolava
l’intensità dei faretti che illuminavano l’ambiente,
rendendo la luce più fioca.
Tina si accorse solo in quel momento di come era apparecchiata la
penisola al centro della cucina. C’erano due piatti di porcellana
bianca, due calici di cristallo, una bottiglia di vino e due candele
accese al centro.
“E questo da dove viene fuori?” domandò stupita alla compagna.
“Avevo voglia di una cena a lume di candela con la mia
donna” Giulia fece spallucce con aria tranquilla
“Siediti” le scostò uno sgabello e la fece
accomodare.
Più tardi, avevano finito di cenare e Tina stava mandando giù l’ultimo boccone con un sorso di vino.
“Mi pare di aver capito che le cose tra te ed Emanuele si siano
aggiustate” buttò lì Giulia, incrociando le braccia
sul tavolo e sporgendosi verso il centro.
“Uhm, sì. Abbiamo parlato e abbiamo raggiunto una specie
di tregua” Tina fece una piccola smorfia incerta “Lui ha
detto che non gli è passata, però intanto martedì
ci ha provato tutta la sera con Alessia, quindi immagino che ci stia
perlomeno provando a passare oltre”
Giulia le lanciò un’occhiata scettica.
“Non credo che ci abbia provato con Alessia per reale interesse,
sai” rifletté amaramente “Credo più che altro
che ultimamente ci provi con qualsiasi cosa che respiri semplicemente
per tenere la mente occupata, lontana da te”
Tina sospirò pesantemente ed incassò la testa nelle spalle.
“Dobbiamo proprio parlare di Emanuele? Credevo fosse la nostra serata”
“Hai ragione” Giulia si alzò ritrovando
un’espressione serena e fece il giro del tavolo per prenderla per
mano e tirarla con sé “Mettiamo un po’ di
musica” disse, mentre la guidava verso lo stereo.
“Scegli tu” la esortò, mostrandole con un mano tutti i cd ordinatamente disposti su uno scaffale.
Tina scorse qualche titolo, infine scelse un’artista italiana che
non conosceva di cui, tuttavia, l’avevano stuzzicata i titoli.
“Questo” affermò, passando il cd a Giulia, che lo
mise nello stereo e poi scorse varie tracce fino a trovare quella che
le interessava.
“Ottima scelta, adoro questa cantante” approvò ed
intanto prendeva nuovamente la mano di Tina e la portava al centro
della stanza, mentre le prime note della canzone cominciavano a
diffondersi.
“Che vuoi fare?” domandò Tina con una nota incredula.
“Balliamo” affermò l’altra con tranquillità.
“Giulia, non sono assolutamente …”
“Shhh”
Giulia interruppe le sue proteste, posandole un dito sulle labbra. Con
un sorriso invitante le prese le braccia e se le portò dietro la
nuca, poi poggiò le proprie mani sui suoi fianchi e le fece
scorrere piano dietro la sua schiena. Restò ferma qualche
istante, poi di colpo strinse la presa facendo attaccare il corpo di
Tina al proprio.
“Giulia!” esclamò la ragazza colta alla sprovvista.
L’avvocato ridacchiò sadicamente e si abbassò
facendo sfiorare i loro nasi, mentre cominciava a muoversi lentamente
ondeggiando. Tina si arrese seguendo docilmente i suoi movimenti.
“Stai bene vestita così” disse Giulia guardandola negli occhi.
“Grazie” farfugliò Tina, sorridendo timidamente.
“Sei bella sempre eh, ma stasera togli il fiato” continuò l’altra con disinvoltura.
A quel punto Tina distolse lo sguardo arrossendo leggermente.
Giulia sorrise intenerita e, per toglierla d’imbarazzo, le afferrò un polso e le fece fare una piroetta.
Tina ritornò fra le sue braccia qualche istante dopo ridendo divertita.
“Visto che sei capace di ballare, donna di poca fede!” le fece notare Giulia.
“Tu mi stai facendo ballare” puntualizzò Tina “Con un’altra non sarei capace”
“Voglio ben sperare!” protestò l’altra con un
cipiglio minaccioso “Dovresti stare tra le braccia di
un’altra e non è che la cosa mi vada molto a genio”
Tina rise ma, prima che potesse commentare, Giulia aveva nuovamente
cambiato passo seguendo la musica, che ora era più sostenuta. La
costrinse ad una serie di cambi di direzione, facendola girare su
sé stessa e poi tirandola nuovamente nel suo abbraccio.
“Sei brava” commentò Tina, quando la musica cambiò nuovamente e tornò dolce e lenta.
Giulia non le rispose a parole, semplicemente sorrise in modo
abbastanza furbo. D’improvviso le prese nuovamente il polso e le
fece fare un’altra giravolta, stavolta però la fece
tornare tra le proprie braccia di spalle, in modo che poggiasse la
schiena contro il suo petto. Tina rise ancora divertita, poi
intrecciò le mani con le sue sul proprio stomaco. Giulia le si
fece più vicina, le poggiò il mento su una spalla, poi
rallentò i movimenti del bacino che ondeggiava e li rese
più languidi. Tina la assecondò con qualche imbarazzo,
soprattutto quando la sentì cominciare a piegare le ginocchia ed
abbassarsi leggermente portandola con sé. Intanto Giulia
avvicinò la bocca al suo orecchio e cominciò a
sussurrarle le parole della canzone che stavano ascoltando.
“L’aria intorno sarà calda … le lenzuola su
di noi, umidi trofei di guerra, tra omerici eroi … occhi chiusi,
spalla a spalla, se riuscissi fermerei … la mia mano che profana
tutti i profili tuoi”
Giulia approfittò poi di uno stacco della musica, per voltare
velocemente Tina tra le proprie braccia ed averla nuovamente di fronte
per poterla guardare negli occhi, mentre riprendeva a cantare insieme
alla voce proveniente dallo stereo.
“Aria, c’è un sentimento in movimento …
gioia, portarti in volo in capo al mondo … palla, che rotola
giù fino in fondo. Voglia di te”
Tina la fissò negli occhi, con i piedi ben piantati a terra,
senza più assecondare i suoi movimenti. Giulia la guardò
a sua volta, incerta su come interpretare quel silenzio. Intanto si
fermò anche lei, attendendo che la ragazza trovasse il coraggio
di dire o fare quello che avrebbe voluto.
Passò ancora qualche istante, poi Tina si alzò
leggermente sulle punte, allacciò le braccia dietro il collo di
Giulia e la baciò. Fu piuttosto irruenta, ma l’avvocato
non se ne lamentò, anzi sorrise nel bacio andando subito a
circondarle la schiena con le braccia per avvicinarla maggiormente.
Tina cominciò a camminare alla cieca, costringendo l’altra
ad indietreggiare, fino a che arrivarono al divano. La spinse
all’indietro e l’altra cadendo la trascinò con
sé.
“Quanta foga” commentò maliziosa l’avvocato,
aprendo le gambe perché l’altra ci si potesse sistemare in
mezzo.
“Non puoi fare una scenetta del genere e sperare che io rimanga
indifferente” protestò Tina afferrando una coscia di
Giulia per portarla accanto al proprio fianco e stare più comoda
sdraiata su di lei.
“Infatti non ci speravo” ribatté furbamente l’altra.
“Sei scorretta, io mica ti ho mai tentato così apertamente”
“Oh sì, invece. Da quando sei entrata qui dentro con quel vestitino”
Tina arrossì. Giulia sorrise e le circondò il viso con le
mani tirandola giù verso di sé per baciarla.
“Dormi qui?” domandò l’avvocato dopo poco, con chiara aspettativa nella voce.
“Qui, cioè sul tuo divano?” scherzò Tina.
“Scema!” Giulia fece una smorfia, poi tornò seria
“Però se preferisci stare qui, anziché sopra con
me” lasciò sadicamente la frase in sospeso con espressione
neutra.
Tina non raccolse la sua provocazione. Invece, con molta diligenza, si
dedicò a sbottonare la sua camicia. L’aprì
tranquillamente cominciando ad accarezzarle lo stomaco con la punta
delle dita.
“Che fai?” chiese Giulia, anche piuttosto ingenuamente.
“Non so se voglio usarlo per dormire, questo divano”
cominciò Tina con aria indifferente “Ma so per
cos’altro voglio usarlo. Adesso” terminò
abbassandosi sul viso della sua ragazza per baciarla.
Giulia sorrise, sorpresa ma soddisfatta che Tina stesse lentamente
riuscendo a lasciarsi andare, almeno quando erano sole. Accolse quel
suo slancio ben volentieri e l’accontentò, lasciandole
usare il suo divano come meglio preferì, per tutte le volte che
volle.
Quando Giulia si svegliò, il mattino dopo, avvertì un
vuoto accanto al suo fianco destro, che non avrebbe dovuto esserci.
Come sempre a pancia in giù, aveva il viso rivolto a sinistra,
così si girò dall’altro lato ed aprì gli
occhi. Vide le gambe incrociate di Tina che sedeva con la schiena
poggiata alla testiera del letto. Rotolò su un fianco e
portò il suo sguardo ancora assonnato sul viso della ragazza. La
vide sorridere serena.
“Niente drammi, stavolta?!” domandò con circospezione ed un pizzico d’ironia.
“No” Tina scosse solennemente la testa mantenendo il
sorriso “E’ andata meglio, no? Voglio dire, ne ho ancora di
cose da imparare e di strada da fare però … però
stanotte tu, cioè io … tu sei … hai
…” era partita con tono convinto, poi aveva cominciato a
tentennare, infine si era impappinata.
Giulia cominciò a ridere sommessamente.
“Io, tu … che cosa?” le domandò non avendo afferrato il filo del discorso.
“Tu …” ma scosse vigorosamente la testa e
drizzò la schiena prendendo un grosso respiro “No, non tu.
Io … io ti … sono riuscita, cioè …”
Il risolino di Giulia si trasformò in una risata discreta. Le
prese una mano e ne accarezzò il dorso con il pollice.
“Amore, dì quello che devi dire e basta, senza problemi” la incoraggiò.
Tina respirò profondamente dal naso, poi buttò fuori l’aria con un respiro secco e con essa anche le parole.
“Sei venuta?”
Giulia alzò le sopracciglia con aria divertita, si trattenne dal
ridere ancora per non aumentare il suo imbarazzo e si limitò a
sorriderle rassicurante.
“Sì, credevo te ne fossi accorta”
“Non ne ero sicura” ammise Tina con un sorriso di scuse “Ma … anche se ho usato solo le mani?”
“Amore!” Giulia rise stavolta, scuotendo la testa.
“Ok, ho capito. Domanda stupida” Tina abbassò lo sguardo sospirando.
“Vieni qui” Giulia la tirò verso di sé e le
fece posare la testa sulla propria spalla, avvolgendola tra le proprie
braccia “Mi dici che ci facevi già sveglia, lì
ferma e zitta?” chiese accarezzandole i capelli.
“Ti guardavo. Sei bella” Tina alzò lo sguardo su di lei e le sorrise con sincerità.
Giulia le prese il mento tra due dita e l’avvicinò a
sé così da poterla baciare, dolcemente e lentamente.
Quel sabato mattina restarono a letto fino a tardi a coccolarsi.
Pranzarono insieme, poi Tina fu costretta a tornare a casa tra le
rimostranze di Giulia. Aveva delle faccende da sbrigare a casa, fare la
spesa, il bucato, pulire il bagno. Le promise che si sarebbero viste la
domenica, ma Giulia storse il naso e disse che sarebbe dovuta andare a
pranzo dai suoi. La invitò ad andare con lei, ma Tina
rifiutò fermamente, dicendosi non ancora pronta a conoscere la
sua famiglia. Giulia nascose un certo disappunto ed annuì
accondiscendente come al solito.
E così trascorse il week end e la settimana ricominciò.
Era ormai mercoledì, 9 Dicembre, e Tina era come sempre chiusa
in laboratorio assieme ai colleghi. Quella mattina era impegnata nel
disegno dei frammenti ceramici per la catalogazione ed il censimento
delle forme ceramiche. Era china su uno dei lunghi tavoli rettangolari,
attorniata da carta millimetrata, squadre, righelli ed una serie di
cocci.
Gli altri le si affaccendavano attorno, ma lei era completamente
immersa in quello che stava facendo, attenta a non sbagliare, quindi
quasi non sentiva il loro brusìo allegro.
All’improvviso, qualcuno le urtò il gomito destro facendo
sbavare il tratto che stava disegnando in una lunga linea tremolante.
“Accidenti!” si voltò per riprendere chi
l’aveva urtata “E sta un po’ attento”
borbottò acida verso Marco.
Quest’ultimo si limitò ad alzare le spalle con aria
menefreghista e proseguì tranquillo, tornando al suo lavoro.
Tina sbuffò e scosse la testa con irritazione. Tuttavia, fu
distratta da due colpi alla porta. Si voltò verso
l’ingresso e vide spuntare da una fessura il viso di Giulia.
“Si può?” domandò quest’ultima aprendo
un po’ di più la porta ed inserendovi il busto.
“Ma che sorpresa!” l’accolse per primo Alessandro
“Vieni, entra” le andò incontro aprendo la porta del
tutto e facendole segno di entrare.
“Ciao ragazzi” salutò quella gioviale, muovendo una mano in circolo verso gli altri archeologi al lavoro.
“Che ci fai qui?” domandò Alessandro, spiandola incuriosito.
“Mah … passavo, ed ho pensato di fare un saluto. Disturbo?”
“No, no affatto” le assicurò il ragazzo.
Giulia annuì soddisfatta, poi posò lo sguardo su Tina,
che era rimasta a fissarla con la matita in bilico tra le dita ed
un’espressione indecifrabile sul volto.
“Ciao Tina” la salutò l’avvocato con tono pacato.
L’altra sbatté un paio di volte le palpebre, posò
la matita e si alzò dallo sgabello avvicinandosi agli altri due.
“Ciao” ricambiò con un sorriso mite.
