Psycho.

di selfisher
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter one. ***
Capitolo 2: *** Chapter two. ***
Capitolo 3: *** Believe it. ***
Capitolo 4: *** First approach. ***
Capitolo 5: *** Team. ***
Capitolo 6: *** second approach. ***
Capitolo 7: *** Everywhere. ***
Capitolo 8: *** Scarlett. ***
Capitolo 9: *** Talk. ***
Capitolo 10: *** Am i normal? ***
Capitolo 11: *** non è un capitolo, ancora. ***



Capitolo 1
*** Chapter one. ***


Questo scritto, ideato completamente dalla sottoscritta, non è stato assolutamente scritto a scopi di lucro. Le caretteristiche dei personaggi presenti in questa storia non sono legate ad atteggiamenti reali, in quanto errati. La storia presente scene al quanto esplicite, che potrebbero irritare. Per problemi contattare personalmente.







 




Faith, era considerata pazza, a parere di molte persone.
Faith, era considerata pazza da tutti, e per tutti intendeva proprio tutti, persino i suoi genitori adottivi, che non avevano perso tempo a rinchiuderla in quello stupido istituto.
Ma Faith non era pazza, era semplicemente sola.
Sola nel vero senso della parola, sola senza nessuno. Dopo aver visto la morte di ogni componente della sua piccola famiglia con i propri occhi, si è rintanata in se stessa, in una piccola casetta in cima ad una montagna.
Non parlava, non mangiava, non dormiva, non faceva niente, vedeva semplicemente la sua vita andare in frantumi ed aveva paura.
Aveva paura di parlare, e di rivivere le parole uscite dalla bocca del padre.
Aveva paura di  mangiare nel caso avesse trovato uno dei piatti preferiti di Alex, suo fratello.
Aveva paura di dormire semplicemente perché ogni volta che chiudeva occhio le immagini di quel momento le attanagliavano il cervello.
Era da quasi due anni rinchiusa in quella clinica, ma non dava cenni di miglioramento. Continuava a  non parlare, a non mangiare, a non dormire, a meno che non fosse Niall a chiederglielo.
Chi era Niall? Forse la causa principale per la quale era stata rinchiusa.
Niall era moro,tinto di biondo per sperimentare, alto poco più di lei, di due anni più grande, con occhi azzurri, ed un carattere molto dolce, simpatico e premuroso, un principe azzurro in poche parole, a differenza del fatto che non fosse omosessuale.
Faith era completamente persuasa e sottomesa a lui, parlava solo ed esclusivamente con lui, mangiava solo se lui la pregava di farlo, e dormiva solo se si ritrovava accoccolata nelle sue braccia.
Ma in fondo sapeva che non potesse nascere niente tra loro due, anche se si rifiutava di accettarlo.
Perché tra di loro non poteva nascere qualcosa? Semplice, perché Niall in realtà era soltanto  frutto della sua immaginazione.
Era invenzione, era l’amico che non aveva mai avuto. Il migliore amico di cui finivi per innamorarti.
Era l’ amico che non aveva mai avuto e che si era dovuta creare con la sua fantasia.
I signori Duncan –i coniugi a cui fu affidata dopo la morte dei familiari- l’avevano accolta, ma nessuno si sarebbe assunto le responsabilità di una quindicenne sorda, muta e con forti disturbi psicotici. Vedendo, ovviamente,  che la situazione non accennava a migliorare l’hanno portata all’istituto psicologico.
E adesso l’unica persona che gli rimaneva era proprio Niall.
 
 

Psycho.

 

«Allora Faith, come va oggi?» La dottoressa Smith – l’unica dottoressa dell’istituto che aveva assunto l'incarico di occuparsi del suo caso, ormai perso- cercava di farla parlare, inutilmente.
La ragazza di fatti non rispose,
"Come tutti i giorni", si limitò a pensare.
Guardava d’avanti a se, fisso nel vuoto.
Sapeva che in questo modo non faceva altro che dare una delusione alla dottoressa, ma non riusciva proprio ad aprire bocca.
 Le era affezionata, dopo quasi due anni di incontri, ma nonostante tutto non riusciva a parlare.
La dottoressa Smith sospirò borbottando un  “non sarei voluta arrivare a questo ma…”
«Niall come sta?» A questa domanda la ragazza balzò.
Come faceva a sapere di Niall? Non aveva detto a nessuno di lui, nessuno sapeva la sua esistenza.
Prese a tremare tutta sgranando gli occhi, comunque senza parlare. Le mani tremavano, gli occhi si gonfiarono inevitabilmente, diventando rossi. La testa prese a pulsare, e il respiro diventò pesante.
La dottoressa attese a lungo la risposta che come sempre non arrivò, perse le staffe incominciando a sbraitare.
«Faith! Parla ti prego! Ti rendi conto di cosa sono arrivata per farti parlare? Abbiamo frugato nella tua mente! Con uno stupido aggeggio e tu continui a non parlare! Sai che se non mostri cenni di miglioramento dovremo spostarti al reparto psichiatria avanzata! E lì non sono tutti dolci e gentili come lo sono io,Faith! Lì ti strappano le corde vocali, impiantandotene altre pur di farti parlare!»
Ci mise tre minuti buoni per concepire le parole che erano appena uscite dalla bocca della giovane donna davanti a lei.
Avevano davvero frugato nella sua mente?  Come avevano osato farlo?.
Non le importava se l’avessero spostata di reparto, non le importava se le avrebbero stracciato le corde vocali, lei non avrebbe parlato con nessuno, semplicemente per il fatto che non si fidava di loro.
La dottoressa sospirò calmandosi, anni ed anni di studio l’avevano portata a capire perfettamente come comportarsi con i pazienti, e sbraitargli contro, di certo non era corretto.
«Lo hanno inventato due giovani olandesi, venuti qui proprio per sperimentarlo - Aveva abbassato lo sguardo. Faith era impassibile, con gli occhi fissi nel vuoto. - Loro lo chiamano vangen gedachten, che nella loro lingua vuol dire ‘acchiappa pensieri’, non avevo idea che funzionasse sul serio. »  Si sistemò meglio sulla poltrona cercando una posizione comoda e visibilmente agitata.
«Poi, perché crearsi un amico immaginario Faith? Hai noi dottori a disposizione, noi siamo tutti reali, e disposti ad ascoltarti.»
Faith avrebbe voluto gridarlo. Avrebbe voluto gridare che, frutto della sua fantasia, o meno, Niall la ascoltava per ciò che era, senza costrinzioni, tanto meno per lavoro. Non prendeva appunti su uno stupido taqquino, era semplicemente lì, per lei.
Avrebbe voluto gridarlo, scriverlo sui muri, inciderlo sulle vetrate, sulla pelle, nella testa delle persone, ma per cosa poi? Avevano ragione, il suo Niall non esisteva.
Presa dalla rabbia si alzò dalla poltrona uscendo di fretta e furia dalla stanza sbattendo con forza la porta. Riuscì solo a sentire il sospiro proveniente dalla dottoressa: Se aveva pensato anche solo per un secondo di ritornare a parlare aveva sbagliato, non lo avrebbe mai fatto con nessun’altro, a meno che non fosse il suo Niall.

 
 
“Che ne dici di dormire un po’?”
Niall premuroso le accarezzava i capelli, o almeno era quello che lei pensava che stesse facendo. Cercava di farla riposare un po’ , ma con scarsi risultati, non voleva addormentarsi, non ci riusciva nemmeno, oltre alla paura di sognare di nuovo quel giorno aveva anche paura che le leggessero ancora la mente con quello stupido macchinario, quindi non voleva.
Scosse la testa. Con forza, prendendo a tremare. Incominciò ad alterarsi, si alzò di scatto dal letto aggiustandosi gli abiti rigorosamente bianchi compratogli dalla dottoressa e incominciando a fare avanti e indietro per la camera.

“Calmati ! E cerca di riposare”
Le sorrise rassicurante Niall, quel sorriso che, preso dalla sua immaginazione la fece tremare.
Lo amava, ed è normale, quando si ama una persona –che sia reale o meno- sentire ogni gesto nei propri confronti come se fosse un qualcosa di unico.
E fu proprio con quel sorriso donatogli dalla persona che amava a farla addormentare cullata immaginariamente dalle braccia del suo finto ma sincero amore.
 

Faith era terrorizzata, aveva paura. Aveva commesso lo sbaglio più grande della sua vita. Ma d'altronde era ossessionata.
Innamorata di un malato mentale di nove anni più grande di lei.
Mike aveva ventiquattro anni, mentre lei ne aveva semplicemente quindici.
Era il suo primo vero ragazzo, e, a detta sua,il suo unico grande amore.
Ma era innamorata di un Mike che non esisteva, o almeno non più. Da dolce e gentile era diventato manesco e bruto, alcolizzato ai massimi livelli, e sempre reduce da qualche rissa.
Faith non poteva continuare in quel modo. Era da sempre stata una ragazza intelligente, e consapevole che farsi sopraffare da qualcosa da cui non sarebbe potuta uscire, la avrebbe condotta alla rovisa.
Decise di lasciarlo,con il cuore spezzato, e con la consapevolezza che non sarebbe mai tornato quello di una volta.

«Non ti conviene, ragazzina.»  Gli aveva sputato in faccia quelle parole con tutto l’odio che riusciva a contenere quel corpo di circa due metri, lentamente, in modo che arrivassero una ad una perfettamente.
Ma lei come una stupida non lo era stato ad ascoltare, gli aveva riso in faccia, chiamandolo pazzo.
La prima settimana passò tranquilla, Mike non si era fatto vedere, e lei continuava la sua vita da normale adolescente, almeno fino a quando  lo ritrovò a casa, il sabato pomeriggio appena tornata da scuola.
Era un giorno come gli altri. Aveva preso il buon voto che meritava dopo aver constantemente studiato l'intera settimana, e due sue compagne di classe aveva litigato per un ragazzo.
La normalità di quel giorno venne però scombussolata.
Mike aveva legato i suoi genitori su delle sedie, coprendogli le bocche con una pezza stretta, facendo in modo che non potessero parlare.

«Faith, ricordi cosa ti dissi quando ci siamo lasciati?»
Lei deglutì a fatica. Era bloccata dalla paura, non riusciva a parlare, a muoversi, a fare niente, persino i suoi occhi si rifiutavano di guardare.
«Tu non mi conosci. Nessuno, tanto meno una stupida troia di quindici anni, può permettersi di lasciarmi.» Si avvicinò sempre di più alla ragazza –rimasta ancora immobile-  la caricò in spalla senza dare conto ai suoi calci e ai suoi continui ‘mollami!’, e con uno schiaffo diritto in piena faccia riuscì a farla stare ferma.
La attaccò ad una sedia con una corda, mani e piedi in modo che non potesse muoversi.
Con un sorriso sghembo si avvicinò ai genitori  che terrorizzati giacevano a terra.
Lo sguardo sadico su quel viso.

«Direi di iniziare dal padre, la madre ed in fine il fratellino che ne dici? »
La ragazza scattò, incominciando a tremare tutta e a scalpitare, cercando di liberarsi, a scarsi risultati.

«Mike, ti prego, non fare niente di avventato. Io ti amo, lo sai!» Decise di cambiare tattica.
Sarebbe davvero tornata insieme a lui pur di salvare la propria famiglia? Certo ovvio, avrebbe rischiato tutto per loro.
Proprio come loro avevano fatto con lei.

«Potevi pensarci prima» Si affrettò grazie alla piccola accetta che teneva in mano a slegare il padre che non cercò nemmeno di ribellarsi.
«Papà, fa qualcosa!» Urlò Faith.
Il giovane uomo abbassò il capo senza più guardare la sua piccola bambina  che era posizionata proprio davanti a lui e a Mike.

«Sono cosi fiero di te patatina, sceglili meglio la prossima volta.» Sorrise consapevole di ciò che sarebbe avvenuto.
Prese a piangere continuando a scalciare.
Senza nemmeno aspettare che proferisse una parola Mike infilzò la piccola accetta nel petto del padre che si accasciò a terrà tutto insanguinato.
Faith urlava, ma era impotente. Aveva visto gli occhi del padre essere attravesati da una strana scintilla, aveva sentito il rumore delle ossa che si rompevano, aveva sentito l'ultimo respiro fuori uscre dalle labbra di quell'uomo, esteticamente, tanto simile a lei.
Dopo nemmeno un minuto dalla morte del padre la stessa fine toccò alla madre.
Mike si stava divertendo, era felice.
Mike era malato, malato di lei, malato. Sempre davanti ai suoi occhi, la madre le era stata strappata via, non poteva sopportare altro dolore, non poteva vedere un altro componente della sua famiglia morire cosi, davanti a lei

«Veloce visto? Ma adesso tocca al più bello. Alex vieni qui.»
Alex avanzò tremante e con gli occhi rossi dal pianto.
Suo fratello. Aveva da poco compiuto cinque anni. Con quale coraggio avrebbe potuto togliere la vita a qualcuno di così piccolo?

«Alex! -Urlò disperata - Ti prego, Alex! Ha una vita da vivere!»
Con un ultima risata cacciò dalla sua tasca un coltello ben appuntito e affilato.
«Tua sorella parla troppo.»
Velocemente il coltello pulito che aveva tirato fuori dalle tasche fu sporcato dal sangue del bambino.
E con un ultimo urlo straziato di Faith, Mike uccise anche il piccolo bambino squartandogli la gola, prendendo in pieno la giugulare.
«Te l’avevo detto di non metterti contro di me, ragazzina Con lo stesso coltello, ancora sporco del sangue del fratello, Mike si avvicinò a Faith.
Con uno scatto veloce e studiato sfregiò anche il suo piccolo viso, con una liena lungo dal sopracciglio al labbro.
 Uscì di casa posizionandogli il coltello col quale aveva ucciso il fratellino e sfregiato il suo viso sulle gambe ancora legate alla sedia di lei.
Aveva visto morire il padre.
La madre.
Il fratello.
Ma a morire era stata soprattutto la sua anima, ridotta in pezzi.
 

 
Aveva sognato ancora quel giorno, come ogni volta che chiudeva gli occhi, era terrorizzata, le immagini della testa squartata del fratellino che cadeva a terra, della polizia che accorreva chiamata dai vicini, delle lunghe ore di interrogatorio subite dopo, dell’ultimo sguardo di Mike mentre veniva trascinato nella cella, trent’anni di carcere erano troppo pochi. Tutte queste scene erano ancora infisse nella sua mente, si alzò scostando le coperte facendo attenzione a non svegliare Niall che a detta sua dormiva beatamente e si posizionò di fronte la scrivania.
Se c’era una cosa che amava fare era scrivere.
Scriveva tutto, ogni suoi pensiero, ogni sentimento:Tutto.
Ancora tremante dai ricordi del sogno fatto prese ad imbrattare un foglio bianco, la sua scrittura era grande e leggibile, le ‘a’ belle tonde e piene, le ‘l’ ben arrotondate, era perfetta.
E proprio con la sua scrittura perfetta decise di descrivere il suo sinonimo di perfezione.
I capelli biondi del ciuffo tirato all’insù, la radice castano scuro, un sorriso illuminato dal luccichio della macchinetta, e quegli occhi, color oceano, non come i suoi, più luminosi, allegri, contornati da quella sfumatura di nero, riempiti di un bianco spumeggiante che rendeva il tutto limpido, quegli occhi che la facevano sognare.
Descriveva il corpo, medio e magro, per niente palestrato.
Descriveva quello che era un sogno proibito.
 L’unico suo sogno. Sogno irrealizzabile.
Niall.


Capitolo revisionato.
01/05/2014
13:53.

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Capitolo 2
*** Chapter two. ***


Questo scritto, ideato completamente dalla sottoscritta, non è stato assolutamente scritto a scopi di lucro. Le caretteristiche dei personaggi presenti in questa storia non sono legate ad atteggiamenti reali, in quanto errati. La storia presente scene al quanto esplicite, che potrebbero irritare. Per problemi contattare personalmente.






Aveva fatto l’alba scrivendo, nonostante la sua mano chiedesse pietà, ed i suoi occhi riposo, aveva continuato.
Erano giunte le otto.
L’ora del “ritrovo” tra psicopatici.
Tutti quelli del settore venivano mandati in questa camera bianca, tutta bianca, un’angoscia per i poveri occhi di Faith, e cercavano di far fare amicizia ai poverini rinchiusi li dentro.
Alcuni parlavano tra loro, chi urlava, e chi come lei stava ferma in un angolo ad aspettare che quell’ora e mezzo di strazio finisse.
Aveva salutato Niall ed era uscita, recandosi a passi piccoli ed insicuri verso la stanza.
Nel preciso instante in cui Faith era uscita da una porta, dall’altra era entrata la dottoressa Smith.
Voleva scusarsi per l’incontro avvenuto il giorno precedente, ma evidentemente aveva fatto tardi visto che la stanza era vuota.
Prese a vagare tra le quattro mura, era tutto bianco, le pareti, il  letto, i mobili, la scrivania, fu proprio quel tocco marrone ad attizzare gli occhi della Smith.
Era un’agenda.
Riposta sulla scrivania.
Incurante del fatto che se Faith fosse venuta a conoscenza che la dottoressa avesse letto il suo diario, il suo caso sarebbe stato buttato nella spazzatura, prese a leggere, le ultime pagine soprattutto.

Era bello quel desiderio.
Aveva i capelli biondi, bruciati leggermente alle punte, crespi a causa delle varie tinte.
Tirati perfettamente all’insù.
Sparati in aria, come tanti proiettili, ma nonostante il tutto terribilmente morbidi al tatto.
Era bello quel desiderio dagli occhi ghiaccio.
Una tavolozza di ogni tipo di blu si ritrovava in quegli occhi.
Azzurro intenso al di fuori della pupilla nera, un blu oltremare sfumato con un bianco spumeggiante, contornato dai bordi neri.
Quegli occhi limpidi, in cui si riusciva a leggere  ogni emozione.
Le insicurezze.
Il suo sorriso illuminava, grande e pieno, ma tremendamente insicuro.
I suoi denti perfetti, solo dopo un anno di apparecchio, sarebbero risaltati perfino nell’oscurità più cupa e buia.
Il suo fisico era asciutto.
Perfetto per la sua età, forse un po’ più basso.
Le gambe magre  e slanciate, le braccia, quasi sempre scoperte, mettendo in risalto il bicipite ben sviluppato nonostante la pancia piatta.
Le mani lunghe ed affusolate, la pelle candida, chiara, rosea appena durante l’estate.
Quella pelle imperfetta solo a causa di qualche punto nero o da qualche impurità dovuta allo sviluppo.
Era un desiderio perfetto Niall.
Estremamente perfetto.
-Faith”


Descriveva un ragazzo.
Biondo tinto.
Occhi azzurri.
Media statura.
Due anni più grande.
Le era familiare. Aveva già visto un ragazzo cosi.
A farla riscattare fu lo schizzo disegnato da Faith infondo alla pagina.
Quello era suo nipote: Niall James Horan.
 
 
 




«Niall!» Urlava la mamma.
Niall non sentiva, aveva l’udito occupato dallo scrosciare della doccia in cui stava appassendo, e dalla musica proveniente dal suo telefono.
«'Cause i'm falling to pieces.» Canticchiava la canzone del dj David Guetta, che a differenza sua era sparata a tutto volume nel bagno.
«Niall muoviti ad uscire, c’è zia Karen!» La voce della mamma adesso era arrivata alle orecchie di Niall, probabilmente perché per farsi sentire la povera donna aveva dovuto salire le scale e bussare fortemente alla porta.
«Due minuti ed esco!» Urlò.
«Adesso!»
Sbuffò Niall, uscendo dal box coprendosi con l’asciugamano.
Raramente la Zia Karen recava visite. Ovviamente non poteva scegliere momento migliore per presentarsi a distanza di mesi dall'ultima volta.
Tra tutte Zia Smith era sempre stata la sua preferita, forse per il fatto che non lo trattava ancora come un bambino, o probabilmente perché non era solita tirargli le guancie come invece facevano le altre.
Il suo lavoro però la teneva abbastanza occupata quindi la vedeva raramente: preferiva dei pazzi in cura invece del suo unico nipote.
Ancora gocciolante si recò in camera per vestirsi frettolosamente.
Un maglione ed un semplice pantalone della tuta.
Con ancora i capelli bagnati andò in cucina dove si trovava la zia.
«Karen, cosa ti porta tra gente psicologicamente stabile?» Sempre con la sua solita aria sprezzante aveva salutato.
Perché Niall era cosi: uno stronzo.
Non era dolce, gentile, tenero come all’apparenza mostrava.
Capitano della squadra di basket, pallavolo, tennis, nuoto e calcio, il più bello ed acclamato della scuola, il figo della situazione, insieme ad i suoi amici.
I rapporti con il sesso opposto non potevano andare meglio per lui. L’aria dolce, da bravo, dolce ed innocente verginello faceva cascare tutte ai suoi piedi, come foglie secche ad autunno.
Forse l’unica cosa di cui si sarebbe lamentato era il suo corpo, non gli piaceva, troppo semplice, a differenza degli altri componenti del suoi gruppetto, troppo pallido, ma sempre tremendamente affascinante agli occhi della gente.
«Non posso venire a trovare mio nipote?» chiese retoricamente Karen Smith alzandosi dalla sedia avvicinandosi al biondo per dargli un bacio sulla guancia.
«Sappiamo entrambi che non è per questo che sei qui. - Alzò le spalle il biondo- I tuoi pazzi?» Chiese avvicinandosi al frigorifero estraendo un cartone di latte.
«Proprio di questo volevo parlarti.» Sbuffò la donna.
Niall sussurrò un "Bingo", staccando subito le labbra dal cartone dal quale, senza neanche il bicchiere, stava bevendo.
«Dimmi tutto.» Si sedette.
«Sono due anni che ho in cura questa giovane. Mi sembra di avertene parlato. Non ha contatti con il mondo. Non parla, non mangia, a stento sembra che respiri.»
«Zia. Non mi importa della vita dei tuoi "pazienti"» Borbottò il biondo roteando gli occhi.
Karen gli lanciò un occhiata di fuoco.
«Dicevo -Ripetè la zia- Non fa niente con nessuno, eccetto con il suo migliore amico, di cui è anche innamorata.»
Niall roteò ancora gli occhi ormai già stufo della vita di questa psicopatica, probabilmente racchia e senza capelli.
«Ripeto. Non mi importa.»
«Deve importarti, perché adesso viene la tua scena…» Si raddrizzò sulla sedia guardando con i suoi occhi scuri quelli chiari del ragazzo, solo adesso, notandolo erano proprio come li aveva descritti Faith, limpidi, puliti.
Si risveglio dal suo stato di trans riprendendo a parlare.
«Questo suo ‘amore’ è immaginario -Alla faccia interdetta del ragazzo spiegò - Non esiste, è tutto frutto della sua immaginazione, questo ‘Niall’ che ha inventato lei, si chiama anche come te, è finto».
Niall si passò una mano tra i capelli ancora umidi.
«Ed io che centro?- Si leccò il labbro- Se questa psicopatica ha…» Arrestò le parole allo sguardo contrariato della zia.
«Che dovrei fare?»
«Sei un bravo attore? - Niall si limitò ad annuire- Ecco, dovrai semplicemente fare finta di essere un altro ragazzo problematico…» Venne interrotta ancora.
«Ragazzo problematico? E cosi si chiama uno psicopatico ora?» Il ghigno perfido che si era appena dipinto sulla sua faccia non era per niente abbinato al suo dolce viso d’angelo.
«Zitto Niall.» Vide il ragazzo frugare il un cassetto vicino alla sedia su cui era seduto, estraendo un pacchetto di sigarette.
La zia fece una smorfia continuando.
«Fingerai, verrai a vivere all’ istituto, diventerai amico di Faith,  farai in modo che lei torni a parlare, mi farai superare il caso e ricevere i soldi.»
Aspirò un profondo tiro dalla Marlboro Niall.
«Ti rendi conto che è irrazionale che lei si sia immaginata me, come amico immaginario, vero? -La guardò con aria di sufficiente. Eppure sei tu la dottoressa tra noi due.» La derise.
«So che può sembrare impossibile, credici, eppure è cosi, Niall, il suo amore immaginario sei tu!»
«Sarà qualche descrizione che mi somiglia, zia.» Roteò gli occhi cercando di far ritornare la zia nel mondo reale: come poteva questa ragazza essersi immaginato proprio lui?
Ci sarà sempre qualche aspetto, sia caratteriale che fisico, che non riporterà alla descrizione, e saremo fottuti, la ragazza se ne accorgesse.
«Porca puttana, Niall. Sei tu!»
«Karen?! E queste paroline da dove spuntano?»
Si, era totalmente diverso dal Niall di Faith caratterialmente, ma era un artista, e con un buon compromesso, sarebbe potuto diventare persino Barak Obama.
«Non sto dicendo che tu debba essere il suo Niall, semplicemente sarai un ospite, un altro mio paziente, ed ovviamente, sarà più spronata a parlare con te, che con me.- Spiegò meglio la situazione- Sempre che  ti comporta in modo tale da farla parlare.».
Detto cosi aveva tutto un altro senso, avrebbe dovuto interpretare semplicemente lo psicopatico amicone, niente di troppo complicato per i suoi standard.
«Cosa ci guadagno?» Sembrava molto un incontro clandestino con qualche mafioso. Ed ovviamente, non poteva certo svolgere un lavoro del genere senza ottenere qualcosa.
«Suoni ancora, vero?» Niall annuì di nuovo.
«Ma non vedo a cosa possa servire …» Spense la rimanente sigaretta in una bicchierino sul tavolo.
Karen Smith sorrise perfida: doveva risolvere il caso,a tutti i costi, non tanto per i soldi, ne per soddisfazione personale, più che altro … per Faith.
«Perfetto, che ne dici di una bella Gibson*, nuovo modello?»
Per poco non si strozzò con il fumo che stava appena aspirando dalla nuova sigaretta che si  era acceso.
Si parla di una chitarra da 30000 sterline (25000 euro circa), come poteva non accettare quando gli stavano servendo su un piatto d’argento il sogno di tutta una vita?
Si fermò a riflettere un attimo.
Accettando avrebbe avuto una Gibson.
Accettando avrebbe dovuto lasciare tutti i suoi amici.
Accettando avrebbe dovuto lasciare le ragazze, di conseguenza il sesso.
Accettando sarebbe stato a contatto ventiquattro ore su ventiquattro con degli psicopatici malati.
Accettando avrebbe dovuto rinunciare al fumo.
Accettando avrebbe avuto la sua Gibson però.
«Ci sto.- Il viso della dottoressa si aprì in un grandissimo sorriso.- Ad una condizione.» Continuò il biondo facendo ritornare serio il viso della mora.
«Solo per un mese, pagherai tu qualsiasi tipo di spesa, e i danni che probabilmente mi causeranno i psicopatici li dentro…» Era sempre lui che dettava le regole, che fosse sua zia o meno.
«Perfetto, ma ricorda, la Gibson la riceverai solo ed esclusivamente se riuscirai a concludere il caso.»
«Ci riuscirò.» Ribatte beffardo.
«Perfetto. Beh, nipotino, domani alle otto all’istituto, chiedi di me all’ingresso.»
Avrebbe fatto il pazzo incatenato? per una Gibson questo ed altro.

