Nessuno tocchi Caino

di lapoetastra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un lavoro difficile ***
Capitolo 2: *** L'incontro ***
Capitolo 3: *** Due domande ***
Capitolo 4: *** Ultima chiamata ***



Capitolo 1
*** Un lavoro difficile ***


Ogni giorno penso a quanto io odi il mio lavoro.
Guardare tutti quegli uomini che mi temono mi fa tremare le corde più profonde del cuore.
A volte non ci riesco, ma so che devo sostenere il loro sguardo.
Devo essere forte, nonostante gli orrori che mi passano continuamente davanti agli occhi, lasciandomi un'impronta, una ferita, nell'anima e nel cuore.
Io qui dentro sono la vittima e il carnefice al medesimo tempo, e non posso fare niente per modificare questa situazione, renderla migliore, almeno un po', almeno per un momento.
Vorrei licenziarmi, ma so che non riuscirei a trovare un altro lavoro in grado di sostenere me e i miei genitori malati.
Questa, invece, è una professione che ha sempre posti liberi.
All'inizio credevo anche io che non ci volesse molto a portare a termine il mio compito - sono criminali, dopotutto - ma adesso ho capito che non è così.
Si dice che ciò che non uccide fortifica, ma per me ciò non vale.
Mi sento morire con loro, ogni volta di più, ogni volta più irreversibilmente.
Ci farò l'abitudine, prima o poi?
Mi pongo questa domanda tutti i giorni, ad ogni esecuzione, ma non riesco mai a trovare una risposta.
Perchè è sempre come fosse la prima volta, per me, e tremo, mentre sento quella vita scorrere via per causa mia.
O grazie a me, dipende a chi lo si chiede.
È un duro lavoro, questo, ma qualcuno deve pur farlo.
E purtroppo è toccato a me.
Oggi però so che sarà più difficile del solito.
Perchè dovrò giustiziare una donna.

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Capitolo 2
*** L'incontro ***


Sono qui.
Il tempo sembra correre via veloce da me, irrefrenabile, inarrestabile, e io farei di tutto perchè si fermasse un solo momento.
I secondi che passano si portano via momenti della mia vita.
Non riesco a trattenerli, mi sfuggono tra le dita come granelli di sabbia.
Ma sono stanca, dopotutto.
Stanca, di questa cella in cui il mondo non passa, che costringe il mio pensiero a fuggire, per essere libero, come non io potrò mai più essere.
Non da viva, almeno.
Non piango, anche se avrei tutte le ragioni di farlo, perchè non ho più lacrime.
Attendo il momento in cui tutto finirà, e cerco di convincermi che in fondo è meglio così.
Non capisco se ci sto riuscendo o meno.
La porta della mia cella si apre di colpo, distogliendomi dai miei tristi pensieri, ed entra un uomo, alto, giovane, bello.
Avrà la mia età, più o meno.
Mi stupisco di pensare queste cose di lui, che è la persona che dovrei più temere.
 L'ho riconosciuto, è il boia, ed è venuto per me.
So che non posso fuggire.
Ma invece di farmi pesare ciò che mi farà tra poco, si siede sul letto accanto a me.
Noto che ha uno sguardo triste, sembra profondamente turbato, più di quanto lo sono io, forse.
< Come ti chiami? >, mi chiede, e io mi sorprendo di sentire il suono depresso che ha la sua voce, come se fosse lui il condannato a morte.
< Jennifer >, rispondo, piano.
Quando vedo che non parla più, intervengo.
Ho appena capito di aver bisogno di scambiare due parole con qualcuno, almeno un po', almeno prima della fine, dove regnerà il silenzio assoluto, e non importa con chi.
< E tu? >, gli chiedo.
< Oh. Io... Percy >, dice, quasi sorpreso della mia domanda.
Forse è convinto che io lo odi, ma non è così.
Percy...
Sorrido. È il nome che avrei voluto dare a mio figlio se mai ne avessi avuto uno.
< C'è qualcosa che desideri prima di... ? >, si interrompe, ed io provo d'improvviso un moto di tenerezza e simpatia incondizionato per quel giovane uomo sensibile che non sta cercando di spaventarmi, come farebbe chiunque altro, ma di essere gentile, nonostante io appaia ai suoi occhi una criminale.
Perchè lui non è come gli altri, e non riesco a capire come possa essere finito a fare un lavoro del genere.
Forse il suo aspetto dolce e gentile nasconde in realtà un animo sadico e cattivo.
Forse, o forse è solo perchè ha bisogno di denaro per poter sopravvivere.
< No, grazie >, rispondo, e vorrei dirgli tante altre cose, vorrei chiedergli di rimanere con me per spiegarmi le motivazioni della sua presenza qui, per chiacchierare un po', ma rimango zitta, e lui se ne va, in silenzio, evitando il mio sguardo, lasciandomi sola con le mie ultime tre ore di vita.