“Allora, vi offro un caffè?” intervenne Alessandro, posando le mani sulle spalle delle due ragazze.
“Perché no” accettò Giulia con disinvoltura “Ho avuto una mattinata terribile”
Tina si limitò ad annuire.
“Ragazzi, vi porto qualcosa?” Alessandro si rivolse poi al
resto dei colleghi, alzando leggermente la voce per farsi sentire.
Ricevuto un segno negativo da tutti, si apprestò ad uscire assieme alle altre due.
Arrivati alle macchinette, il ragazzo si frugò in tasca ed estrasse qualche spicciolo.
“Come li faccio?” domandò alle due ragazze.
“Lei ci vuole il latte”
“Lei lo prende amaro”
Risposero in coro, indicandosi a vicenda.
Alessandro alzò le sopracciglia dubbioso, poi con uno sguardo interrogativo le invitò a spiegarsi.
“Ehm … abbiamo fatto colazione insieme in Abbazia qualche
volta” articolò incerta Tina spostando lo sguardo a destra
e sinistra.
Intanto Giulia aveva messo una mano davanti alla bocca e se la rideva silenziosamente.
“Sì, è vero” affermò un attimo dopo,
andandosi a grattare la fronte e cercando di mantenersi seria.
Alessandro gli riservò ancora uno sguardo stranito, poi fece
spallucce e si girò verso la macchinetta selezionando le bevande
richieste.
Cinque minuti dopo erano seduti sulle scomode sedie di legno del corridoio del dipartimento.
“Allora, come sta andando il vostro lavoro?” domandò
Giulia soffiando sul proprio caffè per raffreddarlo.
“Questa è la parte lunga e noiosa” affermò Alessandro con una piccola smorfia.
“Sì, ma è anche la più importante” lo
riprese Tina con un’occhiata saccente “Stiamo tirando le
somme della campagna, cominciamo a fare delle ipotesi concrete. Tra un
po’ dovremmo anche cominciare a pensare di organizzare qualche
seminario per presentare al pubblico la campagna e cominciare a farci
pubblicità”
“Ed io che credevo che il lavoro dell’archeologo finisse
una volta ritrovato il coccio” commentò Giulia riflessiva.
“E’ quello che pensa la maggior parte della gente” le
fece notare Alessandro, bevendo poi un lungo sorso di caffè.
“Mi stai paragonando alla massa?” lo rimbeccò Giulia
fingendosi scandalizzata e nascondendo una punta d’ironia.
“Forse” Alessandro alzò un sopracciglio con aria
canzonatoria, poi si alzò e gettò il bicchiere vuoto in
un cestino “Ragazze, vi lascio alle vostre chiacchiere tra donne.
Ho un mucchio di cose da finire prima di pranzo”
Le salutò con la mano, avviandosi nuovamente verso il
laboratorio. Giulia lo seguì con lo sguardo, ancora divertita
per quel punzecchiarsi a cui si erano lasciati andare. Fu la voce di
Tina a distrarla un attimo dopo.
“Mi fa piacere che sei passata” confessò
apertamente, piegando un ginocchio sotto l’altro per potersi
voltare verso di lei, mentre allungava un braccio sullo schienale della
sedia per stare più comoda.
“Avevo un paio d’ore libere, prima del prossimo
appuntamento …” Giulia la fissò negli occhi per un
lungo istante “E volevo vederti” terminò in un
sussurro andando a coprire la sua mano con la propria sullo schienale
della sedia.
Tina si schiarì la voce un po’ impacciata e ritirò
il braccio con un gesto lento ma deciso, mentre la guardava con un
sorriso di scuse.
Giulia ingoiò quell’ennesimo rospo con un lungo sospiro
amareggiato e si rimise dritta sulla sedia con lo sguardo cupo fisso
davanti a sé.
“Giulia” la chiamò Tina un po’ timorosa
“Siamo in dipartimento, mi conoscono tutti, ci sono i miei
colleghi, i miei amici. Cerca di capire”
L’avvocato l’ascoltò restando ostinatamente con gli occhi puntati sulla parete di fronte.
“Ci sto provando a capire, lo sto facendo davvero”
borbottò abbattuta “Ma io non ho mai voluto nascondermi,
è per questo che ho fatto coming out a diciotto anni”
decise finalmente di guardare Tina, riservandole uno sguardo
inflessibile “Per me tutto questo è assurdo, tu sei la mia
donna e io non posso nemmeno tenerti la mano in pubblico”
alzò le spalle con aria turbata “Quindi, cerca anche tu di
capire me”
Tina abbassò lo sguardo, sentendosi in colpa. Rimase impacciata
a rigirarsi il bicchiere di plastica ormai vuoto tra le mani. Si
riprese solo quando percepì il movimento di Giulia, che si
alzava con uno scatto deciso.
“Aspetta. Dove vai?” si rimise anche lei in piedi velocemente e la tirò per una manica del cappotto.
“E’ meglio se me ne vado” rispose distaccata Giulia.
“Ma io non voglio che te ne vai”
“Ho un appuntamento, sono in ritardo. Ci sentiamo, ok. Buona giornata, Tina”
Giulia liberò il braccio che l’altra le aveva bloccato, le
riservò un ultimo sguardo rammaricato e poi le diede le spalle
allontanandosi.
Tina rientrò in laboratorio tentando di mantenere
un’espressione neutra e si rimise a lavoro. Lasciò passare
l’intera giornata di mercoledì senza chiamarla, sperando
che Giulia potesse sbollire il suo disappunto e che quindi avrebbero
potuto poi parlare tranquillamente.
Arrivata a metà pomeriggio del giorno seguente, (giovedì
10 dic) però, non riuscì più a trattenersi.
Quindi, prese il cellulare, le sigarette e l’accendino ed
uscì dal laboratorio dicendo agli altri che sarebbe andata a
fumare. Raggiunse la scala antincendio del secondo piano ed uscì
all’esterno rabbrividendo appena. Ignorò del tutto le
sigarette, per afferrare immediatamente il cellulare e comporre il
numero di Giulia.
“Pronto”
“Giulia, sono io”
“Ciao”
“Che fai?”
“A dire il vero sto aspettando un cliente che dovrebbe arrivare da un momento all’altro”
Il tono dell’avvocato era ancora distaccato, faceva la sostenuta. Tina ne rimase un po’ delusa.
“Ah, capisco. Beh, non ti farò perdere troppo tempo”
tentò di non suonare troppo mesta “Ti va se ci vediamo
stasera?”
L’avvocato tirò un lungo respiro tremulo, forse era combattuta.
“Stasera non posso, ho promesso ad Alessia che l’avrei
accompagnata a teatro a vedere non so cosa a cui tiene
particolarmente”
“Ah” stavolta la nota di delusione si sentì anche
attraverso quell’unica sillaba “Va bene, divertitevi
allora”
“Grazie. Scusa, è arrivato il mio cliente, devo andare” disse Giulia con tono sbrigativo.
“Ok. Ciao”
“Ciao”
Tina chiuse la comunicazione con l’amaro in bocca. Decise che era tempo di fumare quella famosa sigaretta.
Quando ritornò in laboratorio, aveva l’aria piuttosto
cupa. Sedette stancamente su una sedia rigirando l’accendino tra
le mani, giochicchiando ad accendere e spegnere la fiamma fissandola
con sguardo vacuo.
“Oh, va tutto bene?” Emanuele trascinò rumorosamente
una sedia accanto alla sua e si sedette al suo fianco, inclinando la
testa di lato e fissandola apprensivo.
Tina alzò su di lui uno sguardo spento, si sforzò di sorridere e ne uscì fuori solo una specie di smorfia.
“Sì, tranquillo” mormorò con voce cupa.
“Ma chi vuoi prendere in giro?!” la rimbeccò
l’altro “Senti, ultimamente c’è stato qualche
problema tra di noi … però, lo sai che se hai bisogno di
un amico io sto qua” sembrava serio e disponibile, non il solito
Emanuele giocherellone che non prendeva mai niente sul serio.
Tina lo guardò negli occhi, accennò un altro sorriso,
stavolta un po’ più convinto e poi alzò una mano
per accarezzargli affettuosamente una guancia coperta da un sottile
velo di barba.
“Grazie Manu, non sai quanto avevo bisogno di sentirtelo
dire” quasi si gettò tra le sue braccia stringendolo forte.
Il ragazzo ricambiò l’abbraccio un po’ impacciato, non aspettandosi quella reazione.
“Gesù! Non credo ai miei occhi, cip e ciop in armistizio” commentò ironica la voce di Alessandro.
I due ragazzi si staccarono e Tina ne approfittò per agguantare
la prima cosa che gli capitò sottomano e tirarla all’amico.
Alessandro schivò una penna che gli passò a qualche centimetro dal viso sibilando accanto al suo orecchio.
“Ehi, poteva finirmi in un occhio. Potevi accecarmi!” proruppe contro Tina.
“Ne hai due, no. Quindi di che ti lamenti” rispose lei con un accento malefico dietro un’aria disinvolta.
Emanuele ridacchiò attirando su di sé l’attenzione di Alessandro.
“Che ti ridi, tu?” afferrò una bottiglietta e gliela tirò prendendolo in piena fronte.
“Ahi! E che c’entro io” si lamentò
quest’ultimo massaggiandosi la parte lesa “Siete due
maneschi. Me ne ritorno a lavoro” si alzò impettito e
ritornò al suo computer.
Tina ed Alessandro si guardarono un attimo negli occhi poi cominciarono a ridere.
La ragazza trascorse il giovedì sera a guardare un vecchio
telefilm in tv, controllando di tanto in tanto il cellulare e sbuffando
ogni volta che trovava il display pulito, senza l’icona di un
messaggio in arrivo o di una chiamata persa.
Il venerdì mattina inviò un messaggio a Giulia: “Mi
chiami quando hai cinque minuti? Ho voglia di vederti. Un bacio”
Dovette aspettare, però, fino a sera prima che arrivasse quella telefonata tanto attesa.
“Giulia, finalmente!” esclamò sollevata, dopo aver accettato la chiamata.
“Ciao. Sì, ho avuto da fare oggi, non sono riuscita a chiamare prima”
“Va bene, non importa. Possiamo vederci?”
“Veramente sono distrutta, non ho molta voglia di uscire”
si giustificò l’avvocato, trascinando effettivamente la
voce ed apparendo esausta.
“Ok. Allora passo io da te” propose Tina, non perdendosi d’animo.
“Stasera non è proprio il caso, Tina. Farò una
doccia veloce e andrò a dormire” rispose l’altra con
tono risoluto.
Tina incassò la testa nelle spalle, piegò le ginocchia al petto e ci poggiò sopra il mento.
“Passo solo per un saluto” riprovò ancora esitante.
Giulia sospirò pesantemente e si passò una mano sugli occhi.
“Un’altra volta, ok. Magari domani sera, ti chiamo e ti
faccio sapere” la voce era leggermente meno dura ma comunque
risoluta.
“Va bene, come preferisci” mugugnò Tina, chiaramente dispiaciuta “Buona notte, allora”
“Buona notte”
Tina chiuse la comunicazione e si buttò pesantemente sul letto a
pancia in giù, abbracciando il cuscino ed affondandovi il viso
per attutire un piccolo urlo di frustrazione.
La luce all’esterno era ancora fioca, quando Tina aprì gli
occhi quel sabato mattina. Doveva essere molto presto. Si alzò,
avviandosi ciondolante in cucina, dove si preparò apaticamente
la colazione. L’orologio segnava appena le sei e mezza, quando
uscì dal bagno, lavata e vestita. Tornò in camera, era
tutto in ordine e pulito, non aveva granché da fare. Decise
quindi di andare da Giulia.
Quando arrivò, s’infilò nel palazzo dietro ad un
signore che era appena uscito a gettare l’immondizia. Salì
velocemente le due rampe di scale e, arrivata davanti
all’appartamento di Giulia, si attaccò al campanello.
“Ma che diavolo …” la donna aprì la porta
dopo quasi cinque minuti, evidentemente assonnata ed irritata.
“Ciao, posso entrare?” Tina non le diede nemmeno il tempo
di rispondere, si catapultò dentro casa sgusciandole affianco.
“Tina” Giulia seguì disorientata i suoi movimenti,
richiuse la porta in automatico, poi si voltò a guardare la
ragazza, che si era fermata al centro del salone “Sono appena le
sette di sabato mattina, che ci fai qui?”
Tina la guardò, era in pigiama, i capelli leggermente
scompigliati e gli occhi ancora semichiusi dal sonno. Fece un passo
verso di lei.
“Mi stai evitando” e non era una domanda, ma una certezza
“Ok, lo capisco che sei risentita, ma trattarmi male non
risolverà le cose” allargò le braccia mostrandosi a
lei come disarmata “Ho solo bisogno di tempo, per me è
come se stessi vivendo una nuova adolescenza. Tutto quello che faccio,
tutto quello che voglio, che desidero … mi sembra proibito, uno
strappo alla regola. E mi sento costantemente i riflettori puntati
addosso, come se chiunque potesse indovinare dei sentimenti che non
sono ancora pronta a condividere con il mondo. E questa cosa mi
spaventa, e mi irrita, terribilmente, perché non mi sento
padrona dei miei gesti, delle mie parole. E mi sento violata,
perché devo essere io a trovare il momento ed il modo per
aprirmi al mondo”
Giulia l’ascoltò in silenzio, il viso impassibile, solo lo
sguardo ad ogni parola si faceva sempre più vivo e partecipe.
Abbandonava il torpore del sonno e diventava lucido, cogliendo
esattamente ogni sfumatura di emozione che attraversava il viso di Tina.
“Hai ragione” ammise quando lei ebbe finito il suo monologo “Trattarti male non serve a niente”
“Tutto qui?” indagò Tina assottigliando lo sguardo con circospezione.
Giulia sciolse la posa rigida che aveva tenuto fino a quel momento e la
raggiunse accanto al divano. Si lasciò andare su di esso ed
invitò anche Tina a seguirla.