 


capitolo revisionato.
01/05/2014
20:27

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Capitolo 3
*** Believe it. ***


-nda. non ho intenzione di offendere/disturbare persone che soffrono di certi disturbi psicologici, o che hanno passato si e no le stesse situazioni dei personaggi. Sappiate che ne scrivo con il massimo rispetto, e tutte le ricerche possibili-





*

foto mia, London 2013
 


Believe it.

Era riuscita a convincere suo nipote. E per quanto potesse essere felice in quel momento, rimaneva perplessa.
Come era possibile che la sua Faith immaginasse proprio Niall come suo ‘principe azzurro’? , come aveva fatto ad immaginarlo in modo cosi perfetto e dettagliato?
Che avesse qualche potere sovrannaturale? O che quello fosse solo un film horror? 
No, Faith era una ragazza normale, e quella era semplicemente la sua realtà, il suo film horror.
E la dottoressa ne era terribilmente terrorizzata. Tanto che aveva deciso di avvisare i Duncan, che avevano comunque la custodia della giovane.
Con tutto il rispetto parlando, alla dottoressa, i Duncan non erano mai piaciuti. Tralasciando la storia commovente che si erano portati alle spalle, non li vedeva comunque capaci di adottare una ragazzina, specialmente problematica.
Erano la classica coppia dal liceo, avevano provato più e più volte a procreare figli, senza ottenerne. La povera Monique, dopo uno sfortunato incidente, aveva, non solo perso la funzione di vari organi, bensì aveva anche sviluppato una sterilità dello 0,87%, livelli davvero impressionanti per una donna.
Avevano preso tutto alla leggera. «e che sarà mai?» avevano detto quel giorno. «Ne adottiamo una, femmina ovviamente, la più problematica e pericolosa, sosterremo noi tutte le cure! Non si preoccupi, ma ovviamente, vogliamo tenerla stretta stretta nella nostra umile villa a quattro piani! » Monique parlava incessantemente, mentre il povero Bertrand seduto su quella sedia, con le mani sul viso, pregava che si rimangiasse tutto. Non lo fece.
Lo stesso giorno, presero Faith dalla famosa ditta famosa in tutto il mondo: Il giovinile.
Che nome ridicolo. Come potevano paragonare un luogo per ragazzi ad un canile?, perché avevano preso spunto proprio da quello per creare quella specie di albergo, se proprio lo si vuole definire tale, dove erano stati affidati tutti gli orfani ritrovati.
Dopo neanche due mesi la portarono alla clinica.
«dottoressa, mi deve aiutare.» In lacrime, la donna sedeva di fronte alla dottoressa, quel lontano ventiquattro Febbraio duemilaundici. «so che è la migliore nel campo, e le chiedo aiuto» la disperazione fuoriusciva dai suoi occhi, non avrebbe mai potuto negarlo. «per quella ragazzina ho avuto un brutto litigio con mio marito, e abbiamo deciso di portarla da lei… non parla, non mangia, non dorme, non esce, abbiamo provato a farle fare amicizia con dei vicini suoi coetanei, ma niente.» Buttò il fazzoletto, ormai impregnato da lacrime nella sua enorme borsa firmata. «non fa altro che stare ferma li, sul suo letto, al centro,sulla punta, con i piedi ben piantati diritti per terra, curva sulla schiena, credo per i leggeri atteggiamenti scoliotici, dovuti all’eccessiva altezza, suppongo» persa nei ricordi, le lacrime avevano smesso di uscire, continuando la descrizione. «Rimane immobile, con i capelli sul viso, e lo sguardo sulle punte dei piedi.Ha le mani distrutte, dati i continui martiri che si infligge da sola con le proprie unghie» era bastato uno sguardo per far intendere alla dottoressa ciò che sarebbe avvenuto da li a poco. «la prego, non so più come continuare.» Terminò schietta e diretta. 
«la tenga lei, pagheremo noi tutto, ma non possiamo permetterci che ci rovini ventisei anni d’amore. »
L’ultima volta che la vide, due anni indietro.
 Aveva si, mantenuto la premessa, di fatti ogni mese, le quattromilacinquecento sterline erano li, sulla sua scrivania, ma come può, una, pur sempre, madre, non chiedere di una, pur sempre figlia?.
Ed ora eccoli li. Stavano arrivando, e non riusciva proprio ad immaginare quale sarebbe stata la reazione di Faith quando li avrebbe rivisti. Aveva sbagliato, ma ormai erano partiti da Londra per arrivare lì a Mullingar, e farli tornare indietro sarebbe stato scortese.
Ma non era la sola reazione ad intimorire la dottoressa.
Appena l’indomani, Faith avrebbe incontrato il suo Niall in carne ed ossa.
L’unica sua via di rifugio le sarebbe stata presentata, e non sottoforma di pezzo di carta, bensì di essere umano. 
Avrebbe fatto una sceneggiata, seguita da uno dei suoi soliti attacchi nevrotici, finendo con la crisi di panico, il sonno, e gli incubi.
Ormai aveva imparato a conoscere Faith.
Quel terribile incidente aveva trasformato il suo carattere. Era diventata insicura, lunatica, timida, impaurita,paranoica, fobica, per niente coraggiosa, sciupa a causa del poco cibo e delle poche ore di sonno. Era dimagrita parecchio, eppure non lo era eccessivamente, rimaneva in carne,come se perfino il suo corpo rifiutasse il cambiamento, tremava appena veniva minimamente sfiorato, e sussultava a qualsiasi rumore.
Perché Faith non accettava, non accettava che fossero passati già due anni dall’incidente. A distanza di settecentotrenta giorni, lei continuava imperterrita a rivivere quel momento, come se fosse accaduto nel momento stesso. E non c’erano antidepressivi, sonniferi, o medicine del genere a farle passare questo.
Nonostante il tutto, Faith aveva una bellezza particolare. Non era una modella da copertina, la classica bionda, con un sorriso smagliante, anzi, i capelli erano tendenti al castano scuro, e non aveva una dentatura perfetta. Gli incisivi centrali erano leggermente tendenti in avanti, e quelli laterali leggermente all’indietro. I capelli erano crespi, e difficili da acconciare, gonfi e mossi, eppure lei non sembrava farci poi tanto caso. Il viso era tondo con qualche imperfezione a causa dell’età. Ma la cosa che più stupiva di Faith erano i suoi occhi. Mai visti prima. Unici, nel loro colore e nella loro forma.
Erano di un blu ghiaccio impressionante, ma terribilmente vuoti, fissi nel vuoto.
Anche fisicamente Faith non rispettava la modella da copertina. Forse l’altezza poteva starci, ma di certo non entrava in una trentotto.
Le gambe non erano magre, e l’addome non era piatto, le mani non erano lunghe ed affusolate, e non era assolutamente capace di camminare su quei trampoli che continuano a chiamare scarpe.
Eppure per la dottoressa Faith era bella, perché era semplice.
Eppure la ragazza non lo vedeva, non riusciva a vedere la sua splendida bellezza. 
Ma non poteva certo dargli torto. 
Con quali occhi doveva ammirarsi? Con quelli che avevano assistito allo sgozzamento della sua famiglia? 
L’aveva vista ammirarsi allo specchio una volta.
Non guardava niente, nient’altro che quel segno che le deturpava il suo splendido visino.
Non era eccessivamente grande e ben in vista, ma lei lo vedeva. E più si guardava quello scippo, più i ricordi le salivano a galla.
La Smith era riuscita a fermarla in tempo, prima che a deturpare quel viso fossero stati anche i frammenti di vetro dello specchio.
Fu risvegliata dai suoi pensieri solo quando prese a squillarle il telefono. I Duncan erano arrivati all’aeroporto di Dublino,  non essendocene uno nelle vicinanze, e tra circa due ore sarebbero arrivati in clinica.
 
 
 
 
 
 
 
«Mamma, io sto uscendo» un Niall  sicuro di sé si avviava alla porta di ingresso. Le grandi rayban coprivano i suoi splendidi occhi, ed il suo corpo era fasciato da un semplice jeans ed una canotta, nonostante non ci fosse poi tanto calore.
Non aveva rivolto neanche uno sguardo alla madre, continuando a messaggiare al cellulare.
«torni per cena? » le chiese la giovane donna con la speranza negli occhi. 
L’indomani il figlio sarebbe partito per la clinica, e non lo avrebbe più rivisto per un mese. Non che lo vedesse poi tanto, nonostante abitassero nella stessa casa, ma era la presenza stessa a renderla tranquilla.
 Non aveva approvato questa sceneggiata, più che altro per la povera ragazza che avrebbe subito questo torto. Niall dopo un mese se ne sarebbe andato, e, stando alle parole del figlio, questa Faye o Faith, cosi credeva si chiamasse, era già bella e presa da lui, oltre che psicopatica. Temeva potesse fare qualcosa di troppo. Ma non si era potuta opporre, perché il figlio, oltre che maggiorenne, aveva già programmato tutto per conto proprio, impedendogli di contraddirlo
Le sarebbe mancato terribilmente, l’allontanamento di un figlio era il dolore più atroce che avesse anche solo lontanamente pensato di provare.
«non credo, mi vedo con i ragazzi»detto questo uscì, sentendo solo un sospiro provenire da parte della madre.
Povera, non meritava per niente un figlio come lui. Ne aveva passate di tutti i colori a causa delle sue, come le definiva lei, marachelle.
Ma il piccolo Niall era stato abituato fin dalla tenera età ad una vita lussuosa, vivendo senza una voglia, un desiderio. Perché è questo lo stile di vita che conducono i figli di grandi impresari.
Niall non sapeva come fosse avere un padre, fin da neonato,cresciuto senza una figura paterna al proprio fianco, convinto che il padre servisse solo, ed esclusivamente, a mandare avanti la famiglia, ed era quello che suo padre faceva. Era diventata una vera e propria macchina raccimula soldi, e anche a lui sarebbe piaciuto essere come lui. Un padre di famiglia.
Era arrivato precisamente in ritardo all’appuntamento, di fatti erano presente solo due, dei quattro componenti.
Liam era lì, sempre puntuale.
Liam James Payne, figlio di alcuni collaboratori del padre, amici sin dall’infanzia, poteva benissimo reputarsi il migliore amico per eccellenza del biondo, oltre che, quanto lui, tra i più reclamati dalle ragazze.
Il fascino da bravo ragazzo di Liam incantava tutti, ad aiutarlo erano, come optional, il fisico scolpito ed il tenero sorriso, ma, proprio come il biondo, non era per niente il bravo ragazzo che mostrava.
Louis chiacchierava con lui, sempre con gli zigomi tirati verso l’alto.
A rendere Louis, figlio di modesti lavoratori, parte integrante del gruppo, era stato proprio questo suo buon umore, sempre presente ad accompagnare lui, ed il gruppo.
«uh Will, c’è Jay» esclamò Liam vedendo apparire il ragazzo dietro le spalle di Louis.
Una loro caratteristica era, appunto, il modo di chiamarsi. Usavano i secondi nomi, per essere originali, e diversi dalla massa, per estraniarsi dai rimanenti gruppi.
«Non è giornata, porca puttana. » Si accese una sigaretta Niall, cercando di ritornare di buon umore.
«Cosa succede patatino, dì al tuo Will cosa turba la tua inutile esistenza» con quel tono dolce Louis riuscì a strappare un sorriso al biondo.
«vi spiego quando gli altri ci degneranno della loro presenza. »
Come se li avesse visti, due secondi dopo spuntarono dall’estremo dell’angolo gli ultimi due.
Zayn, come sempre con la sua camminata sicura, l’aria misteriosa, la pelle mulatta illuminata dal sole, e la solita sigaretta tenuta dalle labbra.
Harry, ultimo arrivato, ancora non degno di essere chiamato “Edward”, ovvero il suo secondo nome. Avrebbe dovuto guadagnarselo.
Era, però, passato in meno di tre mesi da “Harold” a “Harry” fino ad “Hazza” ed ora ad “Haz”.
«Eccoci» sorrise Harry mostrando ai ragazzi le sue adorabili fossette.
Tutti, Niall compreso, si chiedevano come potesse un visino dolce come quello del ragazzo, entrare a far parte di un gruppo del genere.
Bello ed intelligente. Colui che tutte le mamme avrebbero voluto vedere, invece di laccarsi i capelli, era lì, tra alcolizzati e rabbiosi ragazzi che, insieme a lui, costituivano il gruppo più temuto della zona.
«Bene, Jamie stava giusto per dirci perché è cosi strano oggi» Jamie, meglio conosciuto come Niall, alzò impercettibilmente lo sguardo, troppo occupato ad riaccendere la cicca quasi giunta alla fine.
«Che succede?» 
«Niente» sviò il biondo. «Da domani dovrete cercarvi un sostituto per un mese. Mia zia mi ha ricattato pur di aiutarla».
«E tu ti lasci ricattare da tua zia?» rise Louis.
«Mi ha promesso una Gibson» alzò le spalle mentre il rimanente dei ragazzi quasi si strozzava con la saliva stessa.
«Anzi, per essere sicuro, nomino io il 'capo' per questo mese» Li osservò tutti, uno ad uno.
Se avesse scelto Liam, il terrore che il gruppo incuteva alle persone sarebbe andato a puttane.
Se avesse scelto Louis, lo avrebbero preso poco sul serio.
Se avesse scelto Zayn, si sarebbero trasferiti tutti in pakistan.
L'unico rimanente era Harry.
«Haz, mi affido a te, non farmente pentire» si alzò scrollandosi il tabacco dai jeans. «ora andiamo, ho bisogno di vedere del sangue».
 
 
 
«Oh, dov'è la mia piccola patatina?» Monique con la sua finta esuberanza straziava le orecchie della povera Smith.
«Starà per arrivare, il confronto giornaliero con gli altri pazienti dovrebbe essere terminato, sarà qui a breve per la nostra seduta.» spiegò paca.
«Alla chiamata siamo corsi subito, ci spieghi meglio questa situazione».
E cosi fece, prese a rccontare ai posseditori della custodia ciò che stava avvendendo tra Faith, la sua immaginazione, e suo nipote.
Esattamente mezz'ora dopo Faith fece irruzione nella stanza.
«Faith, sei in ritardo. Dove sei stata?» le chiese dolcemente la dottoressa.
Ovviamente, lei non rispose, fissava Monique e Bertrand come se stesse guardando altro.
«Figliuola!» esclamò l'uomo correndo ad abbracciare la ragazza.
Schivò impaurita il 'padre', incominciando a tremare e a guardare la stanza in cerca di una via d'uscita.
«Siamo venuti a trovarti, sei cresciuta!»
Cresciuta lo era, fisicamente, ma ciò che pensava di loro rimaneva tale.
«che incompetenti.»
Si limitò a pensare che Niall non potesse dire cosa più giusta.

 


Avevo già mezzo capitolo pronto, ma, il mio computer del cazzo ha, improvvisamente deciso, di rimuovere l'hardisk, e di conseguenza TUTTO il mio lavoro.
Ho dovuto riscrivere TUTTO da capo, e solo LEGGERMENTE irritata.
Tralasciando in fatto che, questo capitolo oltre che scritto male -visto che di fretta- è orrendo, perchè non accade niente. Inoltre la Feltrinelli non aveva niente adatto per i miei gusti, ed un ENORME scaffale bimbominchioso sugli Onè DììrEktììòN era imponente al centro, pieno di cose su Harry e basta.
Almeno, ho preso sette e mezzo in francese,yo c:
Vi lascio, ringrazio tutti voi, non smetterò mai di farlo.
ringrazio anche le 36 seguite
le 8 ricordate
e le 29 preferite.
grazie.



spoiler: “Faith, lui è un altro mio paziente, Niall”
A quel nome Faith balzò, alzò di scatto gli occhi con il cuore a mille.
Scappò via dalla stanza senza nemmeno dare tempo al biondo di presentarsi.
 
twitter: idolslandx
 

 

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Capitolo 4
*** First approach. ***


-nda. non ho intenzione di offendere/disturbare persone che soffrono di certi disturbi psicologici, o che hanno passato si e no le stesse situazioni dei personaggi. Sappiate che ne scrivo con il massimo rispetto, e tutte le ricerche possibili-





*

foto mia c:

First approach.

Faith era seduta in disparte. Sola, come sempre, a guardare gli altri ridere, piangere, o urlare. La stanza essendo insonorizzata permetteva a tutti i presenti di fare ciò che volevano.
Ad attirare la sua attenzione fu una bambina che si stava avvicinando a lei.
Era bellissima. I capelli erano lunghi fin sopra il sedere, raccolti in due morbidi codini lasciati scivolare in avanti, erano di un castano scuro molto più scuro del suo, ed i suoi occhi erano neri, e grandi.
Il viso leggermente tondo era incorniciato da una leggera frangetta che si fermava appena sulle sopracciglia facendola somigliare ad una bambola di pezza.
«ciao»la voce dolce della bambina le risuonò nelle orecchie facendole alzare subito lo sguardo.
La guardò aggiustarsi il vestitino di cotone rosa pallido, che contrastava perfettamente con la sua carnagione mulatta.
Avrà avuto origine asiatiche. Nessuno lì in Irlanda aveva una carnagione cosi scura.
Che ci faceva una bambina cosi normale chiusa lì dentro? Si chiese Faith.
Come se le avesse letto nel pensiero ottenne quella risposta.
«mio papà picchiava mia mamma. La stava per uccidere, ma sono stata più veloce io- ridacchiò- gli ho buttato un mattone in testa».
Faith rabbrividì, non per il racconto raccontatogli dalla bambina, ma per i suoi occhi.
Avevano un luccichio particolare, sembrava fierezza, felicità.
«che hai li?»indicò il suo viso. Si portò istintivamente una mano sulla parte indicata. Era lo scippo fattogli da Mike. Un graffio che non sarebbe mai scomparso, come quel ricordo. Rabbrividì abbassando il capo.
«come ti chiami?»gli occhi della bimba si spensero finalmente, tornando normali, ma lasciando comunque Faith interdetta.
Mostrò il braccialetto, se proprio si vuole usare questo termine, non era altro che un uno di quelli per neonati con il suo nome scritto sopra.
«F..Fai…Faith, Faith!»riuscì a leggere a fatica la bambina mostrando un dolce sorriso.
Cambiò tutto all’improvviso, di nuovo quegl’occhi, ma stavolta colmi d’odio.
«mia madre si chiamava Faith… »colmi di fuoco.
Non se ne rese conto, successe tutto in un attimo.
La bambina le era addosso, con le mani nei suoi capelli a tirarglieli con forza, scalciava, urlava. Faith cercava di allontanarla impaurita, voleva urlare ma la voce non usciva dalle sue corde vocali.
«Mamma!»urlava la bambina.
«Celine! Diamine, staccati!...»due mani forti avevano afferrato i fianchi della bambina strappandola via da Faith, finalmente.
L’uomo la teneva in braccio mentre lei continuava a scalciare. La portò via di li, senza nemmeno rivolgere uno sguardo a Faith per vedere se stesse bene. La lasciò lì col cuore all’impazzata.
Rimase sola in quella stanza, dopo il suono della campanella che segnava la fine di quell’ora di pazzia.