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Capitolo 3
*** Due domande ***


Jennifer...
Mi ripeto il suo nome nella mente, e non riesco a smettere di pensare a lei.
Ho in mano il suo fascicolo e continuo al leggere la parte dove è indicato il crimine che ha commesso e per la quale è stata condannata alla sedia elettrica.
Non me ne dò pace.
Non capisco come una ragazzina così minuta e giovane possa aver rapinato da sola una banca ed ucciso a sangue freddo cinque persone.
Mi sembra impossibile, e sono convinto che ci sia stato un errore da parte del giudice.
Ma tanto so che ormai la sentenza è stata fatta e che io non posso fare niente per modificarla.
Chiudo gli occhi, cercando di far vagare la mente, ma mi appare davanti soltanto il suo viso, dolce, emaciato, tirato dalla lunga prigionia.
Per quanto si sia sforzata di non darlo a vedere, ho notato nei suoi occhi lo sguardo terrorizzato di una preda che sta attendendo di essere sbranata.
L'ho riconosciuto benissimo.
In fondo, sono cinque anni che faccio questo lavoro.
In fondo, è lo stesso che vedo ogni giorno riflesso nel mio specchio.
Passa il tempo, ed io attendo con timore il momento dell'esecuzione, sapendo che non potrò mai dimenticarla, non importa quanto ci proverò, in futuro.
La sveglia suona.
Capisco che ormai non si può più rimandare l'inevitabile.
Mi alzo come fossi in uno stato di trance e con passo lento e malfermo mi dirigo verso la sua cella.
È l'ultima del corridoio.
E io mi odio.
E odio il mio lavoro.
Apro la porta.





Lo guardo venire verso di me, ancora più cupo, ancora più disperato di prima.
Alla sua vista ogni mio tentativo di non aver paura si vanifica, dissolvendosi come fumo nel vento.
Non posso fare altro che accettare la sorte, adesso.
Devo...
< Non sei stata tu, vero? >
La sua domanda mi distoglie dai miei pensieri.
< Cosa vuoi dire? >, chiedo a mia volta, confusa.
< Quelle persone.. non le hai uccise tu, non è così? >
Oh.
< No. Mi hanno incastrato. Io non c'entravo nulla. Ero solo.. come dire, nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma il giudice non ha voluto sentire ragioni, dicendo che c'erano tutte le prove della mia colpevolezza, anche se io non le ho mai viste. Comunque non importa, adesso >, rispondo, e di colpo la rabbia riemerge tutta insieme, trasformandosi in calde lacrime che non riesco a trattenere.
< Come pensavo >, mormora Percy.
Chiudo gli occhi, e percepisco la sua figura che mi si avvicina e mi stringe forte.
Mi aggrappo a lui con necessità, con bisogno.
È da tanto che qualcuno non mi dimostra un affetto così sincero, una vicinanza così profonda, e mi sembra assurdo che adesso ciò avvenga per mano dell'uomo che tra poco mi ucciderà.
Però non mi ritraggo al suo calore, e desidero con tutta me stessa che non finisca mai.
Di colpo però Percy si stacca da me, e noto che anche lui sta piangendo, piano, cercando di non spaventarmi.
Vorrei che non l'avesse fatto.
Mi sento solo più giù, adesso.
< Dobbiamo...dobbiamo andare >, sussurra, ed un singhiozzo scappa al suo controllo.
Ci guardiamo negli occhi ed io mi annullo in quello sguardo, in cui non c'è odio nè compassione, ma solo dispiacere.
Desidero che non finisca così, ma non mi posso opporre alla giustizia, nonostante questa volta abbia commesso un errore.
Percy mi prende la mano, me la stringe dolcemente, e insieme ci avviamo verso quella sala che ho sempre temuto.
Mi viene quasi da ridere, perchè sembriamo due fidanzati che fanno una passeggiata, e non una condannata a morte e il suo giustiziere.
Siamo arrivati.
La vedo lì, che mi attende. La "Vecchia scintillante", come la chiamano gli altri detenuti.
Entro nella stanza, e subito il calore mi soffoca, ma so che è niente, adesso.
Mi siedo tremando per il contatto freddo con la sedia.
Percy mi sistema la spugna bagnata sulla testa, mi mette la colotta, mi stringe le cinghie sui polsi e sulle caviglie.
Vedo il luccicare delle lacrime nei suoi occhi, e provo tanta pena per lui.
Vorrei che non fosse testimone di tale atrocità, perchè sono sicura che che è quasi più doloroso per lui che per me.
< Non fai questo lavoro perchè ti piace, vero? >, sussurro, ma tanto non mi ha udito.
< No. È solo per sostenere economicamente la mia famiglia >, risponde invece.
< Come pensavo. >
Vedo per un secondo un sorriso illuminargli il volto e penso che sia davvero bello, e che forse mi sarei potuta innamorare di lui, se solo ci fossimo incontrati in altre circostanze.
Poi, di colpo, non vedo più niente.