“Abbiamo vissuto la presa di coscienza della nostra
omosessualità in maniera diversa, ma questo non significa che il
modo in cui la stai affrontando tu sia peggiore del mio” le prese
le mani tra le proprie, stringendole appena “Se tu la stai
vivendo così, io non sono nessuno per dirti che stai sbagliando.
Posso solo starti accanto, in silenzio e nell’ombra, se
necessario, finché ne sentirai il bisogno”
Tina si sporse leggermente verso di lei con aria un po’ stupita.
“Quindi, non sei più arrabbiata con me?”
“Non sono mai stata arrabbiata con te, Tina. Ero arrabbiata e
delusa da questa società, che costringe te e chissà
quante altre persone a non poter esprimere liberamente la propria
indole” si fermò un attimo a riflettere, le spuntò
l’ombra di un sorriso furbo sulle labbra “E si, lo ammetto,
un po’ ero anche arrabbiata con te, che non riesci a fregartene.
Ma adesso ho capito che non posso fartene una colpa, magari in futuro
imparerai come gestire questa situazione, imparerai a rapportarti in
maniera più distaccata con una società che non esita a
prenderti a calci in culo appena ne trova il pretesto”
Tina rilassò finalmente le spalle ed alzò le mani di
Giulia fino a portarle davanti alla propria bocca, le baciò
tutte le dita mentre la guardava negli occhi sorridente.
“Grazie” mormorò poi, tuffandosi tra le sue braccia.
Giulia la strinse forte, baciandole i capelli e la fronte.
Tina passò la mattina accompagnando Giulia a sbrigare alcune
faccende. Trascorsero diverse ore in un centro commerciale e fare la
spesa e girare per negozi, dopo passarono in posta a pagare alcune
bollette ed in tintoria a ritirare un paio di tailleur. Il pomeriggio
Tina dovette lasciarla, perché aveva promesso ad Alessandro ed
Emanuele che sarebbe andata con loro a cercare un nuovo computer per il
laboratorio. Avevano bisogno di un Apple, per poterci installare alcuni
nuovi programmi avanzati per il rilievo e le presentazioni 3D.
Tuttavia le due ragazze si ritrovarono la sera, si concessero una
piazza e un cinema, per poi rintanarsi a casa di Giulia. Tina
passò la notte con lei e sancirono la pace ritrovata anche tra
le lenzuola.
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Capitolo 21 *** Capitolo 21 ***
Capitolo 21
CAPITOLO 21
Era martedì pomeriggio, mancavano una decina di giorni a Natale,
e Tina era appena uscita dall’Università assieme ad
Alessandro. Camminavano fianco a fianco spintonandosi con le spalle a
vicenda come due ragazzini, finendo talvolta addosso a qualche passante
e chiedendo scusa sghignazzando, salvo poi riprendere esattamente come
prima.
“Ale, ma lo sai che Maria ti mangia con gli occhi?” disse
all’improvviso Tina, smettendo di zigzagare e facendosi seria.
“Maria chi?” domandò l’amico non capendo.
“Ma come chi! Maria, quella nuova … la ragazza del terzo anno che lavora in laboratorio con noi”
“Ah, quella Maria! Sì, è carina ma è una
ragazzina, non avrà più di ventidue anni”
“E allora?”
“E allora, non ho voglia di mettermi a fare il baby-sitter.
Voglio una donna vera al mio fianco” si fermò un attimo a
pensare, poi con aria seria aggiunse “Una come Giulia, ad
esempio”
“Ancora!” protestò Tina sbuffando esasperata “Ma ti sei fissato con Giulia”
“E che ci posso fare, mi ha stregato” scherzò Alessandro “Ha fascino, devi ammetterlo”
“Sì, come ti pare. Ma non hai speranze, lo sai”
Alessandro rise.
“Lo so, infatti dicevo tanto per dire … pour parler ”
“Che te ne pare invece di Bianca, l’assistente del professor Macri?”
“Ecco, quella si che si avvicina di più al mio
target!” approvò il ragazzo con espressione soddisfatta.
Tina sorrise divertita e continuarono a ciarlare fino a casa.
Più tardi chiamò Giulia per chiederle che programmi
avesse per la serata. L’avvocato le disse che purtroppo quella
sera avrebbe fatto tardi, era stata incastrata in una riunione
dall’altro capo della città e probabilmente avrebbe dovuto
saltare anche la cena.
Tina decise che le avrebbe fatto un’improvvisata, aveva voglia di vederla.
Erano quasi le undici, quando Giulia comparve con aria decisamente
distrutta sul pianerottolo di casa sua. Era talmente stanca che nemmeno
si accorse di Tina, seduta sulle scale affianco alla cabina
dell’ascensore. Quest’ultima, quindi, si schiarì la
voce.
Giulia si voltò lentamente e sgranò gli occhi quando ebbe messo a fuoco la sua figura.
“Che ci fai qui?” domandò stupita.
“Ho portato la cena” rispose Tina sorridente, sventolando
sotto il suo naso una busta con dei contenitori di cartone.
“Da quanto tempo sei lì?” Giulia le sorrise di rimando, contenta di vederla.
“Abbastanza da desiderare di poggiare il mio prezioso sederino
sul tuo comodissimo divano” scherzò Tina, mentre si alzava
e le si avvicinava “Possiamo entrare?” chiosò
gettando un’occhiata alla porta.
Giulia annuì, ancora un po’ spiazzata da quella piacevole
sorpresa, poi aprì velocemente la porta ed entrò assieme
alla sua ragazza.
“Spero ti piaccia il cinese” precisò Tina avviandosi
spedita verso la cucina per disfarsi dei cartoni, mettere il cibo nei
piatti e recuperare le posate.
“Sì, certo” Giulia rimase a guardarla dal salone, liberandosi del cappotto e della ventiquattrore.
“Bene” approvò l’archeologa arrivando accanto
al divano e poggiando i piatti sul tavolinetto basso davanti ad esso
“Siediti, prendo il vino e arrivo” le disse, avvicinandola
solo per lasciarle un veloce bacio sulle labbra e poi tornare in cucina.
Giulia non riuscì a celare un certo compiacimento per la
disinvoltura con cui la vedeva muoversi a casa sua ed occuparsi di
tutto quanto, senza lasciarle muovere un dito. Si riscosse dai propri
pensieri e preparò alcuni cuscini sul tappeto ai piedi del
divano, dove aveva deciso che avrebbero mangiato. Passò accanto
allo stereo per mettere un po’ di musica in sottofondo, infine
tornò accanto al tavolino, dove l’attendeva Tina,
ritornata con una bottiglia di vino bianco stappata e due bicchieri.
Avevano, forse senza consciamente volerlo, creato un’atmosfera
intima e familiare, come di una routine che non scoccia e che, al
contrario, fa sentire al sicuro, fa sentire di avere un posto in cui
tornare la sera, stanchi morti dal lavoro, certi di trovare qualcuno
che penserà a te e alla tua stanchezza.
Consumarono la cena con tranquillità, raccontandosi la loro
giornata, accompagnate dal suono lieve della musica che le accarezzava
rilassandole ulteriormente.
“Grazie” disse Giulia, dopo aver mandato giù l’ultimo boccone con un sorso di vino.
“Figurati” Tina fece spallucce con un sorriso genuino in
volto “Mi sono resa conto che mi piace prendermi cura di te”
“Ti prego, dimmi che non mi vedi come un gattino spelacchiato
abbandonato per strada!” proruppe ironica Giulia
“Un’immagine del genere nella tua mente sarebbe la tomba
del desiderio sessuale” chiosò tragicamente con una
piccola smorfia.
“Oddio no! Ti assicuro che ti immagino in molti modi ma mai come
un gattino spelacchiato … ed in tutte le immagini che mi
passano per la testa conservi la tua carica erotica naturale”
assicurò divertita.
“Ah sì?” soffiò Giulia sporgendosi appena verso di lei.
“Sì”
Tina gattonò verso di lei, scansando qualche cuscino e
guardandola fisso negli occhi con espressione chiaramente languida.
Rimase ferma davanti a lei, ancora gattoni sul tappeto, per qualche
istante, respirando direttamente sulla sua bocca, giocando ad aumentare
la tensione tra di loro, infine la baciò. Fu un bacio molto
umido e sensuale, a tratti anche un po’ rumoroso. Giulia la
tirò su di sé stendendosi all’indietro e Tina si
fece spazio tra le sua gambe facendole arrotolare la gonna sopra le
ginocchia. Le tenne il mento fermo con una mano, mentre scendeva a
baciarle il collo e la spalla, usando molto più la lingua che le
labbra. Giulia le afferrò il viso con entrambe le mani e la
riportò su per tornare a baciarla. Intanto Tina era scesa con
una mano ad accarezzarle la coscia, la tirò su portandola a
circondare il proprio fianco e si abbassò su di lei facendo
combaciare i loro bacini. Fu a quel punto che Giulia interruppe il
bacio.
“Non posso stasera, amore” mormorò con voce un po’ roca e pesante.
“Perché no?” protestò Tina con un accento
capriccioso, mentre incurante continuava a baciarle il collo e il petto.
“Ho il ciclo” sussurrò Giulia in risposta.
Tina espirò pesantemente sul suo collo, facendola rabbrividire,
poi rialzò il viso per poterla guardare negli occhi.
“Che palle” si lamentò immusonita, poggiando la fronte contro quella di Giulia.
Quest’ultima sorrise dolcemente e le posò un bacio sul naso.
“E’ sempre appagante sapere che la tua compagna ha voglia di te”
“Come se avessi bisogno di una conferma e non mi si leggesse in
faccia” replicò Tina mordendole dispettosamente un labbro.
Giulia non rispose subito, un lampo malizioso passò nel suo
sguardo e contemporaneamente infilò una mano tra i loro corpi.
“In effetti non ti si legge in faccia” disse con tono
serio, mentre le sbottonava il jeans “Però, qui sotto, le
prove sono piuttosto schiaccianti e … umide”
chiosò, infilando la mano nelle sue mutande.
Tina aprì la bocca cercando aria.
“Che fai … hai appena detto che …” annaspò, allargando istintivamente le gambe.
“Ho detto che io ho il
ciclo e non posso” puntualizzò Giulia con voce bassa e
sguardo scaltro “E poi anche a me piace prendermi cura di
te” aggiunse, assicurandosi che la cadenza della sua voce
mettesse bene in risalto il doppio senso.
Tina rinunciò a qualsiasi tentativo di ribattere, quando
l’altra cominciò a muovere le dita, e nascose il viso
sulla sua spalla stringendo le mani sul tappeto, mentre lasciava che
Giulia si prendesse cura di lei.
Quando il mercoledì Tina entrò in laboratorio, indossava
un vistoso paio di occhiali da sole, nonostante fosse Dicembre
inoltrato. Sbadigliò e andò a sedersi incrociando le
braccia sul piano di una scrivania e poggiandovi sopra la testa.
“Ancora i party alcolici?” Alessandro le passò vicino e le scompigliò i capelli.
Ricevette solo un mugugno in risposta e una scrollata di spalle.
“Toh, piglia. Mi sa che ne hai più bisogno di me”
l’amico sedette accanto a lei e le porse il caffè che
stava bevendo.
Tina riemerse e lo guardò da dietro gli occhiali. Alessandro sorrise e glieli sfilò.
“Bevi” la incoraggiò ancora.
“C’è lo zucchero?”
“Sì”
Tina bevve il caffè, poi crollò con la testa sopra la spalla di Alessandro mugugnando capricciosa.
“Hai dormito almeno qualche ora?” le chiese quest’ultimo sempre più divertito.
“Quattro non di più” borbottò con la voce soffocata sul suo maglione.
“Ma scusa, perché non cerchi un’altra sistemazione?”
“Ma che hai capito, stavolta non c’entra niente il mio coinquilino”
“Ah no?!” Alessandro alzò un sopracciglio con aria scettica.
Nell’istante stesso in cui Tina si rese conto di aver
volontariamente gettato alle ortiche un’ottima scusa per non dire
la verità ad Alessandro, si maledisse con tutte le sue forze.
“Cominciamo a preparare il materiale? I ragazzi staranno per
arrivare” scattò in piedi e andò
all’attaccapanni per liberarsi di tracolla e giacca.
“No no no … pensi di cavartela così?”
Alessandro la raggiunse, puntandole un dito contro “Da quando fai
ginnastica da camera notturna? E soprattutto con chi?”
“Ma che dici!” Tina lo scansò cominciando ad accendere i computer e a controllare che tutto fosse in ordine.
Alessandro la braccava, seguendola ad ogni passo, tanto che più
di una volta girandosi andò a sbattere con il naso contro il suo
petto.
“La smetti di seguirmi?! Sei irritante” lo riprese esasperata dopo cinque minuti.
“La smetterò quando mi dirai che hai fatto stanotte”
contrattò lui, alzando il mento ed incrociando le braccia al
petto con aria fiera.
“Sono stata male, ok. Una colica, lo sai che mi capita
spesso” lo liquidò Tina, sostenendo il suo sguardo
“Contento? Ora scansati”
Alessandro la lasciò sgusciare al suo fianco, senza fare altri commenti, ma trattenendo a stento una risata esasperata.
Tina tirò un sospiro di sollievo quando vide entrare dalla porta
Stefano ed Anna. Approfittando del loro arrivo, si dedicò a
discutere con loro alcune faccende di lavoro, facendo di tutto per
evitare Alessandro. Si accorse che quest’ultimo le lanciava
sguardi sospettosi per tutto il giorno, talvolta le faceva
l’occhiolino e, più vedeva che Tina si irritava, tanto
più insisteva con quei sorrisini insinuanti.
E fu così anche il giorno successivo e quello dopo ancora.