Aveva uno stinco dolorante a causa di un calcio datogli dalla bambina, il labbro gonfio per un pugno, e vari graffi sulle braccia, ma stava bene, voleva solo tornare nella sua stanzetta bianca e stare col suo Niall.
Arrivò finalmente alla porta, slittando tra i vari assistenti che rincorrevano altri malati, ma sentiva delle voci provenire dall’interno.
Chi poteva essere? Altre persone che volevano frugare nel suo cervello?
«devi sapere alcune cose prima…»era stata una donna a parlare. La dottoressa Smith, si, era la sua voce.
«so già tutto, mi fin…»non sentì altro. Venne spinta da qualcuno cadendo nella stanza provocandogli un forte dolore allo stesso stinco del calcio: perfetto.
Alzò lo sguardo trovandosene già due puntati addosso, non fece caso a chi fossero abbasso solo lo sguardo.
«Faith? Dannazione che hai combinato?»le corse incontro la sua dottoressa guardando il labbro gonfio e i vari graffi, senza soffermarsi su quello ormai permanente.
Lei non si mosse, abbassò ancora lo sguardo rialzandosi in piedi.
Non aveva ancora notato Niall.
La dottoressa so schiarì la voce: «Faith, lui è un altro mio paziente, Niall»
A quel nome Faith balzò, alzò di scatto gli occhi con il cuore a mille.
Scappò via dalla stanza senza nemmeno dare tempo al biondo di presentarsi.
«Lei è Faith»sospirò sedendosi sul letto la dottoressa.
«sai, me ne ero accorto-la beffeggiò il nipote sedendosi sul letto- e ancora più psicopatica di quanto credessi, ma è carina, niente di che»
«non credo ti interessi, che sia carina o meno-lo riprese la dottoressa -devi solo preoccuparti che torni a parlare, che torni ad essere la ragazzina di un tempo.»
Niall  si stese definitivamente guardando il soffitto bianco.
«beh, che altro hai da dirmi su questa fantomatica psicopatica?»si poggiò sui gomiti guardando la zia che si avvicinava man mano alla porta.
«niente, sarà lei a dirtelo, sempre se vorrà. Ora magari prova a fare conoscenza, sarà leggermente scossa»
«beh, ci credo. Il suo piccolo amico sogno erotico si è avverato»continuò a scherzarci sopra.
«Questo non è uno scherzo Niall. Non fare come di tuo solito. »
 
 
 
 
 
 
La vista era appannata, le orecchie ovattate, il cuore scalpitava, c’era solo lei, e Niall.
Ma quello che aveva visto era reale, di carne ed ossa, con tutti gli organi al posto giusto, e non solo un foglio di carta.
Non era però un’opzione proponibile, magari lo aveva solo immaginato.
Ma come è possibile immaginare qualcosa di cosi reale? La voce della dottoressa Smith che le presentava questo nuovo paziente, gli occhi curiosi di Niall, era tutto cosi vero, e non poteva essere una semplice immaginazione.
Eppure non riusciva a crederci.
Era la fotocopia, identico, a come lo aveva creato il suo subconscio. I capelli con la radice leggermente più scura, gli occhi, il fisico asciutto … solo una cosa non era riuscita a controllare se fosse proprio come immaginava: il suo sorriso.
Quel sorriso, che, a quanto pare, esisteva davvero.
Era spaventata.
Che avesse qualche potere sovrannaturale? Scartò subito l’opzione, non si ritrovava di certo in un cartone animato.
Ma allora come era possibile?
Stava male.
Uno strano senso di angoscia l’aveva invasa, sentiva i fermenti lattici provocargli dolore all’ossatura, e lo stomaco aveva preso a dolerle improvvisamente, provocandole un coniato di vomito.
Non sapeva dove dirigersi, vedeva tutto buio. Il corridoio azzurrognolo, i pazienti, i dottori, tutti scomparsi.
«Attenta a dove metti i piedi, stupida ragazzina!» le urlò un uomo di mezz’età che si era involontariamente scontrato con la spalla della giovane.
Riuscì a riprendere il respiro, uscendo così da quella bolla ovattata che l’aveva avvolta, solo quando mise piede fuori, e l’aria gelida di inizio inverno le bruciava sul corpo, quasi avendo un effetto contrario.
Bruciava a contatto col freddo. Ma non sapeva se era lei a bruciare, o la sua anima che alla vista del sogno irrealizzabile, aveva subito un’altra crepa.
Oltre al buio che l’attanagliava, improvvisamente i giardini, sprovvisti di fiori con spine, o alberi eccessivamente alti, presero a vorticare, facendo sì che Faith si ritrovasse a terra poco dopo, priva di sensi.
L’arrivo di Niall non era iniziato nel migliore dei modi.


 
«Beh, l’ha presa bene» il biondo rivolse un ultimo sguardo a Faith prima di accartocciare la sigaretta in un fazzoletto per poi gettarlo dalla finestra.
Aveva davvero un’aria distrutta. Era sciupa, pallida, gli occhi chiusi erano contornati da due enormi fosse nere, ed i capelli mossi erano sparpagliati sul letto. Sembrava che dormisse, e sembrava anche cosi tranquilla, come se non volesse risvegliarsi mai più.
«Sinceramente? Pensavo peggio.» anche la dottoressa fece il suo commento positivo sulla reazione di Faith.
«Tra quanto si sveglierà?» spostò lo sguardo verso la dottoressa.
«A breve. I medici hanno detto che è stato solo un calo di pressione dovuto allo stress e al forte shock.»
Niall annuì, programmando le prossime mosse. Doveva iniziare bene, senza spaventarla, o farle credere quello che in realtà era. 
La ragazzi mugolò qualcosa nel sonno prima girarsi dalla parte opposta rannicchiandosi su se stessa, come a creare una corazza dal mondo esterno.
«Credo sia meglio che tu esca. Non gioverebbe alla sua salute vedere te appena sveglia, avrete un primo approccio con più calma, magari a cena.»
E così fece. Cercò di orientarsi nell’immensa clinica, trovando finalmente l’uscita.
Prese il telefono, facendo in modo che nessun sorvegliante lo vedesse e compose il numero, sicuro al centouno per cento che  i ragazzi stessere insieme.
«Chi è che rompe gli zebedei mentre giochiamo a scacchi?» tirò una risata al sentire il tono scherzoso dell’amico.
«Niall, ti ricorda qualcosa?»
«oh, si, ho un ricordo confuso. Metto il vivavoce, vediamo se gli altri hanno una visione meno sfocata»
Era incredibile la spontaneità con cui si rivolgevano i ragazzi che, per alcuni potevano sembrare solo un branco di teppistelli, ma tra cui in realtà c’era uno splendido rapporto di amicizia ad unirli. Un rapporto sì, basato su scazzottate e canne, ma anche sulla fiducia.
«Jamie! –urlò Liam- la tua presenza ci manca quanto un dito nel culo.» Gli altri risero, trascinando con loro anche il biondo.
«Sempre così fine – lo riprese- beh? Che dite? Successo qualcosa in queste ventiquattro ore di assenza?»
«Parlo io che sono il meno idiota – la voce roca del moro fece zittire quella degli altri, ognuno impiegato a dire qualche idiozia diversa- per adesso niente di eccezionale. Haz si comporta in modo impeccabile, forse ancora un po’ pauroso, ma gli stiamo dando il tempo per sciogliersi, credo che al tuo ritorno potrebbe essere degno di essere chiamato Edward. Dopo circa sei mesi di apprendistato mi sembra il minimo» La serietà con cui si discuteva dei problemi riguardanti il gruppo era quasi impressionante.
«ow, il piccolo Haz è arrossito- lo prese in giro Louis- povero orsacchiotto peloso» ridemmo tutti prima di ritornare all’atmosfera seria creata poco prima.
«Vedi cosa devo sopportare?un capo che viene deriso, sono troppo buono. –sbuffò in modo ironico Harry- comunque, vi porto novità, non solo a te Jamie, ma anche al resto del gruppo.» tutti sembrarono zittirsi ed aguzzare le orecchie, si sentiva solo qualche ‘sputa la ranocchia’ da parte di Louis.
«Beh oggi ho avuto un incontro ravvicinato con gli squiddle, la banda dell’isolato di fronte al nostro. Non appena mi hanno visto si sono avvicinati, cercando di intimorirmi. Vogliono soffiarci il posto, e credo che ora, con l’assenza di Niall abbiano più opportunità per attaccare.»
«Si, ma siamo comunque forti, anche senza il capo.» sbuffò Liam, infastidito da questa scarsa fiducia nelle loro capacità.
«Si, ma comunque è un componente in meno. Loro sono in sette, e noi senza Niall in quattro. Per quanto potremmo essere forti, il numero ci fotte.»
«Radunate qualcuno e tenete duro fino al mio ritorno. Stando alle solite statistiche, dategli una settimana e mezzo per elaborare l’attacco, e poi tenete duro, non fatevi mai cogliere impreparati.» controllò l’ora sul telefono, desiderando vergognosamente una sigaretta, erano quasi le sei del pomeriggio, e la cena sarebbe stata servita a breve. Doveva avviarsi per approcciarsi con Faith.
«Continuate cosi, andrete bene. Ora però devo andare, in questo posto servono la cena alle sei. Manco fossero morti –gli altri risero- vi chiamo dopo cene e continuiamo.»
«Oh lo spero, devi ancora raccontarci della psicopatica!» senza aspettare altro chiuse la chiamata riponendo il telefono nella tasca interna del giubbino avviandosi verso la mensa.
Sapeva che la zia costringeva Faith ad andare in mensa, anche se, apparentemente sembrava non toccasse cibo. L’unico problema era: in che orario si presentava? La mensa rimaneva comunque aperta fino alle otto, e di aspettare tre ore non se ne parlava proprio.
Decise di prendere del cibo, prestando attenzione a non sfiorare neanche per sbaglia gli altri presenti in sala. Vero che Niall non aveva timore di nessuno, ma non voleva scaturire problemi alla zia, e quindi perdere la Gibson. Doveva avere molta attenzione.
Dei lunghi capelli mossi, dal colore indecifrabile entrarono nella visuale del ragazzo. Aveva il viso calato e non poteva vederne il viso. Ma sapeva fosse lei. Aveva riconosciuto il fisico, ed i vestiti, che non si era di certo cambiata a distanza di tre ore dal primo incontro. Doveva passare all’azione. Buttò il vassoio con ancora il rimanente cibo dentro, avviandosi a passo spedito verso la ragazza.
Fai il bravo ragazzo. Continuava a pensare mentre si avvicinava a Faith. Indossava una maglietta larga a maniche corte, che mostrava i bendaggi dovuti probabilmente all’incontro con la bambina assatanata della mattina, e qualche bruciatura che sembrava essere più che stagionata.
Che questo mese abbia inizio.
«Ciao- le se avvicinò- sono Niall James Horan, ma puoi chiamarmi Niall.» sorrise in modo tenero mentre gli occhi della ragazza si spalancarono cominciando a vacillare. Niall si stupì di quanto un paio di occhi potessero essere così profondi ed intensi, ma così spaventosamente vuoti.
Faith riprese a camminare seguita dal biondo.
«Tu sei Faith vero? Ci ha presentato prima la dottoressa, ma non è stato uno degli incontri migliori, visto che eri stata appena aggredita da una mini-samara.» cercò di essere il più cordiale possibile, mentre Faith continuava a guardare il tavolo vuoto in fondo alla sala sul quale si era seduta.
«Sai chi è Samara vero?- non ottenendo risposta, prese a parlare- oh, e la bambina del ‘vedo la gente morta’? è famosissima! –continuò ad essere ignorato- deduco che non sei un’amante dei film horror.» che argomento stupido da trattare, ma era l’unico che gli era venuto in mente. Quella Faith già non la sopportava, stava mettendo a dura prova la sua pazienza già instabile.
Cambiò argomento. « non mangi niente?- continuò a non ottenere risposta, sbuffò mentalmente- ti capisco, è il primo giorno che sono qui, e già mi sale il vomito. Insomma non è carne quella che mi hanno messo nel piatto prima!» il cibo. Altro argomento inutile, ma che continuava a non riscuotere successo tra Faith ed il ragazzo.
«Sto parlando un po’ troppo eh?» finalmente Faith alzò gli occhi facendoli scontrare con quelli del biondo. Credeva che stesse per accennare un sorriso, cosa che però non fece. Almeno era riuscita a smuoverla, niente male come prima volta. Poteva già ritenersi soddisfatto.
All’improvviso la ragazza si alzò lasciandolo solo. Una volta realizzato le corse dietro.
«ehi! Non mi lasciare solo! Non ho la minima idea di dove sia la mia camera –si grattò il capo con fare imbarazzato- o meglio, la Smith me lo ha mostrato, ma non ricordo. –rise il biondo- credo sia la 24b2. –la camera di fianco a quella della ragazza. In realtà lui sapeva sia dove si trovasse la camera, che che si trovava di fianco a quella di Faith- mi fai strada?» ed in silenzio si incamminarono verso le scale che portavano al loro piano.
Faith, una volta arrivata, senza nemmeno girarsi verso il ragazzo aprì la porta, ma venne bloccato dalla sua voce.
«Grazie Faye. Posso chiamarti cosi? – balle di fieno- beh, ci vediamo domani a colazione» le sorrise pieno ed entrò chiudendosi la porta alle spalle.
Che egocentrica, montata, antipatica del cazzo. Pensò Niall. Non lo aveva degnato di uno sguardo, se non per quello mezzo derisorio quando si era reso conto si star parlando troppo anche per i suoi gusti. Si era alzata lasciandolo solo, e stava entrando nella sua camera sempre da sola.
Il primo approccio con Faith non era stato dei migliori. Ed era convinto che quello sarebbe stato un mese bello pieno.
Sospirò componendo il numero dell’amico.
«Beh? Che aspetti a raccontarci?» rispose subito Louis, mettendo il viva voce, e dando il libero accesso alle parole di Niall, che scorsero a fiumi.

Ma Niall non stava parlando solo con Will, Jay, Jawy e Haz. Dall’altra parte della parete c’era un altro Niall, che parlava con Faith. Stranamente Faith era allegra, contenta di aver potuto assaporare quel sorriso, che era esattamente come credeva.


*

Chiedo scusa ragazze, con tutto il mio piccolo ed inesistente cuore.
Ho fatto aspettare troppo, ed è tutta colpa mia. E' saltata la connession per una settimana, e quando ritorna, mi blocco. Un altro blocco. Non riuscivo a scrivere, e non sapevo come continuare la storia.
Ci tengo tanto a questa storia, la adoro: è la mia storia.
Che poi la scrivo in un modo penoso ma, vabbè, sono dettagli.
Ringrazio le recensioni, ed apprezzo molto il fatto che avete notato il modo in cui ho descritto Faith.
«Non è la classica modella, magra, alta, bionda con un sorriso smagliante. E' reale. E' come tutte noi, e lo apprezzo.» Credetemi, ho pianto lol
Beh, chicas, vi lascio.
Ci vediamo al prossimo, connessione permettento ewe che credo posterò al mio compleanno lalala o forse prima c:
se ya soon
Faithx

 

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  • foto in alto mia c:
  •  per scrivere questa storia mi ispiro a ciò che provo, e alle canzoni: Breathe me-sia/ Over Again- one direction/ Echo-Jason Walker 

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Capitolo 5
*** Team. ***


-nda. non ho intenzione di offendere/disturbare persone che soffrono di certi disturbi psicologici, o che hanno passato si e no le stesse situazioni dei personaggi. Sappiate che ne scrivo con il massimo rispetto, e tutte le ricerche possibili-





*

foto mia. Ehm, no, okay. Ci ho provato.
ps. non ho riletto. Vi avviso ora così vi preparate al peggio c:

 

Team.


«Allora come è andata con la psicopatica?» Gli chiese Louis dall’altra parte della cornetta. I ragazzi erano seduti tutti nel salotto di casa Tomlinson, intenti in un piccolo viaggio a spinellandia prima che venissero chiamati dal biondo. Tutta quella situazione li preoccupava e li divertiva contemporaneamente. 
Li preoccupava perché non credevano possibile che una ragazza potesse immaginarsi Niall come migliore amico surreale.
Era una cosa irreale ed irrazionale, ma nulla per loro era impossibile ormai. Era comunque una preoccupazione divertente, a causa dell’immaginarsi il biondo come il perfetto ragazzo della porta accanto.
«Com’è andata? Un disastro! – sospirò – è entrata cadendo nella stanza, perché era stata appena assalita da una bimba assatanata. Appena mi ha visto è scappata via. Poi l’abbiamo trovata svenuta in giardino. A cena le ho parlato, ma niente. Non mi ha rivolto uno sguardo.» Liam rise divertito.
«finalmente qualcuna che resiste al tuo fascino – lo beffeggiò – a proposito, com’è esteticamente?» a quella domanda tutti i ragazzi attizzarono le orecchie, tutti curiosi di sapere.
«Beh, non è ai livelli di Cheyenne – l’ex ragazza barra scopa amica di Niall. Non era la classica bionda, anzi. Aveva i capelli nero corvino, la carnagione lattea e dei strabilianti occhi verdi. Peccato che la loro “relazione” durò all’incirca due settimane – ma è carina.»
«Definiscici carina.» sorrise Harry aspettando di sentire la voce robotica dell’amico subito dopo.
«Alta, mora o bionda, ancora non l’ho decifrato, il fisico non è perfetto, ma sta bene – fermò un attimo la descrizione- ah, ed ha gli occhi azzurri» ai ragazzi gli sembrò una tipa carina. Almeno non sarebbe stato uni strazio per il biondo. Insomma, se fosse stata una brutta obesoccia al sapore di prosciutto non sarebbe stato sicuramente meglio.
«Meglio di niente – lo rassicurò il pakistano – altre notizie?» appoggiò il telefono al centro del cerchio dove erano disposti i ragazzi.
«No, ma non ho intenzione di mollare. Oggi ci riprovo – ai ragazzi non convinceva molto la situazione, ma decisero di non contraddire il biondo. – Anzi, ora vado. Chiamatemi per qualsiasi cosa, okay?»
«okay Jamie, ti chiamiamo stasera!».
Rimasero tutti in silenzio per un po’, prima di scoppiare tutti in una fragorosa risata.
«Come credete che andrà a finire questa storia?» Chiese Liam buttando la cicca in un fazzoletto.
Come? Beh, una risposta concreta a quella domanda non c’era.
«Credo che tutto andrà per il meglio.» l’animo da perfetto vicino di casa di Harry saltava fuori in ogni momento. Era ancora un ragazzino dopo tutto. I genitori erano presenti, la sorella scopabile, ed aveva la media della B+. Cosa pretendere da un adolescente del genere?
«Secondo me, ci scappa il morto.» l’animo oscuro e più vissuto di Zayn saltava fuori anch’esso sempre. Pakistano, abituato alle regole. Ed al dolore dopo averle infrante.
«Io invece penso che, beh. E’ Niall dopo tutto. Riesce sempre ad ottenere ciò che vuole.» Per quanto idiota e sempre pronto a creare scompiglio. L’animo di Louis era realista. Un piccolo peter pan intrappolato in una copia malandata di Freud.
«Io direi semplicemente che bisogna aspettare.» ma ovviamente Liam ed il suo lato da psichiatra ereditato dalla madre era sempre il migliore ed il più affidabile.
«Io vado. Le preghiere iniziano – guardò il telefono per controllare l’orario- circa cinque minuti fa.»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
«Dove sei stato Zayn?» il brutto accento inglese di Yaser Malik era imponente e duro nei confronti del figlio.
«Con i ragazzi.» l’accento di Zayn invece era da tipico inglesotto essendo nato, cresciuto e pasciuto, a differenza del padre, sempre in Inghilterra.
«Le preghiere sono finite da circa dieci minuti. – lo rimproverò sforzandosi di non alzare la voce – e sai che quel gruppo di bricconcelli non mi va a genio!» le guance erano rosse, il respiro trattenuto, il fumo che fuoriusciva dalle orecchie del povero signore. Si tolse il cappellino delle preghiere rivolgendosi ancora al figlio.
«Sei una delusione figliolo. E forse questo che ti insegna la nostra religione? Non raggiungerai certo lo stato supremo in questo modo!  - si avvicinò ulteriormente al figlio – Capperi Zayn! Puzzi di erba!» La furia di Yaser era scoppiata.
«Cerco di darti tutto! Tutto! Soldi, macchina, libri, tutto! E tu come cazzo mi ripaghi Zayn?! Sniffando erba con quei cazzo di drogati perdigiorno? » uno schiaffo arrivò diritto in pieno viso al pakistano junior che trattenne un sorriso.
«Sul serio padre? E questo ciò che insegna la nostra religione? Facendo del male al prossimo non raggiungerai mai lo stato supremo. E le parolacce feriscono» si prese gioco del padre.
Yaser si scagliò violento contro il figlio scaraventandolo a terra e cominciando a colpire qualsiasi parte visibile.
«Figlio di puttana.» Gli sussurrò Zayn rispondendo ai colpi.
Yaser prese il vaso più vicino scagliandolo con forza contro la schiena del figlio.
«Diamine Yaser! Cosa fai! – Trisha corse in soccorso del figlio, tentando di separarli. – Waliha! Safaa! Correte! » due secondi dopo, tutta la famiglia Malik – eccetto la sorella maggiore- era intenta a separare i due.
«Yaser smettila! E’ tuo figlio! » gli fece aprire gli occhi Trisha. Nessuno piangeva, ormai quelle scene erano talmente ripetitive che a nessuno toccava più di tanto.
«Lui non è mio figlio! E’ un demonio!» A prendere una posizione fu la piccola Safaa, mettendosi tra i due litiganti.
«Zayn, andiamo di là. Ti controllo la schiena – Trishia posizionò la mano sul fianco del figlio che se la scrollò di dosso. – Tu Yaser, torna a pregare.»
Pochi secondi dopo la signora Malik e le due sorelline minori erano nella camera di Zayn intenti a disinfettargli le ferite dovute al vetro rotto dietro la schiena e la nuca, e cercando di far sì che i vari pugni e calci ricevuti non formassero lividi.
«Zayn – lo richiamò la piccola- perché papino ti ha picchiato?» Con una dolcezza che solo una tenera bimba di sette anni può possedere, si sedette accanto a Zayn. La piccola Safaa, per quanto ingiusto fosse, era la sua preferita. L’unica che, forse per ingenuità, gli voleva ancora bene.
«Niente di grave Safy. incomprensioni» rispose sorridendole tenero.
Waliha – che nel frattempo era rimasta immobile, senza alzare un dito nei confronti del fratello – scattò.
«Incomprensioni, Zayn? E’ solo colpa tua se la famiglia sta andando a puttane. O meglio: E’ colpa tua se tua sorella fa la puttana col tuo migliore amico. Sei un buono a nulla. Tratti tua madre come una disgraziata, e me come una lebbrosa. Forse non ti rendi conto che, qui quello sbagliato sei tu!. Perché mentre tu ti strafai di canne e pensi a infilzare le vagine altrui con la tua bella pannocchiona, il tuo caro Louis ha illustrato tutto il kamasutra a Doniya! E magari si fa pagare anche!» venne interrotta solo dalla voce fioca della madre.
«Waliha…»
«Waliha un gran cazzo mamma! Ha ragione papà. Lui non fa più parte di questa famiglia. Trovati una casa e vai via. La tua di presenza non ci mancherà.»
Zayn non fiatò, riflettendo su ogni parola pronunciata dalla sorella.
Aveva ragione? Era davvero colpa sua se sua sorella si pagava pur di andare a letto con il suo migliore amico?
«Zayn, che cos’è la vagina?»












«Sono cinquanta.»
« Cinquanta?» Doniya Malik si era appena alzata dal letto di Louis Tomlinson in cerca del suo intimo. Si rese conto solo dopo che il suo reggiseno fosse appeso al lampadario.Louis si alzò sul letto, in tutta la sua splendida nudità, afferrando l’oggetto nero.
«Sai, i lavori di bocca hanno il loro prezzo.» Doniya si morse il labbro quasi facendolo sanguinare, mentre il ragazzo di fronte a lei non batteva ciglio, anzi, aspettava semplicemente i soldi pur di mandarla via.