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Capitolo 4
*** Ultima chiamata ***


Di colpo non vedo più niente. 
Percy ha abbassato il cappuccio nero davanti ai miei occhi, ma anche adesso riesco a percepire i suoi singhiozzi disperati a stento trattenuti.
Io invece non piango, anche se avrei tutte le ragioni di farlo.

È come se improvvisamente non avessi più paura o timore.
Forse perchè so che ormai è troppo tardi per provare a cambiare il mio destino.
Forse perchè ho perso le speranze già molto tempo fa.
Rimango ferma, ed il respiro affannoso torna a regolarizzarsi.
Attendo che arrivi la fine.



Non ce la faccio.
Non riesco a dare il via all'esecuzione.
Non posso tirare quella leva.
Tutto ciò non è giusto, lo sappiamo entrambi.
Piango, mi sfogo, perchè prima non volevo che lei mi vedesse e si spaventasse ancora di più.
Le devo almeno questo, non essendo riuscito a salvarla.
L'ora è scoccata, è passata, ed io non posso più rimandare l'inevitabile.
Se solo avessi potuto fare qualcosa!
Mi viene voglia di urlare, e mi mordo la lingua a sangue per non farlo.
Stringo la mano sulla leva.
Mi preparo a tirarla.
Uno...

Due...

Drinn.. drinn.. drinn..

Il telefono mi fa sobbalzare.
Corro a rispondere con una strana e forte speranza che mi sta inspiegabilmente nascendo nel cuore.
< Pronto? >, dico, e mi stupisco di come la mia voce sia fioca e tremula.
E' il giudice.
Mi parla.
Sorrido. 
     


Che cosa sta succedendo?
Perchè non accade nulla?
Chi è che ha chiamato?
Domande.
Tante domande che affollano la mia mente, che però ormai non dovrebbe più essere in grado di pensare.
Improvvisamente il mondo torna a colori.
Qualcuno mi ha tolto il cappuccio dalla testa.
Vedo Percy di fronte a me, sta ancora piangendo, ma sembra diverso.
C'è un'espressione sul suo viso che non gli avevo mai visto prima.
Felicità?
Sollievo, forse?
Ma perchè?
Mi si avvicina, mi scioglie le cinghie ed il mio sangue torna a circolare nelle vene, infiammato dalla speranza.
Mi fa alzare e mi prende tra le braccia, facendomi volare come se non avessi peso, come se fossi una bambina.
< Il colpevole si è costituito! Ha spiegato tutto al giudice appena adesso, quindi sei libera! > mi grida quasi direttamente nelle orecchie.
E io rido, e rido, contenta, incredula.
E poi piango, e mi stringo contro Percy, che mi restituisce l'abbraccio con dolcezza e passione.
Lo bacio, lui bacia me, e insieme torniamo a vivere.




Sono passati dieci anni da allora.
Mi sono sposata con John, un uomo fantastico da cui ho avuto due bellissimi bambini.
Una femmina, di nome Clarice, ed un maschio, di nome Percy.
Sono contenta della mia vita e della famiglia che ho costruito.
Eppure non c'è giorno che io non pensi al fatto che se Percy il boia non avesse aspettato un attimo prima di dare il via alla mia esecuzione, io non sarei qui, adesso.
Per questo lo ringrazio ogni momento e vado tutte le settimane a portare fiori freschi sulla sua tomba.
Quando ho saputo che è morto di edema cerebrale, un anno fa, ho pianto come fosse un amico di vecchia data.
Perchè in fondo lo era, ed anche qualcosa di più.

È stato il primo uomo che io abbia mai amato davvero, e l'unico che mi abbia fatto sentire viva.
Ma non c'è giorno che io non pensi anche a tutte le persone innocenti che sono state condannate a morte ingiustamente, e che non si sono più potute godere il mondo al di fuori di quella cella.

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