Era ormai venerdì e Tina ne aveva davvero abbastanza, tuttavia,
come sempre decise di concentrarsi sul lavoro ed ignorare del tutto le
occhiate allusive di Alessandro. A metà pomeriggio, la ragazza
stava scrivendo una relazione al computer, quando le arrivò un
messaggio. Prese il cellulare e lesse. Era Giulia: “Sei
occupata?”
Corrugò la fronte a quella richiesta un po’ strana, ma
rispose: “Ora? Sono ancora in dipartimento. Perché?”
Dovette aspettare meno di un minuto per la risposta: “Sono a
piano terra, accanto alla portineria. Non mi va di salire a salutare
tutti. Ho voglia di baciarti”
Tina sentì un sorriso dipingersi sul volto, mentre leggeva. Si
guardò lentamente attorno, per assicurarsi che nessuno facesse
caso a lei, poi digitò velocemente: “Sali al primo piano,
prendi il corridoio a destra. Aspettami vicino all’aula L3”
Dopo aver inviato, si alzò velocemente.
“Vado a prendere la carta per la stampante, che è finita” annunciò ad alta voce.
Gli altri alzarono appena la testa per farle un cenno distratto di assenso.
Tina scese a piedi al primo piano e si avviò con passo lesto
alla piccola aula che la segreteria usava come deposito della
cancelleria.
Individuò subito la figura di Giulia di spalle che si guardava attorno.
Il corridoio era deserto, Tina fece una piccola corsa e le si aggrappò al collo cogliendola completamente impreparata.
Giulia traballò qualche istante, poi ritrovò
l’equilibrio e si voltò nell’abbraccio della sua
ragazza.
“Amore, assicurati che io non sia in bilico su tacchi dieci la
prossima volta che vuoi fare una cosa del genere” la riprese
bonaria avvicinandosi per baciarla.
Tina si lasciò appena sfiorare le labbra, poi rimise tra loro
una certa distanza e si avvicinò alla porta dell’aula.
“Vieni, entriamo qui” le disse, mentre tirava fuori da una tasca un mazzo di chiavi e cercava quella che le serviva.
Giulia le cinse la vita da dietro ed insinuò il naso tra i suoi capelli, respirandole sul collo.
“Giulia” Tina pronunciò semplicemente il suo nome,
ma suonò chiaramente come un invito a non esagerare.
“Sbrigati, allora” replicò l’avvocato scostandole i capelli dal collo e posandovi le sue labbra umide.
“Ci sto provando, ma non trovo la chiave” si lagnò Tina.
Giulia non le rispose, fece scivolare le proprie mani verso l’alto fino a stringerle sul suo petto.
“Ok, ok. Trovata. Ho fatto, ho fatto” proruppe l’altra freneticamente.
Aprì finalmente l’aula e Giulia la spinse dentro alla
cieca, richiudendo la porta dietro di loro con un piede. La fece girare
e l’assalì baciandola voracemente, intanto continuava a
spingerla all’indietro. Si fermarono solo quando i fianchi di
Tina urtarono contro il bordo di una cattedra, Giulia la prese per la
vita e ce la issò sopra, aprendole le gambe e sistemandosi tra
di esse. Tina le sbottonò il cappotto e glielo sfilò
lasciandolo cadere a terra, poi si aggrappò alle sue spalle.
“Tina, sono venuto a prendere anche i …” la porta si
aprì all’improvviso, mostrando la figura di Alessandro.
Le due ragazze si voltarono di scatto con espressione smarrita e non riuscirono a muovere nemmeno un muscolo.
“ … pennarelli indelebili” terminò il ragazzo con un filo di voce.
Rimase a guardarle per qualche istante, con la bocca semiaperta, poi
scosse la testa e parve ritrovare un’espressione lucida e
consapevole. Mosse un passo in avanti e richiuse la porta dietro di
sé.
“Posso spiegarti tutto” lo anticipò Tina con tono concitato.
“Non credo ci sia granché da spiegare”
replicò l’amico con tono ovvio, indicando con lo sguardo
le loro due figure ancora incastrate e piegate sulla scrivania.
Tina se ne rese conto solo in quel momento e così, impacciata e
a disagio, si districò da quell’intreccio di gambe e si
rimise in piedi. Giulia la lasciò fare, scostandosi per
facilitarla, mentre con il pollice si toccava il labbro inferiore e di
sottecchi osservava Alessandro.
“Non è come sembra” tentò nuovamente Tina.
“Ah no?! Perché a me sembrava proprio che steste limonando
sulla cattedra” notò Alessandro con un vago accento
ironico.
“No, noi non …”
“Sì, è proprio quello che stavamo facendo”
Tina aveva cercato di replicare, ma Giulia la interruppe, guadagnandosi
un’occhiataccia da parte della sua ragazza. L’avvocato le
rispose allargando le braccia e facendo spallucce, indicando davanti a
sé la situazione decisamente non equivocabile.
“Quindi voi due siete … state …” Alessandro agitò le mani in modo plateale.
“Sì, stiamo insieme” confermò ancora Giulia.
Vedendo che Tina non accennava alcun movimento le si affiancò e
le poggiò una mano dietro la schiena, muovendola piano su e
giù per cercare di calmarla.
“Ah” fu l’unico commento del ragazzo.
“Ale, io non …” Tina mosse un passo verso di lui, poi si fermò con aria incerta.
Alessandro alzò una mano verso di lei, facendole segno di tacere, e spostò lo sguardo su Giulia.
“Puoi lasciarci un attimo?” le chiese tranquillo.
L’avvocato si rivolse a Tina ed inclinò la testa in avanti
per incontrare i suoi occhi, con lo sguardo le chiese cosa ne pensasse.
Tina si limitò ad annuire. Giulia le posò una mano sulla
spalla stringendo appena la presa, poi si sporse verso di lei per
lasciarle un veloce bacio su una guancia.
“Sono qui fuori, se hai bisogno” le sussurrò
guardandola negli occhi. Le fece un’ultima carezza sui capelli,
raccolse il cappotto ed uscì.
Alessandro e Tina rimasero a guardarsi a pochi metri di distanza per qualche minuto.
“Ale” la ragazza scattò in avanti
all’improvviso e lo raggiunse in pochi passi “Io non lo so
che mi è preso, è successo tutto così velocem
… aspetta, tu … stai … ridendo?”
Alessandro aveva una mano davanti alla bocca, eppure si vedeva
benissimo dalla piega che avevano assunto i suoi occhi, che stava
ridendo. La guardò dall’alto in basso incrociando le
braccia al petto con un ghigno ilare.
“Ma … quindi, non sei arrabbiato?” chiese Tina confusa.
“E certo che sono arrabbiato!” proruppe quello, pur
mantenendo un sorriso sulle labbra che contrastava con il tono di
ramanzina che stava usando “Sono arrabbiato perché hai
cercato di arrampicarti sugli specchi in questi giorni, anziché
dirmi semplicemente le cose come stavano”
“Cioè, tu mi stai dicendo che avevi capito tutto?”
“Tina, sono discreto, mica stupido”
Tina aprì la bocca formando un muta “o” di stupore.
“Chiudi la bocca, che ti entrano le mosche” la prese in giro Alessandro, riaccompagnandole la mascella.
“Ma sul serio non sei arrabbiato?” richiese lei, ancora scettica.
“Smettila di chiederlo. Perché dovrei essere
arrabbiato?” Alessandro la guardò dritto negli occhi
facendosi serio “Se tu sei felice, io sono felice”
“Tutto qui?”
“Vieni qui, stupida”
Alessandro la tirò verso di sé, stringendola tra le
proprie braccia. Tina si fece piccola piccola, lasciandosi abbracciare
ed aggrappandosi al suo maglione.
“Ma si vede così tanto?” domandò dopo, staccandosi da lui con un piccolo cruccio.
“Oh Dio, Tina! Dovresti vedere gli sguardi che ti lancia Giulia” rispose quello sghignazzando.
“Sul serio?”
“Sì. E dovresti vedere come diventi tu quando
c’è lei nei paraggi, o anche quando solo la si
nomina”
“Cioè?”
“Cominci a balbettare cose senza senso” le
scompigliò giocosamente i capelli “Non le sai dire le
bugie, tantomeno sai inventare scuse”
Tina gli gettò un’occhiata interrogativa.
“Credi davvero che me la sia bevuta la storia della
colica?” commentò Alessandro, quasi risentito a
quell’ipotesi “Adesso, pretendo tutti i particolari
… soprattutto quelli più piccanti” le intimò
con sguardo malizioso.
“Smettila, idiota!” si difese Tina, dandogli un piccolo
pugno su un braccio ed abbassando subito dopo lo sguardo per celare
l’imbarazzo.
Alessandro rimase a sghignazzare ancora qualche istante, poi vedendo
che l’amica aveva assunto un’aria seria e timorosa, smise
gradualmente.
“Che c’è, piccola?”
“Ale, non lo dirai a nessuno, vero?”
“No, certo che no”
Tina lo abbracciò di nuovo e lui la tenne stretta forte per tutto il tempo che le servì per tranquillizzarsi.
“Credo che sarebbe meglio uscire. Giulia sembrava davvero
preoccupata di lasciarti prima” rifletté Alessandro dopo
poco.
“Sì, ok”
Quando uscirono, videro effettivamente l’avvocato che camminava
avanti ed indietro per il corridoio con passo nervoso, lo sguardo basso
e le mani incrociate dietro la schiena. Avevano fatto appena qualche
passo, quando Giulia si accorse di loro. Corse incontro a Tina e le si
affiancò poggiandole una mano sulla spalla.
“Tutto a posto?” domandò apprensiva.
“Tranquilla” intervenne subito Alessandro sporgendosi oltre
Tina per vedere Giulia “Il cuore della tua principessa è
salvo, prode cavaliere. Non le ho fatto alcuna scenata … anche
perché avevo già capito tutto” fece spallucce con
tono ironico, dandosi delle arie.
“Sul serio?” chiese Giulia guardando ancora una volta Tina
e sondando il suo viso per cercare di carpirne le emozioni.
“Sì, è vero” confermò Tina, sorridendo tranquillamente e prendendo Giulia sottobraccio.
“Quindi, tutto a posto?” incalzò quest’ultima, stavolta rivolgendosi al ragazzo.
“Sì, tutto a posto. Ma ti avverto, falla soffrire, e la
prospettiva di trascorrere un giorno chiusa in uno sgabuzzino con
Emanuele, ti sembrerà il paradiso in confronto a quello che ti
farei passare io”
“Ah! Ci mancava l’avvertimento dell’amico
iper-prottetivo, che minaccia pene terribili” commentò
l’altra sarcastica, ma cominciando a rilassare le spalle
“Ti ha mai detto nessuno che sei davvero un cliché?”
Alessandro incassò la provocazione molto diplomaticamente. Si limitò a regalarle un sorriso di plastica.
“E a te ha mai detto nessuno che sei fortunata?” rispose un
attimo dopo, occhieggiando verso Tina “Trattala bene”
concluse strizzando l’occhio in maniera complice
all’avvocato.
“Bene, abbiamo la sua benedizione, amore. Contenta?” Giulia
le passò una mano dietro la schiena stringendola a sé per
un fianco.
“Non credevo fosse così semplice” commentò Tina, mostrando un’espressione riflessiva ma serena.
“Anche io dubitavo che Alessandro avesse un cervello funzionante,
in effetti. Evidentemente mi sbagliavo, non solo ne ha uno ma lo sa
anche usare” scherzò l’altra, facendo ancora una
smorfia buffa al ragazzo.
“Ehi, grazie per la fiducia eh” si lamentò
Alessandro, poi sbuffando allungò il passo distanziando le due
ragazze e muovendosi all’indietro per poterle guardare ancora un
attimo “Vi lascio piccioncine, vado a controllare la ciurma prima
che mi si scannino” così dicendo diede loro le spalle e
sparì velocemente nel corridoio.
Le ragazze si fermarono, guardandolo andar via, poi Giulia si
posizionò davanti a Tina. Le posò entrambe le mani sulle
spalle e la fissò negli occhi con un sorriso luminoso.
“Il primo passo è andato. Come ti senti?”
“Come se mi fossi tolta un macigno dallo stomaco” Tina
espirò violentemente, come a voler sottolineare il sollievo che
provava “Alessandro è stato un po’ un banco di
prova. Capisci che voglio dire?”
Giulia le accarezzò una guancia ed annuì.
“Se lui l’ha presa così bene, reagendo come se fosse
una cosa quasi scontata, allora non è detto che possa suonare
strano agli altri. Giusto?” continuò Tina concitata,
gesticolando leggermente, preda di una frenetica liberazione.
“Giusto” confermò Giulia radiosa. Continuava ad accarezzarle il viso, non riuscendo a smettere di fissarla.
“Che c’è?” indagò quindi Tina, inclinando il viso di lato con fare curioso.
“Hai una luce diversa negli occhi. Sei così bella quando sorridi”
Tina si sciolse in un’espressione imbarazzata, abbassò lo
sguardo con una piccola smorfia impacciata e si gettò tra le sue
braccia, nascondendo il viso sulla sua spalla.
Giulia la tenne stretta, respirando piano tra i suoi capelli, con gli occhi socchiusi.
“Amore” la chiamò dopo un po’ “Devo proprio andare ora”
Tina si scostò un po’ a malincuore, le prese entrambe le mani stringendole tra le proprie.
“Ci vediamo stasera?” le chiese speranzosa.
“Certo, ti aspetto a casa per cena. Ok?”
“Porto io il vino!”
“Ci hai preso gusto, eh” la prese in giro Giulia.
“E’ stata colpa tua” l’accuso Tina scherzosa
“E’ un Valdichiana. E’ bianco, è frizzante ed
è freddo” la scimmiottò facendo le moine.
Giulia rise, gettando un po’ indietro la testa.
“A stasera, mia piccola archeologa alcolica” le
lasciò un veloce bacio sulle labbra, poi si voltò
incamminandosi.