Per Louis Tomlinson, Doniya Malik non era brutta, e nemmeno una così grande scocciatura. Carina, sadomaso, e addirittura disposta  a pagare.
Appena la giovane gli aveva detto che era per fino disposta a pagare pur di poter “saggiare quel corpo scultoreo”, Louis aveva subito colto l’occasione. Se la sarebbe fatta scopa amica in qualunque caso. Ma le cento sterline a settimana –se non di più – servivano.
«Ma io ne ho solo venti…» sospirò amareggiata la ragazza, allacciandosi i bottoni della camicetta di raso verde acqua che aveva indossato prima di correre disperata alla ricerca del ragazzo e delle sue fantastiche doti.
«Ti faccio lo sconto solo questa volta Donnie. Perché non lo sapevi – le fece l’occhiolino dirigendosi verso il  bagno – ora però vai. Ho la partita di calcetto tra meno di un ora.» la stava letteralmente mandando via. Ma Doniya ormai era così abituata al rifiuto del ragazzo che non la toccò minimamente.
«Mi piacerebbe venirti a vedere.» sussurrò abbassando il capo imbarazzata allacciandosi la vecchia vans intonata alla camicetta, spostandosi poi una ciocca corvina dietro l’orecchio.
«A me no. Sai che il nostro rapporto è basato su questo. Vieni, ti sbatto, mi paghi, e ciao.» Schietto e diretto, quasi cattivo. Ma in fondo questa era Louis. E Doniya non poteva niente se non accettare ciò che aveva lei stessa stipulato.
«Oh beh, allora ci vediamo alla prossima…» E con un sorriso derisorio di Louis uscì lasciandolo finalmente alla doccia.
Me zz’ora dopo, Louis William Tomlinson era intento a passeggiare per le strade di Londra nella sua fantastica divisa da calciatore, completa di cappellino di lana e piumino.
Giocava in una piccola squadretta di serie bassa, quasi inesistente, che non gli pagava niente, eccetto le venti sterline al mese.
Se Louis continuava  giocare lì era solo per portare avanti la sua fantastica impresa: “Sex on the Lous”.
Eh già. Il pagamento di Doniya aveva fatto scattare la lampadina nel piccolo cervelletto bacato ed incredibilmente sexy del ragazzo.
”perché non approfittarne?” si ripeteva sempre. Ed aveva ragione. C’erano decine di ragazze –fidanzate di altri piccoli calciatori- sessualmente frustrate, o semplicemente alla ricerca di un altro corpo.
Era un puttaniere.
«Ciao Louis.» Era appena entrato negli spogliatoi, inconsapevole della piacevole sorpresa ad attenderlo.
«Oh, Irina, ciao – sussurrò malizioso- che ci fai qui, nello spogliatoio maschile.»
«Oh beh sai, volevo farti una sorpresina – gli poggiò una mano sulla spalla avvicinandosi al suo orecchio, mordicchiandolo leggermente – ed avvisarti che sotto questo semplice pezzo di stoffa – portò la mano del ragazzo alla fine del vestitino color pesca- sono completamente nuda.»
Niente di meglio per un ventunenne.
Bella, abbondante, pagatrice, e senza intimo.
E mentre si avventava sulle labbra della ragazza pensava: “perché fare la puttana è un lavoro così dispregiativo?” beh, ovviamente per lui non lo era affatto.

 
 


«Liam, sei tu-? la voce spezzata e dolorante della signora Payne fece chiudere di strizzo gli occhi di Liam- L..Liam! Pu..Pul…Pulcin… Pulicinotto!». Il ragazzo sospirò. Mantenere da solo una madre invalida non era per niente facile, poi se era invalida ed alcolizzata, tanto peggio.
La madre invalida ed ubriaca, e l’unico ad accudirla era un drogato quasi all’overdose.
«Mamma! Ti avevo detto di non toccare questo schifo, e di rimanere a letto!» Le tolse la bottiglia di vodka dalla mano, e quella dei tranquillanti dall’altra, trascinandola verso il suo lettino.
«Hai dei problemi gravi ai polmoni e al cuore, e ti ostini ancora ad ubriacarti – le accarezzò i pochi capelli rimasti con dolcezza- ti rendiconto che se continui così non vivrai a lungo?» la fece stendere, e la coprì fin sotto al mento. Le spostò qualche ciocca dagli occhi e le sorrise tenero.
« Tanto non c’è nessuno a c..c…cui man..manc…mancherei» le sorrise amareggiata.
Liam sospirò. Sarebbe stata un peso  in meno. Non si sarebbe più dovuto preoccupare. Preoccupare di tornare e trovarla a terra. Preoccupare di poter portare una ragazza casa senza che la creda la sua ragazza. Preoccupare di riferire i messaggi alle sorelle Ruth e Nicola. Non avrebbe più avuto il timore di tornare a casa, e trovarla morta.
Ma era sua madre. L’unica che le era rimasta accanto. Glielo doveva.
«Mancheresti a me, mamma.- si alzò, prendendo dal frigorifero una bottigliadi acqua fresca. La versò in un bicchiere. – le hai prese le medicine?» Prese dallo scaffale le varie pillole che avrebbe fatto ingurgitare alla madre.
«No, Lee. – singhiozzò- perc..perchè pro..lu..prolungare lo st..strazio?»
«Perché ti voglio qui. »
« T..Ti h..anno risposto le tue s…sorelle sul pr..protatile, ce…celiarco» Liam la bloccò, ridendo per il modo buffo in cui aveva chiamato il cellulare.
«si dice cellulare mamma.» le sorrise tenero.
«ah, l..lo s…sai che sono all’ an…antica!»  Il ragazzo rise nuovamente non rispondendo alla domanda fattagli dalla amdre. Ruth e Nicola non avevano mai risposto ad un suo messaggio.
A volte era costretto a inventrasi delle risposte pur di compiacere la amdre.
«Lo sai – cambiò argomento – Niall è andata dalla zia, psichiatra, o qualcosa del genere. Non perché ne ha bisogno, ma per una storia assurda1» Cercava di rilassare la amdre, e farla quindi addormentare finalmente.
«Tu..tutti noi siamo pazz….pazzi -sbadigliò aspettando che continuasse il racconto, non lo fece- Ricorda pul..pulcino: l’uomo è un es..essere spr..spregevole.»
«Certo mami, ricorderò – si grattò la nuca.- ah, ti salutano i ragazzi»Detto questo, dopo avergli dato le medicine, lasciò Karen Payne riposarsi, correndo al piano di sopra.
Accese il suo pc. Non era il massimo della tecnologia. Quel piccolo notebook bianco, intasato di canzoni, testi e virus. Ma era l’unica cosa che collegava Liam al mondo. Non aveva nemmeno il telefono.
Collegare Liam al mondo voleva dire aggiornarsi con la musica. Con i nuovi cantanti, e con i brani che avrebbe potuto suonare al suo pianoforte.
Le enormi cuffie nelle orecchie, la musica sparata a palla, ed il resto del mondo fuori.
Ma estraniarsi dal mondo, con una madre invalida a casa non era certo la cosa più sicura da fare.
Questo perché, mentre la madre chiamava a squarciagola il nome del figlio. Lui non sentiva, immerso nel suo amato mondo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il riccio si preparava mentalmente ad una striata da parte dei genitori. Il coprifuoco scattava alle undici, ed era già mezzanotte inoltrata.
Prese un bel respiro prima di entrare nel vialetto che lo conduceva a casa.
«Dove sei stato, Harold? » sobbalzò alla voce della madre, accendendo la luce del soggiorno e togliendosi la giacca.
«Ti avevo parlato di quel gruppo di studio? Ci siamo addormentati sui libri.»
«E tu pretenda che ti creda? – lo guardò dal divano in cui era seduta, alzandosi. – puzzi di fumo, e alcool. »
Cazzo, era proprio fottuto.
Cercò di svignarsela, rifugiandosi nella scusa del ‘ho mal di testa’ e smentendo la mamma con il solito: ‘sei solo stressata mamma, se vuoi ti do il numero del mio amico’. Lo aveva detto con una tale convinzione che la amdre aveva lasciato perdere.
Corse sopra buttandosi sul letto. Si levò le scarpe, i pantaloni e la maglietta, rimanendo praticamente nudo. I quasi cinquanta tatuaggi erano tutti ben visibili. Ma di questi cinquanta i genitori, o la sorella, non  ne erano a conoscenza. Questo perché Harry non era altro che il ragazzo della porta accanto. E a lui andava tutto più che bene.
 
 
 
 
 
 
“mantieni la calma” pensava Faith. Era quasi l’ora di colazione, e sapeva che avrebbe rivisto Niall, e che la avrebbe avvicinata.
Aveva provato a svignarsela la mattina, m ala dottoressa la aveva obbligata ad andare.
Dopo aver parlato con il suo Niall il giorno precedente, l’ansia l’aveva divorata tutta la sera, non permettendole di riposare –cosa che non avrebbe comunque fatto – o di svuotare la mente.
Aveva scritto.

E’ natale. Ho avuto il mio regalo.
Non potrei essere più spensierata, e allegra.
Da non scambiare tuttò ciò con il macabro sentimento, falso, che è la felicità.

La felicità non esiste, proprio come la perfezione. Felicità ne è sinonimo. Non si è mai realmente felici, perché ci sarà sempre qualcosa del nostro passato che tornerà a galleggiarci in testa, rendendoci impotenti. Non volendo distruggere il sogno del Natale, si potrebbe dire che la felicità è semplicemente un segno passeggero. Un piccolo segnetto scritto a matita.
Vorrei tanto possederlo io, quell’attimo. Solo io, in tutto l’universo. In modo che me lo possono invidiare. E lo terrei stretto, proprio come un regalo di Natale.
Sorge il problema: il mio regalo di Natale, in tutta la sue bellezza e  allegria, si sarebbe mai fatto stringere da me?
Faith.











 viva i telefoni oggi lol
ma viva anche le foto, perchè ve ne lascio un'altra c:

Well, il capitolo di oggi non è tra i miei preferiti. Non succede niente, è semplicemente un "capitolo di passaggio" per comprendere emglio i personaggi dei ragazzi.
Sono consapevole che molto probabilmente vi annoierà a morte, ma serve.
Then, oggi non sono dell'umore migliore -come sempre in realtà- quindi non mi prolungo molto. Sono una gran cagacazzo D:
Anyway, per evitare prolemi con l'aggiornamento, ho deciso di aggiornare ogni lunedì sera (massimo martedì mattina).Anche se questo ritmo non proseguirà molto, perchè tra poco iniziano gli esami.
A lunedì prossimo, babe C:

Faith x


 per scrivere questa storia mi ispiro a ciò che provo, e alle canzoni: Breathe me-sia/ Over Again- one direction/ Echo-Jason Walker .
Se volete contattarmi su twittah sono: @idolslandx

 













*
 

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Capitolo 6
*** second approach. ***



-nda. non ho intenzione di offendere/disturbare persone che soffrono di certi disturbi psicologici, o che hanno passato si e no le stesse situazioni dei personaggi. Sappiate che ne scrivo con il massimo rispetto, e tutte le ricerche possibili-






*



foto mia :Londra 2013.
Se riesco a ricevere v
enti recensioni, entro domenica: Lunedì ri-aggiorno C:
Abbiate pietà è da poco stato il mio compleanno, pls





Second approach.





«Ciao!»
Quella mattina non era iniziata nel migliore dei modi per Niall. Aveva dormito poche ore quella notte. Nel rimanente aveva metabolizzato la situazione. Era leggermente preoccupato ed impaurito. Non era una cosa comune ritrovarsi, da un giorno all’altro in una clinica psichiatrica, col pericolo di finire al pronto soccorso solo se avesse sfiorato qualcuno. Era forse per la prima volta in vita sua che si sentiva come se fosse impotente. Non aveva il suo gruppo a difenderlo, ed era solo. Ma è una cosa comune, quando ci si perde nei pensieri nel bel mezzo della notte prendere sonno. Ma è altrettanto di routine quel qualcosa che disturba il tanto agognato momento di riposo. Nel caso di Niall: delle urla. Intorno alle quattro e trenta del mattino aveva sentito delle urla proveniente dalle stanze vicine. Non avrebbe potuto dire che fosse stata Faith o meno, non avendo mai sentito la sua voce. Avrebbe voluto uscire fuori e fare un giro. Ma dopo quegli strilli raccapriccianti si era raggomitolato sotto le coperte ed aveva giocato al cellulare.
Ora l’unica cosa che mancava a questa bella giornata che si prospettava, era un altro rifiuto da parte di Faith. Aveva pensato anche a lei, e a come avrebbe dovuto svolgere i primi passi. Stando al programma rilasciatogli dalla zia dottoressa quella domenica avrebbero avuto, oltre alla colazione, pranzo e cena, altri due momenti in un cui si sarebbe potuto creare dialogo: alle dieci e quarantacinque con la “riunione di gruppo”, dove, ovviamente, non avrebbe lasciato in pace la ragazza nemmeno sotto tortura. E il “post-cena”, dove, a quanto pare, ci si riuniva in un immensa sala, con bar e vari giochi e si trascorreva una serata in compagnia.
Ora si ritrovava a salutarla, camminando con il suo vassoio, facendo attenzione a non scontrarsi con nessuno.
«Come stai questa mattina? –sbadigliò- io non ho chiuso occhio.» le sorrise spostandosi il ciuffo decolorato con una mano. Lei lo guardava, a differenza del giorno precedente. Per un attimo gli sembrò che fosse interessata alla conversazione, e che stesse quasi per rispondere ma così non fu.
Pochi secondi dopo, a distogliere lo sguardo del ragazzo, furono tre ragazze che si stavano avvicinando al loro tavolo. Aveva fatto colpo pure all’interno di un manicomio? Sorrise inconsciamente.
Si ricredette subito dopo, rendendosi conto, che le tre ragazze in realtà si rivolgevano a Faith.
«ehi bionda. – la chiamò rude una- stiamo raccogliendo fondi per il “ballo maniaco”, a cui parteciperà tutta la categoria teen, dai la tua parte.» si spostò una ciocca nero corvino dietro i capelli, rivolgendo al biondo un occhiata maliziosa. «anche tu, ovviamente. – si chinò a sussurrargli ad un orecchio, mettendo in mostra il seno coperto solo da una camicetta rossa che lasciava anche gran parte dell’addome scoperto – non ti conviene star dietro questa, non te la da.» Gli fece un occhiolino, mentre le due bionde ossigenate dietro di lei scoppiavano in una risata da oca.
Da grande attore fece una faccia schifata, mentre si voltava a guardare Faith che giocava con la sua fetta di pane tostato. Si stupì dell’imminente semplicità della ragazza, a differenza delle tre appena viste. Era una nuova “categoria” per lui, da sempre abituato ad essere circondato da bellezze folgoranti, ma stupide, o cattive, o troie. 
Faith, per quanto potesse stargli antipatica, aveva qualcosa che lo incuriosiva. E gli sarebbe piaciuto scoprire un po’ di più riguardante la situazione dell’amico immaginario.
«Ma il senso del pudore? – si rigirò a guardarle- Cristo, che schifo.» sospirò scuotendo il capo facendo scontrare poi le sue pozze blu in quelle azzurre di lei. «ma almeno ci hanno dato informazioni su questo ballo. Quando sarà?» chiese attendendo una risposta che a quanto pare arrivò indirettamente. Lo sguardo della ragazza si spostò dal suo viso, al muro dietro di lui, sul quale era appeso un manifesto.

Ballo Teen!

La scritta gialla spaccava sullo sfondo viola, rendendola impossibile da non notare.
Sotto , di altrettanto colore si estendeva la data. Poi ancora una scritta rossa in grassetto:
“accesso solo ai pazienti tra i sedici e i venti anni, del reparto dei vari reparti: che siano moderati.”
Rileggendo la data si girò di scatto verso la ragazza che era tornata a giocare con il suo cibo. «E’ tra un mese. Ci andiamo?» chiese con gli occhi brillanti rivolgendosi alla ragazza che lo guardò quasi allegra, ma che non seppe rispondere. Se il suo piano sarebbe andato come dovuto, il giorno del ballo la ragazza avrebbe già dovuto parlare. Magari si sarebbe anche divertito quella sera.
Finito di straziare il pezzo di pane che si ritrovava nel piatto Faith si alzò, uscendo dalla mensa e tornando in camera sua. Niall doveva parlare assolutamente con la zia.








«E’ strana zia, strana forte!» si accese una sigaretta il biondo. La zia lo rimproverò mentalmente, per poi guardarlo con occhi dolci. Cosa si aspettava? Che fosse subito disposta a diventargli amica? 
«Niall, comprendila, non ti conosce nemmeno!» esclamò Karen facendolo sbuffare.
Aveva circa altri dieci minuti, prima che arrivasse Faith per la sua seduta quotidiana. Magari avrebbe potuto spronarla a fare amicizia con Niall.
«ogni cosa a suo tempo – sospirò la donna- comunque, inventati un qualcosa, deve esserci pur un motivo per cui sei qui.» Niall annuì.
«Esatto! Magari potrei fargli pena! Sei un genio zia!» le baciò la guancia facendola sorridere. Non era proprio questo che voleva, ma, tutto pur di farla parlare.
Niall si congedò con un “dopo ti faccio sapere” uscendo dallo studio. 
La Smith si ritrovò a riflettere, aspettando che la sua paziente arrivasse. I sensi di colpa la attanagliarono. Forse non avrebbe dovuto architettare tutto questo contro la ragazza.
Voleva molto bene a Faith, e, inizialmente, lo aveva fatto solo per il suo bene. Solo dopo si era resa conto però, che questo implicava non solo risolvere il caso, ma anche farla soffrire.
Che stupida che era stata. Era inconcepibile che una quarantenne come lei escogitasse un piano da adolescente innamorato.
Ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro. Sapeva che Faith stava comunque incominciando ad affezionarsi al ragazzo. Da quel che aveva detto Niall poco prima, l’aveva guardato, aveva accennato un sorriso. Non gli era poi così indifferente. 
Magari non avrebbe nemmeno sofferto così tanto. Se Niall fosse riuscito nel suo intento facendola tornare –per quanto impossibile- una ragazza normale, avrebbero potuto continuare a sentirsi e magari diventare amici anche al di fuori della clinica. In caso contrario però Faith sarebbe soltanto peggiorata.
Il suo telefono prese a squillare illuminando il display con il nome “Duncan”. Bastavano solo i genitori di Faith per rovinarle la giornata.
«Katiusha! Salve, sono la madre della piccola cucciolotta!» esclamò euforica dall’altro capo del telefono. Karen sbuffò per il modo in cui l’aveva chiamata: Katiusha, come se fosse una prostituta polacca, o un nome d’arte di una porno diva.
«Salve signora. Per precisare, il mio nome è Karen, non Katiusha.» rispose stizzita aggiustandosi la camicetta bianca che indossava quella mattina.
«Katiusha è più scenico – rise giuliva- comunque, volevo avvisarle che stasera passiamo a prendere Faith. E’ l’ultima sera qui prima di tornare a Londra» facendo la finta triste aspettò che la Smith rispondesse.
Doveva accettare per forza. Era costretta. Loro, per la legge, erano i tutori della giovane, e doveva accontentarli, nonostante non sentisse Faith al sicuro con loro.
«oh, certo – si sforzò a dire- però che non torniate troppo tardi. La ragazza è scossa in questo periodo, e non me la sento di lasciarla per troppo tempo.» E dopo i soliti saluti riattaccò, in tempo per Faith che entrava a passo insicuro nella stanza.
Faceva tenerezza:i capelli spettinati, vestita di bianco, con le guance rosse e gli occhi che spiccavano.
Ma incuteva anche terrore. Diciassette anni. Rovinata perché la vita gli ha giocato brutti scherzi. Era stata forte, per le prime volte, era andata avanti. Ma con l’accaduto dei genitori non ce l’aveva fatta, aveva provato, e riprovato a lottare. Ma quando era venuta a sapere che l’avvocato di Mike era riuscito a tirarlo fuori dal carcere, era morta.
Rinsavire, o morire definitivamente.
Non aspettava altro, e la dottoressa lo sapeva. Ed era consapevole anche che se Niall non ci fosse riuscito, Faith sarebbe morta.
Niente è impossibile, tutto a tempo debito. Ma per la ragazza non c’era più tempo. E la dottoressa di sentiva così in colpa, ed impotente.
«siediti cara- le sorrise dolce osservandola con cura- come va con il nuovo arrivato? » sapendo di non ottenere risposta continuò a parlare. Le bastava sapere che Faith aveva alzato lo sguardo, e che la fissava. 
Si ricredette. Niall, per quanto poco raccomandato fosse, stava inconsapevolmente già aiutando la ragazza.
«Avete più o meno la stessa età. Ho pensato fosse un’idea carina che i miei due pazienti si conoscessero. E poi lui è un bel ragazzo.» ammiccò verso la ragazza che rabbrividì persa in chissà quale pensiero.
«Oggi finiremo prima. Hai il controllo mensile. Mi raccomando –si alzò mettendo al proprio posto delle cianfrusaglie- non lasciarti prendere dal panico. Ci saranno anche quelle del reparto anoressia e bulimia, che sono spietate nei commenti: non le ascoltare. Per non parlare del reparto “psichiatria criminale”, non hanno di buon occhio quelli del tuo reparto, Faith. Estraniati e lasciali perdere.» dopo l’episodio capitato l’ultima volta, che si era concluso in una rissa, la dottoressa aveva deciso di prendere accortenze e parlarne con la ragazza.
Le anoressiche, per quanto dolci e impotenti, anche inconsapevolmente erano spietate con le parole. Soprattutto verso chi non era come loro.
I criminali, entrati là dentro per eccessiva violenza, o anche creatività, dando conto a come combinavano il corpo delle loro vittime, non riuscivano a comprendere i problemi psicologici che non comprendessero anche quelli fisici.
Per fortuna il resto dei reparti (orfani, dipendenti, etc) li avrebbero accertati il pomeriggio seguente.
Tecnicamente Faith rientrava in molti reparti. Orfana, se non fosse stato per i genitori adottivi. Dipendente, perché sapeva che la ragazza continuava a farsi del male, non solo fisico. Ma tutto ciò era scaturito dal suo incurabile problema psichico.
Faith sarebbe stata curata già da molto, se avesse parlato. Perché di Faith sapevano solo di Mike, e non di ciò che le era successo in passato. Nonostante le numerose ricerche, nessuno dei suoi amici o parenti aveva potuto dirci niente. C’erano cose che Faith nascondeva persino a se stessa.
«Devo darti un'altra notizia, ma stai calma- si inginocchiò davanti la ragazza- Monique verrà a prenderti più tardi, ti porterà a cena fuori. E’ l’ultima sera qui a Mullingar. » La ragazza abbassò gli occhi di scatto come ferita. Sarebbe stata solo una sera, questione di un paio d’ore.
Eppure quei due continuavano a starle sempre meno simpatici.
Dopo appena venti minuti di dialogo con la dottoressa, suonò la campanella: doveva recarsi alla capanna per tutti gli accertamenti, poi all’ora di strazio con gli altri del reparto. Ma di più brutto, ci sarebbe stata la cena.








«1,71cm per 72kg. – annotò il dottore- oh, e chi l’avrebbe mai detto! Per fortuna sei alta» le aveva sorriso mentre quelle dietro di lei si shockavano.
«Dai la prossima! Tu passa alle analisi del sangue –spinse Faith, facendola perdere leggermente l’equilibrio, mentre si affrettava a misurare un’altra – 1.75cm per 40kg» sorrise soddisfatta la ragazza, per poi notare che quelle dietro ,ancora più magre, la guardavano come se provenisse da un altro pianeta.
Faith aveva osservato la scena mentre si affrettava a dare il braccio pallido e consumato al dottore che, con uno scatto veloce la infilzò con l’ago prelevandole il sangue.

«Bene, così perde qualche litro.»
Aveva sempre odiato se stessa, ed il numero che la bilancia segnava ogni qual volta ci si posizionasse sopra. Era da sempre stato il suo punto debole. Ogni qual volta venisse attaccata sull’aspetto crollava. Prima che venisse rinchiusa lì dentro aveva delle amiche. Tutte belle, magre, belle, e sincere.
Tre anni addietro si sarebbe rintanata in un angolo a piangere per tutto ciò che quelle tizie 1.80 cm per 20 kg gli avevano detto pochi minuti prima. Ma ormai niente aveva più senso. Perché crearsi dei problemi sull’aspetto, se tutto ciò che aveva era svanito nel nulla? Non sapeva nemmeno da quanto non si guardava allo specchio. E non voleva nemmeno vedere lo stato comatoso che l’assenza di cure le aveva provocato.
Ora era in camera, staccandosi il cerotto dal braccio e buttandosi a pancia in su sul letto. Non riusciva nemmeno ad immaginarsi Niall in quel momento, troppo presa dai pensieri. Inconsapevolmente e senza volerlo si addormentò, e non avrebbe dovuto farlo.


Era una situazione strana e sovrannaturale. Era impaurita, e bloccata dalla paura.

Era seduta sulla poltrona, posizionata di fronte il letto che aveva nella sua vecchia casa, insieme ai genitori. Come se fosse legata vedeva il letto, nel quale c’era una ragazza: era lei.
Dalla porta di fianco alla poltrona ne uscì un uomo, con poi capelli e con un sorriso dolce che si avvicinava alla figlia.
Erano identici, due gocce d’acqua.
«Notte pulcino.» le sussurrò l’uomo facendole con il pollice il segno della croce sulla fronte.
Riusciva, seduta su quella poltrona, non solo a vedere perfettamente la scena, ma anche a sentire i pensieri di lei tre anni addietro.
Riusciva a sentire i pensieri negativi che stava dedicando ai genitori. Non li sopportava. Per quanto presenti e perfetti non riusciva a farne un modello da seguire. 
Erano costantemente impegnati nel lavoro per mandar avanti la famiglia. Ma non si preoccupavano di ciò che stava passando Faith. 
A soli quattordici anni aveva vissuto più esperienze negative di una adolescente normale. Aveva provato a parlarne con loro, ma non la ascoltavano. Specie il padre che si limitava a dirle: «Devi ancora vedere i veri problemi della vita.» beh, peccato che Faith alcuni li avesse già vissuti in prima persona.
Aveva lasciato stare il suo monologo interiore e si era stesa nel letto spegnendo la luce e abbandonandosi tra le braccia di morfeo. 
L’altra Faith nel frattempo continuava a guardarla dalla poltrona. Quando all’improvviso aveva sentito qualcosa.
La stanza di Faith era collegata alla camera dei genitori, al soggiorno e ad un piccolo ripostiglio dove all’interno c’erano i giocattoli del fratellino e il suo materiale per la scuola. Da lì aveva visto un’ombra che prese ad avanzare verso il verso di Faith. Solo dopo un po’ riuscì ad identificarlo: era un pagliaccio. I ricci capelli arancioni, l’eccessivo trucco, e quel sorriso inquietante che non accennava ad abbandonargli il volto.
La Faith della poltrona era tranquilla. E rimase tale anche quando vide il pagliaccio stendersi a pancia in su nel letto di Faith, continuando a sorridere. 
In un tratto tutto buio, e poi la luce.
Non c’era più la Faith della poltrona, bensì solo quella che si ritrovava nel letto, vestita come un pagliaccio e ricoperta di sangue, tanto sangue. Come se ci potesse affogare dentro.

 

Fumava avidamente la sua sigaretta scazzato come non mai.
Faith non si era presentata all’appuntamento tra malati, ed era stato costretto a subirsi un ora di ragazze che si strusciavano, tizi che gli ridevano in faccia e chi lo aveva scambiato per Enrico V.
Non aveva voglia di chiamare i ragazzi, li avrebbe trattati solo male.
Voleva, anzi, doveva sapere il perché Faith non era dove doveva essere.
Bussò alla porta della camera della ragazza, nessuno aprì. Riusciva a sentire solo delle grida provenire dall’interno.
Andò nel panico. C’era qualcuno lì con lei? Le stavano facendo del male? Cazzo, al diavolo lui, e la sua voglia di sapere. Entrò là dentro velocemente.
Non vi era nessuno, oltre la ragazza che lottava ardentemente contro le coperte. A primo impatto quella vista lo fece sorridere. Poi si precipitò verso la ragazza.
«Mike! –l’aveva sentita urlare. Rimase pietrificato al suono della sua voce – Vai via! Lasciami stare!» si dimenava, con le mani sul viso ricoperto di lacrime.
Era una scena terrificante. 
La scosse lentamente con un braccio, senza ottenere risultati. «Faith –la chiamò lentamente- Faith! –sbuffò- Fay, diamine! Svegliati.» la scosse con più forze e la ragazza, con un salto felino si svegliò tremando, e piangendo.
Niall chiuse la finestra. Poi si sedette accanto a Faith che continuava a tremare.
«cos’è successo?» cercò di avvicinarsi, ma lei si tirò indietro impaurita. Non smetteva di tremare. 
Dotandosi di coraggio e forza, senza un motivo preciso Niall la strinse a sé.
La prima reazione da parte della ragazza non fu tra le migliori. Tremò, agitandosi sempre di più.
«Shh – la zittì Niall accarezzandogli i capelli- va tutto bene, ci sono io qui» come per magia dopo quelle parole si tranquillizzò, senza smettere però di piangere.
Niall si mosse leggermente facendola andare di nuovo in agitazione.
«Calma – le sorrise a trentadue denti, mentre le afferrava la vita facendola sedere su di lui per stringerla meglio – sei al sicuro» continuò per un tempo indefinito ad accarezzarle i capelli. Cercò di allentare la presa, ma il corpo della ragazza sopra di lui non lo fece muoversi irrigidendosi di più.
A quanto pare le piaceva essere abbracciata stretta.
Sentì un rumore provenire da fuori l’enorme finestra della camera, ma non ci fece caso. Troppo perso a tranquillizzare la giovane.
Solo allora si rese conto in che guaio si era cacciato, e in che condizione si ritrovasse la ragazza. Come con una secchiata di acqua gelida si rese anche conto che Faith, mentre tremava e si stringeva inconsapevolmente sempre di più al suo corpo, non faceva altro che chiedere aiuto. Si stava fidando, sperando che il Niall di carne ed ossa fosse dolce e disposto come quello dei suoi sogni.
Inconsapevolmente si rispecchiò negli occhi della ragazza ritrovando se stesso. Era così che anche lui si sentiva. 
Le avrebbe dato una mano, tutto il braccio se necessario.
In quella stanza, beccati sul fatto, entrò la dottoressa Smith che, sorridente, fece finta di niente.
«Cos’è successo? » chiese tra il preoccupato e l’allegro, senza però ricevere risposta dal ragazzo. Faith balzò in piedi abbassando lo sguardo, non imbarazzate, semplicemente tornata alla realtà.
«Mi dispiace avervi interrotto –disse sghignazzando- ma Faith devi prepararti. Hai la cena con i tuoi genitori stasera» Niall non disse altro, guardò semplicemente negli occhi Faith, per poi uscire dalla stanza e recarsi in giardino.
Compose il numero, e come al solito a tre squilli risposero.
«Salve boss!» un coro allegro fece ritornare per un secondo Niall alla sua vita quotidiana.
«Che mi dite?» rispose un po’ frustrato.
«Niente ancora. Gli squirtle ancora non attaccano. Harry si è staccato dalla tetta di mamma, e qualcuno qui si è fidanzato, e sembra una cosa seria..» sussurrò Zayn allegro.
La curiosità di Niall sprizzò da tutti i pori.
«Liam vero?» cercò conferma che non arrivò. «Oh cazzo! – si riprese subito dopo- Louis, figlio di una troia, tu? Fidanzato? – continuò subito dopo ancora più agitato. Cristo, ma è Doniya!» Finalmente ricevette una conferma, e senza far parlare nemmeno gli altri aveva un idea di chi fosse la fortunata, o sfortunata.
«Ti sei finalmente reso conto che tu e Doniya siete perfetti insieme? Finalmente, almeno eviti di farla soffrire ancora, non lo merita»
«anche tu con questa storia? Me lo hanno già detto gli altri – lo sentì sbuffare- beh, comunque a te? Come procede.»
Rientrò in camera due ore dopo, distrutto e con la pancia a pezzi dovuto alle troppe risate.
Aprì la porta della sua camera e perse un battito.
La finestra rotta.
Una pietra.
Con su un fogliettino.
Gli si gelò il sangue.
In che cazzo di guaio di era andato a cacciare.





 

*



 

Sono con tre fottutissime settimane di ritardo.
Colpa mia lol.
Lunedì non avevo il capitolo pronto, perchè ho appena iniziato a studiare per gli esami. Ho pensato "okay, aggiorno Giovedì 16 Maggio,  che è il mio compleanno", però giovedì ho festeggiato, e non avevo tempo.
Solo ora sono riuscita a ricavarne un pò. Ed ho pensato ancora: beh, me lo faranno un regalino per il compleanno? se in cambio gli do un altro capitolo?
20 recensioni, e Lunedì posto. Mi sono posta questa sfida, che so di non vincere ma okaaaaay.
Comunque: Ora inizia la vera storia. I primi capitoli sono stati una rottura di coglioni, ma ora incomincio a gasarmi yaaaap.
Prima di lasciarvi, vi chiedo:

Avete qualsiasi domanda da dirmi? anche le più imbarezzanti? non ho una ceppa di cazzo da fare c:
Faith c:

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Capitolo 7
*** Everywhere. ***


-nda. non ho intenzione di offendere/disturbare persone che soffrono di certi disturbi psicologici, o che hanno passato si e no le stesse situazioni dei personaggi. Sappiate che ne scrivo con il massimo rispetto, e tutte le ricerche possibili-

 

Lo abbiamo fatto una volta, facciamolo ancora: CONTINUO A 20 RECENSIONI.
non ho riletto, per fretta. 


Everywhere.


Sembrava non finire più. Quella serata, che già non si prospettava tra le migliori, si era rivelata anche peggio. Monique era frivola, egocentrica, e tremendamente amante delle cose ricoperte di brillantini o pagliette possibilmente rosa shocking o fucsia fosforescente. Probabilmente anche Faith sarebbe stata come lei, se non ci fossero stati quei piccoli “inconvenienti” che hanno deturpato la sua vita.
Erano solo le nove di sera, e la dottoressa Smith aveva esplicitamente detto ai Duncan di riportare la ragazza alla clinica non più tardi delle dieci e mezza. Non avrebbe resistito un’altra ora e mezza.
Bertrand sembrava non volersi neanche trovare in quella situazione. Impegnato com’era a messaggiare per impegni “di lavoro” al cellulare.
Ma Faith non era scema, pazza sclerotica con problemi allucinogeni e schizofrenica si, ma non scema. Anzi, probabilmente era anche più intelligente di Monique e Bertrand fusi insieme. Sapeva che Bertrand non era di “lavoro” che stava messaggiando. Ma d'altronde come biasimarlo: una moglie come Monique non era il massimo da avere.
Il localino, piccolo e indifeso a cinque stelle in cui l’avevano portata era tremendamente affollato quella sera. C’era molta gente, e ciò non aiutava a far sì che Faith rimanesse calma e che si sentisse a proprio agio. Le luci gialle accese che illuminavano il salone immenso affaticavano gli occhi. E tutti quei migliaia di diamanti, posizionati ovunque: dai lampadari, alle pareti, ai tavoli stessi. Rotondi e di vetro con qualche diamante al suo interno. Le gambe color oro –fatte probabilmente dello stesso materiale- e le sedie abbinate.
Questo era esattamente, precisamente, tutto ciò che a Faith non piaceva.
Sentiva l’attacco di panico bussare alle porte, ma lo ricacciò indietro. Non sarebbe di certo stato una scena consona ad un ristorante del genere, e visto che gli “invalidi psichici” non avevano l’accesso alla sala madre era meglio che si fosse comportata come una ragazzina in piena crisi ormonale. O questo era ciò che le aveva detto, con il suo fantastico setto nasale deviato Moni1que.
Mentre i due coniugi sfortunati blateravano riguardo a questioni di lavoro, Faith tornava indietro di due ore e si chiedeva: come era possibile?
Ricordava tutto perfettamente. Come dimenticare le braccia caldi e possenti del suo migliore amico immaginario slash reale che la stringevano, cullandola e facendola calmare? L’unica cosa che non riusciva a ricordare era quale dei tanti incubi aveva sognato per far sì che si svegliasse in quello stato. Tra tutti i migliaia di sogni negativi che aveva fatto – che in realtà raffiguravano quasi tutti la stessa persona-  non ce n’era mai stato uno che la riducesse in uno stato così pietoso. Lo aveva sognato sotto forma di diario, camera, della dottoressa Smith, con la sua vera faccia, e anche come Niall. Ma mai un sogno su Mike l’aveva fatta alterare tanto.
Sapeva di potersi fidare i quel biondino in carne ed ossa. O lo sperava. Non voleva rischiare ancora. Solo perché la somiglianza con il suo Niall era evidente, non implicava che quello reale avesse gli stessi comportamenti di quello immaginario. Non si sarebbe più esposta così tanto a lui.
«Tesoruccio – venne riportata alla realtà. Alzò gli occhi – perché non parli un po’ con noi!» Monique pretendeva che Faith le parlasse. Come se fosse qualcuno nella sua vita, e non un mostro di passaggio. La guardò facendole intendere di aver capito, ma anche che non aveva intenzione di parlare.
«Oh ,andiamo! Se non parli con noi, con chi hai intenzione di parlare?» continuò a fissarla glaciale.
Si limitò semplicemente a pensare tutto ciò che le avrebbe voluto dire. A tutto l’odio che avrebbe voluto esprimere.
Abbassò lo sguardo sul suo salmone affumicato, rimasto intatto da quando il cameriere lo aveva servito.
Bertrand perse le staffe: ogni tanto rinsaviva anche lui.
«Senti ragazzina – si riferì a Faith – dovresti esserci grati per tutto ciò che facciamo per te –i l suo tono era truce e cattivo – abbiamo avuto un incidente a causa della mia testa di cazzo, e per questo mia moglie è sterile. –la guardava minaccioso, mentre si alzava per posizionarsi precisamente di fronte lei-  ho assecondato la sua fottutissima idea di “aiutare i bisognosi”, e abbiamo aiutato te. Quindi abbi un po’ di rispetto.» sbattè un pugno sul tavolo, facendo girare tutta la sala.
Monique era scoppiata in lacrime, più per commozione che per altro. Faith invece, di quel discorso toccante, che sembrava più una minaccia, non aveva ascoltato niente. A mala pena si era resa conto che stesse parlando con lei. Si era risvegliata dal suo sonno solo quando aveva sbattuto il pugno sul tavolo.
Fu solo allora che, finalmente, e con mezz’ora di anticipo, la serata terminò, quando furono cacciati dal locale.

 





 
 
 
Due ore seduto su quel letto a rigirarsi il fogliettino tra le mani e a giocare un pezzo di vetro della finestra caduta i frantumi.
Due ore che la sua testa non faceva altro che pensare che non avrebbe mai dovuto accettare tutto quello.
Due ore che lo portavano a pensare che una semplice Gibson non sarebbe bastata a ripagare tutti i battiti persi.
Quel biglietto parlava chiaro. Lo aveva letto tante di quelle volte sperando che cambiasse qualcosa. Magari qualche virgola, o qualche “scherzo” scritto alla fine con la firma degli amici. Niente. Quel foglio era reale, e la scritta glaciale sopra non era uno scherzo.
Non sarebbe mai più uscito da quella situazione, probabilmente sarebbe impazzito anche lui. Per quanto crudele, cattivo e privo di affetto fosse, aveva un cuore. E lo aveva constatato quando aveva preso a battere talmente forte alla lettura di quel biglietto.
Odiava quella situazione. Odiava sua zia. Odiava questo Mike. E odiava anche la stessa Faith che, per quanto la detestasse, le faceva tenerezza. Forse aveva anche provato un senso di dispiacere quando l’aveva vista contorcersi nel letto in preda agli spasmi, e alle urla.
Dispiacere perché lei avrebbe dovuto essere una ragazza comune, come tutte le altre. Avrebbe dovuto provarci con lui –se mai lo avesse conosciuto- , e lui se la sarebbe portata a letto. Lei lo avrebbe detto alle amiche che le avrebbero fatta una statua, e poi sarebbe corsa a stalkerarlo su facebook.
Avrebbe dovuto mangiare, dormire, sognare, sperare, amare, essere felice: come erano tutti.
Era proprio per questo che Niall si era tirato fuori dalla religione. Nella sua famiglia, cristiana da generazioni, mai nessuno si era dichiarato ateo. Ma Niall lo era, o meglio, credeva nell’esistenza di un essere superiore, ma non lo considerava un salvatore.
Perché aveva dovuto dare tutto – una famiglia, soldi, amici- a qualcuno, privandone ad un altro? Perché aveva dovuto dare la vita ad un bimbo, facendone morire un altro? Perché aveva dovuto far venire quel fottutissimo coglione che ora si divertiva a inviare bigliettini minacciatori a dei ragazzi, e a tormentare colei che ha rovinato?.
Il bigliettino arrivato era da parte di questo tizio di cui aveva sentito solo le urla di Faith prima: Mike.

”Non toccare i miei giochi.”

Aveva scritto. Rabbrividì nuovamente al solo pensiero. Persino la sua scrittura faceva accapponare la pelle. Aguzza e precisa. Non avrebbe potuto prenderlo per scherzo nemmeno volendolo.
Li aveva osservati. Sapeva dell’avvenimento con Faith. Ciò significava che era vicino, appostato, in attesa di inviare la prossima intimidazione e rovinare ulteriormente la vita di Faith e la sanità mentale di Niall.
Mike però non sapeva chi in realtà fosse Niall. O si? Era a conoscenza che fosse il nipote della dottoressa, e il migliore amico immaginario di Faith? O semplicemente lo credeva un pazzo incatenato?.
Non ne avrebbe parlato con nessuno. Era una questione che riguardava solo lui. E avrebbe messo a tacere quell’ assassino, in qualche modo. Ma non poteva permettersi di coinvolgere altre persone. Aveva visto –più o meno- ragazzi messi, mentalmente, peggio di lui. E aveva fatto sgorgare talmente tanto sangue dal loro corpo –senza mai uccidere nessuno- che una volta ripresi avevano dimenticato questa loro vena cattiva.
Ma c’era qualcosa che questa volta lo bloccava. Forse che questo Mike fosse molto più grande di lui, pazzo, e con una esperienza killer alle spalle.
Erano le dieci. E Faith sarebbe tornata a minuti. Doveva calmarsi, per poi avvicinarsi ulteriormente alla ragazza. Aveva paura della reazione che potesse avere dopo ciò successo nel pomeriggio.
Non sapeva se aveva fatto una cosa positiva abbracciandola, e facendo così sì che si smuovesse, o negativa, tornando poi al punto di partenza.
Era già il terzo giorno lì, ed era successo di tutto.
Doveva parlare con i ragazzi. A loro lo avrebbe detto. Magari gli avrebbero suggerito qualche idea, o gli avrebbero dato conforto.
«Pronto!» rispose subito la voce squillante di Louis dall’altro capo del telefono.
«Ehi Will, siete insieme?» chiese accendendosi una sigaretta, inalando poi tutto il fumo, tranquillizzandosi lievemente.
«No. La mamma di Liam si è sentita male, e abbiamo rimandato.»
«Cosa? Che ha Sophia?» solo loro erano a conoscenza della malattia della madre di Liam, ed erano tutti molto più che legati alla donna. Specie Niall che, a quanto pare, con persone malate ci sapeva fare.
«La malattia peggiora…» si limitò semplicemente a sussurrare amareggiato Louis.
«Tu? Eri da solo?» cercò di cambiare argomento. Era già agitato e preoccupato per problemi suoi, mancava solo la notizia di Sophia a mandarlo nel pallone.
«No –disse scocciato- ero con Doniya.»
«E’ la tua ragazza, sembra che la volessi uccidere.»rise il biondino continuando ad inalare fumo.
«Se ti dico una cosa, prometti di non dirla agli altri.- Niall fece un semplice verso con la bocca spronandolo a continuare- E’ stato Zayn a chiedermi di mettere con Doniya.» Quasi si strozzò con la saliva e la sigaretta nell’udire quelle parole.
«Cosa cazzo stai dicendo?» sbraitò perplesso.
«Era stufo di sentire la sorella piangere a causa mia, di vederla chiedere prestiti per pagarmi. E, per quanto non sembri, Zayn tiene molto a Doniya. Scopo e faccio un piacere ad un amico,»
«Stronzo –rise Niall- e quando ti scoccerai?» non ricevette risposta, avendolo preso probabilmente in fragrante. Davvero non avevano pensato alle conseguenze delle loro azioni? Si appuntò mentalmente di non prendersela con loro, dato che di conseguenze delle proprie azioni, Niall non poteva fare altro che tacere.
«Tu invece? Che mi dici?»
«L’ho sentita piangere, sono entrata, l’ho abbracciata, è uscita, torno in camera, vetro rotto, pietra, fogliettino, miei giocattoli, killer, non so che cazzo fare!» pronunciò quel periodo con una velocità disarmante. Nemmeno i rapper americani.
«Fammi capire – sospirò Louis- l’hai sentita piangere, hai deciso di entrare. Dopo un piccolo periodi di crisi l’hai abbracciata per farla calmare, e lei si è lasciata cullare dalle tue braccia da giocatore di football – lo derise-, dopo è entrata tua zia perché doveva uscire? –chiese conferma- e sei tornato in camera.. qui mi sono perso perché non ho capito più cosa cazzo hai detto.»
«Sono tornato in camera mia e c’era la finestra rotta con a terra una pietra con un post-it attaccato sopra. C’era scritto “Non toccare i miei giochi”, senza firma. Nel sonno però avevo sentito Faith urlare il nome di un certo Mike, e, andando per intuizione credo sia lui.» si accese un ulteriore sigaretta senza badare all’odore di fumo che si sarebbe sparso per tutta la stanza.
«Era una minaccia, Niall – non aveva mai sentito parlare Louis con così tanta serietà – fai attenzione. Non sei per le stradine di Mullingar a fare il figo»
Persino uno dei suoi migliori amici –il meno serio tra l’altro- gli aveva sbattuto in faccia la situazione come realmente stava.
«Porca puttana, non mi aiuti cosi. –sbuffò- Vado, chiamami con gli altri. E salutami Doniya e Sophia.»