Tina le tenne le mani finché poté, le lasciò
andare trascinando i polpastrelli sulla sua pelle. Restò a
guardare le sue spalle mentre si allontanava e spariva dal corridoio.
Quella sera, la cena la consumarono fredda, tra le lenzuola ancora calde.
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Insomma? Vi sta piacendo il continuo di questa storia o no?! Non mi dite più nulla xD
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Capitolo 22 *** Capitolo 22 ***
Capitolo 22
CAPITOLO 22
Quel fine settimana trascorse molto velocemente. Giulia fu impegnata
con del lavoro arretrato, che la tenne occupata per la maggior parte
del tempo. Tina, anche su insistenze della sua ragazza, trascorse il
sabato sera con i suoi amici.
Alessandro aveva organizzato una festa molto informale a casa sua.
C’erano tutti i colleghi archeologi ed altri amici, e amici di
amici di amici. Come al solito. Popolavano con il loro chiacchiericcio
allegro il piccolo bilocale di Alessandro.
Tina, che conosceva bene quella casa, si muoveva tranquilla ed a
proprio agio per aiutare l’amico a tenere sotto controllo scorte
di cibo ed alcool. Di tanto in tanto si scontrava con Marco, che
trascinava un po’ ovunque il suo viscido sorriso, tentando di
stringere quante più amicizie opportuniste fosse stato in grado
di trovare.
“Ma dovevi proprio invitarlo quello lì?” borbottò Tina ad Alessandro con espressione infastidita.
Erano in cucina, spadellando un’altra ondata di pop-corn.
“E dai, siamo qui per divertirci e passare un sabato sera
tranquillamente. Non mi attaccare storie” la riprese
l’amico, sventolandole un cucchiaio contro.
“Si ma quello mi sta proprio sulle …”
“Tina!”
“Chi è che ti sta sulle palle, principessa?”
Emanuele fece il suo ingresso trionfale, armato di heineken in una mano
e sigaretta nell’altra.
“Manu, non in cucina” lo bacchettò la ragazza, sventolando una mano davanti al viso per cacciare via il fumo.
“Marco” rispose invece Alessandro “Ancora con quella
storia. Perché non ci provi tu a ficcarle in quella testolina
bacata che è un nostro collega e ce lo dobbiamo tenere il
più buono possibile per il bene della campagna di scavo?!”
Emanuele spense la sigaretta in un bicchiere abbandonato sul tavolo con
l’ultimo goccio di birra e rivolse a Tina uno sguardo sconfitto.
“Ha ragione” confermò facendo spallucce.
La ragazza sbuffò irritata e tornò a scuotere la padella,
in cui cominciavano a scoppiettare i chicchi di mais tostato, forse con
più energia del dovuto.
Più tardi, erano tutti più o meno stravaccati in ogni
posto della casa che lo rendesse possibile. Sul divano in salotto, sul
tappeto in salotto, sulle sedie, alcuni sulla scrivania di Alessandro,
da cui il portatile era stato preventivamente spostato. Tina si
guardò intorno, cominciando a sentire una certa stanchezza,
controllò l’ora, erano già le due. Si
trascinò fino ad una poltrona nell’angolo accanto al
balcone e si lasciò cadere come un sacco di patate addosso ad
Emanuele.
“Ahi, guarda che non sei fatta di solo spirito … sei anche
carne e pesi!” si lamentò il ragazzo muovendo le ginocchia
per sistemarsi.
Tina ridacchiò, si spostò appena in modo da non fargli
troppo male ma non si alzò. Sfilò dalle sua mani la
bottiglia di birra e fece un sorso.
“Ma prego … serviti pure” commentò caustico Emanuele.
“Eh, ma quanto ti lamenti stasera!” lo prese in giro lei “Hai visto Ale?”
Emanuele spostò lo sguardo sul divano alla loro destra, in un
angolo c’era proprio Alessandro che chiacchierava con Maria. In
realtà i due erano fin troppo vicini e sorridevano intimi,
guardandosi complici.
“Beato lui che stasera concluderà la serata abbracciando
una donna, anziché una bottiglia di birra” commentò
sarcastico.
“Ma tu puoi abbracciare me, piccolo cucciolo randagio” Tina
gli scompigliò i capelli, con accento ingenuo e giocoso.
Emanuele la trapassò con uno sguardo serio e fin troppo freddo.
“Non mi pare proprio il caso” borbottò scorbutico, scansandola ed alzandosi di scatto.
Tina ricadde con il sedere sulla poltrona, osservandolo allontanarsi,
smarrita. Si alzò per raggiungerlo in cucina. Lo trovò
poggiato con entrambe le braccia tese sul piano del lavello e la testa
infossata tra le spalle.
“Manu ... ho fatto qualcosa che …”
“Sì, Tina. Hai fatto qualcosa” si voltò di
scatto verso di lei con gli occhi leggermente dilatati “Hai
cambiato per caso idea, riguardo a noi due?”
“No, Manu … io volevo solo …”
“Ecco, allora lascia perdere. Non giocare con me. Lasciami
perdere” scosse la testa con fare sconfitto e malinconico.
“Ma io credevo che fossimo tornati ad essere amici, che fosse
tutto come prima” protestò Tina con cadenza lamentosa
“Tu avevi detto che …”
“Lo so cosa ho detto” la interruppe lui, stringendo i denti
“Evidentemente ho sbagliato, non ne sono capace” a testa
bassa si avviò all’uscita a grandi passi
“Scusami” le sussurrò sfrecciandole affianco.
Tina rimase completamente spiazzata da quella reazione, con un senso di
amaro in bocca. Cinque minuti dopo, tornò nel salotto e
scoprì che i ragazzi stavano tutti salutando per tornare a casa.
Quando rimasero nella stanza solo lei, Alessandro e Maria, si
avvicinò ai due ragazzi, in piedi accanto al divano.
“Maria, ti serve un passaggio? Ho la macchina qui sotto” si
sporse oltre le spalle dell’amico per parlare alla ragazza con un
sorriso cordiale.
Quella tossicchiò un paio di volte, poi distolse lo sguardo arrossendo leggermente.
“No, tranquilla. Lei resta a bere un ultimo goccio. Poi la
riaccompagno io” intervenne Alessandro con tranquillità.
Tina annuì semplicemente, si avvicinò al ragazzo
abbracciandolo per salutarlo, poi si sporse verso Maria ed alzò
la mano in segno di saluto.
Il lunedì sera, dopo una giornata particolarmente stressante,
Tina era stesa sul divano di Giulia con la testa poggiata sulle
ginocchia di quest’ultima. Giulia le accarezza i capelli e lei
aveva chiuso gli occhi, ronfando il suo compiacimento quasi come una
gatta. L’avvocato la tirò fuori da quel torpore con un
soffice bacio sulle labbra. Tina aprì piano gli occhi e le
regalò un luminoso sorriso.
“Ti ho sentita un po’ giù in questi giorni. Tutto a
posto?” domando Giulia, allungando l’altra mano sul suo
stomaco ed infilandola sotto il maglione per accarezzarla pigramente.
Tina la guardò da sotto in su, un po’ incerta, con il sorriso che le traballò sul viso.
“In realtà c’è qualcosa di cui vorrei parlarti”
“Dimmi”
Tina si alzò lentamente, sfilò le scarpe e piegò
le ginocchia al petto stringendole con le braccia, portando poi lo
sguardo su Giulia. Quest’ultima attese pazientemente, con le
gambe incrociate sul divano, avvolte da un pantalone di tuta. Tina,
infatti, l’aveva raggiunta solo una mezz’ora prima, dopo
averla chiamata per chiederle se si potessero vedere. Lei, che era
appena rientrata, le aveva chiesto di lasciarle una ventina di minuti
per farsi una doccia. Quindi, quando la ragazza era arrivata,
l’aveva accolta lavata e vestita, con la sua mise casalinga.
“Sabato sera, beh … ho avuto uno scambio di battute con
Emanuele che mi ha lasciato l’amaro in bocca”
raccontò Tina in maniera piuttosto vaga.
Troppo, pensò Giulia, che infatti drizzò la schiena e sporse il viso in avanti, concentrata.
“Di che avete parlato?” le chiese con circospezione.
“Mah, niente, io ho fatto una battuta e lui … diciamo che
forse avrei potuto evitare” Tina si fermò riflessiva,
scordandosi completamente di Giulia che attendeva ansiosa di capirci
qualcosa.
“Amore, mi spieghi per bene, cortesemente?” le chiese,
infatti, tentando di mantenere un tono pacato. Traspariva, in
realtà un certo nervosismo, più che altro perché
Tina non si decideva a parlare.
“Sì, scusa” Tina le rivolse un piccolo sorriso mesto
“ Stavamo seduti su una poltrona e guardavamo Ale sul divano, che
stava chiacchierando con una tipa, allora Manu ha detto: << beato
lui che stasera si abbraccia una donna e non una bottiglia di birra
>> … o una cosa del genere” si fermò un
attimo per assicurarsi che Giulia la seguisse, quest’ultima
annuì invitandola a proseguire “E io gli ho scompigliato i
capelli e gli ho detto: << ma puoi abbracciare me, piccolo
cucciolo randagio >>, e lui si è arrabbiato. E’
scappato in cucina e quando l’ho raggiunto mi ha chiesto se
avessi cambiato idea riguardo a noi due”
“E tu?” scattò a chiedere Giulia, senza darle il
tempo di arrivare naturalmente a raccontare la propria risposta.
“E io gli ho risposto di no, ovvio” assicurò Tina
“E allora lui mi ha detto di non giocare e di lasciarlo perdere,
e che ha provato a fare l’amico ma non ci riesce”
“Beh, non ha tutti i torti” commentò Giulia serafica.
“Ma io l’ho fatto in buona fede, volevo solo giocare
… come abbiamo sempre fatto” si difese l’altra con
veemenza.
Giulia scosse il capo con aria comprensiva.
“Lo so, tesoro, ma non puoi pretendere che sia tutto come prima.
Non dopo che lui ti ha confidato di provare qualcosa per te” le
si avvicinò strisciando piano sul divano e le posò una
mano su una guancia “Quando senti qualcosa per qualcuno, ti fa
male toccarlo senza realmente poterlo avere, parlargli senza riuscire a
dirgli veramente quello che vorresti, guardarlo e non vedere la tua
ombra riflessa nei suoi occhi” mosse piano il pollice per
accarezzarle il viso e confortarla “Lo sai che non mi è
simpatico Emanuele, ma riesco ad immaginare quello che sta
passando”
Tina sospirò pesantemente ed abbassò il capo sotto il peso di quelle parole.
“Hai ragione” mormorò fiaccamente “Vorrei
davvero che potessimo tornare ad essere amici, ma forse non si
può”
Giulia sentì un nodo stringerle lo stomaco nel vederla
così abbattuta, quindi la prese tra le braccia trascinandola sul
proprio corpo e la strinse forte. Tina poggiò il capo sulla sua
spalla e le cinse la vita.
“Questo non significa che non possiate avere rapporti
civili” puntualizzò Giulia un attimo dopo “E con il
tempo potrete sempre ritrovarla, la vostra amicizia, quando lui ti
avrà finalmente dimenticata”
Tina annuì rincuorata e si rilassò tra le sue braccia, lasciandosi accarezzare nuovamente i capelli.
Erano sedute a tavola, quando il cellulare di Tina cominciò a
squillare. Si affrettò a masticare ed ingoiare un boccone, prima
di rispondere.
“Pronto”
“Tina, sono due giorni che non chiami! Quante volte te lo devo
dire che così mi fai preoccupare?!” la voce di sua madre
le arrivò chiaramente alterata.
L’archeologa non poté fare a meno di sgranare gli occhi, sorpresa ed un po’ impacciata.
“Chi è?” le sillabò Giulia, avendo notato la sua reazione.
“Mamma” rispose Tina ad alta voce, rispondendo così
ad entrambe le donne “Ho avuto da fare a lavoro, scusa”
“E’ lunedì, Tina” le fece notare la madre un
po’ burberamente “Hai lavorato di sabato e domenica?”
chiosò retorica.
Tina si morse un labbro e si alzò, cominciando a camminare per la stanza dando le spalle a Giulia.
“Mamma, ma non tengo il conto dei giorni in cui ti chiamo. E poi
se volevi sentirmi potevi anche chiamare tu, tanto lo sai che io mi
dimentico” si giustificò.
Giulia la osservò girare attorno al divano con una mano a
sorreggere il cellulare accanto all’orecchio e l’altra
portata alle labbra per mangiucchiare nervosamente un’unghia.
“Vabbuò vabbuò, si capa tost comm e’ semp”
la liquidò la madre, ritrovando un tono più calmo
“Come stai? Hai mangiato? Fa freddo lì? Ho visto il
telegiornale in questi giorni, dicono che potrebbe nevicare anche
lì da voi”
Tina sospirò roteando gli occhi innervosita.
“Sto bene. Stavo appunto cenando. E sì, fa freddo. La neve
non è ancora caduta, ma se succedesse non mi dispiacerebbe,
Siena sarebbe magica tutta innevata” elencò meccanicamente.
“Eh, che tieni da rispondere così scocciata” la
rimproverò la madre “Sembra sempre che ti scocci di
parlare quando ti chiamo io” terminò con voce fiacca.
Tina si passò una mano tra i capelli. Si voltò verso
Giulia, la vide fissarla in silenzio, con uno sguardo incuriosito.
Quando l’avvocato si accorse che l’altra si era girata, le
regalò un piccolo sorriso sereno.
“Scusa, mamma” Tina prese un profondo respiro, riuscendo a
calmarsi “Mi hai preso in un momento particolare. Sono a cena da
alcuni amici e mi sembra maleducato stare a parlare a telefono”
improvvisò.
Giulia alzò un sopracciglio con aria ironica, guardandosi
attorno e poi indicandosi, chiarendo che in realtà era
l’unica ad occupare la casa oltre lei. Tina le restituì
un’occhiata fugace e fece spallucce.