 
 
 
 
 
«Vai, stupida ragazzina. Ci vediamo tra due anni!» Bertrand la spingeva con così tanta forza che sarebbe caduta da lì a poco. E così fece. Cadde in avanti atterrando sul pavimento, mentre l’uomo si trascinava via la donna, salendo in macchina e sfrecciando via.
Almeno non li avrebbe visti per ulteriori due anni, e non poteva che esserne felice. Il ginocchio sbucciato non le bruciava, abituata ormai a dolori più intensi, ma avrebbe dovuto comunque disinfettarlo per evitare infezioni.
Aveva trascorso tutto il tempo, dall’accaduto al ristorante, cercando di ricordare il sogno che aveva fatto. E, come in tutto ciò che la vita gli aveva proposto, aveva fallito.
Si alzò dal terreno ghiaioso, su cui era rimasta seduta dalla caduta continuando a camminare.
Il vestito che la dottoressa le aveva costretto ad indossare era inguardabile. Bianco –come sempre- con dei ricami di pizzo sulle spalle e sulla gonna. Non era brutto, semplicemente a lei non stava bene.
i capelli tirati all’indietro in una alta coda di cavallo esponevano il suo viso, ancora sfregiato. E suoi occhi azzurri erano contornati da un pesante smookey eye nero.
La dottoressa era a conoscenza del modo “alternativo- dark” in cui piaceva vestirsi alla Faith di un tempo. E credeva che, con del pesante trucco nero, ed un abbondante fondotinta a coprirle la cicatrice bianca, potessero farla sentire meglio.  Lei desiderava solo scomparire.
Rinsavire o morire definitivamente.
Ed un eccessiva esposizione non la aiutava nel suo intento.
«Faith! – un biondo allegro le correva in contro-  Che è successo?» Chiese riferendosi al ginocchio sanguinante. Lei non rispose, ricordandosi di ciò accaduto nel pomeriggio. Lo aveva rimosso a causa del suo cercare di ricordare la causa scatenante, eppure le sensazione delle sue braccia calde erano ancora vive.
Non si rese conto che il ragazzo la stesse squadrando da capo a piedi.
«Vieni, ti disinfetto il ginocchio –la afferrò per la mano, che lei di scatto ritirò. Si girò a sorriderle- stai bene così» se fosse stata ancora normale, sarebbe arrossita a quel complimento.
Si fermarono di fronte l’infermeria, chiusa a quell’ora, entrando. Niall fece accomodare Faith sul lettino, mentre cercava l’acqua ossigenata e un po’ di ovatta.
Una vola trovati si sedette, di fronte a lei, e prese a tamponarle il ginocchio.
Faith aveva sempre adorato l’effetto dell’acqua ossigenata. A contatto con l’acqua, essa emanava una schiumetta bianca che le provocava bruciore. Si fermava sembra ad osservare la bolle di schiuma bianca che si rompevano per poi bruciarle.
«Come è andata la cena? –le chiese alzando gli occhi, e scontrandosi con quelli chiari, contornati di nero, di lei- ti offendi se ti dico che quei due mi stanno altamente sul cazzo?»
Faith piegò leggermente gli angoli della bocca all’insù, abbozzando un qualcosa di molto simile ad un sorrisino.
«Fammi un segno sei ti brucia troppo.» Niall spruzzò direttamente dalla bottiglietta, un’abbondante spruzzo di acqua ossigenata sul ginocchio di Faith.
Inarcò la testa in alto, godendosi quel lieve bruciore, e sospirando sollevata.
Niall la guardava incantato. Da quando in qua, soffrire era così appagante? Non lo avrebbe mai detto. Ma l’espressione spensierata, gli occhi chiusi, e la bocca semi aperta di Faith lo fecero ricredere.
Nemmeno mentre faceva sesso era così allegro e appagato.
Pulì il rimanente bagnato dal ginocchio della ragazza con un pezzo di ovatta.
«Ecco, andiamo.»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Karen Smith era preoccupata. Erano le undici e un quarto e della ragazzina ancora non ne vedeva le tracce. Il cellulare di entrambi i Duncan risultava spento, ed era impaurita.
Con la sua vestaglia da notte prese a camminare per i corridoi bui della clinica.
Sentì una risata famigliare: quella del nipote.
Affrettò il passo, tirando poi un sospiro di sollievo nel vedere suo nipote a terra, probabilmente caduto, mentre di contorceva dalle risate. E di fianco a lui, la piccola Faith che o guardava divertita, ma impassibile in viso.
Si, suo nipote ce l’avrebbe fatta.
 
 
 
 







*


OKAY INIZIAMO QUESTO MYSPACE ENORME.
Mi sono arrivate delle recensioni da parte di una mia cara amica - e per recensioni intendo veri e propri papiri- in cui esprimeva il suo "non aver compreso a pieno le storie del rimanente del gruppo del capitolo TEAM", ed ora, se avete tempo da sprecare vi posto la recensione e la risposta C:

 

"allora andiamo per parti: zayn, luois, harry, liam, faith

Zayn: ragazzo che si vuole opporre al padre, che si sente più un inglese che un pakistano, che non accetta la religione e come per ogni altro adolescente vengono prima gli amici che la famiglia. certo che però gli scatti d'ira del padre non aiutano e l'impotenza della madre è straziante.... la sorella maggiore già ha capito di più e appoggia la famiglia, perchè federi diciamolo ti vuoi divertire fino a un certo punto, però la famiglia è sempre la famiglia. e se il padre ha sto scatto d'ira dopo che zayn è tornato tardi immagino non sia la prima volta......

Luois: questo non me lo dovevi fare proprio no.. luois è il mio preferito ed ha anche il nome simile al mio....però è stupido, davvero stupido
sarà bello, divertente, simpatico e rimorchiatore però è incredibilmente stupido, perchè? te lo spiego subito
“perché fare la puttana è un lavoro così dispregiativo?”
eh beh caro luois è solo perchè tu sei un maschio, e un maschio che lo da a tutti è sexy, è puttaniere, è bello ma la donna che la da a tutti per soldi perchè ne ha bisogno, è semplicemente una puttana, non è bella ed è una ragazza facile.. e allora perchè luois non è un ragazzo facile???
per questa merda di mondo maschilista che come al solito il maschio è bello e puttaniere, la donna è una puttana.. sono cose che davvero mi mandano in bestia queste. perciò luois è stupido. già per te fare la puttana è un bel lavoro, eh?? razza di deficiente
la sorella di zayn mi sembra troppo fragile e arrivare addirittura a pagare un ragazzo per stare con lui fa capire che 1 o sei morta di cazzo 2 o sei innamorata 3 o sei semplicemente una fallita... però io davvero non riesco ad accettare zayn che non gli intressa di sua sorella, zayn che sa che la sorella paga l'amico per stare con lui.. che schifo, sto zayn non è un ragazzo normale insomma l'istinto protettivo dei fratelli maggiori l'ho sempre invidiato, o adesso sono cambiate le cose?? se tua sorella paga per stare con uno a te non interessa?? devo pensar che zayn ha avuto una pesante frattura, rottura con la sua famiglia e che adesso considera famiglia solo quel gruppetto di montati....

harry: ragazzetto della porta accanto, di sto cazzo. chi va con lo zoppo impara a zoppicare.. e harry sta imparando molto bene a imitare i compagni
mancanza di personalità??? voglia di stare in un gruppo?? o semplicemente il fatto che son una band e tu dovevi per forza farli stare insieme???m mmmmm ci penserò e voglio una risposta domani a scuola....ah questi padri che devono fare con i figli...
piccola domanda: mi è sembrato un pò incoerente il fatto dei 50 tatuaggi, come fa la famiglia a non vedere 50 tatuaggi sul corpo del figlio???
mancanza di attenzione?? non credo il padre era preoccupato, perciò trovo un pò di incoerenza cioè dico sto harry tiene 50 tatuaggi solo sulla schiena sulla pancia e sul gioiellino di famiglia?? altrimenti è impossibile che qualcuno non lo veda, insomma sto cristo (scusa) no se la fa la doccia e la madre per sbaglio non prende i panni sporchi e lo vede??? insomma....

liam: sono seriamente preoccupat per la madre di liam. mica è morta....? e invalida è un termine riduttivo, che tiene sta signora, perchè beve, e dov'è il padre di liam. forse la signora beve perchè il marito l'ha lasciata, si ma resta sempre il fatto che è malata...
il fatto che se la volesse togliere dai piedi lo trovo molto cattivo, insomma capisco che molte volte l'invalidità può diventare un peso per le persone che accudiscono il soggetto in questione, ma desiderare di morire no mai... 

faith: bella la parte sul diario e mi trovo fottutamente d'accordo con faith.. insomma potresti fare concorrenza a leopardi per il tuo pessimismo però è fondamentalmente vero-...... la felicità non è esiste perchè appunto noi non siam perfetti e la felicità è la perfezione
però forse un sinonimo di felicità esiste, cavolo.. nel sabato sera con le amiche, nelle battute che solo voi potete capire, nella canzone napoletana riadattata a modo vostro, nella cup song sbagliata nelle risate e nella critica allo schifo che c'è dietro ad Amici c'è la felicità
perchè la felicità è quell'attimo in cui raggiungi la perfezione, bada bene, l'attimo
è quel momento in cui sei semplicemente felice e il mondo si ferma e tu vorresti stare cos' per sempre
è il momento in cui sei in pace con te stessa, 
quel momenti in cui capisci che gli altri ti amano, e che di conseguenza forse qualcosa di buono in te c'è 
spero di averti tirato un pò su di morale e sappi che x qualsiasi cosa io ci sono, sono il tuo niall immaginario (ma per quanto io sia pro gay lesbo e qualsiasi altra coppia) ti prego di non innamorarti di me perchè sono già impegnata mentalmente con 4 ragazzi (3 famosi e 1 semplicemente vero)
xo xo -lucy
ps minghia quant'è lunga sta recensione :D"



Ecco, allora, andando per parti, risponderò più o meno a quasi tutte queste "lacune".
Zayn:Andando per rigore di logica,la prima cosa che si pensa leggendo l'accaduto a casa Malik è proprio questo distacco, ancora senza spiegazione, dalla famiglia da parte di Zayn.
Facendo sempre un ulteriore giro di pensieri, sembra logico pensare che, per far scattare Yaser non sia bastato il fare tardi alla "preghiera rituale". In quanto lui vedeva in Zayn -unico figlio maschio- un predecessore. E da padre gli sarebbe piaciuto un giorno, vedere il figlio al suo posto che portava avanti la famiglia, che portava il cosi detto ''pane a casa'', il suo unico desiderio era quello di  passare le redini della famiglia all'unico uomo di casa. In questa rissa, Yaser esprime tutta la sua delusione, alimentata ulteriormente dall'impotenza della madre che non sa come intervenire, e dal quanto possibile "odio" da parte della sorella Waliha. L'unica ignara a tutto l'accaduto è la piccola ed innocende Safaa forse ancora troppo innocente.
Louis*:  Louis non è, come hai detto nella recensione, stupido. E' semplicemente il classico ragazzo, bello e potente che ragiona, volgarmente parlando con il cazzo. Il suo ragionamento sul il modo dispregiativo di vedere il mestiere di puttana è, da lato maschilista, esatto. Soldi e appagamento. tutto ciò che un ventenne possa volere. Questo perchè, nella mentalità del sesso opposto,  l'orgoglio, la vergogna, il pudore verso il proprio corpo sono inesistenti.
Tornando a Zayn. Lui, come detto, è  a conoscenze del pagare della sorella maggiore. Ella non è morta di cazzo, bensì è semplicemente innamorata. Accecata da questo sentimento oscuro, così tanto che, per ricevero attenzioni è costretta a comprarle. Zayn, che della famiglia ha solo il cognome, non se ne cura più di tanto. La vita è di Doniya, se vuole pagare: che lo faccia. Se vuole svendere il proprio corpo e metterlo a rischio di malattina veneree: che lo faccia.
(ci saranno vari spin-off su questo).
Harry: più piccolo, ma più intelligente e furbo del gruppo -non per questo capo-.Le sue adorabili fossete, e i suoi ricci sexy, associati alla famiglia agiata lo rendono il ragazzo che ogni madre vorrebbe per la figlia. I genitori del riccio, sono i classi "oppressivi" la cui unica importanza è la scuola, i buoni voti, l'apparire del figlio. Come si suol dire "si vede solo ciò che si vuole", e ciò lo vuole dimostrare il fatto che non sono a conoscenza della nomea del pargoletto e dei 50 tatuaggi -che si possono ben coprire-.
Liam: animo dolce e gentile anche nelle mie fanfiction. La povera madre di Liam è invalida per motivi che verranno spiegati nei prossimi capitoli. Il padre, come ben si capisce, è andato via -e non dirò i motivi-, e ciò porta liam ad assumersi il peso che in realtà è la madre. PEr lui non è un problema accudirla, ma ciò non lo rende un ragazzo comune. Nienti amici a casa, niente serate fuori, e le spese per le cure sono eccessive. La madre di Liam non è morta. Ma nel prossimo capitolo riguardante i ragazzi vedremo il logorarsi dai sensi di colpa di Liam -piccolo spoiler-.
Faith: la mia migliore amica. Io e Faith abbiamo lo stesso modo di pensare. Come ho detto felicità è sinonimo di perfezione. E come hai ben  notato, la felicità è quell'attimo in cui vorresti che il tempo si fermasse. ECCO. Quell'attimo è comune nelle adolescente che escono il sabato sera, che ascoltano la musica, che leggono e che non sono rinchuise in una clinica psichiatrica. Faith non ha questi attimi di gioia, e pessimista qual'è, crede non ci saranno mai. Ma se Niall reale è arrivato un motivo ci sarà, no?
Un'altra cosa importante in questa storia è: se avete notato la strabiliante casualità -ironia portami a fare in culo- in cui, guarda caso il migliore amico immaginario di Faith è proprio il nipote della smith. SAPPIATE CHE UN MOTIVO C'E'.




Finito sto papiro, ringrazio di QUORE tutte coloro che seguono la storia.
Preciso: continuo a 20 recensioni c:

 

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Capitolo 8
*** Scarlett. ***


-nda. non ho intenzione di offendere/disturbare persone che soffrono di certi disturbi psicologici, o che hanno passato si e no le stesse situazioni dei personaggi. Sappiate che ne scrivo con il massimo rispetto, e tutte le ricerche possibili-

 




babes, i'm here.
Se avete voglia (e tempo), mi piacerebbe che leggeste il my space alla fine del capitolo.
Scusate se non posto altre foto, ma è già troppo che il mio computer riesca ad arrivare a tanto, al prossimo ci saranno.
Domani è il mio onomastico, so:
Mi lasciate 25 (si lo so, esagero), recensioni? 
Continuo appena ci arriviamo c:
Faith love ya.



SCARLET.

 

Era tranquillamente steso sul suo letto guardando la ragazza al suo fianco. Louis, stava conoscendo, forse per la prima volta in vita sua i sensi di colpa. Doniya non gli aveva fatto niente, eccetto avergli donato il proprio amore, che lui ovviamente non aveva accettato. Nessuno in vita sua gli aveva mai sbattuto in faccia la verità, nessuno eccetto lei, che non era Doniya. Lei che lo aveva ridotto a quel punto, costretto ad essere logorato dai sensi di colpa dopo aver fatto sesso con la sua, se proprio in questo modo si vuole definirla, ragazza.
Erano circa due ore che pensava che forse accettare la proposta disperata di Zayn non era stata la scelta migliore. Lo era, prima che lei le facesse capire che era sbagliato.

 

«Louis, dobbiamo parlare.»
Erano le tre del mattino quando Zayn si era accuratamente recato a casa dell’amico. Louis viveva da solo da due anni circa, da quando la maggiore età lo aveva raggiunto slegando la gabbia in cui le regole lo avevano rinchiuso. Non si preoccupava, quindi, di qualche mamma impazzita o di un padre scorbutico. L’unica perplessità che aveva in quel momento era che il moro avrebbe potuto anche non accettare la sua proposta.
«E, non potevamo farlo tipo… alle undici di domani mattina?» l’ironia di Louis non lo abbandonava mai, ormai elemento fondamentale del suo carattere.
Zayn sbuffò, entrando nell’appartamento senza neanche attendere il permesso a farlo. Fece accomodare Louis sul divano, mentre prendeva, nervoso, a girovagare avanti e indietro nel grande salotto.
«Allora, mettiamo in chiaro che: ti sto proponendo questo scambio equo, non è per farmi bello dinanzi ai miei – Si fermò guardando negli occhi azzurri di Louis. Non era una cosa tanto complicata da chiedere, eppure l’ansia lo attanagliava in quel momento, come sempre, quando si trattava di parlare con Louis Tomlinson. Zayn e Louis avevano uno splendido rapporto, facendo entrambi parte dello stesso team, eppure quando si trattava di chiedergli qualcosa, il timore di essere deriso o di ottenere una risposta con quel suo classico tono sarcastico lo irritava- Devi fidanzarti con Doniya. » Fu schietto nel chiederglielo. Aveva chiamato quel suo favore “scambio equo”, quando poi, di equo, non aveva niente. L’unico a giovarci qui era lui, o meglio la sorella, che non avrebbe mai scoperto l’atto di pietà di Zayn.
Louis aveva sesso, non solo da parte di Doniya e soldi. Zayn al suo posto, non avrebbe mai accettato una proposta simile, se poi avesse limitato i vantaggi.
«Devo, perché?» Ovviamente sarebbe stato troppo semplice chiedere, e ricevere subito, un esito positivo.
«Dovresti – decise di cambiare verbo – per me. Sono stufo di vederla chiedere prestiti ai miei genitori per pagarti, oppure di sentirla piangere la notte per qualche tua risposta bruta o perché ti sei sbattuto un’altra con lei ad assistervi.» La parte da bravo fratello prese il sopravvento.
Zayn aveva un cuore, e teneva non poco alla sua famiglia, ma questa sua ribellione verso la sua cara religione ne aveva causato l’allontanamento. Tutti i componenti dei Blunder –gruppo a cui appartenevano lui e gli altri ragazzi – si erano considerati atei, ed ognuno per buoni motivi.
Liam, dopo la tragica storia della madre non credeva più ad un essere superiore in grado di salvare e rendere felice.
Niall aveva preso il suo carattere dal padre, che non credeva a qualcuno migliore di lui.
Zayn lo era diventato per pure ribellione.
Louis perché l’ateo attira le ragazze, ed Harry lo era da generazioni.
«Che carino il fratellino coccoloso – gli strizzò le guance – sai, sei fortunato – gli occhi di Zayn si illuminarono – ringrazia il sonno e la mia generosità. Mi farò tua sorella senza farla pagare, e senza tradirla, ma quando mi sarò stufato non esiterò a lasciarla.»


Louis William Tomlinson non era altro che uno stupido idiota. Si era pentito.
Erano trascorsi quanto? Tre giorni, e già non voleva più prendere in giro Doniya.
Aveva parlato troppo tempo con lei, con Scarlett.
La conosceva già da prima che intraprendesse questa storia combinata con la sorella di uno dei suoi migliori amici. Era stata, o meglio, voleva che fosse una sua preda, quando una sera, all’incirca di due mesi prima, l’aveva vista in un locale di Mulligar. Non era la sfigatella che legge in discoteca, ma non era nemmeno la cubista che ballava nuda su un palchetto. Era la classica ragazza che ogni essere comune avrebbe definito “normale”. Allegra, solare, lunatica come ogni donna, ed anche carina da vedere. 
I lunghi capelli aranciati e leggermente rovinati, la pelle chiara, e gli occhi scuri, la rendevano tenera agli occhi del moro. 
Avevano fatto amicizia dopo un mancato tentativo di portarsela a letto ed avevano parlato a lungo quella sera, prima che le sue due amiche la venissero a recuperare. Si erano scambiati i numeri di telefono e continuavano a vedersi. La cosa inconcepibile era che non c’erano secondi fini in ogni uscita al parco, in ogni risata, in ogni gelato fiordilatte e cioccolato che si ostinava a mangiare lei, nonostante il freddo glaciale al di fuori della gelateria.
Si erano incontrati l’ultima volta la sera stessa che si mettesse con Doniya, poco prima. Gli aveva detto dell’accordo con Zayn, ma non di tutto il suo “circolo vizioso” e ben redditizio, e mai l’avrebbe fatto.
«Non lo trovo giusto Lou – aveva detto – un po’ perché da femminista sfegatata sono contro queste cose –fiera si scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio- Un po’ perché..» Non riuscì a terminare la frase che un Louis spavaldo lo fece per lei.
«Perché mi vuoi tutto per te. Lo so piccola.» sorrise senza malizia.
«Stupido!» rise lei lanciando un cuscino in faccia al moro.

Zayn non era l’unico ad aver spolverato il suo cuore. A fargli compagnia c’era anche lo stesso Louis, che ne aveva comprato uno nuovo.
Non poteva prendersi gioco di Doniya in quel modo. Inviò frettolosamente un messaggio a Scarlett, chiedendole di incontrarsi al parco tra quaranta minuti.
Svegliò Doniya delicatamente.
«Ehi» le sorrise dolcemente lei, sbadigliando.
«Ho appuntamento con Harry tra mezz’ora…» mentì.
Doniya sorrise facendo finta di non aver notato il tono distaccato del moro, che si affrettava a prepararsi.





«Ehi bella bionda!»
Louis correva affannato fino alla panchina in cui era seduta la ragazza. Era in ritardo di circa venti minuti, e si aspettava quindi una delle solite ramanzine per la sua non puntualità. 
Scarlett agli occhi del moro apparve molto tenera. Stretta nell’enorme piumino che la faceva sembrare circa due volte più grande del normale, i capelli gonfi lasciati sciolti, e le labbra sottili nascoste da un immenso sciarpone grigio.
«Bel negro!» lo guardò beffarda lei.
«Sei la solita guasta feste! –sbuffò Louis sedendosi accanto a lei dandogli un bacio sulla guancia fredda che prese subito calore a quel contatto- Quando ti ho chiamato bella bionda, avresti dovuto rispondere “ma io non sono bionda!” –imitò la voce della ragazza- e io ti avrei risposto “certo, ma non sei neanche bella”, completando il tutto con una mossa da divo! – fermò il suo flusso di parole, per poi continuare- e poi io non sono negro!»
Vide la ragazza incominciare a ridere.
«Non sei neanche bello se per questo!»
Mai in vita sua una ragazza lo aveva messo così a tacere. Se la ridevano bellamente, eppure lui non riusciva a non pensare a quanto quella rossiccia fosse pazzesca, nel buonissimo senso della parola.
«Vai a fare in culo, Scar.» rise ancora lui facendo uscire della condensa dalla bocca.
Nonostante il freddo, a Mullingar ancora non si ostinava a cadere un fiocco di neve, e Scarlett non poteva che esserne grata, dato il suo odio platonico verso il gelo.
«Come sei educato, William.» rise dolce.
Scarlett prendeva sempre in giro Louis per il suo secondo nome, dato che gli ricordava molto un nome d’altri tempi, regale, quando in realtà il ragazzo non era altro che l’esatto opposto.
Scarlett, inoltre non era a conoscenza dell’appartenenza di Louis nei Blurred.
Tutti a Mullingar erano a conoscenza dei Blurred, degli Squirtle, degli Eroons, e delle varie squadre, ma, di solito, nessuno sapeva le identità di tutti componenti. Gli unici ad essere conosciuti erano di solito il capo ed il vice.
Molto famosi negli Squirtle erano Zack e Rok. Vice e Capo. Riconoscibili da tutti attraverso l’enorme tatuaggio che li adornava dalla tempia alla clavicola. 
Stranamente per i Blurred, erano in pochi a conoscere le identità. Certo, tutti sapevano che Niall ed il suo gruppetto non avevano certo una bella fama, ma mai nessuno avrebbe pensato che appartenessero ad uno dei clan più pericolosi delle vicinanze.
Louis era entrato in questa storia per puro divertimento. Per scaricare l’adrenalina in eccesso, nonostante non fosse un ragazzo eccessivamente violento. Non aveva mai ucciso nessuno, ferito gravemente sì, ma mai ucciso.
«E poi si dice “ragazzo di colore”, non “negro”» si fece saputello lui, beccandosi poi una spinta.
«Oh beh, scusa! –starnutì lei dopo – okay, io sto letteralmente ibernando, andiamo a casa mia? Ho voglia di una camomilla bollente!»
Se fosse stata qualcun’altra a pronunciare quella frase, Louis avrebbe subito trovato un secondo fine, eppure con Scarlett non era così. Era ancora così piccola, nonostante avesse solo circa un anno e mezzo meno di lui, che non riusciva neanche ad immaginarli in altri ambiti. Rise all’ultimo pensiero. Aveva pensato eccome a loro due in altri ambiti, ma cercava di trattenersi. Amava la sua compagnia.
«Voglio sapere il motivo per cui mi hai svegliato di Giovedì mattina, come meno ottantacinque gradi fuori, per incontrarci.» prese a camminare lei, velocizzando il passo per dimezzare il tempo.
Louis sorrise per il suo essere sempre esagerata. La temperatura scendeva di poco sotto lo zero, niente che non fossero abituati a sopportare, confrontandoli con i meno sedici gradi che toccava gennaio.
«Si tratta di Doniya. So che mi hai detto che non volevi entrarci in questa storia, dopo che mi avevi avvisato, ma…» 
Scarlett sorrise aprendo la porta di casa.
«Ciò non vuol dire che, se hai bisogno di parlare io non stia qui ad ascoltare. Basta che non fai avvenire un incontro ravvicinato tra me e lei, sarebbe imbarazzante.»
Louis la adorava, e ne era certo.
Si sentì un rumore assordante di piatti, ed una voce che chiamava il nome di Scarlett.
Quando si parla di cose imbarazzanti, pensò Louis.
«Scarlett, sei tu? – venne in cucina. Louis fece appena in tempo a vedere il volto della ragazza sbiancare, prima che facessero la loro apparizione in soggiorno una bellissima donna, accompagnata da un ragazzo- Christopher Jhonnatan Connor era venuto a farti visita...» Si fermò subito incrociando il proprio sguardo con quello di Louis che invece osservava il cosiddetto “Christopher Jhonnatan Connor”.
«Ehi Chris! –gli diede un bacio sulla guancia Scarlett – non dovevi disturbarti! Insomma, abiti a mezzo isolato da qui, non avrei mai voluto che facessi tutto questo sforzo!» lo derise lei. Louis riusciva a leggerle negli occhi che quel tizio gli stava simpatico, era solo leggermente offesa, forse per le poche apparizioni, nonostante il mezzo isolato a dividerli. Nonostante tutto, Louis non riuscì a trattenere una risata.
«E tu saresti?» chiese impertinente la madre.
«Louis William Tomlinson, signora – rispose, nonostante sapesse che la domanda era riferita a ben altro- E sono un amico stretto di Scar.»
La ragazza sorrise impercettibilmente all’espressione della madre dovuta al modo di presentarsi di Louis.
Alternava lo sguardo tra i due ragazzi, entrambi molto diversi tra loro.
Christopher era un bel ragazzo, e non lo poteva di certo notare. I capelli biondo cenere, gli occhi scuri ed il fisico palestrato, lo rendevano molto desiderato da tutta l’università di Dublino. Aggiungendo poi un’eredità di miliardi di sterline, vestiti firmati, e labbra carnose.
Dall’altra parte c’era Louis. Di poco più basso di Christopher, i capelli raccolti all’insù di un castano ramato, gli occhi vitrei di un azzurro cielo, i muscoli appena accentuati ricoperti in gran parte da tatuaggi, non faceva altro che farlo sembrare un cattivo ragazzo, completando il tutto con un accenno di barba.
Continuava a fissarli, notando anche un contrasto nel look. 
Il jeans scuro di Chris, con la camicia turchese, la giacca scura e i mocassini di camoscio erano l’opposto del largo pantalone della tuta nero di Louis, il maglioncino slabbrato bianco, le vans consumate, ed un tenerissimo berretto di lana rosso.
«Beh, Louis William…» lo chiamò Christopher.
«Tutti sono soliti chiamarmi Lou, ma tu puoi tranquillamente chiamarmi Louis William Tomlinson.» gli sorrise falsamente, beccandosi un’occhiata divertita da Scarlett ed una di fuoco dalla madre furiosa.
«Stavamo per prendere un tè. Ti va di unirti a noi, Louis William Tomlinson?»




«Chi cazzo è che chiama il suo fottutissimo figlio dei coglioni “Christopher Jhonnathan Connor”? » Louis era al limite della sopportazione. Trenta minuti in compagnia della madre e del continuo flirtare di Christopher con la sua Scarlett.
« Capisco perché non mi hai fatto mai entrare con tua madre in casa.» 
Scarlett si sedette sul letto, invitando Louis a fare lo stesso.
«Perdonala, si comporta così con tutti i ragazzi che porto a casa. A meno che non abbiamo triliardi, o che non si chiamino Christopher Jhonnatan Connor Gilbert.» si alzò dal letto, cercando in un armadio una maglia più comoda da indossare. 
«Tutti i ragazzi che porto a casa? –ripetè Louis infastidito – Hai diciannove anni, signorina. Non puoi portare ragazza a casa.»
Scarlett sorrise afferrando un’enorme maglione della Jack Wills, girandosi poi verso Louis che intanto si era messo comodo, dopo essendosi levato le scarpe ed il maglione, rimanendo così in canottiera. Si spettinò i capelli lasciati liberi dalla cuffietta.
«Non sei l’unico Lou – entrò un attimo nel bagno per cambiarsi la maglia – e poi non dovrei fare entrare nemmeno te allora»
Si tuffò, dopo essersi cambiata, sul letto accanto al ragazzo, poggiando le spalle.
Voleva tanto bene a Louis. Era un rapporto indecifrabile il loro, dopo due mesi di continue uscite si era creata una certa complicità. Lui sapeva quasi tutto ciò che era accaduto nella vita di lei, e Scarlett anche credeva di saperlo, nonostante sospettasse che gli nascondesse qualcosa. Le sue ricche migliori amiche erano invidiose di questa amicizia tra loro. 
Scarlett provava una sorta di gelosia nei confronti dell’amico, che si era intensificato con l’arrivo di quella Doniya che tanto non sopportava.
«Non volevo che lo scoprissi così, ma in realtà, io – si portò una mano alla fronte con fare teatrale- sono una donna! » 
Scarlett rise scompigliandogli i capelli.
Louis sbuffò poggiando la testa sulle gambe di Scarlett, intenta a raccogliere i capelli in una coda di cavallo. Si portò le braccia a coprirsi gli occhi.
«Hai ragione –la guardò- devo lasciare Doniya.»








«Faith!» il biondo si sbracciava chiamando la ragazza immersa tra la folla. Era appena il quarto giorno nella clinica, e con Faith non aveva ancora ottenuto cos’ tanti risultati. Un mese era troppo poco per risolvere un problema dovuto ad anni di sofferenze. Eppure Niall sapeva di avere le capacità di riuscirci.
Era giovedì, ed il freddo glaciale si faceva sentire. Il reparto moderato era riunito in giardino per la visione di un film in cui alcuni ragazzi cattivi venivano rinchiusi in un istituto, affidati poi a dei tutor, e poi in fine, magicamente dopo due ore di filmato tornavano ad essere giovanotti modello.
Non fu difficile identificare Faith tra la folla che riempiva i pochi metri quadri. Era l’unica che, in un ammasso di piumini, cappotti, cappelli, sciarpe e guanti, indossava semplicemente una t-shirt bianca con una stampa, un paio di leggins neri –stranissimo colore, in quanto da che l’aveva vista, Niall ricordava Faith sempre e solo vestita di bianco- e delle, più che rovinate converse alte del medesimo colore. Non sentiva il freddo? Non percepiva migliaia di aghi penetrarle nella pelle? Insomma i meno dodici gradi di un dicembre più freddo del solito si facevano sentire. Come poteva riuscire a resistere con una semplice t-shirt più consona in una primavera ventilata.
«Faith, finalmente! – la raggiunse- ti prenderai un accidente!» fece per togliersi il cappotto, prima che lei lo respinse insicura, tendendo il braccio pallido e tremante fino a sfiorare il cappotto blu notte. Niall la guardò sorridendo. Non sapeva perché avesse rifiutato. Magari non voleva che prendesse freddo, o non gli piaceva il modello del cappotto, il colore forse faceva a cazzotti con il pallore della sua pelle, o semplicemente non aveva freddo. Ed era questo che incuriosiva il ragazzo.
«Almeno prendi un golfino prima che il film inizi. Se proprio non hai freddo fallo per me, non voglio che ti ammali.» 
Niall tese sicuro la mano afferrando saldamente la sua e trascinandola all’interno, fino alla stanza di lei.
«Hai un qualcosa di caldo?» lo sguardo puntato sul pavimento da parte di lei fu interpretato come una negazione da Niall, che sbuffando divertito si diresse con lei alle spalle verso la sua camera.
Frugò nei cassetti, prendendo un lungo maglione natalizio, beige con delle simpatiche renne rosse disegnate sui bordi del colletto e delle maniche. 
«Ecco, so che non è il massimo della moda, ma i regali della nonna non si possono rifiutare.»






Non aveva sentito nessuna delle ultime parole pronunciate da Niall, troppo impegnata a tremare dalla paura, dal dolore, dalla rabbia. 
Il suo cuore batteva talmente forte che era addirittura impossibile ascoltare i propri pensieri.
I propri pensieri erano così numerosi ed assillanti che sembravano urla di anime disperate.
Anime disperate che non erano altro che ricordi.
Ricordi che Faith non avrebbe mai voluto che tornassero a galla. Uno era il desiderio di Faith. Che tornasse tutto come prima. Come quando Mike non era ancora entrato nella sua vita. Non poteva pretendere di dimenticare, o di tornare indietro nel tempo. Non poteva nemmeno pretendere che lui la lasciasse in pace, cosa che purtroppo aveva creduto.
Due anni di silenzio.
Due anni di sofferenze, dolore e basta. Niente paure, ansie, o sensi di colpa. 
Faith nella sua vita non aveva neanche mai provato altri sentimenti, o forse i sentimenti predominanti, quali paura e dolore, avevano fatto sì che non li ricordasse.
Eppure in quel preciso momento Faith aveva provato tutti i sentimenti esistenti sul pianeta.
Era ghiacciata sul posto, e i suoi occhi non la finivano di scorrere su quelle quattro semplici ma tanto aguzze parole.
Mike era lì. Ancora tra di loro. Ciò significava che per Faith era finita,definitivamente.
Si sarebbe vendicato, l’avrebbe uccisa, psicologicamente. Per farlo però avrebbe dovuto far del male a coloro che Faith più teneva, e non aveva nessuno. I Duncan non le sarebbero mancati. La dottoressa Smith non più di tanto. Le sue vecchie amiche che non sentiva da due anni neanche. C’era solo una persona a cui avrebbe potuto far del male. L’unica persona che cercava di aiutarla, ma che l’avrebbe uccisa. Niall.
«Oh mio dio, Faith!» non lo vide poggiare l’orrendo maglione sul divano, come non riuscì a vederlo fare due lunghi passi verso di lei, farla girare e abbracciarla stretta.
Era scossa e non si mosse. L’unico segno di vita erano le lacrime che continuavano a scenderle imperterrite sulle guancie leggermente arrossate.
Niall l’alzò il viso.
«Non volevo che lo sapessi. –le asciugò le lacrime- non so chi sia questo tizio, e non potrò mai saperlo se tu non me ne parlerai.» la guardò intensamente.
Gli occhi di Faith erano puntati sul viso del ragazzo, ma erano incredibilmente vuoti. Le pupille erano piccole tanto da essere quasi invisibili, il rossore delle lacrime rendeva gli occhi più lucenti. Sembrava posseduta.
La fece sedere sul letto, infilandole il maglione da sopra la t-shirt. Le sorrise rassicurante.
«Stai bene. Se non fossi così alta ti scambierei per un folletto natalizio.» rise asciugandole altre lacrime.
Adesso l’attenzione di Faith l’aveva tutta il biondo. 
«Stai tranquilla, non – si rese conto troppo tardi che il termine “non ti abbandono” non era adatto alla sua situazione- ci sono dentro, ormai.» Le strinse le mani addolcendo il viso e rilassando tutti i muscoli della faccia. Vederla così tenera, indifesa, così credente delle parole di lui fecero crescere il suo ego. In quel momento Niall si rese conto che l’unica cosa a cui teneva Faith era proprio lui.
Non sapeva se fosse cristiana, buddhista, testimone di geova, o altro. Era consapevole solo del fatto che Niall era il Dio di Faith, e ciò non faceva altro che rendere quella caccia al mostro più maliziosa ed eccitante.
« Vuoi essere mia amica?» le chiese dolcemente, ma con sguardo sadico.
Faith lo guardò. E al suo sorriso non riuscì a fare altro che annuire in modo chiaro.
«E allora stai tranquilla. Se ne andrà –la fece alzare, le scompigliò i capelli rendendola presentabile e le afferrò le mani- ora andiamo a vedere il film, Rudolf, prima che faccino l’appello.»

 




Ragazze, non sapete quanto mi dispiace. Non era per niente mia intenzione fare un così grande ritardo.

E' che, il mese scorso non mi è stato possibile a causa degli esami, e questo mese tra musica e lotte contro questa estate del cazzo, la pigrizia ha avuto la meglio su di me. 
Passiamo al capitolo: Scarlett. La nostra amata piccola cucciola che a quanto pare è amica di Louis. La sentirete nominare ancora svariate volte dato che non è solo amica di Louis, bensì ha qualcosa a che vedere con Faith... Basta spoiler.
Questo capitolo più che altro è dedicato a "Louis/Scarlett/Doniya", ma come potevo non aggiungere Niall e Faith?
Da qui le cose si complicano. Ed inizia la vera storia.
Ho cambiato nome su efp, ero la vecchia "_aciredeF", now i'm "selfisher" c:
Faith love ya.
continuo a venticinque review.

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Capitolo 9
*** Talk. ***


-nda. non ho intenzione di offendere/disturbare persone che soffrono di certi disturbi psicologici, o che hanno passato si e no le stesse situazioni dei personaggi. Sappiate che ne scrivo con il massimo rispetto, e tutte le ricerche possibili-

 




*
 
9- Talk.



«Liam, mi dispiace così tanto.»
Ruth Payne era ora in piedi dinanzi a lui, con gli occhi spenti, i capelli impeccabili e le mani poggiate sulle spalle del fratello. Dietro di lei la sorella Nicola.
«Era nostra madre, non avrei mai voluto che accadesse questo.» Continuò Nicola, posiziondandosi accanto al ragazzo.
Liam era frustrato ed i costanti sensi di colpa non facevano altro che logorargli la mente, e le suddette sorelle non miglioravano la situazione.
«No. - neutro Liam prese parola - Lei non è vostra madre. E' la mia. Voi non siete mie sorelle, tantomeno mie conoscenti. Evitate di parlare di colei che ha fatto il gravissimo errore di mettervi al mondo come se fosse una vecchia defunta. E' viva. E' semplicemente in ricovero, ma stesso il medico ha specificato che sopravviverà.»
Gli occhi delle sorelle però non erano feriti, o quant'altro. Nei loro occhi vi si leggeva solo una grande compassione nei confronti del rgazzo. Come se realmente pensassero che loro, di colpe con l'accaduto, non ne avevano.
«Ruth, che ti aspettavi. E' ancora piccolo, non mi soprende che non abbia avuto le capacità di prendersi cura di lei.»Nicola si girò verso la diretta interessata, scostandosi una ciocca di capelli biondi dal viso.
L'accento nettamente americano, dovuto agli svariati anni trascorsi nell'emisfero opposto, rendeva quasi difficile a Liam capire cosa dicesse.
«Hai ragione, sorella. - il ragazzò calcò il sostantivo per far sì che si notasse maggiormente la sua acuta ironia-  Però, almeno, per quanto vani i miei tentativi, io sono sempre stato qui. Non sono tornato solo per stabilire a chi dovessero essere dati i beni della mamma dopo la sua morte. Non credi di trovarti in una posizione leggermente più svantaggiata? -si fece largo tra le due- Ed ora, con permesso, ma ho una madre da visitare.» Detto questo uscì dalla stanza lasciando dietro due sorelle, tanta perplessità e parole totalmente veritiere.






«Dimmi Haz, muoviti.» sussurrò il Niall, voltandosi appena per notare Faith ancora bellamente distesa sul letto, fortunatamente dormiente.
La nottata era trascorsa burrascosa, le urla della ragazza non facevano altro che echeggiare imperterrite tra le quattro mura. Per premura, Niall aveva deciso, silenziosamente, di rimanere con lei, per evitare che, a causa dello shock avuto la sera prima nello scoprire che l'assisino della sua famiglia era ancora presente ad osservarla, potesse causarle qualche attacco schizofrenico.
«Niall ho delle novità. Mi sono appostato, due giorni fa, all'entrata della casa del capo degli Squirtle, il cui indirizzo mi è stato gentilmente fornito da un loro mebro stesso. Li ho spiati, vogliono attaccarci sabato alla festa di Cotard Trunner. - Niall, zittito, tentò di fare mente locale, cercando di associare quel nome ad un corpo - Tranquillo, ho pensato anche a questo. Ho eseguito delle ricerca sul festeggiato, pare che sia il ritorno dall'università, e lui, molto famoso in città ha invitato tutti, dicendo di portare altra gente. Io ho un controattacco pronto, ma dobbiamo vederci subito per discuterne.»
Faith si agitava nel letto, mentre un Niall pensieroso era intento a camminare in tondo per la stanza escogitando un modo per essere presente al raduno dei ragazzi, la sera stessa.
«Haz, non posso lasciare la ragazza qui.» Si trattenne dal chiamarla come era solito fare con gli amici con il dispreggiativo che le aveva assegnato: "psicopatica".
«A questo ci penso io! - si sentì in lontananza la voce di Louis, probabilmente appena arrivato dal riccio - Porta anche lei stasera, a casa mia. Falle una sorpresa, dicendo che vuoi farle conoscere i tuoi più cari amici. Lei magari si sentirà lusingata, e prenderai due puttane con un solo pene. Io porterò Scarlett, una mia amica, in modo che abbia una compagnia.»
Niall dopo ulteriori minuti a programmare il tutto chiuse la chiamata, sedendosi sul letto accanto a Faith. Gli dispiaceva svegliarla proprio nel momento che era riuscita, magicamente, a dormire, per quanto possibile, in modo sereno, ma doveva.
«Faith - la chiamò, scostandole una lunga ciocca dal viso - Ehi.» disse dolcemente.
Non si era mai soffermato più di tanto a guardarla, almeno non in modo così approfondito.
I grandi occhi, le lunghe ciglia, il naso a patata, le labbra, erano affiancate dalla famosa cicatrice che una volta aveva osato accennargli la zia.
Era visibile, ma non deturpava la strana bellezza della ragazza. Non era profonda, larga, rialzata, era semplicemente un lungo graffio bianco.
Gli occhi della ragazza si aprirono, e riuscì a notare che, nonostante l'orrore che quella cicatrice racchiudeva, si abbinava perfettamente ai suoi occhi.
«Fay, ti va di venire con me in un posto?»










«Ti piace la musica?» le chiese Niall.
Finalmente, con cautela, si ritrovavano nella grande auto del biondo, appena dopo essere sgattaiolati fuori dalla clinica, aggirando infermiere, e coprendo con uno straccio la videocamera dell'uscita.
Niall era vestito in modo insolito per Faith, abituata a vederlo sempre con jeans e maglioni. Indossava, ovviamente insieme ai suoi inseparabili jeans, anche se leggermente più stretti del comune, una maglia bianca, e una giacca di pelle, in più un paio di scuri occhiali neri.
Faith annuì alla domanda del ragazzo.
«Sul serio? - gli occhi di Niall si accesero - Ma tanto tanto? o sei un'ascoltatrice occasionale?» le chiese sorridente.
Faith rise per il modo in cui Niall aveva chiamato quelle rgazze che poco si dedicavano alla musica. Eppure per lei non era così.
Con la mano indicò il numero uno, in modo da indicare la prima opzione detta dal ragazzo.
«Sul serio? -ripetè il ragazzo sorridendo - Suoni qualche strumento?» la ragazza annuì nuovamente, con un velo di tristezza a dipingerle gli occhi. Suonava, purtroppo.
«Chitarra? - la ragazza annuì - Pianoforte? - annuì nuovamente - Violino? -fece un segno di negazione - Flauto? - negò ulteriormente - Batteria?» annuì per poi fare un segno con le mani in modo di far intendere al ragazzo che non suonava nient'altro.
«Io suono la chitarra, e adoro cantare... Ti va di accendere la radio?» Non se lo fece ripetere ulteriormente, premento il tasto d'accensione cambiando continuamente frequenza fino a trovare una canzone che attirò la sua attenzione.
«Devo complimentarmi Fay, adoro questa canzone! - alzò il volume - E' da tanto che non ascolti musica?» Niall si accertava sempre che le sue domande fossero facilmente rispondibili con un "si" o un "no".
La ragazza negò.
«Davvero? E come l'ascolti, hai un telefono? - dal viso della ragazza riuscì a decifrirare che non lo avesse - tranquilla, rimedieremo.»
La macchina accostò, la radio si spense, e Faith fu assalita dal panico.
Uscì tremante, con l'aiuto di Niall, prese, com'era solita fare torturarsi le mani, e buttò il viso in avanti coprendoselo con i capelli.
Niall lo notò. Riusciva, se pur a stento a riconoscere quando la ragazza era turbata, o se ci fosse anche un minimo pensiero ad invaderle la mente.
Tolse gli occhiali, avvicinandosi a lei.
Le scostò i capelli dal viso, alzandolo, facendo si che si guardassero negli occhi. Lentamente si avvicinò a lei, allontanando le mani l'una dall'altra, portandole dietro la sua schiena.
La abbracciò.
La abbracciò stretta, scacciando ogni preoccupazione, ogni paura, tutto il passato, presente e futuro.
Si staccò solo quando si rese conto che non tremava più, e la condusse così alla porta.
Dall'uscio comparve un ragazzo.
Era alto, i capelli e gli occhi erano del medesimo colore miele. Aveva un sorriso triste, come se la sua anima fosse distrutta da qualcosa.
«Ciao! Tu devi essere Faith, io sono Liam, è un piacere conoscerti!»
Faith gli sorrise titubante, stranita dal fatto che non le avesse parlato come se fosse malata.
Sapeva di esserlo, ma non lo era.
Faith sapeva di essere una psicoptica, ma era consapevole che se la sua debolezza non avesse avuto la meglio su di lei, se quelle cicatrici riuscissero a nasconderla, lei sarebbe tornata, più combattiva. Eppure, nonostante fosse consapevole di avere un intelligenza al di fuori della norma non si sentiva in grado di sforzarla, e accantonava tutto.
«Ciao anche a te Liam!» lo riprese Niall brusco, entrando seguito da Faith, persa ormai nei suoi pensieri.
«O ciao! - un ragazzo dai capelli scuri e gli occhi azzuri le si avvicino - Io sono Louis, L-O-U-I-S, nome semplice. Tu sei Faith. F-A-I-T-H. Capito? »
Faith annuì calando il capo,non notando così l'occhiata di fuoco che Niall lanciò al cosiddetto Louis.
«Ciao, io sono Zayn!» le sorrise un'ulteriore ragazzo.
«Certo che te ne esci tu con questo nome così complicato. - Louis si rivolse al moro-  Z-A-Y-N, nome straniero. -scandì precisamente ogni parola- Ma puoi chiamarlo Jim.» Inventò un nome quanto il più semplice possibile.
Faith continuava a sentirsi a disagio, sperando che quel Louis smettesse di trattarla come se fosse invalida.
Malata mentale non era sinonimo di invalidità nell'apprendere.
«Lascia stare questo cazzone. - le sorrise dolce un'altra ragazza - Io sono Scarlett, ma la gente mi chiama Scar o Letty, io preferisco Scar, sai, mi da un'aria più vissuta. - rise- Piacere di conoscerti!»
Faith accennò un saluto.
«Certo che pure tu! Tranquilla Faith, ne tu non capire, è normale. N-O-R-M-A-L-E.»
Per fortuna, a salvare quella spiacente situazione fu l'entrata di un ulteriore ragazzo, infradiciato dalla testa i piedi.
«E' possibile che fino a cinque cazzo di minuti fa splendeva il sole, ed ora mi ritrovo cosi?!» Solo dopo si accorse della presenza degli ospiti, e con un sorriso di scuse, accennando un "torno subito, così mi presento", sparì su per le scale.
«Faith, mi dispiace davvero per il comportamento di Louis...» le sussurrò Niall ad un orecchio, senza farsi sentire dal rimanente del gruppo.
A lui dispiaceva, ma a Faith no. Non riusciva a ritenersi offesa, per quanto si sforzasse di far rientrare anche quest'emozione all'interno del suo corpo.
Ormai però si convinceva sempre di più che gli unici sentimenti che riuscisse a provare erano proprio quelli legati al dolore e alla paura, nessun derivato, anche se simile, oltre quelli.
«Bene! - il ragazzo zuppo di prima fece il suo rientro in soggiorno, dove i ragazzi si erano accomodati. - Io sono Harry, tu devi essere Scarlett? - si rivolse alla rossa, che annuì sorridendo - E tu Faith! » Si avvicinò alla ragazza abbracciandola di slancio.
Nei suoi occhi il terrore, ed in un attimo si ritirò, mentre un Niall si posizionava fra Harry e Faith, facendola sentire protetta.
Tutto il resto giaceva in silenzio.
«Oddio, Mi dispiace... - balbettò Harry - Io non sapevo ti desse fastidio, sul serio, scusa, perdonami, chiedo venia, mi prosto ai tuoi piedi.» Dall'ansia trasparente nella sua voce si deduceva quanto seriamente fosse pentito.
La tensiono alleggiava nell'aria, tutti in attesa della risposta di Faith, che si rilassò, accennando un sorriso. aveva constatato che quel ragazzo non costituiva una minaccia per lei, e che poteva non aver paura.
Le guancie di Harry furono invase da due enormi fossette, mentre la invitava a sedersi sul divano, tra lei e Liam, e le sorrise rassicurante.
Odiava prestare attenzione a ciò che la circondava, non prestava attenzione alle persone, non immaginava le loro vite, e non le interessava, proprio per questo, dell'animata conversazione che gli altri avevano intrapreso riuscì ad intuire solo delle risate scostanti.
«Ragazzi, basta! - li riprese Louis - Non vedete che Faith non capisce? Faith! - la chiamò - Tuttò Bene?»
Era stufa di essere trattata così da quello stupido ragazzo, che, a quanto mostrato, nel cervello non aveva altro che neuroni morti.
Un fiume di parole le annebbiò la mente, le mani prudevano, gli occhi bruciavano, la gola vibrava, e il cuore martellava la sua cassa toraciva.
«Louis. - lo richiamò a voce bassa. Si zittirono tutti.- Sono psicopatica, non autistica.»