“Va bene, ho capito” le assicurò la madre ritrovando
una cadenza neutra “Volevo solo sapere quando arrivi”
“Pensavo di partire il 27 mattina, in modo da essere da voi per
pranzo. E ripartire il 30 pomeriggio, per arrivare prima di sera qui a
Siena”
“Il 27?! Ma comm, non stai con noi a Natale?” domandò la donna risentita.
“E allora?” ribatté Tina candidamente.
“Ci sta zia Concetta che ti vuole vedere, e poi c’è
Carmela che è incinta. Te l’ho detto che Carmela è
incinta? Non le vuoi fare gli auguri? E zio Pasquale e zia Maria hanno
detto che vengono da Benevento a Santo Stefano. Ci devi stare a Natale
e pure alla Vigilia, che zia Concetta mi ha detto che viene pure Mario
da Milano …”
“Va bene, va bene. Mamma, ho capito!” Tina la interruppe
bruscamente, gettando un’occhiata di sbieco a Giulia e poi
voltandole nuovamente le spalle prima di riprendere a parlare
“Parto il 23, di pomeriggio però, quindi arriverò
di sera. E poi me ne ritorno qui il 30. Va bene così?”
“Ecco, brava” approvò la madre soddisfatta “E mo vatten va’, sennò fai brutta figura con gli amici tuoi, va’ ‘a mammà, va’ ” la salutò affettuosamente.
Tina lasciò che le labbra le si incurvassero all’insù.
“Va bene, ci vediamo presto allora. Saluta papà” le disse, ora più tranquilla.
Dopo aver messo giù, tornò al tavolo con lo sguardo
basso, per evitare di incrociare quello di Giulia. Sedette in silenzio
ed afferrò il bicchiere buttando giù un lungo sorso di
vino.
L’avvocato la osservò in silenzio per alcuni istanti, poi
si allungò sul tavolo e le spostò una ciocca di capelli
dagli occhi. Vide Tina alzare uno sguardo incerto su di lei, che
l’accolse con un sorriso semplice e rassicurante.
“Tutto bene?”
“Volevo passare il Natale con te, invece mia madre mi ha incastrata”
“Sì, ho sentito. Ma non fa niente, amore. Staremo insieme a capodanno”
“Non sei arrabbiata?” indagò Tina, incurvando le sopracciglia con aria sorpresa.
Giulia ritrasse la mano, rimettendosi dritta con una posa molto rilassata.
“Beh, mi dispiace. Ma non fa niente, è la tua famiglia,
è normale che vogliano passare del tempo con te, ed è
giusto che tu passi le feste con loro”
Tina allungò una mano sul tavolo per intercettare quella di Giulia ed intrecciare le loro dita.
“Sei fantastica, te l’ho mai detto?!” le confidò sorridendo felice.
Giulia fece finta di soffiarsi sulle unghie per poi lucidarle sulla
stoffa della maglietta, mentre ammiccava comicamente verso la sua
ragazza.
Dopo cena si spostarono sul divano, dove guardarono un dvd e si
coccolarono, fin quando fu ora di andare per Tina. Giulia insistette
per farla rimanere a dormire da lei, ma l’altra oppose un deciso
rifiuto: il giorno seguente avrebbero dovuto entrambe lavorare e lei ne
aveva già fatte abbastanza di magre figure con Alessandro a
causa delle ore piccole fatte per essere rimasta a casa sua.
Il martedì pomeriggio Tina era appena uscita
dall’Università. Il sole era già tramontato ed un
vento sferzante sibilava tra le vie del centro. Attraversò
Piazza del Campo tagliandola in due, con la testa leggermente piegata
in avanti per proteggere gli occhi dal vento ed il cappuccio del
giubbino che le ricadeva quasi fin sopra al naso e le impediva di
vedere esattamente dove metteva i piedi. Non fu una sorpresa, quindi,
quando si scontrò con qualcuno.
“Oh cavolo! Mi scusi, io non stavo guardando …” Tina
alzò lo sguardo mortificata, ma si zittì sorpresa, quando
si accorse di chi le stava di fronte.
“Toh, guarda chi si vede” la canzonò la voce allegra di Alessia.
“Alessia. Ciao!”
“Dove ce l’avevi la testa? Per caso tra le braccia di una rossa di mia conoscenza?”
Tina sorrise divertita, ma negò con la testa.
“No, cercavo solo di ripararmi dal vento”
“Già, è davvero fastidioso” constatò
l’altra storcendo il naso “Che ne dici di una cioccolata
calda al riparo da questo freddo?”
“Certo, volentieri”
Si incamminarono verso uno dei tanti bar che costellavano la piazza e
presero posto all’interno, sospirando finalmente di sollievo e
liberandosi dei cappotti.
“Allora, che ci facevi da queste parti?” domandò
Alessia, mentre sistemava la giacca e la borsa sulla spalliera della
sedia ed alcune buste ai suoi piedi.
“Tornavo a casa dal lavoro. E tu?”
“Facevo compere”
“Si, ho notato” Tina ridacchiò indicando con lo sguardo le ingombranti buste sotto il tavolino.
Il cameriere arrivò ad interromperle per prendere le
ordinazioni. Chiesero due cioccolate, con panna, specificò Tina
strizzando l’occhio ad Alessia.
“Cos’hai comprato di bello?” domandò subito dopo.
“Ah niente di speciale” Alessia gesticolò vagamente
con una mano “Un paio di scarpe, una sciarpa, due o tre maglie ed
una borsa per Giulia”
“Una borsa per Giulia?” indagò Tina sorpresa.
“Sì, come regalo” affermò l’altra con tono ovvio.
“Regalo?! Regalo per cosa?” insistette Tina.
“Oh Dio!” esclamò Alessia cominciando a ridacchiare
incredula “Non posso credere che non te l’abbia detto”
“Dirmi cosa?”
“Giulia è nata il 22 Dicembre”
“Cosa?” Tina sgranò gli occhi incredula “Ma è oggi!”
Alessia annuì compunta, nascondendo un sorrisino sotto i baffi.
“Ma io non le ho preso niente. E lei non mi ha detto niente. Non
so nemmeno se ha intenzione di uscire, di organizzare qualcosa.
Perché non mi ha detto niente?” Tina parlò a
raffica, agitando le mani freneticamente.
Alessia gliele prese e le posò sul tavolino assieme alle sue. La
guardò negli occhi sorridendo divertita, ma rassicurante.
“Tranquilla, che Giulia non ci tiene particolarmente al suo
compleanno. Non ha intenzione nemmeno di festeggiare, probabilmente per
questo non te l’ha detto” le spiegò, storcendo il
naso, apparentemente infastidita dall’indifferenza della sua
amica a quella celebrazione “Io pensavo di passare ora da casa
sua per portarle il mio regalo … e farla irritare”
concluse ridacchiando “Ogni anno mi raccomanda di non prenderle
niente … raccomandazione che, ovviamente, io ignoro
sistematicamente”
Tina la guardò negli occhi, con un sorriso vago, non del tutto soddisfatta di quella spiegazione.
“Però avrebbe potuto dirmelo” si lamentò infatti.
Alessia si allungò un po’ sul tavolino, sporgendosi verso di lei ed abbassando il tono di voce.
“Giulia non ha un buon rapporto con il suo compleanno,
perché non ha un buon rapporto con il tempo che passa” le
confidò con una smorfia crucciata.
“Ma compie solo trentatré anni” constatò Tina con ingenuo stupore.
“Lo so” ammise Alessia con un sospiro sconfitto, facendo
spallucce “E’ da quando ne ha compiuti trenta che ha il
terrore di non riuscire a realizzare tutti i suoi progetti”
Il cameriere le interruppe, portando loro le due cioccolate. Restarono
a chiacchierare ancora una decina di minuti. Poi Alessia si
scusò, dicendo di dover scappare a sbrigare alcune faccende
prima di andare da Giulia. Tina si alzò con lei, insistendo per
pagare le cioccolate e chiedendo in cambio ad Alessia di non dire a
Giulia che lei ormai sapeva del suo compleanno, quando l’avesse
vista.
Tina tornò a casa, dopo essere passata in pasticceria a prendere
una torta per Giulia. Si concesse una doccia veloce per scacciare la
stanchezza della giornata. Chiamò la sua ragazza e le chiese che
programmi avesse per quella sera, Giulia le disse che non aveva niente
da fare, era appena andata via Alessia, che era passata per un saluto,
e lei stava per improvvisare qualcosa in cucina. L’avvocato le
chiese di raggiungerla per cenare insieme e Tina accettò senza
lasciarsi pregare.
Mezz’ora più tardi, bussava alla sua porta.
“Ciao” Giulia le aprì accogliendola con un grande sorriso.
“Ho portato il dolce” le rispose Tina, alzando tra i loro
visi il cartone colorato che reggeva in mano. Senza attendere oltre, si
sporse a baciarla velocemente poi le sgusciò accanto e
andò dritta verso la cucina.
“Non dovevi disturbarti” le fece eco Giulia seguendola
“Ma già che l’hai fatto … che dolce
è?” aggiunse divertita.
“Guarda da te” Tina le porse il cartone con un sorriso furbo in viso.
Giulia la guardò perplessa, poi l’accontentò.
Poggiò l’involucro sul piano della penisola e
l’aprì. Quando ne vide il contenuto, allargò gli
occhi ed assunse un’espressione stupita. Sulla piccola torta
rotonda campeggiava la scritta “Buon compleanno”
Tina fece velocemente il giro del tavolo e l’abbracciò per un fianco stampandole un rumoroso bacio su una guancia.
“Buon compleanno, amore mio” cinguettò allegra.
Giulia le rivolse uno sguardo smarrito, saltellando con gli occhi tra lei ed il dolce che ancora reggeva tra le mani.
“Come … chi …”
“Alessia”
“Ma certo! Quella strega” borbottò a mezza voce l’avvocato.
“E dai, Giulia” la riprese bonaria Tina “ Guarda che
ci sarei rimasta male, se non l’avessi proprio saputo” le
confidò con espressione mesta.
Giulia la fissò con aria combattuta, poi pian piano le rughe che
le aveva solcato la fronte si distesero e le sue labbra si stirarono in
un sorriso felice che illuminò anche gli occhi.
“Grazie” le disse sincera, avvicinandosi per darle un bacio colmo d’amore e gratitudine.
Tina le strinse forte il viso tra le mani e lo ricoprì di
piccoli, frenetici e rumorosi baci, scatenando le risate ilari
dell’altra.
“Questa la mettiamo via per ora” disse poi un attimo dopo,
sfilando la torta dalle mani di Giulia “E ora mangiamo, che sto
morendo di fame”
Cenarono accompagnate dal rumore in sottofondo della tv accesa alle loro spalle.
Quando fu il momento della torta, Tina cacciò una candelina da
una tasca e ce la piazzò al centro. Giulia scosse la testa
risoluta non appena la vide, ma l’archeologa ebbe la meglio dopo
cinque stancanti minuti di battaglia retorica. Giulia alzò gli
occhi al cielo, cedendo alla sua ostinazione, e soffiò sulla
candelina.
Quando ebbero finito anche il bis di dolce, Tina si alzò e fece
il giro del tavolo piazzandosi davanti a Giulia. Le poggiò le
mani sulle ginocchia e le fece aprire le gambe per potersi infilare tra
di loro. L’altezza dello sgabello sul quale era seduta
l’avvocato, faceva in modo che fossero praticamente faccia a
faccia. Tina le passò le mani dietro il collo, Giulia le si
avvinghiò alla vita. Si fissarono negli occhi per qualche
minuto, senza dire nulla, lasciando parlare i loro gesti, i loro corpi
ed i loro sguardi. Poi Tina si sporse lentamente verso di lei,
prendendosi un bacio dolce e prolungato.
Quando si divisero, la prese per una mano e la portò nel salone.
La lasciò un attimo in piedi da sola, il tempo di sistemarsi
accucciata con le spalle poggiate nell’angolo del divano.
Aprì le gambe e fece segno a Giulia di raggiungerla. Questa
sorrise raggiante ed andò ad accoccolarsi tra le sue ginocchia,
poggiandole la schiena contro il petto. Tina le circondò il
busto con le braccia incrociando le mani sotto il suo seno e Giulia
piegò la testa all’indietro sulla sua spalla.
“Alessia mi ha detto che hai una certa reticenza a festeggiare i
tuoi compleanni” mormorò piano Tina, accarezzandole
pigramente lo stomaco.
“Uhm … sì, è vero” ammise evasiva Giulia.
“Perché?” domandò ancora l’altra.
“Ogni anno che passa, è un anno in meno che ho per
realizzare i miei sogni” confessò Giulia con
sincerità.
Tina le posò un soffice bacio su una tempia.
“Cosa sogni?” insistette curiosa, mantenendo un tono basso e carezzevole.
Giulia prese un profondo respiro. Tina sentì le sue costole tremare sotto le proprie mani.
“Vorrei aprire uno studio tutto mio” le confidò
l’avvocato, parlando piano come lei “Vorrei occuparmi delle
donne, di quelle che hanno problemi a casa, a lavoro, in famiglia, per
l’orientamento sessuale o la religione. Vorrei fare qualcosa di
importante, per loro”
“E’ una cosa molto bella” commentò Tina
strofinando il naso contro la sua mascella “E
cos’altro?”
“E poi …” Giulia si bloccò esitante, poi
gettò fuori l’aria con un colpo secco e con essa le parole
“Vorrei costruire una famiglia. Vorrei dei figli”
Tina alzò un braccio, avvicinando una mano alla sua testa e le spostò affettuosamente i capelli dalla fronte.
“Hai tutto il tempo per fare queste cose” le sussurrò dolcemente, con voce calda e confortante.
“Uhm” Giulia storse le labbra in una smorfia scettica
“Passati i trenta, è un attimo arrivare ai quaranta”
“Paura di invecchiare?” Tina le pizzicò un fianco con fare scherzoso.
“Anche” confermò l’altra.