 
*
Oh porca troia.
Sono qui. Sono davvero qui. Non sto sognando. Non è uno scherzo.
Non avete idea di quanto mi senta bene in questo momento, dopo aver finalmente continuato la mia storia.
Non dico altro.
Grazie a chi ha aspettato.
A presto.
Faith x ( o Noah, come preferite lol. Si è strano, ma diciamo che è un regalo di natale c: )

 

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Capitolo 10
*** Am i normal? ***


_Scrvo questa storia con le migliori intenzioni. Tengo a precisare che è puramente immginaria. Le mie descrizioni non hanno a che vedere con i personaggi narrati. La storia, non è, inoltre, scritta a fini di lucro. Vi prego di non plagiare. Noah loves ya.x _


Dedico questo capitolo ad itsmirii_
Grazie per il banner che hai creato per questa storia.
Ho usato il mio (il mio primo banner,alè), ma sfrutterò anche il tuo, sicuramente.

 



10.


 
«Ti amo, sappilo.» La voce calda e roca di Harry le arrivò come un sussurò all'orecchio.
I ragazzi erano raccolti intorno alla televisione intenti a guardare un orrendo film horror francese. Faith era rimasta accanto al riccio, che, annoiato dal film e, sempre più incuriosito dalla ragazza seduta alla sua destra, aveva deciso di non prestarci più attenzione.
«Insomma, sei la prima ragazza che ha il coraggio di rispondere a quel coglione. Lou è il mio migliore amico, ma non ha sempre bei comportamente. Hai tutta la mia stima! - si scostò i capelli, sorridendole - Ti va di ascoltare un pò di musica?, questo film è tutto tranne che 'Horror'.» Ad un appena riconoscibile accenno del capo da parte di Faith, Harry si alzò silenziosamente correndo di sopra a prendere il telefono.
Niall quella sera le era apparso diverso. Lo aveva osservato appena, troppo distratta dalle chiacchiere di Scarlett, o da qualche domanda di Harry. Era rimasto in silenzio i tre quarti del tempo trascorso, non aveva riso, scherzato e non si era intromesso come da suo solito.
Nell'attesa che Harry tornasse, Faith appuntò nei suoi pensieri la probabile prossima pagina della sua agenda che sarebbe stata imbrattata con le sue parole.
 
Lo chiamiamo amore.
Un sentimento che ci procura allegria, e ci dona la pace.
Si può affermare di 'amare' quando si conosce,
si ammira,
si accetta,
nei pregi e nei difetti.
Si ama per sempre.
Ma si può amare una costante?
Tutto finisce.
L'amore è il primo.
Amore, lo stesso vocabolo risulta orribilmente addolcito e terribilmente cacofonico.
Non si tratta altro che una forte infatuazione, un ossessione.
Non si ama.
Spesso le persone credono di farlo. Magari per ritenersi normali, perchè considerato tale. Perchè ne abbiamo sempre sentito parlare, lo ritroviamo in ogniddove.
Nonostante sia astratto. Eppure, personalmente,
preferirei lo rimanesse.
Solo dopo ci si rende conto che la disperata voglia, l'assurdo desiderio di voler sentirsi apprezzati, di essere comuni ci attanaglia il cervello, ed è esso ad elaborare il tutto.
io non amo, io sono semplicemente un'abitudinaria.
Perchè è in questo che, le maggior parte delle volte, si trosforma
l'infatuazione.



«Ehi!» la richiamò a voce bassa il riccio ponendogli una cuffietta bianca.  
Lei sorrise, portando la cuffia all'orecchio.
All'interno una orribile canzone pop la attanagliava il cervello.
«Non sei  una ragazza di molte parole, da quel che ho capito.» Le sorrise voltandosi verso di lei.
Harry, prese ad osservare il salotto, soffermandosi su Liam.
L'intera serata l'aveva trascorsa silenziosamente, con pochi interventi, e con la mente immersa in chi sa cosa. Harry era a conoscenza che quello non fosse un periodo allegro nella vita dell'amico, e non gli piaceva di certo ritrovarlo in quella situazione.
L'educazione di Harry era basata sulla lealtà e sul rispetto.
I genitori, due pezzi importanti nel mondo degli affari, erano stati, nonostante il lavoro li costringesse a trascorrere i tre quarti delle ore nel loro ufficio, sempre presenti nella vita di Harry.
Il ragazzo sapeva che, se i genitori fossero  venuti a conoscenza della burrascosa vita che stava conducendo il loro tanto amato figlio, ne sarebbero stati umiliati.
Eppure Harry si ritrovava in quella condizione proprio perchè non erano il lusso, la scuola privata, e tanti i amici fasulli il suo prototipo di vita perfetta.
Con i ragazzi aveva trovato dei fratelli, e ne era felice, in parte.
«Sabato hanno invitato me e i ragazzi ad una festa, dicendo di portare altre persone. Ti va di venire con Niall?» Decise di distogliere la sua mente troppo focalizzata sui pensieri, cercando di distrarsi con la ragazza che si trovava al suo fianco.
Dalla faccia della ragazza riuscì a dedurre che fosse rimasta spiazzata dalla sua proposta.
«Tranquilla, non è niente di eccessivo. Non c'è un'eccessivo traffico di droga, al massimo un pò d'erba. Alcool, quello sempre, ma non troppa gente. Dai, ti tengo d'occhio io, prometto che non berrò niente!»  
Gli occhi azzurri della ragazza sembravano indecisi, come se fossero combattuti.
«Ragazzi, tacete. Vorrei capire la fine!» Li riprese Louis.
«Oh andiamo, alla fine si rivela che l'assassino era stato la migliore amica, perchè era innamorata di lei. In realtà lei sognava che fosse qualcun altro ad uccidere tutti, quando era lei.» Sbuffò Harry.
«Grazie, Harold.»
Dalla risposta di Faith in precedenza, Louis si era zittito. Harry, conoscendolo, aveva intuito che il modo in cui la ragazza lo avesse messo a tacere lo aveva indispettito.
Harry, nonostante fosse uno dei suoi più cari amici, non riusciva sempre a comprendere il comportamente di Louis.
A volte si stupiva di come potessero essere amici. Se non fosse entrato a far parte del gruppo, non avrebbe mai fatto amicizia con Louis. Il suo carattere non combaciava per niente con quello del riccio.   
«Mi accompagni a prendere una birra? - Chiese Harry alla ragazza - Non mi va di rimanere qui.» Con uno sguardo di fuoco rivolto a Louis, si diresse in cucina, seguito dalla ragazza e dallo sguardo interdetto di Niall.
Probabilmente non riusciva a capire il perchè Faith ed Harry avessero passato insieme l'intera serata, magari si sentiva minacciato, credendo che il suo piano potesse fallire.
Aprì il frigorifero, entraendo un Ceres, aprendola poi col cavatappi.
Vide Faith per poi ridere. Era rimasta lì, al centro della stanza, con le maniche del maglione, apparentemente di Niall, troppo lunghe ed il viso coperto dai capelli.
«Dai siediti! - le indicò una sedia, mentre lui si sedeva a quella di fianco - Quindi, quanti anni hai?» Chiese Harry per evitare che si formasse quell'imbarazzante silenzio, molto comune in quelle situazioni.
Riusciva a vedere la ragazza sforzarsi, e cercare di rispondere, ma riusciva a capire dal suo sguardo affranto che non ci riusciva. Come mai non riusciva a parlare? Un gesto che, per tutti risultava spontaneo, a lei costava uno sforzo sovraumano.
«Io ne ho diciannove, venti il mese prossimo. - Le venne in contro il riccio - Sei più piccola immagino. - la vide annuire - Sedici. No, troppo piccola. Diciotto. No, troppo grande. Diciassette? - Faith annuì nuovamente - Sono un genio.» Si vantò Harry.
«Sai, sono il più piccolo del gruppo. Il primo che ho conosciuto è stato Niall. Sono tre anni che ci conosciamo. Pochi, ma buoni. So praticamente tutto di quel ragazzo. Ogni singola cosa imbarazzante. Nel caso litigassimo la sua reputazione sarebbe compromessa. - Rise. Vedendo la ragazza interessata decise di continuare - Per esempio: Capodanno 2007. Aveva quattordici anni, e ci provava spudoratamente con mia sorella maggiore. Ricordo che io volevo uscire dopo la mezza notte per festeggiare, ma, dopo aver chiamato a casa di Niall la madre mi aveva risposto che era andato a dormire. Il giorno dopo, andammo tutti alla festa del primo. Mia sorella compresa. Lei, gran bastarda, sapeva che lui le andava dietro, così gli chiese se fosse uscito il trentuno. Niall, per farsi 'grande' rispose di si, soffermandosi su quanto si fosse ubriacato, e su quanto i suoi genitori fossero infuriati quando si era ritirato alle cinque del mattino. Immagina ora la sua faccia dopo che mia sorella gli ha risposto : "Peccato che mio fratello ti aveva chiamato per uscire, i tuoi avevano detto che stavi dormendo."» Harry scoppiò in una fragorosa risata, tenendosi la pancia.
Faith, dopo aver assimilato, prese a ridere anche lei.
La sua risata era rumorosa. Gli occhi diventavano piccoli, e portava le mani sulla bocca mentre si portava leggermente in avanti.
Harry la osservava ridere, felice che fosse stato lui. Da quel che aveva capito, e da quel che le aveva raccontato Niall su questa ragazza, la risata non era all'ordine del giorno per lei.
In quell'istante, forse attratti dalle risate, entrarono anche gli altri ragazzi.
«Harry, dobbiamo parlare!» Affermò battendo le mani Zayn.    
«Faith, vieni dai! lasciamo i maschietti soli!» La voce di Scarlett la richiamò, facendola uscire dalla stanza sotto gli occhi di tutti.





«Che cazzo stai facendo, eh?!» Gli urlò contro Niall poco dopo l'uscita di Faith.
I ragazzi si allarmarono. Non potevano permettersi litigi poco prima dell'attacco, e con due ragazze nella stanza di fianco.
«Non posso parlare con lei?»
«Mandi a puttane tutto!» Si accese una sigaretta Niall imponendosi di stare calmo.
«Niall, tu le hai a stento rivolto la parola. Louis l'ha fatta sentire idiota. Liam stasera non è dell'umore giusto, e Zayn, beh, è Zayn. Ha bisogno di sentirsi integrata! E poi mi è simpatica. Una ragazza che zittisce Louis rientra sicuramente tra le mie grazie. - si passò la lungua tra le labbra esasperato - ora, possiamo, cortesemente, pensare a cosa fare?» Annuirono tutti.
«Bene. - prese parola Zayn - Da quel che ho capito, dovremmo attaccare domani alla festa giusto?» Chiese rivolto ad Harry.
«Esatto. Ciò che credo sia meglio è: Entriamo alla festa, ce la godiamo un paio d'ore, poi, alle due precise attaccheremo. Ho bisogno di Louis in guardia.»
«Oh andiamo, sai che odio fare il palo!» protestò Louis.
«Lo farai. -Sentenziò Harry - Niall, Zayn ed Io attaccheremo, mentre Liam, tu devi dare un'occhiata a Faith e a Scarlett. E' un branco di maiali quello, nel caso qualcuno ci provasse eccessivamente con Faith potremmo perdere tutto ciò che Niall sta facendo. Okay. - Battè le mani - Problemi?»         
Niall non poteva negarlo. Harry come capo era molto organizzato. Come se fosse stato creato per programmare le cose.
«In che consiste l'attacco?» Chiese Zayn.
«Diamoci alla pazza gioia. Mettiamo fuori uso un paio di loro. Dobbiamo lasciare il segno. - rispose con fermezza Niall - So, inoltre, che il loro intento era quello di attaccare noi la mattina dopo, perchè troppo stanchi dalla festa non saremmo stati in grado di difenderci a dovere.» Prese un lungo tiro dalla sua sigaretta.
«Bastardi. - affermò Louis - Ah, Niall, sai come portare la ragazza?»
«Lo chiederò a mia zia.» Detto questo uscì per ritrovarsi in salotto.
Scarlett parlava animamente con un enorme sorriso sul viso, mentre Faith la ascoltava con gli occhi felici.
Gli dispiaque dover intervenire dicendo che si era fatto orario, e che dovevano propio tornare in clinica.    








«Padre.» Zayn entrò in casa, poggiando il gubbino di pelle sull'attaccapanni, salutando ironicamente l'uomo presente sulla porta.
«In tempo per le preghiere.» Lo riprese Yaser trascinandolo.
«Mi dispiace padre, ho di meglio da fare.» Con uno strappò riuscì a liberarsi dalla morsa del padre, correndo su per le scale.
L'uomo, ferito e profondamente deluso, aveva imparato a lasciar passare i comportamente del figlio, facendo in modo che si rovinasse da solo la vita.
Mentre Zayn era intentò a percorrere il suo corridoio per arrivare finalmente alla sua stanza, dei forti rumori di singhiozzi lo distrassero dal suo intento: provenivano dalla stanza di Doniya.
Entrò, senza farsi così tanti scrupoli. Notando la sorella, distrutta sul letto, ormai colmo di lacrime, gli si strinse il cuore
«Donnie, che succede?» Si sedette accanto a lei, accarezzandole i capelli.
Le braccia della sorella gli strinsero il bacino, cominciando a bagnare la sua maglietta.
Doniya, forse incapace di parlare a causa dei singhiozzi, le mostro il suo telefono.
La schermata era incentrata su un messaggio da parte di Louis.
' Scusa Don, non stiamo più insieme. Se vuoi puoi pagarmi però... Lou x'
Zayn si riempì di rabbia e puro odio.
Louis gli aveva promesso che sarebbe rimasto con sua sorella, almeno per un pò, e che lo avrebbe avvisato quanso avrebbe deciso di lasciarla. Eppure, come da copione, Louis doveva costantemente rivelarsi un'insensibile menefreghista, egoista, ed incentrato principalmente su se stesso. Doveva capire che  non era il centro della terra, e che non tutto ruotava in torno a lui.
Strinse i pugni.
«Donnie, guardami. - le alzò il viso con due dita, costringendo la soella ad osservarlo- Sai anche tu che Louis non è altro che un fottuto pezzo di merda. Riuscirò a fartelo dimenticare, okay?» Le sorrise asciugandole le lacrime.
«Grazie Zay.»






«Ho convinto la dottoressa Smith a farci uscire per la festa! - Niall si sedette al tavolo della mensa accanto a Faith, sullo stesso tavolino che ormai erano soliti occupare - Certo, era furiosa perchè ha scoperto che siamo stati fuori tutto il pomeriggio, ma le mie tecniche di persuasione funzionano sempre!»   
La giornata appena trascorsa era passata fin troppo lentamente per i gusti di Niall.
Aveva trascorso il tempo in silenzio, non potendosi mostrare burbero dinanzi a Faith o eccessivamente allegro dinanzi agli altri presenti.
Inoltre, era stato costretto a controllare costantemente Faith, presa in ostaggio da Harry. Il comportamento del ragazzo lo aveva irritato, e non poco. Il modo in cui l'aveva abbracciata per salutarla, le aveva fatto ascoltare una di quelle orrende canzoni di cui lui era tanto innamorato, e l'aveva portata in dispare per parlare da soli.
Niall era consapevole che far si che anche i suoi amici conosccessero Faith, stringendo amicizia, sarebbe stato meglio per lui. In quanto, magari più accettata ed inserita, la ragazza si sarebbe sciolta più facilmente.
Eppure il comportamente di Louis stava quasi per rovinare tutto.
Non si era, personalmente, reso conto, se il suo 'trattarla da problematica' era per puro divertimento o perchè, talmente stupido, era realmente convinto che non riuscisse a distinguere nomi e parole.
Quando l'aveva poi sentita parlare aveva sgranato gli occhi e aveva sorriso impercettibilmente.
La sua voce gli risuonava continuamente nelle orecchie. Inoltre la genialità con cui era stata in grado di zittire Louis, lo avevano stupito.
Niall non aveva più problemi nei confronti di Faith.
Era passata appena una settimana, ma si era reso conto che quella ragazza, pazza, non ci era divenuta a causa sua.
Era semplicemente impaurita dal mondo, perchè troppo crudele. Non si aprima e non prlava, per paura che sarebbe stata punita come l'ultima volta.
Niall non conosceva completamente la storia della ragazza. La zia gli aveva accennato qualcosa su dei genitori uccisi dal un ragazzo.
Con l'apparsa di quel Mike, si era reso conto della frustrazione di Faith. Non aveva mai visto una persona tanto impaurita da ogni cosa, in vita sua.
Ora la guardava addentare una foglia di insalata sotto sua costrinzione, e rifletteva su quanto la vita fosse stata ingiusta con lei.
«Fay. - la richiamò - Sei stata grande con Louis.» Le sorrise intenerito Niall.
La vide sorridere.
L'afferrò con delicatezza per il braccio, trascinandola fuori dalla mensa ridendo.
La faccia di Faith era leggermente perplessa a causa del non sapere dove la stesse conducendo il ragazzo.
Niall aveva avuto un'idea, e ora stava conducendo la ragazza in camera sua per metterla in atto.
«Salteremo il 'raduno' - le disse il ragazzo - Non ho voglia di stare con quella gente.» Roteò gli occhi. Entrando nella camera della ragazza.
Fece sedere Faith sul letto, prendendo a spiegarle la situazione.
«Bene. - battè le mani per richiamare l'attenzione di Faith- Che ne dici di decidere cosa indosserai alla festa?»
Voleva farla sentire normale. Voleva far si che si sentisse come ogni altra comune ragazza prima di una festa. Che fremesse dalla voglia di andare a divertirsi, di scegliere qualcosa di più particolare da indossare, di prepararsi.
 Faith era rimasta immobile, guardando il Niall.
«Fay. - le si avvicinò, inginocchiandosi  terra, in modo di arrivare circa alla sua altezza - Faresti uno sforzo per me? Io ora ti mostrerò degli abiti. Vorrei che tu mi dica 'si' o 'no', e non con un gesto del capo. - portò lo sguardo ai suoi occhi, notando la paura che li attraversava - Ehi, solo se vuoi.»
La ragazza annuì sicura, prendendo un bel sospiro, alzando il volto.
Niall si alzò facendo scricchiolare le ossa delle sue ginocchia. Diretto verso l'armadio della ragazza, prese a frugarci all'interno.
Tanti leggins e maglie bianche. Ma voleva che fosse diversa quella sera. Che si sentisse diversa.
Tirò fuori un paio di pantaloni neri, e li mostrò alla ragazza.
Prese un paio di pantaloni neri, mostrandoli alla ragazza.
Passarono un paio di secondi quando, dopo un lungo respiro, e un forte sforzo della voce, la ragazza aveva sussurrato un flebile 'no'.
Il ragazzo si immerse nuovamente nell'armadio, sorridendo.
Questa volta ne tirò fuori uno shorts di jeans.
Sentì la ragazza, senza neanche pensarci due volte, surrurrare un 'no' più deciso.
«Secondo me sono perferti. Se proprio non vuoi indossare solo questi puoi metterci delle calze sotto, e dei tacchi. Sopra potresti comprare qualche maglietta carina. Ti accompagno al centro commerciale domani, prima della festa!» Euforico gesticolava ancora immerso nell'armadio.
«Niall - un sussurro - Niall.» Questa volte la voce gli arrivò all'orecchio e si girò di scatto.
Il suo cuore prese a battere fortemente, e le guance, probabilmente, erano divenute di un rosso porpora.
Faith aveva appena pronunciato il suo nome, e la sensazione che provava in quel momento era un unione di stranezz e gioia.
Il modo in cui lo aveva pronunciato, con il classico accento, con la voce femminile profonda e piacevole da ascoltare.
«Niall - ripetè la ragazza- no.»
«Converse e mio maglione? - la ragazza annuì- Okay, ma il pantaloncino te lo infilo con la forza.»
La ragazza rise. Il ragazzo fece per uscire dalla stanza per andare a prenderle il maglione quando venne trattenuto dalla mano di lei.
Un brivido lo percosse.
«Grazie, Ni.»


 
*
Con solo una settimana dall'ultimo aggiornamento, eccomi qua.
Per le persone che seguono 'you made my life better', è finalmente in revisione, tornerà presto.
Faith x

 

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Capitolo 11
*** non è un capitolo, ancora. ***


SCUSATE RAGAZZE.
STARETE PENSANDO: QUESTA BRUTTA CESSA CI FA ASPETTARE UN ANNO E NON PUBBLICA NEANCHE?
PURTROPPO SI
IL CAPITOLO CI SARA' PRESTO.
NEL FRATTEMPO HO SCRITTO UNA NUOVA STORIA








BRAINWASHED.
 
«Sei abbastanza intelligente da sarepere cosa sta per succedere vero Harry?»
si, sapeva cosa sarebbe successo, e anche l'uomo lo sapeva. Non riusciva a rispondere.
Spesso aveva sentito di casi di stupro. Non sapeva cosa ci si provasse fin quel momento. Ogni minimo contatto era una coltellata. La gola era arida e secca e le forze venivano meno. Si arrabbiava sempre perchè non riusciva a capire il perchè quelle povere ragazze non reagivano, ma ora le comprendeva. Reagire in quelle situazioni era impossibile. 
«Rispondi, lo sai?!» afferrò i capelli del moro tirandoli e sbattendolo con cattiveria contro il muro. Il cellulare vibrava nella sua tasca. Era sicuramente sua madre che preoccupata lo chiamava.
Annuì impaurito all'uomo che aveva, con un sorriso, preso a sbottonargli i jeans tirandoli giù. Harry intravide un'altra idea nei suoi occhi, quando abbasso anche i suoi pantaloni afferrando con forza la sua mano portandola al suo membro. 
Harry cerco di ritirarla, spaventato, ma era impossibile. Stava seriamente toccando il pene di un uomo.

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