“Ma non devi” Tina avvicinò la bocca al suo orecchio
e strinse più forte la presa attorno al suo corpo
“Perché sei intelligente, affascinante, indipendente,
realizzata e bellissima” le posò un umido bacio sul collo
“Soprattutto bellissima” rimarcò languida salendo a
morderle giocosamente un lobo dell’orecchio.
Giulia piegò istintivamente il collo dal lato opposto,
invitandola inconsciamente ad approfondire quelle carezze. Chiuse gli
occhi e rimase semplicemente a godersi i brividi, che il respiro
bollente di Tina sul collo, le stava causando.
“Sai, non ho avuto il tempo di prenderti niente”
vagheggiò Tina, sempre usando un tono basso ed una cadenza un
po’ strascicata, mentre una mano si staccava dal suo stomaco e
scendeva più in basso infilandosi sotto la maglia.
“Non importa” mugugnò Giulia, alzando mollemente un
braccio all’indietro per intrecciare le dita tra i capelli della
sua ragazza.
“A me sì, invece” replicò l’altra,
spostando il viso in avanti per arrivare con le labbra a sfiorare il
profilo della sua bocca “Quindi ho pensato di rimediare superando
per te un mio blocco, che è più mentale che fisico”
fece scendere ancora la mano che, dalla pancia, arrivò al bordo
dei jeans e fece scivolare il bottone fuori dall’asola.
Gli occhi di Giulia si aprirono di scatto.
“Di che stai parlando?” pronunciò con voce un po’ roca ed incerta.
Tina finì di abbassare anche la zip del jeans, poi la prese per
le spalle e la spostò delicatamente dal proprio corpo.
Sgusciò via e scivolò in ginocchio sul pavimento. Fece in
modo che Giulia sedesse dritta con i piedi puntati a terra e le spalle
poggiate al divano. Separò le sue ginocchia e ci si
infilò in mezzo.
Giulia la osservava muoversi decisa e disinvolta con un misto di stupore ed eccitazione.
“Ho deciso di fare quello che fino ad ora non sono mai riuscita a
fare” spiegò Tina con sguardo audace e sicuro. Le
afferrò i bordi del pantalone sui fianchi e diede qualche
strattone, attendendo che lei capisse e l’assecondasse.
Istintivamente Giulia alzò il bacino, mantenendo sul suo viso uno sguardo sempre più turbato.
Tina sorrise soddisfatta e le fece scorrere il jeans sulle gambe, fino
alle caviglie, trascinando con sé anche l’intimo. La
liberò dell’ingombro, gettando quell’ammasso di
stoffa alle proprie spalle.
Sfiorò le sue gambe con i polpastrelli, dalla caviglia fino
all’inguine ed intanto allungò il busto su di lei e
andò a rubarle un bacio ruvido e prepotente.
Quel contatto strappò Giulia dai suoi pensieri, riportandola
alla realtà. Le passò una mano dietro la nuca
stringendole forte i capelli, mentre ricambiava il bacio con
altrettanto ardore.
Tina si staccò dalle sue labbra con uno schiocco sordo e
percorse, sfiorandolo con il naso, tutto il profilo del suo busto verso
il basso, fino a fermarsi al centro del suo inguine. Alzò lo
sguardo verso Giulia e sorrise compiaciuta nel vederla decisamente
scomposta e spiazzata rispetto al suo solito.
“Dovrai guidarmi, forse, e dirmi come muovermi” la avvisò con un sorriso tranquillo.
Giulia la osservò senza parlare per qualche attimo, vederla
chinata tra le sue gambe le aveva attorcigliato lo stomaco e la lingua.
Cercò di ritrovare un ritmo di respiro regolare, poi alzò
piano una mano poggiandola mollemente sui suoi capelli ed annuì
semplicemente. Quando poi la vide abbassare il viso per affondarlo tra
le sue cosce, gettò la testa all’indietro espirando
violentemente.
Quella sera, Giulia non dovette dirle molto in realtà,
perché Tina se la cavò piuttosto bene con la propria
fantasia. Quei pochi appunti che aveva da farle, Giulia non glieli
disse a voce, preferì mostrarglieli praticamente utilizzando
proprio lei come cavia.
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Grazie per i commenti! Aspetto altre impressioni su questo capitolo
che, ammetto, a me piace particolarmente...lo trovo molto intimo xD
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Capitolo 23 *** Capitolo 23 ***
La mattina
successiva, mercoledì 23 Dicembre, l’avvocato
tentò di ritardare più possibile
il momento in cui Tina sarebbe dovuta andar via. Riuscì a
trattenerla fino a
pranzo, adducendo come valido motivo che non si sarebbero riviste fino
al 30
Dicembre. In verità avevano trascorso praticamente tutta la
mattinata a letto a
rotolarsi tra le lenzuola. Tina aveva preso le ferie il giorno prima,
l’Università non avrebbe riaperto fino al 7
Gennaio. Giulia invece aveva
chiamato in ufficio ed aveva avvertito la segretaria di spostare gli
appuntamenti che aveva per quel giorno, dato che non sarebbe andata a
lavoro a
causa di una fastidiosa indigestione. Tina aveva cercato di rivestirsi
e metà
mattina, per sgattaiolare in cucina a fare colazione, ma
riuscì appena ad
infilare i jeans, prima che Giulia la riacciuffasse, la spogliasse e la
rituffasse a letto assieme a lei. Salvo poi, essere intenerita dai suoi
occhioni luccicanti, e quindi scendere lei stessa in cucina per
prepararle la
colazione e portargliela su, direttamente a letto. Dopo pranzo, Tina
decise di
rivestirsi e Giulia non le si oppose, anzi rimase seduta a gambe
incrociate al
centro del letto, godendosi lo spettacolo della sua ragazza, che si
liberava
velocemente della tuta che lei le aveva prestato, rimanendo per qualche
istante
completamente nuda, per poi rientrare nei propri vestiti.
L’accompagnò
alla porta e la trattenne lì per altri cinque minuti,
bloccata con le spalle
contro lo stipite dal suo corpo, mentre la baciava. Infine, Tina
guardò
l’orologio e capì che doveva proprio andare.
Riuscì a fare in modo che Giulia
smettesse di ritirarla a sé, ogni volta che cercava di
superare la soglia
d’uscita, prospettandole l’eventualità
che avrebbe dovuto guidare di notte in
autostrada, in un giorno prefestivo in cui il mondo intero si sarebbe
riversato
in autostrada. L’avvocato sospirò ed
alzò entrambe le mani arrendendosi e
lasciandola uscire, non prima di averle raccomandato di guidare piano.
Come
aveva
previsto, Tina arrivò a Napoli a sera inoltrata.
Trovò a fatica un posto per
l’auto, nei dintorni del vecchio palazzo scrostato in cui
ancora vivevano i
suoi genitori. Si erano trasferiti lì quando lei aveva solo
dieci anni,
all’epoca la zona era tranquilla, al centro ma non troppo,
vivace ma non
trafficata. Con il tempo era un po’ degradata, avevano aperto
qua e là sale da
scommesse e sale giochi, frequentate da persone non troppo
raccomandabili.
Tuttavia i suoi genitori, si ritenevano ormai troppo grandi e stanchi
per
affrontare un altro trasloco, tanto più che casa loro era
grande, luminosa ed
aveva pure un piccolo terrazzino a livello.
Si
trascinò
fino al portone con un borsone blu che le pendeva dalla spalla sinistra
ed aprì
con le chiavi, che ancora conservava per le emergenze.
Davanti
alla porta, però, preferì bussare,
cosicché a sua madre non venisse un colpo
nel vedersela arrivare davanti. La porta si aprì dopo
qualche minuto.
“Tina!
Entra a mammà,
entra” la madre,
Rosaria, la trascinò dentro per un braccio “Hai
fatto tardi. Hai guidato di
notte. Mannagg a capa toja, potevi
partire prima no?! Hai mangiato? Stai stanca?”.Tina si
lasciò travolgere dalle sue domande, mentre la osservava.
Era alta, forse
qualche centimetro più di lei addirittura, e smilza. Aveva
il viso ovale,
allungato e un po’ scavato sulle guance, e delle rughe che le
segnavano la
bocca. Gli occhi, di un verde scuro come il fondo di una bottiglia,
Tina glieli
aveva sempre invidiati, erano tremendamente espressivi. I capelli,
invece, neri
come la notte e crespi, era sempre stata contenta di non averli
ereditati. Non
avrebbe saputo come domarli ed infatti la madre non li domava affatto,
li
lasciava liberi di prendere di giorno in giorno la forma che
più li aggradava.
Tina non aveva mai sopportato la parlantina di sua madre, quel suo
porre
infinite domande senza attendere risposta. Si rendeva conto che a volte
anche
lei partiva in quarta e le assomigliava, in quei momenti si mordeva
forte la
lingua e si malediceva. Tuttavia, sua madre le era mancata, quindi le
sorrise
sinceramente contenta di rivederla e si sporse per abbracciarla.
“Ciao
mamma”
le disse piano accanto all’orecchio.
Rosaria si
sciolse di fronte a quell’abbraccio, sapeva che la figlia non
si lasciava
andare spesso a certe effusioni, così lasciò
perdere tutte le domande e si
limitò a ricambiare la stretta.
“Poso
la
borsa in camera e vi raggiungo” disse Tina, dopo essersi
divisa dalla madre
“Papà è in salone a guardare la tv,
giusto?”
“Eh,
e quanno ‘u schiuov a chill
‘a còppa ‘o
divan” la madre agitò le mani in aria
con un chiaro segno di disappunto,
mentre si avviava verso la cucina “Fa
amprèssa ja, che io intanto ti riscaldo la
pasta”
Tina
non
ebbe il tempo di protestare che aveva già cenato,
poiché la donna scomparve
lungo il corridoio. Raggiunse, quindi, la sua vecchia stanza, che i
genitori
non avevano voluto cambiare di un millimetro. Odorava di pulito e non
c’era
neanche un granello di polvere, segno che probabilmente la madre aveva
passato
tutta la mattina a prepararla per il suo arrivo. Lasciò il
borsone ai piedi del
letto e raggiunse i suoi.
Entrò
in
salone quasi alla cieca, la luce era spenta, soltanto le immagini che
si
susseguivano sulla televisione accesa creavano una certa penombra.
Nell’angolo
più lontano del divano intravide la sagoma di suo padre. Si
fermò con la spalla
poggiata accanto allo stipite in silenzio, volendo vedere per quanto
tempo il
padre sarebbe riuscito a non notare la sua presenza. Gigi, diminutivo
di Luigi,
era l’esatto opposto della moglie, fisicamente e
caratterialmente. Il cranio
era ormai quasi del tutto lucido, solo una sottile corona di capelli
ingrigiti
gli circondava la nuca. Il viso era sempre sbarbato, se non fosse stato
per due
enormi baffi, anch’essi ingrigiti, che gli nascondevano del
tutto la bocca.
Aveva le guance piene e un po’ cadenti, sempre colorate di un
tenue rosso, cosa
che Tina aveva ereditato, assieme agli occhi dal taglio un
po’ allungato e di
un caldo marrone. In quel momento teneva il telecomando in bilico sullo
stomaco, che poi tanto in bilico non era visto che il suo stomaco era
più
spazioso del tavolinetto accanto al divano. Aveva il fisico del
pensionato, o
del giocatore di bocce che dir si voglia, con una pancia tonda e
pronunciata.
Dopo cinque minuti, Tina capì che non avrebbe mai ottenuto
l’attenzione di suo
padre senza palesarsi chiaramente nella stanza. Così si
mosse piano fino ad
arrivargli dietro le spalle.
“Ciao
papà”
mormorò abbassandosi e lasciandogli un bacio su una guancia
bollente.
“Oh,
piccerè”
reagì l’altro sorpreso ,
girando di poco il collo grassoccio verso di lei “Mi pareva
di aver sentito la
porta. Vieni qua, vieni” batté una grossa mano sul
divano accanto a lui.
“Come
stai?” domandò Tina, facendo il giro del divano e
sedendosi al suo fianco.
“Eh,
come
devo stare. La gamba mi da problemi, ma non mi lamento. Lo sai che
quella è
cosa che fa tua madre” un tremolio dei baffi
suggerì a Tina che stesse
ridacchiando.
Si
unì in
silenzio alle risate del padre.
“Ti
sono
arrivati i soldi, sì?” riprese un attimo dopo
Gigi, con gli occhi fissi
nuovamente sullo schermo piatto della tv.
“Sì,
papà.
Grazie”
“E
con la
scuola, come va? Stai studiando, sì?”
“All’Università va tutto
bene” Tina marcò
volutamente l’accento, ben sapendo che comunque il padre non
ci avrebbe fatto
caso. Per lui ogni tipo di studio si compiva indifferentemente a scuola “Mi sono iscritta a
Settembre
al primo anno di dottorato”
“Brava
a papà, brava”
Tina
sentì
un rumore in corridoio, un ciabattare veloce ed un attimo dopo
intravide
l’ombra di sua madre sulla soglia della porta, che stringeva
un vassoio tra le
mani.
“Ma c ‘ré chisto campusanto?”
si lamentò,
prima di sporgere un gomito verso l’interruttore a parete ed
accendere la luce.
“Rosa’!”
protestò l’uomo burberamente.
“Eh
Gigì,
ho portato la cena pe ‘a nennella,
mica può mangiare al buio” così dicendo
poggiò il vassoio che reggeva in mano
sul tavolino basso davanti al divano.
L’uomo
bofonchiò qualcosa da sotto i baffi, fece tremolare le
guance, infine riportò
gli occhi sullo schermo, isolandosi da tutto il resto.
“Mamma,
non
c’era bisogno. Ho mangiato un tramezzino al volo in
autogrill” le spiegò Tina.
“Un
tramezzino, e mica puoi andare a dormire solo con un tramezzino nello
stomaco”
protestò Rosaria con disappunto, mentre si sedeva accanto a
lei e cominciava a
scoprire i piatti “Guarda, qua ci sta la pasta al forno, ti
ho portato due
polpette e poi qua ci sta la parmigiana di melanzane”
“Mamma,
sono le dieci e mezza di sera” le fece notare Tina con un
tono tra l’ironico e
l’incredulo.
“Tié, mangia a
mammà” le piazzò una
forchetta in mano e la invitò con lo sguardo
ad approfittare di quel ben di dio che le aveva messo davanti
“Chissà da quanto
tempo non fai un pasto decente. Ti vedo un po’ dimagrita, ma
stai mangiando?
Prima che te ne vai ti preparo qualche ruoto di pasta al forno, una
pizza
imbottita e una lasagna. Te li porti, così stai a posto per
qualche giorno”
“Qualche
giorno?!” ripeté la figlia scettica
“Potrei starci a posto per settimane, se
non fosse che dopo un paio di giorni sarebbero comunque da buttare,
prima che
io sia riuscita a consumarne nemmeno la metà”
“Vabbé” Rosaria
agitò le mani per aria
“Poi ci pensiamo, mangia mo’
” Tina scosse
la testa avvilita, ma non poté far altro che accontentarla.
Più
tardi,
quando riuscì a convincere sua madre che sarebbe anche
potuta scoppiare se
avesse mangiato solo un altro boccone di parmigiana, si concesse una
velocissima doccia, prima di infilarsi a letto. Fu solo allora, nella
tranquillità e nel silenzio della sua stanza, che prese il
cellulare per
chiamare Giulia. L’avvocato rispose dopo nemmeno mezzo
squillo.
“Amore! Sei
arrivata? Cominciavo a preoccuparmi, è tardi. Hai avuto
problemi? Stai bene?
Come è andato il viaggio? Perché non hai chiamato
prima?”
“Dio,
Giulia! Per piacere, sembri mia madre” ridacchiò
Tina posando la testa sul
cuscino ed incrociando il braccio sinistro dietro la nuca
“Prendi fiato e dammi
tregua”
Giulia
prese un profondo respiro e lasciò il divano per andare al
piano di sopra e
sedersi al centro del letto con le gambe incrociate.
“Scusami.
E’ solo che stavo in pensiero” le
spiegò, ora con voce più pacata.
“Lo
so,
anzi scusami tu. Avrei dovuto chiamarti prima, avevo promesso che
l’avrei fatto
appena arrivata, ma poi mia madre …”
lasciò sfumare la frase con tono
contrariato.
“Tua
madre
… cosa?” indagò l’altra.
“Niente,
mi
aveva preparato la cena e non si è arresa finché
non l’ho accontentata
mangiandone almeno metà. Credo che
vomiterò” biascicò stancamente.
“Povero
tesoro” la blandì Giulia “Come stanno i
tuoi? Tutto bene?”
“Sì,
stanno
come al solito. Ogni volta che torno a casa mi sorprendo sempre che,
nonostante
io manchi per mesi interi, le cose qui sembrano essere immutabili. I
grembiuli
di mia madre, il divano di mio padre, i loro battibecchi …
tutto sempre uguale”
rifletté con una vena amara.
“E
… non è
… un bene?” domandò infatti Giulia, con
voce incerta.
“Non
saprei” ammise Tina, sospirando “Se un giorno io e
te dovessimo ridurci così,
credo che ti lascerei”
“Impossibile”
replicò istantaneamente Giulia.
“Perché?”
chiese Tina, incuriosita dalla sua sicurezza.
“Perché
io
non porto i grembiuli”
“Scema!”
Risero
insieme, sentendosi in quel modo un po’ più vicine.
“Adoro
la
tua risata” confessò d’impulso Giulia.
“Solo
perché mi si formano le fossette ai lati della
bocca?” ribatté furbamente Tina.
“No,
perché
significa che sei felice” chiarì l’altra
con voce fin troppo seria “E poi, si,
anche per le fossette … sono da prendere a morsi”
aggiunse con tono più
leggero.
Tina
sorrise e si rotolò nel letto per piegarsi sul fianco
sinistro.
“Dove
sei?”
chiese intanto a Giulia.
“A
letto.
Tu?”
“Anche
io.
Non ti ho svegliata, vero?”
“No.
Ero
giù sul divano a far finta di guardare la tv, mentre
aspettavo la tua chiamata”
Tina
stava
per ribattere qualcosa, ma uno sbadiglio trasformò le sue
parole in un mugugno
indistinto e comico.
“Sei
stanca” commentò Giulia con una nota tenera che
rese il suo tono basso e
carezzevole.
“Guidare
così a lungo mi distrugge” le confessò
Tina con voce strascicata.
“Riposati,
allora. Ci sentiamo domani”
“Ma
no,
posso restare un altro po’ ”
Tina
non
ebbe il tempo di finire la frase che un altro sbadiglio la costrinse a
stringere gli occhi e spalancare la bocca. Giulia se ne accorse e
ridacchiò.
“Sogni
d’oro, amore mio” le augurò
affettuosamente.
“Buona
notte” rispose Tina con la voce bassa e roca di chi sta
già per addormentarsi.
La
mattina
successiva, Tina arrivò in cucina guidata
dall’odore di caffè. Poteva sembrare
stupido, ma le pareva che il caffè preparato da sua madre
avesse un odore del
tutto diverso da quello che preparava lei stessa a Siena. Era
più intenso, più
deciso e sapeva di casa.
“
‘Giorno”
biascicò tra uno sbadiglio, sedendosi al piccolo tavolo
della cucina.
“Buongiorno
piccerè” la
salutò suo padre ancora
in pigiama come lei, abbassando solo un lembo del quotidiano che stava
leggendo
per poi trincerarsi nuovamente dietro la carta stampata.
La
madre,
invece, era in piedi accanto ai fornelli già completamente
vestita e con
indosso uno dei suoi soliti grembiuli. Rimestava e spadellava con una
vivacità
che Tina si chiedeva spesso dove riuscisse a prendere già di
prima mattina.
“Ah,
ti sei
alzata” le disse con un piccolo sorriso distratto, mentre
accendeva ancora un
fuoco sul fornello, l’ultimo ormai disponibile.
“Uhm
…”
Tina alzò semplicemente il mento con gli occhi ancora velati
di sonno “Non ho
dormito granché, ho avuto i crampi allo stomaco per tutta la
notte”
“E
quella
sarà stata la fame” proruppe Rosaria con il suo
marcato accento napoletano “Mo’
ti preparo la colazione”
Non
le
diede nemmeno il tempo di parlare, che le mise davanti la sua tazza di
Snoopy,
che aveva conservato proprio per quando la figlia tornava a casa, e ne
riempì
il fondo con qualche dito di caffè.
“Mamma,
veramente credo che sia proprio il contrario”
tentò di farle notare Tina “Ieri
sera ho mangiato troppo”
“Ti
ho riscaldato
il latte, però mi sono dimenticata di comprare la
Nutella” continuò a dire
Rosaria, versandole il latte fumante nella tazza.
“Ma lo sai
che io il latte lo bevo freddo” protestò la
ragazza, facendosi un po’ indietro
affinché la madre non le bruciasse il braccio con il
bollilatte rovente.
“Ma
con
questo freddo, d’inverno! Tu perciò stai sciupata,
mangi male” Rosaria posò il
bollilatte e si avvicinò ad un pensile accanto alla cappa
aprendone le ante
“Che ti posso dare a
mammà, qua ci
stanno solo i biscotti integrali che il medico ha dato a tuo padre. E
lo sai
che io non mangio roba dolce” rifletteva tra sé
lisciandosi il grembiule sulle
gambe con entrambe le mani.
Tina
alzò
gli occhi al cielo, sentiva che stava per venirle mal di testa. La
notte in
bianco e le smanie di sua madre stavano formando una miscela esplosiva.
“Non
fa
niente, mamma. Berrò solo il latte” le rispose
conciliante, con un lungo
sospiro.
“No
no, e
come ci arrivi a stasera. Lo sai che il giorno della Vigilia a pranzo
non si
mangia, perché si fa il cenone”
s’inalberò la donna “Aspetta, vado a
prendere
la scatola di biscotti che tengo nascosta in camera da letto per quando
viene
qualcuno” le disse poi a bassa voce con aria cospiratrice.
Tina
alzò
un sopracciglio.
“Perché
hai
una scatola di biscotti nascosta in camera da letto?”
“Così
tuo
padre non la trova” le rispose l’altra con tono
ovvio, prima di sparire oltre
la porta.
Più
tardi,
Tina era in camera sua che si stava vestendo, quando le
squillò il cellulare.
Guardò il nome sul display e sorrise.
“Mi
chiedevo proprio quando mi avresti chiamata” disse, non
appena ebbe accettato
la chiamata.
“Conoscendoti,
ho aspettato dopo le undici per non svegliarti” le rispose a
tono la voce di
Giulia.
Tina
sorrise a labbra strette e sedette sul letto guardando fuori della
finestra.
“Dove
sei?”
chiese alla sua ragazza.
“In
macchina, diretta a Montepulciano. Resterò lì
fino al 26, visto che tu non ci
sei, ho deciso di accontentare mio padre che si lamenta sempre di non
vedermi
abbastanza” Giulia lasciò andare un sospiro
malinconico.
“Com’era
quel detto?! Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi …
ricordamelo quando sarà
il momento” ribatté Tina storcendo un
po’ il naso.
L’avvocato
rise di gusto, con quel suo tono un po’ gutturale.
“E
chi ti
molla. Ti legherò al letto, se sarà
necessario” assicurò con ancora un accento
ilare nella voce.
“Avvocato
Dardi!” la chiamò Tina, con tono scandalizzato
“Non credevo che si desse a
pratiche sadomaso”
“Sei
tu che
mi ispiri particolarmente, mia cara” rispose
l’altra senza minimamente
scomporsi, mentre le compariva un sorriso vagamente storto e malizioso.
“E
io che
credevo di ispirarti dolcezza” sospirò Tina,
fingendosi offesa.
“Quello
sì,
ma fuori dal letto” continuò a stuzzicarla Giulia,
che intanto faticava a trattenersi
dal ridere.
Tina
unì le
sopracciglia in un’espressione curiosa e divertita.
“Ah
sì. E,
invece, sotto le lenzuola cosa ti ispiro?”
cantilenò con voce fin troppo
ingenua per essere reale.
“Preferirei
mostrartelo, non appena tornerai a Siena”
tergiversò sadicamente Giulia.
“E
se io
non volessi?” la sfidò Tina.
“Farò
in
modo che tu lo voglia” la freddò Giulia, con voce
bassa e carezzevole.
Tina
deglutì un paio di volte, poi si schiarì la voce.
“Non
ti ho
ancora fatto gli auguri” rifletté ad alta voce.
Le
labbra
di Giulia si incurvarono istantaneamente in un sorriso compiaciuto.
“Cambi
discorso?” la punzecchiò.
“Non
è
triste che questo è il nostro primo Natale e non ci
scambiamo neanche i
regali?” continuò Tina, fingendo di non averla
sentita.
L’avvocato
scosse
la testa divertita, infine le concesse quel cambio di discorso,
segnando
mentalmente un punto a proprio favore.
“Ma
io un
regalo te l’ho comprato” la contraddisse.
Tina
arcuò
le sopracciglia con aria scettica.
“E
dove
sarebbe?”
“Controlla
nella
tasca laterale della tua tracolla”
“Stai
scherzando, vero?” reagì Tina, completamente
spiazzata.
“Controlla”
la incitò Giulia, ridacchiando del suo tono quasi allarmato.
Tina
mise
il telefono in viva voce e recuperò la sua borsa,
frugò per qualche istante
nella tasca che le aveva indicato Giulia e sentì qualcosa
sfiorarle la mano. Tirò fuori una scatolina quadrata, grande
quanto il pugno di una mano, rivestita da una carta rossa con delle
buffe renne con dei campanellini attaccati alle corna.
“Quando
l'hai messo qui dentro?” Tina
aveva poggiato il cellulare sul letto attivando il vivavoce,
così da poter avere entrambe le mani libere per poter
scartare il regalo.
“Che importa”
disse Giulia,
impaziente “Andiamo,
apri e dimmi se ti piace”
Nel mentre la ragazza si era già liberata della carta regalo
e stava aprendo il piccolo scatolino. Non appena alzò il
coperchio vide qualcosa luccicare.
“Giulia...” riuscì
solo a pronunciare con voce emozionata “ma
dove li hai trovati?”
Nella scatolina erano alloggiati due orecchini di argento a forma di
trowel, l'attrezzo che più di tutti rappresentava Tina, la
sua passione per l'archeologia e il suo lavoro. Ricordò di
aver parlato a Giulia di aver visto quegli orecchini un giorno in un
qualche mercatino di artigianato in giro per una fiera, e di non aver
colto al volo l'occasione di comprarli allora, senza essere
più riuscita a trovarli da nessuna parte.
“Ti
piacciono?”
l'avvocato non riusciva a trattenere l'impazienza nella voce, temeva
fosse troppo poco, temeva potessero non piacerle più.
“Sono
bellissimi!” Tina
si rigirava quelle piccole trowel tra le mani sorridendo proprio come
una bambina il giorno di Natale “Ma io
non ti ho fatto niente!”
realizzò all'improvviso, sgranando gli occhi pieni di senso
di colpa.
Giulia
finalmente si rilassò, si rese conto di star stringendo
spasmodicamente le mani sul volante e immediatamente allentò
la presa delle nocche. Fece un lungo respiro, ritrovando il suo solito
tono serafico e compiaciuto “Ho
già te, Tina...sei tu il mio regalo di Natale quest'anno”
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Queste due ancora si agitano nella mia mente, e ogni tanto scalpitano
per uscire fuori...il progetto di portare a termine questa storia non
l'ho mai abbandonato...spero che ci sia ancora qualcuno disposto a
leggere di questi due disastri di Tina e Giulia ;)
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